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CRAZEOLOGY

Topic "C O M P L O T T O D I F A M I G L I A"

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Joined: 14-Jun-2008
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Dal lavoro dei consulenti Mediobanca e Deloitte emerge la possibilità

di un intervento meno drastico del previsto. In stand by l'aumento

Rcs, non supererà i 300 mln

la svalutazione della Spagna

di ANDREA MONTANARI (MILANO FINANZA 08-02-2012)

Il dossier Unidad Editorial si sta rivelando meno preoccupante del previsto

per Rcs Mediagroup. La controllata spagnola rappresenta sempre un problema per

il gruppo editoriale di via Rizzoli, ma in misura nettamente inferiore

rispetto alle attese.

Per questo, con ogni probabilità, l'azienda presieduta da Piergaetano

Marchetti e guidata dall'amministratore delegato Antonello Perricone procederà

a una svalutazione dell'asset estero per un valore molto più contenuto di quei

5-600 milioni che il mercato finora paventava. L'operazione andrà fatta per

adeguarsi ai principi contabili internazionali, che incideranno sul bilancio

2011 del gruppo ma che avrà ripercussioni meno drastiche di quel che ci si

attendeva. Perché se davvero si andrà nella direzione di un write-off

contenuto (si parla di 300 milioni al massimo) con ogni probabilità i soci di

Rcs non saranno obbligati a lanciare un aumento di capitale visto che la

capogruppo dispone di riserve superiori a 400 milioni.

È questa, secondo quanto appreso da più fonti di mercato da MF-Milano Finanza,

la principale novità emersa ieri dal comitato esecutivo della casa editrice,

riunitosi in vista del consiglio d'amministrazione che si terrà lunedì

prossimo e nel quale saranno valutati e approvati i risultati preliminari

consolidati del 2011. «I consulenti di Mediobanca e Deloitte hanno completato

il lavoro, molto serio e accurato, sull'impairment test di Unidad Editorial»,

dice a MF-Milano Finanza una fonte vicina al dossier. «Da questi

approfondimenti è emerso che la svalutazione, che comunque si dovrà fare, non

sarà così traumatica per i conti dell'azienda». Una boccata d'ossigeno per i

vertici di Rcs e per gli azionisti che da mesi si interrogano sulla reale

portata della ricapitalizzazione da lanciare in primavera in concomitanza con

il rinnovo del consiglio d'amministrazione e con ogni probabilità del top

management.

Il tema della Spagna è stato l'unico tema extra-bilancio affrontato ieri dal

comitato esecutivo del gruppo di via Rizzoli. Perché ogni decisione sulla

vendita della controllata francese Flammarion (libri), per la quale si sono

fatte avanti le transalpine Gallimard ed Editis, è stata rinviata al mese di

marzo, una volta definito il percorso di riallineamento dei valori

patrimoniali di Unidad Editorial. La cessione di Flammarion, non condivisa da

buona parte dei soci del patto di sindacato, serviva e potrà servire a

bilanciare la svalutazione della società spagnola. Resta poi ancora tutto da

definire sul fronte immobiliare: il comitato esecutivo non ha discusso della

cessione o affitto dello stabile di via San Marco, né tantomeno di quello in

via Solferino, la storica sede del Corriere della Sera.

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Ieri scambiati più di 90 milioni di titoli. Non era mai successo in dieci anni di quotazione

Una Juve da record a Piazza Affari

In una sola seduta passato di mano oltre il 9% del capitale della

squadra, saldamente controllata dalla Exor degli Agnelli Titolo

sull'ottovolante. Riprende il pressing della Consob

di ANDREA MONTANARI (MILANO FINANZA 08-02-2012)

Non era mai accaduto, nella poco più che decennale storia borsistica,

che le azioni della Juventus fossero tra le più scambiate a Piazza

Affari. Ieri il titolo della squadra di calcio torinese, quotato a

Milano dal 20 dicembre 2001, ha vissuto una giornata da record, almeno

per quel che riguarda le contrattazioni: sono passati di mano qualcosa

come 90,88 milioni di titoli, più del 9% del capitale.

Un'attenzione di fondi, investitori e piccoli risparmiatori, che non

è sfuggita all'attenzione della Consob, tornata a monitorare con

attenzione l'andamento del titolo Juventus dopo l'aumento di capitale

lanciato a metà dello scorso dicembre e chiuso positivamente (con 120

milioni di raccolta) alla fine di gennaio.

Un'operazione necessaria a ripianare le ingenti perdite accumulate

dalla squadra bianconera (95,4 milioni alla fine dell'esercizio

2011-2012) e per garantire la liquidità necessaria a sostenere i piani

di crescita della società dopo la realizzazione del nuovo stadio. A

destare nuovamente l'interesse degli uomini della commissione

presieduta da Giuseppe Vegas è stato anche l'anomalo andamento del

titolo, che ieri mattina ha aperto in rialzo del 6,55%, è arrivato a

toccare alle 9,28 un picco dell'11% a 0,26 euro, per poi passare in

territorio negativo alle 10.17 (-2,53%), precipitare (-9,12%) alle 11,03,

ritracciare a fine seduta (0,99% alle 17,08) e, infine, chiudere con

il segno meno (-4,07%). Un vero ottovolante quello su cui è salito il

titolo del club calcistico, sempre più al centro delle speculazioni.

Nonostante le ripetute smentite di delisting da parte della

controllante Exor e l'assenza, al momento, di nuovi azionisti.

Modificato da Ghost Dog

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COSA C'E DIETRO A QUEL BALZO DELLE AZIONI?

di MASSIMO PAVAN (Tutto.Juve.com 08-02-2012)

art.scoperto grazie a Ypsilon

Non l'hanno fatto notare in molti, ma in questi giorni le azioni della

Juventus hanno subito un vertiginoso rialzo. In due giorni sono cresciute da

una media di 0,149 delle settimane scorse a 0,2335 (chiusura di due giorni fa)

per un rialzo del 56% circa. Una crescita importante che ieri ha visto la

perdita (classica mini vendita) solo dell'1, 5%. Difficile capire le

motivazioni che stanno dietro a questa crescita anche se negli ambienti

finanziari circolano alcune voci, che riportiamo. La prima sarebbe quella che

la Juventus è prossima ad annunciare due grandi sponsor in vista della

prossima stagione. Probabilmente, quindi, siamo vicini a scoprire il nome

della società che accompagnerà lo Juventus Stadium. Un accordo di 3-4 anni a

circa 10 milioni di euro a stagione sarebbe un gran colpo. La seconda ipotesi

è quella del main sponsor che l'anno prossimo potrebbe essere nuovo e portare

un importo ben maggiore nelle casse della Juventus, soprattutto in vista della

Champions che toccando ferro la Juventus dovrebbe giocare. L'ultima voce, che

riportiamo, ma che attualmente non ha avuto riscontri effettivi, riguarda

l'interesse ad entrare in parte del capitale della Juventus di un nuovo

partner, proveniente dagli Emirati. Ripetiamo, questa voce che circola non ha

avuto al momento alcun riscontro, ma per correttezza la riportiamo.

In ogni caso, l'idea è che qualcosa stia per succedere, o semplicemente

potrebbe essere l'effetto Conte che oltre all'entusiasmo ha fatto schizzare

anche le azioni bianconere.

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Comunicato sindacale (CorSera 10-02-2012)

Il Cdr del Corriere della Sera è solidale con i colleghi della Ġazzetta dello

Sport e recepisce le loro preoccupazioni che qui di seguito riportiamo:

«Ġazzetta dello Sport, piacere quotidiano. Vorremmo tutti che lo rimanesse.

Chi ci lavora, chi la trova in edicola, chi la vive attraverso le nuove

tecnologie. Per questo è necessario che un giornale che vanta il maggior

numero di lettori in Italia e rappresenta il più grande e rispettato

quotidiano sportivo in Europa non perda il suo valore.

L'uscita dallo stato di crisi, nel novembre scorso, non ha prodotto gli

investimenti sperati. Nuove iniziative sono state congelate. La redazione ha

continuato a lavorare con impegno ed entusiasmo, com'è giusto che sia. Ma due

settimane fa l'azienda ha accennato a nuovi piani, che andrebbero in direzione

opposta a quelli adottati nell'ultimo decennio, e che indebolirebbero il

valore del settore quotidiani. Per questo i giornalisti della Ġazzetta, del

Corriere della Sera e i poligrafici hanno dichiarato uno stato di agitazione

comune. Che, nel caso della nostra redazione, ha prodotto prese di posizione e

cambiamenti riguardo le pagine legate a iniziative di marketing e attuato e

messo in cantiere altre forme di protesta, anche dure.

L'ultimo bilancio depositato da Rcs Mediagroup, che riguarda il 2010,

evidenzia come — grazie a robusti sacrifici, compreso lo stato di crisi che ha

ridotto il numero di giornalisti e poligrafici — siano arrivati risparmi

notevoli: 247 milioni, 47 in più di quelli previsti. L'ultima trimestrale, del

settembre 2011, racconta di un comparto quotidiani che mostra ricavi netti

consolidati ancora positivi. E a fine 2010 le riserve di bilancio, legate a

utili precedenti, superavano i 200 milioni di euro.

Sui conti incide però l'investimento in Spagna, con risultati inferiori alle

attese. L'impairment test sulla valutazione dell'acquisizione di Recoletos è

ancora un'incognita, come le sue conseguenze sul bilancio consolidato di

gruppo. Le difficoltà del settore le conosciamo. La crisi, tuttavia, non sarà

eterna. È un periodo di grandi trasformazioni, legato anche allo sviluppo

tecnologico di internet, tablet, smartphone. Una grande opportunità per chi

come il gruppo Rcs è in grado di produrre contenuti e informazioni di qualità,

un bene prezioso (anche socialmente) e la cui domanda non potrà mai ridursi.

Le conseguenze e le trasformazioni tecnologiche sono state sempre accettate

dai lavoratori, che non hanno mai fatto venir meno il loro senso di

responsabilità, anche durante periodi economici e storici più difficili di

questo. Sarebbe invece inaccettabile rinnegare accordi pluriennali condivisi,

fatti di sinergie e riorganizzazione del lavoro tra giornalisti e poligrafici.

E soprattutto ridurre la capacità operativa (e in tal modo il valore) di una

testata che produce profitti da sempre e che, quando il sistema economico

riprenderà slancio, a causa di tali cambiamenti non sarà più la stessa.

La Ġazzetta dello Sport è una realtà industriale importante, sana e unica nel

panorama editoriale italiano. Una realtà da proteggere. Come immagine, come

peso e per quanto potrà dare di ancor più significativo nel prossimo futuro.

Invitiamo dunque gli azionisti e il management di Rcs Mediagroup a una

riflessione e alla massima collaborazione comune perché un patrimonio

invidiato da tutti non venga disperso o impoverito. Pronti, giornalisti e

poligrafici, a spiegare le nostre ragioni al cda del gruppo (Il Cdr della

Ġazzetta dello Sport)».

Il Cdr del Corriere della Sera

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Joined: 15-Apr-2007
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...

di ANDREA MONTANARI (MILANO FINANZA 07-02-2012)

...

Vi è poi chi evidenzia come il mercato potrebbe essere semplicemente tornato a

prestare attenzione a una società come la Juventus che oggi in borsa

capitalizza solo 235 milioni (valeva 594 milioni a metà dicembre e 964 milioni

a fine 2010);

...

