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bidescu

Sergeij Alejnikov

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Joined: 29-Mar-2007
253 messaggi
arriv? nell'estate del 89 dopo che era saltato il tentativo di portare a torino il brasiliano carlos dunga(lui si era veramente un grande)dopo un inizio difficile disput? una discreta stagione risultando molto utile per gli equilibri tattici di quella juve considerando anche l'infortunio a daniele fortunato poi con l'arrivo di maifredi venne mandato a lecce

Ero al Comunale nel '90 quando fece un gran gol alla Samp con un tiro da fuori, che era la sua specialit?.

Fu sacrificato, insieme al mitico e altri, alla "rivoluzione" di Montezemolo e Maifredi... :S

Secondo me, poteva ancora essere utile.

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Joined: 31-Jul-2006
901 messaggi

Non eccelso, ma di intelligenza tattica discreta.

Ottimo per dare equilibri alla squadra...

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Joined: 09-Aug-2007
464 messaggi

discreto giocatore di una russia allora ancora u.r.s.s che in quel periodo contendeva lo scettro di migiore squadra d'europa all'olanda, e proprio per contrastare il potere milanista dell'era dei tre olandesi la juve punt? sui sovietici con scarsa fortuna, insieme a lui arriv? anche alexander zavarov trequartista che non sbocci? mai, e in quei tempi si parlava pure dell'arrivo di protassov bomber sovietico che per? non arriv? mai, ricordo una prima pagina di tuttosport all'epoca che sul fatto che poteva nascera una juventus sovietica titolava: JUVENTURSS....

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Joined: 10-Jul-2007
42 messaggi
discreto giocatore di una russia allora ancora u.r.s.s che in quel periodo contendeva lo scettro di migiore squadra d'europa all'olanda, e proprio per contrastare il potere milanista dell'era dei tre olandesi la juve punt? sui sovietici con scarsa fortuna, insieme a lui arriv? anche alexander zavarov trequartista che non sbocci? mai, e in quei tempi si parlava pure dell'arrivo di protassov bomber sovietico che per? non arriv? mai, ricordo una prima pagina di tuttosport all'epoca che sul fatto che poteva nascera una juventus sovietica titolava: JUVENTURSS....

Non arriv? assieme a Zavarov, ma l'anno dopo e si disse che era stato preso per fare da "balia" allo sperduto connazionale.

Era un onesto mestierante che dopo un anno fu dato via assieme al piccolo Zar...

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Joined: 09-Oct-2007
66 messaggi
arriv? nell'estate del 89 dopo che era saltato il tentativo di portare a torino il brasiliano carlos dunga(lui si era veramente un grande)dopo un inizio difficile disput? una discreta stagione risultando molto utile per gli equilibri tattici di quella juve considerando anche l'infortunio a daniele fortunato poi con l'arrivo di maifredi venne mandato a lecce

.quoto

su tutto.

dunga compreso.

non male ma scottato dall'essere russo come quel pippone di zavarov.

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Joined: 19-Aug-2008
29570 messaggi

Per me era un buon giocatore che dava equilibrio al centrocampo. Meglio di Galia per intenderci. E' stato sacrificato poi sull'altare di Maifredi.

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Joined: 21-Jul-2006
53461 messaggi

io lo ho incontrato in vacanza a caorle

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Joined: 07-Feb-2006
2910 messaggi
Per me era un buon giocatore che dava equilibrio al centrocampo. Meglio di Galia per intenderci. E' stato sacrificato poi sull'altare di Maifredi.

era un po' lento ma comunque concordo

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Joined: 08-Apr-2007
2 messaggi

io l ho conosciuto...molto introverso ma simpatico...beve birra rossa e odia la bionda...che tipo sefz

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Joined: 21-Jul-2006
53461 messaggi

adesso cosa fa?

ha tentato la carriera di allenatore senza successo credo....

e mi pare viva a lecce? giusto?

Modificato da dal1982

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Joined: 21-Jul-2006
53461 messaggi
ha allenato il kras, piccola societ? calcistica dell'altipiano carsico... con scarsi risultati

dai veramente era in friuli?

di che categorie stiamo parlando?

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Joined: 21-Jul-2006
53461 messaggi
mi pare eccellenza o gi? di li

cioe' ''lavorava'' per 500 euri al mese si e no?

che tipo strano.....

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Joined: 20-Sep-2006
757 messaggi

alejnikovds6.jpg

Su Wikipedia dice che "Dal 2005 al 2007 ? stato allenatore nel settore giovanile della Juventus"... mh

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Joined: 21-Jul-2006
53461 messaggi
Su Wikipedia dice che "Dal 2005 al 2007 ? stato allenatore nel settore giovanile della Juventus"... mh

mh.penso

io non lo ho mai saputo.... non credo ancora.... qualcuno sa' qualcosa ?

