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CRAZEOLOGY

Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"

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Mi dicono che Andrea Agnelli fuma molto/troppo.

Visto che so che legge il web, dico che sarebbe il caso che smettesse. Grazie.

:spank:

Qualcuno mi ha detto: si vabbè, mica deve rendere conto a te! Perché dovrebbe farlo?

Io: Perché si, punto e basta. :Io:

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6 MILIONI DI FREGNACCE - GLI ANALISTI INTERNAZIONALI SBUGIARDANO LE PREVISIONI DI MARPIONNE SULLE VENDITE - L’AD DI FIAT INFATTI AVEVA SPARATO COME TARGET DEL GRUPPO, 6 MILIONI DI VETTURE DA VENDERE NEL 2012 - GLI ESPERTI, INTERVISTATI DA BLOOMBERG, HANNO RIDIMENSIONATO LA CIFRA: 5 MILIONI, E NON PRIMA DEL 2014 (SE VA BENE) - L’UNICA STRADA PER TENERE BOTTA SAREBBE QUELLA DI NUOVE ACQUISIZIONI, MAGARI IN ASIA - MA LA CASSA È VUOTA E IL GRUPPO DEVE FINALIZZARE L’OPERAZIONE CON LA CHRYSLER…

Da "lo Spiffero.com"

Raccontala giusta Sergio, non esagerare. Sembra questo l'ammonimento che giunge oltreoceano a Sergio Marchionne per aver un tantino esagerato nelle previsioni di vendita nell'anno appena iniziato. L'amministratore delegato di Fiat e Chrysler alla voce vendite di automobili della casa torinese ha scritto il numero tondo 6 milioni.

Un obiettivo che non è affatto semplice da raggiungere, dicono gli analisti interpellati da Bloomberg News, prevedendo che nel 2014 potranno essere messe in circolazione 4,9 milioni di nuove vetture, ossia un milione in meno rispetto a quanto indicato dal manager italo-canadese. Nessuno tra gli esperti di mercato si aspetta che Marchionne riesca a compiere questo miracolo. Almeno non quelli stranieri, meno proni di quelli domestici a santificare le gesta del Lingotto.

L'articolo (ripreso da Wall Street Italia) ritiene che siano le prospettive di un nuovo rallentamento economico, con lo spauracchio di una recessione alle porte in Europa, a gettare ombre sulle previsioni fatte in casa Fiat. Per l'ad della casa automobilistica di Torino in realtà quei numeri non sono mere stime, ma raccontano qualcosa di più: sono «la massa critica per garantire al gruppo la redditività nel lungo termine». Eppure serpeggia scetticismo tra gli addetti ai lavori. C'è chi come Hans-Peter Wodniok di Fairesearch GmbH che non scarta a priori il disegno di Marchionne.

«Siamo di fronte a un manager che ha una visione realistica di come potrebbe muoversi la società, ma a patto che Fiat faccia qualche acquisizione», dice l'analista, che non nasconde però di nutrire seri dubbi sulla reale fattibilità di questa ipotesi dal momento che - ricorda - il gruppo deve finalizzare l'operazione con l'americana Chrysler.

«L'obiettivo di 6 milioni di auto vendute posto dal Lingotto sembra più uno slogan che una intenzione vera», è l'opinione di Giuseppe Berta, docente di storia economica dell'Università Bocconi di Milano. «L'unica possibilità di realizzarlo nel 2014 è quello di combinare le forze di Fiat e Chrysler con una casa automobilistica in Asia, una regione dove il gruppo di Torino è oggi ancora estremamente debole».

Uno scenario che Marchionne lo scorso settembre al Motor Show di Francoforte ha però accantonato, annunciando che non c'è un imminente piano di sviluppo in questo senso. Dietro le quinte, concludono gli addetti ai lavori, qualcosa si starebbe muovendo. Ad aprile il manager aveva, infatti, spiegato che Fiat avrebbe dato battaglia per ritagliarsi un ruolo in Cina, perché è lì in Asia che ci sono spazi di crescita e che si gioca quindi la vera partita per sopravvivere.

[04-01-2012]

DAGOSPIA

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MISTERO KENNEDY

Il libro voluto da Gianni Agnelli

per svelare il complotto su JFK

Torna in commercio l’inchiesta sull’assassinio del presidente Usa, che l’Avvocato

aveva fatto stampare decenni fa, poi sparita dagli scaffali di mezzo mondo

di FRANCESCO SPECCHIA (Libero 12-01-2012)

La foto cristallizza i due fratelli, John e Bob, il Castore e Polluce della

Nuova Frontiera, l’uno di fronte all’altro in controluce, avvolti in un

silenzio innaturale nella stanza d’un motel. È quasi un presagio.

L’omicidio più misterioso della storia d’America, quello di John F. Kennedy,

si sarebbe compiuto di lì a poco, il 22 novembre 1963 a Dallas, su una

Limousine troppo scoperchiata, che andava troppo piano, guidata da un autista

troppo distratto. E da quella fotografia si snoda Il complotto (The Plot, pp.

232, euro 16, 5, Nutrimenti curato da Stefania Limiti) ovvero «La

controinchiesta segreta dei Kennedy sull’omicidio di JFK», libro scomparso

prematuramente da oggi rieditato; al centro, a sua volta, di un mistero

editoriale mai risolto. Il libro ha una storia affascinante. Innanzitutto è un

rapporto che la famiglia presidenziale affidò ai servizi segreti sovietici e a

quelli francesi operanti direttamente sotto Charles De Gaulle. E ha lo stigma

della bomba politica che avrebbe ribaltato la versione ufficiale sul caso

Kennedy confezionata dalla Commissione Warren. Firmato «James Hepburn» - nom

de plume, omaggio all’attrice Audrey Hepburn - rivela quanto il presunto

omicida Lee Oswlad fosse solo un fantoccio; e che «Kennedy fu fatto fuori da

un «Comitato» costituito da esponenti dei grandi monopoli industriali,

essenzialmente miliardari petroliferi texani che controllavano polizie,

quadri militari, servizi segreti», spiega Limiti.

Nomi e cognomi

Nulla di nuovo, rispetto al grumo delle teorie complottiste fiorite nei

decenni. Se non fosse che ora si fanno davvero nomi e cognomi. «(Il libro)

indica in Haroldson Lafayette Hunt e Edwin Walker (il «petroliere più ricco

del mondo e il generale più fascista degli Stati Uniti», scrive Saverio Tutino,

l’unico giornalista che in Italia ne parlò sulle pagine di Linus) i massimi

dirigenti del Comitato che ha pensato e portato a termine l’operazione

dell’uccisione di JFK», continua la Limiti nella prefazione «e rivela pure che

Edgar Hoover, capo dell’Fbi - e anche di una struttura parallela costituita da

killer professionisti e addetta ai lavori sporchi, ad esempio far sparire i

testimoni scomodi dell’assassinio di Dallas, secondo il racconto di un ex

agente alle sue dipendenze, Michael Milan - era al corrente del complotto,

così come lo stesso vicepresidente, Lyndon Johnson».

Ed ecco scorrere le citazioni di «compagnie che figuravano nei libri paga del

Pentagono, la General Dynamics, la Lockheed, la Boeing, la General Electric e

la Nord Aviation, non gradivano il controllo civile sulla Difesa inaugurato da

Kennedy insieme al suo ministro Robert McNamara, e proprio nei loro uffici

maturò, insieme a quelli che Hepburn chiama i “guerrieri”, cioè i vertici

militari, l’idea di cambiare drasticamente registro. Inoltre le tre principali

organizzazioni paramilitari, la John Birch Society, i Minutemen e il Ku Klux

Klan, di cui Walker allevava i capi, e che vedevano in JFK un braccio

dell’Unione Sovietica». «Il Comitato» sa molto di setta degli Illuminati, di

Men in Black, di lobby potentissime che controllano il respiro del mondo. Il

complotto, dunque, consegna ai posteri una ricostruzione simile a quella -

sostenuta da importanti «confessioni», tra cui quella dell’ex agente Cia poi

giallista Hoaward Hunt - accreditata anche da Jackie Kennedy, i cui dialoghi

registrati con Arthur Schlesinger infiammarono le cronache, l’estate scorsa.

Ma è il destino del libro in sè a lambire la storia della nazione. Se per

pubblicarlo negli States e in Francia col titolo di Farewell America vennero

create due case editrici fittizie, tra cui Frontiers Publishing Company, nel

Belpaese intervenne direttamente Gianni Agnelli.

L’ombra dell’avvocato

Il quale ne commissionò sia la traduzione a Luca Bernardelli (che ricevette

il manoscritto da un personaggio oscuro, che lo pagò in contanti), sia la

pubblicazione ad un piccolo editore torinese, Albra, specializzato nella

pubblicazione di testi scolastici. Albra lo diffuse nel novembre del 1968 con

il titolo L’America brucia. Ma il dossier soggiornò pochissimo sugli scaffali.

Agnelli, allora osteggiatore della scalata alla Montedison di Eugenio Cefis

aveva coi Kennedy un rapporto viscerale: «Secondo alcune cronache del tempo,

molto amico della first lady Jackie, Gianni Agnelli stabilì con JFK un vero

sodalizio» che si sarebbe rivelato di grande importanza per il suo noviziato

politico e le sue proiezioni ideali. «L’esempio trascinante di Kennedy, con il

suo carisma e il gusto innato per le sfide lo contagiò senz’altro». Eppoi a

misteri s’aggiungono misteri: «In questo scenario, appena tratteggiato, si

materializzano copie del nostro misterioso libro nella città della Fiat: tra

le pagine, nel capitolo dedicato ai «Petrolieri» c’è spazio anche per

un’esaltazione della figura di Enrico Mattei... ». In Germania la Bild scrisse

che «il libro era esplosivo come una bomba in Canada, Belgio, Liechtenstein:

ma non fu mai letto, perchè l’Fbi dappertutto si attivò per comprare quasi

tutte le copie stampate per evitare contaminazioni. . . ».

E a renderci finalmente negli anni 70 nota l’opera, a poterne pompare

l’effetto mediatico fu la rivista famigerata e fortemente anti-Vietnam

Ramparts. Attorno alla sua estemporanea pubblicazione orbita un mondo di

ecclesiastici, di boiardi, di anticastristi, di società estere «di cui i

Kennedy mai si fidarono». Al Complotto è allegato il contributo di Paolo

Cucchiarelli sulle similitudini tra l’assassinio di Dallas e la nostra strage

di piazza Fontana. Bob Kennedy aveva un sogno. Poter varcare, da presidente,

il soglio della Casa Bianca con l’inchiesta sul fratello sottobraccio. Sparì

lui, sparì l’inchiesta...

Modificato da Ghost Dog

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Come dire

In nome degli Agnelli

di STEFANO BARTEZZAGHI (l'Espresso | 19 gennaio 2012)

L’Avvocato non c’è più; la Fiat ha rischiato di sparire e non è più la stessa;

idem la Juventus. Oggi degli Agnelli fanno notizia soprattutto i nomi che

danno ai loro discendenti. Il lato Elkann era tradizionalmente quello più

creativo, con John e Lapo, e i figli di John, Leone e Oceano. Era una certa

voga aristocratica per il nome proprio che è anche un nome comune (Acqua,

Diamante, Orchidea): ma poi va anche detto che Leone è stato il nome di 13

papi (oltre che di Leone Ginzburg) e che sul calendario non manca persino un

Sant’Oceano. Anche il figlio di Briatore, Nathan Falco, su cui tante ironie

sono state fatte, ha due nomi inusuali ma non inventati: Nathan è un

personaggio biblico ed esiste un San Falco.

