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Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"

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L’EDITORIALE di PAOLO PANERAI (ItaliaOggi 26-01-2013)

ORSI & TORI

Ma allora era davvero il Re d’Italia. Mai era successo, per la messa di ricordo dei dieci anni dalla morte, che si mobilitasse un tale parterre de rois come quello che giovedì 24 si è ritrovato a Torino per rendere omaggio alla memoria di Giovanni Agnelli. La presenza del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, potrebbe essere anche giustificata con la lunga appartenenza dell’Avvocato al Parlamento come senatore a vita. Ma certo non risulta che fosse mai successo per altri senatori a vita. Come non era mai successo che il Corriere della Sera dedicasse più pagine nei giorni precedenti e poi la prima pagina di venerdì 25, con foto centrale nella quale il presidente Napolitano bacia la mano a Donna Marella. Senza contare la puntata di Porta a Porta dedicata da Bruno Vespa all’ex presidente della Fiat. In studio c’era eccezionalmente anche l’erede, John Elkann, che questa volta, con una cravatta blu a maglia traforata che anche il nonno e sicuramente lo zio Carlo Caracciolo (era il suo tipo preferito) avrebbero indossato, è apparso molto più reattivo di quanto lo considerino quelli che non lo conoscono direttamente. Risposte diplomatiche, ricordi teneri, sguardo penetrante.

Per l’anniversario dei cinque anni, a parte la messa ufficiale, l’eccezionalità era stata la pubblicazione di un libro da parte dell’Editrice della Stampa, la casa editrice di famiglia. Un bel libro, ricco e di formato autorevole. a differenza di quello, di formato più piccolo e più scarno, che fu pubblicato per l’anniversario dei cinque anni della morte di Umberto, fratello minore dell’Avvocato. Anche lui è stato senatore e per di più eletto democraticamente: quando ricorrerà l’anniversario dei 10 anni, tra non molto, si tratterà di vedere se per l’occasione si sposterà da Roma il presidente della Repubblica in carica e se il parterre sarà ugualmente regale. Se si dovesse fare una previsione, sarà assai difficile che avvenga. Eppure, è opinione crescente che fra i due fratelli Agnelli, chi ha fatto di più e meno male, anzi bene, per l’Italia è stato proprio Umberto.

Per descrivere uno dei lati migliori dell’Avvocato, intervistato durante Porta a Porta, il suo braccio destro per 20 anni, Cesare Romiti, ha raccontato un aneddoto inevitabilmente sulle donne: provocato da una domanda, l’Avvocato rispose: Io parlo con le donne ma non parlo delle donne, che intorno a lui sono state tante. Ecco, se Silvio Berlusconi avesse imparato questo comportamento da colui che è sempre stato il suo punto di raffronto, non sarebbe oggi ancora alla rincorsa di Pier Luigi Bersani e Mario Monti non sarebbe mai diventato presidente del Consiglio, almeno non nelle circostanze in cui lo è diventato.

Se una lezione tutti i politici in corsa per il nuovo Parlamento dovrebbero prendere dall’Avvocato è la sua discrezione sulle donne, certo aiutato da un clima diverso, in cui le intercettazioni non erano così facili e diffuse come oggi, specialmente nei confronti di colui che anche in vita è stato considerato una sorta di Re d’Italia, non solo perché torinese come i Savoia. Per esempio, se Gianfranco Fini avesse preso esempio da Agnelli, non si sarebbe mai messo nella condizione di essere giudicato, come la gran parte degli italiani lo giudicano, per aver scelto come seconda donna ufficiale la signora Elisabetta Tulliani. Con le conseguenze che ne sono derivate anche sul patrimonio del suo vecchio partito e sulla ulteriore caduta morale dei politici che, pur essendo di una parte molto ideologica, non esitano a tradire lo spirito del lascito di tutto il proprio patrimonio da parte di una nobildonna.

Ma sono anche altre le lezioni, in positivo e negativo, che i politici in campagna elettorale potrebbero trarre dai numerosi ricordi celebrati in questi giorni per il decennale della morte di Agnelli. Ricordi e talvolta omissioni: come quella compiuta da un Eugenio Scalfari in piena forma nonostante l’ottantina superata abbondantemente, anch’egli invitato alla puntata speciale di Porta a Porta. Il fondatore di La Repubblica ha ricordato un episodio in cui, conducendo lui una certa campagna d’attacco come nel suo stile, si era diffusa la voce che in realtà la stesse conducendo per conto dell’Avvocato, visto che il suo editore era Caracciolo, cognato di Agnelli. Ha ricordato Scalfari che l’Avvocato gli chiese di andare a trovarlo e che gli manifestò chiaramente l’imbarazzo nel quale si trovava; in sostanza, ha aggiunto Scalfari, mi chiese di dimettermi per troncare così ogni voce e addebito all’Avvocato; e Scalfari si impegnò a farlo, ma quando poi ne parlò con Caracciolo, il principe gli disse: non ti preoccupare, tanto Gianni è andato all’estero e quando tornerà gli sarà passata. Detto così, Scalfari ha descritto abbastanza bene la volatilità dell’Avvocato, ma se avesse voluto essere più incisivo avrebbe potuto, riprendendo l’assist lanciatogli da Vespa, raccontare l’episodio di quando sull’Espresso lui lo chiamò «Avvocato di panna montata». Accadde quando Agnelli decise di uscire dal Corriere della Sera. Ma più o meno analogo giudizio Scalfari diede anche quando era scoppiata la guerra per il controllo delle Generali. Agnelli era alleato di Enrico Cuccia nel tentativo di scalzare dalla poltrona di presidente delle Generali il senatore Cesare Merzagora, da sempre grande amico del futuro fondatore di Repubblica e portabandiera della condizione di public company (cioè senza controllo) della compagnia di assicurazioni triestina. Era della partita anche Antoine Bernheim, l’allora amministratore delegato di Lazard e poi presidente delle stesse Generali proprio in virtù di essersi alleato con Cuccia contro Merzagora. Dopo una raffica di articoli, l’esplosione di una definizione che trovò allora pochi consensi, via via cresciuti negli anni, sulla lievità dell’Avvocato.

Nella poderosa commemorazione di Agnelli ci potrebbe essere stato, ma non c’è stato, anche un ricordo legato all’attuale presidente del Consiglio, Mario Monti. L’Avvocato lo chiamò molto giovane (36 anni) nel consiglio d’amministrazione della Fiat. Era il 1979 e Monti si era messo in evidenza come capo dell’ufficio studi della Comit e contemporaneamente come consigliere del ministro del Tesoro Gaetano Stammati. La nomina in Fiat consacrò l’entrata nell’establishment che conta del professore della Bocconi. Monti rimase nel consiglio Fiat fino al 1993, uscendone, senza una motivazione ufficiale, con grande tempismo quando la casa torinese fu coinvolta in Tangentopoli. Dopo pochi mesi il neopresidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, lo designò, unitamente alla radicale Emma Bonino, a componente della commissione esecutiva dell’Unione europea. Una nomina in accoppiata che fece guadagnare a Berlusconi molti apprezzamenti per la scelta fuori dalla politica tradizionale di due personaggi di valore, ma che contemporaneamente lanciò Monti nell’emisfero europeo dove si è guadagnato i meriti, il consenso e le amicizie che nel momento della crisi più nera di Berlusconi per le sue avventure private hanno spinto la cancelliera Angela Merkel a suggerirlo a Napolitano come presidente del Consiglio di emergenza, pienamente gradito a chi comanda a Bruxelles.

Come si vede, la vita e le scelte di Agnelli sono come un’onda lunga sulla vita italiana anche a 10 anni dalla sua morte. E specialmente una sua scelta, disastrosa, è alla base dell’anomalia che ha caratterizzato il costo del lavoro in Italia e un predominio del sindacato, nonostante Bettino Craxi una volta diventato capo del Governo abbia tentato di limitarne i danni. Agnelli era presidente della Confindustria; capo dei sindacati era Luciano Lama, un uomo sicuramente di alto profilo, con il quale l’Avvocato amava dialogare. Lama sosteneva la teoria dello stipendio come variabile indipendente. Il dibattito, in una stagione in cui l’inflazione era a due cifre, verteva sul recupero del potere d’acquisto dei salari attraverso la scala mobile, agganciata appunto al 100% all’inflazione. Dopo un lungo confronto, per cercare la pace sociale, Agnelli firmò l’accordo sulla scala mobile integrale (il punto unico della scala mobile, trimestralizzata) con Lama e gli altri due capi della Triplice, come veniva chiamata allora l’unione dei tre sindacati, Cgil, Cisl e Uil. Il danno per l’economia italiana, anche in termini di produttività in relazione al costo del lavoro, è stato enorme fino a quando, appunto, Craxi non ebbe il coraggio di far annullare quell’accordo.