:| ma che si è bevuto questo? a fine 2010 valeva si e no 200 milioni

Modificato da Tokio96

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e anche a metà dicembre, tra l'altro

Modificato da Tokio96

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RCS I guai spagnoli e

le tensioni al Corriere

di GIOVANNA LANTINI (il Fatto Quotidiano 11-02-2012)

Per ora niente sciopero in casa Rcs, anche se ieri è arrivato l’ennesimo

comunicato sindacale. C’è ancora una speranza che le diplomazie al lavoro

evitino le scelte estreme. I lavori fervono all’editrice di Corriere e

Ġazzetta, dove gli sherpa, il direttore Ferruccio de Bortoli in testa, sono

intenti a calmare gli animi e i consulenti più fidati a escogitare uno

stratagemma che risolva la questione spagnola senza turbare gli equilibri tra

soci o scatenare lotte sindacali. Impresa non facile: la svalutazione della

controllata iberica potrebbe pesare per quasi 300 milioni. Il bilancio 2010 di

Unidad Editorial depositato a settembre ha evidenziato un rosso di 19,45

milioni che ha portato il saldo delle perdite del triennio 2008-2010 a 83,55

milioni. Cifre allarmanti. Nel rendiconto al 30 settembre 2011 chiuso con un

rosso di 25,5 milioni, poi, l’editrice italiana a proposito della Spagna

parlava di margini crollati dell’ 89 %. Ed è proprio in queste cifre che

stanno i mali dell’editrice del Corsera i cui vertici si stanno arrovellando

da mesi su una soluzione soppesando ora la ricapitalizzazione, ora l’utilizzo

delle riserve, ora la vendita di Flammarion ora dell’immobile milanese, con la

diaspora di Corriere e Ġazzetta.

I sindacati che hanno invitato i soci ad aprire i portafogli rinfacciando al

cda una gestione dissennata. Ma il problema non sono solo i soldi da sborsare

per la fallimentare operazione Recoletos da 1,1 miliardi, ma anche il

mantenimento degli equilibri interni. Gli amici attorno al tavolo del patto di

sindacato che governa il Corriere, infatti, non sono più quelli di una volta.

Al posto dei Ligresti ci saranno le coop di Unipol e sulla poltrona di Edison

arriverà un rappresentante della francese Edf, magari vicino a Nicolas Sarkozy

e al suo amico Vincent Bolloré. Cambi di proprietà che mal si conciliano con

un’eventuale ricapitalizzazione di Rcs che costringerebbe i pattisti ad aprire

di più il portafogli per ridurre al minimo i cambiamenti. Meglio, forse,

tentare di mantenere lo status quo. Con l’unica strada che sembra possibile di

una ricapitalizzazione a valle e cioè della sola controllata spagnola. Magari

anche rinnovando il cda in scadenza con la guida di Antonello Perricone e la

presidenza di Piergaetano Marchetti. Resta il problema di dove trovare i

soldi.

___

Zuppa di Porro di NICOLA PORRO (Il Giornale 11-02-2012)

Quanti clienti nella gioielleria di via Solferino

A un certo punto il presidente Enrico Salza ha ordinato un piatto caldo. Il

comitato esecutivo della Rizzoli, che si è tenuto nei giorni scorsi, in fondo

non è stato così lungo. Ma i temi erano succosi. E la zuppa che ne vuole dare

conto, non può che apprezzare il gesto del vecchio signore di animo liberale,

che può rinunciare a tutto ma non al suo pranzetto. Per il resto i temi sul

tappe­to erano davvero importanti. La questione è semplice. L’investimento in

Spagna è stato pagato caro e oggi non vale ciò che è costato. È necessario

svalutarlo. Ma di quanto? Senza entrare in pericolosi tecnicismi, la faccenda

non è di poco conto. Superata una certa soglia di deprezzamento sarebbe

toccato ai soci della Rcs ricapitalizzare la baracca. Un bel problema. Per

farla breve, le opzioni sul terreno erano due. Mettere quattrini freschi in

cassa o vendere qualche gioiello di famiglia. Vi diciamo subito che è stata

scelta la seconda strada. E Salza, confortato dall’anima bazoliana della Rcs,

tra una portata e l’altra ha pungolato (in teleconferenza) i soci. Diego Della

Valle, che inizialmente non era del tutto ostile all’aumento di capitale, ha

subito fatto capire che sarebbe stato meglio percorrere la strada del

dimagrimento. E con lui altri azionisti, tra cui i Pesenti. Più scettico

Rotelli. Il big della sanità lombarda, che non ha fatto un sospiro nel tirar

fuori più di 400 milioni per rilevare il San Raffaele, è stato, quasi

solitario, fino all’ultimo favorevole a un aumento di capitale. Ha

evidentemente ancora quattrini da investire. Deve vedere di buon occhio la

chance, essendo fuori dal patto, di aumentare la sua quota. E ha forse voglia

di mediare i prezzi del suo investimento.

Sull’altro piatto della bilancia due bazzecole: la vendita delle

partecipazioni in Francia e del palazzone di Via Solferino. Una più calda

dell’altra. Sulla Francia ci sono già due proposte sul tavolo, molto

appetitose. Ma che il management della Rizzoli (che pure non è certo ostile al

gruppo di Della Valle & Co) non sta cucinandosi a puntino. È un treno che

passa poche volte nella vita. Chi compra la Francia da Rizzoli diventa leader

nell’editoria parigina: insomma, tocca approfittarne fino a che le cose

rimangono così. Si rischia pure di fare un buon affare. Per chi vende, si

intende.

Sulla sede storica di via Solferino arrivano però i dolori. I giornalisti

vedono il trasloco a Crescenzago come il fumo negli occhi. E Ferruccio de

Bortoli è il loro paladino e si è apertamente e formalmente dichiarato

contrario. Nei tam tam del Corrierone si dice anche che la sede, per vecchia

volontà della Crespi, sia destinata a solo utilizzo, per così dire,

editoriale. Quanto sia vera o vincolante questa previsione è tutta da vedere,

ma oggi fa gioco. L’idea, infatti, è quella di valorizzare una parte del

palazzone, chiedendone il cambiamento della destinazione d’uso.

Due operazioni che potrebbero, secondo alcuni numeri circolati in comitato,

coprire i 400 milioni necessari per non andare a chiedere nuove risorse ai

soci e svalutare la Spagna. Ne vedremo ancora delle belle.

Ps. Tutti si interrogano su quale tra le fondazioni minori dovrà mollare il

cda di Unicredit. Alcuni scommettono che Caltagirone, neo socio della banca,

avrà invece un posticino.

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Editoria Crescono del 16% le attività digitali. Il margine operativo migliora a 188,6 milioni

Ricavi Rcs a 2 miliardi

Nuovi interventi sui costi

Sulle attività spagnole svalutazione di 300 milioni

di SERGIO BOCCONI (CorSera 14-02-2012)

MILANO — La svalutazione delle attività spagnole avrà un impatto sul

consolidato pari a circa 300 milioni. Lo ha stabilito ieri in via preliminare

il consiglio di Rcs Mediagroup, editore del Corriere della Sera, in una

riunione durata circa tre ore.

L'impairment test sul gruppo Unidad editorial, preliminare e da finalizzare

quindi in sede di bilancio, era atteso in relazione soprattutto al possibile

impatto su conti e patrimonio. La nota diffusa al termine del consiglio

sottolinea in modo implicito che l'intervento non rende necessario il ricorso

a un aumento di capitale: «La svalutazione, quanto al bilancio della

capogruppo, comporterà effetti che si rifletteranno in parte nell'esercizio

2011 (a conto economico) e in maggioranza su quello 2012 (a patrimonio netto).

Il patrimonio netto post fusione di Rcs quotidiani e di altre controllate in

Rcs MediaGroup (a decorrere dall'inizio di quest'anno) recepirà anche il

risultato del 2011 e i disavanzi derivanti dalla fusione stessa. Si prevede

allo stato che tale patrimonio si attesti a circa 700 milioni, a fronte di un

capitale sociale di 762 milioni», ai quali vanno aggiunti riserve per 400.

Il consiglio presieduto da Piergaetano Marchetti, ha quindi esaminato gli

altri dati preliminari. I ricavi del gruppo guidato da Antonello Perricone si

attestano a quota 2,07 miliardi, con una flessione del 2,7%. Manca in questa

fase di esame preliminare lo split dettagliato dei conti in relazione a

settore e area geografica, però va ricordato che secondo i recenti dati

Audipress nell'ultimo trimestre 2011 il Corriere della Sera ha aumentato

ancora i lettori del 4,8% e la giornalaccio rosa dello Sport dell'8%. La nota

sottolinea poi la crescita delle attività digitali (che non comprendono Dada e

tv): il fatturato ha superato i 121 milioni con un incremento del 16%. Il calo

dei ricavi, si legge sempre nel comunicato diffuso dopo il consiglio, è perciò

«attribuibile principalmente alla contrazione registrata da Unidad editorial,

cui si aggiungono in misura minore la flessione dei ricavi pubblicitari netti».

Migliora poi di 2,6 milioni portandosi a quota 188,6 il margine operativo pre

oneri e proventi non ricorrenti, mentre quello post (cioè dopo i 21 milioni di

oneri netti principalmente attribuibili a interventi «nell'ambito delle

risorse umane» passa da 186 a 167,5 milioni. Infine, diminuisce di 33 milioni

l'indebitamento, che si attesta a 938.

Il consiglio ha poi preso in esame le previsioni sul piano triennale

2011-2013. La crisi economica non consentirà di raggiungere gli obiettivi per

quanto riguarda i ricavi, «alla luce anche dei risultati attesi per Unidad

editorial nei prossimi due anni, significativamente inferiori rispetto a

quanto indicato» nel business plan. Perciò il gruppo Rcs, anche per contenere

effetti negativi sul margine operativo, svilupperà ulteriori azioni rivolte

all'aumento di efficienza, «salvaguardando sempre la qualità e l'autorevolezza

dei brand». Infine, il gruppo intende continuare a ridurre l'indebitamento

anche al netto di «eventuali operazioni straordinarie». Sul mercato si parla

da tempo di manifestazioni di interesse per la francese Flammarion. Ma dal

consiglio di ieri non risultano novità sulle possibili cessioni

___

Rcs ammette il buco spagnolo ma rinvia la resa dei conti

L’EDITRICE DEL “CORRIERE” SVALUTA DI 300 MILIONI LE CONTROLLATE IBERICHE. PER ORA NON SERVE L’AUMENTO DI CAPITALE

di GIOVANNA LANTINI (il Fatto Quotidiano 14-02-2012)

Lo status quo è salvo. Almeno per il momento. Il consiglio di amministrazione

di Rcs prende infatti tempo sull’affaire spagnolo che per ora costerà

all’editrice del Corriere della Sera “soltanto” una svalutazione da 300

milioni di euro. E con effetti spalmati su due anni, il 2011 e il 2012, che

rimandano così all’andamento del futuro il tema della ricapitalizzazione del

gruppo editoriale controllato da un patto di sindacato dove siedono tra gli

altri Mediobanca, Intesa Sanpaolo, Fiat, Pirelli (Tronchetti Provera),

Italmobiliare (Pesenti) e Dorint (Della Valle). Senza contare le quote di

Fondiaria Sai ed Edison in procinto di cambiare proprietà e il socio di peso

fuori dal patto, Giuseppe Rotelli. Per i quali, con la quadratura del cerchio

sulla svalutazione spagnola, si profila appunto il mantenimento degli

equilibri attuali.

NELLA NOTA diffusa ieri, infatti, Rcs ha precisato che la svalutazione degli

asset spagnoli “quanto al bilancio separato di Rcs MediaGroup spa, comporterà

effetti che si rifletteranno in parte sull’esercizio 2011 (a conto economico)

e in maggioranza sull’esercizio 2012 (a patrimonio netto). Il patrimonio netto

post fusione in Rcs MediaGroup spa di Rcs Quotidiani e di altre nove società

controllate (a decorrere dal primo gennaio 2012) recepirà altresì, in

particolare, il risultato dell’esercizio 2011 e, successivamente, i disavanzi

derivanti dalla fusione medesima. Si prevede, allo stato, che tale patrimonio

netto si attesti a circa 700 milioni (a fronte di un capitale sociale di 762

milioni)”. Un rapporto, quest’ultimo, che benché poco brillante, non rende

necessaria per il momento una ricapitalizzazione.

Il futuro, però, non sembra molto roseo se dalla casa editrice si precisa che

l’andamento della controllata spagnola Unidad Editorial e le relative

proiezioni per i prossimi due anni, “significativamente inferiori” alle

precedenti previsioni, non garantiranno il raggiungimento degli obiettivi di

fatturato previsti dal piano industriale al 2013.

