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CRAZEOLOGY

Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"

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Morte di Edoardo Agnelli, un giudice: “Non fu tutelato”.

Fiat: ”Iniquo, ingiusto”

Pubblicato il 1 marzo 2013 20.19 | Ultimo aggiornamento: 1 marzo 2013 22.30

TORINO – Un piccolo azionista della Fiat, Marco Bava, è stato assolto dall’accusa di diffamazione per alcune frasi pronunciate in un assemblea nel 2008 e relative alla morte di Edoardo Agnelli, il figlio dell’Avvocato che, come verificò la procura di Mondovì, morì suicida. Bava, nelle frasi pronunciate in assemblea, mise in dubbio che si fosse trattato di suicidio, sostenendo che la Fiat non avesse vigilato a sufficienza. Il giudice che lo ha assolto, Maria Sterpos, ha in qualche modo dato ragione alle tesi di Bava scrivendo nella motivazione della sentenza: ”E’ chiaro che se qualcuno si era assunto il compito di tutelare Edoardo Agnelli, non lo ha svolto in modo adeguato, sia che egli sia stato ucciso sia che si sia suicidato”.

L’avvocato della Fiat ha reagito duramente.

Come ha riportato Repubblica, il legale, Giovanni Anfora, ha detto: “Non ci furono carenze o errori del servizio di sicurezza Fiat”; la magistratura, dopo gli accertamenti, “aveva escluso qualsiasi rilievo o osservazione”. Ma quegli atti processuali “evidentemente non sono stati ben compresi o adeguatamente valutati” dal tribunale di Torino”. Nel resoconto di Repubblica, l’avv.Anfora ha sottolineato che per l’imputato (chiamato in causa per numerosi passaggi del suo intervento a un’assemblea del Lingotto nel 2008) la procura aveva chiesto sei mesi di carcere, e ha annunciato ricorso in appello contro “l’ingiusta e iniqua sentenza di assoluzione”.

“Non è vero che la sentenza del tribunale di Torino abbia proposto dubbi sulle circostanze del decesso di Edoardo Agnelli, come si desume agevolmente dalla lettura del provvedimento. Si deve evidenziare con definitiva chiarezza che su tale evento è intervenuta più volte la magistratura che ha ripetutamente escluso le fantasiose quanto indimostrate illazioni su fantomatici quanto improbabili complotti”. “Si tratta di teorie avanzate soltanto da avventurieri autoreferenziali in caccia di improbabile notorietà o vantaggi economici”.

L’azionista, Marco Bava, doveva rispondere di “oltre venti fatti di diffamazione” e, sottolinea Anfora, “nella sentenza è affermato che ha complessivamente pronunciato parole di oggettiva portata offensiva e che pertanto la parte civile Fiat proporrà impugnazione”.

Edoardo morì precipitando da un viadotto dell’autostrada Torino-Savona, il 15 novembre 2000 a Fossano. ”Ritengo responsabile per omessa vigilanza – aveva detto Bava – anche la sicurezza Fiat che non solo allora non ha protetto sufficientemente Edoardo Agnelli”: questa e molte altre erano state le affermazioni di Bava che gli erano costate la denuncia. ”Da sempre – scrive il giudice – Bava ha sostenuto che Edoardo Agnelli è stato ucciso a causa presumibilmente di un suo scomodo ruolo negli equilibri di potere interni alla Fiat”. Nella sentenza si sottolinea che il riferimento alla ”triste vicenda” è stato ”inopportuno e fuori luogo” nell’assemblea. Però si fa presente che nonostante le conclusioni dell’inchiesta giudiziaria ”dubbi sulle circostanze della morte del figlio dell’Avvocato sono stati sollevati da molti”.

http://www.blitzquot...o-bava-1491386/

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Inchiesta Ior, un caso diplomatico

L'uomo chiave delle nuove indagini sulla banca del Vaticano si chiama Michele Briamonte. Consulente Ior e consigliere di Monte Paschi, è stato fermato all'areoporto di Ciampino con un alto prelato che lavora alla segreteria di Stato. La guardia di Finanza voleva perquisirlo, ma lui ha esibito il passaporto della Santa Sede

(21 marzo 2013)

Si apre un nuovo fronte nell'inchiesta giudiziaria sullo Ior, la banca del Vaticano. A fine febbraio la Guardia di Finanza ha fermato all'aeroporto romano di Ciampino monsignor Roberto Lucchini e l'avvocato Michele Briamonte, due nomi eccellenti della nomenklatura della Santa Sede. Il primo lavora nella segreteria di Stato guidata dal cardinale Tarcisio Bertone, mentre il legale, partner dello studio torinese Grande Stevens, è da anni consulente dello Ior.

Briamonte e Lucchini si sono opposti alla perquisizione esibendo un passaporto diplomatico vaticano. Dopo una convulsa trattativa e numerosi contatti telefonici con la segreteria di Stato, l'avvocato e il monsignore hanno potuto lasciare l'aeroporto romano senza consegnare ai militari le loro borse. Resta un mistero perché Briamonte, che non è cittadino vaticano, abbia a disposizione un passaporto della Santa Sede.

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Ancoraaaa, ma sei S****O allora!!! Per due motivi: 1. c'era un rigore per noi sull'1-0 che se lo avessimo realizzato saremmo andati 2-0; 2. quello su Cassano non era rigore, caro il mio prescritto lamentoso. Chiellini allontana la palla con la suola della scarpa prima di colpire Cassano, vedi stesso tu Piangina: http://blog.ju29ro.com/2013/04/piangina-forever.html

(Il video ma chissa' e' stato bloccato dalla Lega Calcio, cosi' come la gomitata di Cavani a Chiellini in Napoli-Juve, ma grazie a Ju29ro sono riuscito a metterlo).

Modificato da ClaudioGentile

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My Juventus

Has Juve – and the whole Italian game – fallen victim to the nation’s problems itself? Andrea Agnelli, the latest scion of his family to run the legendary football club, offers an answer

by SIMON KUPER (FINANCIAL TIMES 26-04-2013)

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Andrea and father Umberto, 1981

Andrea Agnelli, president of Juventus football club, points to a photograph on his office shelf. It shows a small boy in shorts, with a mop of brown hair, standing beside some sunny rural field where Juventus are playing. The boy is Agnelli himself; the man sitting on a bench in the photo is his late father Umberto, who ran Juve 50 years ago.

The current Mr Agnelli, now 37, inhabits a surprisingly modest office in the club’s mansion smack in the middle of Turin. Juve’s president since 2010 has presided over the club’s return to its habitual place at the top of Italian football. Juventus will soon pocket yet another Italian championship – possibly as early as Sunday, if they beat local rivals Torino and second-placed Napoli don’t win. However, this proud club isn’t where it wants to be: at the top in Europe. In part, that’s because Juventus has fallen victim to the problems of Italy itself.

“Is Italian football interesting to watch today?” Agnelli asks. “Half the stadiums are empty, there is violence. I mean, it’s not the best product.” Italian football – corrupt, beset by violent thugs, economic decline, parochialism and lack of government – offers almost too perfect a metaphor for Italy itself. Like Ferrari (also in the Agnelli stable), or Gucci, or a brilliant corner café, Juventus is aiming for something very difficult: to be a pocket of excellence in a decaying country.

The Agnellis are often called “Italy’s royal family”. Andrea’s great-grandfather Giovanni Agnelli thought there might be a future in horseless carriages, and in 1899 co-founded a company called Fabbrica Italiana di Automobili Torino, or Fiat. In 1923 Giovanni encouraged his son Edoardo to become president of Turin’s football club, Juventus. “The 90 years’ ownership makes us the longest lasting ownership in any sports franchise globally,” says Andrea Agnelli. “Juventus and Fiat are the two eldest ownerships we have.” The family’s other assets, bought by the Agnellis’ investment company, “came and left. Juventus and Fiat are the common denominators of the history of the family”. Agnelli also sits on the board of Fiat, the world’s seventh-biggest automaker, where his cousin John Elkann is chairman. (Andrea’s half-brother Giovanni Alberto was groomed to run Fiat, but died of cancer in 1997 aged 33.)