Gli anni che passarono dopo l’accordo Agnelli-Lama hanno avuto l’apice del consociativismo e la base per l’enorme crescita del debito pubblico, dando appunto enorme potere ai sindacati, nei quali ha prevalso quella mentalità e quelle pretese verso le quali da quando è diventato capo della Fiat, in una sorta di contrappasso imprevedibile, sta combattendo Sergio Marchionne. Sicuramente Agnelli non avrebbe mai pensato che quella scelta alla ricerca della pace sociale potesse essere così dannosa per l’economia del Paese. Ma altrettanto sicuramente in quella decisione, contrastata da non pochi all’interno della Confindustria e in particolare dai piccoli imprenditori, c’è tutto il gusto elitario dell’Avvocato, che ora in buona misura si riscontra anche in Monti. Fra le tante definizioni del presidente del Consiglio, sicuramente appare azzeccata quella del leader del Pd, Bersani, quando ha detto che il professore guarda sempre dall’alto. Anche Agnelli aveva questa attitudine e per questo, intuendone le doti istrioniche, per molto tempo ha guardato Berlusconi dall’alto, fino ad appoggiarlo nella sua decisione di scendere in politica. Fu infatti Agnelli a suggerire a Berlusconi alcuni esponenti, anche allora provenienti dalla così detta società civile, quale, per esempio, il politologo Giuliano Urbani, diventato più volte ministro.

In questa attitudine dell’Avvocato, mutati molti aspetti, si ritrova però una sorta di continuità con quanto ha fatto negli ultimi due anni Luca Cordero di Montezemolo, selezionando possibili candidati, attrezzando una qualche struttura organizzata sul territorio, per poi offrirla a Monti come base del suo partito. Tuttavia, mentre Montezemolo è stato tentato per un po’ di entrare direttamente in politica, l’idea non sfiorò mai Agnelli. Un re non si candida certo a essere eletto dal popolo. Scelta che invece fece suo fratello Umberto, quasi per affrancarsi dalla soggezione del fratello. E come fece Guido Carli quando scese in politica, anche Umberto scelse di fare il senatore nella Dc, pur fondando la corrente degli hiltoniani, poiché le riunioni si svolgevano all’hotel Hilton. Anche Umberto, che sicuramente ha vissuto una vita più impegnata e concreta del fratello, aveva l’ambizione di federare i riformisti come ora dice di voler fare Monti, anzi specificando che la scelta di un partito nuovo è stata proprio motivata dal fatto che a suo avviso i riformatori non stanno né a destra, né al centro né a sinistra, ma in tutti e tre gli schieramenti e quindi per metterli insieme occorreva creare un nuovo partito, che però si appoggia a un partito che anche nel nome ha la parola centro (Udc, Unione democratica di centro) e a un partito-partitino fantasma come il Fli di Fini, nel quale si concentrano tutti gli elementi che il professore, la sua storia, la sua rettitudine battezzano come poco morali se non immorali.

Forse, se Agnelli fosse ancora vivo, mentre incoraggiò Berlusconi a entrare in politica, avrebbe sconsigliato Monti dal farlo. Del resto, non poca sorpresa e preoccupazione ha suscitato «la salita in politica» di Monti anche nella sua casa di elezione, la Bocconi, dove, con affetto, cercano di giustificare per di più la sua scelta di allearsi con Udc e Fli con la considerazione che almeno uno di questi partiti ha un’organizzazione sul territorio, senza la quale la candidatura sarebbe stata un suicidio assoluto. È vero, l’Udc esiste da molti anni, ha goduto all’inizio dell’appoggio di Berlusconi, anche finanziario, e quindi ha potuto creare una rete sul territorio, ma mettendoselo a fianco Monti ha contraddetto non solo per il nome centro la sua idea, l’unica originale, di portare in Parlamento persone, donne e uomini, che non hanno mai fatto politica o che non sono politici di professione. Quando a Natale del 2011, appena eletto, ebbi modo di parlare con il professore, mi permisi di fargli notare che la decisione di ritassare i capitali scudati, ancora comprensibile sul piano dell’equità, era il modo più sicuro per rendere mendace lo Stato, che si era impegnato a non tassare più in maniera straordinaria quei miliardi rientrati da oltre Varese. Concordò, ma aggiunse: quando, chiamati, e non per propria volontà, si accetta una posizione come quella di presidente del Consiglio, di bocconi amari occorre buttarne giù tanti. Ecco, allora, era stato chiamato per un’emergenza; ora Monti ha scelto lui di salire in politica. Occorrerebbe che non fosse disponibile, se desidera che la gente abbia fiducia in lui, a buttare giù troppi bocconi amari o meglio a scendere a tali e tanti compromessi che scoloriscano fino a renderla neutra la sua figura. Casomai, il Paese ha bisogno di schiene sempre dritte e di figure con colori netti.

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L'articolo di Moncalvo, il gran guru dei dietrologi, è di uno squallore unico, degno di una comare da salotto.

Per la serie "che s'ha da fà pè campà!".

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CONTI Mercoledì 30 Torino presenterà il bilancio 2012. Marchionne

dovrebbe aver centrato ancora una volta l'obiettivo con utili vicini a

1,3 miliardi di euro. Dopodiché via al rifinanziamento delle obbligazioni

Fiat riparte con i bond

di LUCIANO MONDELLINI (MF-Milano Finanza 26-01-2013)

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Sergio Marchionne dovrebbe aver centrato l’obiettivo. Mercoledì 30 la Fiat presenterà i conti dell’esercizio 2012 e, stando al consensus degli analisti, il Lingotto sarà perfettamente in linea con quanto aveva previsto all’inizio dell’anno scorso. Il risultato della gestione ordinaria si dovrebbe attestare a oltre 3,8 miliardi (come preventivato) grazie soprattutto a Chrysler che dovrebbe contribuire con circa 3,3 miliardi; l’utile netto dovrebbe toccare 1,3 miliardi (lievemente superiori ai 1,2 miliardi stimati da Fiat a inizio anno); l’indebitamento industriale netto si dovrebbe aggirare sui 6,6 miliardi (Fiat non voleva superare i 6,5 miliardi). Marchionne, insomma, pur in presenza della più grande crisi del settore in Europa (le perdite nel Vecchio continente dovrebbero aggirarsi sui 700 milioni) dovrebbe essere riuscito anche quest’anno a portare la nave in porto, producendo utili e garantendo un dividendo agli azionisti. Di lì in poi comincerà il vero 2013, un esercizio che potrebbe rivelarsi fondamentale soprattutto per gli eventi legati a Chrysler. Se infatti in Europa, come ha spiegato il presidente John Elkann a Porta a Porta, l’anno in corso dovrebbe ricalcare il 2012 in termini di vendite, con un’eventuale ripresa solo nel 2014-2015, negli Stati Uniti la partita sarà sicuramente più incoraggiante. In primo luogo perché sul mercato americano dovrebbe proseguire il boom di vendite che ha caratterizzato gli ultimi anni. In seconda istanza perché Fiat cercherà ancora di salire nel capitale di Chrysler per poter sfruttare appieno il cash flow della casa di Auburn Hills. Al momento il Lingotto detiene il 58,5% di Chrysler ma ha già annunciato di voler far valere le due opzioni (esercitate il 1° luglio 2012 e il 1° gennaio scorso) per salire a una quota vicino al 65%. Il problema è che Fiat e Veba (l’azionista di minoranza che dovrebbe cedere queste quote) non si sono accordate sul prezzo (Torino offre 140 milioni di dollari per il primo 3,3%, Veba ne chiede 342) e il caso è nelle mani della Corte del Delaware. La sentenza è attesa entro marzo e, qualsiasi sarà il verdetto, fisserà un riferimento che determinerà gli ulteriori passi per crescere in Chrysler e quindi i fabbisogni di cassa di Fiat. Attendendo la decisione del Tribunale americano, è molto probabile però che Fiat effettuerà le prime operazioni concrete in campo finanziario nel settore dei bond. Secondo quanto risulta a MF/Milano Finanza, infatti, la casa torinese potrebbe approfittare già nei prossimi giorni dell’ottimo momento del mercato obbligazionario per tornare a emettere bond e la finestra più promettente dovrebbe essere quella immediatamente successiva alla presentazione dei conti. Il Lingotto d’altronde ha tre bond in scadenza nelle prossime settimane e avrebbe senso cercare di rifinanziarli in questi giorni. Due di questi bond sono in pesos argentini e di entità modesta: la prima obbligazione, con scadenza il 28 gennaio, è di 26,7 milioni di pesos (circa 4 milioni di euro); mentre l’altra, con scadenza il 28 marzo, e di 20 milioni di pesos (3 milioni di euro). Per questo la casa torinese tenterà di rifinanziare in particolare l’emissione da 1 miliardo di euro emessa nel 2006 e in scadenza il 15 febbraio.

