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CRAZEOLOGY

Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"

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LUNEDI' 3 MAGGIO 2010

Exor: Alberto Musy rappresentante soci privilegio per triennio 2010-2012

(Il Sole 24 Ore Radiocor) - Milano, 03 mag - L'assemblea degli azionisti titolari di azioni privilegiate Exor, riunitasi a Torino, ha nominato l'avvocato Alberto Maria Musy rappresentante comune degli azionisti titolari di azioni privilegiate per i prossimi tre esercizi 2010-2012. Red- (RADIOCOR) 03-05-10 14:56:01 (0159) 5 NNNN

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http://archivio-radiocor.ilsole24ore.com/articolo-807384/exor-alberto-musy-rappresentante-soci/#ixzz1ptHsgDpV

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Dunque...

Ieri sera ho guardato casualmente il tg di Mentana su La7.

Avete sentito delle nuove accuse a Emilio Fede, pubblicate da Corriere e LaStampa?

Avete sentito lui cosa ha risposto?

.read .read .read

Roma, 27 MAR 2012

Fede a tg La7:

Soldi in Svizzera? Vogliono mettermi in difficoltà

Ma chi ha organizzato stia attento, in 48 ore saprò da dove arriva

Roma, 27 mar. (TMNews) - "Con una semplicità estrema, due milioni e mezzo, 'sacchettata', passo la dogana dove posso essere inchiappettato e li porto in Svizzera: guarda caso trovo un impiegato della segretissima banca svizzera che non li vuole". Lo ha detto Emilio Fede in un'intervista rilasciata rilasciata al Tg La7 di Enrico Mentana.

"Qualcuno ha voluto anticipare i tempi per mettermi in difficoltà - ha continuato - Diciamo politicamente, non allarghiamoci più di tanto. Sono convinto che nello spazio di 48 ore io saprò da dove arriva, perchè ci sono come li chiamo io quei 'servizietti di toilette deviatini' che magari hanno dato una manina perchè non è possibile: qualcuno ha ottenuto da un signore impiegato una dichiarazione falsa".

"Chi ce l'ha con me? Faccio prima a dire chi non ce l'ha con me. Ma chi l'ha organizzato deve essere ben certo che nell'armadio non ci sia qualche scheletro. Capita: un amore sbagliato, una frequentazione sbagliata, un transess...beh, un amore deviato. Insomma: bisogna stare molto ma molto attenti", ha poi aggiunto.

http://www.tmnews.it...327_00261.shtml

Esattamente questo era il dialogo tra il giornalista e Fede, molto fedele, alla lettera direi.

.penso

Molto strano...

Diciamo che, pensandoci un po' su...

la battuta sul trans funziona bene solo con Sircana, con Marrazzo e con Lapo.

I primi due non esistono più, il terzo tutto sommato è ancora in giro e ben sponsorizzato, nonostante le multe e la vita mondana di cui spesso si parla.

Evidentemente le fonti da cui si è sparsa la notizia, (Corriere e LaStampa), insospettiscono parecchio Emilio Fede...

;)

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Partito Soldini: con Elkann a bordo per il nuovo record

Partiti. Giovanni Soldini e il suo equipaggio a bordo di Maserati hanno lasaciato Miami alla volta di New York. L'obiettivo è coprire la tratta del record Miami-New York nel minor tempo possibile per stabilire un time reference difficile da battere per la categoria monoscafi.

A bordo, insieme allo skipper Soldini, John Elkann, armatore dellabarca, e l'equipaggio formato da Boris Herrmann (navigatore), Brad Van Liew(watch leader), David Vera (watch leader) Gabriele Olivo (trimmer), Guido Broggi (boat captain), Corrado Rossignoli (primo prodiere), Marco Spertini (secondo prodiere).

Il record Miami-New York, lungo 974 miglia, è monitorato dal World Sailing Speed Record Council. In passato il record è stato effettuato solo da maxi trimarani. Maserati cercherà di stabilire per primo il time reference per la categoria monoscafi. Giovanni spiega le condizioni meteo che l’equipaggio di Maserati incontrerà lungo la rotta Miami-New York: “Le condizioni sono buone anche se non perfette. Faremo una rotta all’inseguimento della corrente del Golfo che in alcuni punti ci può regalare anche 3, 4 nodi di velocità. Ci preoccupa un po’ un’area di poco vento che incontreremo venerdì. Speriamo che duri poco e che ci lasci andare verso nord velocemente. Da sabato in poi arriverà una depressione con venti da sud ovest che ci spingeranno veloci verso Capo Hatteras. A quel punto l’obiettivo è arrivare in fretta su New York prima che il fronte freddo ci superi. Dietro quel fronte ci sono almeno 35 nodi e prenderseli di prua non è esattamente quello che vogliamo. Maserati è in gran forma e dopo tanta attesa siamo felici di navigare”.

Aggiunge Boris Herrmann: “I modelli meteorologici non sono perfetti ma pensiamo che vadano peggiorando. Dal momento che non possiamo stare a Miami due settimane o anche di più, preferiamo non essere troppo pignoli sulle condizioni meteo e partire. La direzione del vento dovrebbe offrirci una navigazione in poppa per noi congeniale ma la velocità del vento sarà probabilmente di 5 nodi inferiore a quella ideale. Contiamo di arrivare a New York in tre giorni”.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubr...;ID_sezione=284

Soldini a New York, no record

(ANSA)-GENOVA, 26 MAR- Giovanni Soldini alle 13.50 ora italiana ha raggiunto con lo scafo Maserati il faro di Ambrose Light, nella baia di New York, meta della traversata Miami-New York. Ma il navigatore ha deciso di non registrare il tempo al World Sailing Speed Record Council, pur non essendoci tempi di riferimento ufficiali sulla tratta. Maserati era partito il 22 marzo da Miami, ma il meteo sfavorevole incontrato lungo il percorso (temporali tropicali, 'piatte', raffiche improvvise) ha condizionato la navigazione.

.isterico .isterico .isterico

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C'entra poco col topic, nel senso che ho appuntato qui una stranezza e basta, ma la vicenda non è conclusa.

Mediaset ha purgato Fede.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2012/03/28/visualizza_new.html_158596206.html

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Approfondimenti Le ricchezze del Colonnello

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LA GRANDE CACCIA GLOBALE

A UN BOTTINO DA 100 MILIARDI

Auto, ville, società: ma il clan ha nascosto le tracce nei paradisi offshore

di STEFANO AGNOLI (CorSera 29-03-2012)

A caccia del «tesoro» del defunto dittatore libico, e della sua famiglia. A

quanto ammonta? Non si sa con precisione, e probabilmente non si potrà sapere

mai. Subito dopo la decisione della comunità internazionale di congelare tutti

i beni libici all'estero, una contabilità un po' sommaria aveva ipotizzato

circa 100 miliardi di dollari tra conti correnti bancari, investimenti

finanziari e proprietà immobiliari disseminate in giro per il mondo.

Nei soli Stati Uniti, lo scorso anno, i funzionari dell'amministrazione Obama

hanno rintracciato conti e investimenti riconducibili al passato regime per un

valore di 37 miliardi di dollari. Altri 30 miliardi di dollari circa sono

spuntati in Europa, tra Francia, Italia, Regno Unito e Germania. Stimando

attività varie in Medio Oriente, Asia e in particolare Africa (dove operava la

Libyan African Portfolio, e il Colonnello si muoveva con mire post-coloniali)

si arrivava, appunto, a quota 100 miliardi. Un valore rimesso in discussione

solo pochi mesi fa, quando il Los Angeles Times, citando come fonte alcuni non

meglio precisati e ovviamente anonimi «senior Libyan officials», ha

addirittura avvalorato il raddoppio della cifra, a quota 200 miliardi di

dollari.

Ma la ricerca di quelle somme e di quei beni — e il loro ritorno nelle tasche

del popolo libico — non sarà per niente facile, come ha mostrato la causa

conclusa l'8 marzo scorso a Londra, dove l'Alta Corte della capitale

britannica ha sancito la restituzione al nuovo Stato post-rivoluzionario di

una villa del valore di 10 milioni di sterline appartenuta a Saadi Gheddafi,

il figlio calciatore (ex del Perugia di Luciano Gaucci) ora rifugiato in

Niger. La «mansion» di Hampstead — stile neo-georgiano, otto camere da letto,

piscina e cinema privati — era stata acquistata dal rampollo di Muammar solo

sei mesi prima dello scoppio della primavera araba, e «dopo una visita più

veloce del normale», come ha testimoniato l'agenzia immobiliare che ha

trattato l'affare. Saadi comprò la villa tramite una società-schermo offshore

delle British Virgin Islands, la Capitana Seas Limited, e in questo caso è

stato necessario un intervento diretto del Tesoro britannico sulle omertose

autorità delle Isole Vergini per ricondurre la società offshore alla persona

di Saadi Gheddafi. L'avvocato che ha lavorato sul caso per conto

dell'ambasciata libica, per di più, ha dovuto dimostrare che il figlio-playboy

dell'ex dittatore libico, con il suo stipendio ufficiale di 34 mila sterline

l'anno (percepito come comandante dell'unità 48 dell'esercito della Jamahiryia)

non sarebbe stato in grado di pagare, pronta cassa, dieci milioni di

sterline. Una somma, quindi, che era il frutto di fondi illecitamente

sottratti allo Stato libico.

Insomma, malgrado la pluridecennale commistione tra beni formalmente statali

e proprietà che sono sempre materialmente rimaste a disposizione dell'ex

dittatore e della sua famiglia, non sarà così facile mettere le mani sul

«tesoro» dei Gheddafi. Non sempre le ville, i terreni, le auto di lusso, le

quote azionarie e gli altri investimenti saranno riconducibili direttamente a

qualcuno dei membri del clan, o dei suoi gestori e degli intermediari legali

di volta in volta individuati. Oltre alla difficoltà di risalire a sconosciute

società-schermo dislocate nei vari paradisi fiscali e societari, non sarà

neppure semplice ricostruire tutte le attività più o meno «coperte» intraprese,

ad esempio, in Paesi dell'Africa sub-sahariana. L'Uganda, pochi giorni fa, ha

deciso di «scongelare» 375 milioni di dollari di assets libici. Tra di essi

una società di costruzioni, una catena alberghiera, il 51% di Uganda Telecom,

una banca e la Tamoil East Africa. Che altro in altri Stati dell'Africa

centrale e meridionale?

Una fonte completa e coerente degli interessi libici (e del clan Gheddafi) in

Occidente comunque esiste. Resa pubblica da Global Witness, è rappresentata

dal rendiconto del principale strumento finanziario del regime del Colonnello:

la Libyan Investment Authority (Lia), il fondo sovrano istituito nel 2006 per

impiegare in attività finanziarie i ricavi della vendita di idrocarburi.

Dall'energia sono arrivate alle casse di Tripoli parecchie decine di miliardi

di dollari, più del 90% del budget statale. Secondo l'Energy Information

Agency di Washington, nell'ultimo anno prima della rivoluzione (il 2010) la

Libia ha incamerato 44 miliardi di dollari dal solo petrolio (l'Arabia Saudita,

se si vuole fare un paragone, nello stesso anno di miliardi ne ha incassati

225).

Nel terzo trimestre del 2010 la Lia «valeva» così 64 miliardi di dollari, un

gruzzolo enorme. Di questa somma, 24 miliardi erano di competenza di altre

controllate come la «Long Term Investment Portfolio» (8,5) o la già ricordata

«Libyan African Portfolio» (5,2). Una ventina di miliardi era affidata invece

a depositi bancari, soprattutto nella Banca centrale guidata dal governatore

Farhat Bengdara, consigliere di amministrazione di Unicredit. Un miliardo, per

inciso, era in custodia alla banca britannica Hsbc.

