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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Napoli, Conte, Mauri

e la "giustizia" a rate

Fulvio Bianchi -Spy calcio - repubblica.it -25-12-2012

Forse il campionato non è irregolare, come sostengono da Napoli giustamente infuriati, ma di sicuro questa giustizia sportiva a rate lascia non poche perplessità. La situazione del Calcioscommesse sembra essere sfuggita di mano al superprocuratore Stefano Palazzi, che pure è persona perbene, esperta e appassionata del suo lavoro. Ma fra patteggiamenti strani, contradittori, e indagini a volte veloci e a volte stranamente lente qualcosa non torna. Intendiamoci bene: la giustizia sportiva deve viaggiare a rimorchio di quella ordinaria che, si sa, ha tempi a volte biblici. A Cremona, per fare un esempio, la Procura ha dovuto chiedere, il 30 novembre, altri sei mesi di proroga alle indagini perché ci sono imputati ancora latitanti e sovente si scoprono cose nuove. Ma di sicuro i magistrati di Cremona hanno un merito: hanno scoperto tutto il marcio che c'era (c'è?) nel mondo del calcio, sfruttando strumenti di indagine, vedi le intercettazioni, che Palazzi di sicuro non ha. Grazie, quindi, a Di Martino e c. Ma questo allunga, per forza di cose, i tempi della procura della Figc: e così abbiamo processi a rate, prima del campionato, durante (Napoli, appunto) e dopo. Meglio sarebbe, se non ci fossero casi di urgenza, tenere tutti i processi quando non si gioca, da giugno ad agosto per capirci: si eviterebbero polemiche e sospetti. Anche perché i reati sono di anni fa, non c'è quindi quella urgenza che c'era con Calciopoli nel 2006. Palazzi ha preso due solenni schiaffi dalla Disciplinare che ha respinto i patteggiamenti con Conte e poi col Napoli. Vero come sostiene Giancarlo Abete che non ci può essere un tariffario fisso, altrimenti basterebbe un notaio e non un giudice. Ma di sicuro sono stati commessi degli errori nell'iter giudiziario. La stessa Disciplinare, per una questione di "par condicio", ha dato due punti di penalizzazione al Napoli e non uno come chiesto da Palazzi. La responsabilità oggettiva va cambiata, su questo non ci sono più dubbi: molto spesso le società sono vittime dei loro calciatori, o tecnici, "infedeli". Ma sino a quando è in vigore, deve valere allo stesso modo per tutti, si chiamino Napoli o Albinoleffe. Il club di De Laurentiis comunque ha ancora davanti non solo due gradi di giudizio (Corte di giustizia federale e Tnas), ma anche mezzo campionato per annullare la penalizzazione, e può farcela visto il valore della squadra. Anche se credo che rischi davvero di aver perso Paolo Cannavaro e Grava, squalificati (6 mesi) per omessa denuncia. Uno sconto, ad esempio di due mesi, permetterebbe loro di tornare in campo solo verso fine campionato.

Ma che farà adesso Palazzi con gli altri casi in arrivo? A Cremona, come detto, stanno ancora indagando su 33 "tesserati". Probabile quindi che Palazzi decida di fare slittare all'estate il procedimento sulla Lazio (Mauri e Sculli) e sul Genoa. In questo caso, quindi, si andrebbe a fine campionato ed eventuali condanne sarebbero scontate dalla prossima stagione. Non si poteva fare lo stesso col Napoli? A Bari hanno quasi finito e presto dovrebbero passare le carte alla procura Figc (a proposito: a Napoli ci hanno messo tanto tempo, perché? Scarso feeling con Palazzi?): una ventina di indagati e tre partite del Bari (2008 e 2009) combinate, secondo gli investigatori. Il calciatore Colombo si sarebbe rifiutato di giocare contro la Salernitana, sostenendo che era "una partita-farsa", e avrebbe pronunciato questa frase nello spogliatoio davanti anche all'allenatore Antonio Conte, almeno secondo la versione di alcuni ex calciatori baresi (Kutuzov, Gillet, Esposito, eccetera). Conte a Bari non è indagato, a Cremona sì: ma adesso rischierebbe, stando alle carte della Procura pugliese, un'altra omessa denuncia in sede di giustizia sportiva. Aveva capito che la sua squadra, già promossa, voleva dare una mano agli amici della Salernitana? Di sicuro, non sapeva nulla dei 160.000 euro che i giocatori, secondo i pm baresi, si erano intascati. Sette ex del Bari per ora hanno taciuto davanti ai magistrati: ma non potranno stare in silenzio quando saranno chiamati a Roma dalla procura Figc perché rischiano sqaulifiche. E Conte quando verrà sentito dagli 007 di Palazzi? A fine stagione? Conte sia a Siena che a Bari non si era accorto degli strani movimenti di molti suoi calciatori. E ha detto al suo presidente Andrea Agnelli: "Devo evitare di vincere il campionato con 3-4 giornate di anticipo". Sì, è vero: a fine stagione ci sono sempre stati i cosidetti accordi fra le società, quando una lotta per un obiettivo e l'altra non ha più niente da dire. Ma adesso il problema si è complicato non poco: adesso ci sono di mezzo le scommesse e un 2-2, magari, fa guadagnare un sacco di gente. Per questo dirigenti e allenatori devono sempre tenere gli occhi bene aperti.

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Champions League - Ma il Fair-Play finanziario è uguale per tutti?

Dopo l'esclusione del Malaga si torna a parlare di Fair-Play finanziario. A finire nell'occhio del ciclone sono i 150mln di euro che sono entrati nelle casse del PSG come sponsorizzazione dell'ente del turismo del Qatar (riconducibile alle propietà dei parigini). Rummenigge stizzito: "La UEFA faccia chiarezza sulle sponsorizzazioni. Attendo con preoccupazione gli sviluppi di questa vicenda"

Eurosport - 26-12-2012

Il Fair-Play finanziario introdotto dalla UEFA continua a far discutere, o meglio, è la sua applicazione a far storcere il naso. In Germania, per esempio, non è passato inosservato il contratto sottoscritto, fino al 2016, dal Paris Saint Germain con la Qatar Tourism Authority, responsabile dello sviluppo delle attività turistiche nel Paese e che si occuperà della promozione dell'immagine del Qatar attraverso lo stesso PSG.

La QTA fa capo al governo di Doha, come la Qatar Sports Investments proprietaria del club, e l'accordo permetterebbe al PSG di intascare già da questa stagione 150 milioni di euro per arrivare a 200 milioni, più bonus, nella stagione 2015-16. Un'iniezione di capitale che consentirebbe al PSG di coprire quasi interamente il monte ingaggi aggirando di fatto le regole del fair-play Uefa.

"Sto osservando questa situazione con grande interesse ma con altrettanta grande preoccupazione, non ne faccio mistero - il commento alla 'Bild' di Karl-Heinze Rummenigge, presidente del Bayern Monaco -. Confido nel fatto che la Uefa faccia chiarezza". Sulla stessa lunghezza d’onda, giustamente, va anche Hans Watzke, amministratore delegato del Borussia Dortmund, a detta del quale gli sceicchi non possono farla franca, ricordando "che la UEFA deve stare attenta al mercato delle sponsorizzazioni".

Ciò che più temono in Germania, paese all’avanguardia dal punto di vista della gestione del club, degli stadi (media spettatori più alta d’Europa) e degli investimenti fatti ormai da parecchi anni nel calcio, è un "trattamento di favore" nei confronti del PSG. Come riporta la "Bild” infatti, Laurent Platini, figlio di Michel, cura gli interessi in Europa della QSI proprietaria del club.

Fin qui, dunque, l'unica società di blasone a pagare le nuove regole è il Malaga, escluso dalle coppe europee per un anno. Ma in Spagna non ci stanno e il sindaco della città, Francisco de la Torre, ha scritto una lettera al presidente della UEFA Platinì perché revochi la sanzione "sproporzionata e ingiusta. I problemi della proprietà del Malaga non possono offuscare i successi sportivi che mai avevamo raggiunto fino ad ora e che rendono famosa la nostra città”. Nei prossimi mesi capiremo se il tanto temuto Fair Play finanziario, in un modo o nell’altro, sarà uguale per tutti.

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Le due vite di Stellini

«A Conte ho detto di Carobbio

solo prima dell'interrogatorio

Ora pago e alleno i profughi»

L'ex collaboratore del tecnico alla Juve, le scommesse, la squalifica, le colpe

«Vi racconto di Salernitana-Bari, ma che errore le motivazioni del Tnas»

Ritenevo impossibile un mio deferimento. Figuriamoci quello di Antonio

Mai pensato di combinare la gara contro l’AlbinoLeffe. E c’è un video...

Ho sbagliato a incontrare quelli della Salernitana. Il resto è stata una conseguenza

Mi riempie il cuore stare insieme ai ragazzi africani: imparo tanto...

di FRANCESCO CENITI (GaSport 27-12-2012)

La squadra si chiama Survivor. E tra i ragazzi africani che sfidano il freddo per un allenamento in notturna c'è Cristian Stellini. In fondo anche l'ex collaboratore di Antonio Conte spera di sopravvivere a una squalifica che lo ha catapultato lontano anni luce dalla Juve e i suoi campioni. Il campo, però, è uguale a ogni categoria: grazie all'associazione «Nicolle e Yves Husson» l'ex di Genoa e Bari è ripartito. «Do una mano a sistemare la difesa», sussurra. Stellini ha gli occhi lucidi e tanta voglia di raccontare la sua versione sulla squalifica patteggiata per il calcioscommesse. E chiarire i passaggi che lo hanno portato da Vinovo al centro sportivo Cit Turin, dove da qualche settimana parla di tattica a dei profughi che sperano di cambiare il destino inseguendo un pallone.

Da Bonucci, Barzagli e Chiellini a una squadra improvvisata. Bello, ma non sarà facile...

«Visto da fuori. In realtà è una cosa che mi riempie il cuore: sto a contatto con ragazzi che possono insegnarti tante cose. Tipo: i nostri "problemi" sono nulla rispetto a quello che hanno affrontato. Avevo bisogno di una ricarica simile. Da quando ho patteggiato non riesco a vedere un futuro. Vivo giorno per giorno. Ora guardo al campionato Uisp. Possono tesserami? Sembra di sì».

Il suo nome è legato a doppio filo a quello di Antonio Conte. Lei si è dimesso dalla Juve lo scorso agosto. Vi siete sentiti da allora?

«Tra noi c'era una profonda stima professionale: gli ho mandato 2/3 sms dopo le vittorie più belle della stagione. Ha apprezzato».

Il Tnas nelle motivazioni che hanno accompagnato lo stop di 4 mesi a Conte sostiene che lei lo aveva informato del suo colloquio con Carobbio dallo scorso 8 marzo. Giusto?

«Non è così. La data è riferita alla mia audizione in Procura federale. Al ritorno a Torino avevo detto a Conte una roba tipo "tutto chiarito, nessun problema" perché pensavo impossibile un mio coinvolgimento per AlbinoLeffe-Siena. Figuriamoci quello di Antonio».

Ma lei con Carobbio ha parlato...

«Non per combinare la gara. Dopo la sfida di andata c'era stata una rissa. Avevo usato parole sbagliate e non volevo che il ritorno fosse una caccia all'uomo. A Carobbio avevo chiesto di spiegare questo agli ex compagni. Non c'era nessuna intenzione di illecito. C'è un video di Sky che lo dimostra».

Quale?

«Alla fine della partita mi si vede mentre discuto con Carobbio. Ero andato a chiedergli conto del suo comportamento: perdevamo 1-0 e lui batteva le punizioni all'indietro».

Ma con Conte di queste cose quando ha discusso?

«Poco prima della sua audizione (13 luglio, ndr). Gli ho spiegato che cosa era accaduto. Non l'ha presa benissimo...».

Però a Bari, dove Conte è testimone, lei è accusato di frode sportiva per la sfida con la Salernitana...

«Ho sbagliato e pagherò, ma tutto nasce perché mi sono opposto in modo netto alla combine di Bari-Treviso. Avevo sentito da Masiello strane voci. Allora vado da Gillet: mi rassicura. Il giorno successivo mi cerca un compagno (Santoruvo, ndr): "Stello, noi la gara la diamo. Tu sei libero di non starci, ma fatti gli affari tuoi". Gli rispondo a muso duro e vado dalla squadra: "Non fate pazzie", dico. Perdiamo giocando male, ma ero convinto fosse una coincidenza. Un anno dopo non ho la stessa forza».

Siamo a Salernitana-Bari...

«Sì, avevo ottenuto di non giocarla: mia figlia doveva operarsi. Ero con la testa altrove quando mi chiedono d'incontrare Fusco e Ganci. Dico sì: sbaglio gravissimo. Dopo arriva la riunione in palestra fatta alle spalle di Conte. C'era l'intera squadra: speravo che qualcuno avesse la forza di fermare tutto, ma pure chi non era d'accordo è rimasto zitto».

Gazzi e Barreto, ad esempio?

«Può essere, non ricordo se hanno avuto un computer. Stessa cosa per Ranocchia: può essere che i soldi li abbia dati a Iacovelli. Sono rientrato martedì al campo: al mio posto c'era una busta con 6-7 mila euro. "La tua quota", mi spiegano. Li ho presi e regalati».

Molti giocatori si dichiarano vittime del fenomeno scommesse...

«Qualche anno fa a Demetrio Albertini avevo detto: "I giocatori vanno tutelati: che cosa state facendo per proteggerli?". Adesso hanno aperto gli occhi. Ci sono interessi milionari intorno alle scommesse. Proibirle non si può. Ecco perché si deve «blindare» chi va in campo. Gli uomini della Procura federale devono marcarli negli alberghi, durante gli allenamenti. Far sentire la loro presenza in modo da scoraggiare qualunque tentativo. E ancora: ci sono flussi anomali su una partita? Non si gioca. E vogliamo parlare dell'omessa denuncia. Come è strutturata non serve».

Perché?

«Rafforza l'omertà. Meglio eliminarla oppure equipararla all'illecito: se rischio la carriera le cose cambiano. E comunque la giustizia sportiva andrebbe rivista: uno commette decine di combine, poi si pente e prende meno di un giocatore che ha sbagliato una sola volta? Non torna...».

E lei pensa di ritornare alle fine di tutto?