In questo quadro va infine ricordato che giovedì 31 anche Fiat Industrial pubblicherà i conti 2012. Anche in questo caso il consensus degli analisti è in linea con quanto si attende il gruppo torinese. È infatti atteso un utile di 955 milioni a fronte di una stima del Lingotto di circa 900 milioni. Anche la previsione dell’utile della gestione ordinaria è in linea con il target di Fiat Industrial, cioè oltre 2 miliardi. L’indebitamento infine si dovrebbe attestare a 1,4 miliardi, all’interno della forchetta di 1,2-1,5 miliardi indicata dalla società torinese.

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L'articolo di Moncalvo, il gran guru dei dietrologi, è di uno squallore unico, degno di una comare da salotto.

Per la serie "che s'ha da fà pè campà!".

pare che il gran guru abbia ricavato e continui a ricavare le sue "dietrologie" da documenti ufficiali ottenuti "di prima mano" da membri "non allineati" della Famiglia Agnelli, nonché da uffici pubblici...

...poi, a qualcuno, il suono di quel che dicono quei documenti può anche non piacere, ma i fatti sono fatti...

...e se quei fatti contrastano con la "Storia d'Italia riveduta e corretta" che gli Yaki-boys ci raccontano dai giornali di famiglia (da LaStampa al Corriere della Sera, passando per la Repubblica, La GdS e L'Espresso), beh....problemi loro e, SOPRATTUTTO, di chi gli va appresso...

Modificato da alf24

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L'articolo di Moncalvo, il gran guru dei dietrologi, è di uno squallore unico, degno di una comare da salotto.

Per la serie "che s'ha da fà pè campà!".

quando si indossa una maschera poi bisogna recitare quel personaggio

pare che il gran guru abbia ricavato e continui a ricavare le sue "dietrologie" da documenti ufficiali ottenuti "di prima mano" da membri "non allineati" della Famiglia Agnelli, nonché da uffici pubblici...

...poi, a qualcuno, il suono di quel che dicono quei documenti può anche non piacere, ma i fatti sono fatti...

...e se quei fatti contrastano con la "Storia d'Italia riveduta e corretta" che gli Yaki-boys ci raccontano dai giornali di famiglia (da LaStampa al Corriere della Sera, passando per la Repubblica, La GdS e L'Espresso), beh....problemi loro e, SOPRATTUTTO, di chi gli va appresso...

il problema non è se sia vero o non vero

su questo possiamo anche discuterer

ma c'è modo e modo

e moncalvo oramai è monotono monocorda e non riesce a dare respiro alle sue idee

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pare che il gran guru abbia ricavato e continui a ricavare le sue "dietrologie" da documenti ufficiali ottenuti "di prima mano" da membri "non allineati" della Famiglia Agnelli, nonché da uffici pubblici... ...poi, a qualcuno, il suono di quel che dicono quei documenti può anche non piacere, ma i fatti sono fatti... ...e se quei fatti contrastano con la "Storia d'Italia riveduta e corretta" che gli Yaki-boys ci raccontano dai giornali di famiglia (da LaStampa al Corriere della Sera, passando per la Repubblica, La GdS e L'Espresso), beh....problemi loro e, SOPRATTUTTO, di chi gli va appresso...

Certo meglio andare appresso a Gigi Moncalvo che descrive i vestiti dei partecipanti alla commemorazione di Gianni Agnelli e che da bravo impostore (come racconta la sua storia personale vedere a minuto 08.30 http://www.la7.it/omnibus/pvideo-stream?id=32324 e sei hai più tempo consiglio di vederti questa e anche le altre parti) si è tuffato su un filone giornalistico che gli garantisce adepti e redditi.

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Certo meglio andare appresso a Gigi Moncalvo che descrive i vestiti dei partecipanti alla commemorazione di Gianni Agnelli e che da bravo impostore (come racconta la sua storia personale vedere a minuto 08.30 http://www.la7.it/om...stream?id=32324 e sei hai più tempo consiglio di vederti questa e anche le altre parti) si è tuffato su un filone giornalistico che gli garantisce adepti e redditi.

si va (si dovrebbe andare) appresso a coloro che hanno FATTI da portare alla luce e che potrebbero essere utili a capire le dinamiche, altrimenti inestricabili, di vicende di importante interesse.

quando, all'inizio di farsopoli, c'era da capire qualche strano comportamento all'interno della Real Casa torinese, Moncalvo aveva cose interessanti da riferire, cose che in questo forum sono state utilizzate molto proficuamente.

specialmente QUESTO topic ha ricevuto contributi assolutamente interessanti a partire da quel che Moncalvo ha, diciamo, "scoperto qui e là"...

questo è il punto.

perciò, se permetti, Moncalvo potrà anche scrivere qualche pezzo di dubbio gusto, ma apostrofarlo come "il gran guru dei dietrologi", è un'operazione intellettuale assolutamente scorretta.

e comunque, l'avranno pure bandito dalla RAI (per i temi "fastidiosi" di cui si occupava nelle trasmissioni da lui condotte), ma non mi risulta che sia stato mai querelato per le cose, pur "pesanti", che ha detto e ha scritto.

quindi, se l'idea è quella di farlo passare come un soggetto alla Travaglio, direi che proprio non ci siamo....

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il problema non è se sia vero o non vero

su questo possiamo anche discuterer

ma c'è modo e modo

e moncalvo oramai è monotono monocorda e non riesce a dare respiro alle sue idee

non c'è "modo e modo" di raccontare la verità, la realtà dei fatti.

si racconta e basta.

i fiocchetti ed i pacchetti sgargianti, invece, servono a confezionare i compromessi, le puttanate o le versioni rivedute e corrette delle verità inconfessabili....tipo farsopoli..........

Modificato da alf24

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Io ero presente alla conferenza, anche se in realtà ci sono andato per ragioni mie personali di cui parlerò nel mio prossimo pezzo, che verrà pubblicato entro un paio di giorni, credo.

Ho anche fatto una domanda, visto che c'ero, perché sto cercando di ricostruire mentalmente alcune cose. Moncalvo mi ha risposto, e mi è stato molto utile.

E' una situazione molto complessa, a mio avviso.

Ci sono troppe cose che non tornano per poterle archiviare come semplice "filone giornalistico che gli garantisce adepti e redditi".

Ma allo stesso tempo apprezzo molto la linea di AA su questo punto, perché ha evitato di buttarsi nella mischia e prendere una posizione netta, anche solo verbalmente.

E non solo per il fatto che egli non è erede di quel ramo, e quindi non ha titolo di parlare più di tanto, ma perché ognuna delle due parti probabilmente spererebbe che lui prenda una posizione favorevole... Scelta saggia la neutralità, a mio modesto avviso.

Se scrivessi su questo tema verrebbe un post lunghissimo... Mi limito ad un elenco di punti, senza argomentare troppo.

- Gli Juventini tendono a santificare GA, perché era un uomo con tantissime qualità e una grande personalità, ma la realtà è che era anche un uomo potentissimo, con tanti difetti, e con tantissimi scheletri di vario genere negli armadi (italiani e esteri). Ad un certo punto della vita bisogna crescere, e imparare a pesare un po' le persone. Dovrebbero farlo anche gli Juventini, almeno un pochino.

- Qualche scheletro credo ci sia anche da quell'altra parte della famiglia, tanto per essere chiari. Dunque anche in questo caso sono fuori luogo le santificazioni a prescindere.

- I torinesi che ben conosciamo, quelli ancora vivi, non mi piacciono. E i motivi sono milioni.

- Vedo che è stato postato un video di Piroso. Piroso, al di là di quel programma probabilmente molto ben fatto, non mi piace. E il fatto che tifi Inter non c'entra nulla. Mi piaceva qualche anno fa, poi l'ho capito, e ora non mi piace più.