You wouldn’t instantly spot Agnelli as a quasi-royal. He speaks like the trained international business manager he is, as if keen to prove he isn’t some air-headed heir. Yet his modest office, understated yet immaculate charcoal grey suit, and near-perfect English (polished at boarding school in Oxford) are characteristically Agnelli. “Reserved, stylish, elegant, ‘British’” is the family “myth”, says John Foot, professor of modern Italian history at University College London and author of Calcio: A History of Italian Football. Foot writes that generations of Agnellis have watched Juve, bought players, sacked managers and talked football to a usually fawning Italian press. Andrea’s handsome white-haired uncle Gianni Agnelli, nicknamed l’Avvocato, “the Lawyer”, ran Fiat yet was known to many Italians chiefly as figurehead of Juventus. The club’s 1980s playmaker Michel Platini, who won three Golden Ball awards as European Footballer of the Year, gave one of them to l’Avvocato, saying: “This is something you cannot buy, not even with your money.” “Is it real gold?” Gianni asked, and Platini replied, “If it was, I wouldn’t give it to you.”

Juventus is nicknamed La Vecchia Signora, “the Old Lady”, but Andrea Agnelli notes another description: “Juventus is known as ‘the girlfriend of Italy’. It’s probably the woman everyone wants to be with.” Most Italian clubs bear their city’s name and are tied up with feelings of local belonging, but Juventus bestrides the nation. Gianni Agnelli once said: “Not having the name of a city has brought us great popularity. It makes us national.” Few institutions in divided Italy can make that claim. Juventus estimates it has 11 million Italian supporters, many in the poor south that sent generations of peasants to Turin to work in Fiat’s factories.

Andrea Agnelli credits the family’s “stability of leadership” for helping Juve become Italy’s strongest club. In truth, Fiat’s millions probably did more to allow a team from a provincial town to compete with Europe’s best.

How was Agnelli raised to think of Juventus? “Winning,” he replies. From his office shelves he plucks a child’s drawing. Under the heading, “Juventus You Are a Queen”, it shows a penalty flying into a goal. Nine-year-old Andrea drew it in 1985, after Platini’s penalty defeated Liverpool in the European Cup final at the Heysel stadium – a match now chiefly remembered for the 39 Juve fans crushed to death before kick-off. Agnelli apologises: as a child, he didn’t understand the context. What he registered that night was victory.

His own favourite Juventus team, he says, were the European champions of 1996. He quotes a phrase from Juve’s then captain, Gianluca Vialli: “In the tunnel going on to the pitch, I remember looking at our opponents, who were thinking, ‘Why are we playing against this team, because we have already lost?’” But Agnelli adds: “The current team has great potential. I feel it’s mine, whilst with the others I was, let me say, a privileged observer. This is my creature.” And his creature has started to win.

Juventus’s many enemies see another, darker side to the club’s story. They charge that Italy’s leading football club, backed by Italy’s leading family, has used its web of connections to ensure victory. In a country given to conspiracy theories, this charge sticks. The question of whether referees support Juventus has prompted scuffles between MPs in Italy’s parliament. But sometimes (especially in Italy) conspiracy theories are true.

Juve’s enemies felt vindicated when it emerged in 2006 that the club’s then general manager, Luciano Moggi, spent much of his working week on his mobile arranging which referees should be appointed for Juventus’s matches and which for rival teams. The scandal, known as Calciopoli (each new Italian matchfixing scandal gets its own name), was the nadir of Juventus’s history. One image sums up the despair: that summer of 2006, the club executive Gianluca Pessotto sat in an upstairs window clasping a rosary, and let himself fall backwards on to the asphalt below. Thankfully he survived.

Italian justice rarely offers closure, and still nobody quite agrees who did what in Calciopoli. Agnelli says of Juventus’s role: “It was not match­fixing.” He notes that the club was only ever found guilty of “unsporting behaviour”, not “sporting fraud”. I retort, “But Moggi was phoning referees’ bosses!” Agnelli replies: “Moggi, and a lot of other people, as later came out.”

He sticks to the Juventus line: the club was made the scapegoat for a systemic disorder in Italian football. It was stripped of its championships of 2005 and 2006 and sent down to Serie B, Italian football’s second tier. A year later, Juve won promotion. “Our brand is enhanced now by our tremendous comeback story,” Agnelli says. “That gave us the opportunity to restate, in a louder way, how strong we are and how focused on leading the Italian system.”

But Calciopoli tarnished Italian football, worsened suspicions between clubs, and was followed by the Calcioscommesse scandal, in which over 20 clubs (but not Juventus) were accused of match­fixing. Juve’s current coach, Antonio Conte, was banned from the dugout for four months last year for having failed to report matchfixing he witnessed while coach of little Siena. Last summer Juve wooed Arsenal’s striker Robin van Persie, but after someone pointed out the sheer extent of Calcioscommesse to his agent, Van Persie joined Manchester United instead.

. . .

This is the context in which Agnelli leads Juve. The beautiful Italian game of old is disappearing. I wrote in my first book, Football Against the Enemy, 20 years ago: “When the football fan dies, he goes to Italy, where he finds the best players in the world, matches shown in full on public TV, and numerous daily sports newspapers. Nice weather, too.” For me as for many fans then, Italian football was hopelessly mixed up with memories of frothy cappuccinos, copies of the pink rag studied at café tables, and sun-kissed stadiums as safe as family restaurants at a time when hooligans ravaged English football.

But Italian football isn’t beautiful any more. As with many things in Italy, Silvio Berlusconi must take some blame. When he was prime minister, Italy became a country where Berlusconi voters and Berlusconi haters watched Berlusconi’s team Milan thump teams subsidised by Berlusconi’s government on Berlusconi’s pay channels, in a league run by Berlusconi’s right-hand man Adriano Galliani, and then watched the highlights on Berlusconi’s free channel. The only thing Berlusconi didn’t do was carry out his government’s laws for making stadiums safer.

By 2010, Juventus no longer even headed what remained. “It was having issues recovering from the 2006 events,” says Agnelli. “So we decided we needed a family member in charge.” Agnelli being keen on sports management, he was the obvious choice. The family owned more than 60 per cent of Juve. The shareholders increased the capital by €120m (only the Gaddafis, minority shareholders, didn’t participate, being otherwise engaged with the Libyan revolution) and in 2011 Juventus finally opened its new stadium. This had taken 17 years to create. Most Italian clubs play in rundown municipally-owned grounds that they cannot afford to leave, even if they could navigate the local bureaucracy. Only Juventus own their home.

Last Sunday night I saw them play Berlusconi’s Milan there. It’s a very 21st-century stadium: there are even two crèches (“baby parks”, in Italian) for spectators’ kids. The 41,000 spectators sit close to the pitch, English-style. Two hours before kick-off I stood by the corner flag and saw how a player here could look straight into individual fans’ faces just yards away, separated from him only by Plexiglas, watching them scrutinise him.

In Juve’s changing room I found the hairdryers (essentials of life for Italian footballers) plugged in and ready to go. There were hot and cold baths, four treatment tables, and a dinner table set with a fruit basket where the players would eat straight after the game. This was modernity – a rare commodity in Italian football. In some Italian stadiums you worry about firecrackers falling on your head, but the stands at Juventus felt safe. As Agnelli says, this is the sort of clean environment that encourages people to behave.

Before kick-off, Juve’s Ultra fans unfurled three vast banners: on them, two little cartoon footballers from Milan and Inter, Juve’s main rivals, gazed upwards at the tower of Juve glittering with 30 league titles and one to come. The stadium applauded the excellent drawings. This was Italian fan culture at its best.

But some Juve fans racially abused Milan’s black midfielder Kevin-Prince Boateng. And the game itself plunged you firmly back into today’s impoverished Italy.

A decade ago, Juve v Milan was possibly the best game in global football; no longer. Andrea Pirlo, Juve’s last great outfield player, turns 34 on May 19, and their great keeper Gianluigi Buffon is 35. Juve’s passing was awkward and slow. Watching poor Mirko Vucinic labour up front for Juve, you longed for the days when Platini and Zbigniew Boniek graced that space. No wonder almost all the journalists in the press stand were Italians: Juve-Milan has become a provincial affair.

Watching this, you understood why Juve recently got thumped in the Champions League by Bayern Munich, and why coach Conte had said afterwards: “In the coming years I don’t see a possibility for an Italian team to be successful in the Champions League.”