Ma è nel nutrito «giardinetto» di azioni che si ha la dimostrazione della

struttura tentacolare del fondo del regime. A valore di libro gli investimenti

maggiori del clan Gheddafi erano in Unicredit (1,3 miliardi), Eni (942 milioni)

e nella tedesca Siemens (476 milioni). Tra i titoli strategici si trova anche

un pacchetto della Pearson (acquistato a 370 milioni), la società editrice del

«Financial Times». E poi il colosso russo dell'alluminio Rusal, la Basf, la

spagnola Repsol, Finmeccanica.

Telecomunicazioni, energia e banche la fanno da padrone. Il tutto per quasi 8

miliardi di dollari, che ai prezzi di Borsa di oggi hanno comunque subito un

pesante ridimensionamento. Ma al defunto raìs è stata accreditata in passato

anche la proprietà di ingenti quantità d'oro (proprio in chiave di misura

«anti-congelamento» da parte dell'Occidente) con il quale avrebbe finanziato

buona parte della sanguinosa campagna militare. Qualcuno aveva parlato di 140

tonnellate di lingotti, qualcosa come 6-7 miliardi di dollari. Ma con l'«oro

del Colonnello» disperso nella sabbia del deserto libico forse si sta

sconfinando nella leggenda.

-------

Retroscena Il fondo sovrano libico ha attraversato pericolosamente oltre due anni di vita della banca di Piazza Cordusio

Il pacchetto Unicredit al centro della partita

di FABRIZIO MASSARO (CorSera 29-03-2012)

MILANO — Di sicuro è la quota di Unicredit che ha creato più grattacapi. Il

pacchetto dell'1,25% in mano alla Lia, Libyan Investment Authority, ovvero il

fondo sovrano della Libia considerato adesso dal tribunale internazionale

dell'Aja riconducibile alla famiglia Gheddafi, ha attraversato pericolosamente

oltre due anni di vita della banca di Piazza Cordusio. Nell'estate 2010 la sua

improvvisa comparsa nell'istituto con una quota del 2, 7% fece diventare i

libici — già presenti con la Banca centrale libica al 5% — i primi soci

assoluti della banca. E fu il casus belli che portò all'uscita di scena di

Alessandro Profumo dalla guida di Unicredit, dopo uno scontro epocale con le

fondazioni azioniste. Poi la quota Lia è stata oggetto di un congelamento da

parte delle autorità internazionali durante la guerra in Libia. Quindi di

recente, a fine 2011, il pacchetto è stato dissequestrato per consentire alla

Lia di partecipare all'aumento di capitale della banca da 7,5 miliardi. Infine,

mentre ancora in questi giorni i libici stanno trattando un posto nel

prossimo consiglio di amministrazione di Piazza Cordusio, è arrivato ieri il

sequestro cautelativo del giudice della Corte d'Appello di Roma, Giuseppe

Miccia, su richiesta della Corte penale internazionale per risarcire le

vittime del regime di Muammar Gheddafi.

Pur nel silenzio ufficiale di Unicredit, la decisione della magistratura non

dovrebbe comunque creare ostacoli nei rapporti tra il nuovo governo libico

venuto fuori dalla rivoluzione e i vertici della principale banca italiana.

Rapporti più che saldi grazie soprattutto alla quota di Unicredit posseduta

dalla Banca centrale libica, adesso diluita al 2,8% circa. Il nuovo governo

libico infatti preferito partecipare solo parzialmente all'aumento (avrebbe

dovuto versare 350 milioni) destinando i capitali alla ricostruzione.

La presenza di Tripoli nella banca è storica: risale ai tempi di Capitalia e

da lì è confluita nella nuova Unicredit nata dall'integrazione tra la banca

milanese e quella romana. I libici sono sempre stati considerati soci

tranquilli e stabili, tanto da esprimere anche un vicepresidente nella figura

dell'ex presidente della Banca centrale, Omar Farhat Bengdara, uomo dalle

molte relazioni in Europa e a conoscenza di molte informazioni sulla ricchezza

della Libia.

Anche martedì scorso l'amministratore delegato di Unicredit, Federico

Ghizzoni, ha dato rassicurazioni circa i rapporti con la Libia, socio

complessivo al 4% fra Lia e Banca centrale. Il banchiere due settimane fa è

volato a Tripoli: «I libici vogliono avere un rapporto buono con l'Italia», ha

detto. «Ho incontrato il governatore della banca centrale, il primo ministro e

anche alcuni uomini d'affari. I rapporti sono normali, pur in un contesto

complicato e difficile. E sono anche d'affari: lavoriamo con loro, anche

sull'import-export, che ha ripreso a funzionare. Abbiamo riaperto il nostro

ufficio di rappresentanza e abbiamo anche un certo numero di clienti

italiani». Certo l'obiettivo di aprire una banca, raggiunto sotto il regime di

Gheddafi, resta lontano: «La licenza è ancora disponibile. Verificheremo dopo

le elezioni di giugno se ci sono le condizioni per operare».

___

Sequestrati i beni di Gheddafi in Italia

Sotto chiave le quote in Unicredit, Eni, Fiat e Juventus, un bosco e una Harley Davidson

di ELSA VINCI (la Repubblica 29-03-2012)

ROMA - Sequestrato l´"oro" di Gheddafi. Un milardo 108 milioni in beni mobili

e immobili, quote societarie e conti correnti in Italia, riconducibili alla

famiglia dell´ex leader libico e ai membri del suo entourage. Fra gli asset

congelati figurano partecipazioni azionarie in Unicredit, Eni, Finmeccanica,

Fiat Spa e Fiat Industrial, Juventus. Sigilli a un appartamento che si

affaccia su via Veneto a Roma, occupa un intero piano al civico 29 di via

Sardegna, a un bosco di 150 ettari nell´isola di Pantelleria, e a una Yamaha e

a una Harley Davidson a Perugia. I provvedimenti sono stati eseguiti dal

Nucleo tributario della capitale su ordine della Corte d´appello, che ha

emesso 23 decreti di sequestro nel contesto di una rogatoria internazionale

del tribunale penale dell´Aja. C´è un procedimento per crimini contro

l´umanità nei confronti del defunto Gheddafi, del figlio Saif al Islam e del

ex capo dei servizi segreti Abdullah al Senussi, che ha il fine di "cautelare"

il patrimonio degli imputati per garantire forme di risarcimento alle vittime

del passato regime.

Gli interessi della Libia per le imprese e la finanza italiane risalgono a

più di trent´anni fa, quando nel 1976 la Lafico (Libian arab foreign

investment company), braccio finanziario del Colonnello, entrò in Fiat.

L´iniziale quota del 9,7 per cento si è ridotta progressivamente. Ieri la

Finanza ha congelato lo 0,33% posseduto dalla famiglia Gheddafi in Fiat spa,

pari a 19 milioni, e una quota equivalente in Fiat Industrial, pari a 34

milioni di euro. Sequestrati inoltre 622 mila euro in azioni privilegiate di

Fiat Auto e 833 mila euro in privilegiate di Fiat Industrial.

Il Nucleo tributario ha scoperto che un altro degli strumenti utilizzati da

Tripoli per investire è stata la Lia (Libyan investment autorithy), fondo

sovrano costruito nel 2006 per gestire i proventi del petrolio, con un vasto

portafoglio di asset esteri, non solo in Italia. Dalla britannica Pearson che

pubblica il Financial Times, a Finmeccanica, a Unicredit. La quota azionaria

Unicredit che è stata sequestrata ammonta a 1,256%, ovvero a oltre 611 milioni

di euro. In mano libica, secondo gli ultimi aggiornamenti Consob, c´è però il

5,8 del capitale di piazza Cordusio.

Quanto a Finmeccanica è stata congelata l´intera partecipazione detenuta

dalla Lia, il 2,01%, cioè 41 milioni di euro. Anche nel caso della Juventus è

stato sequestrato il capitale controllato dalla Lia, 1, 5%. L´ingresso dei

libici nella squadra di calcio risale al 2002, quando Tripoli dichiarò

l´acquisto del 7,5%. Il 31 gennaio scorso la quota della Lia è stata però

diluita a seguito dell´aumento di capitale del club bianconero.

Per anni si è vociferato di un possesso libico di circa il 2% dell´Eni, ma

allo scoppiare della guerra l´amministratore delegato Paolo Scaroni ha

chiarito che i fondi riferibili al Colonnello ammontavano solo allo 0, 5% del

gruppo. Lo 0,58 per cento sequestrato ieri, pari a 405 milioni, dovrebbe

dunque rappresentare la totalità del capitale controllato dalla Libia.

L´iniziativa del tribunale dell´Aja si inserisce in un più ampio contesto

delineato da due decisioni del Consiglio di sicurezza dell´Onu e da due

regolamenti dell´Ue, in forza dei quali la comunità internazionale ha chiesto

il congelamento di tutti i fondi posseduti o controllati dalla famiglia

Gheddafi.

___

Inizia un iter dagli esiti imprevedibili

di FAUSTO POCAR* (Il Sole 24 ORE 29-03-2012)

*Professore ordinario di diritto internazionale all'Università degli studi di Milano

Il provvedimento della Corte di appello di Roma presenta aspetti di novità

nello sviluppo della giustizia penale internazionale. Non tanto perché dispone

il sequestro di beni di un capo di Stato, essendoci precedenti, quanto perché

è la prima volta che un Tribunale nazionale adotta un provvedimento del genere

non autonomamente o su richiesta di un giudice di altro Paese, ma in

esecuzione della richiesta della Corte penale internazionale (Cpi) con sede

all'Aja, istituita con lo Statuto adottato a Roma nel 1998 e in vigore tra 120

Stati, tra cui l'Italia.

La questione libica era stata sottoposta dal Consiglio di sicurezza Onu alla

Cpi quando erano giunte le prime notizie di crimini contro l'umanità

attribuibili alle milizie del leader libico. Il procuratore della Corte, dopo

aver fatto rapide indagini, aveva richiesto l'emanazione di un ordine di

arresto nei confronti di Gheddafi, del figlio Saif e del capo dei servizi

segreti Al Senussi. Precipitata la situazione libica fino alla sua conclusione,

l'esecuzione del mandato d'arresto fu eseguita dalle autorità libiche nei

confronti degli accusati superstiti, che peraltro non sono stati trasferiti

all'Aja. Tocca infatti alla Corte decidere se il processo debba farsi all'Aja

davanti a una camera della Corte, o invece in Libia da parte delle autorità

giudiziarie di quel Paese.

La decisione non è stata ancora presa ma la richiesta di sequestro fatta alla

Corte di appello di Roma e da questa eseguita sembra preludere a una decisione

a favore dello svolgimento del processo in sede internazionale, non tanto

perché le autorità libiche non vogliano assumersi la responsabilità del

processo quanto perché non sussistono in Libia le condizioni per un processo

che rispetti tutte le garanzie richieste dalle convenzioni internazionali sui

diritti della difesa nel processo penale.