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Joined: 04-Apr-2006
133713 messaggi
Inviato (modificato)
.
Modificato da Socrates

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Joined: 31-May-2005
141 messaggi
alejnikovt.jpgalejnikov.jpg

Modificato da Socrates

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Joined: 04-Apr-2006
133713 messaggi

 726295313_juve1989.png.0876e12259aaa778043a424a34abf3e5.png SERGEIJ  ALEYNIKOV

 

KhaledAlnouss on Twitter: "Happy birthday to former Juventus midfielder Sergei  Aleinikov, who turns 58 today. Games: 50 Goals: 3 🏆: 2  https://t.co/A5Jgv1qK6T" / Twitter

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Sjarhej_Alejnikaŭ

 

 

Nazione: Unione Sovietica   

      Bielorussia  
Luogo di nascita: Minsk
Data di nascita: 07.11.1961

Ruolo: Centrocampista
Altezza: 182 cm
Peso: 74 kg
Nazionale Sovietico
Soprannome: -

 

 

Alla Juventus dal 1989 al 1990

Esordio: 23.08.1989 - Coppa Italia - Cagliari-Juventus 0-1

Ultima partita: 16.05.1990 - Coppa Uefa - Fiorentina-Juventus 0-0

 

50 presenze - 3 reti

 

1 coppa Italia

1 coppa Uefa

 

 

Sergeij Evgen'evič Aleynikov (Minsk, 7 novembre 1961) è un allenatore di calcio ed ex calciatore sovietico e dal 1991 bielorusso, di ruolo centrocampista.

Ha giocato in Italia con Juventus e Lecce, prima di chiudere la carriera nelle serie minori. In precedenza, dal 1981 al 1989, ha vestito la maglia della Dinamo Minsk. Ha giocato anche in Giappone, con il Gamba Osaka.

 

Sjarhej Alejnikaŭ
Sergej Alejnikov.jpg
Alejnikaŭ alla Juventus nella stagione 1989-1990
     
Nazionalità   Unione Sovietica
  Bielorussia (dal 1991)
Altezza 182 cm
Peso 74 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Squadra   Dainava Alytus
Termine carriera 1998 - giocatore
Carriera
Squadre di club
1980-1989   Dinamo Minsk 220 (31)
1989-1990   Juventus 50 (3)
1990-1992   Lecce 59 (2)
1992-1996   Gamba Osaka 83 (14)
1996-1997   Oddevold 5 (0)
1997-1998   Corigliano Schiavonea 9 (1)
Nazionale
1984-1991   Unione Sovietica 73 (6)
1992   Comunità degli Stati Indipendenti 4 (0)
1992-1994   Bielorussia 4 (0)
Carriera da allenatore
1998-1999   Anagni  
2000-2001   Pontedera  
2003   FK Mosca  
2003   Vidnoe  
2003-2005   Copertino  
2005-2007   Juventus Giovanili
2007-2008   Kras  
2011-2012   Kras  
2014   Dainava Alytus  
Palmarès
 
UEFA European Cup.svg Europei di calcio
Argento Germania Ovest 1988

 

Biografia

Segue il calcio sin da giovane. Entra a far parte di una scuola di calcio a 5 nei pressi del Gorkij Park. A 17 anni lavora come operaio ma a 20 anni è titolare nella Dinamo Minsk. Si diploma in educazione fisica. È sposato con Natasha, ingegnere edile, ed è un cristiano ortodosso non praticante. Ha fatto anche il servizio militare, raggiungendo il grado di tenente. Nonostante nel periodo alla Juventus giochi assieme all'altro sovietico Oleksandr Zavarov, non riesce a restare in amicizia con il giocatore di origini ucraine. Sempre nel periodo in cui militava a Torino viveva in una villetta in collina, adattandosi presto all'Italia e imparando velocemente l'italiano. Trasferitosi a Lecce, dove vive per tre anni tra il 1990 e il 1993, acquista una villetta e ritorna a viverci al suo ritorno in Italia: ci vive tutt'oggi.

A differenza di quanto gli è capitato in Italia, quando giocava per la Dinamo Minsk faceva due allenamenti al giorno e alla fine dell'allenamento andava a mettersi in coda ai negozi perché i dirigenti sovietici non volevano che i calciatori tornassero a casa presto.

Ha due figli, Artėm, nato nel 1987 e Artur, nato il 30 marzo 1991.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

220px-Fiorentina-Juventus%2C_Coppa_UEFA_
 
Alejnikov (a sinistra) in azione in maglia bianconera, in contrasto sul fiorentino Dunga nel corso della finale di Coppa UEFA 1989-1990

 

Centrocampista arretrato, centrocampista offensivo o regista talentuoso, spesso con compiti di marcatura ma che sapeva anche attaccare, era un calciatore tattico, un geometra, un giocatore che dava ordine al gioco, di quantità, completo, duttile e polivalente, dal buon tiro dalla distanza ma molto lento. Zoff, tecnico della Juventus, lo definisce un «giocatore di classe», e al suo arrivo è considerato un «grande campione». Cresce calcisticamente con il tecnico Ėduard Malafeeŭ, che lo allena sia a Minsk sia con la nazionale, adattandolo a regista difensivo, stopper, terzino, libero e difensore centrale. Zoff nella sua Juventus lo schiera usualmente come uno dei due mediani nel suo centrocampo a 4. Nella finale del campionato europeo di calcio 1988 in Germania Ovest, Alejnikov, schierato come difensore centrale, ha il compito di marcare Marco van Basten: ci riesce fino a quando l'olandese non s'inventa la magia realizzando il suo miglior gol in carriera con una conclusione al volo a pochi passi dalla linea di fondo campo.

Era un calciatore dal carattere tranquillo.