TANTO CHE PER NON modificare anche le attese sui margini e, quindi, sui

risultati finali, Rcs “implementerà ulteriori azioni di efficientamento al

fine di contenere parzialmente i suddetti effetti negativi”. Ovvero si

prevedono nuovi e corposi tagli. Non solo. La società prevede anche che “si

continuerà a perseguire il trend di riduzione dell’indebitamento finanziario

netto, anche a prescindere da eventuali operazioni straordinarie”. Locuzione,

quest’ultima, che lascia il campo molto aperto: si va dalle cessioni di

partecipate, di rami d’azienda o di proprietà immobiliari come ventilato nei

giorni scorsi, alle ristrutturazioni e/o ricapitalizzazioni di controllate.

Come la stessa Unidad Editorial che aveva chiuso il 2010 con un rosso di 19,45

milioni portando il saldo delle perdite del triennio 2008-2010 a 83,55 milioni

e per i primi nove mesi del 2011 aveva realizzato un margine di poco più di 2

milioni. Quanto alle cessioni, della Francese Flammarion e/o dell’immobile

milanese di via Solferino, per ora nessun “aggiornamento rilevante”,

sottolinea la società tenendo ancora in sospeso i sindacati in agitazione per

il trasloco che comporterebbe la vendita della storica sede milanese.

È probabile, del resto, che di tutte queste delicate questioni se ne occuperà

il nuovo consiglio di amministrazione che verrà nominato in aprile e per il

quale i giochi sono ancora aperti. Chiusi, invece, i conti preliminari del

2011, che hanno evidenziato ricavi in calo di 56,8 milioni sul 2010 a 2,075

miliardi, “principalmente” per la contrazione in Spagna, e un margine

operativo lordo dimagrito di 18,5 milioni a 167,5 milioni, mentre

l'indebitamento finanziario netto è calato di 33 milioni a 938 milioni.

___

Editoria. Fatturato a 2.075 milioni

Ricavi Rcs in calo, interventi sui costi

di SIMONE FILIPPETTI (Il Sole 24 ORE 14-02-2012)

La tegola Spagna cade sui conti Rcs. Dai dati preliminari di bilancio della

casa editrice che pubblica il Corriere della Sera, il numero più eclatante è

la svalutazione di Unidad Editorial, la controllata iberica che pubblica il

quotidiano El Mundo e lo sportivo Marca. Un costo di 300 milioni di euro che

sono quasi due volte il Mol del gruppo: l'impatto sul bilancio, a livello di

capogruppo, avrà effetti sull'esercizio 2011, per la parte di conto economico,

e perlopiù sul 2012 (a patrimonio netto).

Per quanto riguarda il bilancio, comunicato solo fino al livello del Mol

senza indicazioni sul risultato netto, i ricavi consolidati, a perimetro

omogeneo, si sono attestati a 2,07 miliardi, in calo di 56,8 milioni rispetto

al 2010. Il calo è colpa proprio di Unidad Editorial, a cui poi si sono

aggiunti, in minore misura, la contrazione dei ricavi pubblicitari netti e una

diversa pianificazione editoriale dei prodotti collaterali. Vanno bene, invece,

le attività digitali che sono in crescita del 16% rispetto al 2010, superando

i 121 milioni. La tenuta sui costi e il piano di tagli hanno permesso di

tenere la barra sulla redditività: il Mol escludendo oneri finanziari e a

perimetro omogeneo, è rimasto pressochè stabile a 188 milioni (in

miglioramento di 2,6 milioni rispetto al 2010). Al netto di oneri non

ricorrenti, 21,1 milioni legati a costi di tagli del personale e investimenti

di business, il Mol scende a 167,5 milioni (186 milioni nel 2010).

L'indebitamento netto registra un lieve calo di 33 milioni e si attesta a

circa 938 milioni. Il calo dei ricavi, ha informato la società, non garantirà

il raggiungimento del piano triennale: il gruppo adotterà ulteriori azioni di

contenimento dei costi.

___

Unidad editorial pesa sui conti del gruppo che così non centrerà gli obiettivi del piano

Rcs svaluta la Spagna e taglia ancora

Il write-off della controllata non supererà i 300 milioni e impatterà sul

conto economico del 2011 e sul patrimonio netto di quest'anno ma non

obbligherà i soci all'aumento di capitale. Nuovi interventi sui costi

di ANDREA MONTANARI (MILANO FINANZA 14-02-2012)

La Spagna è una grana meno seria del previsto per Rcs Mediagroup. Almeno in

termini finanziari e patrimoniali. Perché, come è emerso dalle valutazioni

fatte dai consulenti Mediobanca (primo azionista della casa editrice) e

Deloitte sugli impairment test della controllata Unidad Editorial, l'impatto

sarà notevolmente inferiore a quello previsto. Come anticipato l'8 febbraio da

MF-Milano Finanza, il write-off sarà contenuto «nell'ordine di circa 300

milioni», si legge nel comunicato diffuso ieri dalla società dopo

l'approvazione dei risultati preliminari consolidati del 2011. Una

svalutazione che «comporterà effetti che si rifletteranno, in parte, sul conto

economico del 2011 e, in maggioranza, sul patrimonio netto dell'esercizio

2012». Il patrimonio netto, comunque, resta solido anche dopo questa revisione

perché a fine 2011, in seguito alla fusione per incorporazione di una serie di

controllate, si sarebbe attestato a quasi 700 milioni.

In questo modo, la società presieduta da Piergaetano Marchetti e guidata

dall'amministratore delegato Antonello Perricone, non dovrà procedere ad alcun

aumento di capitale e potrà riflettere con calma sulla cessione di asset quali

la francese Flammarion o gli immobili di Via San Marco. La decisione sulla

dismissione degli asset verrà tuttavia presa dal nuovo cda che entrerà in

carica a fine aprile e del quale potrebbero essere esclusi Marchetti e

Perricone.

Intanto ieri il board ha approvato i conti del 2011 forti di ricavi per 2,075

miliardi (-2,7%), di cui 121,3 milioni derivanti dalle attività digitali (+16%),

un ebitda post oneri ricorrenti di 167,5 milioni (-10%) e un debito di 938

milioni, in miglioramento di 33 milioni rispetto al 2010. «Tenuto conto del

perdurare della grave crisi economica, della conseguente contrazione dei

ricavi pubblicitari e del permanere dell'incertezza sulle prospettive

economiche, il gruppo ha posto in essere rilevanti interventi di contenimento

dei costi che hanno consentito di mantenere nel 2011 un ebitda operativo

sostanzialmente in linea con le previsioni del piano industriale». Stime sulle

quali in termini di fatturato consolidato peseranno «nei prossimi due anni i

risultati di Unidad Editorial, significativamente inferiori alla attese». Ecco

perché nei prossimi mesi verrà trasferito in Spagna Alessandro Bompieri, oggi

in Rcs Libri.

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Juve, la City investe

Un fondo d’investimenti inglese acquista il 2,2% del club

Il Lindsell Train Investment di Londra, che ha nel suo portafoglio

società come la Nintendo, entra nel capitale bianconero

di GIANNI LOVATO & GUIDO VACIAGO (Tuttosport 14-02-2012)

LA CITY sbarca a Torino. La City, non il City, inteso come Manchester. Notizia

di ieri: un fondo d’investimento inglese, il Lindsell Train Investment Trust ,

ha acquisito il 2,201% del capitale della Juventus. La cifra investita per

certi versi è risibile, dal momento che supera di poco i 4 milioni di euro. Ma,

in fondo, è il pensiero che conta, perché dal punto di vista strettamente

simbolico si tratta pur sempre di un investitore straniero che crede in

un’azienda italiana, in un momento in cui l’economia del nostro Paese non è

esattamente popolare all’estero e negli ambienti finanziari. E poi, non è

detto che non si tratti di una prima mossa che potrebbe preludere a ulteriori

investimenti e in questo senso sarà interessante seguire i movimenti di Nick

Train .

LA RINASCITA Certamente, è un segnale: la Juventus non è tornata solamente a

esercitare il suo fascino sui top player, ma l’effetto Stadium e quello che ne

consegue ha fatto colpo anche sugli investitori. La sottoscrizione completa

dell’aumento di capitale era stata di per sé significativa, ma la notizia,

diffusa ieri dalla Consob, che un fondo inglese ha acquisito il 2,2% del club

è una conferma di questa rinascita dell’immagine bianconera.

L’AFFARONE Ma chi è che ha investito sulla Juventus e come? Il fondo Lindsell

Train è uno fra i primi come performance alla Borsa di Londra e anche in

periodi di crisi è riuscito a stare in terreno positivo. Negli ambienti

finanziari lo descrivono come un fondo che ama investire controcorrente,

andando a cercare le azioni che il mercato sta sottovalutando per cavalcare la

risalita. L’uovo di Colombo, a patto di esserne capaci. E in questo mister

Train sembra saperla lunga. Effettivamente la descrizione è coerente con la

decisione di acquistare azioni bianconere che, al momento dell’aumento di

capitale valevano 0,15 euro e, anche ora che sono salite a 0,22, sembrano agli

osservatori ancora leggermente sottovalutate rispetto al potenziale della

società. Soprattutto alla luce del successo che il nuovo stadio sta

riscuotendo (dall’inagurazione si è registrato sempre il tutto esaurito e per

il tour guidato bisogna prenotarsi con anticipo per trovare un posto libero) e

del fatto che i risultati sportivi sono di nuovo in linea con la storia.

Fattore che un investitore tiene d’occhio perché la qualificazione in

Champions non fa felici solo i tifosi, ma anche gli azionisti che vedono

entrare in cassa almeno 25/30 milioni dall’Uefa.

L’INTRATTENIMENTO Interessante anche il portafoglio della Lindsell Train che

investe il 48,5% del proprio capitale nel Regno Unito, 22% in Giappone, il 12,8%

negli Usa, il 12,4% fuori dall’Europa e solo il 4,3 nel nostro continente.

Fra i settori favoriti c’è quello delle bevande, ma il terzo pacchetto

azionario del fondo è rappresentato dalla Nintendo, il colosso nipponico dei

videogames e dell’intrattenimento. Investimento, quest’ultimo, in linea con

quella nella Juventus.

IL RATING Incoraggiante per la Juventus è invece il fatto che il fondo abbia

un rating da tripla AAA e che negli ultimi tempi abbia fatto registrare degli

indici quasi sempre superiori alla media. Come dire: le scommesse della

Lindsell Train sembrano buone e la Juventus è diventata una di queste. Quando

lo sia diventata è difficile stabilirlo, la Consob deve dare notizia di chi

acquisisce più del 2% di una società quotata, ma non è chiamata a fornire

altri dettagli. Sembra però probabile che la Lindsell Train abbia agito nel

momento in cui le azioni inoptate dell’aumento di capitale sono state offerte

al mercato: in quel momento, infatti, è passato di mano il 6,3%. Fino a ieri

non era noto chi avesse acquisito quelle azioni (per l’esattezza si trattava

di 15.944.108 diritti che hanno originato la sottoscrizione di 63.776.432

azioni). Ora sappiamo che una parte le hanno acquistate gli inglesi.

ALTRE PASSIONI Inglesi che, per la cronaca, non sembrano appassionati di

calcio. uno dei due cofondatori principali, Michael Lindsell , infatti è

appassionato di tennis e rugby. Come dire: più di Conte ha potuto Andrea

Agnelli (che per altro ha, a sua volta, molti investimenti nella City e sul

mercato immobiliare di Londra) e il progetto dello Juventus Stadium che

differenzia i bianconeri anche a livello finanziario.

L’INTERROGATIVO A questo punto la composizione dell’azionariato della

Juventus è da riscrivere un questo modo: il 63,8% appartiene alla Exor, la

finanziaria di casa Agnelli, il 2,2% è della Lindsell Train, il resto (ovvero

30%) è flottante sul mercato. Resta da scoprire se gli inglesi potranno

diventare con il tempo un socio importante per casa Agnelli o se il fondo

britannico ha semplicemente diversificato il portafoglio con un investimento

risibile e potenzialmente remunerativo.