At least Juve remain supreme in Italy. They beat Milan 1-0 on a penalty after Milan’s substitute keeper bizarrely and unnecessarily floored Juve’s Kwadwo Asamoah. When I fell asleep in my hotel room after midnight, a platinum blonde woman and three ageing male pundits on state TV were still debating the penalty’s validity. Either way, by Sunday “the Old Lady” could have her 29th title (or 31st, depending on whom you believe).

This is the Italian morass, in which Juventus is trying to thrive. But what to do? England’s Premier League, Agnelli says, makes about €2bn a year from television rights, about half of that domestic and half foreign. Italian clubs make about €1bn, of which almost 90 per cent is generated inside Italy. Agnelli even envies English advertising boards: “You are reading messages in Chinese across all Premier League stadiums. We access multinational companies, but we access their local budgets. We want to be talking to their headquarters.”

In football, money determines success. Agnelli sighs: “Rather than a final destination for top players, we are now a transit league.” Juve’s revenues last year were €214m, less than half Real Madrid’s and Barcelona’s. For now, the club needs infusions of Agnelli money: its net debt has hit €150m after several years of losses, though the new stadium has recently helped Juventus move into profit. The club earned €11.3m net in the six months through last December.

Agnelli still benchmarks Juve against Europe’s best, and he looks abroad for role models. “If one was to look at a perfect situation for a top team,” he says, “it’s a mixture of what you find in England, in Germany, and in Spain.” From England, he would take the stadium and its vendors on match day; from Spain, the freedom of big clubs to sell their TV rights individually rather than having to share them with small teams; and he envies how “corporate Germany” sponsors German clubs. That combination is the fantasy for Italy.

“Now is this possible?” he asks. “No.”

Take something as apparently simple as selling replica shirts, he says. British and German fans flock to buy their team’s new shirt. “In Italy we buy counterfeit shirts. Fake is a problem of this country.” People in a constantly shrinking economy don’t want to pay full whack.

Or there’s the struggle for Italian clubs to build new stadiums: “Italy has been talking for 10 years about passing a law that incentivises building these stadiums,” Agnelli laments.

I point out that most of the problems he complains about are problems of Italy – of the country whose economy grew more slowly than that of any country except Haiti and Zimbabwe in the decade to 2010. Agnelli’s father Umberto once said,“The team has followed the evolution of the nation.” Today, is the nation dragging down the team? “Correct,” Agnelli replies.

He’s cautious about talking politics, but thinking about broader solutions for Italy, he looks to the UK.“Maybe we should go back to analysing British history more, from [1970s’ prime minister Jim] Callaghan to Lady Thatcher and how the 1980s saw England rewriting its future in a very aggressive and disciplined way. Now, does Italy have the same discipline that England showed? I wish. I hope. But if I was to comment on the last 60 days [during which Italy had had neither new government nor president], of national institutions evaluating how to move forward, we haven’t shown the same capacity as England.

“Italian football, as much as Italy, needs structural reforms. Italy a few years ago was at a crossroads – do we want to tackle this and stay competitive? We chose to do nothing. In football, you need a concerted effort: violence, stadiums, trademark protections. Now there isn’t even a government, so we haven’t got a minister of sports.”

If big football clubs really were the globalised behemoths without local souls that their critics see, life would be easy for Juventus. Then the club could forget Italy and play the international market. But even giant football clubs are irredeemably local. Most of their spectators, sponsors, rivals, and a great chunk of their paying TV viewers live inside their own borders. Juventus won’t sink with Italy. But with the country in its current state, not even the Agnelli family club can thrive.

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Il primo tifoso
Il modello vincente
LA NOSTRA ROAD MAP
UN MODELLO DA SEGUIRE

di ANDREA AGNELLI (CorSera 06-05-2013)

Il giorno della vittoria ha sempre un gusto particolare. Si ripensa all'impegno profuso, alle scelte quotidiane che hanno portato al risultato finale, alla situazione iniziale cui si è riusciti a porre rimedio.

Vincere uno scudetto è questione complessa. Vincerne due di seguito ancor più. Un'alchimia? Forse. Un fortunato colpo di prestigio? No.

Certamente la sorte ha un ruolo nel calcio come nella vita, ma spesso la fortuna passa dove la programmazione, il lavoro e l'organizzazione hanno già attecchito. Nel calcio moderno si devono tenere in considerazione molteplici fattori per raggiungere l'obiettivo: la competenza tecnica, i tifosi, la capacità di attrarre le aziende sponsor, il forte ruolo dei media, le risorse finanziarie e gli investimenti (non gli sperperi capricciosi) e, infine ma in cima a tutto, la programmazione. Da tre anni questi elementi sono la nostra road-map. Da molto tempo il calcio italiano fatica a seguire un percorso analogo.

Tutti (me incluso) ci siamo lungamente affannati ad attribuire colpe e responsabilità. Nel frattempo il nostro sistema ha perso terreno in tutte i ranking continentali, che nel mondo del calcio rappresentano implacabilmente il livello di competitività e di redditività. I nostri stadi registrano un numero di spettatori inferiori e in calo rispetto a quello degli altri Paesi, mentre da dieci anni si discute un disegno di legge riguardante gli impianti sportivi. I brand del calcio italiano, conosciuti in tutto il mondo, vengono quotidianamente contraffatti senza che ci sia un'adeguata tutela dei marchi. Il nostro sistema di giustizia sportiva vive continue contraddizioni sulle quali non mi dilungo per amor di Patria, ma che sono sotto gli occhi di tutti. Il quadro normativo riguardante lo sport professionistico risale al 1981 e richiede una revisione complessiva. I nostri giovani atleti, dopo il campionato Primavera, vivono stagioni di continue peregrinazioni poiché l'Italia è l'unico Paese dove non esistono ancora le seconde squadre.

Il nostro calcio è stato fino all'inizio di questo secolo il faro a livello continentale: grandi campioni, grandi folle, grandi partite, grandi successi. Oggi è difficile trovare un match di serie A trasmesso live all'estero: anche sotto questo profilo inglesi, spagnoli e tedeschi ci hanno sopravanzato e distaccato. La mia generazione è cresciuta con «il campionato più bello del mondo» e vorrei che altrettanto succedesse ai miei figli.

Dopo due scudetti consecutivi sarebbe facile guardare lo stadio, di nostra proprietà, pieno, e godere dell'attimo. È giusto invece sottolineare che lo sport in Italia rappresenta l'1,6% del Pil, che il calcio professionistico (A, B e Lega Pro) impiega circa 10 mila addetti e contribuisce alle casse del fisco italiano con un miliardo di euro. Insomma è un comparto industriale a tutti gli effetti. È un patrimonio italiano. Un patrimonio che l'immobilismo sta mettendo a repentaglio.

Si tratta di rispondere ad una semplice domanda: vogliamo che la nostra serie A competa con Bundesliga, Liga e Premier League o preferiamo che il suo ridimensionamento prosegua?

Molti dicono che il calcio sia lo specchio del Paese. È un'affermazione che contesto: il calcio è sempre stato meglio e infatti la gente, a modo suo, non ha mai smesso di amarlo.

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Panorama | 15 maggio 2013

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Panorama | 15 maggio 2013

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Conosciuta a Torino...un'altra che fa parte della "Casta"

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Libero 14-05-2013

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Panorama | 15 maggio 2013

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.oddio

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ma allora abbiamo risolto tutti i problemi di aumento dei ricavi commerciali!