Come saranno utilizzati i beni sequestrati a favore delle vittime dei crimini

internazionali? Non avendo la Corte del l'Aja ancora deciso sulla competenza

nazionale o internazionale a svolgere il processo, è forse prematuro dirlo. Se

la Corte deciderà a favore della propria giurisdizione, i beni e crediti

sequestrati saranno versati in un fondo creato presso la Corte stessa e,

concluso il processo, saranno versati alle vittime, con criteri e modalità

ancora da determinare dato che nessuna riparazione è stata ancora effettuata

dal fondo. Se invece la Corte dovesse decidere a favore della giurisdizione

penale libica, sembra logico che i fondi debbano essere messi a disposizione

delle autorità giudiziarie libiche per procedere alla riparazione. Ma non si

possono escludere altri scenari. Se per esempio il processo nazionale

terminasse con un'assoluzione o con una condanna e la Corte ritenesse che

l'esito sia stato determinato da un processo irregolare, la Corte potrebbe

forse adottare un provvedimento di trasferimento delle attività sequestrate al

fondo per utilizzarle comunque a favore delle vittime.

Siamo solo agli inizi una vicenda che presenta ancora diversi elementi di

incertezza che saranno chiariti solo da successivi provvedimenti della Corte.

È comunque evidente che ci troviamo davanti a uno sviluppo significativo della

giustizia internazionale e a un passo importante non solo nella lotta

all'impunità per crimini internazionali, ma nella riparazione delle vittime di

tali crimini, finora largamente trascurata dalla giustizia penale

internazionale.

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Il ricorso della Lafico contro il sequestro Gheddafi

di FABRIZIO MASSARO (CorSera 31-03-2012)

Era da attendersi una reazione della Libia di fronte al sequestro cautelativo

di oltre un miliardo di euro disposto dalla corte d’appello di Roma su

richiesta del tribunale dell’Aia per risarcire le vittime del regime di

Muammar Gheddafi. E infatti ieri la Lafico, uno dei fondi di Tripoli finiti

nel mirino della magistratura italiana, ha annunciato che presenterà ricorso

rivendicando di essere «direttamente controllata dall’attuale Consiglio

nazionale di transizione libico». Insomma, in quanto veicolo sovrano non

dipende dal governante pro-tempore ma dallo Stato, anche se Lafico è stata da

sempre il braccio finanziario della Jamahiriya, fin dall’ingresso negli anni

Settanta nel capitale della Fiat. Fra le partecipazioni più note di Lafico c’è

la Juventus (ora all’1,5%), mentre sono nell’altro fondo sovrano di Tripoli,

il Libyan investment authority (Lia), le quote ben più pesanti in Unicredit,

Eni, Finmeccanica. Che ieri sera ufficialmente non aveva ancora annunciato il

ricorso.

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Il Sole 24 ORE

31-03-2012

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Il Sole 24 ORE

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AVVISO AI NAVIGANTI di ETTORE BOFFANO (la Repubblica - Torino 01-04-2012)

GLI ELKANN E IL LENTO

ABBANDONO DI TORINO

«Vestivamo sempre alla marinara: blu d’inverno, bianca

e blu a mezza stagione e bianca in estate. Per pranzo

ci mettevamo il vestito elegante e le calze di seta

corte. Mio fratello Gianni si metteva un’altra marinara»

(Susanna Agnelli «Vestivamo alla marinara»).

La vendita della casa di corso Matteotti quella di «Vestivamo alla marinara»,

è stata annunciata da tempo come, d’altra parte, quella della villa, tra via

Giacosa e corso Massimo D’Azeglio, che fu la dimora del nonno-fondatore, venne

occupata il 26 aprile 1945 dai partigiani guidati da Alberto Bianco e Giorgio

Bocca e diventò, infine, la sede della Fondazione Agnelli.

Non appartiene più da decenni alla Famiglia, invece, quel Palazzo d´Azeglio

che ospitò, a cavallo della Seconda guerra mondiale, l´altro ramo degli

Agnelli: quello dei Nasi, anch´esso provato come il primo da lutti precoci e

dalle cause civili che il senatore Giovanni Agnelli intentò ai genitori

superstiti per sottrarre loro la potestà sui suoi giovanissimi nipoti.

In corso Marconi, invece, i due palazzi che ospitarono la direzione della

Fiat negli anni felici del boom economico e poi in quelli caldi della

contestazione, hanno visto ammainare da molti anni la bandiera della casa

automobilistica e sono diventati due palazzoni (neppure troppo belli) per

appartamenti e uffici. La rivoluzione delle planimetrie, dicono, ha stravolto

anche il piano e il lato che ospitava la grande stanza dell´Avvocato.

Chi poi avesse la pazienza di raggiungere corso Dante, dove le officine Fiat

vissero il loro ormai lontanissimo esordio, scoprirebbe che quel sito storico

per l´archeologia industriale italiana è oggi una grande voragine destinata a

ospitare un nuovo, piccolo "quartiere" di cemento armato e appartamenti a

pochi metri dal Valentino, già ampiamente contestato dai residenti del ben più

grande quartiere che, lì intorno, sorse proprio assieme ai primi stabilimenti

del marchio automobilistico. Inglobata nel futuro centro residenziale, ecco

poi la palazzina dell´inizio del Novecento di corso Massimo d´Azeglio, a lungo

utilizzata dalle associazioni degli ex dirigenti ed ex dipendenti (con tanto

di cappella interna per le funzioni religiose): restaurata, è stata inaugurata

qualche settimana fa, con grande clamore mediatico, come nuova sede della

Sepin, la società che si occupa degli aspetti medici e ambulatoriali per i

dipendenti del gruppo. In realtà, basta gettare uno sguardo all´imponenza

della sede precedente, il grande palazzo alle spalle della Stampa, per

comprendere come qualsiasi tentativo di far indicare quel trasferimento come

un segno tangibile del futuro impegno della Famiglia e dell´azienda a Torino,

appaia abbastanza ridicolo. Lo stesso "quotidiano di famiglia", nelle prossime

settimane, lascerà lo stabilimento e gli uffici di via Marenco, con vista sul

Po, per una sede in affitto alle spalle di via Nizza, con vista sui binari

della ferrovia.

Il racconto del lento abbandono di Torino da parte del ramo Elkann della

famiglia Agnelli e dell´azienda automobilistica che, grazie al pacchetto della

società "Dicembre", gli stessi Elkann continuano (per il momento) a

controllare, potrebbe proseguire ancora, trovando in altri luoghi le sue

malinconiche testimonianze. Soprattutto se, dalle case di famiglia e dagli

edifici storici della dinastia, l´attenzione si spostasse solo sulle strutture

produttive, a cominciare da quella Mirafiori ancora recintata da un

inviolabile muro, ma che agli sguardi più attenti rivela già ben visibili i

segni del degrado e della dismissione di una parte importante dei suoi

impianti (e come potrebbe essere altrimenti, nel fabbricone della cassa

integrazione ripetuta e dei nuovi modelli prima promessi, poi ritirati, poi

ancora resuscitati, in una girandola senza fine di annunci e di smentite?).

La consapevolezza della caduta di un impero, per dirla alla Salgari, è

qualcosa di più di una sensazione e va ben oltre gli stessi tentativi che

ciascuno (nelle sue diverse responsabilità e aspettative) prova a mettere in

campo ogni volta, per non riconoscere la realtà: «Mirafiori non chiude, gli

Agnelli non se ne andranno». Ma tutto pare già essere accaduto, invece, almeno

nelle magioni storiche e negli stabilimenti-simbolo della Famiglia e

dell´azienda, al di là e al di sopra del gioco delle docce scozzesi che Sergio

Marchionne ha avviato, da due anni, per preparare l´immagine di una Fiat

"esodata", come direbbero i "tecnici" delle nuove relazioni industriali

italiane. Così, resiste l´ultimo feticcio sulla collina torinese: quella Villa

Frescot dove le mosse dell´Avvocato si intuivano ogni volta che un elicottero

si levava o atterrava. Ma un elicottero, è bene saperlo, può fare le stesse

cose sul tetto di un palazzo di New York, di Parigi o anche solo di Milano.

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«CORRIERE DELLA SERA» Il rinnovo dei vertici

Rcs, sul futuro cda scontro tra grandi soci

Mediobanca, Fiat e Bazoli chiedono un consiglio di indipendenti;

Della Valle e gli imprenditori vogliono restare

di MARCELLO ZACCHÉ (il Giornale 03-04-2012)

aaisioQX.jpg

I grandi soci del Corriere della Sera litigano sulla composizione del prossimo

consiglio, i cui membri andranno indicati entro venerdì, in tempo per

l’assemblea del 2 maggio. Più che sui nomi, l’ impasse è sul modello di

governance: alcuni big del patto di sindacato che riunisce il 63, 5% del

capitale, quali Mediobanca, Fiat, il presidente di Intesa Giovanni Bazoli (che

rappresenta Mittel) e il presidente del patto Giampiero Pesenti, puntano a un

cda snello, che scenda dagli attuali 21 a 12, massimo 15 componenti e che

presenti nomi di personalità indipendenti dagli stessi azionisti del patto di

sindacato. Mentre Diego Della Valle, insieme con alcuni imprenditori con quote

minori del patto e del gruppo, preferirebbe continuare a rappresentare

direttamente il proprio investimento nel consiglio d’amministrazione.

La tesi dei primi, particolarmente cara all’ad di Mediobanca, Alberto Nagel,

è che un cda di personalità rilevanti e indipendenti può essere il volano sia

per affidare in un secondo momento la società a nuovi top manager per

rilanciarla, sia per attirare anche nelle seconde e terze linee nuovi talenti.

Con la garanzia di non venire a lavorare in un gruppo paralizzato, nelle

iniziative e nella linea editoriale, dai veti incrociati dei grandi soci (che

in tutto sono la bellezza di 13). Mentre gli imprenditori che hanno investito

di tasca propria i quattrini nelle azioni del gruppo (e come noto Della Valle

si era detto disponibile a crescere, stoppato però dalle regole del patto e

dall’asse Bazoli-Pesenti) ritengono importante mantenere la presenza nel

consiglio. Su queste differenti visioni si è conclusa ieri, dopo quattro ore

di discussioni, la riunione del patto, che si è aggiornata a domani. E che

comunque dovrà decidere la lista entro venerdì santo. Di qui ad allora si

muoveranno, come è in questi casi, le diplomazie.

Il confronto, ancorché duro, non necessariamente porterà a rotture

importanti: se la linea Mediobanca-Bazoli, ancorché maggioritaria, non dovesse

trovare l’unanimità dei consensi, si passerà oltre e si procederà come in

passato (oggi in cda sono rappresentati i grandi soci), senza farne una guerra

di religione.

Per quanto riguarda presidente e ad, la maggioranza dei soci fa sapere di

essere favorevole a un ricambio. Per la prima figura, al posto del notaio Pier

Gaetano Marchetti, la linea che sembra prevalere è quella di ricercare una

personalità adatta a svolgere un ruolo non operativo, non invasivo, di

altissima rappresentanza. Mentre l’amministratore delegato dipenderà dal

modello di governance. Riguardo al toto nomine, nelle ultime ore è circolata

la candidatura a presidente di Angelo Provasoli, ex rettore della Bocconi,

considerato vicino a Bazoli e al presidente del consiglio Mario Monti. Mentre

per il ruolo di ad si registrano voci sull’ipotesi Giorgio Valerio, alimentate

dal fatto che il manager è recentemente rientrato nel gruppo con la

responsabilità delle attività dei Quotidiani.

Tutti i soci, almeno a parole, dichiarano di voler imprimere una svolta

importante al gruppo che, nel bilancio 2011, ha accusato 322 milioni di

perdite, dopo aver svalutato per 300 milioni la partecipazione nelle attività

spagnole (le attività Recoletos all’interno del gruppo Unedisa). Mentre

incombe la cessione del gruppo Flammarion in Francia e il dibattito sulla

sorte del patrimonio immobiliare nella milanese via Solferno, sede storica del

Corriere.