Carriera

Giocatore

Club

Dinamo Minsk

Ha giocato nella Dinamo Minsk dal 1981 e ha vinto il campionato dell'URSS la stagione seguente. Dopo nove stagioni a Minsk, il Genoa si accorda per acquistare il calciatore, sborsando 2,2 miliardi di lire e facendogli firmare un triennale: in realtà la società ligure aveva sbagliato, trattando con il SovinterSport mentre invece doveva iniziare la trattativa per Alejnikov direttamente con la Dinamo Minsk, secondo ciò che affermava il generale Syssoev, presidente di tutte le società "Dinamo" sovietiche. Nei giorni a seguire i contatti con i dirigenti della Dinamo Minsk si fanno sempre più flebili e nonostante si creda che l'affare con il Grifone sia già concluso, il 28 luglio 1989 Alejnikov arriva in Italia assieme a un dirigente della Dinamo, atterrando a Milano, dove anche il presidente del Genoa Aldo Spinelli lo stava aspettando; ad aspettarli invece c'è il presidente della Simod, società di calzature sportive che gestisce i cartellini dei calciatori della Dinamo Minsk, e i tre si dirigono con un aereo privato a Venezia. I dirigenti del Grifone, arrivati a Milano, scoprono che Alejnikov è diretto a Venezia ma ormai Spinelli non ne vuole sapere di raggiungerli. Dopo aver raggiunto Legnaro (Padova), sede della Dimod, società nata da un accordo tra la Simod e la Dinamo Mosca, si comincia a risolvere l'"intrigo Alejnikov": secondo il vicepresidente della Dimod, Paolo Sinigaglia (presidente della Simod), l'accordo di Spinelli con il SovinterSport - che gestiva tutte le azioni della Dinamo Mosca - è saltato perché da aprile il club sovietico è autonomo e lo stesso Spinelli era stato avvisato nelle settimane precedenti di ciò. Inoltre il prezzo del calciatore è salito e dall'offerta di Spinelli ($ 1,5 milioni, ingaggio compreso per tre anni), la società adesso chiede $ 3 milioni (circa 4,5 miliardi di lire). Alejnikov rimane in Italia fino al 30 luglio, ripartendo il giorno seguente per Minsk, dove gioca una sfida contro la Torpedo. L'indomani, 2 agosto 1989, la Dinamo Minsk si accorda con la Juventus per l'acquisto di Alejnikov, ufficializzato da Mosca il giorno dopo, per 4,2 miliardi di lire. L'accordo prevedeva anche che il calciatore potesse avere due auto della FIAT. Al suo arrivo la stampa lo ribattezza "il ragazzo di Gorki Park". A fine carriera il bielorusso rivela che essendo la Dinamo Minsk sotto il controllo del ministero dell'interno sovietico (come tutte le squadre denominate Dinamo), erano loro a decidere e Alejnikov stesso era un dipendente del ministero dell'interno, gli dissero di firmare il contratto con la Juventus e il giocatore firmò. Firma un triennale, con una clausola che prevedeva che se Alejnikov fosse stato ceduto dopo la prima stagione il club torinese avrebbe dovuto pagare un indennizzo. Alejnikov è uno dei primi calciatori sovietici a lasciare l'URSS per giocare all'estero e arrivando nel club bianconero rafforza il centrocampo.

Juventus
220px-Juventus_1989-90_-_Zavarov%2C_Barr
 
Alejnikov con gli altri due stranieri della Juventus per la stagione 1989-1990, il compagno di nazionale Zavarov (a sinistra) e il portoghese Rui Barros (al centro)

 

Dopo un buon precampionato, durante il quale comincia a intendersi con l'altro sovietico (di origine ucraina) Oleksandr Zavarov, inizia il campionato sottotono e alla prima giornata pareggia 1-1 in casa contro il Bologna, dimostrando subito di essere un calciatore lento, «legnoso e privo di idee» e facendo una prestazione insufficiente nella partita successiva, vinta contro il Taranto (2-1). In seguito alla vittoriosa trasferta in Polonia contro il Górnik Zabrze (0-1), sfida valida per la Coppa UEFA, i tifosi cominciano a fischiare Alejnikov. Dopo alcune giornate di campionato, i tifosi lo soprannominano Alentikov a causa della sua sorprendente lentezza. Dopo due mesi, è ancora in ritardo di condizione, dimostrando una scarsa forma fisica: le sue uniche prestazioni decenti nella prima parte di stagione arrivano nel successo ottenuto a Parigi contro il PSG (0-1), e nel ritorno giocato a Torino e vinto 2-1, in Coppa UEFA. Nel gennaio 1990 subisce un lieve infortunio, riprendendosi in pochi giorni. Il 22 ottobre 1989 firma il 3-2 che consente alla Juventus di battere in trasferta il Genoa, che lo stava per acquistare tre mesi prima. Contro l'Amburgo, sfida di andata dei quarti di finale di Coppa UEFA, Alejnikov è schierato da libero. Nel corso della stagione riesce a ottenere i favori di Zoff, che a fine stagione sa già di lasciare l'incarico, schierando il sovietico sempre titolare. Dopo essersi ambientato, riesce a esprimere al meglio il suo calcio, collezionando buone prestazioni contro Napoli (1-1), Karl-Marx-Stadt (0-1, Coppa UEFA), Fiorentina (2-2), Colonia (0-0, Coppa UEFA) e Milan (0-1). Verso la fine della stagione, dato che l'URSS si stava preparando per affrontare il campionato del mondo di Italia '90, gli è ordinato di risparmiarsi con il club, evitando troppi sforzi.