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1- A 10 ANNI DALLA MORTE DELL’AVVOCATO, UN LIBRO FA A PEZZI QUALCHE SANTINO FIAT - 2- MARPIONNE CHE PIANGE PER LO SPOT CHRYSLER? MA MI FACCIA IL PIACERE! LUI DICE SEMPRE CHE STA PER PIANGERE, MA NESSUNO L’HA MAI VISTO IN LACRIME. DI SOLITO FAR PIANGERE GLI ALTRI (CHIEDERE A LAURA SOAVE, MAMMA DELLA 500 LICENZIATA IN TRONCO O AL SINDACALISTA RON GETTELFINGER INSULTATO DALL’IMPULLOVERATO CON UNA FRASE DA SCHIAFFI: “I SINDACATI DEVONO ABITUARSI A UNA CULTURA DELLA POVERTÀ”) - 3- E POI GLI ULTIMI GIORNI DI EDOARDO, A CUI NON VIENE DATO IL NUMERO DEL CELLULARE DEL PADRE. INGRASSATO, PAZZO, GLI UNICI AMICI SONO UN ASSISTENTE SOCIALE E UN VENDITORE DI TAPPETI IRANIANO. PREOCCUPATO DI NON ARRIVARE ALLA FINE DEL MESE, LEGGE NOSTRADAMUS E AVVERTE TUTTI TRE GIORNI PRIMA, CONSEGNANDO A SUO PADRE E A UNA PERSONA DI SERVIZIO PARTICOLARMENTE CARA UNA SUA FOTO. E’ SU UN PONTE DELLA TORINO-SAVONA DA CUI SI BUTTERÀ, UN LEGGERO SORRISO. “VOGLIO ESSERE RICORDATO COSÌ”, DICE ALLA PERSONA DI SERVIZIO. MA NESSUNO SE LO FILA -

Michele Masneri per Rivista Studio (www.rivistastudio.com)

"A Detroit sono rimasti tutti molto stupiti leggendo il mio libro, non sapevano che in Italia si producono auto dalla fine dell'Ottocento". Lo racconta a ‘'Studio'' Jennifer Clark, corrispondente per il settore auto di Thomson-Reuters dall'Italia, fresca autrice di Mondo Agnelli: Fiat, Chrysler, and the Power of a Dynasty (Wiley & Sons editori, $29.95), primo dei volumoni in arrivo in libreria per il decennale della morte di Gianni Agnelli (2013). Il libro è bello, e forse perché non è prevista (per ora) una pubblicazione italiana, non ha i pudori a cui decenni di "bibliografiat" (copyright Marco Ferrante, maestro di agnellitudini e marchionnismi) ci hanno abituati.

E partiamo da Marchionne, figura che rimane misteriosa, monodimensionale nei suoi cliché più utilizzati - le sigarette, il superlavoro, l'equivoco identitario (l'abbraccio del centrosinistra con la definizione fassiniana di "liberaldemocratico", il ripensamento imbarazzato). L'aneddotica sindacale è una chiave interessante invece per capirne di più.

Sul Foglio dell'11 febbraio scorso, un magistrale pezzone sabbatico di Stefano Cingolani (conflitto di interessi: chi scrive collabora col Foglio, mentre Marco Ferrante è un valente Studio-so) raccontava che Ron Gettelfinger, indimenticato capo della Uaw, United Auto Workers, il sindacato dell'auto Usa, alla fine della trattativa lacrime e sangue che ha portato all'accordo Fiat-Chrysler, in cui i sindacati hanno aderito a condizioni molto peggiorative in termini di salari e di ore lavorate in cambio di una partecipazione nell'azionariato della fabbrica, "rifiuta di stringere la mano al rappresentante della Fiat".

Clark non solo conferma l'episodio ma gli dà una tridimensionalità. "Tutto vero. Me l'ha confermato Marchionne stesso. Nelle fasi più dure della trattativa, Gettelfinger e Marchionne hanno un diverbio. Marchionne, che notoriamente è un negoziatore ma non un diplomatico, dice una frase precisa: "i sindacati devono abituarsi a una cultura della povertà". Dice proprio così, "a culture of poverty". Gettelfinger diventa bianco, più che rabbia è orgoglio ferito e offesa. "Gli risponde: lei non può chiedere questo a un sindacato. A chi rappresenta operai che si stanno giocando i loro fondi pensione. Marchionne mi ha detto di essersi non proprio pentito, ma insomma...".

Sempre coi sindacati, Clark racconta che col successore di Gettelfinger, General Hollifield, volano parolacce irripetibili. Hollifield, primo afroamericano a ricoprire un posto di prestigio nell'aristocrazia sindacale americana (è vicepresidente della Uaw e delegato a trattare per la Chrysler) è grosso e aggressivo quanto Gettelfinger è azzimato e composto. La trattativa tra i due sembra un match tra scaricatori di porto. Con questi presupposti, pare un po' difficile credere alle voci (riferite dal New York Times e rimbalzate in Italia) secondo cui l'ad Fiat avrebbe pianto alla visione dello spot patriottico Chrysler a di Clint Eastwood.

Anche qui Clark spiega una sfumatura non banale. "No, non sarebbe strano. Marchionne è un uomo molto emotivo. Non sarebbe la prima volta. Per esempio, quando il presidente Obama annunciò il salvataggio Chrysler in televisione, Marchionne era in un consiglio di amministrazione di Ubs a New York. Vede la scena, si commuove e chiede di uscire dalla sala, per non farsi vedere piangere.

Attenzione, però, perché Marchionne non usa mai l'espressione "crying". Dice solo: "I almost broke down". Almost. E al passato. E a rileggere il New York Times, che racconta di come l'ad Fiat si sia commosso vedendo lo spot insieme ai suoi concessionari, anche lì si racconta come lui chiede di uscire dalla stanza, ha gli occhi lucidi. Ma nessuno lo vede poi realmente piangere. "Per lui piangere è un valore" dice Clark. Piangere va bene, perché significa tenerci molto a una cosa". Sembra sempre che stia per piangere, ma a ben vedere nessuno l'ha mai visto in azione. "Sì, è emotivo, ma non è sentimentale".

Piangere va bene ma è meglio se lo fanno gli altri. Come Laura Soave, capo di Fiat Usa, "mamma" dello sbarco della 500 in America. Per la manager italiana, Marchionne organizza una strana carrambata. Salone di Los Angeles 2010: Soave decide di utilizzare per il lancio una gigantografia di una sua vecchia foto da bambina, in cui lei siede proprio nella storica 500 arancio di famiglia.

Ma Marchionne, a sua insaputa, e come un autore Rai, fa arrivare da Napoli i suoi genitori, che appaiono all'improvviso nel bel mezzo dello show. Lei piange, il suo amministratore delegato è molto soddisfatto. (Poi dopo qualche mese la Soave verrà licenziata in tronco, episodio frequente nell'epica marchionniana).

À rebours. In fondo il libro si chiama Mondo Agnelli. Incombe il decennale, tocca fare la fatidica domanda: differenze-similitudini tra Marchionne e l'Avvocato. "Marchionne è considerato molto esotico, qui. Lo era già prima, con quei maglioncini e quell'accento, ma adesso lo è ancora di più con il nuovo look barbuto. Poi fa battute, scherza con gli operai e coi giornalisti, conosce il suo potere sui media e lo esercita consapevolmente. In questo è simile all'Avvocato. Ma anche a Walter Chrysler, il fondatore del gruppo. Poi Si staglia sul grigiore. Bisogna pensare che come alla Fiat i dirigenti erano tutti torinesi, qui in Chrysler sono tutti del midwest".

"Però in America pochi si ricordano di Gianni Agnelli. Ormai le nuove generazioni non sanno nulla. Devo spiegare che l'Avvocato era amico dei Ford e dei Kennedy per suscitare qualche vago ricordo. A una presentazione a New York, quando ho detto che la Fiat è più antica della Ford, la gente era veramente stupita". Nessuno si immaginerebbe che il Senatore Giovanni Agnelli nel 1906 aprì la sua prima concessionaria americana a Manhattan, Broadway.

Ma tra i ricordi agnelliani, la parte più interessante del libro di Jennifer Clark è forse quella che riguarda gli ultimi giorni di Edoardo, il figlio sfortunato di Gianni, morto suicida nel 2000. La giornalista Reuters è andata a spulciarsi le carte della polizia torinese, perché un'inchiesta, per quanto veloce e riservata, vi fu. I dettagli sono tristi e grotteschi: Edoardo che non ha un numero privato del padre, e per parlarci deve passare a forza per il centralino di casa Agnelli; le sue ultime chiamate con il suo uomo di scorta, Gilberto Ghedini, a cui chiede piccole incombenze, come spostare l'appuntamento col dentista.

Una telefonata ad Alberto Bini, una sorta di amico-tutore che da dieci anni lo segue giornalmente dopo l'arresto per droga in Kenya nel 1990. Le conversazioni quotidiane di teologia islamica con Hussein, mercante iraniano di tappeti di stanza a Torino. È molto preoccupato per le sue finanze, cosa di cui mette al corrente il cugino Lupo Rattazzi, incredulo.

Manda qualche mail (le password dei suoi account, come ricostruisce l'indagine della polizia, sono "Amon Ra", "Sun Ra" e "Jedi"). L'ultimo file visualizzato sul suo computer è una pagina web su Nostradamus. Poi, la lenta preparazione: per tre giorni di fila, Edoardo si alza presto, si veste accuratamente, guida la sua Croma blindata fino al ponte sulla Torino-Savona da cui si butterà il 15 novembre. Tre giorni prima, consegna a suo padre e a una persona di servizio particolarmente cara una sua foto. E' su un ponte, con un vestito formale, un leggero sorriso. "Voglio essere ricordato così", dice alla persona di servizio.

[16-02-2012]

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L’Emilia volta le spalle a Montezemolo

Per il dopo Marcegaglia favorito Squinzi

Lotta senza esclusione di colpi tra Giorgio Squinzi e Alberto Bombassei alla conquista del vertice di Confindustria per la successione ad Emma Marcegaglia. E proprio ieri pomeriggio per quattro ore, davanti all’assemblea di Confindustria Emilia Romagna, sono volati fendenti sotto la cintola: segno che tra i due la competizione sta diventando una vera battaglia.

E anche se Luca Cordero di Montezemolo aveva già espresso i suoi favori per Bombassei, l’endorsement ufficiale da parte degli industriali emiliano romagnoli pare orientarsi all’opposto del patron Ferrari. Così dopo gli scricchiolii di Assolombarda, dapprima favorevole a Bombassei e ora probabilmente più incline a votare Squinzi, e dopo l’abbandono dalla gara del veneto Riello e quindi della ricollocazione dei voti veneti che non sembrano così sicuri per Bombassei, l’Emilia Romagna potrebbe essere la classica goccia che fa traboccare il vaso facendo pendere la bilancia per Squinzi che proprio in questa regione, a Sassuolo, ha costruito le sue fortune industriali acquistando anche la squadra di calcio omonima portandola ai vertici del campionato cadetto.

Squinzi ha 77 anni e dirige da 30 anni l’azienda lombarda Mapei, produttrice di adesivi per pavimenti e rivestimenti che oggi fattura 2,1 miliardi di euro per 7.500 dipendenti in 59 stabilimenti dei cinque continenti. Di area cattolica, per lui l’equidistanza politica pare pagare: amico di Prodi ma anche di Confalonieri, vicino a Cl ma anche al Pd, sta conquistando città dopo città, voto dopo voto una carica prestigiosissima che nemmeno un mese fa lo vedeva concorrere con un misero 20% di consensi nazionali.

Dall’altra parte il vicentino Alberto Bombassei, 72 anni, re dei freni per i veicoli e titolare della Brembo, multinazionale con quasi 600 milioni di euro di fatturato (di cui l’85 per cento all’estero e il 10 alla Fiat). Con lui Marchionne e Luca Cordero di Montezemolo (di cui Bombassei è socio nei treni di Ntv), l’ingegner De Benedetti, Marco Tronchetti Provera e Diego Della Valle. Senza dimenticare l’apporto iniziale del Corriere della Sera, ora non più vicinissimo all’imprenditore vicentino. Uno schieramento di duri e puri, anzi di veri e propri “falchi”, che in questo momento non pare bastare. Anzi, che rischia di diventare un fardello eccessivamente conservatore per rendere la candidatura Bombassei una realtà.