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1. TEMPESTA ALL’INCROCIO MPS-BERTONE-AGNELLI: INTERDETTO L’AVVOCATO BRIAMONTE - 2. IL LEGALE CHE FU PERQUISITO CON IL SEGRETARIO DI TARCISIO BERTONE È ACCUSATO DI INSIDER TRADING NEL CASO MPS PER LA FUGA DI NOTIZIE SULL’AZIONE CONTRO NOMURA - 3. NON SOLO: SAREBBE STATO LUI LA “CERNIERA” TRA DAVID ROSSI E I VECCHI MANAGER DELLA BANCA, CADUTI IN DISGRAZIA. E CI AVREBBE PARLATO PER ULTIMO PRIMA DEL SUICIDIO - 4. BRIAMONTE AVREBBE CHIESTO PROTEZIONE A BERTONE, MA IL NUOVO PAPA HA FATTO CAPIRE AL CARDINALE CHE IL SUO TEMPO, E I SUOI AFFARI IN VATICANO, SONO PROSSIMI ALLA SCADENZA. COSÌ COME QUELLO DEI “LAICI” CHE RONZANO INTORNO ALLO IOR - 5. LO IOR È STATO “SEGNALATO” PER OPERAZIONI DI RICICLAGGIO, COME RIVELA OGGI L’ISPETTORE BRUELHART, CHE “HA AVVIATO SCREENING SUI CORRENTISTI” (MO SO’ c****) -

1 - MPS: MISURA INTERDITTIVA PER COMPONENTE CDA
(ANSA) - La Guardia di Finanza ha notificato oggi a Perugia una ordinanza interdittiva dagli uffici direttivi nei confronti dell'avvocato Michele Briamonte, componente del Cda della banca Monte dei Paschi. Il provvedimento è stato emesso dal Gip di Siena su richiesta della procura della Repubblica.

Nei confronti di Briamonte, la magistratura di Siena ipotizza il reato di insider trading. Secondo l'accusa, Briamonte avrebbe riferito ad alcuni giornalisti i contenuti di una riunione del Cda del Monte dei Paschi, che aveva deciso poco prima di avviare un'azione di responsabilità nei confronti della banca finanziaria Nomura.

2 - MPS:BRIAMONTE INTERDETTO PER 2 MESI,INDAGATO INSIDER TRADING
(ANSA) - La misura interdittiva nei confronti di Michele Briamonte, indagato per insider trading, è valida per due mesi ma è rinnovabile. A lui i pm titolari dell'inchiesta su Mps, Antonino Nastasi, Aldo Natalini e Giuseppe Grosso, sarebbero arrivati grazie ai tabulati telefonici. Gli uffici e l'abitazione di Briamonte, erano stati perquisiti lo scorso 5 marzo nell'ambito dell'inchiesta aperta dopo un esposto denuncia per insider trading, contro ignoti, presentata dall'ad di Mps, Fabrizio Viola.


La notizia della decisione presa dal Cda del Monte, il 28 febbraio, di avviare l'azione di responsabilità nei confronti dei vecchi vertici, e quella risarcitoria verso Banca Nomura e Deutsche Bank, era apparsa su un quotidiano il primo marzo, prima che la banca depositasse al tribunale civile l'azione di responsabilità. Sempre il 5 marzo venne perquisito anche un altro consigliere di Mps, Lorenzo Gorgoni, risultato estraneo.

L'inchiesta per insider trading, di fatto, con il provvedimento nei confronti di Briamonte, secondo quanto si apprende da fonti giudiziarie, viene chiusa e ciò, secondo le stesse fonti, permetterà di chiudere anche quella sulla morte di David Rossi, l'ex responsabile della comunicazione di Mps suicidatosi il 6 marzo. All'epoca, infatti, qualcuno all'interno della banca avrebbe ipotizzato che l'autore della soffiata al quotidiano fosse stato Rossi e che quest'accusa fosse uno dei motivi che lo aveva spinto al suicidio.


3 - VATICANO:BRUELHART,IOR STRUTTURA INTERESSATA DA SEGNALAZIONI
(ANSA) - Lo Ior è "una delle strutture interessate dalle transazioni segnalate". Lo ha detto il direttore dell'Aif vaticana, lo svizzero René Bruelhart, commentando in conferenza stampa i dati del Rapporto annuale da cui sono emersi sei rapporti su transazioni sospette.

4 - BRUELHART, AVVIATO SCREENING SU CLIENTI IOR
(ANSA) - In Vaticano è stato avviato, ed è attualmente "in fieri", uno "screening profondo" per "avere una situazione chiara" di chi sono i clienti dello Ior. "Nei prossimi mesi avremo i risultati", ha detto il direttore dell'Aif, René Bruelhart, durante la conferenza stampa sul Rapporto annuale dell'Authority. "Bisogna collegare questo - ha aggiunto - anche alle segnalazioni fatte sulle transazioni sospette. Se ci sono segnalazioni, vuol dire che la strada intrapresa è quella giusta".

5 - BRUELHART, NON PIU' PROBLEMI INFORMAZIONI DA IOR
(ANSA) - "Non ci sono più limitazioni, per l'Aif non ci sono problemi per ottenere informazioni". Così il direttore dell'Aif, René Bruelhart, ha risposto a una domanda dei giornalisti sulla retroattività delle indagini rispetto all'entrata in vigore (aprile 2011) della legge vaticana antiriciclaggio. "Con lo Ior la situazione é molto migliorata", ha spiegato Bruelhart, che ha ricordato come questi aspetti siano sottolineato anche nel rapporto Moneyval e riferiti dagli stessi valutatori europei.


6 - BRUELHART,DOPO CASO POS AVVIATO DIALOGO BANKITALIA
(ANSA) - Dopo la vicenda del blocco dei pagamenti elettronici con bancomat e carte di credito, le autorità vaticane hanno ritenuto "necessario entrare in un dialogo costruttivo con la Banca d'Italia". "Abbiamo lavorato in questi mesi - ha detto in conferenza stampa il direttore dell'Aif, René Bruelhart - e abbiamo instaurato questo dialogo che nel prossimo futuro verrà formalizzato". Bruelhart ha anche spiegato che nella vicenda dei pagamenti Pos bloccati all'inizio del 2013, "la Banca d'Italia ha chiuso alcune attività relative a banche europee che avevano rapporti con lo Ior", puntualizzando che "la Banca d'Italia non ha giurisdizione sul Vaticano e sullo Ior" e che quindi le ingiunzioni della Banca d' Italia "non riguardavano il Vaticano".

7 - MPS:BRIAMONTE,AVVOCATO DEGLI AGNELLI E CONSULENTE IOR (ANSA) - Michele Briamonte, 36 anni, è consigliere di Mps dall'aprile 2012, quando alla presidenza dell'istituto senese arrivò Alessandro Profumo. Conosciuto come il legale di Fiat e Juventus, Briamonte fa parte infatti dello studio Grande Stevens, da sempre 'l'avvocato dell'Avvocato Agnellì. In questa veste ha difeso il club bianconero nella vicenda Calciopoli e lo stesso Grande Stevens nel processo per l'equity swap di Ifil-Exor, che ha visto il 21 febbraio la condanna in Appello di Gabetti e Grande Stevens.


La nomina nel cda di Mps per l'avvocato piemontese arrivò grazie alla decisione di inserirlo nella lista dei soci privati formata da Unicoop, Finamonte (la finanziaria della famiglia Aleotti, proprietaria della Menarini). Pochi giorni dopo la perquisizione del 5 marzo dell'abitazione e degli uffici di Briamonte, ordinata dalla procura senese, L'Espresso pubblicò la notizia che l'avvocato, che è anche un consulente dello Ior, era stato fermato per un controllo a Fiumicino insieme a monsignor Roberto Lucchini, uno dei collaboratori del Segretario di Stato, cardinale Tarciso Bertone.

Briamonte presentò ai finanzieri un passaporto diplomatico vaticano, cosa che gli avrebbe permesso di evitare la perquisizione dei bagagli. Subito, però, vennero esclusi collegamenti tra l'inchiesta senese e quanto successo a Fiumicino. Poco più di un mese prima alla procura di Siena i magistrati titolari dell'inchiesta su Mps avevano sentito, come persona informata sui fatti l'ex presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi, da sempre rappresentante in Italia di Banco Santander, l'istituto che aveva venduto nel 2009 al Monte Antonveneta per 9,3 miliardi di euro.