«Non lo so: aspetto il processo bis di Bari. Solo allora avrò una data certa sul mio possibile rientro. Nel frattempo continuo ad aggiornarmi. Vedo decine di clip. In Italia Conte è il tecnico avanti a tutti, poi c'è Montella. Chi sono i nuovi Bonucci e Barzagli? Mica semplice. Terrei d'occhio Sorensen ora al Bologna: avrà un grande avvenire. E poi prenderei Bernardini del Livorno. Magari c'è quello giusto tra i ragazzi di Survivor. Sarebbe bellissimo».

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laRovesciata di ROBERTO BECCANTINI (GaSport 27-12-2012)

Il question-time tra gli arbitri e i giornalisti

Appello a Braschi: con l’anno nuovo confronto-riscontro a scopo didattico

Rilancio una vecchia idea che avevo avanzato dalle colonne del «Guerin Sportivo» all’epoca di Collina designatore. Il «question time». Mi rivolgo all’attuale «ct» degli arbitri di serie A, Stefano Braschi. Dal momento che, per un motivo o per l’altro, il presidente dell’Aia, Marcello Nicchi, ritiene che i tempi non siano ancora maturi per interviste calde agli «sceriffi » sui temi, caldissimi, di determinate partite, perché non inaugurare, con l’anno nuovo, una sorta di confronto-riscontro settimanale tra il designatore e i giornalisti? A scopo, sia chiaro, esclusivamente didattico. In ballo, non tanto i casi clamorosi e assoluti - tipo il gol di Muntari - quanto gli episodi che hanno prodotto traduzioni complicate e/o difformi. Faccio un paio di esempi.

Il primo. Sedicesima giornata, 9 dicembre: Torino-Milan 2-4. Giampaolo Pazzini spinge via, platealmente, Salvatore Masiello e sigla di forza il terzo gol rossonero. Andrea Romeo convalida. Diciassettesima giornata, 15 dicembre: Lazio-Inter 1-0. Diego Milito spinge via, assai meno platealmente, Giuseppe Biava e serve Antonio Cassano, scattato in contropiede, tutto solo. Paolo Silvio Mazzoleni fischia la punizione contro Milito. Signor Braschi, chi ha sbagliato: Romeo oMazzoleni? Per me, Romeo.

Il secondo. Diciottesima giornata, 21 dicembre: Cagliari-Juventus 1-3. Davide Astori abbraccia Fabio Quagliarella in piena area e lo tira (un po’) giù. Antonio Damato lascia correre. Stesso turno, 22 dicembre: Palermo-Fiorentina 0-3. Massimo Donati abbraccia Luca Toni in piena area e lo tira (un po’) giù. Domenico Celi indica il dischetto: rigore. Signor Braschi, chi ha sbagliato? Per me, Damato.

Per carità, nulla di clamorosamente sovversivo o innovativo. L’uniformità di giudizio è come l’utopia, più l’avvicini e più scappa. Non bisogna, però, smettere di sognare. E di insegnare. Una volta alla settimana, in una sede geograficamente abbastanza «centrale», Braschi convoca i giornalisti e risponde alle domande. Ci sarà il giorno in cui tutto è filato liscio e, dunque, voleranno confetti. Ci sarà il giorno, viceversa, in cui molto è andato storto e, dunque, voleranno pallottole. Nonsi tratta di imboscate, e neppure di tavoli della pace. Si tratta, più terra terra, di capire imotivi che hanno portato due arbitri a valutare due casi identici in maniera opposta. Va da sé che, prima del «question time», lo chiamo così per crassa comodità, Braschi confessa e parla con la sua «squadra»: l’idea non vuole stanare e scatenare polemiche di bassa lega; al contrario, la scintilla, per come la intendo io, servirebbe ad avvicinare i diversi partiti - gli arbitri ai giornalisti, i giornalisti ai tifosi - per evitare ingorghi di regolamento, interpretazioni di comodo, dubbi alla memoria. C’era una volta l’arbitro. Poi c’è stato l’arbitro con i due guardalinee. Poi ancora, vista l’evoluzione del fuorigioco (e il relativo «stupro»), i due guardalinee con l’arbitro. Per arrivare al quartouomo con più o menopoteri e agli arbitri addizionali. Anche per questo affollamento, o soprattutto per questo, spiegare i passaggi più intricati a taccuini unificati aiuterebbe a comprendere meglio la qualità del servizio, come cambia, e perché.

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I luoghi comuni di Zeman sul «vento del nord»

di ALBERTO COSTA (CorSera 27-12-2012)

Zdenek Zeman possiede varie ed apprezzabili doti tra le quali, peraltro, non figura la duttilità. Le sue convinzioni, tattiche e personali, sono scolpite nella pietra e la pietra non è mai stata facilmente modellabile. Così, come il suo calcio spettacolare ma anche vulnerabile è immutabile nel tempo, le sue idee continuano ad essere caratterizzate da luoghi comuni che non tramontano mai. Dopo avere ridicolizzato il Milan, squadra di Milano, Lombardia, il boemo ha inserito la monetina nel juke box delle frasi fatte per ricordarci che il «vento del Nord» continua a soffiare e che il calcio si è sempre giocato tra Torino e Milano. Detto che nella muta di inseguitrici della Juve, in questo momento la squadra certamente più forte d’Italia (o Zeman ha da eccepire pure su questo?), figurano Lazio, Fiorentina, Napoli e Roma, bisogna che, per quanto il dettaglio possa procurargli l’orticaria, il tecnico giallorosso si arrenda all’evidenza di un dato: Inter, Milan e Juventus da sole rappresentano il 70 per cento del fatturato del nostro calcio e non è stato qualcuno in particolare a deciderlo. Lo ha deciso la storia, lo ha deciso il seguito popolare, lo hanno deciso i cosiddetti bacini di utenza. E più sono i soldi da investire, più aumentano le possibilità di costruire una squadra da scudetto. «Zeman deve smetterla di alimentare sospetti» gli ha mandato a dire Tommaso Ghirardi, presidente del Parma, squadra del Nord. Anche perché, a volere spaccare il capello in quattro, c’è una sola squadra che in questo campionato ha vinto senza giocare: la Roma di Zeman, 3-0 a Cagliari.

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IL MACCABI TEL AVIV INGAGGIA JORDI CRUYFF E OSCAR GARCIA, EX DEL BARÇA

C’è un Barcellona in Israele

e i palestinesi s’infuriano

Azulgrana simbolo a Gaza e Ramallah: «Ci hanno tradito»

di LUIGI GUELPA (IL SECOLO XIX 27-12-2012)

Nell’infinita diatriba tra Israele e Palestina ci mancava solo che il Barcellona alimentasse la fiamma dell’ennesima controversia tra due realtà che vivono perennemente in lotta tra loro. L’accordo tra gli azulgrana e il Maccabi Tel Aviv, il club più prestigioso della storia del calcio israeliano con i suoi diciotto scudetti e le ventidue coppe nazionali, ha persino provocato le ire del presidente palestinese Abu Mazen. Il popolo palestinese ha da tempo adottato il Barcellona come squadra del cuore, soprattutto per motivi legati al desiderio della Catalunya di diventare indipendente e abbandonare il potere centrale di Madrid. Ecco perché ora la collaborazione con il club calcistico di Israele ha le fattezze di un voltafaccia.

La partnership tra le due squadre prevede in particolar modo la nascita a Tel Aviv di una versione ebraica della Masia, il celebre settore giovanile catalano che sforna campioni a getto continuo. Il Maccabi non sta scimmiottando i catalani, ma ha addirittura ingaggiato in blocco alcuni tecnici per dare vita a una scuola calcio avveniristica. In Israele sono atterrati nelle scorse settimane Jordy Cruyff, figlio del “Papero d’Oro”, Oscar Garcia, Gerard Autet e Juan Jose Toriso, tutta gente che ha giocato con Guardiola, Xavi e Puyol e che negli ultimi anni si è occupata di svezzare gente come Messi, Busquets, Pedro e Tello. «Ci sentiamo traditi - spiega il presidente della federcalcio palestinese Jibril Rajoub - per noi il Barcellona non era soltanto una squadra di calcio, ma un importante riferimento di libertà e indipendenza». Per la Palestina è come se il club del presidente Sandro Rosell avesse sottoscritto un patto col diavolo. Non è raro imbattersi per le strade di Gaza o di Ramallah in ragazzini che indossano orgogliosi la maglia azulgrana. Non quella di ultima generazione, anche se lo scudo e la scritta “Unicef” sono ben visibili. Quando il Barcellona ha conquistato la Champions League nel 2011, parecchi palestinesi sono scesi in piazza a festeggiare. «E possono continuare a farlo - commenta stizzito il presidente del Maccabi Tel Aviv, Mitchell Goldhar, magnate canadese di origini ebraiche - in quello che abbiamo fatto non c’è alcun affronto, evidentemente i palestinesi non perdono occasione per alimentare polemiche».

Goldhar sogna un Maccabi che negli anni possa sfidare i grandi club d’Europa, come accade peraltro nella pallacanestro, e per realizzare i suoi propositi vuole costruirsi in casa i campioni del futuro. Non gli fa certo difetto il denaro. «Potrei ingaggiare anche Guardiola in persona e affidargli la direzione generale del club. Dipende solo da lui». Al di là dei proclami, più o meno attendibili, questo singolare gemellaggio sta creando problemi di sicurezza politica in Medioriente, ma anche qualche intoppo economico al Barcellona. Lo sponsor dei catalani, ovvero il fondo di investimento Qatar Fondation, è amministrato dall’emiro qatariota Hamad bin Khalifa Al Thani che finanzia tutte le attività sportive palestinesi e versa una pioggia di petrodollari al partito Hamas. Facendo affari con Israele, il Barcellona rischia di perdere uno sponsor da 30 milioni di euro a stagione (fino al 2015). I catalani non hanno ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali. Ha parlato per tutti il figlio di Cruyff spiegando da Tel Aviv che lui si occupa «solo di calcio. La politica dovrebbe rimanere fuori dallo sport. Il Barcellona con questa partnership si conferma una società che vuole rappresentare il pallone nel mondo».

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SUDAMERICA

Il calcio oltre le sbarre

del trafficante russo

Arrestato con 6 kg di cocaina e rinchiuso in un carcere

cileno, Maxim Molokoedov gioca in un club di serie B

Ex promessa delle giovanili dello Zenit, sta scontando una pena di tre anni

Notato nel campionato dei penitenziari, è stato arruolato dal Santiago Morning

Esce per gli allenamenti dalle 9 alle 15 e gioca solo in coppa. A maggio sarà libero

di FRANCESCO CAREMANI (Pubblico 27-12-2012)

Labirinti, angolazioni di esistenze deragliate, discariche di sogni frustrati, lì dove la vita può perdere di senso e aumentare di valore. Maxim Molokoedov lo sta scoprendo un centimetro alla volta, nel tragitto che dal Centro de Detencion Preventiva Santiago Sur, conosciuto come l’Ex Penitenciaria, la più grande prigione del Cile, lo porta al campo d’allenamento del Santiago Morning, club di serie B. Maxim deve scontare una pena di tre anni e un giorno per traffico di droga, sospeso tra fútbol e narcotraffico, tra quello che era e ciò che potrebbe diventare. Flashback: 20 luglio 2010, aeroporto di Santiago, Molokoedov è di passaggio, proveniente dall’Ecuador, dove aveva visto una partita del Barcelona Guayaquil, e diretto in Spagna con sei chili di cocaina nascosta in libri per bambini. Ma i poliziotti lo intercettano e grazie al cane scoprono la droga. Cambio di rotta.

A San Pietroburgo, dov’è nato, lo aspettavano le chiavi di un appartamento nuovo, invece ha trovato quelle di un carcere sovraffollato (5.400 detenuti in 2.500 posti) e pericoloso. Grazie a una nuova legge Maxim sarebbe potuto tornare in Russia, insieme ad altri 700 detenuti rimandati in Bolivia e Perù per il sovraffollamento delle prigioni cilene, ma lui ha rifiutato l’offerta tre volte, per colpa o grazie al calcio. Molokoedov ha 25 anni ed è un calciatore: cresciuto nelle giovanili dello Zenit San pietroburgo, ha giocato nella Dynamo FC e poi nell’FC Pskov, squadra cadetta, prima d’iniziare a intrattenere rapporti con la mafia russa. Lui giura che la sua carriera si è interrotta per un litigio continuo con l’allenatore, ma credergli è difficile. La cocaina, l’arresto, il carcere raccontano una verità parallela. Adesso divide la cella di sei metri quadrati con altri quattro detenuti e l’icona di San Nicola attaccata alla parete.

Non conoscendo una parola di spagnolo all’inizio vagava come un fantasma, ma quando ha cominciato a giocare a calcetto le cose sono cambiate: «Ho iniziato a fare parte di una squadra, mi hanno dato la tuta e cibo quando avevo fame». Perché all’Ex Penitenciaria mangia chi può, chi sa organizzarsi, chi è più forte e da soli è impossibile.

Il primo ad accorgersi del suo talento è stato Flavio Huenupi, insegnante di educazione fisica e allenatore della rappresentativa della prigione. Poi, durante la partita contro il Collina 2, nel campionato tra penitenziari, l’ha visto Claudio Borghi, ex ct argentino del Cile ed ex centravanti del Milan berlusconiano poco gradito da Arrigo Sacchi: n’è rimasto così colpito da scatenare l’interesse di Frank Lobos, centrocampista del Colo-Colo anni ’90, condannato nel 2006 per aver tentato di corrompere altri giocatori con 20.000 euro, la solita sporca storia del calcioscommesse.

È stato lui, insieme a Huenupi, a trovare l’accordo con Luis Faundez, vice presidente del Santiago Morning. Così tutti i giorni, dalle 9 alle 15, Maxim si allena tra i palazzi del quartiere Quilicura, a due passi dalla favela Parinacota: «All’inizio era bizzarro – racconta l’attaccante argentino David Escalante – e alcuni gli hanno chiesto del suo passato. Ci ha raccontato tutto purché quella fosse la prima e l’unica volta. È pentito di ciò che ha fatto e ne sta pagando le conseguenze». Una sorta di terapia di gruppo che finisce alle 16.30 quando le porte del carcere si chiudono dietro di lui come un tackle.