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FINANZA

Holding quotate

l’impervia strada

della redditività

di SARA BENNEWITZ (la Repubblica - AFFARI & FINANZA 02-04-2012)

C’era una volta la holding di partecipazioni e quella industriale, con la voglia

di blindare il controllo da una parte, e quella di diversificare il rischio anche

senza dover per forza esercitare la gestione dall’altra. Sono rari i casi in cui

le società di partecipazioni hanno avuto successo, e malgrado tutti si ispirino

all’americana Berkshire Hathaway, di Warren Buffett ce n’è uno solo e nessuno è

riuscito a replicare le sue performance. Nel tempo anche il modello del

conglomerato finanziario alla General Electric è andato perdendo il suo charme:

meglio separare le attività industriali e dare a ogni business una sua visibilità

che tenere insieme tante attività che unite non generano sinergie. In Italia anche

Pirelli e Fiat, che nel tempo avevano diversificato dai cavi (Prysmian) alle

assicurazioni (Toro), sono tornate a concentrarsi sulle attività che hanno reso

famosi i rispettivi marchi nel mondo. «Da quando Fiat ha annunciato lo scorporo

delle altre attività industriali dall’auto - fa notare Massimo Vecchio di

Mediobanca - i titoli si sono rivalutati del 37%, pari a 4,2 miliardi di

capitalizzazione, mentre il settore auto nello stesso periodo è sceso dell’8%».

Stessa musica per il gruppo della Bicocca, anche se i suoi immobili

rappresentavano una piccola parte del valore complessivo. «Da quando Pirelli si è

separata da Prelios - ricorda Vecchio - il titolo si è apprezzato dell’82%: merito

sia dei buoni risultati raggiunti che della scelta di focalizzassi esclusivamente

sugli pneumatici».

aavaSgcX.jpg

Se questo è vero per i conglomerati industriali, lo è ancora di più per le altre

holding. Un corposo studio di Mediobanca analizza tutte le "scatole" di Piazza

Affari e per quanto alcune società siano talmente a sconto da meritarsi giudizi

lusinghieri, il modello ne esce sconfitto. Secondo l’analisi di Mediobanca negli

ultimi 10 anni Camfin, Cir, Cofide, Exor, Immsi e Italmobiliare hanno raddoppiato

i debiti (saliti da 1,27 a 2,19 miliardi), senza riuscire con la maggiore leva ad

aumentare il ritorno sugli investimenti, dato che gli utili del periodo sono quasi

dimezzati (scesi da 1 a 0,57 miliardi). «Il ritorno sull’investimento registrato

da queste aziende è inoltre poco significativo - aggiunge Fabio Pavan di

Mediobanca - tanto più che in termini di capitalizzazione, i titoli hanno bruciato

in un decennio il 15% del loro valore».

È vero però che fare una fotografia oggi, dopo alcuni anni di mercati turbolenti

e dato l’attuale contesto di recessione, significa dare una lettura parziale. A

maggior ragione tenendo conto del fatto che in questa fase di mercato le aziende

che hanno debito sono ancora più penalizzate. La leva deriva dalle acquisizioni

fatte, non sempre azzeccate, e in momenti di mercato migliori di quello attuale.

«Ci siamo chiesti se l’elevata diversificazione, un tempo vista positivamente, non

corresse il rischio di diventare un fattore di dispersione del tempo e delle

attenzioni del management - sottolineano Pavan e Vecchio - e la conclusione a cui

siamo arrivati è che, sebbene sia vero che le capacità manageriali rappresentino

una risorsa preziosa, nel caso delle holding italiane più semplicemente la

diversificazione sembra sia stata gestita in maniera poco efficace».

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Detto questo, Mediobanca ammette che in questa fase economica difficile le

holding sono più sotto pressione anche delle stesse aziende che controllano,

viceversa in tempi di guadagni, tendono ad amplificare i rialzi. «Guardando la

performance normalizzata dell’indice Ftse Mib nel bull market 2003-2007 - spiega

Pavan - il listino ha raddoppiato e le holding in media hanno fatto tre volte

tanto».

L’unica finanziaria che non è stata esaminata dal report è Premafin, che è quella

che a dispetto della legge di gravità per anni valeva più degli asset che

controllava, come la quota di Fondiaria Sai. Fatte queste premesse e operati i

dovuti distinguo, per Mediobanca in questo momento una holding non riscuoterebbe

grande successo tra gli investitori. Se per assurdo Berlusconi dovesse quotare

Fininvest o i Benetton Edizione Holding, troverebbero un mercato poco entusiasta,

a meno di non offrire in collocamento un forte sconto. E questo è il risultato di

una grande conquista del mercato, perché oggi le minoranze sono molto più tutelate,

per cui essere socio della capogruppo non è più vantaggioso come lo era un tempo.

Altri strumenti d’investimento come i fondi di private equity hanno poi sostituito

di fatto il modello della società di partecipazioni industriali. Se quindi è

abbastanza vero che le holding sono talvolta un retaggio del passato, è anche vero

che alcune non sono riuscite a pianificare il loro futuro. Exor ad esempio, ha

fatto diverse dismissioni, non ultima quella di Alpitour, ma non ha ancora fatto

investimenti capaci di spostare il suo baricentro dal Lingotto, dato che pure la

partecipazione in Sgs vale un terzo rispetto a quella in Fiat Auto e Fiat

Industrial messe insieme.

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AVVISO AI NAVIGANTI di ETTORE BOFFANO (la Repubblica - Torino 01-04-2012)

GLI ELKANN E IL LENTO

ABBANDONO DI TORINO

Caspita, mi ha letto nel pensiero... Volevo scrivere grossomodo lo stesso articolo...

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LUCHINO E DIEGUITO, INSIEME A UNICREDIT? - IL FONDO “AABAR” STA PENSANDO DI CANDIDARE MONTEZEMOLO COME PROPRIO RAPPRESENTANTE NEL BOARD DI PIAZZA CORDUSIO - I RICCONI DI ABU DHABI, PRIMI AZIONISTI DELLA BANCA CON IL 6%, PUNTANO A UNA VICEPRESIDENZA MA LE FONDAZIONI NON INTENDONO LASCIARE LE POLTRONE PESANTI AGLI ‘STRANIERI’ - PER IL DOPO-RAMPL È CORSA A TRE FRA GROS-PIETRO, SCARONI E GIUSEPPE VITA…

Marigia Mangano per il "Sole 24 Ore"

Il fondo Aabar chiede due posti nel board di UniCredit e candida il presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo. Secondo quanto si apprende, nell'ambito delle grandi manovre per ridisegnare il board della banca di piazza Cordusio il fondo di Abu Dhabi avrebbe domandato due rappresentanti in consiglio. In realtà il fondo sembrava interessato a ottenere una vicepresidenza in virtù di quel pacchetto del 6% che ne fa il primo azionista.

Tuttavia la riduzione a 19 dei membri del consiglio potrebbe tradursi anche in un ridimensionamento delle vicepresidenze che scenderebbero da quattro a due. Difficile dunque che le fondazioni azioniste cedano il posto al fronte straniero. Ecco perché le valutazioni e i ragionamenti si starebbero concentrando solo sulla rappresentanza nel board. In questo quadro il fondo di Abu Dhabi avrebbe chiesto a Montezemolo di rappresentarlo nel board in virtù degli storici rapporti che legano il presidente della Ferrari e il mondo di Abu Dhabi.

Per anni infatti il fondo sovrano Mubadala è stato azionista della Ferrari con il 5%. Non solo. Alla fine del 2010 sulla Yas Island di Abu Dhabi è stato inaugurato il Ferrari World, iper tecnologico e imponente parco divertimenti targato Maranello. Una operazione a costo zero per la Ferrari che ha dato in licenza il marchio e la sua immagine, mentre Aldar, il braccio immobiliare del fondo sovrano Mubadala ha finanziato la costruzione. Secondo quanto si apprende la candidatura di Montezemolo sarebbe certa nel caso in cui Aabar spuntasse due posti in consiglio, mentre se ci fosse la possibilità di un unico rappresentante si opterebbe per un tecnico.

Sul fronte libico, invece, all'indomani del sequestro della quota dell'1,2% nelle mani della Lia, è da capire se sarà confermata la presenza nel board della banca. Finora i libici, rappresentati da Lia e dalla Banca centrale libica con il 4% complessivo, erano rappresentati dal vicepresidente Farhat Omar Bengara, ora in uscita. Secondo indiscrezioni Tripoli avrebbe chiesto un posto nel board, ma alla luce del vincolo giudiziario sembra a questo punto difficile che si vada in questa direzione.

Resta poi da definire la posizione delle fondazioni azioniste più piccole, e cioè Manodori, Banco di Sicilia, CrTrieste e Cassamarca. Proprio su questi temi mercoledì scorso si sarebbero esercitate le tre principali Fondazioni di UniCredit, Crt, Cariverona e Carimonte, che si sarebbero viste a Bologna. L'incontro, come riferito dal Sole24Ore di ieri, è il primo di altri in agenda: lunedì prossimo è stata convocata una riunione tra le tre grandi fondazioni e gli enti minori.

Dopo Pasqua, invece, dovrebbe essere la volta di un vertice plenario con tutti gli azionisti italiani, compresi quelli nuovi entrati con l'aumento, come Francesco Gaetano Caltagirone e Diego della Valle: in questo caso, la data individuata sembra quella dell'11 aprile, un mese esatto prima dell'assemblea ma soprattutto quattro giorni prima del termine fissato per la presentazione delle liste, dunque è probabile che in quel contesto si tenterà di chiudere il cerchio intorno al nome del nuovo presidente.

C'è già una rosa di possibili candidati (i nomi restano quelli circolati nelle settimane scorse, da Gian Maria Gros-Pietro a Giuseppe Vita), tuttavia finora non si sarebbe ancora coagulato un consenso sufficientemente ampio. «Non sono candidato a nulla», ha ieri commentato Claudio Costamagna, ex Goldman Sachs, in merito alla presidenza di Unicredit.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business...emolo-37339.htm

Montezemolo ai politici

"Ora dovete cambiare"

ANTONELLA MARIOTTI

torino

L'ultima domanda è la prima notizia. Si candida nel 2013? «Per ora penso alle mie aziende ma alla chiusura del governo tecnico, bisognerà aprire una pagina nuova nel rapporto fra politica e cittadini». Poi Luca Cordero di Montezemolo parla sei suoi treni Ntv (Alta velocità): «Abbiamo assunto più di 800 persone e ne assumeremo altre. Con l'apertura delle tratte regionali c'è la possibilità di altre avventure imprenditoriali. Questa è la concorrenza». E così ha salutato i giornalisti, ma prima delle immancabili due domande, ne aveva dette di cose su politica, welfare e imprese al convegno di «Italia Futura» sulla Sussidiarietà (welfare del volontariato).

Il no profit Nella sala di Torino Incontra ieri pomeriggio alle sei solo posti in piedi, per ascoltare il rapporto 2011 di Sussidiarietà all'incontro «La città di chi la abita»: dati e i numeri su come il no-profit riesce a fare ciò che troppo spesso non fanno le istituzioni. Al tavolo con Luigi La Spina, editorialista della «Stampa», Giorgio Vittadini della Fondazione per la Sussidiarietà e Paola Garrone, docente di economia al Politecnico di Milano.