L’onomastica della famiglia Agnelli è tornata ora alla ribalta con la nascita

del secondogenito di Andrea Agnelli, Giacomo Dai, che farà compagnia alla

primogenita Baya. Mentre su Giacomo non c’è proprio nulla da eccepire, Dai e

Baya sono nomi imperscrutabili: corrispondono a etnie rispettivamente cinesi e

congolesi. «Dài», oltretutto, prima di essere la parte ripetibile di un

tormentone del film “I soliti idioti”, era anche l’esortazione più ripetuta

dai genitori italiani ai loro figli, come certificano tutte le baby-sitter e

le ragazze au pair straniere accasate presso famiglie italiane.

La bizzarria alla fonte battesimale non è certo un’esclusiva delle famiglie

altolocate: probabilmente si può interpretare come volontà che il proprio

figlio abbia sin dalla nascita un marchio di unicità. Eppure il caso degli

Agnelli merita molta attenzione, quanto meno per i suoi precedenti. Si pensi

all’impressionante linea ereditaria su cui si è imperniato il Novecento

italiano: lo scettro è passato dal capostipite Giovanni Agnelli al nipote

Giovanni, ma per tutti Gianni, e da questi al nipote John. Giovanni, Gianni,

John: una linea ereditaria onomastica che sintetizza una storia del costume

italiano.

Anagramma: Andrea Agnelli: La grande linea

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Borsa, azionariato popolare e futuro

La svolta con l’aumento di capitale

Mercoledì si chiude: con i risultati la Exor valuterà le strategie

di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 14-01-2012)

TORINO. Mercoledì prossimo si chiude l’aumento di capitale della FC Juventus

Spa. Già in serata si avranno i primissimi dati, nelle 24/48 ore successive si

avrà il quadro completo e, a quel punto, l’azionista di maggioranza bianconero,

cioè la Exor (il cui presidente è John Elkann e di cui Andrea Agnelli è

consigliere d’amministrazione) potrebbe anche trovarsi davanti a una decisione

molto importante e comunque sarà il momento di impostare strategie importanti

per il futuro della società.

CHE ATTESA C’è grande attesa per capire quanti dei piccoli azionisti hanno

sottoscritto l’aumento di capitale, che è stato varato nella scorsa primavera

e che ha finanziato il rosso di bilancio delle precedenti gestioni e che dovrà

servire per gli investimenti sul mercato prossimi venturi. Quattro anni fa, ai

tempi dell’aumento di Cobolli&Blanc, il successo in Borsa fu strepitoso: i

piccoli azionisti lasciarono le briciole, sottoscrivendo quasi completamente

la loro parte (all’epoca oltre 35 milioni di euro).

NUOVO CONTESTO Oggi gli scenari sono diversi: soprattutto quello economico

generale che lascia meno spazio all’euforia. Insomma, non è detto che tutti i

piccoli azionisti (gente che nella maggioranza nei casi non ha “investito”

nella Juventus, ma ha acquistato le azioni per una questione simbolica e

affettiva) versino la loro quota. Tanto più che rimarrebbero comunque

azionisti, anche se con una quota inferiore. Molto inferiore, perché l’aumento

immetterà sul mercato circa 800 milioni di azioni che andranno ad aggiungersi

ai circa 200 milioni già circolanti. Semplificando al massimo il discorso,

questa massiccia immissione avrà come effetto una forte “diluizione”.

LA FETTA EXOR Insomma, non è escluso che alla fine la quota della Exor, che

già si farà carico della quota della libica Lafico, diventi molto più

importante: da un minimo di 66% a un massimo di 92% circa. Una forchetta nella

quale si può leggere il futuro della Juventus. Perché più ci si avvicina al

massimo della quota, più diventa percorribile la strada del delisting, ovvero

dell’uscita dalla Borsa. Una scelta che non è nell’agenda a breve scadenza

dell’azionista di maggioranza, ma che rappresenta comunque un’ipotesi di cui

si è discusso nei mesi scorsi.

BORSA IN BILICO L’uscita dalla Borsa, che deve avvenire attraverso una

offerta pubblica di acquisto, diventa sicuramente più semplice possedendo una

quota molto alta (oltre il 95% è addirittura automatica). L’addio a Piazza

Affari lascerebbe più libertà alla gestione della Juventus, nella quale si

potrebbe anche fare strada l’idea dell’azionariato popolare. Un’idea che

stuzzica i vertici della Famiglia, convinti che la forza della Juventus siano

i 14 milioni di tifosi e che un coinvolgimento più diretto (e non mediato

dalla Borsa) del popolo bianconero sia la strada per garantire un futuro più

“ricco” in tempi di fairplay finanziario. Le nuove regole, infatti, limitano

gli aumenti di capitale (sia quelli finanziati dai magnati che dal mercato),

mentre lasciano libertà a club come Real Madrid e Barcellona che

dall’azionariato popolare ricavano una fetta importante del bilancio. Le

strade per arrivare a quel tipo di soluzione sono infinite (e gli esempi

spagnoli non sono necessariamente quelli che ispirano la Juventus), ma la

filosofia del futuro può essere quella. Futuro anche più remoto se l’aumento

di capitale avesse riscosso successo tra i piccoli azionisti, perché se la

composizione azionaria rimanesse più o meno inalterata (con la Exor che passa

“solo” al 66%, per intendersi), sarebbe difficile ipotizzare un delisting e la

Juventus rimarrebbe in Borsa per un altro po’.

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L'inchiesta

Eredità Agnelli, interrogato Marco Boroli

Il sostituto procuratore Eugenio Fusco ha convocato il

vicepresidente vicario del gruppo De Agostini per interrogarlo

sulla vicenda dell'eredità Agnelli. Il capitolo apre nuove piste

per ricostruire eventuali tesori esteri celati nell'ambito della

spartizione patrimoniale tra i membri della famiglia

di WALTER GALBIATI (la Repubblica.it - ECONOMIA & Finanza 13-01-2012)

MILANO - Marco Boroli, uno degli esponenti della famiglia che controlla il

gruppo De Agostini, è stato convocato in procura di Milano per chiarire alcuni

aspetti legati all'eredità di Giovanni Agnelli. L'inchiesta è condotta dal

sostituto procuratore Eugenio Fusco e ha già portato alla condanna a 14 mesi

(pena sospesa) per l'avvocato Emanuele Gamna, l'ex legale di Margherita

Agnelli de Pahlen, per evasione fiscale e truffa ai danni dello Stato.

Da tempo Margherita Agnelli, indagata per concorso in tentata estorsione col

suo legale Charles Poncet, sostiene di essere stata truffata nella spartizione

degli averi dell'Avvocato. Secondo la sua ricostruzione, con la regia di

Franzo Grande Steven e di Gianluigi Gabetti, le risorse offshore dell'eredità

sarebbero state dirottate verso il futuro erede di Gianni Agnelli, che poi

diventò il figlio di Margherita, John Elkann. In particolare, la procura sta

indagando sull'Opa Exor Group, l'operazione finanziaria da 2. 600 miliardi di

lire che nel 1998 coinvolse l'accomandita "Giovanni Agnelli & C Sapaz" ed

"Exor Group".

Nella diatriba i legali Charles Poncet ed Emanuele Gamna sono entrati in

quanto il primo avrebbe tentato di estorcere al secondo una dichiarazione

scritta in cui metteva nero su bianco di aver frodato Margherita. Il pressing

su Gamna era stato possibile perché Poncet era a conscenza di una parcella da

10 milioni di euro incassata in nero da Gamna.

Ora sulla vicenda fa il suo ingresso la famiglia Boroli. In particolare.

Marco Boroli che, dopo aver lavorato alla ristrutturazione delle consociate di

De Agostini operanti in Francia e Svizzera e aver ricoperto le cariche di

vertice dell'azienda di famiglia, del '99 diventa vice presdiende della

holding capogruppo De Agostini.

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Juventus News.it

Agnelli: «E' una Juve più solida»

18 gennaio 2012

La società ha reso noto il risultato dell'aumento di capitale al termine del

periodo di offerta in opzione, qui riassunto:

- Sottoscritto l’87,4% delle azioni offerte in opzione per un controvalore di

circa € 105 milioni

- I diritti di opzione non esercitati saranno offerti in Borsa a partire dal

23 gennaio 2012

- Exor S.p.A. ha comunicato che è disponibile a sottoscrivere l’intera quota

inoptata, pari a massimi € 15 milioni circa

Il Presidente della Juventus Andrea Agnelli ha così commentato: «I dati che

mi sono appena stati comunicati, relativi all'operazione di aumento di

capitale, ci invitano a proseguire in questo percorso tanto impegnativo quanto

stimolante. La sfida per tutti noi è il ritorno ad uno standard competitivo

degno della tradizione bianconera, associato ad un equilibrio finanziario

ancor più necessario alla luce del contesto macroeconomico». «Il calcio

italiano - ha continuato il Presidente - deve tornare ad essere un esempio a

livello continentale , ma dovrà farlo grazie ad uno sviluppo compatibile con

la congiuntura economica. La fiducia che gli azionisti hanno accordato al

management e il supporto decisivo dell'azionista di maggioranza rendono la

Juventus di oggi una realtà molto più solida e proiettata verso il futuro».

Risultati dell'aumento di capitale al termine del periodo di offerta in opzione

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L’icona Gianni Agnelli

IN BREVE (Studio 19-01-2012)

Ieri sera su Rai Cinque è andata in onda una puntata di Icone dedicata

interamente alla figura dell’Avvocato Agnelli. A condurla, come sempre, Marco

Ferrante (editorialista di Studio oltreché firma di Panorama), che fra l’altro

di Agnelli è esperto e biografo e sulla cui saga familiare ha scritto il

fortunato libro Mondadori Casa Agnelli. Sull’Avvocato è stato detto tutto e il

contrario di tutto, a volte con cognizione di causa, a volte meno. Prendete

questi 35 minuti firmati da Ferrante come un ripasso d’autore (imperdibile e

pressoché inedita la parte dedicata alla flotta navale personale).

http://www.youtube.com/watch?v=6_50QbY3U9c

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Auto pirata a Torino: Grauso a gip, porto peso su coscienza

Grauso, difeso dall'avvocato Sandro Sorbara, è comparso oggi dal gip Ilaria Guariniello per l'udienza di convalida del fermo. (ANSA).

Immagino che sia parente... E stessa procura...

:comico:

Modificato da CRAZEOLOGY

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LEGGETE!

LA COLLANA CHE SI INDIGNA.

CON IL PUNTO ESCLAMATIVO

DAL BESTSELLER INDIGNATEVI! CHE IN ITALIA HA VENDUTO 150 MILA

COPIE (E TRE MILIONI NEL MONDO) ALL’ULTIMO GODETE!. STORIA DI

UN GRANDE RITORNO, SIA COME GENERE LETTERARIO CHE COME

GUADAGNO: IL PAMPHLET. GLI EDITORI? AGNELLI, DALAI, BOOSTA . . .

di MARCO CICALA (IL VENERDI DI REPUBBLICA 20 GENNAIO 2012)

TORINO. Sono partiti con appena dieci titoli l’anno. E meno male, verrebbe da

dire, trattandosi di titoli che attentano gravemente alla tenuta del

miocardio. Tutto è cominciato con Indignatevi! Poi via, a raffica: Ripartiamo!

Scegliete! Liberatevi! Godete! E, da ultimo, Liberiamo Babbo Natale! Calma.

Macché. A passo d’adunata bersagliera, la casa editrice torinese Add corre

verso i tre anni di vita. Anni rullanti, al ritmo di un nuovo format: il

pamphlet esclamativo.

Quando, nel 2010, il 93enne Stéphane Hessel diede alle stampe in Francia il

fortunato Indignez-vous!, non immaginava certo di aver scoperchiato un vaso di

Pandora. Da allora – complice la crisi – l’indignazione è diventata movimento

di piazza, modus protestandi, sentimento popolare, griffe di neo-civismo,

parola sulla bocca di tutti quelli che non ci stanno.