Infatti oggetto del contendere tra le due correnti pare essere la querelle nata attorno alla ridiscussione dell’articolo 18 da parte del governo Monti. Da un lato l’esperienza di mister Mapei (mai un licenziamento e/o una cassa integrazione nella sua azienda, n.d.r.), cauto e dialogante con sindacati e lavoratori; dall’altro Bombassei che il 17 gennaio scorso ha lanciato il programma per la “rifondazione di Confindustria” dove si sono messi subito in discussione i rapporti con la triplice e nemmeno tre giorni dopo tra i cancelli della Brembo è scattato lo sciopero.

“Credo che l’articolo 18 sia una anomalia italiana, ma credo che il prossimo presidente di Confindustria non se ne occuperà più di tanto perché il problema sarà risolto prima di maggio autonomamente dal governo”. Queste le prime parole di Squinzi, al termine dell’incontro tenutosi a Bologna con gli imprenditori emiliano romagnoli di Confindustria che lo hanno ascoltato in veste di candidato alla presidenza. “L’articolo 18 non è il motivo per cui nessuno viene più a investire in Italia o per cui gli imprenditori italiani hanno perso la voglia di investire nelle loro imprese”, ha proseguito il patron Mapei prima dell’affondo velenoso al collega in gara, “io ho poche idee ma chiare, invece ho letto il programma di Bombassei, le sue dieci pagine, e non ho capito tutto fino in fondo”.

Apriti cielo. Bombassei ha risposto a stretto giro, a qualche metro più in là: “Se si toglie il tappo di questo vincolo dell’articolo 18, che abbiamo peraltro solo noi in Europa, credo sarà molto più facile creare posti di lavoro per i giovani: la riforma è sulla flessibilità in entrata e in uscita e soprattutto, credo, sia per facilitare la creazione di nuovi posti di lavoro e per dare una risposta ai giovani”. Infine la stoccata che non verte di certo sui massimi sistemi, ma dell’annullamento dei voti provenienti dal comitato del Mezzogiorno che si sarebbe già espresso per Squinzi: “Forzare un territorio, come in questo caso il Meridione, a prendere una posizione, lo trovo anche di cattivo gusto oltre a essere non corretto con la raccolta di pareri tramite mail e telefonate e dopo una frettolosa riunione”.

La scadenza del 22 marzo, giorno del voto, è vicina e i 190 industriali che compongono la giunta dei votanti di Confindustria sembrano oramai vicini all’opzione per il candidato più soft. In un momento di forti tensioni politiche soprattutto in ambito economico-industriale, la presidenza Squinzi potrebbe perfino risultare un segnale di insperata distensione del conflitto sociale. Montezemolo permettendo.

http://www.ilfattoqu...squinzi/191444/

A lezione da Lapo Elkann: "I miei errori e le mie vittorie"

dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

LONDRA – “Per imparare devi fare degli errori, nessuno è perfetto e io certamente non lo sono”. Parola di Lapo Elkann, “professore” per un giorno al Royal College of Art, l’università dell’arte e del design più antica (aprì nel 1837) e più prestigiosa del mondo, che lo ha invitato a tenere una lezione sulla sua esperienza di imprenditore e di creativo. Il nipote preferito di Gianni Agnelli si presenta nelle sue molteplici funzioni di presidente-fondatore di Italia Independent, marchio di brand per “trend-setters”, consulente del Centro Stile della Ferrari, autore della nuova Fiat 500 “personalizzata”. Ma il botta e risposta con gli studenti gli dà l’opportunità, quasi senza volere, di parlare anche di sé e soprattutto dell’Italia di oggi, sulle cui possibilità e qualità il fratello del presidente della Fiat non sembra avere dubbi.

“La mescolanza di marchi e la contaminazione di esperienze è il futuro di ogni industria che vuole innovare, perché la fusione rende più ricchi”, dice Lapo, che a 35 anni mantiene il look del ragazzo, e pure l’abbigliamento, stivaletti di camoscio su calze verdi, pantaloni a tubo bianchi, maglione a collo alto beige con le maniche tirate su a rivelare grandi tatuaggi sulle braccia. “Customization”, ossia la facoltà data al cliente di personalizzare un acquisto, è un altro elemento della sua lezione: che si tratti di comprare “un sogno”, come definisce la Ferrari, o qualcosa di meno esclusivo, più democratico, come gli occhiali da sole personalizzati di Italia Independent.

“Lo sapevate che il 90 per cento degli occhiali venduti nel mondo sono italiani?”, prosegue il giovane Elkann restando in argomento, e da lì parte la sua difesa dell’Italia, “la cui immagine è peggiorata nell’opinione pubblica internazionale in anni recenti perché è stata fatta coincidere con una certa classe politica, ma che in realtà rimane dotata di un potenziale di talento inesauribile”. In che senso?, vogliono capire gli studenti. “Il nostro artigianato, la nostra capacità di lavorare su materiali di qualità con stile e tradizione, restano unici al mondo. Io mi sento cittadino del mondo ma in cuore mio mi definisco un italiano globale, orgoglioso del proprio paese. L’Italia di oggi ha molto da offrire al mondo e sono certo che riuscirà a farlo. Anche gli inglesi sono maestri di tradizione e stile, basti guardare ai sarti di Savile Row, ma noi siamo altrettanto bravi se non di più, la differenza è che loro sanno vendere meglio la loro abilità, la loro reputazione, per questo un abito fatto a mano costa più qui che a Milano o a Napoli, ecco forse dobbiamo imparare a saper vendere meglio quel che sappiamo fare con grande destrezza”.

E quel che sappiamo fare, a partire dalla Ferrari, conclude il “prof” Lapo Elkann, è “vendere passione, vendere emozione, vendere amore, anche la Mercedes e la Audi fanno splendide auto, ma sono perfetti frigoriferi, sono oggetti freddi, mentre quelli italiani sono caldi e passionali”. L’ultimo consiglio per gli studenti del Royal College of Art è quello di “essere pronti a rischiare, perché senza correre rischi non si può innovare, anche a costo di sbagliare”. Detto da uno che ammette di non essere “sempre stato furbo” e di avere commesso i suoi errori, per potere imparare anche da questi e ricominciare.

(16 febbraio 2012)

http://www.repubblic...e-30014109/?rss

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AL ROYAL COLLEGE OF ART DI LONDRA

La lezione di Lapo

“Cos’è la creatività”

di ANDREA MALAGUTI (LA STAMPA 17-02-2012)

Il Royal College for the Art è una specie di tempio dell’intelligenza

creativa. È piantato di fianco alla Royal Albert Hall, di fronte ad Hyde Park,

ed è l’unica istituzione al mondo interamente post laurea a concedere diplomi

di Master of Art. Il rettore è lo storico Sir Christopher Frayling e tra le

migliaia di studenti sono passati anche David Hockney e Tracey Emin. La

selezione viene fatta sulla genialità. Poi all’interno del Darwin Building i

corsi si basano sulla collaborazione. Ingegneri, matematici, pittori, designer,

scultori. Li mettono assieme e li fanno lavorare sullo stesso progetto per

vedere che cosa viene fuori. Sono cuochi delle idee. Stellati però. Il mondo

che immagina se stesso rovesciando la prospettiva. Dove sta la massa? Loro

guardano dall’altra parte. E trovano nuove strade.

Dale Harrow, preside della School of Design, questo pomeriggio ha deciso di

invitare Lapo Elkann a parlare della sua società, Italian Independent, come

«testimonianza della creatività del Belpaese». Dagli occhiali alle auto. Il

nipote dell’Avvocato, che a Londra ha vissuto i primi 10 anni della sua vita,

ai tempi dell’università aveva fatto richiesta per entrare al Royal College.

Respinto. «Evidentemente non ero all’altezza». Ma oggi si mette in cattedra

allaSenior Common Room,divani e sedie rivestite in pelle dove si accomodano

studenti e professori. Sono un centinaio. Lui, Lapo, maglioncino girocollo

beige con maniche corte, braccia tatuate, stivaletti di camoscio e pantaloni

bianchi a tubo, decide di parlare di 500 e di Ferrari. La democrazia del lusso

e il lusso esclusivo. Parte dalla differenza tra fashion e stile - «uno va a

cicli, l’altro è per sempre e si trova ad esempio nel dna della Ferrari» - poi

punta sulla parola che gli sta più a cuore: contaminazione.Gli pare la chiave

di tutto.

«Non esiste nessun Paese al mondo al livello dell’Italia dal punto di vista

del gusto e dello stile, ma ci manca ancora la fusione delle capacità. Cosa

che noi invece facciamo quando personalizziamo una Ferrari. Facciamo prodotti

su misura. Senza rinunciare a quello che siamo. Non sempre i ricchi hanno buon

gusto». Potreste farlo anche su una Rolls Royce, Lapo? «La Rolls Royce non è

il mio tipo di macchina. Al grigio preferisco il rosso». Un’ora di botta e

risposta. La vita degli altri, ma anche la sua. «Per imparare devi fare

errori. Io ne ho fatti. Di certo non sono perfetto. Ma se non rischi non vivi.

E non cambi le cose». Caffè. Strette di mano. «Sono un privilegiato, ma so che

solo con il lavoro di squadra raggiungi gli obiettivi. Il mondo è pieno di

qualità. Io la cerco. E in Italia ne trovo moltissima». Si appoggia al balcone

e si accende una sigaretta. «Questo posto ha qualcosa di speciale».

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BOARD DA RINNOVARE, IL PRESIDENTE PRONTO AD ANTICIPARE LA NORMA SULLE QUOTE

Fiat e la svolta «rosa»,

Elkann valuta le candidate al cda

Prima volta nella storia del Lingotto. Maria Sole Agnelli: «Non è nostra abitudine avere donne ai posti di comando»

di PIERLUIGI BONORA (il Giornale 21-02-2012)

Svolta in vista, per certi versi clamorosa se si guarda al passato, in casa

Fiat. Riguarda l’inserimento nel consiglio di amministrazione, in scadenza ad

aprile, di una o più donne. Sarebbe la prima volta, se il presidente del

Lingotto, nonché azionista, John Elkann, deciderà in tal senso. A Torino si

sta lavorando per un’apertura in questa direzione. La norma sulle quote rosa,

che proprio ieri ha ottenuto il via libera dalla Consob, prevede infatti che

l’ingresso di componenti donne nei cda delle società quotate sia vincolante

dal 12 agosto.

Siccome la Fiat rinnoverà il proprio consiglio in aprile, in occasione

dell’assemblea dei soci convocata mercoledì 4, potrebbe tranquillamente

saltare un turno e adeguarsi alla norma nel 2015. Elkann, però, non nuovo alla

rottura degli schemi, starebbe già sondando le possibili candidate. Quante

saranno le donne nel nuovo board dipenderà anche dal numero dei membri

(ora sono 15 e, in questo caso, a termini di legge, le «quote rosa» avrebbero

diritto a tre posti, ovverosia il 20%).

IL%20CONSIGLIO.jpg

Le intenzioni del presidente sulla lista dei membri, insieme alle eventuali

conferme o meno dei consiglieri uscenti (sicura, a quanto sembra, è quella di

Luca di Montezemolo) forse sono note solo all’amministratore delegato Sergio

Marchionne. Sta di fatto che l’anticipata (e poi d’obbligo) apertura del cda

al gentil sesso sarà una vera mossa contro corrente. «Non è nelle abitudini di

casa Agnelli la presenza di donne nella stanza dei bottoni della Fiat -

afferma al Giornale Maria Sole Agnelli, sorella di Gianni, seconda azionista

nell’accomandita e, soprattutto, prima donna a essere entrata nel consiglio

degli accomandatari; non ci sono mai state donne dirigenti. Al contrario,

abbiamo sempre avuto delle ottime segretarie. E soprattutto molto potenti ».

Maria Sole aggiunge anche di non vedere, in questo momento, figure femminili

nell’ambito familiare che potrebbero essere prese in considerazione dal nipote

John. «Nella famiglia - conclude ­ci sono invece tante brave studentesse ».