Un discorso - quello di Montezemolo - che a molti è parso un manifesto elettorale. In prima fila c'erano anche Sergio Marchionne e il sindaco Piero Fassino. Dalla legge elettorale da «cambiare e poi approvare dopo un referendum confermativo, e l'istituzione del "recall" cioè richiamare l'eletto se non fa quello per cui ha preso il voto, e riportare il cittadino al centro della politica» all'affondo sull'ex governo «ma come fanno a stupirsi adesso delle condizioni del Paese, dove sono stati finora su Marte? Ai nostri politici manca sempre l’assunzione di responsabilità» applausi. E l'ovazione è proseguita sui temi dello spreco nella spesa pubblica, sui troppi privilegi per la politica, sull'importanza che «il paese giochi in attacco» perché «è finita l'era del one man show». Chissà a chi si riferiva anche quando ha detto «si deve passare dalla retorica dei ristoranti sempre pieni a quella degli investimenti dall’estero». Questo il tema caro al ministro Elsa Fornero che proprio ieri mattina ne ha parlato a Radiouno. Coincidenze.

Il Fisco Un passaggio sulle tasse poi ci voleva dopo che ieri Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle entrate ha dichiarato di aver recuperato dall’evasione fiscale 13 miliardi di euro: «I nostri collaboratori pagano il 50% di tasse, le aziende arrivano anche al settanta. Va bene punire gli evasori perché sono ladri, però - ha detto il presidente della Ferrari - ci devono dire, devono dire ai cittadini cosa ne fanno di questi soldi, come li vogliono spendere. Se poi non ci sono gli asili, e spesso sono gli imprenditori a doverli costruire, e non ci sono le carceri». Ma è necessario che «il carico fiscale vada spostato dal lavoro e dalla produzione alle rendite e ai patrimoni». Poi l'intervento di Vittadini su «aziende che possono creare occupazione ed economia con il no profit». Chiusi i lavori alle sette e mezza «devo andare a Maranello». Ma prima di salire in auto un breve colloquio con Gianluigi Gabetti, presidente d'onore di Exor.

http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cro...lo/lstp/448510/

Crolla il mercato dell'auto, Marchionne:

«Marzo orribile, Fiat perde il 40%»

TORINO - «Il mese di marzo è stato orribile, il calo dei volumi di auto in Italia si aggira intorno al 40% e non è colpa solo delle bisarche», ha affermato l'ad della Fiat Sergio Marchionne, arrivato a sorpresa a un'iniziativa di Italia Futura con Luca Cordero di Montezemolo». «Il mercato - ha aggiunto Marchionne - si attesterà nel 2012 a quota 1 milione 500 mila. Abbiamo perso un milione di vetture, siamo al 40% dei volumi in meno rispetto al 2007».

Politica. «Mai e poi mai scenderò in politica», ha aggiunto Marchionne, rispondendo ai giornalisti. Sulla possibile discesa in politica di Montezemolo Marchionne ha detto: «L'ho sempre scoraggiato e non ho cambiato idea su questo. Non sta a me giudicare come sarebbe. Io sono qui oggi solo perché è un mio amico e voglio ascoltarlo».

La sentenza di Bologna. «In un certo senso era prevedibile, in un altro appellabile. Non voglio entrare nel merito, ma dal punto di vista legale non si capisce. E dire che ho studiato giurisprudenza», ha detto Marchionne a proposito della sentenza del giudice di Bologna, che ha condannato la Fiat per comportamento antisindacale accogliendo il ricorso della Fiom.

Lavoro. Marchionne ha parlato anche della riforma del lavoro: «Bisogna fare la riforma non c'è alternativa. Mi dica quanti altri Paesi - ha aggiunto - hanno un sistema come il nostro. Nessuno, quindi bisogna cambiarlo. Come lo decide Monti e il suo governo, abbiamo grandissima fiducia in lui come persone e come gestore. Non potevamo avere di meglio, facciamolo gestire». Secondo Marchionne «è stata tradizione del sistema italiano trovare sempre compromessi, ora questo non funziona».

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id...z=HOME_ECONOMIA

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Rcs, patto durato quattro ore, nessun commento dai soci

MILANO, 2 aprile (Reuters) - E' durato circa quattro ore il patto di sindacato di Rcs convocato per discutere la governance del gruppo editoriale, in vista della presentazione della lista per il rinnovo del cda che deve essere depositata entro il 7 aprile.

Si sono intrattenuti un po' più a lungo Renato Pagliaro (Mediobanca ), John Elkann (Fiat ), Giovanni Bazoli (Intesa SanPaolo e Mittel ) e il presidente del patto Francesco Pesenti.

Alla riunione, nella sede di via Rizzoli di Rcs, non era presente Marco Tronchetti Provera (Pirelli ).

Nessuno commento ma facce tese da parte dei soci all'uscita del meeting.

(Claudia Cristoferi)

http://it.reuters.com/article/itEuroRpt/id...E8F297G20120402

I non record di Giovanni Soldini

Ho notato che nei commenti di aggiornamento arrivati durante la mia assenza nessuno riguarda il tentativo di record Miami – New York di Giovanni Soldini. Come dire, forse, chiudiamo un pietoso occhio.

Personalmente l’attuale attività di Soldini mi fa un po’ tristezza. Un grande velista oceanico come lui si impegna a battere dei record che in realtà non esistono. Ossia non ha nessuno contro cui battersi e non ha niente da battere. Solo stabilire dei tempi di riferimento per monoscafi su un dato percorso con i quali, forse un giorno, qualcuno vorrà confrontarsi.

Malgrado ciò il tentativo sulla tratta Miami – New York è tristemente fallito. Maserati,la barca di Soldini con a bordo anche l’armatore nonché presidente Fiat John Elkan, è partita da Miami il 22 marzo scorso. La previsione era di percorrere le 974 miglia che la separavano da N.Y. in due o tre giorni. Arrivando la notte del 24 o la mattina del 25.

Ma le cose sono andate storte. Le previsioni e i calcoli metereologici si sono rivelati sbagliati. Fin dall’inizio del secondo giorno temporali, salti di vento, bonacce quasi totali hanno rallentato decisamente la corsa. “Non ci aspettavamo di trovare condizioni meteo così sfavorevoli”, ha commentato Giovanni. Ma per tentativi di questo tipo lo studio e la scelta della finestra meteo è la cosa principale. E il bon (e bravo) Soldini lo sa benissimo. Chi è che non ha saputo interpretare le carte meteo, che a due o tre giorni sono il più delle volte assai precise ? Oppure si è deciso di rischiare e partire comunque per un qualche motivo (la presenza di Elkan ?).

Fatto sta che è stato Caporetto. Maserati si è presentata davanti alla Grande Mela nella tarda mattinata di lunedi 26 marzo. Più di 24 ore dopo di quella che era una previsione “media”. E Soldini non ha potuto fare altro che prendere la decisione di non registrare il “record” (ossia il tempo di riferimento) presso l’organismo internazinale preposto.

“Abbiamo fatto un tempo decisamente peggiore delle nostre aspettative, non degno di una barca come Maserati”, è l’epitaffio di Soldini.

http://scialoja.blogautore.espresso.repubb...ovanni-soldini/

Presentate le liste per l'elezione del Consiglio di Amministrazione e del Collegio Sindacale della Banca Monte dei Paschi di Siena

Sono state presentate nei termini previsti dalla normativa di legge e di statuto le candidature per le nomine al Consiglio di Amministrazione e al Collegio Sindacale di Banca Monte dei Paschi di Siena in vista dell’assemblea del 27 aprile 2012.

La Fondazione Monte dei Paschi di Siena ha presentato per il Consiglio le candidature di Alessandro Profumo, Fabrizio Viola, Paola Demartini, Tania Groppi, Angelo Dringoli e Marco Turchi.

La Fondazione ha anche presentato le candidature a Sindaco effettivo di Paola Serpi e di Claudio Gasperini Signorini.

Per la carica di Sindaco supplente è stato indicato Stefano Andreadis.

Una ulteriore lista di candidati alla carica di amministratore è stata presentata congiuntamente da Unicoop Firenze s.c., Finamonte S.r.L. e dal Dott. Lorenzo Gorgoni (in proprio e quale procuratore speciale di altri 58 soci). I partecipanti all’accordo hanno indicato i nomi di Turiddo Campaini, Alberto Giovanni Aleotti, Michele Briamonte, Lorenzo Gorgoni e Pietro Giovanni Corsa.

I medesimi soci hanno presentato le candidature a Sindaco effettivo di Paolo Salvadori e, quale Sindaco supplente, di Gianni Tarozzi.

Infine la società AXA S.A. ha presentato la candidatura per il Consiglio di Frédéric Marie de Courtois d’Arcolliéres, Paolo Andrea Rossi e Alban De Mailly Nesle.

La documentazione inerente la presentazione delle liste sarà resa pubblica dalla Società entro il giorno 6 aprile 2012 mediante deposito presso la sede sociale, la società di gestione del mercato e nel proprio sito internet.

http://www.mps.it/Area+Media/Comunicati/Ar...o+Sindacale.htm

RCS WAR - ANCHE “L’ARZILLO VECCHIETTO” BAZOLI SI ALLINEA ALL´ASSE JOHN ELKANN (FIAT) E PAGLIARO-NAGEL (MEDIOBANCA): CDA “TECNICO” PIÙ SNELLO (DA 19 A 9 CONSIGLIERI) CON IL BOCCONIANO PROVASOLI ALLA PRESIDENZA AL POSTO DI MARCHETTI - MA L´IPOTESI È MALVISTA DAI SOCI MINORI CHE PERDEREBBERO RAPPRESENTANZA, O PER QUEGLI IMPRENDITORI CHE HANNO MESSO SOLDI PROPRI IN RCS. PER ESEMPIO DELLA VALLE, CHE HA IL 5,4%, UNA MINUSVALENZA LATENTE DI CIRCA 120 MILIONI, E L´AMBIZIONE A CRESCERE NELL´EDITORIALE….

Andrea Greco per "la Repubblica"

I grandi soci del patto Rcs si spaccano in due sulle istanze di rinnovamento dell´editoriale. Quattro ore per esaminare la lista per il nuovo cda, con possibile designazione dei nuovi vertici della società del Corriere della Sera. Ma dopo un duro confronto i detentori del 63,5% del capitale non si accordano e si riconvocano domattina, alle 8. Si vedranno a oltranza fino a sabato 7, termine per depositare le liste al voto nell´assemblea del 2 maggio.

L´intesa sulla "linea di cambiamento" avanzata da Mediobanca e Fiat è subordinata all´adesione della maggioranza assoluta sia dei pattisti sia delle quote da loro apportate. Il quorum del 31,76% sulle quote sembra a portata di mano, specie data l´attenzione con cui Giovanni Bazoli (ieri presidente della riunione come consigliere anziano, data l´assenza di Giampiero Pesenti per motivi di salute) segue l´iniziativa. La posizione del carismatico presidente di Intesa Sanpaolo su Rcs potrebbe essere decisiva, per l´affermazione delle novità ma anche per la ricerca di un compromesso con gli scettici. Le diplomazie sono già al lavoro.

Ieri i pattisti hanno lasciato la sede di via Rizzoli con facce scure, senza dichiarazioni. Prima Diego Della Valle, Renato Ravanelli, Francesco Merloni e Roberto Bertazzoni. Assente Marco Tronchetti Provera, per impegni di lavoro all´estero. Coda privata invece per Renato Pagliaro, presidente di Mediobanca, John Elkann, presidente di Fiat e Giovanni Bazoli presidente di Mittel e Intesa Sanpaolo.