- Moncalvo non mi piace. Lo leggo sempre volentieri, spero sempre di carpire qua e là informazioni utili, apprezzo il fatto che si sia messo contro un certo tipo di potere, apprezzo il fatto che l'abbiano spedito fuori dalla Rai per via del tipo di argomenti che trattava nel suo programma (medaglia al valore), ma non mi piace. Non dico altro.

- Le cause in corso (tante, ce ne sono in piedi anche in altri paesi europei riguardanti le diverse società ricollegabili ai torinesi), e i fatti acclarati finora, ci dicono che Margherita non ha tutti i torti. E chi conosce un po' la storia dell'impero della Fiat, sa che ciò che dice non è campato in aria.

- La legge non è un'opinione. Ci sono delle regole da rispettare sulle eredità.

- Margherita, al contrario di ciò che dice la pochissima stampa a lei favorevole, dubito che abbia davvero a cuore il futuro dei figli. O meglio, dubito che le sue attuali richieste nascano da questo suo sentimento. Sembra più che altro un discorso economico e personale nei confronti di Gabetti e FGS... Poi magari sbaglio, ma non mi convince del tutto dal punto di vista umano. Potrei dire altro, ma mi fermo qua.

- Margherita e suo marito non penso proprio che abbiano le qualità e la competenza per guidare un gruppo finanziario e industriale come quello di Torino. Le cause riguardano i beni privati di GA, e non il gruppo, è vero, ma attraverso il controllo delle società telecomando che stanno più in alto si controllerebbero quelle più in basso, bene o male, e, al di là della legittimità o non legittimità delle richieste e delle sentenze che avremo, non è cosa loro guidare un gruppo così.

- Margherita ha 8 figli in totale, e l'eredità ad oggi ha tenuto interamente fuori quelli di secondo letto, che sono 5. I primi 3 bene o male qualcosa ci hanno guadagnato, invece. Non mi sembra una cosa equa, e non mi sembra neanche una cosa secondaria. Un domani i 5 figli esclusi potrebbero avanzare legalmente delle richieste... Scelte che possono potenzialmente spezzettare un impero per i torinesi sono da evitarsi, lo sappiamo, e ritengo questa necessità assolutamente comprensibile, ma forse sarebbe il caso di cercare qualche nuovo strumento giuridico per rendere tutto un po' più equo, anche per le future generazioni. Quale non so, ma loro hanno centinaia di persone competenti a disposizione per trovare delle soluzioni.

- Ho letto il libro molto interessante di Gamna, che a me è sembrato un po' terzo rispetto alle due contrapposizioni, ed è molto impostato contro Margherita.

Nessuno però ne esce bene da quel libro, nemmeno l'autore, che oltre al suo personale discorso evasione fiscale (che non è esattamente un colpo di gran classe), mette in piazza molte vicende, personali e non, della sua ex cliente e afferma anche di essersi incontrato privatamente con Gabetti per discutere delle richieste di Margherita, (Gabetti poi diventerà sostanzialmente controparte nelle cause successive della ex cliente di Gamna). Capisco la difficoltà di sentirsi tirato in ballo sui giornali, la rabbia, ecc, e capisco la voglia di raccontare la propria storia dal proprio punto di vista, però ci sarebbero codici deontologici e un po' di etica da rispettare...

Senza volergli attribuire colpe a tavolino, che non è compito mio, e sperando, anzi, che egli non ne abbia nessuna, spero che qualcuno (ordini avvocati, ecc) almeno faccia qualche verifica.... Vedremo cosa gli succederà in futuro.

Comunque sia, Gamna non mi piace.

Chiudo.

E' una guerra famigliare dove ci sono in ballo miliardi di euro, ne sentiremo ancora parlare.

Mi pare di poter dire però, che sottotraccia ci siano delle cose che noi non possiamo sapere. Ogni tanto guardando alcune cose e leggendo un po' su questi temi si sente un po' di puzza di bruciato. Ognuno si faccia pure la sua opinione, ma prima di parteggiare si guardino almeno i fatti e si cerchi di farlo con un certo distacco. E ricordiamoci sempre che le due parti in causa non guardano in faccia a nessuno. Non dico altro.

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Ci tengo a dire anche un'altra cosa, perché credo sia giusto, visto che ero presente. Al contrario dei vari ospiti, che ovviamente trattavano alcuni temi scottanti e mettevano sul tavolo un certo tipo di questioni, Luciano Moggi ha parlato molto bene dell'Avvocato.

Ma non lo dico solo io, per fortuna, al link le sue parole esatte, che confermo in toto:

MOGGI: “IO, LO STALLIERE BUONO DELL’AVVOCATO”

http://www.canalejuv...lavvocato-73297

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non c'è "modo e modo" di raccontare la verità, la realtà dei fatti.

si racconta e basta.

i fiocchetti ed i pacchetti sgargianti, invece, servono a confezionare i compromessi, le puttanate o le versioni rivedute e corrette delle verità inconfessabili....tipo farsopoli..........

si.........la conosce moncalvo

io non so tu

ma a me son più le cose i fatti gli avvenimenti che passano di sopra che non conosco che non mi immagino che ..............................

in tutti i campi

quindi non voto e non giudico

mi estraneo

tanto se entri in gioco sei solo una pedina manovrata una marionetta convita di muoversi da sola e non diretta con i fili

per me possono tutti andare afff.................

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Zuppa di Porro di NICOLA PORRO (il Giornale 23-02-2013)

L’Agnelli in nero e la sua Margherita

Oggi ci mettiamo nei pasticci. La zuppa si occupa dell’eredità dell’avvocato Agnelli. In questa storia c’è tutto. I conti segreti all’estero, gli odi tra madre e figlia e tra madre e figlio, il ruolo dei nipoti (John Elkann, oggi maggiore azionista della Fiat) e quello degli avvocati della real casa (Gabetti e Franzo Grande Stevens). Lo facciamo sentendo una parte, Emanuele Gamna, che per conto della figlia dell’Avvocato, trattò la spartizione del tesoretto: insomma è l’uomo che sa tutto. Andiamo al dunque. Secondo le carte, appena depositate, del pm milanese Fusco, Gamna, anche se solo in linea teorica, avrebbe complottato con la parte avversa (e cioè Marella vedova di Gianni Agnelli e mamma di Margherita) ai danni della sua assistita. Siccome da queste parti si tende a rifuggere l’ipocrisia, diciamo subito che piacerebbe anche a noi subire un complotto così favorevole. Che ha portato a una spartizione del tesoretto Agnelli tutto a favore della figlia (assistita nella fase della divisione ereditaria appunto da Gamna) e a disfavore della moglie. Con una fondamentale postilla che riguarda il controllo della Fiat: di fatto già consegnato in mani sicure al nipote dell’Avvocato, John, dato che l’acquisto della quota di minoranza in mano a Margherita per 109 milioni, poco sposta il quadro. Sì, è un casino. Ma seguiteci ancora per un po’. Pochi mesi dopo la morte del proprietario della Fiat si arriva a un accordo tombale tra madre e figlia Agnelli, uniche due eredi. A Margherita sono concessi 1,2 miliardi di euro (compreso l’acquisto delle sue quote di minoranza nella società semplice Dicembre, cuore del controllo del Lingotto) e alla madre 250 milioni. Come è del tutto evidente alla figlia sono dunque arrivati 500 milioni in più rispetto a quanto le sarebbe spettato in una successione ordinaria. Un bell'affare. Anche se fin dal 2003 Margherita supponeva che ci fosse stata una donazione monstre probabilmente di 600 milioni fatta dal padre in vita a terzi. E di cui non si è più trovata traccia.

Ciò però non porta la pace: la figlia dell'Avvocato, mesi dopo, sostiene che il tesoretto estero del padre era molto superiore e che dunque la sua quota di eredità, che sembrava molto generosa, era in realtà inferiore a quanto le sarebbe spettato.