A puntellarla, blandirla, istigarla, una sfilza di opuscoli che sembrano

rianimare una formula ritenuta sopita, se non estinta: quella del brûlot, il

libello incendiario. Salvo che, a differenza di una tradizione compresa fra

Illuminismo e Novecento, qui non si vuole tanto bruciare il nemico quanto

accendere l’amico, scongelare nel torpido citoyen del XXI secolo l’eros

ibernato della passione partecipativa. O quantomeno critica. Perciò il

neo-pamphlet non ha nulla di eversivo, non vuole épater le bourgeois

écraser l’infâme: è sdegno democratico, antiideologico, interclassista. Al

vieto interrogativo del Che fare? preferisce l’esclamativo. Non intima:

esorta. Scuote. Ridesta. Tiene connessi. Vigili.

È fermo, quasi mai cattivo. Concentrandoli, mette in ordine bollori diffusi,

inquietudini disperse o in sonno. Denunciando, conforta. Alza la voce, ma

senza sforare oltre i decibel della decenza. Mira a qualcosa che sta fra

pancia, cuore e cervello. Dunque possono accusarlo di rimestare nel torbido

inconscio populista come, al contrario, di sigillare l’esasperazione dentro il

soffice packaging del politicamente corretto, o di un neo-idealismo da

patrioti civici, anime belle. Ma tant’è. In tutto il mondo Indignatevi! ha

venduto oltre 3 milioni e mezzo di copie, più di 150 mila in Italia.

Solleticando che genere di corde? «Il successo dei pamphlet » ritiene

l’editore Michele Dalai, «rivela che c’è un bisogno di messaggi nitidi,

conclusi». Non è per forza una buona notizia: tra l’esortazione e la parola

d’ordine il crinale è sdrucciolevole. «Certo, esiste il rischio di flirtare

con una sorta di massimalismo populistico. Ma c’è esclamazione e esclamazione»

C’è il Vaffa! dell’antipolitica e – fa notare Dalai – «il Si vergogni! che tra

i politici è di gran moda». Vergognosamente. Mentre i pamphlet guardano

altrove. Non all’elettore/consumatore, ma alla leggendaria società civile.

«Ero di sinistra. Oggi mi definirei attivista democratico. Faccio libri, non

lavoro a Silicon Valley» dice Dalai, classe 1973, spiegando un tentativo,

stando ai numeri riuscito, «di portare idee, con un format accessibile che per

una volta non sia di puro svago». Un format che impegna, ma senza soverchio

impegno. Prezzo: tra 5 e 7 euro. Pagine: tra 60 e 120. Tempo di lettura

calcolato? «Duetre ore». Più o meno un tragitto Milano- Roma in Frecciarossa.

Profilo dell’acquirente medio? «Un lettore già forte. Da uno o più quotidiani

al giorno». Molti gli studenti universitari. Però occhio: in alcuni dei

neo-pamphlet si produce una saldatura inedita, e tutta da indagare, fra

generazioni: un pubblico giovanile che si connette con figure della terza, o

quarta, età, (Hessel in Francia, in Spagna l’economista 95enne José Luis

Sampedro, da noi – ma presso l’editore Aliberti – Pietro Ingrao e Luciana

Castellina). A naso, vi si potrebbe scorgere una segreta, sottilmente punitiva,

volontà di scavalcare le schiere di padri e nonni (quei cattivacci che hanno

vissuto nel benessere, ma egoisticamente, senza lasciare in eredità alcuna

garanzia; che magari si sono ribellati, ma per meglio vendersi e integrarsi),

dribblarli tutti per riattingere alle idealità generose, incorrotte, di più

nobili antenati. Non necessariamente vivi (in chiave indignata si riscoprono

Gramsci come Calamandrei). «Ma non è archeologia» assicura Dalai,

«l’understatement, l’anti- divismo di personalità come Stéphane Hessel»

sembrano intercettare il bisogno di riaffermare con fermezza non urlata – con

indignazione, appunto, non vetero-rabbia «cose come lotta, diritti,

partecipazione, necessità di memoria ».

Di lotta e di memoria. È ancora troppo presto per dire se, con una chimica

del genere, il moto dell’indignazione (che in Italia fatica parecchio a farsi

movimento) possa diventare laboratorio di novità, al riparo dalle tentazioni,

mai dome, della politica-vintage. Gli stroncatori hanno già liquidato il

fenomeno dei neo-pamphlet come un’anticaglia, «richiamo a un sapere nostalgico,

vagamente sessantottino». L’hanno buttato a mare, legandogli alla caviglia la

solita categoria-macigno: «moralismo». Gli opuscoli esprimerebbero così una

forma di «engagement un po’ glamour» nata «alle feste nelle case giuste»

(Tommy Cappellini su Il Giornale). Perché il marchio Add ammicca, sì, al verbo

inglese To add, aggiungere, portare qualcosa, ma è anche l’acronimo dei

fondatori: A come Agnelli Andrea –figlio di Umberto e presidente della Juve; D

come Dileo Davide, in arte Boosta – quello dei Subsonica; e D come Dalai

Michele, figlio d’arte editoriale. Il fatto è però che la formula del

neo-pamphlet è ormai praticata da più editori. Sta sul santissimo mercato,

come tutte le altre. Funziona, e perciò viene clonata, perfino arci-spremuta.

Embé? È la vecchia, cara concorrenza, bellezza. Con o senza il punto

esclamativo. Interpunzione che nella modernità tecno-fredda sta vivendo una

nuova giovinezza. Non solo nei pamphlet. Basti pensare a quanti sms o email si

chiudono con Ciao! per tacere di Un bacio! O Un abbraccione! Come a comunicare

uno straccio di calore elettronico. Tu chi@male, se vuoi, e-mozioni.

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Crisi_RCS.jpg

Tempo di quaresima

Al «Corriere» non resta

che vendere i gioielli

Saltato l’accordo con l’Huffington Post per colpa di «Repubblica», il gruppo

ha un mese per il piano di dismissioni. Possibile buco da 400 milioni

di NINO SUNSERI (Libero 21-01-2012)

Per il «Corriere della Sera» si apre la stagione dei grandi saldi. Inutile

parlare di investimenti. Proprio ieri è stato annunciata la nascita di

Huffington Post Italia, frutto dell’alleanza tra il sito d’informazione Usa

creato fra Arianna Huffington e il Gruppo L’Espresso. L’operazione vale dieci

milioni e la Rcs ci girava intorno da un po’ di tempo nel tentativo di

rafforzare la sua presenza sulla Rete. A quanto pare l’ultimo rilancio da

parte degli arcirivali di «Repubblica» è stato irresistibile.

Non resta che la quaresima. Entro un mese il gruppo dovrà esaminare un piano

di dismissioni con un duplice scopo: da una parte di fare cassa e dall’altra

di tagliare le perdite. Alla prima voce compare la cessione della francese

Flammarion specializzata nell’editoria libraria. Dall’altra si torna a parlare

di un vistoso dimagrimento dell’area periodici. Comunque non ci sono

preclusioni. Tutto quello che trova un compratore, a questo punto, può essere

venduto. «Anche il Corriere della Sera » spiega una fonte in vena di sorrisi

amari.

Una battuta certo. Ma offre la misura del problema. La Rcs è forte in Italia e

in Spagna. Vale a dire le due nazioni dell’Eurozona messe peggio. L’emorragia

di pubblicità e il declino dei lettori stanno scavando come talpe sui conti di

Via Solferino. Nella buona sostanza sono solo Corriere della Sera e la

Ġazzetta dello Sport a tirare la carretta. Con difficoltà crescenti, peraltro.

I libri hanno un equilibrio un po’ precario e qualche rivista perde un po’

meno di altre. Tutto qui. In Spagna è tempesta. L’insieme di queste fatiche

potrebbe portare, secondo alcuni analisti, a una perdita di bilancio pari a

400 milioni. Una cifra piuttosto consistente che imporrà scelte rigorose. O un

aumento di capitale oppure una severa cura dimagrante. Non è nemmeno escluso

che servano entrambe le medicine. La sola vendita di Flammarion potrebbe non

essere sufficiente. La casa editrice francese, nella migliore delle ipotesi,

porterà 200 milioni. Una bella cifra. Ma certamente non risolutiva. Già adesso

il debito di Rcs è vicino al miliardo. Il peso della Spagna ha aggravato la

situazione. Senza contare la svalutazione degli avviamenti. Anche Flammarion

avrebbe bisogno di una bella tirata a lucido prima di essere messa sul bancone

del supermercato. Il 77% della casa editrice venne acquistata da Rcs Libri nel

2000 per circa 230 miliardi che equivaleva ad una valutazione complessiva

dell’azienda di 300 miliardi.

Di recente sono emersi dei problemi. Come recita l’ultima relazione di

bilancio «ricavi e margini sono sensibilmente diminuiti rispetto al 2010. Nei

nove mesi dell’attuale esercizio la controllata transalpina ha garantito un

giro d’affari sceso a 147,9 milioni (-2%)». Dal punto di vista industriale non

rappresenta più quell’importante presidio nel mercato francese dei libri come

un tempo.

I problemi di bilancio della Rcs si incrociano con gli appuntamenti societari.

All’assemblea di aprile il consiglio d’amministrazione deve essere rinnovato.

Diego Della Valle e Giuseppe Rotelli sono intenzionati a far sentire il loro

peso. Soprattutto il patron della Tod’s non ha mai nascosto le proprie

ambizioni. Vuole accrescere la sua quota del 5%. E vorrebbe anche la

responsabilità della gestione convinto di poter sistemare l’azienda facendola

tornare fonte di guadagno (da aggiungere al peso politico che non ha mai

perso). Gli altri azionisti puntano i piedi (a cominciare da presidente di

Banca Intesa, Giovanni Bazoli). L’urgenza di un aumento di capitale

favorirebbe il riassetto. Il nuovo consiglio sarà l’esito del braccio di ferro.

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I SOLDI DELLA LIBIA TORNANO IN ITALIA

I capitali di Tripoli fanno comodo all’Italia. Principale

azionista di Unicredit, la Libia non ha tuttavia

sottoscritto il maxi aumento di capitale della banca. Ma

si appresta ad attuare nuove incursioni nelle imprese

italiane in crisi, che sono dunque più facilmente scalabili

di GIANNI DRAGONI (Cado in piedi 21-01-2012)

I soldi della Libia tornano in Italia. Probabilmente, si discuterà anche di

questo oggi a Tripoli, dove il premier Monti incontrerà rappresentanti del

nuovo governo libico "per rilanciare l'intesa tra i due Paesi". In realtà,

questi capitali non se n'erano mai andati, ma erano stati congelati l'11

marzo dell'anno scorso, in seguito alla rivolta contro Gheddafi e alle

sanzioni decise dall'Onu e dalla Ue per bloccare i beni accumulati dalla famiglia

del dittatore.

Quelle delibere sono state revocate da poche settimane, in seguito

all'uccisione dell'ex leader della rivoluzione. Adesso i capitali libici sono

sbloccati e le partecipazioni azionarie nelle imprese italiane tornano attive.

I capitali di Tripoli fanno comodo all'Italia. La cifra congelata in Italia

fu stimata in 6-7 miliardi di euro, di cui tra 3 e 4 miliardi di depositi

bancari, il resto in partecipazioni azionarie. E' curiosa una coincidenza: lo

sblocco dei beni libici è avvenuto pochi giorni prima che scattasse

il maxi aumento di capitale di Unicredit, la più importante banca italiana

per patrimonio. E' un'operazione, in corso fino al 27 Gennaio, da sette miliardi e

mezzo di euro che è stata mal digerita dal mercato e dai principali azionisti,

le fondazioni bancarie, in primo luogo quelle di Verona e Torino, che erano

felici quando la banca pagava dei dividendi, ma adesso che c'è da investire e

aprire il portafoglio sono diventate di cattivo umore.