Dopo la prima finale di Coppa UEFA contro la Fiorentina (vinta 3-1), ammette che è stata la partita più violenta che il bielorusso abbia mai giocato: in questa sfida Alejnikov aveva il compito di marcare il centrocampista cecoslovacco Luboš Kubík. Durante la sfida di ritorno, è costretto, suo malgrado, a giocare da libero, essendo la quarta opzione nel ruolo dietro a Dario Bonetti (squalificato), Fortunato (indisponibile per infortunio) e Tricella (non recuperato completamente): giocando come libero, il ruolo di marcatore di Kubík è assegnato ad Angelo Alessio, riesce a disputare una buona partita, salvando anche un gol al 69'; il pareggio per 0-0 consente alla Juventus di vincere anche la Coppa UEFA.

 

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Alejnikov (a sinistra) e Tacconi con la Coppa UEFA vinta in bianconero nella stagione 1989-1990

 

A fine stagione vince la Coppa UEFA e la Coppa Italia nel 1990 giocando 50 incontri e segnando 3 gol, non riuscendo a integrarsi nella rosa nonostante non abbia problemi di ambientamento e deludendo le aspettative.

Con l'arrivo in panchina di Gigi Maifredi, inizialmente la Juventus vorrebbe ricorrere alla clausola che gli consentirebbe di rimandare il bielorusso alla Dinamo Minsk, ma nel luglio seguente il Lecce inizia una trattativa che si conclude nella prima settimana di agosto e che porta alla firma di Alejnikov, che si aggrega subito al ritiro del Lecce guidato dal tecnico Zbigniew Boniek. Passa al Lecce non sapendo nulla della trattativa, perché secondo lo stesso bielorusso, tutti i cartellini dei giocatori della Dinamo Minsk era gestiti da una società di Padova (la Simod, società che l'aveva anche portato in Italia nel luglio 1989, poco prima di firmare per la Juventus) che mandava i giocatori dove voleva e Alejnikov, così come altri calciatori sovietici, non avendo mai avuto un contratto professionistico (non esisteva in Unione Sovietica), non sapeva come comportarsi. In seguito, nel 1993, Maifredi si pentirà di aver ceduto Alejnikov, «impoverendo il centrocampo [della Juventus]».

Lecce

Il bielorusso è ingaggiato dal Lecce per la sua polivalenza tattica, potendo giocare sia da libero sia da difensore centrale, ruolo nel quale non si trova adeguatamente durante le prime partite della formazione salentina. Nell'aprile 1991 è protagonista di un episodio curioso: quando il tecnico Boniek gli ordina di andare a messa, il bielorusso e Pietro Paolo Virdis si rifiutano e per risposta il polacco offende entrambi pesantemente. Durante il suo periodo di militanza in Puglia, la federcalcio sovietica decide di denunciare il Lecce all'UEFA per aver concesso in ritardo Alejnikov che doveva giocare un incontro con la nazionale (contro l'Ungheria). Nonostante risulti anche decisivo in qualche partita, Alejnikov, come ammesso dallo stesso bielorusso dopo il ritiro, perde stimoli a Lecce. Dopo esser retrocessi in B nella prima stagione, il Lecce è contestato anche durante l'annata successiva, tant'è che nel febbraio 1992 le auto dell'allenatore e dei calciatori leccesi sono prese a sassate: a quella di Alejnikov vengono arrecati i maggiori danni dall'assalto. Nel giugno 1992, non riuscendo a conquistare la promozione in A nella seconda stagione, il contratto con il Lecce scade e il bielorusso si ritrova svincolato.

Giappone, Svezia e ritorno in Italia
220px-Serie_A_1990-91_-_Torino_vs_Lecce_
 
Alejnikov al Lecce nel 1990, mentre osserva un duello tra il compagno di squadra Virdis (al centro) e Vázquez del Torino (a sinistra)

 

Dopo aver trascorso un anno senza squadra restando a vivere a Lecce, nel luglio 1993 firma un biennale con i giapponesi del Gamba Osaka. Dopo un'esperienza nel campionato svedese con l'IK Oddevold nel 1996, nel luglio 1997 si accorda con il Corigliano-Schiavonea chiudendo la sua carriera calcistica in Calabria, in Serie D.

Il 17 settembre 1998 si è organizzato un incontro a Minsk per il suo addio al calcio giocato.

Nazionale

Ha giocato per l'Unione Sovietica, collezionando 73 presenze e 6 gol, dal 1984 al 1991, prendendo parte alla finale degli Europei 1988, persa contro i Paesi Bassi per 2-0, e 4 presenze nella Nazionale di calcio della Comunità degli Stati Indipendenti nel 1992. Ai tempi della Dinamo Minsk è riuscito a integrarsi molto bene nella nazionale sovietica, all'epoca formata per lo più da calciatori della Dinamo Kiev e guidata da Valerij Lobanovs'kyj, che riuscendo a usarlo in ogni zona del campo, lo convocava frequentemente. Inoltre ha guadagnato 4 presenze nella nazionale di calcio della Bielorussia dopo l'indipendenza di questo paese dall'URSS.