Molokoedov, con i suoi gol, ha aiutato il Santiago a qualificarsi per gli ottavi di finale della coppa nazionale, ma la speranza della società è di poterlo tesserare per il prossimo campionato, convinta che una volta fuori di prigione Maxim potrà solo migliorare, a partire dall’alimentazione. Ma il trattamento di favore che Lobos e Huenupi gli assicurano è un rischio per la sua incolumità, da eroe è diventato persona non gradita, anche se nessuno ancora ha vomitato addosso al russo la propria rabbia: «Qualcuno ci ha provato, ma ha capito subito che si sarebbe fatto male». In carcere s’impara a sopravvivere, un po’ come in campo, talento e furbizia, forza fisica e cattiveria, ben mescolate, altrimenti sei sopraffatto. Maxim in Cile è diventato famoso. Hernan Ibarra, allenatore del Santiago Morning, stravede per lui e Frank Lobos ha depositato un progetto per mettere in piedi un centro sportivo d’eccellenza all’interno della prigione per raggruppare tutti i giocatori cileni detenuti a l’Ex Penitenciaria; d’accordo con Ricardo Quintana Montoya, comandante del penitenziario: «Diranno che siamo pazzi ma tutte le idee rivoluzionarie sono inizialmente folli». La squadra che ne potrebbe nascere partirebbe dalle serie inferiori cilene.

Qualche tempo fa Molokoedov ha affrontato l’Universidad de Chile davanti a 22.000 spettatori: «Ritornare in prigione dopo aver sentito il boato del pubblico è stato orribile, sono passato dall’euforia alla disperazione». Maxim uscirà a maggio 2013, dopo aver scalato le pareti dell’inferno, fuori e dentro di sé. Allora dovrà decidere cos’è la libertà: un appartamento nuovo o dare calci a un pallone. È lì, sulla strada meno battuta, che il suo destino si compirà.

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El laboratorio y los estándares

Se trata de un servicio público que debe situarse en el

entorno de funcionamiento de una organización pública

por ALBERTO PALOMAR OLMEDA (EL PAÍS 27-12-2012)

profesor titular de Derecho Administrativo en la Universidad Carlos III de Madrid

Se acaba de conocer la suspensión temporal de la acreditación del laboratorio de control de dopaje de la Agencia Estatal Antidopaje. Desde luego no es una buena noticia para el laboratorio que ha hecho una meritoria labor desde su creación en 1969 para situarse en un marco internacionalmente creíble. Tampoco lo es para la política antidopaje española que es puesta en entredicho en muchas ocasiones y no siempre con acierto en la crítica y, desde luego, tampoco lo es para el conjunto de aspiraciones y proyectos del deporte español en los que, tan a menudo, se sobrevaloran —cuando se trata de países europeos— las políticas antidopaje.

Desde una perspectiva técnica, el problema deriva de la infravaloración que, en la práctica, el Ordenamiento del dopaje viene haciendo de la labor de los laboratorios. Así, el apartado 3.2.1. del Código Mundial Antidopaje indica que se “presume que los laboratorios acreditados por la AMA realizan análisis de muestras y aplican procedimientos de custodia que son conformes a los estándares internacionales”, y, posteriormente, el propio TAS en alguno de sus pronunciamientos ha indicado que, incluso, cuando se comprueba que no se cumplen los estándares, recae sobre el deportista la prueba de la mala práctica de un laboratorio. Explícitamente se reconoció esto en un laudo de 29 de marzo de 2012 que afirma que aunque queden probados errores durante el análisis en el laboratorio de Madrid, sigue siendo necesidad del deportista probar que esos errores influyeron en el resultado positivo del análisis.

En este esquema probatorio la labor y control de los laboratorios se vuelve esencial precisamente porque existe una fuerte tendencia a que los errores, malas prácticas y situaciones al margen de los procedimientos pueden mantenerse en la interioridad de la organización. Se produce así una disociación entre el efecto “funcionamiento correcto” del sistema y resultado o trascendencia sancionadora de lo analizado que solo puede entenderse en un sistema que huye a paso de gigantes de la lógica y de las garantías.

Situados en este plano, la posición de los agentes de control debe sustentarse en su propia responsabilidad y en su orgullo y prestigio derivado de su actuación y funcionamiento. En el presente caso el factor añadido es que se trata de un servicio público que debe situarse, además, en el entorno de funcionamiento de una organización pública.

La eficacia en el funcionamiento de lo público es una exigencia constitucional y, como consecuencia de ello, la ineficacia o el funcionamiento anormal conlleva (o puede hacerlo) responsabilidad patrimonial, responsabilidad gestora y funcionarial. El plano y el alcance de cada una de ellas es algo que no puede objetivarse a priori porque está en función de la respectiva situación. Es cierto, sin embargo, que en el plano teórico las tres vías están, o pueden estarlo, abiertas.

El hecho de que el sistema de seguimiento de la AMA permita saber el nombre del deportista afectado hace, igualmente, pensar sobre el alcance de las responsabilidades indicadas.

Sea como fuere lo que es preciso —desde hace tiempo— es reforzar el contenido institucional y administrativo de algunos de los elementos centrales de la lucha contra el dopaje. Es preciso reforzar las instituciones, dotarlas de un contenido más técnico, separar la gestión, las políticas y las actividades materiales. El sistema exige un esfuerzo de modernización y, sobre todo, de profesionalización que es algo más que retóricas declaraciones sobre nuestro compromiso en la lucha contra el dopaje.

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Uefa contests own verdict after Serbia abuse scandal

by PETER LANSLEY (THE TIMES 27-12-2012)

Michel Platini’s desire for stronger sanctions to be brought against the Serbian FA (FSS) for racist abuse at an under-21 match against England in October is set to be granted after Uefa announced yesterday that it is appealing against its own original verdict.

The Uefa president was so taken aback by the lenient punishments served on the FSS a fortnight ago for the scenes that followed the European Under-21 Championship play-off second leg in Kruzevac that he promptly suggested that the governing body reconsider its verdict.

Serbia under-21 were ordered to play one match behind closed doors and the FSS was fined £65,000 in relation to the behaviour of its supporters during the match at the Mladost Stadium on October 16, when missiles and abuse were thrown at players throughout and after the game. Two of Serbia’s coaches and four players also received varying bans, while Stephen Caulker (two games) and Thomas Ince (one), the England Under-21 players, were also given suspensions.

The FA confirmed last night that it is yet to appeal against the bans, while Uefa’s investigations are continuing.

The sanctions, imposed by Uefa’s independent control and disciplinary body on December 13, were widely criticised for being too lenient. The two countries’ associations will have until January 8 to follow Uefa’s lead and respond once they hear the new sanctions.

“Uefa, via the Uefa disciplinary inspector appointed to the case, has decided to appeal all the sanctions,” a statement on Uefa’s website read. “As per the Uefa disciplinary regulations, the Uefa disciplinary inspector has the right to open disciplinary investigations and to lodge appeals against decisions taken by the control and disciplinary body.

“Having reviewed the motivated decisions for the sanctions imposed in this specific case, which have also been provided to all parties, the Uefa disciplinary inspector felt it necessary to immediately confirm his intention to appeal on Uefa’s behalf.”

Andreja Milunovic and Predrag Katic, the Serbia coaches, were banned from all football-related activities for two years, with the final six months of that suspended for a probationary period, although Savo Milosevic, the FSS technical director, said they would never work in Serbian football again.

As for the Serbian players, Goran Causic was suspended for four games, while Ognjen Mudrinski and Filip Malbasic were given three-game bans. Nikola Ninkovic was suspended for two fixtures.

The FA reported the racist abuse to Uefa, plus a number of other incidents. When Uefa announced its sanctions, there was no mention of the racist abuse given to Danny Rose, Ince and England’s other black players. Rose, who was dismissed after the final whistle for kicking the ball away in anger, is banned for the opening game of Euro 2013 in Israel next June.

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CHE BELLO IL CALCIO PER NATALE

di ALBERTO POLVEROSI- Corsport - 27-12-2012

Anche Paulinho è brasiliano, ma ieri, a differenza dei suoi colleghi di Serie A, più famosi e meglio remunerati di lui, non era in vacanza, al sole di Rio. Paulinho ha giocato sotto la pioggia di Livorno in un una delle più belle partite dell'anno, Livorno-Sassuolo 3-2, con una rimonta strepitosa dei toscani, sotto di due gol alla fine del primo tempo. Se in B si gioca cosi (e Sassuolo e Livorno di solito giocano così), è stata un'idea giusta, oltre che un'occasione colta al volo, quella di inserire nel calendario una giornata del campionato anche nel pomeriggio di Santo Stefano. La Serie B ha bisogno di promozione e ha capito il messaggio che arriva dall'Inghilterra, dove hanno vissuto un'altra giornata di calcio spettacolare con un'altra rimonta, quadrupla in questo caso, quella del Manchester Uni-ted contro il Newcastle. Da una parte Siligardi e Berardi, dall'altra Rio Ferdinand, Van Per-sie e Santon, con sir Alex Ferguson in piedi davanti alla panchina, come in piedi sono rimasti per 90 minuti Nicola e Di Francesco.

Il 26 dicembre, finalmente, ci siamo divertiti anche in Italia. A Livorno pioveva, però la curva Nord era strapiena e ondeggiava felice e bagnata ai gol degli amaranto. Non è stato neppure l'unico stadio italiano dove i tifosi hanno trascorso con piacere il loro pomeriggio di calcio natalizio. Se in Inghilterra l'United ha sfruttato la vittoria per portare a 7 il vantaggio sul City, nella nostra Serie B il Livorno ha ridotto a 2 punti 11 distacco dalla capolista Sassuolo. Non si fermeranno qui, si giocherà il 29 (una giornata di Premier con Manchester Uni-ted-West Bromwich, in corsa per la Champions), il 30 dicembre (Everton-Chelsea, e tutta la B, con Livorno-Juve Stabia e Sassuolo-Cesena) e il 1 gennaio,sempre in Premier. La Serie A cede spazio, quando invece avrebbe bisogno di farsi un po' di buona pubblicità, e la B ne approfitta.

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Ia Svolta

GIOCARE IN ITALIA A SANTO STEFANO

LA B CERCA L'APPUNTAMENTO FISSO

di NICOLA BINDA - Gasport - 27-12-2012

L'esperimento è riuscito. La Serie B ha messo il cappello su Santo Stefano e a questo punto dovrebbe certificarlo, facendolo diventare un appuntamento fisso. Che si fa a Natale? La messa di mezzanotte, il pranzo in famiglia, la tombola e poi la Serie B. Perché no? La gente ha dimostrato di apprezzare, tenendo presente che il freddo e la pioggia rendevano più invitante il divano di casa che qualsiasi tribuna. Sui dieci campi (non si calcola Varese, dove ha vinto la nebbia) ci sono stati 18.183 paganti, più i 24.516 abbonati (impossibile sapere quanti di loro erano negli stadi). La media è stata di oltre 4mila presenze a stadio, con il picco del big match di Livorno (oltre 7mila). Un buon risultato, appena sopra la media della categoria.

Detto del pubblico — in attesa di avere riscontri televisivi, fondamentali in questo dibattito — la curiosità principale era rivolta alle squadre. Con quale spirito si va in campo dopo aver passato il Natale in ritiro o in viaggio? Da questo punto di vista è stata una giornata come le altre. Cioè, divertente. Un solo 0-0, 24 reti (più di due a partita), un insolito fattore campo predominante, sfide ribaltate e spesso decise in extremis. La serie B insomma, che stavolta aveva mille occhi addosso e non ha certo annoiato. Dovremo abituarci insomma a vivere così il Santo Stefano. Lo fanno da anni anche all'estero, certo, ma noi italiani abbiamo un senso della famiglia ben diverso e almeno in questi giorni si cerca di dedicare la massima attenzione al focolare domestico. Ma il pomeriggio del 26 dicembre è uno strappo che mogli e figli possono concedere in questi giorni di vacanza.

La B ha fatto da apripista, e sarà in campo anche domenica 30 (tranquilli, il Capodanno è salvo...) prima di una lunga sosta fino al 26 gennaio che sarà interamente dedicata al mercato. Chissà che un domani a Santo Stefano, con questo calendario, non ci sia anche la serie A. Dopotutto il padre di questa novità è Andrea Abodi, presidente uscente di questa Lega in attesa di fare il salto sul gradino superiore. Questa è l'ennesima coccarda sul suo petto e se l'è voluta gustare in diretta, sul campo, partecipando. Abodi, nonostante si sia dimesso in vista delle elezioni della Lega di A, ha mantenuto una vecchia promessa fatta al Cittadella: è partito da Roma alle 7 di mattina del giorno di Natale, è andato in treno a Padova e da qui ha raggiunto la squadra veneta, con la quale ha fatto tutta la trasferta fino ad Ascoli, in pullman e in hotel, con il presidente Gabrielli e tutto lo staff.

Questa non è campagna elettorale. Questo significa credere nelle cose che si fanno. Potrà ragionare così anche al vertice della Lega di A?

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Abete replica ad Agnelli: "Accetto le critiche, ma che siano costruttive"

Tempo di bilanci per il presidente della Figc che replica al presidente bianconero (accuse di immobilismo) parla di "anno positivo" per gli azzurri di Prandelli e l'Under21, ma si sofferma anche sulle ombre del calcioscommesse e legge sugli stadi. "Il Parlamento deve intervenire sulla frode sportiva e deve chiarire la sua posizione in merito agli impianti di proprietà"

repubblica.it - 27-12-2012

ROMA - Bilancio calcistico positivo quello del 2012 per il presidente della Figc, Giancarlo Abete, che ai microfoni di SkySport24 premia il lavoro delle nazionali azzurre. "E' stato un anno estremamente positivo. La Nazionale di Prandelli ha chiuso al secondo posto gli Europei - ricorda - ed è quarta nel ranking Fifa, quella under 21, con Ferrara e Mangia, si è qualificata alla fase finale ad otto in Israele. Anche la nazionale femminile ha raggiunto la fase finale dell'Europeo in Svezia e bene hanno fatto tutte le selezioni giovanili grazie al lavoro di Albertini, Sacchi e Viscidi".