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/1-tempesta-allincrocio-mps-bertone-agnelli-interdetto-lavvocato-briamonte2-il-legale-che-fu-perquisito-56287.htm

Modificato da CRAZEOLOGY

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VERGOGNA FIAT! MARPIONNE SCAPPA A LONDRA E SOTTRAE AL FISCO 600 MLN L’ANNO MA LA CASSA INTEGRAZIONE LA PAGANO I CONTRIBUENTI ITALIANI Quella che era Fiat Industrial diventa “DutchCo”, una società olandese che avrà sede, e pagherà le tasse, in Essex - I camion, i trattori e gli autobus della Fiat saranno formalmente “made in England” - Oggi in Italia la Fiat paga il 36%, alla Regina verserà solo il 20%


I camion, i trattori e gli autobus della Fiat saranno formalmente "made in England". In questa maniera la società che li costruisce pagherà le tasse al Cancelliere dello Scacchiere anziché a Fabrizio Saccomanni. La notizia è contenuta nel documento che Marchionne ha depositato alla Sec (la Consob di Wall Street) perché la nuova società sarà quotata a New York. In Italia, invece, non resterà molto.


2. FIAT IN FUGA DALLE TASSE SCAPPA A LONDRA: L'ITALIA PERDE 600 MILIONI
Nino Sunseri per "Libero"

Si chiamerà DutchCo e sarà il frutto della fusione tra Fiat Industrial e la filiale americana Cnh. Conterrà tutta la parte del gruppo torinese (ma chissà se è corretto chiamarlo ancora così) che non è auto. A cominciare, per esempio, dagli autocarri dell'Iveco. «La società - è scritto nel prospetto - intende operare in modo da essere considerata residente nel Regno Unito». Per lo Stato italiano una perdita secca di 536 milioni per imposte sul reddito e 28 milioni come Irap. In totale circa 600 milioni l'anno che aumenteranno quando il gelo della recessione sarà placato.


la decisione di Marchionne ha suscitato immediate polemiche. Tanto più che l'operazione è molto complessa. La sede della società non sarà più in via Nizza 250 a Torino ma ad Amsterdam dove già è collocata Iveco. La sede operativa sarà a Basildon, nell'Essex, in Cranes Farm Road. Quindi a incassare le tasse sarà il fisco di Sua Maestà. Il fuoco di fila delle proteste non ha tardato a manifestarsi. Il più deciso, ovviamente, Maurizio Landini che chiede l'immediato intervento del governo per bloccare l'emigrazione.

Il supermanger si mostra consapevole affrettandosi a spiegare che «in ogni caso, DutchCo intende fare in modo che la struttura dei manager e organizzativa sia tale che la società venga considerata residente nel Regno Unito dall'incorporazione, sulla base del trattato fiscale Italia-Regno Unito».A fargli da sponda il vice ministro dell'economia Stefano Fassina che ha dichiarato il governo «contrario » alla decisione della Fiat. Non tutto il governo, a quanto pare. Maurizio Lupi, titolare delle Infrastrutture, si è tenuto ben lontano dalle condanne. «È una decisione che deve stimolarci a creare le condizioni affinché le imprese restino in Italia». Probabilmente intorno a questa emigrazione si aprirà un duro braccio di ferro tra Marchionne e l'Agenzia delle Entrate.

Tutt'altra, ovviamente, per un'azienda come la nuova DutchCo che su 68 stabilimenti ne conta appena quattordici in Italia. Inoltre sta progressivamente spostando gli investimenti: Stralis, il modello di punta di casa Iveco sarà fabbricato in Spagna. Quanto accade con camion e trattori è solo il prologo di quanto accadrà l'anno prossimo con la fusione tra Fiat e Chrysler. La sede sarà Detroit. Per il fisco italiano si annuncia un altro buco piuttosto consistente. Troppe tasse.Il problema non è all'ordine del giorno dell'incontro di oggi fra Cameron e Letta. Né sarà facilissimo sollevarlo in futuro. Tanto più che la partita si gioca tutta all'interno dell'Unione europea. Perché una cosa sono Valentino Rossi o Giancarlo Fisichella che pur abitando stabilmente in Italia avevano fissato la residenza a Montecarlo.

Tutt'altra, ovviamente, per un'azienda come la nuova DutchCo che su 68 stabilimenti ne conta appena quattordici in Italia. Inoltre sta progressivamente spostando gli investimenti: Stralis, il modello di punta di casa Iveco sarà fabbricato in Spagna. Quanto accade con camion e trattori è solo il prologo di quanto accadrà l'anno prossimo con la fusione tra Fiat e Chrysler. La sede sarà Detroit. Per il fisco italiano si annuncia un altro buco piuttosto consistente. Troppe tasse.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/vergogna-fiat-marpionne-scappa-a-londra-e-sottrae-al-fisco-600-mln-lanno-ma-56258.htm

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ECONOMIA

24/05/2013
Elkann entra nel board
di New News Corp

Il presidente di Fiat a Bagnaia:
“I giornali di qualità hanno futuro
Bisogna puntare sulle tecnologie”


BAGNAIA (SIENA)
News Corp si divide in due: il consiglio di amministrazione del colosso dei media approva formalmente la separazione in due società, una editoriale l’altra di intrattenimento, con effetto dal 28 giugno prossimo. E annuncia la composizione dei loro consigli: in quello della nuova News Corp., la divisione editoriale che include il Wall Street Journal e HarperCollins, entra il numero uno di Fiat John Elkann, che affiancherà Rupert Murdoch e i suoi figli, James e Lachlan, ma anche José Maria Aznar. Nel cda di 21st Century Fox, la divisione intrattenimento, siederà, oltre alla famiglia Murdoch, anche Delphine Arnault, la figlia di Bernard Arnault, il numero uno di LVMH.

Le due nuove società saranno ambedue quotate. «L’annuncio odierno è un significativo passo nel creare due società indipendenti con un portafoglio di asset fra i maggiori al mondo» afferma Rupert Murdoch, che sarà presidente e amministratore delegato di 21st Century Fox e presidente esecutivo della nuova News Corp. «Continuiamo a ritenere che la separazione possa liberare il vero valore delle due società e dei loro asset, consentendo agli investitori di beneficiare di opportunità strategiche diverse, risultato di un management più concentrato su ognuna delle due divisioni - mette in evidenza Murdoch -. La separazione creerà due leader del settore, che saranno guidati da persone che hanno mostrato acume delle loro attività e che portano esperienze diverse».

Nell’approvare la separazione, il cda di News Corp ha approvato anche la distribuzione di tutte le azioni della nuova News Corp agli stockholder: un’azione della nuova News Corp per ogni quattro azioni di News Corp. La nuova News Corp procederà, una volta avvenuta la divisione, anche all’acquisto di 500 milioni di azioni proprie. Approvata anche una clausola che punta a bloccare eventuali scalate ostili nel periodo della separazione, durante il quale sono previsti scambi sostenuti: le azione delle due società includono il diritto di acquistare più titoli nel momento in cui singoli investitori acquistassero una quota superiore al 15%. I diritti agli acquisti scadranno per la divisione editoriale fra un anno a partire dalla separazione e a un anno da oggi per 21st Century Fox.

Il presidente di Fiat ha parlato di editoria intervenendo all’Osservatorio Permanenti Giovani-Editori a Bagnaia. «Sono fiducioso che gli azionisti» di Rcs «facciano le scelte» nell’interesse della società, ha affermato Elkann in qualità di azionista del gruppo del Corriere della Sera in vista dell’assemblea degli azionisti chiamata a varare l’aumento di capitale. «Sarei molto sorpreso se per egoismi, interessi personali e calcolo volessero bocciare la proposta e di fatto mettere in condizioni di grandissima difficoltà una delle istituzioni più importanti del Paese».

Elkann lancia uno sguardo sul futuro dei media: «La complementarietà tra carta e digitale al momento sta premiando. Nel futuro i tablet cambieranno, saranno modulabili e quindi più simili alla carta. L’innovazione comporterà quindi un minore consumo di carta». Poi l’editore Elkann ha parlato de La Stampa: «Siamo quelli che crescono più di tutti sul digitale». «Chi è focalizzato sul proprio mestiere affronta meglio le sfide del futuro», ha detto Elkann facendo riferimento alle operazioni Oltreoceano nel campo dell’editoria realizzate da Newscorp e Time Warner. «La Stampa sul digitale ha avviato dei progetti molto ampi sotto la guida di Bardazzi e Calabresi e stiamo registrando progressi enormi».