La Libia era il principale azionista della banca, con la partecipazione

costruita, mattone su mattone, sulle quote detenute da quando Tripoli entrò

nell'ex Banca di Roma di Cesare Geronzi, poi divenuta Capitalia e incorporata

nel 2007 nell'Unicredit, all'epoca guidata da Alessandro Profumo. Attratti

inizialmente da Geronzi e dall'amicizia del suo sodale Salvatore Ligresti con

l'ambasciatore a Roma, Abdulhafed Gaddur, i libici sono arrivati a possedere

quasi il 7,5 per cento del capitale di Unicredit: il 4,9 per cento di

proprietà della banca centrale, più il 2, 6 per cento della Lybian Investment

Authority (Lia) acquisito successivamente, d'intesa con Profumo. Alcune

settimane fa il governatore della banca centrale di Tripoli aveva annunciato

l'adesione per la sua quota del 4,9 per cento alla ricapitalizzazione

di Unicredit, per un esborso pari a 375 milioni di euro. Ma il 19 gennaio

c'è stato un ripensamento. Il medesimo governatore ha annunciato che non

verrà sottoscritto l'aumento di Unicredit: "C'è una decisione del Consiglio dei

ministri di non investire né azioni né denaro liquido negli investimenti

stranieri, c'è un paese da ricostruire", ha detto il governatore della banca

centrale, Saddeq Omar Ekaber. La quota della banca scenderà così al 2, 8 per

cento. E neppure il fondo sovrano Lia lo farà, riducendo la sua quota all'1, 5

per cento circa.

Con l'aumento di capitale c'è un'avanzata del mondo arabo nel capitale

Unicredit. Il fondo sovrano di Abu Dhabi, Aabar Investments, che dal marzo

2009 detiene il 4,9 per cento della banca, ha avviato operazioni di acquisto

di diritti di opzione per incrementare la sua partecipazione al 6,5 per cento.

Il colosso arabo diventerà così il primo azionista della banca guidata da

Federico Ghizzoni.

Comunque sia, i capitali dei libici e degli arabi che si arricchiscono con i

petrodollari fanno comodo alle banche e imprese italiane. Con lo

scongelamento dei beni la Libia torna a poter gestire in pieno le

sue partecipazioni in aziende italiane, può incassare i dividendi bloccati

l'anno scorso, può vendere le azioni, ma potrebbe anche comprare altre azioni.

In particolare nella Finmeccanica, la Libia ha il 2 per cento del gruppo statale

che produce armi, aerei, radar e sistemi elettronici militari. Nell'Eni la Libia ha

l'uno per cento, il gruppo energetico è il primo investitore straniero a Tripoli.

Un interesse della Libia è stato segnalato anche per Telecom. La Libia

possiede inoltre il 14,7 per cento ed è il primo azionista della Retelit,

società di telecomunicazioni quotata in borsa.

I capitali tripolini si sono tenuti alla larga da un altro aumento di

capitale, appena concluso, quello della Juventus, la squadra di calcio degli

Agnelli. La finanziaria Lafico, che deteneva il 7,5 per cento, non ha

sottoscritto la sua quota, pari a nove milioni di euro. Questa somma la

verserà la Exor, la finanziaria degli Agnelli che ha già il 60 per cento della

società bianconera e salirà al 70 per cento circa del capitale.

Malgrado le dichiarazioni di prudenza la Libia, con la sua ingente potenza di

fuoco, resta pronta a nuove incursioni nelle imprese italiane, compresi i

grandi gruppi che in Borsa hanno perso terreno negli ultimi anni e sono più

facilmente scalabili.

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Aumento_capitale_Juve.jpg

Aumento_capitale_Juve_errata_corrige.jpg

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Comunicato sindacale (GaSport 24-01-2012)

Ieri la Rcs ha comunicato alle rappresentanze sindacali giornalistiche e

poligrafiche di Corriere della Sera e Ġazzetta dello Sport decisioni che, al

netto della crisi generale e di settore, sono il frutto di politiche e

gestioni dissennate. E a pagarne le conseguenze sono, ancora una volta, i

lavoratori e il diritto dei lettori a ricevere un'informazione di qualità.

Entro febbraio sarà sospesa la pubblicazione di City e i suoi giornalisti e

poligrafici saranno messi in mobilità. Oltre a esprimere tutta la solidarietà

ai colleghi interessati, è stato chiesto all'Azienda di garantire loro un

diritto di prelazione sulle prossime assunzioni.

Rcs ha inoltre annunciato formalmente di voler «valorizzare» il patrimonio

immobiliare dell'area Solferino-San Marco. Ne consegue, ha detto l'Azienda, il

«trasloco» della redazione milanese della Ġazzetta e di tutta la componente

poligrafica negli edifici di via Rizzoli. Solo la redazione del Corriere

potrebbe continuare ad occupare la parte storica dell'edificio, quella che

affaccia su via Solferino; mentre l'altra componente indispensabile alla

realizzazione del giornale verrebbe spostata senza tenere in minimo conto il

depauperamento qualitativo che ne deriverebbe. Un giornale è una squadra che

deve giocare di concerto, fianco a fianco, in tempi strettissimi, per poter

dare al lettore la migliore informazione possibile.

Dopo il recente rientro in via Rizzoli degli uffici di RCS MediaGroup,

trasloco costato qualche milione di euro a fronte di un attivo di bilancio

consolidato di 7 milioni per il 2010, ora dunque sarebbe la volta della

redazione della Ġazzetta dello Sport e della totalità dei poligrafici in modo

da liberare e mettere potenzialmente in vendita, al miglior offerente, tutte

le aree San Marco e Balzan. Ricordiamo che, su tutto il complesso, gravano 75

milioni di euro di ammortamenti per oneri di ristrutturazione. Da detrarre da

una possibile vendita. Inoltre il complesso è stato ristrutturato senza

prevedere in alcun modo un possibile spezzatino immobiliare.

Giornalisti e poligrafici vengono da anni di pesanti tagli costati centinaia

di posti di lavoro nelle due popolazioni. Tali sacrifici sono stati il nostro

contributo per creare risorse per investimenti editoriali e tecnologici anche

sui nuovi media, in vista di un rilancio e un nuovo sviluppo. Oggi assistiamo

invece, da parte aziendale, a un ennesimo tentativo di «fare cassa»

rapidamente senza curarsi dei danni organizzativi ed economici non calcolabili

nel medio periodo, e affossando forse definitivamente ogni velleità di ripresa

del gruppo.

I motivi di queste scelte appaiono, purtroppo, evidenti. L'investimento in

Spagna nel gruppo editoriale Recoletos è stato un flop di dimensioni

colossali: indebitamento con il sistema bancario di un miliardo di euro,

crollo del fatturato in pochi anni e un valore contabile che oggi supera di

poco la metà dell'investimento iniziale. Ora siamo davanti a un bivio: o una

ricapitalizzazione da parte degli azionisti — gli stessi che nel 2007 hanno

votato all'unanimità per l'investimento in Spagna — o la vendita dei gioielli

di famiglia. Operazione di corto respiro, forse un maquillage per i conti nel

breve periodo ma sicuramente una follia dal punto di vista organizzativo e

industriale, con una pesante ricaduta sui conti a medio e lungo termine. E

mentre all'esterno si auspica una modernizzazione basata su liberismo, mercato

e meritocrazia, all'interno si premia chi ha realizzato politiche che hanno

portato verso il baratro.

Chiediamo quindi l'immediato abbandono di questo miope e dannoso progetto,

dichiarando da subito lo stato di agitazione nei modi e nei tempi che il Cdr

del Corriere, il Cdr della Ġazzetta e la RSU dei Quotidiani riterranno più

opportuni.

Il Cdr Corriere della Sera

Il Cdr Ġazzetta dello Sport

La RSU Quotidiani

___

LA REDAZIONE rosa, dal centro alla periferia del “Corriere”

di GIOVANNA LANTINI (il Fatto Quotidiano 24-01-2012)

I manager di Rcs si giocano le ultime carte per la

riconferma e scatenano un finimondo. Aria sempre più tesa

all'editrice del Corriere della Sera dove l'annuncio di

ieri della chiusura di City entro febbraio, è stato subito

adombrato dalla comunicazione ai sindacati del

trasferimento della redazione della Ġazzetta dello Sport e

di tutti i poligrafici nella sede periferica di via

Rizzoli, mentre in via Solferino rimarranno solo i

giornalisti del Corriere. Il palazzo, costato almeno 36

milioni in restauri, è destinato alla vendita il prima

possibile. Il cda in scadenza ha quindi ripreso la

strategia abbandonata un anno fa che però non ha nulla di

originale: Rcs ai tempi dei Romiti si era già venduta

l'immobile, a un fondo partecipato dalla Pirelli Re, per

ricomprarselo 3 anni dopo. L'immobile, gravato da ipoteca,

a fine 2010 era stato valutato 252 milioni. L'incasso,

sommato ai potenziali 200 milioni attesi dalla vendita di

Flammarion, è l'ultima chance per fare cassa ed evitare

una ricapitalizzazione davanti all'attesa slavina dei

conti in Spagna.

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Agnelli, ribaltone da titolo

Dietro i successi bianconeri c’è una società più forte, più giovane e tutta nuova

Lo stadio, la ricapitalizzazione, la rosa rifatta, la scelta dell’allenatore

dal dna bianconero. I segreti del team di under 40 allestito dal presidente

di MARCO BO (Tuttosport 24-01-2012)

TORINO. Tra i difetti dell’umanità ce n’è uno, tipico del cosiddetto mondo

civilizzato: abituarsi in fretta, troppo in fretta, al bello. Così in fretta

che i tempi bui diventano in tempo zero uno sbiadito ricordo. L’automobile

senza aria condizionata, il cellulare che non fa le foto e così via. Anche il

popolo della Juve, nuovamente leader a metà strada del campionato dopo sei

anni dietro le quinte, potrebbe cascarci. E sarebbe davvero un peccato. Perché

la mole enorme di lavoro che la società ha svolto sotto la gestione di Andrea

Agnelli e Beppe Marotta non può finire archiviato alla voce “normalità”, solo

perché tutti si danno appuntamento nel salone delle feste dove si ride, si

balla e si sogna un futuro ancora più grandioso.

LA RIVOLUZIONE Già, una vera rivoluzione quella di Andrea e del suo

amministratore delegato. Dietro la scrivania che una volta vedeva seduto suo

papà, il giovane Agnelli applica il credo sabaudo. Puntuale al mattino in

ufficio alle 8, va avanti per dodici ore filate tra riunioni, telefonate,

analisi e incontri. Poi la famiglia, da godersi tra moglie e due bimbi.

Entrato al comando della società bianconera il 19 maggio 2010, quando non

aveva compiuto ancora 35 anni, ha creato un club giovane non solo nelle idee.

La squadra di management che ha allestito intorno a sè è under 40 a eccezione

deel’indispensabile esperienza calcistica e amministrativa di Beppe Marotta e

quella finanziaria di Aldo Mazzia. Ha cambiato molto, quasi tutto: dai

dirigenti ai magazzinieri il ribaltone è stato profondo, praticamente totale:

nei quadri dirigenziali è rimasto solamente uno che c’era anche prima, nello

staff tecnico e sanitario sono rimasti un medico e un massaggiatore. Il resto

è finito fuori dalla società. Da imprenditore facoltoso e giovane qual è, ha

deciso di puntare sull’energia pulita che anima i cervelli di chi per la prima

volta può giocarsi le proprie carte in un ruolo di prestigio e strategico. Chi

è entrato alla Juventus in questi due anni di sua presidenza ha avvertito il

piacere di far parte di un team che non solo deve cercare di vincere ma deve

farlo con orgoglio senza perdere mai la misura, che non è solo forma. La

sintesi sublime del concetto di Juve che ha in testa il presidente si è

concretizzata nella cerimonia d’inaugurazione dello Juventus Stadium:

semplicemente impeccabile.

I PUNTI DI QUALITA’ Quando si parla di rivoluzione made in Agnelli ci si rifà

a una strategia precisa e pianificata, volta a far crescere il club a 360

gradi e non solo, quindi, a livello di risultati da conquistare sul campo.