Top secret, dunque, sulle intenzioni di Elkann alle prese con ben tre rinnovi

di cda, tutti prima del fatidico 12 agosto: oltre a Fiat Spa, nuovi board

anche per Fiat Industrial (assemblea il 5 aprile) ed Exor (il 29 maggio). E

proprio la cassaforte Exor ha visto esordire, nel cda in uscita, una donna: la

manager francese Christine Morin Postel. «La scelta dei membri del cda Fiat -

spiega una fonte - è sempre stata decisa in funzione delle simpatie

dell’azionista, degli appoggi che una persona garantisce, ma anche della sua

competenza, proprio come nel caso di Marchionne».

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La grande notte

Nel nome del padre (e dello zio)

la Dinasty del gol continua così

Agnelli & Berlusconi, generazioni contro

di EMANUELA AUDISIO (la Repubblica 25-02-2012)

Energie nuove, sfide vecchie. Agnelli contro Berlusconi, la saga continua.

Sempre nel nome del padre, ma con la faccia dei figli. Dopo i senior, ecco gli

junior. Questo Milan-Juve, nel segno dello scudetto per la prima volta è

gestito dai giovani eredi. Andrea Agnelli, 37 anni, figlio di Umberto, nipote

dell´Avvocato, è presidente della Juve e siede dal 2004 nel Cda della Fiat.

Sposato, con Emma Winter, ha una figlia di sei anni e un bimbo appena nato,

Giacomo Dai (nome gallese). Conduce vita normale, senza guardie del corpo,

gira in bicicletta, viene da una famiglia molto unita, ha una madre, Allegra

Caracciolo, che non perde una partita e che va allo stadio con il cappotto con

lo stemma della Juve. Andrea è sincero, dice quello che pensa, non cerca di

piacere, è fedele alla amicizie, preferisce il muso duro alla diplomazia.

Rivoleva lo scudetto 2005-2006 non per far piacere ai tifosi, ma perché di

quella Juve gestita dal padre Umberto e da Moggi-Giraudo lui non sconfessa

niente. Ha studiato a Oxford e alla Bocconi, ma ha modi spicci, che allo zio

Gianni sarebbero piaciuti, da uomo controcorrente.

Barbara Berlusconi ha 28 anni, due figli, Alessandro e Edoardo, avuti da

Giorgio Valaguzza, nessun marito, un fidanzato brasiliano, Pato, giocatore

nella squadra di papà. Barbara siede nel Cda del Milan dall´anno scorso e dal

2003 nel Cda Fininvest, ha fatto scuole steineriane, è lureata in filosofia

all´università San Raffaele, è appassionata di arte contemporanea. Ha saputo e

dovuto gestirsi nel difficile divorzio dei genitori, nel duro derby Arcore

contro Macherio, nel rapporto con gli altri figli del primo matrimonio, lo ha

fatto non stando zitta, dimostrando carattere e personalità. Ha scelto

liberamente i nomi per i suoi bambini, interrompendo la tradizione di famiglia,

ha dichiarato affetto per il padre, ma ha anche detto che un politico non può

permettersi di fare differenza tra pubblico e privato. Si è anche permessa la

frase: «Non ho mai frequentato uomini anziani». Poteva occuparsi di altro, ha

scelto il calcio, perché le piace, è entrata in punta di piedi, non fa la

figlia del padrone, ma quella che deve studiare e imparare. È curiosa del

settore ricavi, vuol capire come una società può non perdere soldi e anzi fare

guadagni, soprattutto ora con il fair-play economico e con un bilancio del

Milan in profondo rosso. Barbara lavora per restare, non solo per fare

esperienza. Poteva scivolare sulla storia d´amore con Pato a un passo dal

trasferimento in Francia al Psg, ma ha lasciato che a decidere non fosse il

cuore. Papà Silvio l´ha tolta dall´imbarazzo dicendo che la trattativa non era

«un buon affare economico». Il mondo del calcio è ancora un pianeta per uomini,

ma nel futuro è condannato ad avere più donne, soprattutto con le società

quotate in Borsa. Per questo Barbara, subito soprannominata Lady B, mira a

trovare alleanze che possano essere nuove risorse finanziarie e a promuovere

il brand.

Evelina Christillin, oggi presidente dello Stabile di Torino, che ha

condiviso con l´avvocato la passione per sci, Juve e storia, spiega che

all´inizio la rivalità non c´era. «Agnelli era visceralmente contro l´Inter,

il Torino, e la Roma di Viola per le note polemiche. A Sankt Moritz

frequentava Berlusconi che aveva affittato l´ex castello dello scià di Persia

e passava la serate con lui a parlare di calcio. Tutto cambiò quando

Berlusconi si mise a gestire direttamente il calciomercato, la Juve di

Agnelli-Boniperti all´estero era abituata ad affidare la trattativa ai

dirigenti Fiat di quel paese e a raccogliere informazioni tramite propri

canali istituzionali, per questo Maradona venne bocciato. Ma il Milan iniziò

ad acquistare chi voleva, con velocità e prepotenza. La Juve, che non poteva,

fu oscurata, e Agnelli si domandava: ma come accidenti fa a spendere tutti

quei miliardi? Era incuriosito, ma anche molto seccato, lui da buon piemontese

non avrebbe potuto».

Così la Juve si attrezzò con l´altro Agnelli, Umberto, e con Moggi-Giraudo.

Nacque la Santa Alleanza tra Juve e Milan su scambi commerciali, diritti tv,

marketing e giocatori. Oggi che tocca ai giovani farsi largo le due società

torneranno a farsi male?

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Il personaggio In abito bianco alla sfilata di Gucci, in Ferrari mimetica alla festa di «Vogue». La seconda vita del nipote dell’Avvocato

Presenze e gaffe, il magico mondo di Lapo

di MATTEO PERSIVALE (CorSera 26-02-2012)

MILANO — Lapo che lascia in divieto di sosta la Ferrari mimetica con il

simbolo pacifista sul parafango (notizia dell'altro giorno), poi andando

indietro nelle settimane e nei mesi ecco Lapo che si perde per Londra e invece

di usare il Gps o chiedere lumi ai passanti assolda un taxi e lo segue fino a

destinazione, Lapo in abito azzurro che segue dalla tribuna Napoli-Chelsea,

Lapo con il loft milanese svaligiato dai ladri, Lapo che ferma il tram con il

Suv mimetico parcheggiato sulle rotaie, Lapo in felpa Fiat e Borsalino, Lapo

che si sfila i mocassini foderati di peluche, Lapo che marchia la 500 con il

logo di Gucci e personalizza le Ferrari con l'interno di cashmere, Lapo sulla

barca del nonno con la t-shirt «libertà o morte», Lapo in pantaloni coi

graffiti, Lapo che porta gli abiti gessati del nonno con le scarpe da

ginnastica verdi, Lapo in costume da bagno con la mappa dei tatuaggi

pubblicata dai magazine, Lapo con la Maserati Gran Turismo nero pece lasciata

sulle strisce, Lapo che ruba palla a un giocatore durante una partita di

basket Nba a Los Angeles fermando il gioco e finendo sulla Cnn, Lapo alto sei

piani a torso nudo nella pubblicità di una radio.

L'avvocato Agnelli sapeva classificare con lo stesso intuito e occhio clinico

un po' tutto, dai calciatori alle belle donne, dalle barche ai suoi nipoti. E

aveva capito subito che John era quello metodico, più grande dei suoi anni,

destinato a raccogliere l'eredità aziendale di famiglia. Che Ginevra era

quella con il temperamento artistico e la passione del cinema. E che Lapo era

quello estroso e imprevedibile, che divideva con lui la passione del mare.

Ma forse neanche l'Avvocato che fu ritratto da Warhol avrebbe potuto

prevedere che Lapo Elkann, nato il 7 ottobre 1977 a New York, sarebbe

diventato, nel linguaggio del marketing, un «brand»: un marchio. Il fratello

John è a capo della multinazionale di famiglia, il cugino Andrea è a capo

della squadra con più tifosi nel Paese che per il calcio ha un'ossessione. Ma

della nuova generazione della famiglia Agnelli, quello trasversalmente famoso

a livello internazionale — bastano pochi secondi su Google — è Lapo. O meglio,

il «brand Lapo».

Interprete di una forma di popolarità nuova, post-moderna, amplificata

mostruosamente da Internet. Celebrità che sarebbe sbagliato definire soltanto

«pop» perché Lapo è un habitué delle riviste di gossip ma finisce anche a

pranzo con il Financial Times nella rubrica-salotto buono dei media finanziari

europei. Esattamente come capita a manager che hanno un curriculum assai più

nutrito del suo, il cui autista della berlina grigia mai finirebbe in divieto

di sosta. Lapo con mega servizio sull'ultimo numero di GQ britannico,

un'attenzione che nessun manager (o, ancora più tristemente, nessun attore)

del nostro Paese ottiene, un tipo di spazio che, tra gli italiani, soltanto

gli stilisti più affermati possono vantare (e Lapo ha creato sì il marchio di

occhiali e abiti «Italia Independent», ma non è uno stilista).

Come ha fatto? Mezzo secolo dopo che la sociologia (cfr. Boorstin) ha coniato

la definizione di coloro che «sono famosi per essere famosi», non per quello

che fanno, Lapo — per istrionismo Avvocatesco o per strategia precisa importa

poco — trasforma le gaffe in performance mediatiche cliccatissime su Internet

e diffuse esponenzialmente via Twitter: finendo nelle classifiche degli uomini

meglio vestiti del mondo esattamente perché rompe tutte le regole, ospite a

pranzo del Financial Times perché si pone come l'anti manager paludato. Capace

per questo di superare lo scandalo della serata sesso, overdose e coma del

2005 (ormai passato in giudicato dai media internazionali come

«un'indiscrezione» che se possibile accresce la sua popolarità).

Che un giovane gaffeur di ottima famiglia e di grandissimi mezzi diventi

tanto famoso grazie alle soste vietate con veicoli fuoriserie può essere, a

seconda dei punti di vista, un segno dei tempi o la dimostrazione di quel

nuovo tipo di popolarità — onnivoro e irrefrenabile, dove la sola unità di

misura sono i «clic» su Internet — che viene studiata attentamente dai brand

manager perché si tratta d'un gioco globale da miliardi di euro. Poi, certo,

anche i lati non pittoreschi della vita di Lapo — il lavoro vero e non di

facciata nella raccolta fondi per l'ospedale israeliano Tel Hashomer, lo

studio dell'ebraismo religione di suo padre — finiscono in secondo piano. Ma,

come da saggezza popolare, nessuno conosce un uomo meglio del suo sarto. E

Lapo dal sarto ci va per adattare i gessati inglesi del nonno come per

misurare doppiopetti fluorescenti: «Tanto — assicura il sarto e amico

Alessandro Martorana — gli stanno bene tutti allo stesso modo».

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NUOVE CARRIERE | GINEVRA ELKANN

SONO L'AGNELLI INVISIBILE,

MA SEGUITEMI

E VI FARÒ SOGNARE

NON AMA IL CAVIALE,

I FOTOGRAFI, LE FESTE

E SAINT-TROPEZ:

«PERCHÉ, SE PROPRIO

DEVO CONQUISTARVI,

VI PORTO AL CINEMA».

di RAFFAELE PANIZZA (PANORAMA | 7 marzo 2012)

Ginevra%20E..jpg

La rampolla di una dinastia industriale e il terminale non violento di una

discendenza di militari: niente di più lontano, niente di più vicino. Il 23

marzo arriva al cinema The Lady, il primo biopic dedicato all'icona della pace

birmana Aung San Suu Kyi. A distribuire in Italia le 100 copie della pellicola

diretta da Luc Besson sarà la Good films, piccola casa di distribuzione

fondata da Ginevra Elkann insieme all'ex Mikado Luigi Musini e a Francesco

Melzi d'Eril. La «Agnelli invisibile», com'era stata frettolosamente

ribattezzata da chi ne confondeva la timidezza con la presunta scarsa

intraprendenza, comincia a moltiplicare iniziative e impegni. Già presidente

della Pinacoteca Giovanni e Marella Agnelli, membro del comitato consultivo di

Christie's e del comité d'acquisition della Fondazione Cartier, curatrice

della guida May I introduce you di Stefanel distribuila in occasione del

Salone del mobile di Milano ed editor-at-large del magazine TAR, la sorella

minore di Lapo e John Elkann si sta prendendo il suo posto nel mondo.

