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Bradipo76

Addio Oliviero: è morto Beha

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Joined: 19-Jul-2006
3427 messaggi

R.I.P.

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Joined: 18-Jul-2006
19351 messaggi

mi spiace per lui , per la famiglia , e soprattutto per il trattamento non troppo felice che aveva avuto , dalla massa , ha  sempre gradito il calcio pulito e fatto di tutto per ricercare la verità indipendentemente da chi potesse colpire

 

un giornalista vero

 

mi spiace davvero 

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Joined: 15-Feb-2008
22478 messaggi
 
Grande giornalista.
Grande uomo.
Tifoso viola, sportivo vero, mente limpida e lucidissima che volava alta sul degrado del giornalismo italiano.
 
Ci mancherai anima nobile.
Addio Oliviero.

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Joined: 07-May-2007
4450 messaggi

Tifoso viola ma sportivo e schietto per questo è stato emarginato dagli altri ipocriti falsi e ruffiani . 

 

R.I.P

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Joined: 04-Jan-2007
36426 messaggi

No c**** era uno dei pochi giornalisti non juventini lucidi nelle analisi

 

 

Ulteriore motivo x dispiacermi oltre il lato umano

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Joined: 26-Jul-2006
3487 messaggi

Ce ne fossero stati molti come Lui, il calcio avrebbe anche potuto essere diverso e soprattutto migliore..Purtroppo invece, era la classica "mosca bianca".A Lui ed alla Famiglia ,il mio più rispettoso

e commosso ricordo.

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Joined: 06-Aug-2016
12069 messaggi

Non era un giornalista, se il metro è quello attuale. No non lo era..

Era un uomo a cui piaceva scoprire come era andata veramente...Molto più quindi di un giornalista...

Mancherà e pure tanto...e quando una persona ti mancherà vuol dire che un segno lo ha lasciato. Che riposi in pace...

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Joined: 25-Jan-2012
31462 messaggi

un ottimo giornalista

 

riposi in pace

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Joined: 29-Oct-2009
14410 messaggi

Ci sono rimasto di sasso
Mi spiace davvero.
È stata una notizia che mi ha gelato il sangue.
Maledetta malattia bastarda , ti porta via sempre più presto.

Riposi in pace

Inviato dal mio GT-I9195 utilizzando Tapatalk

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Joined: 14-Aug-2008
7363 messaggi

un grande. obiettivo e pungente.

rip grande Oliviero

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Joined: 14-May-2007
11984 messaggi

Troppo giovane per andare via, dispiace 

Per il resto avete detto tutto voi 

 

 

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Joined: 06-May-2011
13571 messaggi

Perdiamo una delle pochissime voci, forse l'unica, di controinformazione intellettualmente pungente e perspicace sul caso Calciopoli. 

 

Mi spiace veramente tanto, ma noi juventini abbiamo imparato ad apprezzarlo, e lascerà un ottimo ricordo tra di noi. Per le nostre parti è stato come un grande generale e stratega nella guerra più difficile e logorante.

 

Anche per questo è stato epurato da tutte le trasmissioni con una certa rilevanza mediatica. L'essere lucidi e onesti con se' stessi in questo Paese non paga, anzi ti devasta.

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Mi spiace davvero che il mio ultimo commento in vita di Oliviero Beha sia stato un po' sprezzante nei suoi confronti.

Che la terra ti sia lieve!

 

2017-05-14_FATTO_ADDIO_OLIVIERO_CHE_LA_TERRA_TI_SIA_LIEVE.png

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Joined: 20-Jul-2006
2170 messaggi

Ma non ci credo, così all'improvviso...

 

RIP :(

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Joined: 19-Aug-2008
10636 messaggi
1 hour ago, CuoreBN said:

Tifoso viola ma sportivo e schietto per questo è stato emarginato dagli altri ipocriti falsi e ruffiani . 

 

R.I.P

preferisco il tifoso viola che fa il suo mestiere di giornalista con obiettività a quello che si spaccia juventino ma ci butta M***A addosso. Mi dispiace per lui.