CALCIOSCOMMESSE - Non è tutto oro, però, quello che luccica. "Le note dolenti, invece, riguardano le scommesse con i filoni di inchiesta di Cremona, Bari e Napoli che ci stanno accompagnando dal primo giugno 2011 - continua Abete -. Sono diciannove mesi che le indagini delle Procure accompagnano la vita del calcio e della giustizia sportiva. Sulla giustizia sportiva dobbiamo condividere la nostra posizione con il Coni e con altri enti. La responsabilità oggettiva è un istituto presente in tutti i codici di giustizia internazionali. Nell'area delle scommesse è indispensabile un intervento del Parlamento sulla legge legata alla frode sportiva, che risale al 1989 - dice ancora Abete -. Per quanto riguarda l'omessa denuncia, io comprendo come il mondo del calcio sia un po' parolaio, l'omessa denuncia trova difficoltà a essere riconosciuta".

LA LEGGE SUGLI STADI - Tra le note negative c'è anche una legge sugli stadi promessa e mai realizzata: "I primi mesi della nuova legislatura dovranno sciogliere il nodo di una legge che sembrava arrivasse e non è mai arrivata, creando così più danni che opportunita'. Una legge che è a costo zero per la comunità e che renderebbe più celeri le procedure, nel rispetto della tutela ambientale. Una Serie A a 18 squadre? Non può essere questo lo spartiacque per dare più competitività al nostro calcio, visto che è a 20 in nazioni come la Germania e l'Inghilterra. Non ci sarebbe una maggioranza per arrivare a ciò e comunque una diminuzione delle squadre non è nell'agenda delle societa'. E', pero', più importante la questione degli stadi rispetto al numero delle societa'".

CRISI E POLEMICHE - Abete si sofferma sui tanti giovani che hanno preso il posto dei top player in Serie A. "In Italia abbiamo tanti giovani interessanti e lo testimonia il fatto che stiamo decidendo se impiegarne alcuni nella Confederations Cup o nella fase finale dell'Europeo Under 21. Crisi o non crisi, se non ci sono talenti preparati a dare il massimo di sè, non avviene una crescita in termini di qualità. La crisi ha influito nelle scelte delle società e nella loro voglia di puntare sui giovani - ha aggiunto Abete -. Va detto che continua in Serie A il trend dei giocatori non selezionabili per le squadre nazionali. Il numero uno federale ha poi risposto alle critiche di Agnelli in merito all'immobilismo della Figc. "Il presidente della Juve esprime dei giudizi e io ho il dovere di rispettarli. Quando si hanno responsabilità di sintesi bisogna tener conto delle posizioni che emergono. Quando si parla di associazioni il discorso diventa complesso, noi non ci inventiamo il quadro normativo. Ci sono tutte le componenti in ballo e penso che il presidente Agnelli debba avere capacità di sintesi nel governo del calcio. Non solo attualmente non esiste la governance che era stata ventilata a luglio e non mi riferisco al presidente - ha concluso

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ora, quasi 7 anni dopo, il campionato almeno per noi è più godibile: non saprei se è così anche per i tanti "anti-juve".... .asd

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Sport e tasse

IL LATO FISCALE DEL CALCIOMERCATO

Il nucleo della vicenda Nel mirino le permute di calciatori tra club che portano attività giocabili subito in bilancio

Il trattamento delle spese Chi acquista l'atleta può ammortizzare il costo nei cinque anni successivi

«Applicate l'Irap sulle

plusvalenze del calcio»

Un parere del Consiglio di Stato dà ragione alle Entrate sull'attribuzione estesa dell'imposta

LA TESI DELLE SQUADRE Per la controparte il trasferimento rappresenta

un'estinzione del contratto originario e la costituzione di un nuovo rapporto

di MARCO MOBILI (Il Sole 24ORE 28-12-2012)

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Una mina Irap da centinaia di milioni di euro sul mondo del calcio. Nell'annosa querelle sulla tassazione o meno dell'Imposta regionale sulle attività produttive delle plusvalenze sulle cessioni di calciatori, l'agenzia delle Entrate segna un goal che potrebbe valere anche una stagione. L'assist, pennellato alla Totti, lo fornisce al fisco il Consiglio di Stato che, con il parere n. 5285 dell'11 dicembre, chiarisce che «le eventuali plusvalenze realizzate in occasione della cessione dei contratti di prestazioni sportive dei calciatori siano da prendere in considerazione in sede di determinazione della base imponibile Irap».

Non inganni il fatto che dal 2008 la tassazione Irap deriva dal bilancio e dunque non desta più preoccupazioni né dubbi interpretativi per le società sportive, perché le plusvalenze, quelle che contano e che pesano sui bilanci, sono state realizzate negli anni precedenti. Ed è proprio su queste poste che il fisco ha messo gli occhi già dal 2001.

È noto, infatti, che il calcio italiano all'inizio del nuovo secolo ha fondato il suo equilibrio patrimoniale proprio sulle plusvalenze realizzate con la cessione, non solo di top player ma soprattutto di una miriade di calciatori "in erba" e spesso sconosciuti alle cronache. Si trattava di operazioni spesso permutative, quindi senza scambio di denaro ma con trasferimenti incrociati di calciatori. Che se da una parte davano un saldo finanziario pari a zero, dall'altra consentivano alle società una significativa plusvalenza nel bilancio (chi vendeva realizzava la plusvalenza immediatamente chi comprava splamava il costo in cinque anni come prevedono i regolamenti sulla durata del contratto dei calciatori). Un meccanismo così anomalo che non poche società di calcio si sono ritrovate con valori dell'attivo (dei calciatori) assolutamente esorbitanti. Non solo. Per salvare il giocattolo del calcio, lo stesso meccanismo ha spinto il legislatore ad "inventare" il principio ad hoc dello spalma-debiti per consentire la diluizione nel tempo degli effetti sui bilanci di queste plusvalenze.

Il fisco, come detto, è su queste diverse centinaia di milioni che ha focalizzato la sua attenzione prima avviando un'azione di accertamento mirata e poi perorando la propria pretesa impositiva nei diversi gradi di giudizio.

Il parere del Consiglio di Stato, peraltro atto non comune ma che dà l'idea dell'importanza della partita, arriva neanche a farlo apposta (ma forse sì), proprio mentre squadre di serie A, come il Cagliari o la Lazio, hanno vinto la loro partita con il fisco in Commissione regionale e l'agenzia delle Entrate ha chiesto di giocare i supplementari in Cassazione.

La mina Irap del Consiglio di Stato, dunque, finirà per produrre i suoi effetti proprio sulla miriade di contenziosi accesi in tutta Italia. Da una parte ci sono le società di calcio secondo cui le somme incassate dalla cessione di contratti di prestazione sportiva vanno considerate esenti dall'Irap. Dall'altra c'è l'amministrazione, per la quale il tributo regionale è sempre dovuto.

Le tesi contrapposte secondo i giudici amministrativi sono due: il trasferimento dell'atleta va inquadrato nell'ambito della figura tipica della cessione del contratto; viceversa il trasferimento rappresenta un'estinzione del contratto originario con contestuale costituzione di un nuovo rapporto.

Il Consiglio di Stato condivide la prima posizione (si veda in dettaglio l'articolo in basso), secondo cui, con la cessione del contratto, viene di fatto ceduto il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta verso corrispettivo: «Diritto integrante bene immateriale strumentale – si legge nel parere – all'esercizio dell'impresa, sia sul piano tributario, poiché ammortizzabile, sia su quello civilistico, in quanto necessario per il conseguimento dell'oggetto sociale».

Oggetto del contratto tra società sportiva e atleta è il diritto alla prestazione sportiva esclusiva. Con la cessione del contratto la società cessionaria acquista, quindi col consenso dell'atleta, il diritto oggetto del contratto e succede in tutti gli obblighi e i diritti connessi.

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Tavolo Fisco-Figc-Lega

Ammortamenti e compensi agli agenti gli altri nodi

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24ORE 28-12-2012)

In tempi di ristrettezze economiche, l'amministrazione finanziaria bussa con sempre maggiore insistenza alle porte del calcio tricolore che, ogni stagione, già versa circa 800 milioni all'Erario (530 per le ritenute sul costo del lavoro, 220 a titolo di Iva e circa 50 per l'Irap). Ma, passata l'epoca dei decreti "spalma-debiti", le contestazioni dell'agenzia delle Entrate e della GdF si sono moltiplicate. Al punto che lo scorso gennaio è stato costituito un tavolo di confronto fra le Entrate, la Lega di Serie A e la Figc. Su alcune questioni si è trovato quasi subito un accordo, altre sono state “stralciate”, su altre si sta ancora ragionando con la prospettiva di arrivare presto a soluzioni concordate.

Tra i fascicoli più scottanti su cui società e Fisco si sono divisi c'è appunto quello delle plusvalenze da calciomercato su cui si è appena pronunciato il Consiglio di Stato “suggerendo” l'applicabilità dell'Irap. Le società si sentono doppiamente tassate in quanto sul principale asset di cui dispongono, gli atleti, non possono dedurre l'Irap relativa agli ingaggi, e devono versare l'imposta se conseguono una plusvalenza in caso di cessione. Per Ezio Simonelli, commercialista, attuale presidente del collegio revisori della Lega di serie A e candidato alle prossime elezioni della Confindustria del calcio, che ha seguito i lavori del tavolo fiscale, sarebbe invece necessario che, seguendo l'esempio dell'Inghilterra, le plusvalenze da calciomercato, se reinvestite, siano detassate (limitando l'ammortamento al netto di quanto reinvestito). «È questa una delle richieste che faremo al nuovo Governo. Del resto, una misura di questo tipo, già prevista dal Dpr 597/73, se applicata a tutte le aziende e coordinata con un intervento sul costo del lavoro, oggi potrebbe rivelarsi più che mai efficace per lo sviluppo».

Un'intesa è stata già trovata, invece, sulla tassazione dei "diritti di compartecipazione". Sempre nell'ambito del calciomercato non di rado il club che cede un giocatore di prospettiva ottiene il diritto a percepire una percentuale dell'eventuale maggior "valore" raggiunto da quest'ultimo dopo un anno o due. Su queste somme, come indicato anche dalla Figc, non venivano pagate Iva e Irap. Ora l'Agenzia ha riconosciuto che trattandosi di “derivati”, di operazioni di natura finanziaria, le compartecipazioni non sono soggette al pagamento dell'Iva. Sono tuttavia rilevanti ai fini Irap, per cui chi realizza un guadagno deve liquidare l'imposta e la controparte che realizza una minusvalenza può detrarla.

Altre vertenze che a breve potrebbero essere chiuse al tavolo Fisco-Lega-Figc riguardano gli ammortamenti (che i club potranno fare in quote non costanti in funzione degli anni del contratto purché adottino criteri omogenei per tutto il parco giocatori) e i compensi dei procuratori a libro paga dei club.

Modificando in via interpretativa il regolamento agenti, si potrà permettere anche in Italia, come avviene nel resto d'Europa, la “doppia rappresentanza”, vale a dire la possibilità che il procuratore curi contemporaneamente gli interessi dell'atleta e della società che lo acquista. In questo modo sarà più semplice riconoscere l'”inerenza” del costo sostenuto dal club (che potrà dedurlo) ed evitare che venga riqualificato dal Fisco come un “benefit” occulto del calciatore.

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A sostegno delle Entrate. Le toghe

Per Palazzo Spada è cessione di contratto

PLATEA ESTESA La questione interessa molte squadre di

calcio relativamente ad annualità che vanno dal 1999 al 2007

TRANSAZIONI UNITARIE Le amministrazioni non accettano la tesi

dei club secondo cui lo schema negoziale va scomposto in vari momenti

di GIAN MARCO COMMITTERI (Il Sole 24ORE 28-12-2012)

La partita dell'Irap sulle plusvalenze derivanti dalla cessione dei calciatori volge al termine, ma il risultato finale resta in bilico. A distanza di 11 anni dalla risoluzione n. 213/E del 19 dicembre 2001 con cui l'agenzia delle Entrate aveva sancito l'imponibilità delle plusvalenze ai fini del tributo regionale, ecco il parere del Consiglio di Stato (n. 5285 dell'11 dicembre 2012) a confermare la bontà delle tesi dell'amministrazione finanziaria.

Si tratta di posizione "pesante" che certamente consentirà al Fisco di affrontare con maggior vigore i numerosi contenziosi aperti con le società calcistiche anche se, ovviamente, l'ultima parola spetta alla Corte di cassazione che presto sarà chiamata a pronunciarsi.

La soluzione della questione (che interessa molte squadre di calcio per annualità dal 1999 al 2007) si fonda sulla natura del "bene" che viene trasferito: se si tratta di un bene immateriale strumentale non potrà che generare plusvalenze (o minusvalenze) soggette ad Irap. Il tema si pone giacché a seguito della sentenza Bosman (i cui effetti sono stati recepiti nell'ordinamento nazionale con la legge 586/96) non esiste più un diritto autonomo ed economicamente valutabile ("indennità di formazione e promozione" o "parametro") distinto dal rapporto di lavoro dipendente che lega il calciatore al club.

Le prestazioni sportive dell'atleta sono utilizzabili solo ed esclusivamente sulla base del contratto di lavoro che viene sottoscritto tra la società e il calciatore. Ne consegue, quindi, che pur essendo pacifico che solo grazie al preventivo accordo tra le due società, cedente e cessionaria, la seconda può dar vita a un nuovo rapporto di lavoro subordinato con il calciatore, l'acquisto del "diritto" in questione rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per arrivare ad ottenere le prestazioni del giocatore. Vi sarebbe cioè una scomposizione dello schema negoziale: accordo tra le società e il calciatore per il trasferimento, risoluzione anticipata del contratto in essere con la società cedente, stipulazione del nuovo contratto tra calciatore e società cessionaria (i cui contenuti potrebbero essere anche ignoti al club cedente).

Il diritto che viene trasferito tra le due società, in sostanza, è il solo diritto a contrarre con il calciatore in virtù della risoluzione anticipata del rapporto con la società cedente, la quale acconsente in cambio del corrispettivo pattuito. Questa è la struttura negoziale addotta dai club calcistici a sostegno della irrilevanza delle somme incassate ai fini Irap: non si tratta della cessione di un bene immateriale strumentale con un'autonoma funzione produttiva (la quale è garantita solo ed esclusivamente dalla sottoscrizione, successiva, del contratto tra società cessionaria e calciatore) né di una mera cessione del contratto ex articolo 1406 del Cc.

La tesi del Fisco, ovviamente, è diametralmente opposta e si fonda sulla riconducibilità dello schema a quello della cessione del contratto a nulla rilevando il fatto che nelle operazioni vengano molto spesso modificati elementi fondamentali dell'accordo originario tra società cedente e calciatore (in primis la durata ed il corrispettivo).