«Per quanto riguarda le società offshore dell’Avvocato, più articoli affermano che sarei stato io ad averne riferito l’esistenza a Margherita, ma è vero il contrario» confessa alla Zuppa l’avvocato Gamna. Che continua: «Io non disponevo di alcun elemento al riguardo, dato che né Gabetti, né Grande, né John Elkann, accettarono mai di darmi lumi; fu invece il signor Maron che fornì a Margherita, già nella primavera 2003, tutte le indicazioni sulle strutture estere con esatta indicazione delle società e dei trust coinvolti, mentre Margherita già conosceva l’esistenza di Alkyone (Fondazione estera, nda ) da anni, dato che da quella società aveva ricevuto i primi 100 milioni neri già nel 1999. Quando io chiesi lumi a John Elkann nel dicembre del 2003, lui mi rispose che - dato che lui e sua nonna avevano accettato di attribuire a Margherita l’intero attivo contenuto nelle scatole estere di cui Margherita, grazie a Maron, era venuta a conoscenza - si rifiutava di fornirci alcuna indicazione ulteriore sia sulla genesi di quegli attivi sia sui contenuti di quelle società e sui loro trascorsi. Questo silenzio giustificò in cambio la dazione a Margherita di 1. 200 milioni e la rinuncia formale di Margherita a proporre ulteriori istanze». Avete capito cosa dice Gamna? In sintesi che gran parte dell’eredità Agnelli proveniva da fondi neri, che la figlia Margherita ne era perfettamente a conoscenza e che già aveva goduto di queste provviste prima della morte del padre.

Roba forte. Facendo i conti, ci dice Gamna, dei 1. 450 milioni di eredità, circa mille provenivano da fondi esteri. La tesi di Margherita è che ce ne fossero molti altri, forse altrettanti, non dichiarati. E a questo fine chiese a Gamna di farsene portavoce e testimone con una serie di dichiarazioni scritte. Gamna era ricattabile, poiché parte della sua parcella (15 milioni) fu pagata all’estero e dunque in nero (motivo per il quale è stato poi condannato per evasione fiscale). Nonostante ciò Gamna non poteva dire ciò che non sapeva e non lo fece. Anzi Gamna, allo scoppio dello scandalo, denunciò Margherita e il suo nuovo avvocato per estorsione: «Mi volevate far testimoniare su qualcosa che non è vero, usando l’arma della mia parcella in parte incassata all'estero». Da qui la denuncia per estorsione presentata da Gamna al Tribunale di Milano e poi, oggi, la decisione di Fusco di lasciar andare Margherita. Gamna spiega che «la Procura era interessata a scoprire ulteriori fondi all’estero degli Agnelli più che gli intenti estorsivi di Margherita. Forse per ottenere la collaborazione indispensabile di Margherita ha sacrificato le mie accuse sull’altare della collaborazione della figlia dell’Avvocato, anche se sono accuse assai ben documentate. Alla fine però è evidente che né Margherita né la Procura sono riusciti a trovare ulteriore nero rispetto a quello già accertato ed ecco che viene «supposto» questo doppio gioco che io avrei ordito e che avrebbe giustificato l’estorsione di Margherita nei miei confronti; solo che si tratta di una pura invenzione che serve a salvare Mar­gherita e butta un altro po’ di fango gratuito su di me».

Ma la brutta storia dell’eredità Agnelli non è certo finita qui. L'agenzia delle entrate ha preteso (solidarmente) 40 milioni di euro per chiudere le pendenza da madre e figlia. Ma a pagare è stata solo Marella, anche se per l’intera cifra. E presso la cancelleria del tribunale del canton Vaud (dove risiede Margherita) i legali di Marella hanno depositato un’ingiunzione di pagamento per il debito fiscale che Margherita si è finora ben guardata dal pagare.

IN FUGA DALLE TASSE Il tesorone off-shore

Un cd con i conti segreti

fa vacillare l’impero Agnelli

Befera ha multato la moglie dell’Avvocato per 90 milioni, ma ora è caccia

alle scatole cinesi che hanno oscurato i titolari della cassaforte di famiglia

di GIGI MONCALVO (Libero 23-02-2013)

Un punto sta emergendo dopo quel che ha scritto la Procura di Milano: Margherita Agnelli non ha tutti i torti quando sostiene che è stata nascosta all’estero una parte del patrimonio di suo padre. Ma questo apre altri interrogativi. Chi ha le chiavi di questa cassaforte segreta? John Elkann lo sa, ne è informato, ci crede?

L’Impero sembra vacillare. C’è qualche illusoria speranza che i lupi siano sazi? Dopo ciò che hanno scritto due PM milanesi, c’è anche un giudice a Torino (oltre al pm Giancarlo Avenati Bassi e a Roberto Pallini e la sua Corte che ha condannato due “intoccabili” come Gabetti e Grande Stevens)? Ora le “convinzioni” dei giudici del Tribunale Civile subalpino sia di primo grado (Brunella Rosso in Pizzetti) che di appello (Angelo Converso, Rita Garibaldi, Patrizia Dolcino), che non riconobbero le ragioni di Margherita Agnelli sulla richiesta di rendiconto del patrimonio del padre, stanno vacillando? Jaky Elkann sta cominciando a capire chi è il vero “padrone” della Fiat? Il dottor Befera e l’Agenzia delle Entrate, che fanno?

I magistrati Eugenio Fusco e Gaetano Ruta, hanno scritto che esistono «molteplici indizi che portano a ritenere come verosimile l’esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Giovanni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati compiutamente definiti». Notare l’aggettivo “immenso”. Fusco e Ruta parlano anche della «disponibilità della famiglia Agnelli di schermi attraverso cui detenere beni celandone provenienza e titolarità». Citano un conto segreto da un miliardo di euro dell’Avvocato in Svizzera, come rivelato da Paolo Revelli, ex responsabile della gestione grandi patrimoni di Morgan Stanley: “Ho sempre saputo che presso la filiale di Zurigo esisteva una provvista direttamente riferibile a Giovanni Agnelli per una cifra compresa tra gli 800 milioni e il miliardo, fiduciariamente intestata e detenuta attraverso molteplici conti da Siegfried Maron”. Ha aggiunto: “Adolf Brunder, funzionario della banca, nel 2004 era stato licenziato per aver inviato a Maron un fax con cui gli assicurava che avrebbe tenuta nascosta agli eredi Agnelli l’esistenza dei conti”.

I “protettori”

Siegfrid Maron è il capo del “family office” di Agnelli, il nucleo che gestiva il suo patrimonio personale. Insieme con una persona di stretta fiducia di Gabetti, Ursula Schulte. E col vero “cervello”: Hans Rudolph Steiger. Maron, subito dopo la morte dell’Avvocato, consegnò alla figlia del defunto – considerandola titolata a conoscere i documenti - un documento in cui si attestava l’esisteva di “Alkyone Foundation” a Vaduz, la principale cassaforte estera personale di Agnelli. Maron venne rampognato e gli fu imposto il silenzio. Senza quel foglio Margherita non avrebbe saputo nulla di “Alkyione” né scoperto che la fiduciaria aveva tra i “protettori” proprio Gabetti, Grande Stevens e Maron. I primi due hanno detto di “non saperne nulla”, nonostante la loro firma autografa. “Alkyone” faceva riferimento a “Prokurations Anstalt” e “First Advisory Group”, che conducono a Herbert Batliner, classe 1928, il “re” delle fiduciarie del Liechtenstein, “gentiluomo di Sua Santità” (la più alta onorificenza vaticano per i laici). Aveva finanziato il restauro dell’organo della Cappella Sistina (con tanto di cerimonia alla presenza di Giovanni Paolo II) e poi del Duomo di Ratisbona, davanti a Benedetto XVI. Il Santo Padre ricevette Batliner nonostante il “gentiluomo” fosse colpito da ordine di cattura della Procura di Bochum con l’accusa di aver favorito l’evasione fiscale di contribuenti tedeschi per 250 milioni di euro. Grazie alla “moral suasion” del Cardinal Bertone presso la Cancelliera tedesca, Batliner ottenne un “salvacondotto” di poche ore per recarsi a Ratisbona. Batliner, insieme all’avvocato ginevrino René Merckt, classe 1933, è una costante nei rapporti con Agnelli, Gabetti e Grande Stevens. Un impiegato del suo studio a Vaduz, dopo aver scaricato dai computer tutta la banca dati dei clienti gestiti da Batliner, ha fornito alle autorità tedesche, per quattro milioni di euro, le prove per scoprire ingenti evasioni fiscali. Quei quattro milioni ne hanno subito fruttato 900. I governi di altri paesi hanno sdegnosamente rifiutato di acquistare quel CD. Il che certo favorirebbe il compito di Befera.