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Joined: 30-Aug-2008
3478 messaggi

Mosca bianca. Unico. Mi dispiace veramente tanto. Rest in Peace.

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Joined: 24-Oct-2006
11257 messaggi
Inviato (modificato)

Devo fare i miei più sentiti complimenti ai moderatori del forum, che hanno deciso di lasciare questo topic aperto addirittura nel forum principale. E' un bel gesto. Davvero. Grazie. 

 

E' un grande segno di riconoscimento verso un Giornalista che ha fatto il suo lavoro onestamente e liberamente, e che pur essendo un tifoso viola ha saputo mantenere l'equilibrio necessario per capire, discutere e diffondere la verità sul calciopoli. E non solo, ne ha pagato anche le conseguenze di persona al TG3, da dove fu allontanato per ciò che di scomodo diceva.

E vi dirò di più, ha partecipato con delle riflessioni interessantissime al film su calciopoli - Nel Paese di Giralaruota - (a chi interessa saperne di più, o ne vuole una copia, o che ne so... contatti il regista Stefano Grossi attraverso Facebook). E ha anche dato la sua disponibilità, previa conoscenza della data e della location, e compatibilmente ai suoi impegni già presi in precedenza, a partecipare ai dibattiti ad eventuali proiezioni in giro per l'Italia del film. Gli interessava molto che la nostra verità fosse diffusa. Aveva un forte senso civico, per lui non era tanto una questione di calcio. La pensava quindi proprio come me (io però sono molto di parte, e quindi qualche limite mio probabilmente ce l'ho). 

 

 

PS

L'ho conosciuto una volta ad un convegno (il tema non lo ricordo più), che fu palesemente boicottato sul più bello da una università (che spostò all'improvviso aula, data, ecc, per creare un bel po' di confusione).

Infatti alla fine dei vari pasticci gli spettatori erano tre in tutto. Io e altre due persone. 

Disse le cose che doveva dire, e fece quello che doveva fare, senza nessun tipo di snobismo da numero di presenze. 3-30-300-3000 per lui era uguale. Rispose alle nostre domande, fu gentile e disponibilissimo, senza fretta da cena o treno improvviso. 

Ne conserverò sempre un bel ricordo. Era una persona seria, da quello che ho potuto vedere. 

E' davvero un brutta notizia per noi questa. Se mai un giorno, appena sbarcati gli alieni sulla terra, dovessimo avere giustizia, dovremo avere la forza di ricordarci di lui, come dell'utente BASILEA84, o di tutti quegli utenti che magari stanno benissimo ma hanno abbandonato il web gobbo per resa e stanchezza. Hanno combattuto con noi mille battaglie, e quel po' di verità che si è riusciti a diffondere, è anche grazie a loro. 

Oliviero, lo so, non era un'utente, ma era uno di noi. Senza saperlo, non nella forma, ma nella sostanza, era uno di noi. 

 

Grazie Oli, davvero grazie di tutto. 

RIP

Modificato da CRAZEOLOGY
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Joined: 24-Oct-2006
11257 messaggi

Non riesco a dormire, è quasi mattina, e giro su internet come un ladro nella notte. 

Vado sul sito dagospia, e mi trovo il saluto a Beha. E dentro un estratto di un suo libro che racchiude tante tante cose vere, che non si leggono mai da nessuna parte.

Quello che, a torto o a ragione, pensano in tanti (io per primo). 

E' un po' lungo e dialetticamente complesso, ma ne vale la pena leggerlo. 

 

.read  

 

Estratto del libro “Mio nipote nella giungla” di Oliviero Beha

 

Si diventa solo ciò che si è. Per la stampa come categoria è tutto molto legato alle note precedenti sulla parola scomparsa, il pensiero digitale e la libertà inesistente, che insieme costituiscono, almeno in teoria, la sua «materia prima»: con il paradosso, tendenzialmente ridicolo, che mentre il paesaggio si fa sempre più arido anche se travestito da giungla, fioccano i corsi privati di «giornalismo d’inchiesta», magari con buffet incluso.