 

220px-Maradona-Alejnikov.jpg
 
Alejnikov (a destra) affronta Maradona nella sfida tra Argentina e Unione Sovietica al campionato del mondo 1990

 

Durante il periodo in nazionale, consegue spesso prestazioni sufficienti. Il 18 giugno 1988 realizza il primo gol nella sfida contro l'Inghilterra (3-1), andando a segno con un'azione personale al 3': fino al 19 giugno 2004, questo è uno dei gol più veloci alle qualificazioni degli Europei - assieme a quelli di Hristo Stoičkov in Bulgaria-Romania 1-0 del 1996, Alan Shearer in Inghilterra-Germania 1-1 del 1996 e Paul Scholes in Portogallo-Inghilterra 3-2 del 2000 -, quando il primato è superato da Dmitrij Kiričenko, che in Russia-Grecia (2-1) sigla il primo gol dopo 2'.

Nel novembre 2003 è stato insignito del titolo "Golden Player bielorusso" dalla Federazione calcistica bielorussa come miglior giocatore nazionale degli ultimi 50 anni.

Allenatore

Inizia la carriera d'allenatore ad Anagni, dimettendosi nel novembre 1998 dopo 11 giornate di campionato e 12 punti conquistati (ultimo posto in classifica), prima di allenare il Pontedera dal giugno 2000 (in Serie C2). In seguito guida anche l'FK Mosca e il Copertino. Durante la sua esperienza ad Anagni cerca di allacciare una collaborazione con la Lazio di Sergio Cragnotti, senza successo. Nel 1999 ottiene il patentino di seconda categoria a Coverciano, avendo la possibilità di allenare tra i professionisti. Dal 2005 al 2007 è stato allenatore nel settore giovanile della Juventus. Nella stagione 2007-2008 allena il NK Kras di Monrupino, ritornandoci nel 2011, dove approda anche il figlio ventenne Artur. Alejnikov è arrivato al Kras dopo aver conosciuto il presidente della società durante un corso a Coverciano. Alla guida della squadra il 13 maggio 2012, vincendo il campionato di Eccellenza, ha conquistato la promozione in serie D. Il 29 ottobre 2012 si dimette dall'incarico.

Nell'ottobre del 1999 l'amico e suo ex allenatore Zoff, all'epoca CT dell'Italia, lo convoca nella sede della FIGC per chiedergli consigli riguardo a una partita contro la Bielorussia.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Individuale

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Joined: 04-Apr-2006
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726295313_juve1989.png.0876e12259aaa778043a424a34abf3e5.png SERGEIJ  ALEYNIKOV

 

alejnikov%2B0.jpg

 

 

 