Prima di Tangentopoli

In questo CD esistono – secondo Marc Hurner, l’esperto analista finanziario che per conto di Margherita Agnelli sta dando la caccia al tesoro dell’Avvocato – anche elementi clamorosi. Pochi mesi prima di Mani Pulite, Agnelli nascose la sua titolarità della “Dicembre”, la sua cassaforte personale in Italia che controlla con più del 30% l’Accomandita Giovanni Agnelli (la cassaforte degli altri rami famigliari). Forse temendo che magistrati troppo curiosi potessero risalire a lui, intestò la sua quota a due prestanome stranieri: Batliner e Merckt. In quel luglio 1991 furono create tre società-ombra (Merckt & Co. , Julian Stiftung, Lavinium), il capitale fu portato da 99 milioni a due miliardi, vennero firmati dei mandati fiduciari nei confronti dei prestanome. Dall’intreccio di scatole cinesi emergono quattro lettere di mandato (e una di nomina a protectors di Julian Stiftung) che portano le firme di Agnelli, Gabetti, Grande Stevens. Firmano cinque volte, e ora dicono di “non saperne nulla”. C’è un turbinio di clausole assurde sottoscritte da Agnelli (o imposte a lui?), anche a danno dei suoi beneficiari: la moglie Marella e i due figli. E’ all’esistenza, struttura e composizione di queste anstalt, stiftung e fondazioni che fa riferimento John Elkann quando asserisce testualmente, così come riferito ai magistrati milanesi dall’avv. Gamna, a proposito delle richieste di Margherita, “non vi daremo mai quelle società e i loro conti perché voi non dovete vedere le operazioni che vi sono passate”? La Merckt & Co, cioè la società prestanome della “Dicembre” viene estinta alla fine di Tangentopoli e sciolta a ottobre 1997.

Marella

Sarebbe bene che il dottor Befera leggesse questi capitoli del mio più recente libro (“Agnelli segreti”, Vallecchi editore) e in particolare si soffermasse su altre due fondazioni, “Gnu” e “Kalla”, che forse non ci sono più ma che nascono a Vaduz dopo che Gabetti ha ospitato a Torino a Villa Sassi per qualche giorno – con tour tra “Il Cambio”, le Cantine Ceretto, la Grapperia Levi e la “Contea di Neive” – Herbert Batliner e signora, con altri quattro sudditi del Principato. Befera in questi anni qualcosa ha fatto: una sanzione di 90 milioni di euro contro Marella Agnelli dato che la signora (anzi il suo commercialista) “dimenticò” di segnare nel Quadro W delle denunce dei redditi 2003 e 2004 del defunto marito, un lungo elenco di asset all’estero che rendevano moltissimo. Donna Marella sta pagando in dodici rate trimestrali. E, questa volta consigliata per iscritto dal commercialista Ferrero, si è messa in regola anche con l’intestazione dei suo amati cani huskies e dei domestici – trasferendoli all’ing. Elkann – per evitare che il fisco scopra che la sua residenza in Svizzera è inferiore ai prescritti sei mesi e un giorno. Ciò allo scopo anche di non pagare interessi sul mutuo bancario che la signora ha acceso in Svizzera per la sua villa.

Nel frattempo Gabetti e Grande Stevens si stanno leccando le ferite dopo la grave condanna, per aver consentito con l’equity swap ad alcuni membri della famiglia di portarsi a casa con 184 milioni il controllo di una società che vale 9 miliardi di euro. Grande parla di “onta”. Ma non farebbero bene i due, visto che proclamano la loro innocenza e rivendicano le loro “doti morali”, a rinunciare alla prescrizione per dimostrare la propria illibatezza manageriale? Come farà Grande a occuparsi della banca vaticana proprio in questo delicato periodo, se è sospeso dalla professione?

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Eredità Agnelli, occultati un miliardo e società

Richiesta di archiviazione per Margherita

I Pm Gaetano Ruta ed Eugenio Fusco hanno notificato la richiesta di archiviazione per Margherita Agnelli e per il legale Charles Poncet, indagati nell'ambito della vicenda relativa all'eredità di Gianni Agnelli. Trovate alcune società riconducibili all'Avvocato, ma non censite nell'ambito dell'eredità. A queste sarebbero intestati tre moli nel porto francese di Beaulieu, mentre un miliardo di euro sarebbe stato depositato sui conti presso la filiale di Zurigo di Morgan Stanley. Altri beni a Vaduz

di WALTER GALBIATI

MILANO - La procura di Milano ha chiesto l'archiviazione per Margherita Agnelli e per il suo legale Charles Poncet, indagati nell'ambito della vicenda relativa all'eredità di Gianni Agnelli. Margherita e Poncet erano accusati di tentata estorsione ai danni dell'avvocato Gamna che a sua volta era accusato di falso in scrittura privata. Quanto ai risvolti fiscali relativi al presunto Tesoro dell'Avvocato custodito all'estero in conti offshore, la magistratura italiana ha dovuto rilevare che le indagini sono state bloccate sia in Liechstein che in Svizzera dalla "mancata collaborazione delle autorità locali".

Eppure i pm ritengono "verosimile l'esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Giovanni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati compiutamente definiti. Per questo, "l'iniziativa giudiziaria - scrivono i magistrati - promossa da Margherita Agnelli non può essere liquidata come una pretesa avventata" e "non possono escludersi, in linea teorica, accordi tra le persone coinvolte per marginalizzare Margherita Agnelli sul piano economico".

Un primo indizio dell'esistenza del tesoro occulto di Agnelli era l'esistenza di un conto presso la Morgan Stanley di Zurigo dal quale sono stati pagati i 110 milioni di euro a Margherita, un conto non inserito nel quadro Rw della dichiarazione dei redditi di Giovanni Agnelli presentata negli anni d'imposta 2002 e 2003. Delle risorse offshore dell'avvocato, ha parlato

diffusamente Paolo Revelli, ex managing director di Morgan Stanley. "Questi ha affermato di aver sempre saputo che presso la filiale di Zurigo esisteva una provvista direttamente riferibile all'avvocato Giovanni Agnelli per una cifra compresa tra gli 800 milioni e il miliardo di euro, schermati attraverso Siegfrid Maron. Un funzionario della Morgan Stanley, Adolf Brunder sarebbe stato licenziato nel 2004 per aver inviato - secondo le dichiarazioni di Revelli - un fax a Maron con il quale gli assicurava che avrebbe tenuto nascosto agli eredi Agnelli la presenza dei conti presso la sede di Zurigo.

Altri indizi, invece, hanno portato gli inquirenti a Vaduz (Liechstein) dove avevano sede fondazioni, trust e Anstalt riconducibili a Giovanni Agnelli. In particolare la fondazione Alcyone aveva come "protectors" Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens e il solito Siegfrid Maron.

Dalle indagini è risultato perfino che in mano all'Avvocato vi erano tre moli (il numero 25, 26 e 27) presso il porto francese di Beaulieu, in uso all'Avvocato fin dagli Anni 70,e intestati a una finanziaria e a due società offshore, una schermatura di beni, secondo i pm, tale da celarne la proprietà e la provenienza. "Dalla documentazione - scrivono gli inquirenti - risultava che un molo fosse intestato alla Triaria Investments con sede in Jersey - società peraltro intestataria di uno dei conti correnti presso Morgan Stanley di Zurigo, riconducibile, secondo le dichiarazioni di Paolo Revelli, a Giovanni Agnelli - mentre gli altri due erano solo formalmente riconducibili alle società offshore Delphburn Limited, con sede nell'Isola di Man, e Celestina Company Limited, con sede nel Jersey. La riconducibilità diretta dei tre moli all'Avvocato veniva altresì confermata dai figli di Achille Boroli, persona che nel 2004, aveva rilevato i tre moli".

Secondo i magistrati, l'esistenza di queste società e la proprietà dei moli sarebbero sufficienti a provare che Agnelli aveva nelle sue disponibilità altri beni sfuggiti al conteggio dell'eredità. E a escludere quindi il reato di estorsione a carico della figlia Margherita. Il procedimento era nato dall'impugnazione dell'eredità, in quanto Margherita riteneva invalido l'accordo firmato nel 2004 che la portò a ricevere circa 110 milioni di euro in contanti e il trasferimento di immobili, arredi, opere d'arte e altro per un valore complessivo di 1,166 miliardi di euro. Margherita riteneva di essere stata vittima di un complotto tra i suoi legali, Franzo Grande Stevens, Gianluigi Gabetti e Sigrifid Maron che volevano escluderla dalle attività del gruppo, privilegiando il figlio John Elkann e nascondendole la presenza di un tesoro offshore, accumulato e nascosto negli anni dal padre.

(21 febbraio 2013)

http://www.repubblic...erita-53118414/

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Eredità Agnelli, chiesta l'archiviazione per Margherita.