 

Si paga per avere un’idea più o meno precisa e intellettualmente onesta di quello che non ti faranno fare se non ti vendi. E per vendersi ci sono forme e progressioni variabili, non è difficile immedesimarsi in questa deriva. Perciò, e a titolo solo esemplificativo, le polemiche sulla Rai, massima azienda nazionale di comunicazione pubblica, sulla carta, in realtà privatizzata per bande, sono risibili alla radice. È prevista così dal sistema di cui parlo.

 

Naturalmente la gran parte degli aspiranti futuri giornalisti intende il mestiere esattamente come chiunque altro oggi, dai medici a scalare, una maniera per far soldi e solleticare il proprio narcisismo grazie alla visibilità e alla notorietà, a qualunque prezzo. E «questo» giornalismo fa il possibile per scivolare giù lungo il piano inclinato della giungla facendosela piacere, contribuendo a renderla sempre meno attraversabile e spingendola così sempre più in basso. Una discesa di cui non si vede la fine.

Ma fate questo discorso a qualunque direttore, di tg, gr o giornali, o ai sindacati relativi: sarà come parlargli degli ufo. Lo sanno benissimo ma non vogliono saperlo. Non vogliono che glielo si ricordi, altrimenti per salvare la faccia dovrebbero o uscire dal mercato truccato o riconoscersi pubblicamente come correi del sistema guasto italiano. Anche qui parlo per esperienza personale al quadrato.

 

Come dimenticare le «messe cantate» di Eugenio Scalfari, fondatore e direttore de «la Repubblica», un giornale nato per fare opinione in un momento storico decisivo come i secondi anni Settanta, tra terrorismo interno, politica di volta in volta in composizione democristian-comunista e scomposizione a sinistra, e la tv d’abord? Con la convinzione dello ieratico timoniere di poter così influenzare il potere politico nelle sue varie declinazioni, di ogni livello del quale il per noi familiare «Barbapapà» si sentiva un gradino più in alto.

 

Sinistra radical-chic, si diceva. Era vero. E comunque allora si ragionava, pur con la puzza sotto il naso di fronte a una realtà maleodorante, avendo come contraltare il naso di Montanelli dichiaratamente turato al momento di votare per la Dc, con Moro neppure tanto contrapposto a un’opposizione di sinistra in nome di un Paese più armonico, tanto da pagare le sue scelte e il suo impegno con la vita. E lo spessore di editorialisti e cronisti era ragguardevole, specie di quelli già non più di primo pelo.

 

Forse era tutto finto, ma lo ammetto: ci o mi sembrava che qualche spallatina al «sistema», già solidamente in atto, la si desse. Pur in mezzo alle contraddizioni e alle nebbie, alla zona grigia in cui il sistema summenzionato prosperava, certo.

 

Curiosamente, ricordo con chiarezza che una volta, nella primavera del 1982, mi chiamò l’augusto direttore, più intelligente che colto, più cinico che malevolo, di una profondità d’ingegno meravigliosamente superficiale, mentre mi trovavo in Perù per pezzi di giornalismo di costume, più o meno sportivo. Mi chiese di informarmi sul macroscopico scandalo internazionale Sindona-Calvi- Banco Ambrosiano-Gelli eccetera, allora in grande spolvero: se non ricordo male c’era una succursale di credito a Lima che poteva saperne qualcosa.

Brutta storia, più nera del nero, con massoni, Mafia e politica alla ribalta attraverso faccendieri coinvolti prima e dopo nei misteri italiani più intrinseci al sistema di cui parlo, come Francesco Pazienza e Flavio Carboni, «grembiulino» anch’egli oltre che sodale libertino (con qualche affare in comune di mezzo) del principe Carlo Caracciolo, cofondatore de «la Repubblica».