«L’esperienza dell’Osservatorio Permanenti Giovani-Editori offre a noi editori lo scambio di opinioni con i ragazzi offrendo stimoli nuovi. L’iniziativa fa leggere di più i ragazzi; le testate divengono “garanti di informazione” e la diffusione dell’informazione assume un risvolto sociale, legato alla voglia di partecipare al dibattito civile», ha detto il presidente de «La Stampa», intervistato da Ferruccio de Bortoli, al convegno «Crescere tra le righe». «Warren Edward Buffett ha investito sui giornali locali con l’idea chiara che i giornali hanno importanza nei confronti dei lettori. È interessante il fatto che i giornali di qualità hanno continuato a progredire nel mondo come l’Economist di cui sono azionista. La cosa interessante - ha aggiunto tra l’altro Elkann - è capire chi è produttore di tecnologia (ad esempio Google) e come la applica all’informazione, rispetto all’editore di quotidiani che ne fa uso».

L’editore focalizzato sul proprio mestiere, ha affermato tra l’altro Elkann - è capace «di affrontare meglio le sfide del futuro». «Con la Stampa.it abbiamo fatto progressi molto ampi, siamo la testata che cresce più di tutti anche su applicazioni mobili: il mobile è la novità di questo periodo». Anche la carta stampata «punta sull’innovazione: sono molteplici gli esempi come contenuti speciali, oppure giocare sul cartaceo e digitale, che apre scenari nuovi che consentono di leggere ádal giornale fisico gli articoli e poiá vedere il film da tablet». Il tablet, ha sottolineato ancora Elkann, «crescerà molto di più in futuro della carta, ma la complementarietà con la carta premia». «L’innovazione ci porterà ad avere meno consumo di carta. Il digitale sta crescendo molto rapidamente, anche la pubblicità sta aumentando sul digitale, mentre sul cartaceo sta diminuendo notevolmente, fino al 50%. L’integrazione tra tablet e cartaceo incrementa i lettori, tutti noi leggiamo molto di più rispetto un tempo, occorre vedere però l’aggregato tra i due. I lettori persi nelle copie cartacei non penso verranno recuperati». «Avere accesso a maggiore informazione ci rende più consapevoli e critici, la partecipazione che le persone possono avere è molto più reale, nell’evoluzione del mondo tutti possono avere informazione a costi più bassi. Aumenta la possibilità di partecipare ai cambiamenti, sperando in maniera evolutiva piuttosto che rivoluzionaria», ha concluso Elkann.

http://www.lastampa.it/2013/05/24/economia/elkann-entra-nel-board-di-new-news-corp-rxcWpOpn2iNIuxqmPLGMdK/pagina.html

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ECONOMIA
24/05/2013
Lapo Elkann sbarca in Borsa


Il 29 maggio l’assemblea
di Italia Independent Group


Italia Independent Group fa rotta su Piazza Affari. Il primo passaggio formale è fissato per mercoledì prossimo, 29 maggio, con l’assemblea della holding del gruppo attivo negli occhiali da vista e da sole e in una serie di svariati prodotti `lifestyle´. I soci, guidati dal presidente Lapo Elkann, che detiene il 64% del capitale di I-I, sono chiamati a dare il via al processo di quotazione che si concluderà, secondo i programmi, col debutto il mese prossimo all’Aim, il mercato alternativo dei capitali dedicato alle piccole aziende.

L’impresa fondata sei anni fa dal nipote di Gianni Agnelli con Giovanni Accongiagioco (attuale direttore operations della società operativa Italia Independent Spa e azionista della holding al 4,49%) e Andrea Tessitore (amministratore delegato e terzo socio con una quota pari all’11,13% del capitale, dietro Mario Ginatta all’11,7%) ha registrato nel 2012 ricavi per 15,6 milioni (da 9,6 milioni del 2011) e un Ebitda di 2,9 milioni (da 1,4 milioni) e punta a crescere, fuori dall’Italia e dall’Europa, guardando anche a Oriente.

Oggi il gruppo con sede a Torino, una filiale negli Usa, tre unità locali a Milano, Parigi e Barcellona, due outlet gestiti direttamente e un sito per l’e-commerce, ha aperto a Rivoli, nei pressi del capoluogo piemontese, il nono negozio monomarca. «È il primo realizzato grazie alla partnership con la branch italiana di Essilor, multinazionale francese leader nel settore ottico-oftalmico», ha sottolineato Tessitore. «Grazie alla partnership con Essilor - ha osservato Accongiagioco - i clienti potranno avvalersi di un servizio completo, dalla scelta della montatura all’installazione delle lenti oftalmiche, oltre ad un servizio di assistenza after-market».

http://www.lastampa.it/2013/05/24/economia/lapo-elkann-sbarca-in-borsa-z3dK3Kwt7jd40Eew2tfB7J/pagina.html

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piccolo o.t.

sembra impossibile che oggi non si riesca a capire ciò che lui 40/50 anni fa aveva capito

non solo l'argomento nella firma di craz ma in tantissimi altri vedeva più in la del proprio naso

non so se avete notato chi partecipava a quel dibattito

il confronto con l'oggi è .............. impietoso ,disumano

non è la tv in se stessa a rincoglionire

ma chi la produce che ci vuole rincoglioniti

scusate non ho resistito

grazie craz

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il Giornale 28-05-2013

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il Giornale 28-05-2013

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chi l'ha scritto ???

wmontero?

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Marchi globali E il recente rally di Borsa ha portato il Lingotto sopra i 6 euro
Exor La doppia partita di John
si gioca tra Torino e Wall Street

Com’è cambiata la cassaforte con Elkann. Ora le due fusioni
Fiat Industrial ora pesa più dell’auto. Il ruolo di Marchionne

di RAFFAELLA POLATO (CORRIERECONOMIA 03-06-2013)

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«Mi piacerebbe avere tante Chrysler, sarebbe un'opportunità fantastica». In fondo bastano poche parole — queste, per esempio — a fotografare la strategia Exor. E le sue svolte. John Elkann in dieci anni ha rivoltato la holding di casa Agnelli: non senza errori (e li ha ammessi), ma trasformandola in una barca leggera, veloce, capace di reggere alla Grande Crisi.

Il paradigma
Poi si può dire: è stato soprattutto grazie a Sergio Marchionne. Vero. Certamente. Senza di lui l'auto e i camion, i trattori, le macchine da costruzioni ­— ossia i due storici business di Torino, che però sono anche tra i settori cui lo tsunami partito dagli Usa nel 2008 ha fatto pagare il conto più salato — non avrebbero tenuto. Forse, in qualche caso, sarebbero arrivati proprio al limite della sopravvivenza.

Ma Exor non è solo automotive. E a ogni modo anche nell'automotive, senza il supporto dell'azionista di maggioranza, le scelte «non per deboli di cuore» decise da Marchionne magari non sarebbero state fatte. Poco conta che non ci fossero alternative, per la Fiat e per gli Agnelli.

Cinque anni fa altri costruttori generalisti, in Europa, erano altrettanto poco attrezzati davanti a una crisi che non ha ancora smesso di picchiare. Ma pensavano — e in effetti così pareva — di stare meglio del Lingotto. Oggi il bilancio Fiat-Chrysler chiude con utili che assorbono abbondantemente le perdite europee. Altri (Peugeot, che come Opel rifiutò l'alleanza, in testa) viaggiano in profondo rosso.

Così quella frase, «mi piacerebbe avere tante opportunità come Chrysler», non è soltanto l'omaggio a un'operazione che somma azzardo e coraggio e che ora, nel pieno dei lavori per la fusione e successiva quotazione a Wall Street, vede avvicinarsi una prima chiusura del cerchio. Quella frase è il «paradigma Exor»: la sintesi delle trasformazioni che Elkann ha già fatto e della strategia che intende rafforzare.

Dieci anni fa, nel biennio orribile per il Lingotto e per la dinastia — rimasta apparentemente senza un leader dopo la morte di Giovanni e poi di Umberto Agnelli — il controllo del gruppo passava attraverso cinque società e tre tipologie di azioni. Gli investimenti erano una trentina, nei settori più diversi. L'Europa, e l'Italia, concentravano il grosso degli attivi.

Diversificazione
Oggi la globalizzazione reale di Fiat, passata da oltre il 60% a meno di un terzo del fatturato nel Vecchio continente, si riflette nella diversificazione della stessa Exor. Le cinque holding sono diventate una sola. La semplificazione è proseguita nella struttura del capitale: solo azioni ordinarie. E negli investimenti: appena quattro, ora, i settori, e con un debito ridotto dal 50% a meno del 10% degli attivi. Come dice Elkann: «Ci concentriamo, e cresceremo, solo in quello che conosciamo meglio e sappiamo fare bene».