Sull’agenda di Agnelli l’elenco dei lavori “spuntati”, ovvero già fatti, è di

tutto rispetto. La riorganizzazione, ormai, completa, dellla struttura

deputata a monitorare il mercato estero con specificità precise legate ai

campioni piuttosto che i giovani talenti: Lo sfruttamento dello stadio capace

di offrire un doppio impulso: economico e di spinta per i giocatori grazie

agli “esauriti”. La ricapitalizzazione della società. Il rimescolamento

pressochè completo della rosa ereditata da Cobolli-Blanc. La decisione di

puntare su un allenatore giovane con un dna bianconero a prova di Ris, con il

quale stabilire un rapporto prolifico grazie a continui scambi di vedute pure

sul mercato. La fermezza con cui si è intervenuti su Calciopoli, anche per

recuperare un’immagine infangata a causa di fatti distorti da un’indagine e

un’inchiesta rivelatasi a due tempi e amplificati con sommo gaudio da molti

media.

LEADERSHIP E’ una Juventus dunque determinata a riconquistare le posizioni

perse negli utlimi anni sia in classifica che in altri ambiti. Basta citare,

ad esempio, il fatto che la società di corso Galileo Ferraris abbia svolto il

ruolo di apripista per la determinazione dei nuovi contratti dei calciatori e

la revisione dei criteri attraverso i quali distribuire i proventi dei diritti

televisivi. L’autorevolezza la si conquista con i fatti. Il fatto, poi, che un

presidente così giovane stia stimolando il sistema calcio nel suo complesso ad

ammodernarsi non può che essere un ulteriore motivo di vanto per il popolo

bianconero.

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SU VANITY FAIR

È nata Vita, la terza figlia di John Elkann

Nata al Sant'Anna di Torino. Lunghi summit per il nome

della Redazione Corriere.it 24-01-2012

MILANO - Dopo Leone e Oceano, è arrivata Vita. La prima figlia femmina di John

Elkann e Lavinia Borromeo è nata al Sant'Anna di Torino. Il nome originale

scelto per la terzogenita sarebbe stato individuato dopo lunghi summit

familiari. Lo ha rivelato una fonte vicina a Fiat Spa a Vanity Fair, che ha

poi trovato conferma da una fonte dell'ospedale. La bimba è nata alle 22 del

23 gennaio. Il 24 gennaio del 2003 moriva invece il suo bisnonno, «l'avvocato»

Gianni Agnelli. I due fratelli della piccola, Leone e Oceano, sono nati nello

stesso ospedale pubblico. La coppia è sposata dal 2004 ed è legata da 10.

Anche la sorella di Lavinia Borromeo, Isabella Brachetti Peretti è incinta al

quarto mese. La bimba pesa 3 kg e 200 e gode di ottima salute.

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1- IL GRUPPO RCS È IN PROFONDO ROSSO MA GLI AZIONISTI, DA INTESA A FIAT, NON VOGLIONO TIRARE FUORI NEANCHE UN EURO! E NELL’INDIFFERENZA GENERALE DELLA POLITICA, DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI E DELLA FNSI, LA RCS IMPONE UN PIANO LACRIME E SANGUE DOPO CINQUE ANNI DI “POLITICHE E GESTIONE DISSENNATE” (CDR DIXIT) - 2- ALTRA OPERAZIONE (DISPERATA) DI SALVATAGGIO: VENDERE IL GIOIELLO DI FAMIGLIA, LA SEDE DI VIA SOLFERINO, OBERATA PERÒ DA 75 MILIONI DI AMMORTAMENTO, E TRASFERIMENTO DELLA “giornalaccio rosa DELLO SPORT” DA VIA SOLFERINO A VIA RIZZOLI (CRESCENZAGO) - 3- IL BAGNO DI SANGUE SPAGNOLO: L’INVESTIMENTO IN RECOLETOS È STATO UN “FLOP COLOSSALE” (ANCORA CDR) CHE HA PORTATO A UN MILIARDO IL DEBITO CON LE BANCHE - 4- SINDACATI RCS CONTRO GLI AZIONISTI CHE FANNO I LIBERALI COI SOLDI DEGLI ALTRI: “MENTRE ALL’ESTERNO SI AUSPICANO LIBERISMO, MERCATO E MERITOCRAZIA, ALL’INTERNO SI PREMIA CHI HA REALIZZATO POLITICHE CHE HANNO PORTATO VERSO IL BARATRO”

1- DAGOREPORT

Neppure Dagospia si era spinta a scrivere quello che ora si può leggere in un comunicato congiunto (da tempo non si firmavano simili documenti) delle rappresentanze sindacali dell'Rcs (giornalisti e poligrafici).

La nota, apparsa sul Corriere di oggi a pagina 33 (vedi sotto), a proposito dei proprietari-gestori del quotidiano parla infatti di politiche gestionali "dissennate".

E, in particolare, mette sotto la lente il "flop di dimensioni colossali" dell'investimento in Spagna (acquisto della Recoletos).

"Un'operazione - è aggiunto - di corto respiro, forse un maquillage per i conti nel breve periodo ma sicuramente una follia dal punto di vista organizzativo e industriale, con una pesante ricaduta sui conti di medio e lungo termine".

A provocare il "risveglio" dei sindacalisti dell'Rcs è stata la comunicazione da parte dell'azienda di sospendere le pubblicazioni di ‘City' (free press) e, soprattutto, l'annuncio del trasferimento della "giornalaccio rosa dello Sport" da via Solferino a via Rizzoli (Crescenzago).

Notizia, a dirla tutta, non nuova. E anticipata da Dagospia nell'estate scorsa. Senza alcuna reazione da parte sia dell'azienda sia delle maestranze (dormienti). Dando il sito anche conto dei costi (faraonici) per il gruppo di immobili realizzati dall'architetto Vittorio Gregotti nell'era mitologica Romiti-Tronchetti Provera.

Intanto, tra i Poteri marci raccolti nell'Rcs Media Group la concordia sembra ancora lontana in vista dell'assemblea di giugno. Ma dalla casa madre fanno sapere che il piano di tagli non sarà modificato. E c'è chi non esclude che l'azienda possa ricorrere nuovamente allo stato di crisi.

Il che significherà per giornalisti e poligrafici nuovi pre pensionamenti. Brutte notizie, insomma, anche per Flebuccio de Bortoli. Che è riuscito, con il suo rifiuto a trasferirsi nella periferia di Crescenzago, a preservare il Corrierone.

2- COMUNICATO SINDACALE

Nota congiunta dei Cdr di Corriere della Sera e giornalaccio rosa dello Sport e delle Rappresentanze sindacali unitarie poligrafiche. Ieri la Rcs ha comunicato alle rappresentanze sindacali giornalistiche e poligrafiche di Corriere della Sera e giornalaccio rosa dello Sport decisioni che, al netto della crisi generale e di settore, sono il frutto di politiche e gestioni dissennate. E a pagarne le conseguenze sono, ancora una volta, i lavoratori e il diritto dei lettori a ricevere un'informazione di qualità.

Entro febbraio sarà sospesa la pubblicazione di City e i suoi giornalisti e poligrafici saranno messi in mobilità. Oltre a esprimere tutta la solidarietà ai colleghi interessati, è stato chiesto all'Azienda di garantire loro un diritto di prelazione sulle prossime assunzioni.

Rcs ha inoltre annunciato formalmente di voler «valorizzare» il patrimonio immobiliare dell'area Solferino-San Marco. Ne consegue, ha detto l'Azienda, il «trasloco» della redazione milanese della giornalaccio rosa e di tutta la componente poligrafica negli edifici di via Rizzoli.

Solo la redazione del Corriere potrebbe continuare ad occupare la parte storica dell'edificio, quella che affaccia su via Solferino; mentre l'altra componente indispensabile alla realizzazione del giornale verrebbe spostata senza tenere in minimo conto il depauperamento qualitativo che ne deriverebbe.

Un giornale è una squadra che deve giocare di concerto, fianco a fianco, in tempi strettissimi, per poter dare al lettore la migliore informazione possibile.

Dopo il recente rientro in via Rizzoli degli uffici di Rcs MediaGroup, trasloco costato qualche milione di euro (a fronte di un attivo di bilancio consolidato di 7 milioni per il 2010), ora dunque sarebbe la volta della redazione della giornalaccio rosa dello Sport e della totalità dei poligrafici in modo da liberare e mettere potenzialmente in vendita, al miglior offerente, tutte le aree San Marco e Balzan.

Ricordiamo che, su tutto il complesso, gravano 75 milioni di euro di ammortamenti per oneri di ristrutturazione. Da detrarre da una possibile vendita. Inoltre il complesso è stato ristrutturato senza prevedere in alcun modo un possibile spezzatino immobiliare.

Giornalisti e poligrafici vengono da anni di pesanti tagli costati centinaia di posti di lavoro nelle due popolazioni. Tali sacrifici sono stati il nostro investimento per creare risorse per investimenti editoriali e tecnologici anche sui nuovi media, in vista di un rilancio e un nuovo sviluppo.

Oggi assistiamo invece, da parte aziendale, a un ennesimo tentativo di «fare cassa» rapidamente senza curarsi dei danni organizzativi ed economici non calcolabili nel medio periodo, e affossando forse definitivamente ogni velleità di ripresa del gruppo.

I motivi di queste scelte appaiono, purtroppo, evidenti. L'investimento in Spagna nel gruppo editoriale Recoletos è stato un flop di dimensioni colossali: indebitamento con il sistema bancario di un miliardo di euro, crollo del fatturato in pochi anni e un valore contabile che oggi supera di poco la metà dell'investimento iniziale.

Ora siamo davanti a un bivio: o una ricapitalizzazione da parte degli azionisti - gli stessi che nel 2007 hanno votato all'unanimità per l'investimento in Spagna - o la vendita dei gioielli di famiglia. Operazione di corto respiro, forse un maquillage per i conti nel breve periodo ma sicuramente una follia dal punto di vista organizzativo e industriale, con una pesante ricaduta sui conti a medio e lungo termine. E mentre all'esterno si auspica una modernizzazione basata su liberismo, mercato e meritocrazia, all'interno si premia chi ha realizzato politiche che hanno portato verso il baratro.

Chiediamo quindi l'immediato abbandono di questo miope e dannoso progetto, dichiarando da subito lo stato di agitazione nei modi e nei tempi che il Cdr del Corriere, il Cdr della giornalaccio rosa e la RSU dei Quotidiani riterranno più opportuni.

Dagospia

Hey gobbo, do you know "erezione"? sefz

Modificato da CRAZEOLOGY

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1- IL GRUPPO RCS È IN PROFONDO ROSSO MA GLI AZIONISTI, DA INTESA A FIAT, NON VOGLIONO TIRARE FUORI NEANCHE UN EURO! E NELL’INDIFFERENZA GENERALE DELLA POLITICA, DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI E DELLA FNSI, LA RCS IMPONE UN PIANO LACRIME E SANGUE DOPO CINQUE ANNI DI “POLITICHE E GESTIONE DISSENNATE” (CDR DIXIT) - 2- ALTRA OPERAZIONE (DISPERATA) DI SALVATAGGIO: VENDERE IL GIOIELLO DI FAMIGLIA, LA SEDE DI VIA SOLFERINO, OBERATA PERÒ DA 75 MILIONI DI AMMORTAMENTO, E TRASFERIMENTO DELLA “giornalaccio rosa DELLO SPORT” DA VIA SOLFERINO A VIA RIZZOLI (CRESCENZAGO) - 3- IL BAGNO DI SANGUE SPAGNOLO: L’INVESTIMENTO IN RECOLETOS È STATO UN “FLOP COLOSSALE” (ANCORA CDR) CHE HA PORTATO A UN MILIARDO IL DEBITO CON LE BANCHE - 4- SINDACATI RCS CONTRO GLI AZIONISTI CHE FANNO I LIBERALI COI SOLDI DEGLI ALTRI: “MENTRE ALL’ESTERNO SI AUSPICANO LIBERISMO, MERCATO E MERITOCRAZIA, ALL’INTERNO SI PREMIA CHI HA REALIZZATO POLITICHE CHE HANNO PORTATO VERSO IL BARATRO”

1- DAGOREPORT

Neppure Dagospia si era spinta a scrivere quello che ora si può leggere in un comunicato congiunto (da tempo non si firmavano simili documenti) delle rappresentanze sindacali dell'Rcs (giornalisti e poligrafici).