 

Storia finita, si fa per dire, con quello che incredibilmente all’inizio fu archiviato dagli inquirenti come suicidio di Roberto Calvi, «autoimpiccatosi» sotto il Ponte dei Frati Neri, a Londra, nel giugno di quell’anno. Un pasticcione con risvolti tenebrosi che coinvolgeva nell’habitat italiano già marcio a sufficienza anche un boss del Vaticano come l’arcivescovo Paul Marcinkus…

 

A oggi, dopo vari processi contradditori, la giustizia non ha individuato nessun colpevole, mutando solo in omaggio all’evidenza il suicidio in omicidio, senza un nome né per il sicario né per il mandante. A distanza di oltre un quarto di secolo non trovate qualche «affinità elettiva» tra quell’omicidio sul Tamigi, acclarato come tale ma ancora oscuro, e il «suicidio» nel 2013 di David Rossi, responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, subito archiviato così dalla procura? Era stranamente precipitato da una finestra mentre scoppiava lo scandalo della più antica banca italiana e del mondo.

Qualcosa più di una banca, ahimè, che aveva distribuito denaro in gran quantità senza controlli né della Consob (altra Autorità, indipendente a parole, rientrante nella solita giostra) né della politica da cui dipendeva e che finanziava, con in testa da sempre il Pci e poi ex Pci fino a ieri. Un coacervo di interessi imprenditorial-finanziari di stampo prevalentemente massonico, dentro, fino al collo e anche oltre, al sistema avanzato di corruzione intrecciata che da qualche pagina vado cercando di mettere a fuoco, fotografando e zoomando la giungla dove il machete non basta, e ci vorrebbe forse il napalm.

Ma l’opinione pubblica ha dimenticato o rimosso il caso Calvi e gli addetti ai lavori di qualunque settore di magistratura giornalistica non sembrano disperarsi per questo buco di verità. Che succederà per Rossi adesso, in un sistema ancora più marcio ma 2.0, con tutte le variabili di internet, e un filmato colmo di dubbi rispuntato tre anni dopo? Interessante, vero? Ma non è ancora più interessante se giustapposto come tessera alle altre in un mosaico terribile?

Comunque, dall’epoca di Sindona & banditi a oggi è successo qualcosa di molto significativo, sia alla magistratura che al giornalismo. In peggio, rassicuratevi… E il Mowgli di mia competenza ha di che scuotere il capino. Nel ventennio, definito complessivamente berlusconiano anche con qualche intromissione prodiana oggettivamente «complementare» o «compromissoria» all’interno del sistema sempre più guasto, l’antinomia politica-giustizia è arrivata al suo diapason. Facendo credere a un popolino esterno a questo sistema, magari distratto e rassegnato nonché opportunisticamente tifoso di una delle due parti in un derby da toni grotteschi e cronache boccaccesche, che «questo» fosse il problema.

 

Ossia un tycoon d’estrazione affaristico-mafiosa sceso in politica per salvare le sue aziende e poi funzionale a una parte dell’apparato, e una magistratura inquirente e giudicante che, soprattutto dopo la stagione di Mani pulite, aveva preso forza e qualche volta barlumi di autonomia. Di certo tale ventennio ha fornito alle due parti un alibi gigantesco, una specie di grattacielo modello Dubai: a Berlusconi è servito per fare la vittima di una giustizia «politicizzata» a sinistra (ovviamente solo quando gli dava torto), alla magistratura per far passare l’idea che essa fosse sotto attacco della politica, intesa complessivamente, in quanto accusata di tentare di sostituirla in qualche modo.

 

Ci sono magari particelle di verità in tutto ciò. Ma è un fatto che il grattacielo/alibi ha creato le condizioni perché non si vedesse abbastanza chiaramente quanto fosse degradata la politica di ogni colore o sedicente schieramento, e soprattutto quanto fosse malata, come la sanità o la scuola, anche la giustizia italiana. Che purtroppo fa parte, o ne dà l’impressione quasi sempre confermata dai fatti, dello stesso sistema che dovrebbe combattere.