Qui arriva quella che per alcuni sarà una sorpresa: non è l'auto, la partecipazione di maggior valore nel portafoglio Exor. Molto prima ci sono i camion, i trattori, le macchine da costruzioni: Industrial-Cnh, che completeranno la fusione tra luglio e i primi di settembre e hanno fatto da apripista per Fiat-Chrysler (l'operazione Wall Street seguirà per molti aspetti lo stesso schema), «pesano» oggi per 3,3 miliardi e dunque più o meno per un terzo sul totale degli investimenti della finanziaria. Poi viene la svizzera Sgs (dove Umberto Agnelli «pescò» Marchionne). Soltanto — e prima dell'immobiliare di Cushman & Wakefield — spunta l'auto.

Dopodiché la Borsa sul merger Torino-Detroit ha iniziato a scommettere (e speculare). Con Fiat salita di quasi il 70% solo negli ultimi sei mesi, la forbice con Sgs e Industrial si restringe: rispetto alla controllata elvetica il sorpasso è questione di poco. Tutt'altro che un problema, ovviamente. Era il Lingotto che, prima, era sottovalutato. Poi si può, e probabilmente si deve, prendere con cautela alcuni dei report che alzano di parecchio ma solo adesso il prezzo-obiettivo. O se non altro è utile sapere che, se vengono per esempio da Deutsche Bank, Bank of America, Bnp o Goldman Sachs (come l'ultimo, che giovedì ha rivisto il target da 5,1 a 6,3 euro), vengono da istituti interessati al rifinanziamento Fiat e alle varie fasi dell'operazione Wall Street.

Però, detto questo, qualcosa vorrà dire se la stessa scommessa è pronta a farla Exor. Quando c'erano in ballo le alleanze con Peugeot o Opel, cinque anni fa, Elkann si disse pronto a favorirle anche «diventando azionisti più piccoli di un gruppo più grande». Quella regola, per Fiat-Chrysler, non vale più. Tornerebbe forse se si profilasse di nuovo un terzo partner. Ma se, o meglio quando, per la newco dell'auto arrivasse un aumento di capitale, il socio di controllo non lascerebbe diluire il proprio attuale 30%: sottoscriverebbe (senza bisogno di ricorrere a ricapitalizzazioni, visto che la holding in cassa ha 1,2 miliardi). Non era scontato. È un preciso segnale al mercato. Ed è un'altra traccia di dove l'Exor di Elkann voglia andare nei prossimi anni.

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Inviato (modificato)
La cassaforte Fiat Auto, le immatricolazioni frenano la caduta amaggio (-8%). La quota del Lingotto scende al 30,2%

Gli Agnelli cedono Sgs per 2 miliardi

Exor vende il 15% ad Albert Frére, plusvalenza da 1,5 miliardi

di RAFFAELLA POLATO (CorSera 04-06-2013)

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MILANO — Non ne avrebbe bisogno. E non ne avrà, in effetti, per Fiat-Chrysler: lì saranno sufficienti le risorse che già aveva in cassa. Da ieri in ogni caso la liquidità di Exor è ancora più elevata. Quasi il triplo — da 1,2 a 3,2 miliardi — grazie a Sgs e alla classica offerta «irrinunciabile». Firmata Groupe Bruxelles Lambert, porterà alla holding di casa Agnelli 2 miliardi e una plusvalenza in proporzione persino più ricca: 1,530 miliardi. John Elkann ne ha dunque più che a sufficienza per garantire da un lato i mezzi di cui l’auto prima o poi avrà necessità, senza perciò dover aumentare il capitale della finanziaria, e dall’altro per mettersi a caccia di nuove occasioni.

Con Sgs, ceduta ieri a sorpresa dopo un mese di trattative tutte nell’ambito del capitalismo familiare internazionale (gli azionisti di controllo di Bruxelles Lambert sono i Frére e i Desmarais: rapporti diretti con Elkann, trait d’union nell’operazione Gerardo Braggiotti), la holding torinese «perde» la sua seconda partecipazione per valore economico. Lo fa guadagnandoci tantissimo non soltanto in cifre assolute, ma soprattutto in termini di rendimento: in portafoglio a Exor dal 2000, il 15% della società in cui Umberto Agnelli «scoprì» Sergio Marchionne si è rivalutato mediamente del 17% ogni singolo anno (compresi quindi quelli della tempesta perfetta sui mercati globali).

È tuttavia impensabile che l’intera liquidità ora in cassa — i famosi 3,2 miliardi — venga destinata alla sola Fiat-Chrysler. Primo: come lo stesso Elkann ha dichiarato appena giovedì scorso, all’assemblea della holding, se «è presto per dire di cosa avrà bisogno» l’auto post-fusione «di sicuro» già sarebbe bastato (ovvero basterà) il cash che la finanziaria aveva anche prima della cessione Sgs. Secondo: il numero uno di Exor non ha nessuna intenzione di mettere a repentaglio la diversificazione del portafoglio, concentrandolo in appena tre grandi partecipazioni (a parte gli investimenti minori ora rimangono, in ordine di capitalizzazione, Industrial-Cnh, Fiat-Chrysler e l’immobiliare di Cushman & Wakefield).

La caccia quindi comincia. E, sebbene Elkann sia stato prevedibilmente vago in assemblea, qualche traccia l’ha offerta. Ovvio che il sogno, guardando allo straordinario turnaround di Auburn Hills, sarebbe «avere tante opportunità come Chrysler». Altrettanto ovvio che non sia facile. Queste in ogni caso le caratteristiche di massima che Exor cerca: leadership di settore (escluso esplicitamente solo il biotech e l’alta tecnologia in genere), naturalmente potenzialità di crescita, base in Europa o negli Usa ma dimensioni globali.

È un quadro che piace a Piazza Affari. Non solo per le prospettive della holding, premiata con rialzi vicino al 3% anche nella fase peggiore del listino e fissati poi, in chiusura, all’1,38% (24,9 euro). È chiaro che al centro dell’attenzione c’è sempre più l’auto, in piena fase «grandi manovre». Il sostegno garantito dall’azionista di controllo, intenzionato a non diluire il proprio 30%, si riflette a specchio su entrambi i titoli. E, allo stesso modo, a trainare sia l’uno sia l’altro è stata ieri, di nuovo, la performance di vendite messa a segno pure in maggio da Chrysler. In Italia, in serata, i dati diranno che Fiat perde l’11,7% in un mercato in calo dell’8%: e il Lingotto poi, con riferimento implicito al contenzioso con la Selmat, spiegherà che «sono quasi 3 mila le vetture vendute ma che non è stato possibile consegnare ai clienti» per il blocco di alcune forniture. Se anche per questo, da noi, la quota di Torino scende al 30,24%, negli Stati Uniti continua la lunga corsa del gruppo. Sale ancora — e fanno 38 mesi consecutivi — l’intero gruppo Chrysler, che mette a segno un +11%. Ma sale anche Fiat, grazie alla 500, che supera il traguardo delle 100 mila auto vendute dallo sbarco negli Usa (nel 2011). E sono proprio le performance americane, annunciate in mattinata, a fornire altra benzina al titolo: +3,2%, ormai a quota 6,3 euro.

La due giorni dell’accomandita nella sede della Ferrari

La cassaforte degli Agnelli, tutti i soci a Maranello

di RAFFAELLA POLATO (CorSera 05-06-2013)

MILANO — John Elkann li ha riuniti di anno in anno nelle varie sedi torinesi. Tra macchine, camion, trattori. Da lì arriva del resto il grosso degli utili e dunque dei dividendi. Ma c’è altro, nel gruppo, che porta reddito e allo stesso tempo glamour, prestigio, indiscussa e trasversale fama planetaria. Non c’è dubbio che sarà sempre più Fiat-Chrysler la «bandiera business» di casa Agnelli. Altrettanto sicuro che il passepartout noto in tutto il mondo, il marchio conosciuto quasi quanto la Coca-Cola vada sempre sotto il nome di Ferrari. Vince ovunque, dalle strade ai circuiti di Formula Uno. La progettano e la fabbricano ai piedi dell’Appennino modenese. E lì, questa volta, il plenipotenziario Elkann ha fissato l’assemblea di famiglia. Il bilancio 2012 la Giovanni Agnelli & C. lo approverà a Maranello, tra domani e venerdì.