Spunta un conto svizzero da un miliardo

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-21/eredita-agnelli-chiesta-archiviazione-191228.shtml?uuid=AbHAbwWH

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Eredità Agnelli, chiesta

l'archiviazione per Margherita

Pm: "Conto segreto svizzero

da un miliardo di euro"

"Non si è riusciti a ricostruire il patrimonio detenuto all'estero dall'Avvocato"

La procura di Milano ha chiesto l’archiviazione per Margherita Agnelli e per gli avvocati Charles Poncet ed Emanuele Gamna, indagati nell’ambito di un ‘capitolo’ sulla eredità di Gianni Agnelli. E spunta il 'miliardo svizzero'

Milano, 21 febbraio 2013 - La procura di Milano ha chiesto l’archiviazione per Margherita Agnelli e per gli avvocati Charles Poncet ed Emanuele Gamna, indagati nell’ambito di un ‘capitolo’ sulla eredità di Gianni Agnelli. Margherita Agnelli e Poncet erano accusati di tentata estorsione ai danni di Gamna accusato, a sua volta, di falso in scrittura privata. Stando ad una prima ricostruzione della procura, Margherita Agnelli e Poncet avrebbero fatto pressioni su Gamna minacciando una denuncia per evasione con lo scopo di fargli firmare un documento in cui riconosceva di aver lavorato non per lei, ma a favore di Gianluigi Gabetti e Franz Grande Stevens per pilotare i fondi neri dell’eredità Agnelli verso il figlio di Margherita, Jaky Elkann.

GLI ATTI: SPUNTA IL CONTO SVIZZERO - Spunta nel documento di richiesta di archiviazione, tra gli altri, per Margherita Agnelli, un conto ‘segreto’ da un miliardo di euro dell’avvocato Agnelli in Svizzera. A rivelarlo ai pm è Paolo Revelli, ex managing director di Morgan Stanley, sentito dagli inquirenti come testimone il 21 dicembre 2009. “Questi ha affermato - scrivono i pm - di avere sempre saputo che presso la filiale di Zurigo esisteva una provvista direttamente riferibile all’avvocato Giovanni Agnelli per una cifra compresa fra gli 800 e il miliardo di euro, fiduciariamente intestata e detenuta attraverso molteplici conti da Siegfried Maron (uno dei consulenti personali dell’avvocato per la gestione del patrimonio, ndr)”.

Dall’indagine sarebbe emersa anche la presenza di due società offshore e una finanziaria riconducibili all’avvocato Gianni Agnelli. Si tratterebbe di una sorta di ‘tesoretto’ gestito dall’Avvocato e custodito all’estero. A quanto si è appreso, nel documento con cui chiede l’archiviazione, la procura rileva che le indagini su questo presunto ‘tesoretto’ sono state bloccate sia in Svizzera sia in Liechtenstein dalla “mancata collaborazione delle autorita’ locali”.

“Vi sono molteplici indizi che portano a ritenere come verosimile l’esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Giovanni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati compiutamente definiti”. Lo scrivono i pm Eugenio Fusco e Gaetano Ruta nella richiesta di archiviazione. In altri passaggi del documento, i pubblici ministeri spiegano che non si è riusciti “a ricostruire il patrimonio detenuto all’estero dal senatore Giovanni Agnelli” anche perché non sono andate a buon fine richieste di assistenza alle autorità giudiziarie della Svizzera e del Liechtenstein. Per questa ragione, scrivono i pm, “l’iniziativa giudiziaria promossa da Margherita Agnelli non può essere liquidata come una pretesa avventata” e “non possono escludersi in linea teorica accordi tra le persone coinvolte per marginalizzare Margherita Agnelli sul piano economico”.

Fonte Agi

http://qn.quotidiano.net/cronaca/2013/02/21/849037-agnelli-miliardo-eredita-margherita-avvocato.shtml

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Eredita’ Agnelli: pm, conto segreto in Svizzera da un miliardo

Milano, 21 feb – Una “provvista direttamente riferibile all’avvocato Giovanni Agnelli per una cifra compresa tra gli 800 milioni e un miliardo” presso la sede di Zurigo di Morgan Stanley. L’esistenza del ‘conto segreto’, non denunciato nella dichiarazione dei redditi, e’ svelata daPaolo Revelli, ex managing director della banca Usa, secondo quanto emerge dalla richiesta di archiviazione di Margherita Agnelli e degli avvocati Charles Poncet ed Emanuele Gamma, coinvolti a diverso titolo nelle indagini sull’eredita’ di Gianni Agnelli. Le indagini sono state bloccate sia in Liechtenstein che in Svizzera dalla “mancata collaborazione delle autorita’ locali”, eppure i pm ritengono “verosimile l’esistenza di un patrimonio immenso in capo al defunto Giovanni Agnelli, le cui dimensioni e la cui dislocazione territoriale non sono mai stati completamente definiti”. Per questo “l’iniziativa giudiziaria promossa da Margherita Agnelli non puo’ essere liquidata come una pretesa avventata” e “non possono escludersi, in linea teorica, accordi tra le persone coinvolte per marginalizzare Margherita Agnelli sul piano economico”.

(RADIOCOR) 21-02-13 20:42:46 (0551) 5 NNNN

http://www.statoquotidiano.it/21/02/2013/eredita-agnelli-pm-conto-segreto-in-svizzera-da-un-miliardo/128926/

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Agnelli: pm Milano, da Svizzera e Liechtenstein mancata collaborazione

Milano, 21 feb. (Adnkronos) - La saga sull'eredita' Agnelli si chiude a Milano con una richiesta di archiviazione nei confronti di Margherita e altri cinque indagati, ma a 'ostacolare' il lavoro dei magistrati c'e' stata la mancata collaborazione da parte delle autorita' giudiziarie di Svizzera e Liechtenstein verso cui erano state avanzate delle rogatorie per ricostruire il patrimonio di Giovanni Agnelli all'estero.

Nel provvedimento firmato dai pm Gaetano Ruta ed Eugenio Fusco si sottolinea come non e' stato possibile acquisire tutte le informazioni bancarie "non avendo l'autorita' giudiziaria elvetica assicurato la necessaria collaborazione". Allo stesso modo non si e' potuto approfondire ad esempio un elemento indiziario che porta a Vaduz, dove avevano sede "fondazioni trust e Anstalt riconducibili a Giovanni Agnelli", per gli stessi motivi.

"I tentativi di far luce su queste entita' giuridiche -si legge- e sui soggetti che le avevano mosse sono stati vanificati, qui come in Svizzera, dalla mancata collaborazione della locale autorita' giudiziaria".

http://www.liberoquotidiano.it/news/1189296/Agnelli-pm-Milano-da-Svizzera-e-Liechtenstein-mancata-collaborazione.html

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CRONACA / CATANZARO

2013-02-15 20:51

Bancarotta fraudolenta, 4 anni di reclusione per Direttore generale Amc

Luigi Siciliani è stato condannato dal Tribunale di Crotone.

Avrebbe provocato in crack finanziario di 40 milioni di euro mediante il gruppo "La Giara"

Luigi Siciliani, Direttore generale dell'Amc è stato condannato a quattro anni di reclusione e all' l'interdizione dai pubblici uffici per cinque anni, con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Ad emettere la sentenza il Tribunale di Crotone. Siciliani svolgeva la professione di imprenditore a Cirò. L'azienda presso la quale svolgeva il ruolo di amministratore delegato è il gruppo "La Giara", attraverso cui avrebbe provocato un crack finanziario di 40 milioni di euro. Nello specifico Siciliani si occupava di commercializzare i prodotti tipici calabresi a livello nazionale ed internazionale. Il gruppo "La Giara" è guidato da Samaritana Rattazzi, figlia di Susanna Agnelli. L'accusa di bancarotta fraudolenta è stata rivolta anche ad una ex dipendente del Gruppo: Margherita De Novara. La 53enne è stata condannata a due anni di reclusione con la sospensione condizionale.

http://www.catanzarolive.it/index.php?hdPagina=news&hdParametri=2729

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Ior, l'uomo che venne da Torino

di Denise Pardo

Nella storia più appassionante del secolo - dimissioni papali, terremoto nella corte vaticana, oscurante, vivaddio, la campagna elettorale - per non parlare del paranormale - fulmini a San Pietro, meteoriti in Russia - ci sono altri uomini e dettagli, antropologici o divini, da segnalare.