 

Dipende dalla politica, direttamente per nomina o per vie traverse, a partire dal Consiglio superiore della magistratura, a scalare per tutto quello che la riguarda. Così che è da un pezzo acquisito come «normale» che tra magistratura e politica ci sia un’osmosi elettorale e istituzionale, con grave danno di immagine e sostanza, di fraintendimento e strumentalizzazione, per entrambe le classi duellanti. Che invece rispettando Montesquieu dovrebbero essere due poteri autonomi, il giudiziario e il legislativo.

 

Nella stragrande maggioranza dei luoghi e dei livelli, poi, la giustizia penale, quella civile e amministrativa sono lizze sospette in cui la dizione «la legge è uguale per tutti» fa ormai sorridere, nel senso di piangere lacrime amare, senza alcuna uniformità né tantomeno certezza del diritto, il che nebulizza anche solo il più vago concetto di difesa della legalità, dove manca tutto: il rispetto tra le parti, il personale sufficiente nei tribunali, la fiducia che la legge sia uguale per tutti.

 

 

Non lo è, e purtroppo ormai si sa. Ed è scesa come nel resto, nella sanità, nella scuola, nell’informazione, la qualità media dei magistrati, obnubilati dall’onnipotenza e garantiti dall’avanzamento di carriera non per merito bensì per anzianità.

 

Quindi, a eccezione di pochi di loro, inquirenti e giudicanti, degni di stima e ammirazione, capaci di tenere separato il lavoro dalla loro idea politica o di società, quello della magistratura è un ambiente malsano come il sistema intricato nel quale in qualche modo è inserito.

 

Ed è malato il rapporto del cittadino con la giustizia, anche senza ricordare la cronaca nera, che ci riserva frequentissime notizie sul coinvolgimento di magistrati in qualche scandalo.

 

Nell’antinomia politica-giustizia sub specie berlusconiana naturalmente i media sono stati molto presenti, schierati a grandi linee con l’una o con l’altra. Ma anche in questa parte di magistratura giornalistica, compenetrazione di notizie e diffusione delle stesse, mentre i magistrati tendevano sempre più spesso alla visibilità, in oltre trent’anni, da Calvi in poi, è successo qualcosa. Intendo la concentrazione sempre maggiore delle testate di stampa, fino alle più recenti fusioni all’ombra del Caimano di sinistra, De Benedetti, omologo di Berlusconi ma autosistematosi dalla parte meno «sputtanata». All’apparenza.

Non bastavano le tradizionali proprietà editoriali largamente maggioritarie nel mercato truccato – «impure» da sempre, cioè use ad acquisire e poi sfruttare i propri mezzi di comunicazione per favorire affari in altri settori di loro competenza, dall’edilizia alla farmaceutica a tutti i gangli industriali più delicati e importanti del Paese – benedette dalla politica. Con le ultime aggregazioni non si capisce bene quanto manchi a un unico, magari apparentemente frastagliato padrone, certo di garanzia per «la libertà di stampa»…

 

Così che le organizzazioni criminali, la politica e il capitalismo di relazione, già ben cementati tra loro nell’impasto che ci sta finendo di schiantare in assenza assoluta di democrazia e trasparenza, possano anche contare sul compiacimento generico della magistratura e il consenso automatico di media che non chiamerei neppure di regime.

Semplicemente, il piano su cui poggia la giungla, imbarazzante già prima per la latitanza della libertà di pensiero ed espressione, essendo inclinato, li fa rotolare sempre più velocemente. Nient’altro. A questo sta andando incontro zampettando mio nipote, ma anche i vostri, poiché i figli paiono già abbondantemente fottuti.

 

 

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/morto-roma-oliviero-beha-aveva-68-anni-figlia-germana-147727.htm

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Joined: 18-Jun-2007
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Giornalista che ho sempre ammirato anche da prima del suo andar controcorrente sulla vicenda farsopoli. Il giornalismo italiano, pieno di sciacalli e lacche', perde uno dei suoi rappresentanti di punta... Mi dispiace veramente. 

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9311 messaggi

 

... Uno dei suoi numerosi interventi su calciopoli... Un paio di minuti per capire l'onestà intellettuale  di un giornalista che sa fare tale mestiere :cercare di capire e cercare la verità dei fatti. 