Il parere del Consiglio di Stato sposa proprio questa tesi affermando che la possibile diversa regolamentazione del rapporto tra la nuova società e l'atleta non è di per sé sufficiente a influire sulla qualificazione giuridica della fattispecie, precludendone la riconducibilità allo schema della cessione del contratto. Ancor più forte risulta l'affondo finale in cui viene detto, senza mezzi termini, che il frazionamento di un'operazione economica sostanzialmente unitaria deve essere «funzionale al soddisfacimento di interessi meritevoli di tutela», evenienza questa che non viene riscontrata nel caso prospettato non potendosi ritenere tale «quello fiscale consistente nel risparmio d'imposta».

Ecco, quindi, che anche su questo tema fa la sua comparsa il concetto di "abuso del diritto", ormai una sorta di passepartout per l'Agenzia delle entrate.

Modificato da Ghost Dog

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Calcioscomesse L’ex ct della Nazionale: assurdo squalificare il giocatore che ha rifiutato delle proposte

Lippi: club colpito ingiustamente

Napoli in appello a gennaio. Abete: sulla frode sportiva intervenga il Parlamento

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 28-12-2012)

Attacco a Matteo Gianello. Il processo di appello al calcioscommesse diventerà come una sorta di ring: in un angolo la Procura Federale, forte della condanna a 2 punti di penalizzazione al Napoli e nell’altro il club azzurro, società-simbolo dell’ingiustizia nell’applicazione rigida della responsabilità oggettiva, e la sua squadra di legali, con il neo acquisto Virgilio D’Antonio, docente universitario di diritto privato comparato a Fisciano: negli ambienti sportivi ha difeso finora solo la Salernitana nel 2010 e da qualche giorno in prima linea vicino a Grassani.

Peccato che il Napoli non possa schierare come legale anche l’ex ct campione del mondo, Marcello Lippi che ieri ha preso le difese del club azzurro: «La legge sull’omessa denuncia è assolutamente da rivedere: è assurdo che un giocatore che non ha commesso nulla e, anzi, ha addirittura rifiutato proposte, sia squalificato. È ingiusta la penalizzazione del Napoli».

L’arbitro del duello sarà la Corte di Giustizia Federale, la data ancora da fissare ma di sicuro il 16 o il 17 di gennaio. Il Napoli deve ribaltare la sentenza di primo grado, deve cercare di far comprendere l’abnormità del peso che si è abbattuto nella stagione in corso sul club per una storia che non sta in piedi e che risale a ben due anni e mezzo fa. La teoria del Napoli «parte lesa» non ha convinto, però, i cinque giudici della Disciplinare. Il protagonista della partita, dunque, è e sarà Gianello. Determinante la difesa affidata a Eduardo Chiacchio che punta a dimostrare come quella dell’ex portiere non è stato un tentativo d’illecito ma «un semplice atto di slealtà sportiva». La credibilità di Gianello sarà invece obiettivo dell’impianto difensivo anche di Grava e Cannavaro (condannati a sei mesi di squalifica), difesi dallo studio dell’avvocato Ruggiero Malagnini. «Una credibilità a fasi alterne, insostenibile e che noi smonteremo», sostiene Malagnini.

Il Napoli tenterà di ribaltare il verdetto emesso dalla Disciplinare, ma l’obiettivo di De Laurentiis non è la riduzione della penalizzazione, già proposta nel patteggiamento a cui il Napoli ha detto di no: il patron azzurro vuole essere completamente assolto.

E sul tema della responsabilità oggettiva torna a parlare il presidente federale, Giancarlo Abete: «La responsabilità oggettiva è un istituto presente in tutti i codici di giustizia internazionali. Nell’area delle scommesse è indispensabile un intervento del Parlamento sulla legge legata alla frode sportiva, che risale al 1989».

___

Cannavaro e Napoli, punizioni assurde

di MARIO SCONCERTI (Lo sconcerto quotidiano 27-12-2012)

Vorrei tentare un’ultima riflessione sul caso Napoli e in generale sulla responsabilità oggettiva. E’ giusto che di questa antichissima pena qualcosa rimanga perchè altrimenti i giocatori navigherebbero senza paracadute in un mondo in cui hanno dimostrato di saper compiere danni molto seri. Che continuino a sorvegliare e ad assumersi responsabilità anche le società. Ma qui, a Napoli, non è successo niente. Un terzo portiere ha detto a due giocatori che forse si poteva addobbare una partita. Quelli non lo hanno nemmeno ascoltato, lo hanno mandato ufficialmente al diavolo, la partita si è giocata regolarmente. Ora i due sono squalificati per l’omessa denunica di qualcosa che non è accaduto. E la società penalizzata. Si può pagare per qualcosa che non c’è mai stato?

So che non è il primo caso, che è almeno il duecentesimo, ma siamo ormai al limite della praticabilità e dell’assurdo. L’ingiustizia che viene portata è molto più grande della giustizia che ristabilisce. Spero che la nuova federazione, a metà gennaio il voto, ricominci da qui.

___

Oggettivamente

di ROBERTO BECCANTINI (Beck is back 28-12-2012)

Non è un argomento festaiolo, ma se ne parla anche sotto l’albero. La responsabilità oggettiva. Il Napoli, coinvolto in Scommessopoli, l’ha presa a calci, invocando la separazione dei «mali». E’ un tema ricorrente, implacabile. C’è quella «diretta», quella semplicemente «oggettiva» e quella «presunta»: mille sfumature di grigio. L’ha citata anche Andrea Agnelli, nella sua agenda.

Parliamone. Discutiamola. Guai, però, a polverizzarne l’ossatura. Non sarebbe un nuovo inizio. Sarebbe un’altra fine. Dal 1980 a oggi, nonostante la responsabilità oggettiva, e sottolineo: nonostante, il calcio italiano ha conosciuto lo scandalo del toto-nero, passaportopoli, doping farmaceutico e doping amministrativo, premiopoli, calciopoli e, appunto, scommessopoli. Provate a immaginare uno sport che vi rinunziasse: uno sport in cui eventuali combine – o tentatitivi di – venissero scaricate esclusivamente sui tesserati e non più sui club. Povero sport.

Un buon avvocato vale ormai quanto un buon centravanti. Ci sono casi limite che hanno messo in crisi anche il sottoscritto, dalla celeberrima monetina di Alemao al feroce tavolino di Cagliari-Roma: giusto punire il Cagliari, sbagliato premiare la Roma.

Se ogni partita fa storia a sé, figuriamoci ogni disputa, ogni controversia, ogni deferimento. Vale, per la responsabilità oggettiva, l’aforisma di Winston Churchill sulla democrazia: il peggiore dei sistemi politici, tranne tutti gli altri. Si cambi, al limite, il percorso della giustizia sportiva. Lo si renda meno frenetico, si sterilizzi l’omessa denuncia, si dia più spazio alle difese, soprattutto adesso che la figura del pentito ha coinvolto – e, in alcune circostanze, stravolto – un iter forzatamente «abbreviato». Ma la responsabilità oggettiva, no: è l’ultima stampella.

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EL ACENTO

Abrumador fútbol español

EL PAÍS 28-12-2012

El fútbol español lleva cuatro años prodigiosos, impulsado por el viento a favor de dos Eurocopas y un Campeonato del Mundo más el reconocimiento prácticamente universal de las virtudes estéticas que lo adornan. Hay tanto almíbar en torno a los futbolistas españoles que resulta difícil calcular cuándo se llegará al cénit de la excelencia y cuándo empezará el inevitable descenso.

El diario británico The Guardian acaba de publicar la lista de los 100 mejores futbolistas del mundo en opinión de sus expertos. Entre los 10 primeros hay cinco que juegan en la Liga española (Messi, Cristiano Ronaldo, Xavi, Iniesta y Falcao). De la relación centenaria, 16 juegan en la selección española. El nuestro es también el país que más estrellas aporta al ranking, por delante de Brasil (vieja aspiración española), con 12. No es fácil conseguir una superioridad tan abrumadora. La lista refleja, indirecta pero inequívocamente, dónde se juega el mejor fútbol del planeta.

Buena parte de esta conjura admirativa universal se debe al crédito personal del seleccionador Del Bosque y al trabajo de entrenadores como Guardiola, tocados ambos por una aureola de sublime deportividad. La comparación con la Premier del borrascoso sir Alex Ferguson, donde también corren gran cantidad de estrellas en el césped, puede servir para explicar las diferencias. Abunda el dinero en la Liga inglesa, pero lleva tiempo sin producir jugadores de tanta calidad. Véase al respecto la decadencia de la selección inglesa. Mientras tanto, el deportivo francés L’Equipe ha formado el equipo ideal europeo de 2012 con nada menos que ocho jugadores de la Liga española, de los cuales seis son españoles. Aparecen Casillas, Ramos, Jordi Alba, Xabi Alonso, Xavi Hernández, Iniesta y los inevitables Messi y Cristiano.

Pero cuidado, porque en las galaxias y los cuentos de hadas también hay burbujas pérfidas, como la inmobiliaria. La Unión Europea ha pedido al Gobierno español información detallada sobre el régimen fiscal de los clubes españoles y cesión de estadios municipales a equipos profesionales. Sospechan que la tributación aquí puede ser discriminatoria. ¿Será envidia o buena información?

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La solución estaba en la cerveza

Para el CSD, la publicidad de alcohol de menos de 20º “beneficiará a todo el deporte”

por CARLOS ARRIBAS (EL PAÍS 28-12-2012)

El pasado mes de abril, el presidente del Consejo Superior de Deportes (CSD), Miguel Cardenal, y Juan Gervás, su homólogo en Cerveceros de España, la patronal de los elaboradores de cerveza, firmaron un convenio por el que el gremio cervecero, según la nota de prensa del CSD, se comprometía a “apoyar a los clubes deportivos y escuelas deportivas, tanto de élite como de base, patrocinar disciplinas minoritarias y promocionar hábitos de vida saludables”.

Ayer, ocho meses después de aquel acuerdo, entró en vigor la Fútbol Profesional ya ha comunicado a los clubes que la próxima jornada pueden lucir esta publicidad en sus estadios.

“Es una noticia buena para la cerveza, pero, sobre todo, es buena para todo el deporte”, señala Cardenal. “La medida, además, nos iguala con el resto de Europa, pues en la mayoría de países de nuestro entorno se puede ver publicidad de alcohol en los estadios”. Una de las grandes competiciones deportivas europeas, la Champions, cuenta, entre otros, con el patrocinio de Heineken, cuya publicidad se puede ver en el interior de todos los estadios, salvo los estonios, los franceses y, hasta ayer, los españoles. En cambio, hasta ahora estaba permitida su publicidad en anuncios televisivos.

Para Cardenal, la posibilidad de recaudar más ingresos de uno de los sectores con más interés de inversión publicitaria en estos momentos de crisis y de recortes de subvenciones no solo beneficiará a los grandes deportes, como el fútbol o el baloncesto, con gran alcance mediático. “Los cerveceros se han comprometido a apoyar los deportes minoritarios, y eso lo podremos apreciar, por ejemplo, en el próximo Mundial de balonmano, que se disputará en España a partir del 11 de enero”, señala Cardenal. “Y ya hay firmas apoyando con fuerza el deporte base”.

La noticia es también buena, evidentemente, para el sector cervecero, que recuerda en sus comunicados que su “apoyo a través de la publicidad y el patrocinio es fundamental para la celebración de eventos deportivos internacionales que atraen a miles de turistas” y que precisan que el turismo extranjero representa el 35% de consumo de cerveza en España.

Sin embargo, la noticia es “aberrante” para la organización de consumidores Facua, que denuncia que la medida va en la línea de las políticas del Gobierno con relación a la salud, “cuya premisa está siendo favorecer intereses empresariales sea cual sea el daño que cause a los ciudadanos”. “Para garantizar más beneficios a las empresas, se reducen las exigencias establecidas en la normativa que protege los intereses de los consumidores”, añade en su comunicado Facua.

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CELLINEIDE

La tragicommedia di Cagliari

senza stadio, patron e stipendi

Il dg Marroccu annuncia cessioni per pagare gli ingaggi, fermi da 2 mesi

Arrivò 20 anni fa e centrò l’Uefa, ora rischia la serie B e l’Italia ride delle sue follie

di BORIS SOLLAZZO (Pubblico 28-12-2012)

Un fulmine a ciel sereno. Così è stata commentata da tutti i media la conferenza stampa di ieri del direttore generale del Cagliari Francesco Marroccu. «Il Cagliari ha bisogno di aiuto ». E tanto, sembra. «Il Cagliari aveva investito più di 10 milioni di euro per lo stadio di Elmas: tutto bloccato; altri 8 milioni a Quartu e non abbiamo ancora un resoconto finale; poi c’è il pignoramento degli introiti Sky operato dal Comune di Cagliari per i presunti debiti datati anni ‘70 e ‘80 che il presidente Cellino aveva iniziato a estinguere e infine il fatto che la Regione non abbia ancora onorato i suoi impegni di sponsorizzazione degli ultimi due anni (per, sembra, sei milioni di euro, ndr). Il risultato è che la società adesso si trova in difficoltà e si sente abbandonata da tutti. Per la prima volta ha problemi a pagare gli stipendi».

Un pianto greco, anzi sardo, che nella miglior tradizione celliniana si rivolge contro tutti i nemici possibili ma non contro il maggiore responsabile: il patron. Il Cellino desaparecido che vive a Miami, ogni tanto esonera per interposta persona e altre volte compra giocatori improbabili (pensate al pur volenteroso Larrivey, oggetto misterioso per anni, uno che ha fatto sembrare Vargas da Pallone d’Oro), è un proprietario che da tempo non ci mette la faccia, la tasca e l’ingegno per salvare il suo Cagliari. Che, anzi, contribuisce ad affossare. Fin da questo gennaio a sentire il suo dg. «La tentazione di rinunciare a uno dei giocatori più richiesti c’è. Dobbiamo considerare che il presidente (ma non si era dimesso? Ah no, il cda aveva respinto le sue dimissioni farsa dopo il caso Cagliari- Roma, ndr) quest’estate non ha esitato a stracciare un contratto di 15 milioni di euro già firmato con un club russo per la cessione di Astori e ha persuaso Nainggolan a proseguire insieme l’avventura in rossoblù. Non sarà facile trattenere i big».