OPERE. Prima di tutto, nel supremo Consiglio di sovrintendenza dello Ior, acronimo dell'Istituto per le Opere di Religione, banca assai scanzonata nonostante il nome poiché coinvolta nei peggiori scandali della nostra vita, c'è un italiano, Antonio Maria Marocco, persino confermato. Che Bruxelles registri: a noi italiani ci vogliono ancora nei piani alti. E quanto alti, e mica perché la sede dello Ior è nel Torrione Niccolò V!

CAVALIERI BANCARI. A parte un banchiere dal nome di prosciutto, Manuel Soto Serrano, pro console del Banco Santander, nel cuore l'Opus Dei, il Consiglio Ior è affollato di cavalieri stranieri. Come si sa, c'è il neo-presidente dell'Istituto Ernst Von Freyberg, barone tedesco e Cavaliere di Malta. C'è l'americano Carl A. Anderson, Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo. Ma anche Marocco tra tanti titoli è un cavaliere visto che presiede i Cavalieri di Gran croce al merito, nomina del Quirinale, vecchio palazzo dei papi, tra l'altro. Che sia un segno provvidenziale per far capire al Cavaliere che non è più l'unico del ramo?

GRAN TORINO. Detto questo, l'avvocato Marocco, a Torino è il Notaio con la enne maiuscola per averlo fatto per più di 45 anni e per 64 mila e 361 atti, le operazioni più importanti della città di cui alcune rilevanti sul piano nazionale. Infatti nel Consiglio non conta quanto il due di picche, come si potrebbe pensare viste le altre potenze rappresentate, Germania e America, ma invece molto di più. Per il sommo gaudio nei suoi confronti del segretario di Stato Tarcisio Bertone - il cardinale suo coetaneo, entrambi del '34, piemontese come lui, si racconta che si conoscano dai tempi della scuola - che l'avrebbe sognato presidente dello Ior. Ma anche per la benevolenza di Giuseppe Versaldi piemontese e cardinale solo dal 18 febbraio, importante figura di prefetto degli Affari economici della Santa Sede e neo-commissario dell'Idi.

VOTA ANTONIO. Defilatissimo, pronto al calvario piuttosto che al coming out, Marocco sposato a Gabriella Cerruti (rotative) poetessa e sorella di Giancarlo, presidente del Gruppo Sole 24Ore, è il croce-via di tanti italici poteri forti. Nel cda, prima di Ifil poi di Exor, società della famiglia Agnelli fino a due anni fa, Marocco è consigliere dell'editoriale La Stampa e di UniCredit. Che ha lasciato a novembre da neo presidente della Fondazione Cassa di risparmio di Torino (secondo alcuni sostenuto, ma per allontanarlo, dal piemontese Fabrizio Palenzona, devoto a Bertone e vice presidente Unicredit indicato proprio da Crt; secondo altri rabbuiato dalla nomina del notaio) e di lì a poco eletto presidente delle Associazioni delle Fondazioni di origine bancaria del Piemonte. Per acclamazione però, altro che conclave.

MOGLI PROFETICHE. Senza dimenticare che l'ultimo libro della moglie del notaio secolarizzato e nell'ombra, uno e altro che trino, allo Ior incarna pure l'Arma da presidente d'onore dell'Associazione nazionale Carabinieri di Torino, è "La devozione e lo smarrimento", più profetico dei Maya o di Nostradamus o con gli agganci giusti in Vaticano.

http://espresso.repu...-torino/2200979

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Briamonte lascia Franzo?

Dicono che… la difesa del suo antico mentore nel processo Ifil-Exor sia stato l’ultimo atto del sodalizio professionale tra Michele Briamonte e Franzo Grande Stevens. L’avvocato, dopo alcune divergenze con la famiglia Agnelli-Elkann e i noti dissapori in Juventus, si appresterebbe a lasciare lo storico studio di via Del Carmine. E, si dice, traballi pure la sua poltrona nel cda del Monte dei Paschi di Siena. Non si parla d’altro nel milieu della città.

http://www.lospiffer...ranzo-9211.html

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FIAT MISTERY - CHI SARÀ MAI IL PENSIONATO DISABILE CHE HA ACQUISTATO TANTE AZIONI DELLA FIAT DA ALLARMARE GRANDE STEVENS E GABETTI E A COSTRINGERLI ALL'EQUITY SWAP BECCANDOSI UNA CONDANNA PER AGGIOTAGGIO INFORMATIVO? - NON SARÀ MICA UN TOP MANAGER LIGURE FRETTOLOSAMENTE LIQUIDATO SULLA PORTA DI UNA CAMERA ARDENTE?...

da "Lo Spiffero.com"

Chi è il misterioso pensionato di Genova che otto anni fa stava rastrellando azioni Fiat, in quantità così massicce da mettere a repentaglio la quota di controllo della famiglia Agnelli-Elkann? Qual è l'identità di questo vecchietto, per giunta disabile, che con i suoi movimenti in Borsa ha talmente allarmato i vertici del Lingotto da indurli a una mossa ardita - l'equity swap - alla fine sanzionata dalla magistratura?

Se lo chiede L'Eco del Chisone nel numero odierno riportando l'intervista che Franzo Grande Stevens, condannato dalla Corte d'Appello, assieme a Gianluigi Gabetti, per quella vicenda a un anno e quattro mesi per aggiotaggio informativo. Nel mese di settembre, ricorda il popolare settimanale pinerolese, Grande Stevens dichiarò al direttore Pietro Trossero che l'operazione finanziaria «ha consentito di conservare il controllo della Fiat.

C'era già un acquirente che aveva rastrellato delle azioni e che poi risultò essere un pensionato disabile di Genova». Non si fece certo cogliere alla sprovvista, anche perché aveva subodorato l'inghippo e persino individuato il possibile mandante: «Io immaginavo chi potesse esserci dietro: qualcuno forse che voleva vendicarsi...».

Ora che, come si dice, la giustizia ha fatto il suo corso, sarebbe interessante conoscere il nome dell'arzillo speculatore e, magari, pure del vendicatore mascherato. Chissà se i giudici gliel'hanno mai domandato? Noi un'ideuzza ce la siamo fatta e tutte le tracce portano a un top manager ligure frettolosamente liquidato sulla porta di una camera ardente...

[01-03-2013]

http://www.dagospia....della-51763.htm

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21394 messaggi

FIAT MISTERY - CHI SARÀ MAI IL PENSIONATO DISABILE CHE HA ACQUISTATO TANTE AZIONI DELLA FIAT DA ALLARMARE GRANDE STEVENS E GABETTI E A COSTRINGERLI ALL'EQUITY SWAP BECCANDOSI UNA CONDANNA PER AGGIOTAGGIO INFORMATIVO? - NON SARÀ MICA UN TOP MANAGER LIGURE FRETTOLOSAMENTE LIQUIDATO SULLA PORTA DI UNA CAMERA ARDENTE?...

da "Lo Spiffero.com"

Chi è il misterioso pensionato di Genova che otto anni fa stava rastrellando azioni Fiat, in quantità così massicce da mettere a repentaglio la quota di controllo della famiglia Agnelli-Elkann? Qual è l'identità di questo vecchietto, per giunta disabile, che con i suoi movimenti in Borsa ha talmente allarmato i vertici del Lingotto da indurli a una mossa ardita - l'equity swap - alla fine sanzionata dalla magistratura?

Se lo chiede L'Eco del Chisone nel numero odierno riportando l'intervista che Franzo Grande Stevens, condannato dalla Corte d'Appello, assieme a Gianluigi Gabetti, per quella vicenda a un anno e quattro mesi per aggiotaggio informativo. Nel mese di settembre, ricorda il popolare settimanale pinerolese, Grande Stevens dichiarò al direttore Pietro Trossero che l'operazione finanziaria «ha consentito di conservare il controllo della Fiat.

C'era già un acquirente che aveva rastrellato delle azioni e che poi risultò essere un pensionato disabile di Genova». Non si fece certo cogliere alla sprovvista, anche perché aveva subodorato l'inghippo e persino individuato il possibile mandante: «Io immaginavo chi potesse esserci dietro: qualcuno forse che voleva vendicarsi...».

Ora che, come si dice, la giustizia ha fatto il suo corso, sarebbe interessante conoscere il nome dell'arzillo speculatore e, magari, pure del vendicatore mascherato. Chissà se i giudici gliel'hanno mai domandato? Noi un'ideuzza ce la siamo fatta e tutte le tracce portano a un top manager ligure frettolosamente liquidato sulla porta di una camera ardente...

[01-03-2013]

http://www.dagospia....della-51763.htm

e ci mancava pure lui

a rovinare l'italia

stavamo fresc...hi

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