Se passerà la loro posizione potrebbe non essere rinnovato il presidente Piergaetano Marchetti, per fare spazio ad Angelo Provasoli, economista, docente ed ex rettore dell´Università Bocconi.

La "linea di rinnovamento", condotta dai soci Mediobanca (13,7%) e Fiat (10,3%), sarebbe finora appoggiata da Intesa Sanpaolo (4,9%), Mittel (1,3%, retta sempre da Bazoli), Edison (1%, tradizionalmente vicino alle posizioni Mediobanca sul dossier). L´altra metà dell´accordo parasociale, specie i soci privati industriali, avrebbe reagito con freddezza e in alcuni casi fastidio alle proposte.

Si tratterebbe, secondo gli auspici di Piazzetta Cuccia e del Lingotto, di sostituire il presidente Piergaetano Marchetti - il candidato sarebbe Angelo Provasoli, economista e docente della Bocconi, di cui è stato anche rettore - e comporre un futuro consiglio snello (di 9 elementi, dagli attuali 19) con un passo indietro degli azionisti, a beneficio di consiglieri indipendenti di natura "tecnica".

In tal modo si preparerebbe l´arrivo di un manager di peso, da cercare nelle prossime settimane, e con cui sostituire l´ad Antonello Perricone. I sostenitori dei ricambi si appellano alle modifiche "di sistema" viste in Italia di recente, ma anche ai risultati del gruppo Rcs (nel 2009 persi 130 milioni, nel 2010 utile di 7 milioni, nel 2011 persi 322 milioni); ma l´ipotesi è malvista per i soci minori che perderebbero rappresentanza, o per quegli imprenditori che hanno messo soldi propri in Rcs. Per esempio Della Valle, che ha il 5,4%, una minusvalenza latente di circa 120 milioni, e l´ambizione a crescere nell´editoriale.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business...liaro-37437.htm

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"Vogliono controllare il Corriere

la mia battaglia non finisce qui"

di FABIO MASSIMO SIGNORETTI

ROMA - "Sono voluto uscire dal patto di sindacato perché in Rcs ho visto una situazione gestita da un ragazzino e un funzionario con la pretesa di decidere per tutti. Diciamolo chiaramente: era in atto il tentativo di Elkann e Pagliaro di mettere il cappello sul Corriere della Sera anche con l'invenzione dei consiglieri indipendenti, tutti uomini legati a loro, mentre io in consiglio volevo gli azionisti. Ma sono due dilettanti allo sbaraglio. E, mi dispiace, ma io non ci sto". Diego Della Valle, appena uscito dal patto di sindacato di Rcs, è furente. E attacca frontalmente il presidente della Fiat, John Elkann, e il presidente di Mediobanca, Renato Pagliaro, principali protagonisti della "rivoluzione" nella governance di Rcs.

È stato questo scontro a spingerla a chiedere l'uscita dal patto Rcs?

"È un pezzo che lo chiedevo. Volevo tornare libero. Oggi mi hanno ridato le mie azioni. Sono libero e farò quello che mi pare. Basta con questi metodi. Può una società quotata in Borsa affondare da un mese nel pettegolezzo, lasciando in pasto ai giornali i nomi di chi ci sarà a guidare l'azienda? Elkann e Pagliaro si sono messi a brigare intorno al patto, ma questo non competeva loro perché è un compito che spetta al presidente del patto. Sono due dilettanti allo sbaraglio: un impiegato e un ragazzino. Mi dispiace ma non ci sto".

Lei usa parole molto dure, avete litigato nel corso della riunione?

"Si sono comportati male e finalmente la mia voglia di andarmene è stata premiata e la situazione si è sbloccata all'unanimità. Ma questa vicenda ha creato molto malumore tra gli azionisti abituati a respirare aria di mercato. Non si può gestire un'azienda così. Preferisco uscire e avere mani libere".

Avrà pure le mani libere, ma così è uscito dal sancta santorum di Rcs, la stanza dove si decide tutto.

"Ma decide cosa?"

Il presidente, l'amministratore delegato, i direttori dei giornali...

"Creda a me, lì dentro non si decide proprio niente. Anzi, il vero, gigantesco problema è che non si decide mai. La capacità di mettere le mani sui giornali c'è, ma non c'è la capacità di decidere. Tutto è difficile con una compagine così allargata di soci. È un'azienda in cui ho perso molto tempo".

Ma ora che ha le mani libere, pensa di incrementare ulteriormente la sua quota?

"Ora sono libero. Sono un imprenditore abituato a vivere nel mercato e non solo a parlare. Ogni volta che sono andato in un posto ho comprato azioni. A me le azioni non le ha mai regalate nessuno. E non le ho avute in carico da un'azienda, né ho gestito un pacchetto azionario di una banca. Quelli sono metodi da vecchia scuola, ma che vanno giù come birilli. Posso dire che vado avanti: da persona che dove va compra, continuerò la mia strada".

Delle decisioni di ieri non c'è proprio nulla che l'ha soddisfatta?

"Sono contento per i giovani confermati, anche se loro non li volevano. Ma sono dispiaciuto per gente per bene come Bertazzoni e Lucchini che hanno mostrato sempre grande correttezza e sono stati fatti fuori da un giorno all'altro".

Dalle sue parole sembra che tutto sia arrivato all'improvviso. Non ne avevate parlato nelle scorse settimane?

"La lista dei consiglieri indipendenti l'abbiamo vista solo questa mattina (ieri mattina n. d. r.). Fino a martedì non c'erano i nomi né degli indipendenti, né del presidente, né dell'amministratore delegato. Le pare il modo? E anche ora c'è una società quotata in Borsa che dice che troverà l'amministratore delegato ma non sa chi sarà. Ci siamo ridotti a comunicare al mercato che non abbiamo un capo azienda. Intendiamoci: anche in passato ho visto operazioni di potere. Ma erano fatte da vecchi marpioni capaci di muoversi. Oggi mancano i piloti di una volta. A Bazoli (presidente del cds di Intesa Sanpaolo n. d. r.) la situazione è evidentemente sfuggita di mano. Mi guardavo intorno al tavolo, si era creata una situazione di assoluto disagio. E qualche tentazione di uscire con me a qualcuno è venuta in mente".

Ora che è uscito dal patto di sindacato di Rcs sulla quale aveva puntato molto, si sente sconfitto?

"Scherziamo? La battaglia continua e continua con le mani libere. Prima ero vincolato ad accettare anche decisioni che non condividevo perché avevo tutte le mie azioni lì dentro ed ero sempre più stufo, anche nell'ultimo atto: tre giorni di discussione per non decidere niente osservando le manovre di impiegati e ragazzini che non hanno ancora imparato a lavarsi i denti".

Anche questa volta ha utilizzato metodi poco consueti nel mondo paludato dell'alta finanza. Perché ha deciso di attaccare in modo così pesante e diretto Elkann e Pagliaro?

"Ho deciso di fare nomi e cognomi e continuerò a farlo. Ripeto: sono dilettanti allo sbaraglio che vogliono mettere il cappello sui giornali e non sanno dove si comincia. L'unico risultato è un imbarazzo generale e una mancanza di decisioni vere. Un peccato perché resto convinto che Rcs ben gestita sarebbe davvero una bella azienda".

La sua quindi è un'altra dichiarazione di guerra dopo quella lanciata a suo tempo contro l'allora presidente di Generali, Cesare Geronzi, poi spinto a dimettersi?

"Quelli che stanno sul mercato e hanno aziende di primo piano non possono accettare di prendere ordini da questi mondi finiti, da personaggi che fanno affondare tutto quello che toccano: guardi cosa capita alle aziende toccate da Mediobanca. Devono capire che la cooptazione è finita, quello che conta è il mercato".

Ma la cooptazione in questi mondi c'è sempre stata, non può essere una sorpresa per lei.

"Certo, ma creda a me: c'erano altri pesi nei cappotti. Oggi vedo solo cappotti vuoti".

http://www.repubblica.it/economia/finanza/...i-32794072/?rss

IVECO: MARCHIONNE, CRESCE IMPORTANZA CINA

(AGI) - Torino, 5 apr. - "Uno dei punti di forza di Iveco, che viene spesso sottovalutato, e' la posizione che ha guadagnato in Cina in questi ultimi anni. La Cina per noi sta assumendo un'importanza crescente anche come base di esportazione, soprattutto verso l'America Latina e i nuovi mercati dell'Africa, del Medio Oriente e dell'Asia". Lo ha detto il presidente di Fiat Industrial, Sergio Marchionne, nel corso del suo intervento in apertura dell'assemblea in corso al Lingotto.

"Dopo diversi anni consecutivi di crescita a due cifre - ha aggiunto Marchionne - il mercato cinese ha fatto registrare nel 2011 una contrazione del 7 per cento. L'unico segmento che ha continuato a crescere e' stato quello dei minibus, nel quale Daily ha un eccellente posizionamento competitivo. La quota di mercato di Iveco si e' attestata al 4,6 per cento, in crescita di circa mezzo punto percentuale rispetto al 2010. Le vendite sono state di oltre 143 mila unita', in aumento dell'1,4 per cento rispetto all'anno precedente. Il risultato delle partecipazioni nelle joint venture cinesi e' stato di 22 milioni di euro, contro i 15 milioni del 2010".

http://www.agichina24.it/notiziario-cina/n...importanza_cina

Exor, il patrimonio scende di 2 miliardi

ma dalle controllate utili e dividendi

MILANO - Una perdita secca di 2 miliardi di euro di patrimonio, ma utili per 500 milioni. Tra questi due numeri si racchiude il bilancio di Exor, la cassaforte in cui siedono gli eredi dell’avvocato Agnelli. Il Nav (Net asset value), il valore delle partecipate depurato dai debiti, è sceso dagli 8,3 miliardi di fine 2010 ai 6,3 miliardi di dicembre 2011. L'utile, invece, grazie al contributo della Fiat è volato a 504 milioni di euro dai 136,7 dell'anno precedente. Per festeggiare, il consiglio di amministrazione proporrà agli azionisti di distribuire 80 milioni in dividendi, attingendo anche alle riserve: 0,335 euro per le ordinarie, 0,3867 per le privilegiate e 0,4131 per le risparmio.

Nonostante gli asset siano stati penalizzati dai corsi di Borsa, la buona salute del bilancio è confermata dai conti delle principali controllate, tutte in positivo, ad eccezione della Juventus, il club calcistico guidato da Andrea Agnelli. Il gruppo Fiat ha presentato un utile di 1,3 miliardi, la Fiat Industrial di 624 milioni, la Cushman&Wakefiled, il ramo immobiliare, di 19 milioni di dollari e l’Alpitour di 17,3 milioni. La Juventus ha chiuso con un buco da 90,5 milioni.

Nonostante il buon risultato, la famiglia ha deciso di uscire dal turismo, vendendo l’Alpitour per 225 milioni di euro con una plusvalenza di 140 milioni che verrà contabilizzata nel 2012. I compratori di Alpitour, i fondi Wise e J.Hirsch hanno fatto poi un regalino agli Agnelli, vendendo loro un immobile per 26 milioni, ma permettendo loro di pagarlo con i canoni di un affitto a carico della stessa Alpitour.