Pessimo modo per entrare nel ventennale della sua presidenza rossoblu (arrivò il 10 giugno 1992), pessimo modo per affrontare un mercato in cui dovrebbe assicurare giocatori a Pulga e Lopez che, nonostante la prima messe di vittorie consecutive, non fa più miracoli e sfiora pericolosamente la zona retrocessione. Si parlava di Libor Kozak in prestito ma, si sa, Lotito è un altro che i suoi giocatori non li regala. Anzi. E ora, pare il patron sardo sia costretto a vendere per pagare gli stipendi. Ma l’impressione è che sia solo l’ennesima scena di un mediocre commediante, un modo per far pressione su quella politica e sulle istituzioni da cui pretende servilismo, sovvenzioni e la possibilità di non rispettare le regole. Il buonMassimo è uno che ha da sempre le uscite di una maschera comica dall ’umorismo gretto e che nell’ultimo anno ha deciso di aggiungere alle sue intemperanze (si pensi agli insulti ai napoletani ogni volta che li «ospita») un florilegio di follie degne della miglior tragicommedia. Si pensi all’imbarazzante gestione dell’affare Is Arenas, prima stadio fantasma, poi a porte chiuse, infine a mezzo o parziale servizio e poi di nuovo fantasma. Tanto che Marroccu stesso, sul Cagliari-Juventus giocato a Parma, ha sfoderato un commento niente male. «Siamo stati ospiti a casa nostra, nella partita più importante a livello tecnico ed economico». L’uomo che si occupa di grano, frumento e alimentari derivati, è piuttosto bravo anche con la grana, degli altri: cede poco e benissimo. Da Matri alla Juventus, per più di 20 milioni di euro, a Marchetti che gli è valso comunque un assegno da 5 milioni di euro nonostante l’avesse emarginato dalla prima squadra per mesi per un’intervista innocente e per gli imperscrutabili sentieri che percorre quella mente che molti definiscono vulcanica e altri schizofrenica.

L’uomo ha fiuto per gli allenatori (vedi Allegri) e anche una certa fortuna: quando arrivò in Sardegna vendette il gioiello Daniel Fonseca al Napoli - che da solo valevadue terzidi tutta la società, che aveva appena comprato per 30 miliardi di lire- e con gli acquisti di Pusceddu e Oliveira centrò l’Uefa.

Ma ora le scarpe grosse e il cervello fino non bastano più: Cellino assomiglia sempre di più a un clown triste, intabarrato in quei giacconi dai colletti pelosi, intrappolato nelle sue esternazioni imbarazzanti, nei ricorsi che non gli fanno accettare la sacrosanta sconfitta a tavolino contro la Roma, causata da una delle tante prove di forza con la prefettura su uno stadio che è ormai la barzelletta d’Italia. Anche a causa di Lega e Federazione che, forse per il suo storico ruolo nella prima, hanno chiuso un occhio su una struttura inadeguata alla seria A. Fa male, però, chi si stupisce di quest’ennesima sceneggiata: parliamo di uno che nel 2003 annunciò di avere «un documento storico» che avrebbe portato alla morte o alla rinascita del calcio, tanto era dirompente. Ovviamente non l’ha mai tirato fuori. E anche quell’assegno da circa 70 milioni di euro per il West Ham, due anni fa, non era affatto male. Ve lo immaginate Cellino a sbraitare in Premier League? Imperdibile.

E invece è rimasto in Italia, mandando avanti uno dei suoi per giustificare la prossima cessione illustre. Mossa necessaria, dal momento che i tifosi, ultimamente, gli sono decisamente ostili. Eppure lui li ha sempre blanditi: a volte, come nel caso di Marchetti, si dice abbiano anche dettato le linee del calciomercato. Altre, a sentire ex come Grassadonia (querelato dal Cagliari anche per le accuse di doping, o meglio di elusione dell ’antidoping), sarebbero stati il braccio armato della società contro i giocatori. Tra informazioni vere, presunte, false e magari inventate, la storia di una squadra gloriosa, in cui Scopigno e Riva fecero miracoli, si sta sgretolando nelle mani di un capocomico che non fa più ridere.

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CELLINO

«Ci massacrano

le casse sono vuote

Ma io non mollo»

«Non ho intenzione di vendere però non potrei oppormi

se qualche giocatore chiedesse di essere ceduto»

Is Arenas non ha bisogno di riaprire, è già aperto e vogliamo completare i lavori

Giocare contro la Juve a Parma è stato uno scherzo che ci è costato 800 mila euro

Non ci sono più soldi dopo tutti quelli buttati via per lo stadio

Sono stanco ma non lascio. E poi non c’è nessuno che vuole comprare il Cagliari

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 29-12-2012)

«Ci stanno massacrando». Massimo Cellino è un presidente più avvilito che arrabbiato. Aveva immaginato una stagione diversa per il suo Cagliari: lo stadio nuovo, di proprietà, un entusiasmo rinnovato. Aveva condotto il mercato estivo nel segno del consolidamento del patrimonio tecnico: nessuna cessione e alcuni acquisti di qualità. Ma era soprattutto lo stadio che doveva fare la differenza. Fino ad ora l’ha fatta, ma in negativo perché su Is Arenas (e non solo) Cellino ci ha messo l’entusiasmo (la voglia di tirar su un impianto bello e moderno in un paio di mesi) e i quattrini. Ma poi sono arrivati i problemi. L’ultimo di questi problemi, l’imprevista trasferta a Parma per “ospitare” la Juventus ha fatto da detonatore. Aspetta un segno, adesso, qualcosa che gli faccia capire che il Cagliari non è solo.

Presidente, le parole del suo direttore generale, Francesco Marroccu, hanno fatto scattare l’allarme. Cosa accade nel Cagliari? La situazione finanziaria è veramente così tragica?

«Guardi, ci stanno veramente massacrando. vorrei fuggire, scomparire da qualche parte, sarebbe l’unica maniera per trovare un minimo di serenità».

La prossima partita lo stadio riaprirà?

«Is Arenas non ha bisogno di riaprire, è già aperto. Il fatto è che ci sono dei lavori da completare, in particolare una centrale elettrica da collegare. Trentamila euro fermi perché il sindaco non ci dà l’autorizzazione per montarla. Ma senza di quella non ci autorizzano l’apertura dello stadio per tutto l’anno e il sindaco di Quartu di volta in volta deve intervenire con la sua firma per sanare la situazione. L’ultima volta quella firma l’ha fatta cadere dall’alto perché aveva intrapreso un braccio di ferro con il Prefetto. La Lega aveva già disposto il trasferimento della partita a Parma e la Juventus per un paio d’ore non ha accettato che si riaprissero i cancelli di Is Arenas».

E lei a quel punto è esploso.

«Quello scherzo, tra una cosa e l’altra, tra biglietti piazzati in prevendita che abbiamo dovuto rimborsare, incasso mancato, spese di trasferimento alla fine ci è costato ottocentomila euro. Non sono noccioline per una società come la nostra».

Conferma le difficoltà economiche denunciate dal suo direttore generale?

«Certo che le confermo. Guardi le dico con grande chiarezza: in cassa non abbiamo quattrini. E d’altro canto, sullo stadio ho buttato via una quantità enorme di soldi. Prima ho cercato di farlo a Elmas e tra una cosa e l’altra, tra l’acquisto del terreno e i soldi anticipati all’azienda che avrebbe dovuto fare i lavori, ci ho rimesso sei milioni e mezzo. Poi ho dirottato le mie energie su Is Arenas: sino ad ora ho speso otto milioni e mezzo per andare, poi, a giocare contro la Juventus a Parma. Ripeto, non abbiamo disponibilità di cassa».

Si dice che siete pronti a vendere i giocatori migliori.

«Quando una azienda mette in vendita i propri impianti, allora vuol dire che è sta fallendo. Noi non siamo a questo punto perciò i nostri “impianti”, cioè i calciatori, non li vendiamo. D’altro canto, abbiamo una “rosa” estremamente ristretta e se vendessimo qualcuno avremmo difficoltà a mandare in campo la squadra. Però la situazione è delicata...»

Cosa intende dire?

«Che sino ad ora nessuno dei miei giocatori mi ha chiesto di essere ceduto. Ma è evidente che con queste prospettive le sirene cominciano a cantare e possono sollecitare la sensibilità di qualche ragazzo».

Si parla di Astori, Nainggolan che potrebbero partire a gennaio.

«Guardi, io in estate ho fatto una scelta: non ho venduto nessuno e ho speso 16,5 milioni per rafforzare la squadra con la conseguenza che la classifica al momento non premia questo mio sforzo. Ho letteralmente strappato un assegno di quindici milioni per Astori; per Nainggolan mi hanno offerto quattordici milioni e questo significa che sarei potuto arrivare a sedici, diciassette».

Si racconta di un Cellino intenzionato a mollare, a farsi da parte.

«E’ evidente che il Cellino di qualche tempo fa che andava a letto arrabbiato e poi si svegliava e ricominciava a lottare è un po’ svanito. Sicuramente sono stanco. Ma non mollo. E poi per mollare ci vuole un acquirente e gente intenzionata ad acquistare il Cagliari non mi sembra che ve ne sia. No, non mi metto a dire queste sciocchezze che spesso qualche mio collega dice sul tipo: basta, vado via. No, io resto qui».

In attesa di qualche segnale da parte delle istituzioni?

«Non lo dico io, lo avete scritto voi ieri mattina e condivido pienamente quel che avete scritto».

E dai calciatori che si aspetta?

«Che si rimbocchino le maniche come normalmente si fa nei momenti difficili».

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LA NUOVA SARDEGNA 29-12-2012

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Per il club calcistico parigino intesa di 4 anni e restyling del marchio in ottica internazionale

Psg, sponsor record da 800 mln

Accordo in arrivo con Qta, l’ente del turismo qatariota

di MARCEL VULPIS (ItaliaOggi 28-12-2012)

Sponsorizzazione di maglia record nel calcio francese. Secondo quanto riportato dal quotidiano francese Le Parisien, l’Authority qatariota delegata alla promozione turistica (Qta) è in procinto di firmare un accordo da 800 milioni di euro con il Paris-Saint Germain (di proprietà della famiglia Al Thani, la stessa che guida da anni lo stato arabo). Un’operazione presentata tecnicamente come «contratto d’immagine»: 150 milioni nel primo anno di partenariato, oltre 200 mln nel quarto e ultimo anno.

Questa sponsorship, che porterà la squadra transalpina a trasformarsi in un ideale veicolo pubblicitario delle bellezze del territorio qatariota, segue quella altrettanto importante del restyling del logo. Il Psg, infatti, nei giorni scorsi ha annunciato di voler cambiare il proprio stemma. A partire dal prossimo gennaio il vecchio logo, caratterizzato nella parte bassa da una culla (il re Luigi XIV nacque proprio nel quartiere di Saint-Germain-en Laye), da un giglio, simbolo appunto della monarchia transalpina, e dalla data «1970» (anno di fondazione del club), verrà rinnovato completamente.

Spazio e maggiore risalto alla Torre Eiffel, icona mediatica della metropoli parigina, colorata sempre di rosso, ma con uno speciale effetto in 3D. Lo sfondo poi diventerà azzurro, rispetto al colore blu attuale, e la scritta Saint-Germain troverà spazio in basso. Il nuovo brand servirà a lanciare il club transalpino, in abbinamento con l’immagine della città, sui mercati internazionali.

Il sodalizio con l’istituzione del Qatar proietta la società di calcio francese allenata da Carlo Ancelotti, fresca vincitrice del titolo d’inverno (dopo una prova superba in trasferta a Brest vinta per 3 a zero con un gol di Zlatan Ibrahimovic), nell’Olimpo delle sponsorizzazioni calcistiche.

La cifra di 200 milioni di euro a stagione è la più ricca mai pagata da un investitore pubblicitario. Attualmente il primato di questa speciale classifica spetta al Barcellona di Messi e compagni, con oltre 30 milioni di euro a stagione, anche in questo caso pagati da una istituzione qatariota: la Qatar foundation. Subito dietro il Manchester United e City con più di 25 milioni di euro a testa, rispettivamente legati ad Aon (compagnia assicurativa/finanziaria americana) ed Etihad airways. Tra 18 mesi il ManUtd si presenterà sulle maglie con il marchio Chevrolet per più di 63 milioni di euro annui (per le prossime sette stagioni), ma è un importo anni luce lontano da quello che pagherà la Qta.

Manca solo l’ufficialità dell’operazione, ma è chiaro che la strategia messa in atto dal governo del Qatar apre una serie di riflessioni sul futuro del calcio, non solo francese. L’accordo quadriennale è stato già presentato alla commissione dei conti della Lega calcio francese (Dncg) ottenendo il primo via libera. Adesso, però, si attende la valutazione che gli uffici tecnici dell’Uefa (organismo di governo del calcio europeo) faranno su questa sponsorship, che riequilibra inevitabilmente i conti del club parigino, ma li «droga» sotto il profilo amministrativo. Se verrà accettata a essere minati saranno proprio i canoni del fair play finanziario (la prima regola è bilanciare i costi con i ricavi) fortemente voluto da Michel Platini, numero uno dell’Uefa, e il disegno di sistema di rendere nuovamente più competitivo il calcio continentale.

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Ferguson should face the music

for undermining referee’s authority

The Manchester United manager set a worryingly bad

example by confronting Mike Dean so openly and aggressively

by MATT DICKINSON (THE TIMES 28-12-2012)

Sir Alex Ferguson escaped any sanction from the FA yesterday for his touchline behaviour on Boxing Day because, according to the authorities and Mike Dean, the referee, the Manchester United manager’s antics looked worse than they actually were.

But surely that is the point — looking bad by marching on to the pitch to confront the referee; looking bad by snarling and finger-jabbing in the face of a linesman; looking bad by menacing the same official throughout the second half is more than enough to warrant sanctions from the governing body. In fact, looking bad is enough to demand action from the FA and from Dean.

Dean insists that Ferguson did not abuse him or impugn his integrity. No, the United manager did far worse than a foul-mouthed outburst in private. He undermined not only Dean, but also the status of referees up and down the country by dissenting so publicly and vehemently.

As Gary Lineker said on Match of the Day, it is not much of an example when the country’s most high-profile manager is allowed to be so openly confrontational without any intervention from the authorities.