La nota, apparsa sul Corriere di oggi a pagina 33 (vedi sotto), a proposito dei proprietari-gestori del quotidiano parla infatti di politiche gestionali "dissennate".

E, in particolare, mette sotto la lente il "flop di dimensioni colossali" dell'investimento in Spagna (acquisto della Recoletos).

"Un'operazione - è aggiunto - di corto respiro, forse un maquillage per i conti nel breve periodo ma sicuramente una follia dal punto di vista organizzativo e industriale, con una pesante ricaduta sui conti di medio e lungo termine".

A provocare il "risveglio" dei sindacalisti dell'Rcs è stata la comunicazione da parte dell'azienda di sospendere le pubblicazioni di ‘City' (free press) e, soprattutto, l'annuncio del trasferimento della "giornalaccio rosa dello Sport" da via Solferino a via Rizzoli (Crescenzago).

Notizia, a dirla tutta, non nuova. E anticipata da Dagospia nell'estate scorsa. Senza alcuna reazione da parte sia dell'azienda sia delle maestranze (dormienti). Dando il sito anche conto dei costi (faraonici) per il gruppo di immobili realizzati dall'architetto Vittorio Gregotti nell'era mitologica Romiti-Tronchetti Provera.

Intanto, tra i Poteri marci raccolti nell'Rcs Media Group la concordia sembra ancora lontana in vista dell'assemblea di giugno. Ma dalla casa madre fanno sapere che il piano di tagli non sarà modificato. E c'è chi non esclude che l'azienda possa ricorrere nuovamente allo stato di crisi.

Il che significherà per giornalisti e poligrafici nuovi pre pensionamenti. Brutte notizie, insomma, anche per Flebuccio de Bortoli. Che è riuscito, con il suo rifiuto a trasferirsi nella periferia di Crescenzago, a preservare il Corrierone.

2- COMUNICATO SINDACALE

Nota congiunta dei Cdr di Corriere della Sera e giornalaccio rosa dello Sport e delle Rappresentanze sindacali unitarie poligrafiche. Ieri la Rcs ha comunicato alle rappresentanze sindacali giornalistiche e poligrafiche di Corriere della Sera e giornalaccio rosa dello Sport decisioni che, al netto della crisi generale e di settore, sono il frutto di politiche e gestioni dissennate. E a pagarne le conseguenze sono, ancora una volta, i lavoratori e il diritto dei lettori a ricevere un'informazione di qualità.

Entro febbraio sarà sospesa la pubblicazione di City e i suoi giornalisti e poligrafici saranno messi in mobilità. Oltre a esprimere tutta la solidarietà ai colleghi interessati, è stato chiesto all'Azienda di garantire loro un diritto di prelazione sulle prossime assunzioni.

Rcs ha inoltre annunciato formalmente di voler «valorizzare» il patrimonio immobiliare dell'area Solferino-San Marco. Ne consegue, ha detto l'Azienda, il «trasloco» della redazione milanese della giornalaccio rosa e di tutta la componente poligrafica negli edifici di via Rizzoli.

Solo la redazione del Corriere potrebbe continuare ad occupare la parte storica dell'edificio, quella che affaccia su via Solferino; mentre l'altra componente indispensabile alla realizzazione del giornale verrebbe spostata senza tenere in minimo conto il depauperamento qualitativo che ne deriverebbe.

Un giornale è una squadra che deve giocare di concerto, fianco a fianco, in tempi strettissimi, per poter dare al lettore la migliore informazione possibile.

Dopo il recente rientro in via Rizzoli degli uffici di Rcs MediaGroup, trasloco costato qualche milione di euro (a fronte di un attivo di bilancio consolidato di 7 milioni per il 2010), ora dunque sarebbe la volta della redazione della giornalaccio rosa dello Sport e della totalità dei poligrafici in modo da liberare e mettere potenzialmente in vendita, al miglior offerente, tutte le aree San Marco e Balzan.

Ricordiamo che, su tutto il complesso, gravano 75 milioni di euro di ammortamenti per oneri di ristrutturazione. Da detrarre da una possibile vendita. Inoltre il complesso è stato ristrutturato senza prevedere in alcun modo un possibile spezzatino immobiliare.

Giornalisti e poligrafici vengono da anni di pesanti tagli costati centinaia di posti di lavoro nelle due popolazioni. Tali sacrifici sono stati il nostro investimento per creare risorse per investimenti editoriali e tecnologici anche sui nuovi media, in vista di un rilancio e un nuovo sviluppo.

Oggi assistiamo invece, da parte aziendale, a un ennesimo tentativo di «fare cassa» rapidamente senza curarsi dei danni organizzativi ed economici non calcolabili nel medio periodo, e affossando forse definitivamente ogni velleità di ripresa del gruppo.

I motivi di queste scelte appaiono, purtroppo, evidenti. L'investimento in Spagna nel gruppo editoriale Recoletos è stato un flop di dimensioni colossali: indebitamento con il sistema bancario di un miliardo di euro, crollo del fatturato in pochi anni e un valore contabile che oggi supera di poco la metà dell'investimento iniziale.

Ora siamo davanti a un bivio: o una ricapitalizzazione da parte degli azionisti - gli stessi che nel 2007 hanno votato all'unanimità per l'investimento in Spagna - o la vendita dei gioielli di famiglia. Operazione di corto respiro, forse un maquillage per i conti nel breve periodo ma sicuramente una follia dal punto di vista organizzativo e industriale, con una pesante ricaduta sui conti a medio e lungo termine. E mentre all'esterno si auspica una modernizzazione basata su liberismo, mercato e meritocrazia, all'interno si premia chi ha realizzato politiche che hanno portato verso il baratro.

Chiediamo quindi l'immediato abbandono di questo miope e dannoso progetto, dichiarando da subito lo stato di agitazione nei modi e nei tempi che il Cdr del Corriere, il Cdr della giornalaccio rosa e la RSU dei Quotidiani riterranno più opportuni.

Dagospia

Hey gobbo, do you know "erezione"? sefz

.ciao E' una buona cosa questa secondo te? Credi sia una specie di vendetta anche per quello che il gruppo RCS ha fatto contro la Juve e la Fiorentina?

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.ciao E' una buona cosa questa secondo te? Credi sia una specie di vendetta anche per quello che il gruppo RCS ha fatto contro la Juve e la Fiorentina?

No. Secondo me, molto più banalmente, è che non sanno come venire fuori da questo pasticcio.

Da un lato hanno permesso e promosso certe cose da certi amici, poi la situazione è degenerata.

Ora mettere soldi non ha più molto senso. A che pro?

E' il prodotto totale che va rivisto.

Il punto è che la credibilità di questo gruppo editoriale si è abbassata. E continuerà ad abbassarsi probabilmente.

Le idee ormai sono girate e loro non sono stati in grado di fermarle, e dunque adesso ci sarebbe da tornare su molte cose.

Le campagne stampa contro tizio e contro caio ormai le hanno capite tutti.

Ci sono persone che la giornalaccio rosa, per esempio, non la compreranno mai più. A prescindere da cosa succederà.

E in questi anni hanno messo in piedi anche delle ottime iniziative editoriali di contorno, tipo le serie di dvd di ogni genere in abbinamento, ecc. Eppure niente. Il tracollo è evidente. Somiglia a quello della Ferrari.

Puoi cambiare qualche testa per tentare qualche idea nuova, ma va cambiato il vertice della Piramide, innanzitutto.

E poi devono fare un bel po' di mea culpa. Non so se cambierebbe qualcosa, ma sarebbe un buon inizio per cominciare a ragionare.

Ma la linea editoriale de La Stampa (che invece va bene) dimostra che in teoria, al di là dell'operato di Andrea, gli interessi sono contrari ai nostri. E ho detto tutto.

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Rcs vende il palazzo di «Corriere» e «Ġazzetta»

di NINO SUNSERI (Libero 25-01-2012)

Il supermercato di via Solferino ha aperto ufficialmente i battenti esponendo

uno dei gioielli più preziosi. Vale a dire lo stesso palazzo che ospita

Corriere e giornalaccio rosa. A dare l’annuncio è il sindacato interno. Un comunicato

di protesta in cui mette le mani avanti chiedendo all’azienda di rinunciare

immediatamente al progetto. Il piano prevede di lasciare nella sede storica di

via Solferino solo Ferruccio De Bortoli e la sua redazione. Tutto il resto

compresa la giornalaccio rosa e i poligrafici verrebbe trasferito nel palazzo di via

Rizzoli, alla periferia di Milano. Gli uffici ospitano tradizionalmente la

divisione periodici. Di recente si sono aggiunti gli uffici di Rcs Mediagroup

(il trasloco è costato sette milioni avvertono i sindacati). Il palazzo di via

Solferino, (quattrocentomila mq in pieno centro) svuotato quasi per intero,

potrebbe essere venduto o messo a reddito.

La vendita della sede è un classico per i momenti di difficoltà della casa

editrice milanese. Già trent’anni fa era stato posto sul mercato per tamponare

le urgenze. Erano i giorni bui di Angello Rizzoli, Bruno Tassan Din e della

P2. Ad acquistare l’Eurogest di Paolo Federici, uno dei maghi della finanza

“atipica” di quel periodo. Il Corriere era riuscito a riprenderne possesso

solo nel 2003 rilevandolo da un fondo immobiliare di proprietà di Pirelli e

Morgan Stanley. Ora torna sul mercato con una valorizzazione che dovrebbe

aggirarsi sui 2-300 milioni. Una boccata d’ossigeno in vista di sacrifici ben

più corposi. Fra una settimana cesserà la free press City chiudendo una

piccola fonte di perdita (circa 1,5 milioni l’anno). Ma il peggio deve ancora

arrivare.

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No. Secondo me, molto più banalmente, è che non sanno come venire fuori da questo pasticcio.

Da un lato hanno permesso e promosso certe cose da certi amici, poi la situazione è degenerata.

Ora mettere soldi non ha più molto senso. A che pro?

E' il prodotto totale che va rivisto.

Il punto è che la credibilità di questo gruppo editoriale si è abbassata. E continuerà ad abbassarsi probabilmente.

Le idee ormai sono girate e loro non sono stati in grado di fermarle, e dunque adesso ci sarebbe da tornare su molte cose.

Le campagne stampa contro tizio e contro caio ormai le hanno capite tutti.

Ci sono persone che la giornalaccio rosa, per esempio, non la compreranno mai più. A prescindere da cosa succederà.

E in questi anni hanno messo in piedi anche delle ottime iniziative editoriali di contorno, tipo le serie di dvd di ogni genere in abbinamento, ecc. Eppure niente. Il tracollo è evidente. Somiglia a quello della Ferrari.

Puoi cambiare qualche testa per tentare qualche idea nuova, ma va cambiato il vertice della Piramide, innanzitutto.

E poi devono fare un bel po' di mea culpa. Non so se cambierebbe qualcosa, ma sarebbe un buon inizio per cominciare a ragionare.

Ma la linea editoriale de La Stampa (che invece va bene) dimostra che in teoria, al di là dell'operato di Andrea, gli interessi sono contrari ai nostri. E ho detto tutto.

Capisco, grazie.

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No. Secondo me, molto più banalmente, è che non sanno come venire fuori da questo pasticcio.