Per premiarsi dei buoni risultati il presidente John Elkan ha deciso col consiglio di assegnarsi 750mila diritti di opzione per titoli Exor da rilevare alla media aritmetica del mese precedente all’acquisto. Stando ai valori di borsa odierni, quelle opzioni valgono poco più di 13,6 milioni di euro. Il programma di remunerazione scatterà tra il 2014 e il 2018.

(06 aprile 2012)

http://www.repubblica.it/economia/finanza/...a-32874736/?rss

Rcs fa +20%, John Elkann fa finta di non sapere che il mercato spera in un’Opa

Giorni agitati, in Rcs. Della Valle attacca sulla malagestione e sulla distanza dalle logiche imprenditoriali? John Elkann risponde indicando il balzo (+20%) che il titolo RCS ha fatto ieri in borsa: “Il segnale che viene dal mercato è positivo e ci incoraggia a proseguire nella strada che abbiamo intrapreso”. Si sbaglia di grosso, o fa finta di sbagliarsi.

Il mercato ha reagito positivamente a un’ipotesi - quella di un’Offerta pubblica di acquisto - che nascerebbe proprio per rispondere, sul mercato, alla “strada intrapresa” da Elkann e gli altri. È la strada di un Cda debole, espressione del classico capitalismo di relazione e che perde sempre di vista il mercato editoriale e il mondo che cambiano. Un pasticcio di cui anche Mediobanca non dovrebbe essere molto contenta, come prima azionista di Rcs, se non fosse la stessa Mediobanca che già sta bruciando passo a passo la credibilità costruita in 40 anni giocando malamente sui tavoli delle partecipazioni: ieri Ligresti, oggi Rcs, domani - chissà - Generali. Come uscirne? Ci vorrebbe davvero un’opa. Diego Della Valle passi dalle parole ai fatti e lanci un OPA in modo da inchiodare tutti i pattisti alle loro responsabilità in caso non vi aderissero. Ne ha i mezzi finanziari e le capacità. A Rcs e al paese farà bene vederle alla prova dei fatti.

http://www.linkiesta.it/rcs-fa-20-john-elk...a#ixzz1rIr6rhOs

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CONFERMATA LA CESSIONE DELLA PARTECIPAZIONE IN ALPITOUR PER 225 MILIONI

L’utile di Exor sale a 504 milioni

Il monte dividendi cresce a 80,1 milioni. Cedola a 0,335 euro per azione

di TEODORO CHIARELLI (LA STAMPA 07-04-2012)

Utile e dividendi in crescita per Exor. La holding degli Agnelli archivia

l’esercizio 2011 con un utile netto di gruppo di 504,2 milioni, quasi

quadruplicato rispetto ai 136,7 milioni del 2010. La finanziaria, guidata dal

presidente e amministratore delegato John Elkann, prevede di chiudere con

risultati positivi, sia per il gruppo che per la Spa, anche il 2012 e vara un

piano di incentivazione a lungo termine, costituito da stock grant e stock

option. Il consiglio di amministrazione, riunitosi ieri a Torino, proporrà

all’assemblea degli azionisti, fissata per il 29 maggio, un dividendo di 0,335

euro per ogni azione ordinaria, di 0,3867 per azione privilegiata e di 0,4131

per azione risparmio, con un monte dividendo che sale da 75,9 a 80,1 milioni.

L’utile netto della spa scende invece a 58,7 milioni dai 151,8 milioni nel

2010. Un calo dovuto a minori dividendi incassati da partecipate (-26,1

milioni), alla variazione delle minusvalenze nette su cessioni e svalutazioni

di partecipazioni (-74,4 milioni, di cui 56,2 milioni relativi alla

svalutazione effettuata sulla controllata Juventus), da maggiori oneri

finanziari netti (-12,6 milioni), da maggiori imposte indirette (-0,8 milioni)

e da maggiori imposte dell’esercizio (-1,5 milioni). Questi fattori sono

compensati da minori spese ricorrenti (+2,6 milioni) e da maggiori proventi

netti non ricorrenti (+19,7 milioni che comprendono la plusvalenza realizzata

dall’incorporata Exor Services con la cessione dell’immobile di corso

Matteotti 26 che è stata pari a 7,1 milioni).

In calo anche il Nav (Net asset value, valore netto degli attivi) che passa

da 8,36 miliardi di fine 2010 a 6,3 miliardi. Al 31 dicembre 2011 il saldo

della posizione finanziaria netta consolidata del Sistema Holdings è negativo

per 325,8 milioni con una variazione negativa di 368,4 milioni rispetto al

saldo positivo di 42,6 milioni di fine 2010, principalmente per gli

investimenti effettuati nel corso dell’esercizio. Sempre al 31 dicembre 2011

il patrimonio netto consolidato attribuibile ai soci della controllante

ammonta a 6,4 miliardi con un incremento netto di 328,5 milioni rispetto a

fine 2010.

I piani di incentivi Per quanto riguarda le stock grant, è prevista

l’assegnazione di 400 mila diritti per circa 30 beneficiari: riceveranno un

corrispondente numero di azioni Exor ordinarie alla data di maturazione

fissata nel 2018, subordinatamente al perdurare del rapporto professionale con

la società e con le società del Sistema Holdings. La seconda componente,

definita «Company Performance Stock Option», prevede l’assegnazione di 3

milioni di diritti di opzione che consentono ai beneficiari di acquistare un

corrispondente numero di azioni Exor ordinarie.

Il periodo di maturazione delle opzioni decorrerà dal 2014 al 2018 in quote

annuali di pari entità che saranno esercitabili dal momento della maturazione

sino al 2021, subordinatamente al raggiungimento dell’obiettivo di performance

e al perdurare dei rapporti professionali con la società e con le società del

Sistema Holdings.

John Elkann è beneficiario del «Company performance stock option» e riceverà

750 mila diritti di opzione. Gli altri beneficiari potranno essere circa 15

dipendenti di Exor e delle società del Sistema Holdings, che ricoprono ruoli

chiave nell’ambito dell’organizzazione aziendale.

Alpitour Confermata la cessione della partecipazione in Alpitour per 225

milioni di euro a due fondi chiusi di private equity facenti capo a Wise Sgr e

J. Hirsch & Co, a cui si affiancano altri soci finanziari tra cui Network

Capital Partners. L’accordo è stato integrato con il riacquisto da parte di

Exor di un albergo per 26 milioni di euro e un aumento della remunerazione del

prezzo differito. La struttura sarà concessa in locazione al gruppo Alpitour e

garantirà a Exor un rendimento legato ai risultati della gestione

dell’immobile con un minimo garantito. Potrà poi essere ceduta a terzi senza

alcuna limitazione contrattuale.

Il closing della vendita di Alpitour (che comporterà per Exor spa una

plusvalenza di 140 milioni contabilizzata nel corso del 2012) è previsto nelle

prossime settimane. Gli acquirenti effettueranno l’operazione mediante Seagull,

un veicolo societario appositamente costituito.

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178 messaggi

IL FONDO “AABAR” STA PENSANDO DI CANDIDARE MONTEZEMOLO COME PROPRIO RAPPRESENTANTE NEL BOARD DI PIAZZA CORDUSIO …

Marigia Mangano per il "Sole 24 Ore"

Il fondo Aabar chiede due posti nel board di UniCredit e candida il presidente della Ferrari Luca Cordero di Montezemolo.

Montezemolo ai politici

"Ora dovete cambiare"

ANTONELLA MARIOTTI

torino

L'ultima domanda è la prima notizia. Si candida nel 2013? «Per ora penso alle mie aziende ma alla chiusura del governo tecnico, bisognerà aprire una pagina nuova nel rapporto fra politica e cittadini». Poi Luca Cordero di Montezemolo parla...

Gironzolando nel web ho trovato questa intervista a Romiti. Non mi ricordavo il passaggio su Montezemolo... davvero un "uomo" piccolo piccolo.

http://www.dagospia.com/video.html

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11014 messaggi

Il segreto invincibile di Juve e Fiat

di MARIO SCONCERTI dal blog Lo sconcerto quotidiano (Corriere.it 10-04-2012)

La crisi dell’auto ha fatto perdere il 40% del venduto alla Fiat in Italia; si

torna a chiedere aiuti allo Stato e si torna quindi a domandarsi quanto questo

potrà incidere sulla Exor e sui soldi da mettere nella Juve. Credo sia una

domanda legittima, ma ormai molto più che superata. La situazione rispetto

agli altri anni, ai tanti anni del rapporto Fiat-Juve, è anzi rovesciata. Non

è più la Fiat che spinge la Juve, sono i quindici-venti milioni di juventini

che spingono la Fiat. Nessuna azienda al mondo ha una massa commerciale così

vasta e così fanatica. E nessuna grande azienda potrebbe permettersi di

deluderla a priori. Moratti non ha questo vantaggio, non ha un pubblico di

clienti. Berlusconi fu il primo a capirlo, ma usò il Milan soprattutto come

prima base elettorale. La differenza adesso è molto grande. Moratti (e

Berlusconi) spendono, tirano fuori soldi per il calcio che non riavranno se

non in soddisfazioni eventuali. Bruciano in sostanza continuamente denaro. La

Fiat nella Juve, non spende, investe. E non sono più i soldi di un capriccio,

ma quelli di una grande azienda che pianifica e cerca di soddsisfare la grande

massa potenziale dei suoi clienti. Se lo capiranno, è la vera svolta.

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Joined: 01-Jun-2005
2375 messaggi

Caspita, mi ha letto nel pensiero... Volevo scrivere grossomodo lo stesso articolo...

La sponsorizzazione della Juventus da parte di Jeep, se ci si riflette, è un'operazione fondamentalmente di mascheratura della realtà.

Exor/Fiat sta disinvestendo in Italia per trasferire il proprio centro altrove, probabilmente negli USA.

Il messaggio della sponsorizzazione Jeep vorrebbe essere: Exor/Fiat continuano ad investire in Italia.

Da questo punto di vista la Juventus può considerarsi un asset di un gruppo ormai americano.

Quanto l'asset Juventus interessi concretamente agli "americani" di Exor non lo sappiamo ma sta di fatto che la sponsorizzazione Jeep risponde ad una logica di comunicazione molto chiara.

Quanto questo sia un bene per la Juventus non lo sappiamo, ma paradossalmente proprio quella dinamica che ho accennato sopra risponde pienamente all'affermazione di Andrea Agnelli che la Juventus sta diventando indipendente da Exor e si muove in una logica di autonomo interesse: io rappresento per te (Jeep=Chrysler=FiatAuto=Exor) un messaggio mediatico (Jeep sponsor Juventus = Fiat continua ad investire in Italia) e tu mi paghi per il messaggio che veicolo.

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Joined: 08-Jul-2006
21484 messaggi

Il segreto invincibile di Juve e Fiat

di MARIO SCONCERTI dal blog Lo sconcerto quotidiano (Corriere.it 10-04-2012)

La crisi dell’auto ha fatto perdere il 40% del venduto alla Fiat in Italia; si

torna a chiedere aiuti allo Stato e si torna quindi a domandarsi quanto questo

potrà incidere sulla Exor e sui soldi da mettere nella Juve. Credo sia una

domanda legittima, ma ormai molto più che superata. La situazione rispetto

agli altri anni, ai tanti anni del rapporto Fiat-Juve, è anzi rovesciata. Non

è più la Fiat che spinge la Juve, sono i quindici-venti milioni di juventini

che spingono la Fiat. Nessuna azienda al mondo ha una massa commerciale così

vasta e così fanatica. E nessuna grande azienda potrebbe permettersi di

deluderla a priori. Moratti non ha questo vantaggio, non ha un pubblico di

clienti. Berlusconi fu il primo a capirlo, ma usò il Milan soprattutto come

prima base elettorale. La differenza adesso è molto grande. Moratti (e

Berlusconi) spendono, tirano fuori soldi per il calcio che non riavranno se

non in soddisfazioni eventuali. Bruciano in sostanza continuamente denaro. La

Fiat nella Juve, non spende, investe. E non sono più i soldi di un capriccio,

ma quelli di una grande azienda che pianifica e cerca di soddsisfare la grande

massa potenziale dei suoi clienti. Se lo capiranno, è la vera svolta.

caro sconcerti capisci poco nel tuo orticello

figuriamoci quando ti avventuri fuori

La sponsorizzazione della Juventus da parte di Jeep, se ci si riflette, è un'operazione fondamentalmente di mascheratura della realtà.