Dean thinks he has handled a difficult situation well. He thinks he has correctly overturned a very problematic offside decision and then managed a raging Scot with diplomatic skill. By declining to mention Ferguson in his report, he will think that he has calmed a hot-tempered affair. But the truth is rather different.

Dean has done his profession no favours. When Ferguson came on to the pitch, gesticulating, as his players waited for Newcastle United, their opponents, to reappear for the start of the second half at Old Trafford, Dean should have marched him to the side of the pitch and told him to shut up or be forced to take a seat in the stands.

He should have made sure that the fourth official stopped the United manager barking away in the ear of the linesman and straying so regularly beyond the “technical area” — it would be more accurate to call it the swear box.

Instead, nothing has been done. And with that failure to act, the job just got that little bit harder for referees at all levels up and down the country.

Alan Pardew, the Newcastle manager, was spot-on yesterday when he said that Dean should reflect that he could have handled Ferguson’s on-pitch rant with greater strength.

“I think Mike Dean might feel slightly disappointed he didn’t do something about it,” Pardew said. “I think the pressure that was on him was tough to take for a referee. Sometimes when you reflect on a game, when you look back, you might have acted differently. You do that as a manager and I think he might have done that as a referee.”

It is not right to say that Ferguson is above the law because of his stature in the game — he did serve a five-match touchline ban last year — but he has set the modern template for applying pressure on the officials and he pushes the boundaries more regularly and brazenly than his counterparts. As Pardew said: “It’s an emotional game and apparently they had a cordial discussion. I’ve had a few myself and sometimes I’ve ended up in the stands as a result of that cordial discussion.”

Ferguson keeps testing the limits. While he gets away with his Boxing Day tantrum, Roberto Mancini could be charged for his comments after Manchester City’s 1-0 defeat away to Sunderland. The City manager said that Kevin Friend, the referee, “ate too much for Christmas” and “missed a foul” on Pablo Zabaleta in the build-up to Adam Johnson’s goal.

Harry Redknapp could also be in trouble after criticising Chris Foy, the referee, and his assistant, Harry Lennard, for allowing Robert Green’s own goal against West Bromwich Albion. The Queens Park Rangers manager also suggested that the linesman “should go to Specsavers” over a separate incident.

The FA will announce in the next 24 hours if those two managers are to be charged. But there should be three of them facing disciplinary issues.

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 27-12-2012)

Abete, l'importante è non cambiare

Il presidente Abete è sensazionale. Bisogna ammetterlo, arrendersi all'evidenza: sen-sa-zio-na-le. Fa un'intervista di fine anno, nella quale esalta i risultati delle nazionali (sottintendendo: ne sono il presidente, il merito è pure mio) si rammarica del caso scommesse che ha fatto barcollare il sistema (sottintendendo: colpa dei calciatori infedeli e bari, io che c'entro?), biasima la politica sulla mancata legge per gli stadi (sottintendendo: che ci posso fare io se non l'hanno approvata? Penserete mica che la Figc conti qualcosa nel Paese?), liquida l'idea di una serie A a 18 squadre (dicendo proprio: siamo forse meno importanti dell'Inghilterra, che ne ha 20 pure lei?) e infine si prende la soddisfazione di sistemare Andrea Agnelli, che aveva avuto l'impudenza di metterne in discussione l'efficienza: "Nel calcio non basta criticare, bisogna poi avere la capacità di cambiare".

Questa clamorosa dichiarazione diventa così la frase dell'anno del 2012 di Abete, non si sa se programmatica in vista della nuova candidatura a presidente Figc o consuntiva di quanto fatto negli anni di potere già esercitato. Soffermandoci su questa seconda ipotesi, il cambiamento-Abete, in effetti, è sotto gli occhi di tutti: lui che era già in Figc quando a sua insaputa quelli di Calciopoli si mangiavano il calcio, l'ha guidata dal dopo mondiale in Germania in poi. I risultati sportivi di quest'anno gli fanno gonfiare il petto, con il secondo posto europeo. Dopo l'ultimo posto ai mondiali sudafricani Abete spese invece parole amare per dire che non si poteva certo imputare a lui il fallimento lippiano. Sintesi: se si vince è merito della Figc, se si perde è colpa del ct.

Sul fronte extrasportivo, invece, Abete si è segnalato per la gestione delle scorie di Calciopoli, che ha portato alla temeraria decisione di non fare né decidere nulla, con conseguenze quali l'eterna condanna del calcio intero a restare ancorato a quel lido puzzolente, oltre a una causa di 443 milioni intentata dalla Juventus per danni. Altrettanto palesi i risultati politici internazionali: due-candidature-due prodotte dalla sua Figc per organizzare gli europei di calcio, una finita con un secondo posto dietro Ucraina e Polonia, l'altra con un terzo posto su tre: l'emergente Turchia aveva evidentemente più titoli per sfidare la Francia, poi vincitrice della contesa. Quindi Abete si è dovuto occupare della gestione del nuovo scandalo, anche questo esploso a sua insaputa, stavolta di presidente, con decine di giocatori di ogni serie impegnati a comprare e vendere partite agli scommettitori di mezzo mondo, da Milano a Singapore. Il presidente ha risposto alla crisi dando mandato a Palazzi di aprire e chiudere fascicoli all'impazzata, in modo talmente frenetico da creare due o tre binari diversi nella gestione dei processi, alcuni già fatti, altri in corso, altri da vedere più in là: quando? Come? Perché? Non si sa.

In conclusione, la capacità di cambiare il calcio di cui parla il presidente va senz'altro letta nel robusto programma riformista presentato alla vigilia della sua prima elezione e ora ritoccato in vista dell'imminente ricandidatura. Tutti possono studiarlo e prenderlo ad esempio di come un dirigente sportivo possa difendere il prestigio dell'istituzione che rappresenta, tramutando le idee in fatti. Perché essendo vuota la casella delle prime, quella dei secondi ne sarà in effetti specchio felice e fedele: una indiscutibile promessa mantenuta.

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 29-12-2012)

Ecco l'Agenda di Abete

Deve conquistare anche la A

Agenda Abete. Il presidente Figc, e unico candidato il prossimo 14 gennaio, ci sta già lavorando. Tante le riforme che vanno fatte nei prossimi anni e che non sono state fatte da quando (2 aprile 2007) Giancarlo Abete è stato eletto presidente Figc. Un po' colpa sua, vedi la giustizia sportiva. Un po' colpa di un sistema "ingessato", uno statuto che per fortuna è stato riformato dal commissario ad acta, Giulio Napolitano, e che ora permette un margine di manovra che prima non c'era. Non ci sono più alibi. Per nessuno. Abete è appoggiato dalla Lega di B, dalla Lega Pro, dalla Lega Nazionale Dilettanti, dall'Assoallenatori e dal sindacato calciatori (Aic). Ma anche gli arbitri (Aia) sono al suo fianco. All'appello manca la Lega di serie A. Non ha espresso una candidatura (Galliani in assemblea aveva suggerito Maurizio Beretta, che ha pochissimo tempo a disposizione...), non ha ancora un presidente (si rivota l'11 gennaio: ce la farà Andrea Abodi? Non facile). Una Lega fantasma. Non è una novità, purtroppo. Molti presidenti voteranno contro Abete: fra questi Lotito, che (guarda caso) tira la cordata, e Andrea Agnelli. Forse anche altri presidenti potrebbero mettersi di traverso, delusi dalla Figc. Abete dovrà quindi "conquistare" anche la Lega di A: essere un presidente di tutti, mettere ad un tavolo tutte le Leghe e le componenti. Un esempio: la Lega di B ha deciso di scendere da 22 squadre (autentica follia) a 20, ma deve trovare un accordo con la Lega di A, con quella Pro, con i calciatori, gli allenatori. Abete deve fare sentire la sue voce, con decisione e autorevolezza. Non si può più aspettare. Vedi la riforma della giustizia sportiva. Fa parte dell'Agenda del presidente. Così non si può più andare avanti, fra polemiche e sospetti. Molti club sono esasperati e c'è il forte dubbio che - in qualche caso - il superprocuratore Stefano Palazzi sia stato forte coi deboli, e debole coi forti. Per snellire una struttura che accorpa la Procura e l'ex Ufficio Indagini, e che così cammina a fatica, Tavecchio ha suggerito di decentrare una parte consistente del lavoro alle procure federali territoriali. Ma non basta: c'è da rivedere la norma sulla responsabilità oggettiva e decidere se continuare con questo assurdo stillicidio dei processi a rate.

Ma tante altre cose sono nell'Agenda Abete. Settore giovanile e scolastico: Tavecchio, che il 3 gennaio incontra di nuovo il presidente Figc insieme con Macalli, rivendica il fatto che la sua organizzazione del settore giovanile a livello periferico sia già capillare. A Gianni Rivera resterebbe quindi l'indirizzo nazionale: l'ex milanista ha lavorato bene coi giovani, con idee importanti anche sul piano del fair play (vedi il cartellino verde). Non è mai decollato invece il settore tecnico: Robi Baggio, nominato da Abete due anni fa dopo il flop del Sudafrica, si è fatto vedere raramente in consiglio federale, e questo non è piaciuto a numerosi membri del governo calcistico. Il suo piano, poi, ha avuto forte opposizioni: ora Baggio starebbe per lasciare (ha fatto il corso da allenatore), e va sostituito. Peccato, era un nome di prestigio ma forse aveva poco tempo per dedicarsi a Coverciano.

Abete ha sventato un mini-golpe: c'è stato un tentativo ("sponsorizzato" anche da alcuni club di A, oltre che da Franco Carraro) di candidare alla Figc Carlo Tavecchio, con Francesco Ghirelli direttore generale. In questo caso, il sindacato calciatori avrebbe fatto scendere in campo Demetrio Albertini. E forse il calcio si sarebbe spaccato. Chissà. Ora c'è un solo candidato, Abete, e questo dovrebbe calmare le acque, almeno si spera: ma l'imprenditore romano deve ritrovare forza e compattezza. Sinora Abete ha avuto il pieno appoggio di Gianni Petrucci: non lo avrà più perché il presidente del Coni è in uscita, il 12 gennaio diventa n.1 della Federbasket. Chissà il prossimo presidente del Coni (Pagnozzi o Malagò) che atteggiamento terrà con la Figc? Malagò di recente è stato molto severo, non tanto con Abete, quanto col mondo del pallone.

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OGNI MALEDETTA DOMENICA

Lo spread del calcio nostrano

NON SOLO CONTI (E DEBITI): COME NELLA POLITICA, ANCHE NELLO SPORT MANCA LA CIVILTÀ PER USCIRE DALLA CRISI. E LA STAFFETTA PETRUCCI-PAGNOZZI AL VERTICE DEL DISASTRATO CONI NE È L'ESEMPIO

RICCHEZZA SEGRETA Secondo uno studio della Bocconi, l'attività sportiva diffusa farebbe risparmiare 32 miliardi di euro l'anno alla sanità. E Monti che fa?

di Oliviero Beha - Il Fatto Quotidiano -27-12-2012

Nel 2013 non siamo in vista solo delle elezioni politiche montiane o sub-montiane, né di alcune regionali e amministrative assai importanti: ci sono anche le elezioni politico-sportive, cioè quelle delle Federazioni e del Coni, che è la Federazione delle Federazioni. Lo so, state pensando "e a noi che ce ne frega?", presi come siamo dall'agenda del premier in uscita, dalle fantozzate tv di Berlusconi, dalle preoccupazioni di Bersani orfano di Ichino, dalle firme per il Movimento 5 Stelle o quello Arancione... In verità non sembrerebbe neppure politica, quella sportiva. Come quando ci si inebria - che so - del gioco di Zeman che strapazzava il Milan e non si aveva occhio per le scuri (sì, scuri) con cui ci sono state aggressioni fuori dall'Olimpico, in quel sabato sera così poco pre-natalizio. Quella è "cronaca nera", il calcio in campo invece è sport, o gioco. Idem per la politica: Monti sì che conta politicamente, Petrucci in uscita dal Coni dopo un secolo di governo invece è "solo" il massimo dirigente di un Ente che esce allo scoperto solo per i Grandi Eventi, i record, le manifestazioni ecc. Che c'entra la politica con tutto ciò? E c'è un nesso tra elezioni "sportive" e tutto l'ambaradan sub specie napolitanesca cui andiamo incontro nella nebbia?

Si', C'E UN NESSO che viene sottaciuto, o meglio ci sarebbe o ci dovrebbe essere: un nesso con la politica migliore che metta le basi a un'idea futura di Paese, un nesso con le elezioni regionali il cui bilancio va per oltre l'80% nelle spese sanitarie, un nesso con le elezioni amministrative se ogni comune può rendersi la vita più vivibile se abbina alla sua gestione un'idea sportiva, quindi ambientale, educativa, culturale ecc. Detto altrimenti, se l'Italia è indietro anni luce in quanto a civiltà sportiva nei confronti degli altri Paesi europei, questa arretratezza confluisce nel discorso più generale dello "spread" che Monti traduce solo in conti e debiti. E adesso scommetto che in nessuna agenda elettoral-programmatica, a partire da quella del sobrio premier, c'è una riga che colluda con quello che avete letto finora. Eppure Monti è un super-bocconiano, nevvero? E allora sapete che cosa c'è nell'ultima parte del Libro Bianco sullo sport recentemente diffuso dal Coni a firma di un ricercatore della stessa Bocconi che qui riprendo nella sintesi di Eugenio Capodacqua (www.sportpro.it)? Ci sono numeri che dovrebbero indirizzarci in una direzione opposta a quella imboccata finora, e invece vengono pubblicati esclusivamente per essere "obliterati", cancellati dalla memoria. E lo "spread" si allargherà... "L'attività sportiva moderata (da distinguere nettamente dallo sport agonistico) eviterebbe circa 52.000 casi di malattia grave all'anno (i dati sono riferiti alle 5 malattie che incidono di più sulla popolazione secondo l'Oms e cioè: malattie cardiovascolari, ictus, cancro al seno, cancro al colon e diabete II) con un risparmio della spesa sanitaria e non di circa 14,5 miliardi di euro. Evita inoltre circa 22.000 casi di morte per un valore riferito alla vita "salvaguardata" di circa 32 miliardi di euro. Il valore di una finanziaria". Dalle idee alle persone che dovrebbero rappresentarle. Al Coni si daranno il cambio nel 2013 il succitato Petrucci con il suo segretario Pagnozzi. Petrucci è un democristiano più affabile e scherzoso del sodale predecessore Pescante, sempre democristiano ma di riffa e un po' di raffa berlusconiana. Pagnozzi è un satirello che gli tiene bordone da un secolo. L'unico avversario possibile sarebbe il "generone" romano versante Canottieri Aniene, Vincenzino Malagò, che sta a Montezemolo come Montezemolo stava ad Agnelli (Gianni, quello vero). Si attende con curiosità chi starà a Malagò... Nessuno di essi è innocente, ve lo giuro, se si misura il crimine "pasoliniano" di aver infilato lo sport in questo imbuto di consumo che ne ha spolpato l'essenza. Parlate loro di "gratuità" dell'attività sportiva, e vi guarderanno assai peggio del "marziano" di Flaiano. Che sia una forma decisiva di cultura è per loro ostrogoto.