Un po’ Boniek e un po’ Goria – scrive Adalberto Scemma su “Hurrà Juventus” dell’ottobre 1989 –. Di Zibì ha i riccioli cespugliosi color carota; di Goria (Amedeo, naturalmente, quello della Ruta) ha il baffo pendulo in similpelle, il naso arguto a frangiflutti e il sorriso in missione speciale, un sorriso così veloce da consolidargli di colpo anche la fisionomia. Di suo, senza la presunzione del copyright, Sergej Alejnikov ci mette tutto il resto, compresi gli scampoli di curiosità sempre innescata. Curiosità per un mondo non soltanto calcistico che gli mostra l’altra faccia della sua luna. Curiosità, anche, per quelle vibrazioni nuove che lo carezzano sottili; e che dovrà ascoltare e catalogare con pazienza e con cura, senza fretta, per non correre i rischi di Sasha, per non interrompere il filo nevrile della sintonia.
Ma non sembra il tipo Sergej Alejnikov, da lasciarsi impressionare dalle novità, neppure da quelle così improvvise da rischiare – come la chiamata della Juve – di stravolgere il giro consueto di un’esistenza già consolidata in chiave di serena gestione dell’ordinario: il presente di calciatore di Stato, con i benefici annessi e connessi, e il futuro di insegnante di educazione fisica o magari di colonnello, considerando la carriera di riflesso nell’esercito. Di paura, infatti, nemmeno l’ombra. «Ho esperienza da vendere», ha dichiarato a Novogorsk proprio alla vigilia del festoso, commovente omaggio a Lev Jascin, «e questo alla Juve non è certo un salto nel buio. Ho giocato in Messico, al Campionato del Mondo, e anche in Germania agli Europei. Il mio atteggiamento nei confronti del lavoro che svolgo non cambierà: ce l’ho sempre messa tutta, stiano tranquilli i tifosi, e continuerò su questa strada. L’ambientamento, le difficoltà, gli errori inevitabili: nel conto ci metto un po’ di tutto. Ma non sono questi i veri ostacoli. I problemi nascono quando nella testa di un calciatore si inceppa la macchina che fabbrica gli stimoli, quando si blocca il flusso della motivazione. Non è il mio caso. Io vado a Torino per vincere e per farmi ricordare: non voglio passare inosservato. E poi le prove impegnative mi stimolano, sono una scommessa continua. Credo di essere un giocatore nell’anima: è questo il mio temperamento».
Un tipo deciso, Sergej, con un’arma segreta, quella della modestia, sempre a portata di mano. Ma è una modestia in esibizione controllata, la sua: frutto del pragmatismo, quindi reale, più che del retaggio di un’educazione fuorviante. «Il futuro», sottolinea, «mi incute rispetto ma non paura. Come potrebbe essere diversamente? Non sono un fenomeno, nessuno deve pensare a me come a un fuoriclasse, eppure gioco ad alto livello da una decina d’anni; ne ho viste e passate di tutti i colori. Per dire che uno ha esperienza, a Minsk si usa una frase che da voi fa sorridere: “Ha mangiato un pud di sale”. Il pud è una misura nostra, corrisponde a sedici chili, quindi è un bel mangiare. Ebbene: il mio pud è già in archivio, non possono più tremarmi le ginocchia».
È stato Stefano Bizzotto, bolzanino della «rosea», tedesco e inglese parlati a raffica, il primo ad allacciare un ponte telefonico con Sergej a Minsk: da allora, l’atteggiamento di questo russo dall’inesauribile carica umana nei confronti del calcio e della vita non è cambiato. Le parole di quella prima intervista «di getto» si profilano senza mutamenti di rotta in tandem con quelle che pronuncia oggi, a esperienza italiana gradualmente maturata e a comprensibili traumi da ambientamento già filtrati con disinvoltura. Come dire che la chiave di lettura, al di là dell’imprescindibile simpatia istintiva, rimane pur sempre la freddezza, o quantomeno una ammirevole capacità di autocontrollo.
A incidere, naturalmente, c’è anche la naturale adattabilità degli slavi alle situazioni nuove. Sasha Zavarov è un ucraino, popolo semplice, privo di spigoli, ma Sergej Alejnikov è di razza soltanto in apparenza affine e in realtà molto più corsara, corroborata nelle sue componenti di inventiva e di fantasia da una vistosa e duratura presenza dal XIII secolo agli albori del ‘700 dei polacchi e dei lituani. La Bielorussia, o Russia Bianca, ha subito nei secoli successivi spartizioni costanti e ha patito senza patirlo il giogo dei russi di Mosca e di Kiev (così raccontano gli annali quella storia sovietica) finendo poi per assestarsi nell’attuale configurazione geografica soltanto settant’anni fa. La sua gente ha il calore dei russi, la loro voglia di cantare, e ha quel grano di follia che è quasi una costante nei polacchi e nei lituani piazzati e spiazzati (quasi una regola i mutamenti territoriali) al di là del confine.
Bene al di qua del confine, proprio al centro della Bielorussia, c’è invece Minsk, la città di Sergej Alejnikov. Un milione e mezzo di abitanti, un’impronta ormai più industriale che agricola, una vaga (ma per Sergej fondamentale) somiglianza con Torino. E la Dora Riparia? C`è il fiume Svisloc che ha un andamento sinuoso e che carezza Minsk con tutte e due le sponde. Con un po’ di fantasia ci si può immaginare persino il Valentino. Ma quale sarà, per Sergej, l’immagine traditrice capace di riproporgli lo Svisloc e la nostalgia?
La nostalgia, nei primi giorni torinesi, si chiamava soprattutto Natasha, la moglie dolce e cara, e Artiom, il piccolino, due anni e mezzo soltanto, tetragono a quelle sollecitazioni calcistiche cui gli Alejnikov sembrano incapaci di resistere. «Gioca a calcio», dice Sergej, «anche il minore dei miei fratelli, Anatoly. Ha vent’anni e veste naturalmente la maglia della Dinamo Minsk. Gli altri giocano per hobby, non hanno avuto la fortuna di incontrare un maestro come Oleg Michailovich Basarnov: gli devo molto, è stato lui, alla scuola di calcio numero cinque, il “Djussh 5”, a insegnarmi tutto quello che c’era da insegnare a un giovane; La mia carriera? Dal “Djussh 5” alla Burevetsnik, la squadra della mia scuola, e poi alla Dinamo. Qui ho trovato Eduard Malofeev, un grande tecnico, e ho vinto uno scudetto».