LETTERA AL RISPARMIATORE

RCS: L'IMPAIRMENT

I conti 2011 affrontano la prova

di tenuta delle attività spagnole

La holding iberica ha 1,2 miliardi di «intangibles»,

i due terzi di tutti gli asset immateriali del gruppo

di ANTONELLA OLIVIERI (Il Sole 24 Ore 22-01-2012)

I_conti_RCS.jpg

Inutile guardare alla Borsa. Non è un metro affidabile per prendere le misure

a Rcs: con l'accaparramento delle azioni, dentro e fuori patto, gli scambi

sono ormai ridotti a meno di 100mila euro a seduta. Senza infamia nè lode, il

titolo non si è sottratto alla generale ondata di ribassi, ma ha comunque

resistito meglio del settore, cedendo nel 2011 il 34% contro il quasi 50%

dell'indice dei media. Di argomenti per movimentare la scena ce ne sarebbero

però parecchi. Nei prossimi mesi la casa che, tra l'altro, edita il Corriere

della Sera e i suoi azionisti avranno più di un nodo da sciogliere. A partire

dalle attività spagnole, sulle quali incombe la minaccia di una pesante

svalutazione. Una vera spada di Damocle perchè la holding iberica Unidad

Editorial, sul totale di 1,4 miliardi di attività, a fine 2010, aveva in

pancia i due terzi di tutti gli intangibles del gruppo, per la bellezza di

1.193,4 milioni, di cui 641 milioni relativi al goodwill di Recoletos e altri

420 milioni, del prezzo pagato per l'acquisizione, attribuiti al valore delle

testate in portafoglio, mentre 110 sono l'avviamento di El Mundo che era

preesistente. Finora l'impairment è sempre filato liscio, ma per continuare a

sostenerne il valore la provincia iberica dovrebbe essere in grado di

espandere i ricavi al ritmo del 6,2% all'anno almeno fino al 2015. I primi

nove mesi del 2011 non confortano le rosee aspettative. Madrid è stata

investita in pieno dalla crisi del debito sovrano, la disoccupazione è salita

alle stelle (uno su cinque è senza lavoro) e le entrate del gruppo in Spagna

si sono inevitabilmente contratte, calando dell'8% ai 360, 8 milioni di fine

settembre rispetto ai 392 milioni dello stesso periodo dell'anno prima. La

pubblicità, nella media dei nove mesi evidenzia una flessione limitata al 2% a

152 milioni, ma se nel primo trimestre si festeggiava ancora la crescita con

un +8%, nel terzo si apriva una falla da -13%. Contraccolpo dovuto anche al

venir meno degli accordi di raccolta pubblicitaria con Antena 3 per il canale

tv Veo 7 (1% di share). I ricavi diffusionali hanno sofferto (-9% a 164

milioni), ma i collaterali sono proprio spariti con un crollo del 65% a 6

milioni. Ai multipli di Borsa (si può prendere a riferimento l'Ev/Ebitda di

Prisa, pari a 7 volte sulle stime 2012), il complesso delle attività spagnole

non arriverebbe a 300 milioni.

Insomma, l'impairment test, il cui esito sarà noto in tempo per il cda del 20

febbraio, questa volta non sarà una passeggiata. Comunque vadano le cose,

l'aumento di capitale non sarà però una conseguenza automatica. Il codice

civile imporrebbe l'abbattimento del capitale e la sua eventuale

ricostituzione solo se le perdite superassero un terzo del capitale sociale,

vale a dire se il rosso oltrepassasse i 254 milioni. Ma Rcs, alla bisogna, ha

comunque da sfruttare quasi 300 milioni di riserve per utili riportati a

nuovo. La possibile cessione di Flammarion non servirebbe certo a compensare a

ritroso la possibile svalutazione degli asset spagnoli, ammesso che si produca

una plusvalenza, ma semmai a fare cassa. Flammarion, quarto gruppo editoriale

transalpino, con una serie di titoli ben azzeccati, nel 2010 era arrivata a un

soffio dal terzo competitor su piazza con una quota di mercato del 5, 9%,

inferiore appena dello 0,1%. Ma nel 2011 non è andata altrettanto bene: la

quota è scesa al 5,3% e con essa l'Ebitda. Gallimard la vuole (ma ci sarebbe

anche un'altra offerta) e il board presieduto da Piergaetano Marchetti alla

fine ha deciso di "vedere". La casa francese, pagata 300 miliardi di vecchie

lire nel 2000, ha attaccato valori immateriali per quasi 100 milioni.

Fare cassa per cosa? In realtà, il vero problema delle attività spagnole è il

debito collegato. Per finanziare l'acquisizione di Recoletos nel 2007, Rcs si

è ritrovata a superare stabilmente il miliardo di esposizione. Cosa che ne ha

indebolito la struttura patrimoniale, tanto che il capitale netto tangibile,

pari a quasi due volte e mezzo l'ammontare dei debiti nel 2006, l'anno dopo

era già negativo. Secondo gli analisti servirebbe un'iniezione di mezzi

freschi dell'ordine di mezzo miliardo per dimezzare il rapporto indebitamento

netto/Ebitda che oggi sfiora le 6 volte. Ma è un esercizio teorico, perchè

vorrebbe dire imbarcarsi in un'operazione che vale quanto l'intera

capitalizzazione di Borsa. La società, poi, ha ancora accesso a 1, 7 miliardi

di linee di credito, senza covenants e a tassi bassissimi (3% il costo medio

del debito nel 2010), che non conviene estinguere anticipatamente. A fine 2013,

però, circa un miliardo di questi finanziamenti andrà in naturale scadenza,

proprio quando ci sarà da rinnovare il patto, valido fino al 14 marzo 2014 ma

disdettabile entro il 14 settembre 2013. Ci sarà modo allora di verificare chi

tra i soci stabili è disposto a scommettere sul futuro di Rcs. Se ce ne sarà

bisogno, investendoci ancora. Per ora l'argomento, dal gruppo guidato da

Antonello Perricone, è stato accantonato. Del resto fare oggi la conta di chi

sarebbe disposto a metter mano al portafoglio avrebbe l'effetto di rimettere

in discussione anzitempo gli equilibri: ci sarà già probabilmente da

riassorbire la quota del 5,26% che i Ligresti abbandoneranno con FonSai. Per

contro si perderà però, almeno per ora, l'occasione di ridare significatività

alla quotazione con un'operazione che avrebbe potuto contribuire a diluire un

azionariato che, dentro e fuori il sindacato, immobilizza quasi il 90% del

capitale.

Domande & risposte

1 Quando sono state rilevate le attività spagnole di Rcs?

Rcs era già in Spagna con El Mundo, secondo quotidiano del Paese, quando nel

2007 è stata acquisita Recoletos, presente nei quotidiani, con il giornale

sportivo Marca e l'economico Expansion, nei periodici, nella radiofonia, nella

tv (Veo) e Internet. Recoletos era stata valutata 1, 1 miliardi, includendo

l'indebitamento netto di 272 milioni. Per l'acquisizione, Rcs aveva fatto

ricorso anche finanziamenti, che hanno portato da allora il livello dei debiti

complessivi stabilmente sopra il miliardo. A fine 2006 la posizione

finanziaria netta di Rcs era addirittura in attivo per qualche milione.

2 Come sono andati i conti dei primi nove mesi 2011?

A fine settembre i ricavi consolidati di Rcs ammontavano a 1.511,9 milioni che

si confrontano con i 1.644,7 milioni dello stesso periodo 2010, e i 1. 554, 1 a

perimetro omogeneo – a gennaio era stata ceduta Ge Fabbri (ricavi per 62, 9

milioni, Ebitda di 5,2 milioni) e a dicembre 2010 Delagrave (ricavi per 3, 3

milioni e Ebitda negativo per 0,3 milioni) – mentre l'Ebitda si attestava a 82,

7 milioni in calo dai 124, 1 dell'anno prima (115, 7 milioni a perimetro

omogeneo). L'indebitamento netto si è attestato a 981,7 milioni, poco variato

dai 970,8 milioni al 30 settembre 2010. I primi nove mesi si sono chiusi con

una perdita di 25,5 milioni, rispetto a un utile di 0, 7 milioni nello stesso

periodo precedente. In particolare ha pesato l'andamento di Unidad Editorial,

holding iberica del gruppo, che ha riportato ricavi in calo dell'8% a 360, 8

milioni e un Ebitda sceso a 2, 2 milioni. Il management ha predisposto un

ulteriore piano di interventi, con benefici stimati in un centinaio di milioni

rispetto alle ipotesi del piano 2011-2013. Nel 2009 era stato varato un

programma di taglio costi per 200 milioni, già superato a 247 milioni alla

fine di settembre.

3 Come è composto l'azionariato?

Rcs è governata da un patto che vincola il 63,54% del capitale, anche se agli

azionisti del sindacato è riferibile in tutto il 65, 68% del capitale.

All'interno della compagine, il maggior singolo azionista è Mediobanca con il

13,7% vincolato, davanti a Fiat che detiene il 10,3%. Del patto, con una quota

importante – il 5,26% – fa parte anche FonSai, prossima a passare sotto le

insegne di Unipol. Con l'uscita della famiglia Ligresti, la quota in Rcs della

compagnia potrebbe essere distribuita all'interno del patto, di cui fanno

parte anche Pesenti, Della Valle, Pirelli, Intesa, Generali, Lucchini, Mittel,

Bertazzoni ed Edison. L'accordo scade il 14 marzo 2014 ed è automaticamente

rinnovabile per un altro triennio, salvo recesso entro il 14 settembre 2013.

Fuori dal patto, l'imprenditore della sanità Giuseppe Rotelli detiene circa

l'11% dei diritti di voto, mentre Benetton e Toti hanno un altro 5% ciascuno.

Panoramica_su_RCS_1.jpg

Panoramica_su_RCS_2.jpg

Modificato da Ghost Dog

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Presentate le nuove Pirelli

"Ferrari favorita? Schiocchezze"

Dal nostro inviato MASSIMO CALANDRI

ABU DHABI - Morbide e aggressive. Spigolose e resistenti. Per una Formula Uno più spettacolare e movimentata, con tanti pit stop come mosse su di una scacchiera d'asfalto. A meno di due mesi dall'esordio australiano di Melbourne (18 marzo), Pirelli ha presentato le nuove gomme che saranno adottate dai team in gara: Marco Tronchetti Provera, presidente e Ceo dell'azienda italiana, giura che renderanno la manifestazione più equilibrata e dunque divertente, una questione di strategia più che di aerodinamica.

FERRARI FAVORITA? - I bene informati dicono che la Ferrari potrebbe trarne giovamento, ma sono solo chiacchiere. "Nessuna complicità con la Rossa. Sciocchezze. E' stata una scelta in accordo con tutte le squadre e i piloti", taglia corto Tronchetti Provera. Che però si augura un successo del Cavallino. "Naturale. Se uno è italiano sogna che vinca la Ferrari, se è inglese la Lotus o McLaren. E se è francese, la Renault. Ognuno tiene il cuore dove sta".

UNO SPREAD DI FIDUCIA - Ma oggi è due volte importante, che Ferrari e Pirelli vincano. "In questo momento di crisi bisogna dare il buon esempio. C'è anche uno spread in termini di fiducia da recuperare. Ci sono aziende italiane che hanno l'approccio giusto in termini di competitività, di tecnologia, di qualità degli uomini. Possono offrire un grande contributo nel ridare fiducia al Paese".

C'E' LUCHINO AL TELEFONO -

Tronchetti Provera parla con i giornalisti, quando viene interrotto dal cellulare che suona. "Luchino!", dice. Dall'altro capo del filo c'è Luca Cordero di Montezemolo. "Ecco, adesso tutti diranno che ho un rapporto privilegiato con la Ferrari!". Il suo interlocutore risponde, e allora Tronchetti ridacchia: "Dice che non è vero!".