Exor/Fiat sta disinvestendo in Italia per trasferire il proprio centro altrove, probabilmente negli USA.

Il messaggio della sponsorizzazione Jeep vorrebbe essere: Exor/Fiat continuano ad investire in Italia.

Da questo punto di vista la Juventus può considerarsi un asset di un gruppo ormai americano.

Quanto l'asset Juventus interessi concretamente agli "americani" di Exor non lo sappiamo ma sta di fatto che la sponsorizzazione Jeep risponde ad una logica di comunicazione molto chiara.

Quanto questo sia un bene per la Juventus non lo sappiamo, ma paradossalmente proprio quella dinamica che ho accennato sopra risponde pienamente all'affermazione di Andrea Agnelli che la Juventus sta diventando indipendente da Exor e si muove in una logica di autonomo interesse: io rappresento per te (Jeep=Chrysler=FiatAuto=Exor) un messaggio mediatico (Jeep sponsor Juventus = Fiat continua ad investire in Italia) e tu mi paghi per il messaggio che veicolo.

"Con il '68 il mondo è andato avanti nella conquista dei diritti civili: perciò è utile riscoprirne i valori alle soglie del terzo millennio." Questa è l'opinione di Mario Capanna, leader del Movimento studentesco di allora, impegnato in prima persona in una delle grandi battaglie di idee dell'Italia del dopoguerra. Sono passati quarant'anni e la scena internazionale è stata sconvolta da grandi avvenimenti: la caduta del Muro di Berlino, l'avvento del mondo unipolare, la globalizzazione. In Italia nuovi soggetti politici si sono affacciati sulla scena, dopo il crollo dei vecchi partiti, avversari storici delle lotte di allora, e si stabiliscono nuove alleanze. L'autore propone la storia di chi ha vissuto in prima persona quegli avvenimenti, occupazioni, manifestazioni di piazza, per capire il nuovo di oggi.

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Joined: 01-Jun-2005
627 messaggi

http://www3.lastampa.it/torino/sezioni/cronaca/articolo/lstp/449630/

Scontro sull'eredità Agnelli

Respinto il ricorso di Margherita

Bocciata in appello l'istanza contro la sentenza di primo

grado presentata dalla figlia

dell'Avvocato contro la madre, Gabetti, Maron e Grande Stevens

ALBERTO GAINO

TORINO

La Corte d’appello civile di Torino ha respinto stamane il ricorso presentato da Margherita Agnelli de Pahlen contro la madre Marella Caracciolo e gli amministratori del patrimonio dell'Avvocato Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e Siegfrid Maron. I giudici hanno confermato l’esito della sentenza di primo grado pronunciata sull'eredità di Gianni Agnelli dal tribunale nel maggio del 2010.

Margherita Agnelli dovrà rifondere alle quattro «parti appellate» le spese di lite, quantificate complessivamente in 72 mila euro (18 mila per ciascuna). Donna Marella era stata citata in giudizio in quanto firmataria degli accordi stipulati in Svizzera, con cui nel 2004 la figlia aveva regolato l’eredità paterna. Accordi dai quali la stessa Margherita (che aveva rinunciato all’asse ereditario a fronte di una compensazione) si ritiene danneggiata e ha chiesto l’annullamento. I tre uomini di fiducia, che avevano lavorato per molti anni a fianco di Giovanni Agnelli, fino alla sua morte sopraggiunta nel 2003 a 81 anni, era stati coinvolti nella causa come presunti gestori del patrimonio privato dell’Avvocato. Una condizione che, secondo la figlia, avrebbe permesso di occultare parte dell’eredità del padre.

La ricorrente era difesa dal professor Paolo Carbone e dagli avvocati Andrea e Michele Galasso. I convenuti erano difesi da Marco Weigmann e Paolo Montalenti (Caracciolo), Sergio Carbone (Maron), Carlo Pavesio (Gabetti), Michele Briamonte (Grande Stevens). In giornata sono attese le motivazioni della sentenza.

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Joined: 24-Oct-2006
11311 messaggi

La sponsorizzazione della Juventus da parte di Jeep, se ci si riflette, è un'operazione fondamentalmente di mascheratura della realtà.

Exor/Fiat sta disinvestendo in Italia per trasferire il proprio centro altrove, probabilmente negli USA.

Il messaggio della sponsorizzazione Jeep vorrebbe essere: Exor/Fiat continuano ad investire in Italia.

Da questo punto di vista la Juventus può considerarsi un asset di un gruppo ormai americano.

Quanto l'asset Juventus interessi concretamente agli "americani" di Exor non lo sappiamo ma sta di fatto che la sponsorizzazione Jeep risponde ad una logica di comunicazione molto chiara.

Quanto questo sia un bene per la Juventus non lo sappiamo, ma paradossalmente proprio quella dinamica che ho accennato sopra risponde pienamente all'affermazione di Andrea Agnelli che la Juventus sta diventando indipendente da Exor e si muove in una logica di autonomo interesse: io rappresento per te (Jeep=Chrysler=FiatAuto=Exor) un messaggio mediatico (Jeep sponsor Juventus = Fiat continua ad investire in Italia) e tu mi paghi per il messaggio che veicolo.

.penso

Si, può essere. Ma aspetterei ancora un poco prima di dare la cosa per assodata.

Ci sono anche alcuni elementi di senso contrario da considerare.

E' ancora presto.

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Joined: 24-Oct-2006
11311 messaggi
Inviato (modificato)

Scontro sull'eredità Agnelli

Respinto il ricorso di Margherita

Bocciata in appello l'istanza contro la sentenza di primo

grado presentata dalla figlia

dell'Avvocato contro la madre, Gabetti, Maron e Grande Stevens

Coerente con il primo grado.

In bradigaaaaaaa.... i soldi all'estero ci sono, lo sanno tutti, anche le pietre, ma non lo sa nessuno per certo, nessuno sa quanti sono, nessuno sa come sono stati accumulati, nessuno sa dove sono, nessuno sa chi li gestisce.

Ergo, non ci sono. sefz

Tanto per darli a Margherita che li avrebbe scialacquati, è meglio che li lasciano dove stanno, forse.

Su molte delle vicende di questi anni ne sapremo di più quando verranno a mancare i due grandi vecchi.

Basta che qualcuno si ricordi di asportargli la scatola nera... :haha:

Modificato da CRAZEOLOGY

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IL MERCATO

IL DECLINO DI RCS

SPECCHIO DEL PAESE

I dati sono impietosi: margini risibili, niente profitti, elevato indebitamento, investimenti sbagliati

di ALESSANDRO PENATI (la Repubblica 14-04-2012)

Ogni minima variazione della struttura proprietaria di Rcs (Corriere della

Sera), diventa notizia e assume un rilievo da questione di interesse

nazionale. Nonostante la gravità della crisi finanziaria, anche il recente

rinnovo del patto di sindacato non ha fatto eccezione. Nel frattempo però

l´azienda continua a essere mal gestita e vale sempre di meno. È quella che

chiamo "economia spettacolo": uno star system di imprenditori e banchieri dove

l´immagine e le relazioni contano più dei profitti. Ha i suoi lati divertenti,

ma l´Italia di oggi non se lo può più permettere, avendo disperatamente

bisogno di ristrutturazioni e aziende che rilancino la crescita.

I dati di Rcs sono impietosi. Margini risibili, incapacità di generare

profitti, elevato indebitamento, investimenti sbagliati. Una situazione non

molto diversa da quella del 1998, anno dell´arrivo di Cesare Romiti alla

presidenza: allora un conglomerato indebitato, poco redditizio, frutto di

investimenti errati. I programmi di ristrutturazione dell´era Romiti non

ebbero successo e il gruppo rimase poco competitivo. Fuori i Romiti, nuovi

piani di ristrutturazione ed espansione. Stesso patto di sindacato, salvo

qualche aggiustamento tra i soci. Risultato: dopo 14 anni siamo al punto di

prima. Dal 1998 a oggi, il gruppo Rcs ha prodotto complessivamente 36 miliardi

di ricavi, ma solo il 2,7% si sono tradotti in utili (prima di imposte e

interessi). Il rendimento medio sul capitale investito è stato un risibile 1,

3%. Alla scarsa redditività, si è aggiunta l´incapacità di crescere, con un

fatturato in contrazione del 3% medio annuo.

La concorrenza delle tv, la crisi, la disaffezione degli italiani per la

carta stampata non spiegano risultati così negativi. In questi 14 anni, i tre

principali concorrenti italiani, (Mondadori, Espresso e Caltagirone/Messaggero)

hanno saputo mantenere mediamente una crescita positiva (+ 1, 3%); una

redditività media sul capitale adeguata (quasi 8%), con margini quadrupli di

Rcs (10,4%). Se poi si guarda ai principali gruppi editoriali europei, il

confronto diventa imbarazzante. La crisi della carta stampata e quella

finanziaria non hanno risparmiato il resto d´Europa: la crescita media dell´1%

è in linea con le concorrenti italiane; ma con una redditività media sul

capitale (10%) e margini complessivi (15%) ancora più elevati, segno di

gestioni efficienti. Quattordici anni non sono bastati per rendere Rcs

stabilmente competitiva e redditizia; e neppure per invertirne il declino.

Il problema non meriterebbe attenzione se Rcs non fosse di gran lunga il

maggior gruppo editoriale italiano, di dimensioni non troppo lontane dai

leader europei, come Springer, Sanoma, o Daily Mail; l´unico che ha puntato

seriamente sull´espansione all´estero (ahimè, disastrosa). E se i soci di RCS

non annoverassero le maggiori banche, assicurazioni e gruppi industriali

italiani. Quali speranze di rilancio ha il Paese se al gotha del nostro

capitalismo non sono bastati 14 anni per ristrutturare, gestire bene e far

crescere una delle nostre poche grandi aziende? Oppure se questo è il prezzo

che evidentemente sono disposti a pagare per incassare il dividendo politico

della partecipazione alla proprietà del Corriere?

Dopo l´ennesimo polverone, per l´ennesimo riassetto, uno stimato professore

della Bocconi ha sostituito alla presidenza un altro stimato professore della

Bocconi. Del nuovo amministratore delegato per ora non si sa; lo sta cercando

una società di reclutamento, anche se non è chiaro che cosa dovrà di fare.

Intanto il titolo vale appena il 25% del fatturato, contro il 92% medio di

settore in Europa (e nonostante gli occasionali rialzi, come quello recente,

sull´onda di improbabili cambi di controllo). Eppure, per un investimento così

disastroso c´è sempre la fila di soci rilevanti che vuole comprare, al punto

che sul mercato è rimasto meno del 15% del capitale.

La Rcs è lo specchio del Paese: per capire il declino economico italiano,

vale più di molte, sofisticate analisi.

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