È stato Malofeev, stimatissimo in patria, famoso all’estero soltanto perché venne cacciato alla vigilia dei Mondiali messicani per far posto a Lobanovski, a trasformare Alejnikov da attaccante in centrocampista d’attacco e poi in regista difensivo: il primo passo concreto in direzione delle teorie poi propugnate da Lobanovski, latore di un’ideologia calcistica che privilegia l’atleta “universale” nei confronti del fuoriclasse iperspecializzato. E non è casuale, forse, l’insistenza con cui Lobanovski avrebbe continuato a chiamare Sergej in Nazionale: Dasaev dello Spartak e Alejnikov della Dinamo Minsk sono stati gli unici, dai Mondiali del Messico in poi, a perforare il blocco apparentemente inalterabile della Dinamo Kiev.
«In Nazionale», osserva Sergej, «sono già in “zona Netto”. È una zona prestigiosa, un club riservato. Ne fanno parte tutti coloro che, come il grande Igor, hanno superato le cinquanta presenze. Sono stato il diciassettesimo giocatore sovietico, per la cronaca, a raggiungere questo traguardo: ho tagliato il filo l’anno scorso, 19 ottobre, partita di qualificazione mondiale contro l’Austria. Il mio debutto? Quattro anni e mezzo prima a Hannover: vinsero i tedeschi per 2 a 1 con una rete di Brehme proprio all’ultimo minuto. Ma avrò tutto il tempo, qui in Italia; di restituire a Brehme quel “favore”. Non sono un goleador, però non c’è stato un anno che mi abbia visto all’asciutto. In 220 partite di Serie A ho messo a segno 31 reti, le ultime due in questo campionato. Il mio top? Otto bersagli nell’82, l’anno dello scudetto vinto con la Dinamo. Ma giocavo ancora da attaccante, segnare era abbastanza normale».
C’è una frase che Sergej ha pronunciato prima ancora di mettere piede a Torino e che Emanuele Novazio, il corrispondente de La Stampa da Mosca, ha puntualmente registrato: una frase che la dice lunga sul suo pensiero. «Il calcio in Italia è più che uno sport, è un tipo d’arte senza la quale non si può immaginare l’Italia». Semplicissima, d’accordo, ma non semplicistica, se la analizziamo con attenzione.
Perché a parlare di arte, riferendola al calcio, non è un artista del pallone, un fantasista alla Maradona o (se volete) alla Zavarov, ma un giocatore duttile che si autodefinisce «gregario». Ed è proprio questa sorta di rispetto per un mondo e per un ambiente da affrontare in umiltà ma «senza paura» a qualificare il carattere e la sensibilità dell’uomo. «Vorrei guadagnare soldi», dice ridendo Sergej, «ma anche tifosi. Tanti, come quelli che ho lasciato a Minsk e che ritroverò tra tre anni con un altro “pud” di sale nel mio magazzino privato. Chiedo troppo? Spero di no. Nella mia carriera ho sempre corso molto, non ho mai avuto paura di faticare, conosco l’abitudine al sacrificio. Ho grande volontà e tecnica discreta, però non aspettatevi tutto e subito. Io vi conquisterò a poco a poco».
L’ammirazione di Sergej, dichiarata, è per Van Basten («Il migliore del mondo, in questo momento») e per Gullit («Deve guarire presto: il confronto diretto con lui mi affascina»). Voglia di rivincita dopo la scoppola di Monaco agli Europei? Sergej dice di no. «Perdemmo dall’Olanda meritatamente ma Van Basten, visto che lo marcavo io, ebbe una fortuna sfacciata, pescò l’asso…».
Il tempo per voltarsi indietro, oggi come oggi, non c’è davvero. Il presente di Alejnikov è così infittito di avvenimenti da spingerne qualcuno verso il futuro, come in una giostra gioiosa. Dalla Ziguli settimo modello («Un gioiellino, non le manca niente») alla Thema 16 valvole, dall’appartamento di Gorki Park alla villetta in collina, dal milione e mezzo al mese ai 200 e passa milioni all’anno: ce n’è abbastanza perché sia necessario toccare impercettibilmente il freno. Dal 12 agosto, prima giornata juventina, a oggi, le ore sono filate così veloci da offrire un ricordo «blocco unico». Il momento indimenticabile? Il primo: l’impatto con il povero, stupendo Gaetano Scirea e Alberto Refrigeri, maestri di cerimonia, e con i tifosi dello Juventus Club Augusta Taurinorum. C’è una foto di Alejnikov nell’atto di stappare una bottiglia di champagne, con la sciarpa bianconera al collo e un gran sorriso sulle labbra. Il tappo è saltato con un gran botto ma a portare fortuna è stato soprattutto il sorriso di Sergej. Contagioso. Coinvolgente. Calibrato. La sintonia con Sasha Zavarov? Calibrata anche quella. Ride Sasha e piangono gli avversari, proprio come ha promesso Sergej. Alè-gria. Con una elle sola. In deroga.
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Non è certamente un fuoriclasse, Sergej, ma un buon giocatore, abbastanza dotato tecnicamente molto intelligente dal punto di vista tattico. Viene schierato da Zoff, come centrocampista davanti alla difesa, anche se in carriera ha giocato anche come difensore centrale, come in occasione della finalissima del Campionato Europeo del 1988 nella quale, mancando i difensori titolari Bessonov e Kutnetsov, gli tocca l’improbo compito di marcare Marco Van Basten.
Con la squadra bianconera, disputa 49 presenze, mettendo a segno 3 gol, contribuendo in modo determinante alla conquista della Coppa Italia e della Coppa Uefa. La stagione successiva, con l’arrivo di Maifredi, è ceduto al Lecce, dove giocherà con il futuro capitano juventino, allora giovanissimo, Antonio Conte.
 