IL RITORNO DEL CINTURATO - Tra le novità, il ritorno di un brand che ha segnato la storia della Formula Uno: il Cinturato, la gomma con la quale Pirelli corse e vinse negli anni Cinquanta e che dal 2012 distinguerà le gomme intermedie e da bagnato. Nella versione Blu, la wet da acquazzone, con le coperture posteriori caratterizzate da scanalature profonde, simili ad una normale gomma da strada, in grado di ottimizzare al meglio il drenaggio in caso di acquaplanning: sono progettate per espellere oltre 60 litri d'acqua al secondo ad una velocità di 300 chilometri orari. E nella versione verde, intermedia, per pioggia leggera.

CERCASI AUTO DA TEST - La Toyota 2009 ha fatto il suo tempo. "Le squadre non vogliono darci una macchina perché pensano che questo finirebbe per creare una disparità, ma noi abbiamo bisogno della monoposto adatta nell'interesse di tutti". Il 26 febbraio è in programma una riunione della F1 Commission. Per trovare una soluzione. "Ora tutti i team sono proiettati su lancio delle nuove macchine, ma stiamo tenendo i contatti e spero che una soluzione si trovi. Noi abbiamo posto il tema, ora aspettiamo le indicazioni di team e federazione: mi auguro che si semplifichino la vita", spiega Tronchetti Provera. E il russo Vitaly Petrov, che per ora è rimasto a piedi, potrebbe diventare il nuovo test-driver.

LE NUOVE P ZERO - Profili squadrati e maggiore grip, mescole più morbide per le P Zero da asciutto (per morbida, media e dura), più performanti e a degrado costante: così Pirelli - che prevede due o tre pit stop a gara - ha presentato il nuovo prodotto, in attesa delle novità aerodinamiche dei team. Assicura spettacolo, ma sarà solo l'asfalto a dire la verità.

http://www.repubblica.it/sport/formulauno/...relli-28749344/

.penso

Modificato da CRAZEOLOGY

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RELAZIONI INDUSTRIALI

Comunicato sindacale

Il Comitato di redazione del Corriere della Sera sull'ipotesi di

trasferimento dalla storica sede milanese di via Solferino

Corriere.it 26 gennaio 2012 (modifica il 27 gennaio 2012)

Caro lettore,

siamo qui a denunciare il pericolo che tra pochi mesi il Corriere della Sera,

in termini di qualità, potrebbe non essere più lo stesso quotidiano che sei

abituato a leggere.

Perché l’informazione sia completa e corretta, un quotidiano deve lavorare

come un corpo vivente, in cui tutti gli organi operano per la salute

dell’insieme. I giornalisti contribuiscono raccogliendo notizie, verificandone

l’attendibilità, presentandole con obiettività nella miglior forma possibile e

curandone l’aggiornamento fino a un attimo prima della stampa. Questo può

essere fatto solo attraverso la stretta e continua collaborazione con la

componente poligrafica del giornale, la cosiddetta tipografia: cambiamenti in

corsa, aggiunte, miglioramenti, inserimenti delle novità o delle immagini o di

grafici dell’ultimo momento. Fianco a fianco, fino a notte.

Certo, la tecnologia consente di comporre un giornale «bionico», le cui parti

vengono costruite in luoghi diversi e poi assemblate con escamotage

informatici. Però con perdite di tempi preziosi per l’accuratezza

dell’informazione e con la rinuncia tout court a una circolazione sanguigna

che fa la differenza tra un corpo vivo e uno meccanico.

La Rcs Mediagroup ha annunciato di voler mettere in atto questo tipo di

violazione dell’organismo Corriere della Sera: smembrando la redazione dalla

tipografia e immaginando persino di scorporare alcune parti di redazione dal

suo insieme. Qualcuno resterebbe in via Solferino, altri verrebbero trasferiti

a Crescenzago.

Il motivo è la volontà di vendere gran parte degli edifici di proprietà

nell’area Solferino-San Marco. Per «valorizzarli», dice l’azienda. Per «fare

cassa» rapidamente, è la traduzione giornalistica, in modo da porre rimedio ai

disastri provocati negli ultimi anni della gestione dissennata e fallimentare

che il management sostenuto dagli azionisti ha messo in atto.

Siamo qui a denunciare il depauperamento qualitativo oltre che economico,

l’attenzione continua a interessi esterni all’impresa editoriale a danno del

prodotto, del marchio, dei suoi lavoratori e dei lettori. Mentre con una mano

l’azienda negli ultimi due anni ha chiesto (e chiede) soldi pubblici tramite

stati di crisi e ristrutturazione subentranti, con l’altra assegna a azionisti

e vertici manageriali ricchi dividendi e premi quasi milionari. Mentre vengono

chiuse testate del gruppo (come City) ricorrendo alla cassa integrazione,

mentre giornalisti e poligrafici di diverse testate del gruppo vengono

prepensionati, con la grave perdita di eccellenze professionali e un aggravio

straordinario per gli enti di previdenza, una casta (questa sì) di intoccabili

non paga neppure il minimo pegno per le scelte scellerate in termini di

politica aziendale, di investimenti (l’acquisizione della Recoletos spagnola è

l’esempio più eclatante) che, ben oltre la crisi congiunturale, hanno portato

al disastro. Per contrastare il declino, e mettendo al primo posto il giornale,

la redazione del Corriere da tempo ha accettato sacrifici pesanti. Dietro

questa assunzione di responsabilità c'era anche l'impegno di custodire il

giornale «completo» in via Solferino.

Al contrario, l’attenzione aziendale verso il giornale, e di conseguenza

verso i diritti del lettore, è così evanescente che si pensa di fare scempio

del corpo Corriere vivente lasciando invece nella storica sede di via

Solferino gli uffici dei più alti vertici aziendali e lo staff del marketing.

L’immagine di facciata e la pubblicità devono avere il dominio

sull’informazione?

Il Corriere della Sera e quella che è la sua casa storica da 110 anni

rappresentano anche un simbolo per Milano, basta pensare alle scolaresche che

quasi ogni giorno vengono a visitare la redazione. Noi faremo tutto ciò che è

nelle nostre disponibilità per difenderlo e per tutelare la qualità delle

notizie. Chiediamo anche a te, caro lettore, di aiutarci a salvarlo.

Il Comitato di redazione del Corriere della Sera

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COMUNICATO SINDACALE

(pag.43, GaSport 28-01-2012)

Il comitato di redazione della Ġazzetta dello Sport, facendo seguito

a un’assemblea dei suoi giornalisti in cui si è espressa solidarietà al

collega Vincenzo Cito, comunica l’esito della consultazione sul

rinnovo della fiducia al direttore Andrea Monti.

Aventi diritto al voto: 161. Votanti: 133. Sì: 37. No: 91. Schede

bianche: 5

___________________________________________________

L’editore conferma la piena fiducia al Direttore Andrea Monti nella

convinzione che redazione e direzione sappiano ritrovare la

necessaria intesa alla vigilia delle importanti sfide che attendono la

Ġazzetta dello Sport nel 2012.

___

Rcs, rivolta dei giornalisti

“Soldi pubblici per pagare sprechi”

Stati di crisi e cassa integrazione per i dipendenti

Manager coperti d’oro nonostante il grande flop dell’operazione Spagna

Ġazzetta dello Sport trasferita da via Solferino

in periferia, sfiduciato il direttore Andrea Monti

di GIOVANNA LANTINI (il Fatto Quotidiano 28-01-2012)

La Spagna non lascia dormire sogni tranquilli a manager e azionisti della Rcs.

Con un nuovo, durissimo, comunicato nell’edizione di ieri, i giornalisti e i

dipendenti del gruppo editoriale del Corriere della Sera insistono sul flop

dell’acquisizione spagnola Recoletos e alzano il tiro su amministratori e

azionisti. Arrivano anche le prime sfiducie ai direttori. Proprio mentre

vengono chiuse testate come il free press City ricorrendo alla cassa

integrazione o ai prepensionamenti, con “un aggravio straordinario per gli

enti di previdenza”, secondo i giornalisti di via Solferino “una casta (questa

sì) di intoccabili non paga neppure il minimo pegno per le scelte scellerate

in termini di politica aziendale, di investimenti (l’acquisizione della

Recoletos spagnola è l’esempio più eclatante) che, ben oltre la crisi

congiunturale, hanno portato al disastro”.

Il primo a fare le spese di una protesta sempre più agguerrita è stato ieri

il direttore della Ġazzetta dello Sport, Andrea Monti, che è stato sfiduciato

ad ampia maggioranza dai suoi redattori.

DOPO IL DRASTICO comunicato di martedì, firmato dai rappresentanti sindacali

di Ġazzetta dello Sport, Corsera e poligrafici, ieri sono tornati alla carica

i giornalisti del quotidiano diretto da Ferruccio de Bortoli. Questi ultimi

hanno scelto la formula della lettera ai lettori per tenere alta l’attenzione

sul braccio di ferro in corso con l’azienda che, per salvare il salvabile, ha

deciso di puntare sulla cessione dell’immobile di via Solferino trasferendo la

Ġazzetta alla periferia di Milano insieme a tutti i poligrafici. Smembrando,

quindi, la redazione del Corriere che si troverebbe a dover “comporre un

giornale « bionico », le cui parti vengono costruite in luoghi diversi e poi

assemblate con escamotage informatici”. Non solo. Nei disegni della dirigenza

ci sarebbe anche la separazione del corpo redazionale dello stesso Corsera,

con il trasferimento in via Rizzoli anche di alcuni giornalisti della testata.

Una scelta che secondo il sindacato chiama in causa direttamente i lettori

proprio perché avrebbe un effetto negativo sulla qualità del giornale. Il

tutto per costruire l’ennesima pezza che il management vorrebbe piazzare per

sistemare i conti con il passato.

Ossia, appunto, la disastrosa acquisizione del gruppo editoriale spagnolo

Recoletos effettuata all’inizio del 2007 per la ragguardevole cifra di 1, 1

miliardi dall’attuale amministratore delegato di Rcs, Antonello Perricone,

affiancato tra gli altri dai consulenti di Mediobanca, primo socio del gruppo.

Allora si stimava che l’acquisizione avrebbe portato al gruppo italiano valore

economico per 127 milioni. A distanza di cinque anni, invece, Rcs che

all’epoca era in sostanziale equilibrio finanziario, si ritrova con un

indebitamento di 981, 7 milioni e una partecipazione che, secondo i sindacati,

ha un valore contabile “che supera di poco la metà dell’investimento

iniziale”. E se la stima dovesse venire certificata in bilancio con una

pesante svalutazione, gli stessi soci, già in agitazione per i passaggi di

mano di alcune quote di rilievo e le variazioni in corso nei pesi della

finanza italiana, potrebbero trovarsi davanti alla necessità di aprire il

portafoglio per ricapitalizzare la società, pena perdere la presa sul salotto

buono lasciando spazio a chi vorrebbe crescere. Naturale, quindi, che il

management le stia studiando tutte per evitare scelte estreme. Anche perché in

questi anni è stato lautamente retribuito: complessivamente tra il 2007 e il

2010 amministratori e sindaci sono costati alla Rcs 22, 6 milioni. La fetta

più importante è andata a Perricone che nel quadriennio ha incassato 5, 21

milioni, uno dei quali riferibile a un bonus datato proprio 2007, anno in cui

ai soci andò un dividendo di oltre 80 milioni.

HANNO QUINDI avuto gioco facile i giornalisti del Corriere nel “denunciare il

depauperamento qualitativo oltre che economico, l’attenzione continua a

interessi esterni all’impresa editoriale a danno del prodotto, del marchio,

dei suoi lavoratori e dei lettori”. Una denuncia fatta puntando il dito contro

un’azienda che con una mano “negli ultimi due anni ha chiesto (e chiede) soldi

pubblici tramite stati di crisi e ristrutturazione subentranti, con l’altra

assegna a azionisti e vertici manageriali ricchi dividendi e premi quasi

milionari”.

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