Alla fine, secondo una regia concertata con il padrone di casa Luca Cordero di Montezemolo, la cinquantina di azionisti della cassaforte proverà probabilmente le nuove «Rosse» sul circuito di Fiorano. Prima, per l’intera due giorni cui Elkann ha invitato il francese Ernest-Antoine Seillière («omaggio» annuale al capitalismo familiare, in questo caso tra l’altro Saint Gobain), l’agenda sarà particolarmente intensa. Gli Agnelli, i Nasi, i Rattazzi, i Camerana e gli altri rami della dinastia avranno intanto di che festeggiare: Elkann li accoglierà forte dei due miliardi — uno e mezzo dei quali di plusvalenza — che grazie alla cessione di Sgs sono appena entrati nei conti di Exor, la holding attraverso cui l’accomandita controlla la galassia. Da lì al «piatto forte», nel giro d’orizzonti sul 2013, la linea è diretta. Non ci saranno nuovi dettagli, ancora, sulla fusione Fiat-Chrysler. Ma Sergio Marchionne farà comunque il punto sia su questo merger sia su quello ormai in dirittura d’arrivo, vale a dire Industrial-Cnh (le rispettive assemblee straordinarie sono state convocate ieri per il 9 e 23 luglio). Non troverà scettici in sala. Né lui né, ovviamente, Elkann: è chiaro che, se già dall’assemblea Exor il presidente ha annunciato «l’assoluta convinzione» dell’azionista sulla «bontà della torta» Fiat-Chrysler, il consenso della famiglia a non diluire, anzi, a rafforzare l’impegno, c’è e ci sarà.

INTANTO UN SOCIOLOGO INDUSTRIALE, NON DA SALOTTO, GIORDANO SIVINI, ANTICIPA LE CONCLUSIONI

Fiat Auto sarà ancora un’azienda o si ridurrà a un business case?

La risposta la conosce solo Marchionne ma presto sarà svelata

di RICCARDO RUGGERI (Italia Oggi 05-06-2013)

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È dalla morte del professor Valletta che studio Fiat Auto, la Famiglia Agnelli, i supermanager che l’hanno guidata. Fino alla metà degli anni ‘90 dall’interno, poi dall’esterno, quindi da investitore, da 10 anni sono concentrato sul personaggio più affascinante, Sergio Marchionne.

Per questo motivo, leggo tutto ciò che viene pubblicato in Italia e all’estero, così non mi è sfuggito un recentissimo libro di Giordano Sivini, professore ordinario di Sociologia Politica, membro del Centro Ricerche sulla governance dei processi economici dell’Università della Calabria.

Casualmente ho finito di leggerlo proprio il giorno nel quale Exor ha dichiarato di vendere il suo pacchetto di SGS, decisione strategicamente importante per una holding di partecipazioni. Il titolo SGS era una presenza storica voluta da Umberto Agnelli e aveva il compito di diversificare il portafoglio, riducendo il «peso» percentuale del comparto «ruote», che penalizza la valutazione del mercato in termini di NAV (net asset value).

John Elkann si è affrettato a smentire qualsiasi legame con un eventuale aumento di capitale in Fiat Auto, per l’acquisizione del 41,5% di Chrysler posseduto da Veba, affermando che per quello avevano in cassa liquidità sufficiente.

La copertina del libro di Sivini è orrenda, non solo per la grafica, ma per ciò che c’è scritto. Merita riportarlo. Partendo dall’alto: «Marchionne e gli Agnelli», in grande il titolo «Compagni di Rendite», quindi il sottotitolo «In attesa dell’americanizzazione, flessibilità bestiale nelle fabbriche italiane, mentre non tutto va bene in quelle americane della Chrysler». L’editore è Stampa Alternativa.

Superato lo choc della copertina, adatta più alla biblioteca di un Centro Sociale che a comuni lettori, a partire dall’Introduzione dell’autore, il libro si snoda in modo classico, con interessanti flash back. L’analisi è di alto profi lo, condotta con grande equilibrio, ineccepibile nel tener fuori polemiche, gossip, ideologie (tutte concentrate nella copertina).

È evidente che il «taglio» è del sociologo, ma di quelli che chiamo «sociologo di fabbrica», figura che nulla ha a che fare con il «sociologo da salotto», che troviamo prima nei talk show, poi in Parlamento. Le parti migliori sono, come ovvio, quelle attinenti al mondo della produzione, sia degli stabilimenti italiani che di quelli americani.

Giusta o sbagliata che sia, ho elaborato una teoria di quale sia il probabile «finale» del caso Fiat. Sulla base di questa teoria (che tengo per me) ho individuato il percorso che dovrebbero effettuare tutti coloro che, vuoi per interesse istituzionale (governo, sindacati, analisti, investitori), vuoi per sfida culturale (accademici, giornalisti), cercano di scoprire cosa è contenuto nel «tabernacolo» presidiato da Marchionne e da John Elkann.

Giordano Sivini ha svolto nel modo professionalmente migliore il suo compito, questo lo ha portato a raggiungere l’ultimo «campo base», al quale stanno arrivando via via tutti gli analisti. Onestamente, oltre non poteva andare, ma coloro che vorranno percorrere l’ultimo tratto, molto dovranno a lui, alla sua capacità di archeologo industriale, all’aver raccolto con grande sensibilità le frasi «topiche» pronunciate da Marchionne (un curioso «siamo una global octopus»), dagli uomini dell’area «Engineering e Design», da quelli della Produzione, tutte puntuali. Dall’ultimo «campo base» in avanti, Marchionne sarà solo, avrà staccato il satellitare, nessuno saprà quale «via» sceglierà per arrivare alla vetta, cioè all’Ipo (la quotazione di Chrysler-Fiat a Wall Street) e soprattutto perchè.

Sono curioso di capire chi sarà, nelle prossime settimane, ad arrivare al tabernacolo ove è custodita la risposta al quesito che da “investitore” mi sono posto nel febbraio del 2009, nel momento in cui i titoli Fiat furono classificati da Moody’s «spazzatura»: «Fiat Auto sarà ancora un’azienda o un business case»?

Panorama | 12 giugno 2013

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LA STAMPA 06-06-2013

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io sono un povero disgraziato campagnolo che non capisce un c**** di economia

però mi sembra di capire una cosa

questi analistri nostrani danno valutazioni su strategie globali con cognizioni nazionali

in poche parole non hanno le giuste nozioni per poter analizzare certe visioni certe strategie

non ne hanno gli strumenti gli studi le elementari conoscenze

io l'ho capito quando marchionne rifiutò gli incentivi sulle auto e chiese al governo una cosa banale

di mettere le industrie in grado di lavorare

e poichè il paese italia non poteva soddisfare questa sua richiesta per

arretratezza culturale prima che economica

usci da confindustria

praticamente usci dal sistema italia

sanci la rottura da un modo di essere ed un altro

parliamo due lingue diverse

chi ha ragione ?

questo non so

però so che la exor è nel mondo vivo

e l'italia è ricoverata in un hospice

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io sono un povero disgraziato campagnolo che non capisce un c**** di economia

però mi sembra di capire una cosa

questi analistri nostrani danno valutazioni su strategie globali con cognizioni nazionali

in poche parole non hanno le giuste nozioni per poter analizzare certe visioni certe strategie

non ne hanno gli strumenti gli studi le elementari conoscenze

io l'ho capito quando marchionne rifiutò gli incentivi sulle auto e chiese al governo una cosa banale

di mettere le industrie in grado di lavorare

e poichè il paese italia non poteva soddisfare questa sua richiesta per

arretratezza culturale prima che economica

usci da confindustria

praticamente usci dal sistema italia

sanci la rottura da un modo di essere ed un altro

parliamo due lingue diverse

chi ha ragione ?

questo non so

però so che la exor è nel mondo vivo

e l'italia è ricoverata in un hospice

io non ho dubbi su chi abbia ragione

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