NEGOZIANO voti nelle segreterie di partito (peraltro ignare di qualunque valore del fenomeno, se non in termini elettoralistici) coprendosi le pudenda politiche con la foglia di fico di "ma è sport, non è politica". Nel frattempo Petrucci è stato meritatamente eletto sindaco di San Felice Circeo. Quanto alle Federazioni, la principale di esse in termini di denari, potere e richiamo politico-economico è la Federcalcio. Per ora l'unico candidato dichiarato è il presidente uscente, Giancarlo Abete. Basterebbe per non votarlo il disastro del calcio professionistico italiano, giacché ne è il maggiore in grado. Ma di tutto il discorso del valore sociale del pallone a lui che importa? Importa molto di più, dati alla mano, al suo vicario e presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Carlo Tavecchio, i cui conti almeno tornano e il cui movimento è mille volte migliore di quello professionistico, pur in mezzo alle contraddizioni dello sport in Italia. Quindi come si può pensare a tenerci il vecchio se il nuovo ha fatto meglio? Eppure il rischio di continuare così c'è se il calcio è quello che non riesce a eleggere un presidente di Lega di Serie A da una vita, e ancora combatte con figure di risulta come il finiano Abodi "perché non c'è nessun altro". Ebbene, sappiate che anche questo è "spread", e lo pagheremo caro.

www.olivierobeha.it

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Il Cagliari con le valigie in mano

Nainggolan,Pinilla e Astori sul mercato [tgcom24]

13:14 - Il Cagliari, che non paga gli stipendi da due mesi e non riceve alcun aiuto da parte delle istituzioni, potrebbe vedersi costretto a mettere i suoi gioielli sul mercato. Il monte ingaggi della società sarda, infatti, non è bassissimo, così Cellino - per evitare il default - dovrà ricorrere a qualche cessione. Pinilla piace a Inter, Napoli e Fiorentina, Nainggolan al Milan. Ma gli estimatori non mancano neppure a Ibarbo e Astori.

Il mercato di gennaio potrebbe trasformarsi in una vera e propria rivoluzione per la società rossoblu. La squadra di Pulga vanta un tasso tecnico elevato e i grandi club, anch'essi avvolti nella crisi, guardano alle occasioni low cost. Pur di cedere e fare cassa, infatti, Cellino non potrà permettersi di dire 'no' a un'altra offerta da 15 milioni come quella rifiutata in estate dallo Spartak Mosca per Astori. Adesso il difensore potrà andare via a meno: in Italia il Milan è sempre molto attento alle sue prestazioni e ad Allegri un centrale serve. Il club di via Turati segue con insistenza anche Nainggolan, l'anno scorso quasi certo di finire alla Juve e poi bloccato prima della chiusura del mercato invernale. Adesso i rapporti fra il belga e i bianconeri sono andati in frantumi così Galliani, ancora alla ricerca del sostituto di De Jong, potrebbe far tappa ad Assemini.

Ma i pezzi forti del mercato cagliaritano (in uscita, sia chiaro) sono gli attaccanti. Su Pinilla è forte la concorrenza fra Inter (sarebbe un cavallo di ritorno) e Napoli, che vorrebbero affidargli il tuolo di vice-Milito o vice-Cavani. Ma il cileno potrebbe propendere anche per una soluzione più comoda, in cui sarebbe più facile mettere piede in campo: la Fiorentina o, addirittura, il Genoa. Anche Ibarbo, poco in luce negli ultimi mesi, ha mercato: l'Inter si era fatta avanti, ma il rapidissimo colombiano piace pure al Bologna. E Sau? Al primo anno di A si è già guadagnato gli onori della ribalta. Le big gli strizzano l'occhio, ma è quello che Cellino proverà a trattenere.

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Figc: via libera per Abete

Petrucci: Presidenti arroganti

FULVIO BIANCHI -SPY CALCIO - repubblica.it - 28-12-2102

E' finita come doveva finire: il 14 gennaio, a Roma, Giancarlo Abete sarà il candidato unico alla presidenza della Figc. Presidente Figc dal 2 aprile 2007, ex politico (Dc), 62 anni, imprenditore e anche vicepresidente Uefa. Oggi ha avuto il pieno appoggio della Lega Pro e di quella Dilettanti: Abete si è incontrato con Mario Macalli e Carlo Tavecchio che "gli hanno confermato l'accreditamento", come fa sapere un comunicato della Figc. Via libera quindi: anche la Lega di serie B, il sindacato calciatori, l'assoallenatori e l'Aic (arbitri) sono con Abete. Tramonta l'ipotesi di una candidatura, voluta anche da alcuni club di serie A, di Carlo Tavecchio, con Francesco Ghirelli come direttore generale. Tavecchio aveva sempre dichiarato che se si fosse candidato Abete, lui si sarebbe fatto da parte. Ha confermato la sua fedeltà. Resterà vicepresidente? Probabile.

Non si sa ancora cosa farà la serie A, possibile che arrivi qualche no ad Abete: da parte di Lotito, sicuramente, e Andrea Agnelli che anche di recente ha avuto parole forti contro la conduzione della Figc. Moratti invece potrebbe astenersi. Ma Abete passerà senza problemi: la prossima settimana si vedrà ancora con Macalli e Tavecchio per parlare di programma. Di cose da fare. E sono tante, a cominciare, come abbiamo visto dalla giustizia sportiva. Ma Abete, col nuovo statuto Figc, dovrebbe avere meno problemi e più possibilità di mettere d'accordo le parti, anche se la Lega di A, come al solito, è in ritardo (e rivota l'11 gennaio). Intanto, Gianni Petrucci, presidente del Coni in uscita (il 12 gennaio sarà eletto n.1 della Federbasket) ha parlato ancora di calcio in un'intervista a Sky Sport 24. "Vorrei che i presidenti di calcio fossero più sereni. In privato si proclamano amici e fanno complimenti - spiega il numero uno dello sport italiano - poi fanno gli eroi e i fenomeni nelle interviste. Il calcio è sempre esasperato, vuole sempre dimostrare chissà che cosa: non amo l'arroganza di chi chiede alla Federazione di fare questo o quello (riferimento ad Agnelli ed altri, ndr) , lo facciano prima loro in Lega. Il calcio lo possiamo rovinare solo noi: alle Leghe dico di organizzarsi e fare prima bella figura, i soldi dei club sono dei presidenti ma restino umili. Siano meno eroi sui giornali e più sinceri".

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Certo che petrucci che da dell'arrogante ad Agnelli......

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Oggettivamente

Roberto Beccantini - Beck is back - 28 dicembre 2012

Non è un argomento festaiolo, ma se ne parla anche sotto l’albero. La responsabilità oggettiva. Il Napoli, coinvolto in Scommessopoli, l’ha presa a calci, invocando la separazione dei «mali». E’ un tema ricorrente, implacabile. C’è quella «diretta», quella semplicemente «oggettiva» e quella «presunta»: mille sfumature di grigio. L’ha citata anche Andrea Agnelli, nella sua agenda.

Parliamone. Discutiamola. Guai, però, a polverizzarne l’ossatura. Non sarebbe un nuovo inizio. Sarebbe un’altra fine. Dal 1980 a oggi, nonostante la responsabilità oggettiva, e sottolineo: nonostante, il calcio italiano ha conosciuto lo scandalo del toto-nero, passaportopoli, doping farmaceutico e doping amministrativo, premiopoli, calciopoli e, appunto, scommessopoli. Provate a immaginare uno sport che vi rinunziasse: uno sport in cui eventuali combine – o tentatitivi di – venissero scaricate esclusivamente sui tesserati e non più sui club. Povero sport.

Un buon avvocato vale ormai quanto un buon centravanti. Ci sono casi limite che hanno messo in crisi anche il sottoscritto, dalla celeberrima monetina di Alemao al feroce tavolino di Cagliari-Roma: giusto punire il Cagliari, sbagliato premiare la Roma.

Se ogni partita fa storia a a sé, figuriamoci ogni disputa, ogni controversia, ogni deferimento. Vale, per la responsabilità oggettiva, l’aforisma di Winston Churchill sulla democrazia: il peggiore dei sistemi politici, tranne tutti gli altri. Si cambi, al limite, il percorso della giustizia sportiva. Lo si renda meno frenetico, si sterilizzi l’omessa denuncia, si dia più spazio alle difese, soprattutto adesso che la figura del pentito ha coinvolto – e, in alcune circostanze, stravolto – un iter forzatamente «abbreviato». Ma la responsabilità oggettiva, no: è l’ultima stampella.

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Un caso internazionale L’incredibile sponsorizzazione del Qatar

alla società francese spiazza sia i club rivali che l’Uefa di Platini

Il Psg aggira il fair play,

le grandi d’Europa si ribellano

di FABIO MONTI (CorSera 29-12-2012)

Il fair play finanziario, introdotto dall’Uefa, con regole che hanno appena portato all’esclusione del Malaga per un anno dalle coppe europee, è tornato al centro delle dispute calcistiche. Ad accendere una nuova polemica è stato il contratto, scadenza 2016, sottoscritto dal Paris St. Germain con la Qatar Tourism Authority, responsabile dello sviluppo delle attività turistiche qatariote (presidente Issa bin Mohammes al-Mohammed, nominato in maggio dall’emiro), che si occuperà della promozione dell’immagine del Qatar nel mondo, proprio attraverso il marchio legato al Psg.

La Qta fa capo al governo di Doha, come la Qatar Sports Investments, proprietaria del club; l’accordo prevede un versamento di partenza di 150 milioni all’anno per quattro anni, destinato ad arrivare a 200 milioni (più bonus nel 2015- 2016). Ma il finanziamento (800 milioni) è retroattivo e incide già sul bilancio del 2011-2012, consentendo al club francese di aggirare i parametri Uefa che prevedono un rosso massimo di 45milioni, spalmato su tre esercizi. Un’iniezione di capitale, che consentirà al Psg di coprire quasi per intero il monte-ingaggi. L’accordo rischia di spiazzare le autorità di Nyon, perché il regolamento non vieta i finanziamenti provenienti da Stati non europei: la Qta è un ente statale e i soldi versati sono considerati un aiuto da parte di uno Stato non europeo, che risulta così estraneo alla giurisdizione di Bruxelles e anche di Nyon.

I primi a reagire sono stati i tedeschi. Ha detto alla Bild Karl Heinz Rummenigge, vicepresidente del Bayern e presidente dell’Eca, l’associazione dei club europei: «Sto osservando questa situazione con grande interesse, ma con preoccupazione altrettanto grande. Confido nel fatto che l’Uefa faccia chiarezza sull’argomento ». E Hans Watzke, amministratore delegato del Borussia Dortmund campione di Germania: «Non credo che un’iniziativa del genere potrà passare, perché l’Uefa è attenta al mercato delle sponsorizzazioni». I tedeschi hanno riproposto la vecchia questione del «trattamento di favore» nei confronti del Psg, visto che, ha ricordato la Bild, Laurent Platini, il figlio di Michel, cura in Europa gli interessi della Qatar Sports Investments.

Platini ieri, da Dubai, dove ha presenziato alla quarta edizione del Globe Soccer, ha riproposto la questione del fair play finanziario, ma in termini di principio: «Non sono preoccupato dalla presenza in Europa di investitori del mondo arabo o extraeuropei. Va tutto bene se amano il calcio e dimostrano la passione anche verso i ragazzi. Altrimentimi dà fastidio. Havelange e Blatter hanno reso il football popolare in tutti i continenti; ora servono il controllo e la protezione. Loro hanno ottenuto un grande risultato, io devo fare attenzione al prossimo sviluppo. Ho introdotto il concetto del fair play finanziario tre anni fa per evitare che tutti i risultati fossero freddamente determinati dalla disponibilità di soldi, estranei ai frutti della buona gestione di un club. In un mondo dove il calcio non ha mai ricevuto tanti soldi come in questi anni, avevamo un miliardo e 750 milioni di euro di debiti. Doveva esserci qualcuno che dicesse basta, e quello sono io. Ho messo tutti insieme per dire di spendere i soldi che abbiamo, in un piano di rientro di quattro anni che sta per finire. Adesso cominceranno le sanzioni. In Italia gli stadi sono da rifare: non valgono punti in classifica, ma credibilità finanziaria. È importante perché consente di risolvere alla base i problemi economici delle società».

Ernesto Paolillo, già amministratore delegato dell’Inter e ora consulente dell’Eca, membro del Comitato che valuta i parametri economici e finanziari per assegnare le licenze Uefa, ha spiegato a Radio24: «Quanto sta accadendo nel Paris St. Germain è inaccettabile. Ho lanciato una proposta e su questa stanno lavorando i legali: prendere i valori medi delle sponsorizzazioni, usarli comemetro di paragone mettendo come tetto il massimo possibile aumentato di una percentuale. Al momento è in atto un meccanismo diabolico. Bisognerà scrivere una norma, che possa proibire un aiuto da parte di uno Stato non europeo. Bisognerà fare in fretta per bloccare questo tipo di iniziative, altrimenti tutta la questione diventa una presa in giro, se si accetta che alcuni club si salvino con coperture di questa entità. Ma tutti si accorgeranno che l’Uefa non scherza». Per ora il sindaco di Malaga, Francisco de la Torre, ha scritto una lettera proprio a Platini, perché revochi la sanzione nei confronti del club: «Una sanzione sproporzionata e ingiusta». All’Uefa non è tempo di vacanze.

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