Lapo dixit: «Mia sorella è supercazzuta».

Mica tanto. Sinceramente mi sembra troppa roba.

L'etichetta che le hanno affibbiato in famiglia qual è?

Di solito sono «la paciera», quella che media se ci sono conflitti. Poi di

volta in volta sono l'intellettuale o la «supertranquilla». Almeno, così

sembro.

E invece sotto cova il fuoco?

Non dico che faccia esplodere l'apocalisse, però se mi arrabbio so farmi

sentire.

Cosa la tira fuori dagli stracci?

Lo squilibrio. Mi piace che nelle cose ci sia armonia, stabilità, giustizia.

Dicono sia un atteggiamento tipico della Bilancia.

Anche degli ansiosi.

Ansiosa lo sono stata, e molto. Ma poi il lavoro, la maternità mi hanno

guarita.

La sua società di produzione si chiama Good films e nel nome già

dichiara la propria missione: solo film belli e in grado di accendere

una discussione. Non è una scelta snob?

No, perché per film belli mica intendo per forza solo quelli di nicchia.

Altrimenti Besson, per esempio, non l'avremmo mai scelto. Distribuiremo anche

film comici e leggeri: una commedia può essere schifosa e volgarissima, oppure

girata bene e valere quanto un grande capolavoro.

Incassare milioni di euro con «I soliti idioti» è «good» o mica tanto?

È good per chi ha intascato i soldi.

I produttori si giustificano così: i filmacci finanziano il cinema

d'autore. È un prezzo che lei potrebbe pagare?

Dipende da quanto siano filmacci. Cinepanettoni per esempio non saprei proprio

farne. Il pubblico va avvicinato senza la convinzione implicita che la gente

voglia solo idiozie e che quindi tanto vale dare loro ciò che chiedono. Noi

pensiamo che ci sia un pubblico grande pronto a rispondere a proposte di

qualità. Poi, boh, magari mi illudo.

In Europa c'è chi pensa che San Suu Kyi sia una birra.

Infatti la nostra idea è di produrre, distribuire e allo stesso tempo

informare. The Lady per il suo contenuto è patrocinato da Amnesty, e per

sensibilizzare l' opinione pubblica abbiamo ideato la campagna Send the

message, sulla pagina Facebook della Good films ciascuno può registrare un

videomessaggio dedicato al tema della libertà. I più belli li consegneremo

personalmente a San Suu Kyi: compreso quello di Lapo, che è stato il primo a

registrarlo.

Come tutte le imprese, anche la sua dovrà finanziarsi. Di questi tempi,

se una Agnelli va a chiedere soldi, le ridono in faccia?

Qualche ironia mi capita, i soliti cinque minuti di incredulità. Ma se

l'impasse dura poco non mi sconvolgo più di tanto.

E lei, a batter cassa, s'imbarazza?

Ho già dovuto farlo un sacco di volte per la pinacoteca. All'inizio non è

stato facile, ma pian piano mi sto abituando.

La scorsa estate l'hanno fotografata a Sabaudia tra la folla, con

tanto di bambino, secchiello e canottino. Perché questo culto del

basso profilo? I ricchi hanno smesso di fare sognare?

Posso parlare solo per me stessa: io non mi sento una persona aspirazionale,

tutto qui, e tantomeno mi pare di poter incarnare alcun sogno. Mi vorreste

sempre a Saint-Tropez? Ok, ma io vivo a Roma e la spiaggia di Sabaudia è più

bella e più vicina. Se proprio devo fare sognare preferisco farlo portando la

gente al cinema.

Il caviale almeno le piace?

No, lo detesto.

Al mondo c'è qualcuno che invidia?

Invidio chi sa parlare bene in pubblico. A me ogni volta che capita parte il

cuore a mille e mi si blocca il cervello.

Dovrebbe rivolgersi a un guru, come Colin Firth nel «Discorso del re».

Lo sto facendo. Da un po' di tempo mi segue un professore che lavora

sull'autocoscienza e sulla presa di consapevolezza della propria forza. Ma

resta il fatto che sono una timida. Questo fa parte della mia natura.

II dibattito sulla farfallina di Belén l'ha seguito?

No, e sinceramente neppure m'interessa.

Essere così anche lei, capace di concedersi qualsiasi cosa, non le

piacerebbe?

In generale no. Non aspiro alla sfacciataggine. Poi, certo, se avessi il

fisico di Belén, ne sarei ben contenta.

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Fiat 2016/ Rumors: Mirafiori e Pomigliano d'Arco closed, ma il Lingotto smentisce

http://www.affarital...iano050312.html

L'analisi/ Il mercato dell'auto va male e Marchionne si prepara al peggio

http://www.affaritaliani.it/economia/fiat05032012.html

Video sulla 500L, una delle nuove perle di casa Fiat, con cui finalmente conquisterà il mercato.

http://www.youtube.com/watch?v=5Ky4rx7pQR0&feature=player_embedded

Il lavoratore della Fiaz si prepari perché, come diceva il famoso personaggio di un film:

"Stai per entrare in una Valle Di Lacrime"

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Eredita' Agnelli: in appello condanna a Gamna ridotta a 8 mesi

Milano, 02 mar - La Corte d'appello di Milano ha ridotto la condanna all'avvocato Emanuele Gamna, ex legale di Margherita Agnelli, a otto mesi, quando in primo grado, il Gup del tribunale di Milano, Andrea Ghinetti, lo aveva condannato a un anno e due mesi di reclusione con pena sospesa e a pagare una multa di 400 euro. Gamna era imputato per i reati di evasione fiscale e truffa ai danni dello Stato. La condanna e' stata ridotta in quanto non e' stato confermato il reato di truffa, ma solo quello di evasione fiscale. In primo grado la procura di Milano aveva chiesto una condanna di due anni e quattro mesi e 800 euro di multa. Il procedimento riguardava l'accusa di non aver dichiarato al fisco una parcella di 15 milioni di euro pagata all'avvocato Gamna dalla figlia di Gianni Agnelli, per il lavoro svolto nella controversia sulla eredita' dell'ex numero uno del gruppo Fiat. Il legale prima della condanna davanti al Gup Ghinetti aveva raggiunto un accordo con l'Agenzia delle Entrate per far rientrare nelle casse del fisco italiano oltre 10,3 milioni di euro. La sentenza di primo grado era stata emessa il 30 marzo 2010.

http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/Eredita-Agnelli-appello-condanna-Gamna-ridotta-mesi/02-03-2012/1-A_001265249.shtml

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Agnelli, Sergio li fa ricchi

In otto anni le quotazioni Fiat sono aumentate del 50%.

L’opinione pubblica è divisa sulla sua figura - capitano d’industria coraggioso che ha salvato la più nota tra le aziende italiane o manager cinico, che guarda solo ai numeri e non agli uomini, vale a dire i collaboratori – ma c’è qualcuno che davvero non può lamentarsi di Sergio Marchionne. Si tratta degli Agnelli, che lo hanno scelto nell’estate del 2004 per salvare il colosso dell’auto all’epoca in grande difficoltà e che in questi anni sono stati ripagati con una pioggia di cedole destinate alla Exor, la cassaforte di famiglia. Ed è forse anche per questo che la famiglia torinese è disposta a mettere sul piatto 50 milioni di azioni per tenersi stretto il tanto discusso manager del Lingotto.

Quotazioni in crescita del 50%

Intanto va sottolineato il contributo che la “cura Marchionne” ha dato alla sopravvivenza della stessa Fiat nel contesto globale. Come già accennato, quando il manager italo-canadese ha preso il timone del gruppo, il gruppo automobilistico versava in condizioni tali da far dubitare più di un analista sulla sua capacità di restare sul mercato nel medio periodo.

Quanto alle quotazioni, negli ultimi otto anni il valore di Fiat spa (con appositi aggiustamenti post-scissione con Fiat Industrial) è salito di oltre il 50%. Non male se si considera che nel frattempo i mercati hanno affrontato due crisi globali, la seconda della quale non è ancora del tutto superata.

UNA PIOGGIA DI DIVIDENDI. A questo incremento virtuale (a meno di liquidazioni parziali delle posizioni) si aggiungono i soldi contanti incassati tramite i dividendi da Exor. Per fare un esempio, nel 2010 la Fiat ha dato il via libera a un dividendo complessivo di 155 milioni per i soci di Fiat spa, con la finanziaria di famiglia (detiene il 30,7% delle azioni) che ne ha incassati poco meno di 45 .

La stessa Exor, peraltro, ha staccato ai soci un dividendo di 6 euro per azione per complessivi 18,3 milioni: la cedola è rimasta uguale a quella del 2009, mentre era stata di 8 euro nel 2008.

SOLDI IN CASSA ANCHE SE IL BUSINESS FRENA. Due anni non certo brillanti per i conti di Fiat, tanto che la cosa ha fatto storcere il naso a più di un analista. E i valori potrebbero trovare conferma quest’anno, considerato che il primo semestre del 2011 per l’accomandita si è chiuso con un utile consolidato a 477,25 milioni di euro, in crescita rispetto ai 452,1 milioni dello stesso periodo del 2010.

E se quest’anno, vista la diffiicile situazione del mercato, dovrà rinunciare ai dividendi di Fiat spa, Fiat Industrial ha fatto già sapere che distribuirà una cedola di 0,185 euro per ogni azione ordinaria, che nella cassa di Exor dovrebbero portare poco meno di 40 milioni di euro.

Martedì, 06 Marzo 2012

http://www.lettera43.it/economia/aziende/4...i-fa-ricchi.htm

Fiat: J.Elkann, Marchionne e' stato disciplinato

GINEVRA (MF-DJ)--"Osservo che abbiamo fatto bene a non spingere sui nuovi prodotti, perche' oggi siamo in grado di avere un piano di sviluppo di nuovi modelli senza avere le difficolta' dei nostri concorrenti che oggi hanno gamme completamente rinnovate. Marchionne nella sua decisione di rinviare i nuovi modelli e' stato molto disciplinato senza sprecare risorse".

Lo ha affermato John Elkann, presidente di Exor e di Fiat a margine del Salone dell'Auto di Ginevra.

http://borsaitaliana.it/borsa/notizie/mf-d...362〈=it

Exor: J.Elkann, per societa' meno cose ma piu' grandi

GINEVRA (MF-DJ)--"In Exor non e' cambiato nulla, abbiamo proceduto alle semplificazioni sempre nell'intento di avere meno cose ma piu' grosse". Lo ha affermato John Elkann, presidente di Exor a margine del Salone dell'Auto di Ginevra.

http://borsaitaliana.it/borsa/notizie/mf-d...329〈=it

Exor: Elkann, vendita Alpitour perfezionata prossimi mesi

La vendita di Alpitour sara' perfezionata nei prossimi mesi, 'quando riceveremo le necessarie autorizzazioni'. Lo ha annunciato John Elkann, presidente di Exor, conversando con i giornalisti al Salone dell'Auto di Ginevra. 'Nella nostra strategia - ha detto - non e' cambiato nulla, cerchiamo di semplificarci. Su questo abbiamo lavorato negli ultimi anni. Vogliamo avere meno partecipazioni, ma piu' consistenti'. .

http://economia.repubblica.it/news/Exor:-E...mi-mesi/4126660

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Oggi ho incontrato casualmente Franzo, Il Grande, proprio lui.

L'età avanza, ma porta bene i suoi anni.