GAETANO MOCCIARO, TUTTOJUVE.COM DEL 5 APRILE 2012
L’ex centrocampista bianconero Sergej Alejnikov apre i cassetti della memoria raccontando la sua esperienza alla Juve e le vicissitudini che lo portarono al trasferimento a Torino prima e a Lecce poi, facendo un paragone col calcio dell’epoca e quello attuale.
– Innanzitutto cosa sta facendo adesso?
«Alleno il Kras, squadra di Eccellenza del Friuli-Venezia Giulia. È un ritorno, il mio, dopo esservi arrivato 4 anni fa e quest’anno in squadra c’è anche mio figlio Artur, classe 1991, che gioca un po’ come giocavo io anche se con caratteristiche più offensive».
– Com’è arrivato ad allenare il Kras?
«Come nella vita molte cose avvengono casualmente. Quando facevo il Corso Master a Coverciano ho conosciuto il presidente del Kras e abbiamo parlato un po’. Abbiamo deciso di provare a lavorare insieme, questo 4 anni fa. La società era giovane ed io come allenatore pure, essendo freschissimo di Coverciano. Comunque l’impatto fu positivo e siamo rimasti amici anche quando il rapporto è terminato. Poi ci siamo risentiti e quest’anno eccomi di nuovo al timone della squadra».
– Lei è stato uno dei primissimi sovietici a lasciare il proprio paese per giocare all’estero. Era così difficile per voi pionieri avventurarsi in una nuova realtà?
«Il discorso secondo me va spostato non tanto sul fatto che eravamo i primi a giocare fuori, perché se guardi bene anche oggi gente come Pavljucenko o Arsavin è tornata indietro dopo essere stata in Inghilterra. È una questione di carattere. Io ad esempio giocavo nella Nazionale sovietica da 8 anni e ho avuto possibilità di viaggiare e vedere i paesi. Eravamo spesso a Coverciano, stavamo in ritiro e in qualche modo avevo già conosciuto l’Italia. Perciò non ho mai avuto problemi di ambientamento».
– Non tutti sanno che in realtà in Italia non l’ha portata la Juventus ma un’altra società.
«Esatto, è stato il Genoa a portarmi in Italia. All’epoca il professor Scoglio mi voleva nella sua squadra, sono arrivato a Genova per cominciare a discutere il contratto. Mentre aspettavamo i dirigenti per chiudere è intervenuta la Juve. E la storia è cambiata».
– Insomma, un tradimento nei confronti del Genoa.
«Non direi, perché hanno fatto tutto i dirigenti della mia ex squadra, la Dinamo Minsk. Anche se la situazione era ben più complessa, perché in Unione Sovietica la situazione era particolare. In pratica la Dinamo Minsk, come tutte le squadre denominate Dinamo erano sotto il Ministero dell’Interno, perciò qualsiasi cosa doveva passare da Mosca. Non c’erano le squadre professionistiche ed io stesso ero dipendente del Ministero dell’Interno. Erano loro a decidere, mi hanno detto: domani si chiude il mercato, firma qui. Ed io ho firmato».
– Era il 1989. Un anno alla Juve che ha portato una vittoria in Coppa Italia e Coppa Uefa. Insomma, non male.
«In realtà è andata male. Ho saputo che avevo firmato un contratto di 3 anni, poi seppi che dopo un anno se la Juve non mi voleva più, c’era una clausola nella quale doveva pagare un indennizzo. In ogni caso non era certo la mia intenzione, dopo aver vinto 2 trofei al primo anno, di andarmene. Per quale motivo avrei dovuto? Anche Zoff fu mandato via dopo quello che aveva fatto. Dico io: vinci 2 coppe e anziché rinforzarti mandi via quasi tutti?».
– Cosa successe?
«Io posso parlare per me. Non sapevo niente del fatto che sarei andato a fine stagione al Lecce. Mi gestiva una società di Padova che controllava i cartellini dei giocatori che erano all’epoca alla Dinamo e li piazzava dove voleva. Io come molti altri sovietici non avendo mai avuto un contratto prima d’ora non sapevamo come funzionasse, non conoscevamo i nostri diritti».
– Parlando di calcio giocato che ricordi le ha lasciato l’esperienza alla Juve?
«Come il primo amore. Nel bene o nel male ti resta nel cuore. Ho trovato persone squisite, su tutti Gaetano Scirea che mi stette vicino durante i miei primi giorni. È stato importantissimo nell’aiutarmi a inserirmi nella squadra. Ho conosciuto la moglie e il figlio che ogni tanto sento ancora».
– A differenza sua il connazionale Zavarov non si ambientò. Perché?
«Non voglio entrare troppo nello specifico, certamente il problema è stato di tipo caratteriale. E poi i giornalisti sono in grado di portare un giocatore tanto in alto quanto in basso. Nel senso che se vedono un giocatore che finito l’allenamento scappa subito a casa e lo fa una volta, lasciano passare. Poi, lo rifà la seconda, la terza, la quarta e allora cominciano a ricamarci su. Il punto è che bisogna distinguere l’uomo dal calciatore e come calciatore su Zavarov penso non ci sia molto su cui discutere».
– Forse le aspettative su di lui erano alte, per questo ha suscitato clamore.
«Vero anche questo, ma d’altronde doveva sostituire un mito come Michel Platini ed era una cosa davvero difficile».
– Lei l’ha più sentito?
«Pochissime volte, da quando ha lasciato la Francia, che è stata la sua tappa successiva all’Italia, è tornato in Ucraina. Mi capita di rivederlo per qualche partita di beneficienza. Il rapporto fra noi è molto buono e adesso so che si occupa dell’organizzazione degli Europei del 2012».
– Meglio Torino o Lecce?
«Dal punto di vista calcistico passando dalla Juve al Lecce ci ho rimesso ma dal punto di vista umano nel Salento mi sono trovato benissimo, è un posto stupendo».
– È più tornato a Torino? Possiamo definirla italiano, ormai.
«Quando mi capita vengo spesso alla Juve, anche perché c’è mio figlio. Più che italiano sono cosmopolita. Oltre all’Italia ho visto altri paesi, come il Giappone, dove vi ho giocato 4 anni, o la Svezia. Mi spiace solo non essere stato negli Stati Uniti».
– Rispetto ai suoi tempi che differenze trova nel calcio?
«Vedo un calcio malato. Purtroppo prevalgono i soldi, gli interessi. E poi non per caso succedono casini, come quello delle scommesse. Ai miei tempi allo stadio vedevi tante persone, genitori con i figli, un’atmosfera diversa. Ora c’è paura ad andare allo stadio e si guarda la partita in TV».
– Il nuovo stadio della Juve ha dato una spinta importante nel riportare la gente allo stadio.
«Ed è questa la cosa più importante. Se poi arriva anche il business non c’è niente di male. Ma l’importante, per il bene del calcio, è che si riempiano di nuovo gli stadi».
 
Modificato da Socrates

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Juventus, Aleinikov a ISP: “Dirigenza fatto errori: CR7 senza coppa e sulla  vecchia guardia…” - ITA Sport Press

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