Non mi ha detto niente, ma ha fatto la faccia come dire:

"Salutami quelli del forum e digli che comunque Moggi non doveva chiudere Paparesta nello spogliatoio... Forza Inter!"

sefz

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Auto in crisi

LA SOLITUDINE DI FIAT (E DEGLI AGNELLI)

Paese cambiato, mercato difficile

La solitudine della famiglia Agnelli

di MASSIMO MUCCHETTI (CorSera 15-03-2012)

Domani John Elkann e Sergio Marchionne incontrano il premier Mario Monti a

Palazzo Chigi per parlare del futuro della Fiat. Benché in programma da tempo,

il colloquio sconta l'intervista dell'amministratore delegato al Corriere e il

suo drammatico avvertimento: se non riuscirà a esportare abbastanza negli Usa,

la Fiat chiuderà due dei cinque stabilimenti italiani, dove peraltro migliaia

di persone sono già in cassa integrazione da tempo. Nonostante le

rassicurazioni sulla capacità di vincere la scommessa, sono in pochi a credere

che dall'Italia sia possibile esportare oltre Atlantico 400 mila vetture

l'anno. Ma esiste un'alternativa? E il governo crede valga la pena di

costruirla?

A Marchionne il premier potrà chiedere conto del progetto Fabbrica Italia che

prometteva di produrre qui 1,4 milioni di auto entro il 2014, quasi il triplo

del 2011, in un'Europa appesantita da troppe fabbriche. Ma a Elkann,

presidente e primo azionista della Fiat, che cosa si può chiedere? Monti avrà

di fronte l'erede di Giovanni Agnelli, un giovane uomo assai diverso dal

nonno. E, soprattutto, molto più solo.

Il senatore Agnelli fu un grande protagonista della vita nazionale. Un Re

senza corona che si stupiva se un Quandt, padrone della Bmw, lo veniva a

trovare prendendo un volo di linea anziché l'avion privé. E trovava normale

avere in Fiat una foresteria degna di un grand hotel, anziché il servizio

corretto e spartano di oggi. Ma soprattutto Agnelli poteva contare su quattro

fattori ormai venuti meno: a) un patrimonio aziendale enorme; b) un house bank,

Mediobanca, che dava tutela in cambio di rispetto e, talvolta, di relativa

sottomissione come testimonia l'ampio potere attribuito a Cesare Romiti per

vent'anni; c) un rapporto sindacale profondo, che poteva comportare tanto

l'assedio di Mirafiori quanto l'accordo sul punto unico di contingenza

Lama-Agnelli e la concertazione fino ai tre anni fa; d) l'appoggio concreto

dei governi: finanziamenti agevolati e a fondo perduto, acquisizione delle

aziende deboli del gruppo come Teksid, negazione dell'Alfa alla Ford, una

politica dei trasporti pro gomma e anti ferrovia. Con Giovanni Agnelli, e

prima di lui con Vittorio Valletta, la Fiat era l'Italia e l'Italia la Fiat.

Elkann, invece, è un soggetto del tutto privato. Laureato in ingegneria,

nessuno lo chiama l'Ingegnere, a differenza del nonno che era per tutti

l'Avvocato pur non avendo mai avuto sostenuto una causa. Il patrimonio

aziendale si è molto ridotto. Tra il 1998 e il 2010 la Fiat Auto ha perso

circa nove miliardi, una voragine colmata con emissioni azionarie della

holding, cessione di partecipazioni e anche con il premio che General Motors

pagò pur di non doversi prendere le quattro ruote di Torino. Negli ultimi

undici anni i soci della Fiat hanno avuto 5 volte il dividendo, e non sempre

rotondo, e 6 volte no, anche se debbono riconoscere a Marchionne una cospicua

rivalutazione dei titoli. Ora, se la Fiat avesse bisogno di altri soldi,

l'Exor, la holding degli Agnelli, ne avrebbe pochi da mettere e dovrebbe

rinunciare alla diversificazione del portafoglio. Non a caso Marchionne ha

promesso che mai più un euro di capitale verrà rischiato sull'auto.

La Fiat del 2012 non può più contare su Mediobanca che, d'altra parte, ha

perso la centralità di un tempo. E il sistema finanziario le fa pagare

normalmente il denaro. Per decenni alla Real Casa di Torino i prestiti

costavano meno che alle altre imprese. Si parlò a lungo di tasso Fiat. Adesso

la Fiat paga il denaro più delle multinazionali tascabili nostrane. E non

parliamo della Chrysler, che viaggia sull'8%.

Il sindacato è diviso e sconfitto come ai tempi di Valletta. Non rappresenta

più un problema: lo riconosce lo stesso Marchionne. Ma, aggiungiamo noi, non è

nemmeno quel vincolo positivo che è stato storicamente nel Novecento

costringendo le imprese a migliorare per recuperare gli aumenti salariali e

come continua a essere alla Volkswagen per esplicito riconoscimento di Martin

Winterkorn.

Al governo del Paese d'origine la multinazionale Fiat non ha più niente da

chiedere: non vuole nulla, se non una non meglio specificata politica

industriale, forse perché pensa che il governo non abbia nulla da dare. E

dunque gli Agnelli di oggi, guidati da Elkann, possono rivendicare il diritto

di decidere dell'eredità dell'Avvocato senza più i vecchi vincoli

dell'Avvocato. Come se l'industria dell'auto basata in Italia non fosse più

adatta a loro e loro all'auto. Ma il premier potrà limitarsi a registrare,

come fosse un notaio, la svolta della Fiat, che Marchionne ha reso ufficiale

con l'intervista al Corriere ma che era già leggibile nel momento in cui

rinviava di anno in anno l'investimento nei nuovi modelli mentre la

concorrenza dava il meglio di sè?

In altri Paesi, i colleghi di Monti avrebbero davanti tre, quattro, cinque

produttori, nazionali ed esteri. In Italia non è così. Ormai tutti hanno

capito quale errore sia stato aver concentrata l'intera produzione

automobilistica in una sola mano. Chissà se il governo si è preparato

all'incontro verificando in proprio se, decaduta Fabbrica Italia, esistano

case internazionali interessate ai marchi e ai siti produttivi italiani. A

cominciare dalla Volkswagen che da tempo fa intendere una passione per l'Alfa

come, attraverso l'Audi, l'ha appena apertamente manifestata per la Ducati.

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Verso il rinnovo del vertice del «Corriere»

Rcs, soci decisi a cambiare,

ma Marchetti cerca sostegni

di MARCELLO ZACCHÉ (il Giornale 15-03-2012)

Il patto di sindacato di Rcs si riunirà il 2 aprile, vale a dire l’ultimo

giorno utile per presentare le liste per il rinnovo del cda in calendario

nell’assemblea del 27 aprile. Segno evidente che i grandi soci del Corriere

della Sera (il patto riunisce il 63,5% del capitale di Rcs) hanno deciso di

aspettare fino all’ultimo minuto. In gioco c’è una nuova governance per un

gruppo editoriale in rosso, alle prese con la crisi della partecipata spagnola

Recoletos, già costata 300 milioni di svalutazioni, e impegnato nella vendita

della controllata Flammarion e nella valorizzazione dell’immobile storico di

via Solferino, che potrebbe comportare il trasferimento della redazione del

Corriere con il resto del gruppo Rcs. Nei fatti questo lavoro dovrebbe portare

a un ricambio del top management: lascerà la presidenza il notaio Piergaetano

Marchetti, che però conta molto sull’appoggio del presidente di Intesa,

Giovanni Bazoli, e pure della sponda governativa dell’amico e collega

bocconiano Mario Monti per strappare ai soci un altro triennio. Mentre l’ad

Antonello Perricone, in caso di conferma di Marchetti, potrebbe ambire a

restare al suo posto per parità di trattamento. In realtà per la carica di ad

i soci sembrano (sulla carta) molto uniti e determinati per un forte

cambiamento. Non in stile Colao, troppo «spinto», ma nella direzione di un

manager di esperienza e con visioni prospettiche sul mondo editoriale. Mentre

per la presidenza andrebbe individuata una personalità di garanzia. In

proposito circola anche l’ipotesi di chiamare Giuseppe Rotelli, socio per una

quota fino all’11%, ma fuori dal patto. Sarebbe gradito a Bazoli, a molti

imprenditori, e in generale non più inviso al salotto buono. Ma l’ipotesi

sembra di difficile praticabilità.

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Inviato (modificato)

AFFARI E PALLONE

La Roma si affida agli Agnelli

per l'area del nuovo stadio

Il club giallorosso sceglie la Cushman & Wakefield per selezionare l'area del nuovo stadio.

La società immobiliare è controllata dalla Exor, azionista di riferimento della Juventus

di WALTER GALBIATI (Repubblica.it 15-03-2012)

MILANO - Uno stadio in bianco nero potrebbe essere anche un colore gradevole,

ma non quando si tratta di quello della Roma. Eppure il club giallorosso, ora

nelle mani di James Pallotta non bada tanto alle rivalità sportive quando si

tratta di affari. Tra gli innumerevoli operatori immobiliari tra cui poteva

scegliere, ha preferito affidarsi alla Cushman & Wakefield, società di

consulenza immobiliare che dal 2007 è proprietà (per il 70%) della Exor, la

holding della famiglia Agnelli che detiene a sua volta la maggioranza della

Juventus.

La società ha conferito alla Cushman & Wakefield il mandato di advisor

esclusivo per l'individuazione di un'area, sul territorio comunale di Roma,

dove insediare il nuovo stadio. "L'advisor - recita il comunicato del club -

ha già attivato il processo di selezione delle opportunità presenti sul

territorio cui seguirà una attenta analisi tecnica, che permetterà di arrivare

ad una scelta definitiva entro giugno 2012".

Certo la Exor ha alle spalle la realizzazione dello stadio della Juventus,

decantato come un gioiello, ma che ha già procurato qualche grattacapo agli

Agnelli. Primi fra tutti, un forte indebitamento della società (oltre 120

milioni di euro) e una inchiesta della procura di Torino che ipotizza che

siano state fatte carte false per dotare il nuovo stadio della agibilità in

tempo utile per l'apertura del campionato. Per alcune sovrastrutture sarebbe

poi stato utilizzato acciaio non conforme.

L'avvio della ricerca dell'area dello stadio romano appare comunque in linea

con la nuova politica della società che nei giorni scorsi ha lasciato

trapelare il nome della Disney come nuovo partner commerciale. Mark Pannes,

amministratore delegato della Roma e braccio armato del Raptor Accelerator di

James Pallotta, sarebbe vicino a stringere l'intesa commerciale con il gruppo

statunitense.

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Alberto Musy, un giurista prestato alla politica La rete degli incarichi professionali

Il capogruppo dell'Udc a Torino ferito nell'atrio di casa a colpi di pistola è avvocato e docente universitario. Diversi incarichi in consigli d'amministrazione, dalla Exor degli Agnelli a una società di scommesse ippiche. Ancora oscuro il movente dell'agguato

L’impegno politico, ma anche un’intensa attività lavorativa nella vita di Alberto Musy, il capogruppo dell’Udc-Terzo Polo in consiglio comunale a Torino, ferito stamattina a colpi di pistola nell’atrio del palazzo dove abita, in via Barbaroux 35. Avvocato e professore ordinario di Diritto privato comparato all’Università del Piemonte orientale, presso la facoltà di Economia di Novara, Musy ricopre diversi incarichi societari di rilievo. E’ il rappresentante degli azionisti nella Exor, la cassaforte finanziaria della famiglia Agnelli, e in passato è stato consigliere di società attive nel settore immobiliare e nelle costruzioni. Fino al settembre del 2009 è stato anche nel consiglio d’amministrazione della Hippogroup spa, azienda specializzata in scommesse ippiche.

Come avvocato, Musy è socio dello studio “Musy Bianco e Associati”, che si occupa tra l’altro di cause di lavoro, ed è nel board del Centro Studi Luigi Einaudi di Torino. Di formazione liberale, nel 2011 è stato candidato sindaco per la coalizione del Nuovo Polo per l’Italia e ha ricevuto più di 22mila preferenze.

Nel commentare il ferimento di Musy, diversi esponenti politici hanno evocato la pista politica, ma il movente dell’agguato è ancora da individuare. “E’ stato un agguato, non è stato un caso, ma non abbiamo elementi per dire che matrice abbia” ha affermato il ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, rispondendo ai giornalisti a Napoli. “Stiamo lavorando, dobbiamo capirne di più”. Secondo le indiscrezioni che trapelano, gli investigatori indagano a tutto campo, ma al momento la pista politico-terroristica sarebbe ritenuta la più debole.

http://www.ilfattoqu...sionali/199084/

.penso

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