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Joined: 06-Aug-2016
12069 messaggi
Inviato (modificato)
2 ore fa, CRAZEOLOGY ha scritto:

Non riesco a dormire, è quasi mattina, e giro su internet come un ladro nella notte. 

Vado sul sito dagospia, e mi trovo il saluto a Beha. E dentro un estratto di un suo libro che racchiude tante tante cose vere, che non si leggono mai da nessuna parte.

Quello che, a torto o a ragione, pensano in tanti (io per primo). 

E' un po' lungo e dialetticamente complesso, ma ne vale la pena leggerlo. 

 

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Estratto del libro “Mio nipote nella giungla” di Oliviero Beha

 

Si diventa solo ciò che si è. Per la stampa come categoria è tutto molto legato alle note precedenti sulla parola scomparsa, il pensiero digitale e la libertà inesistente, che insieme costituiscono, almeno in teoria, la sua «materia prima»: con il paradosso, tendenzialmente ridicolo, che mentre il paesaggio si fa sempre più arido anche se travestito da giungla, fioccano i corsi privati di «giornalismo d’inchiesta», magari con buffet incluso.

 

Si paga per avere un’idea più o meno precisa e intellettualmente onesta di quello che non ti faranno fare se non ti vendi. E per vendersi ci sono forme e progressioni variabili, non è difficile immedesimarsi in questa deriva. Perciò, e a titolo solo esemplificativo, le polemiche sulla Rai, massima azienda nazionale di comunicazione pubblica, sulla carta, in realtà privatizzata per bande, sono risibili alla radice. È prevista così dal sistema di cui parlo.

 

Naturalmente la gran parte degli aspiranti futuri giornalisti intende il mestiere esattamente come chiunque altro oggi, dai medici a scalare, una maniera per far soldi e solleticare il proprio narcisismo grazie alla visibilità e alla notorietà, a qualunque prezzo. E «questo» giornalismo fa il possibile per scivolare giù lungo il piano inclinato della giungla facendosela piacere, contribuendo a renderla sempre meno attraversabile e spingendola così sempre più in basso. Una discesa di cui non si vede la fine.

Ma fate questo discorso a qualunque direttore, di tg, gr o giornali, o ai sindacati relativi: sarà come parlargli degli ufo. Lo sanno benissimo ma non vogliono saperlo. Non vogliono che glielo si ricordi, altrimenti per salvare la faccia dovrebbero o uscire dal mercato truccato o riconoscersi pubblicamente come correi del sistema guasto italiano. Anche qui parlo per esperienza personale al quadrato.

 

Come dimenticare le «messe cantate» di Eugenio Scalfari, fondatore e direttore de «la Repubblica», un giornale nato per fare opinione in un momento storico decisivo come i secondi anni Settanta, tra terrorismo interno, politica di volta in volta in composizione democristian-comunista e scomposizione a sinistra, e la tv d’abord? Con la convinzione dello ieratico timoniere di poter così influenzare il potere politico nelle sue varie declinazioni, di ogni livello del quale il per noi familiare «Barbapapà» si sentiva un gradino più in alto.

 

Sinistra radical-chic, si diceva. Era vero. E comunque allora si ragionava, pur con la puzza sotto il naso di fronte a una realtà maleodorante, avendo come contraltare il naso di Montanelli dichiaratamente turato al momento di votare per la Dc, con Moro neppure tanto contrapposto a un’opposizione di sinistra in nome di un Paese più armonico, tanto da pagare le sue scelte e il suo impegno con la vita. E lo spessore di editorialisti e cronisti era ragguardevole, specie di quelli già non più di primo pelo.

 

Forse era tutto finto, ma lo ammetto: ci o mi sembrava che qualche spallatina al «sistema», già solidamente in atto, la si desse. Pur in mezzo alle contraddizioni e alle nebbie, alla zona grigia in cui il sistema summenzionato prosperava, certo.

 

Curiosamente, ricordo con chiarezza che una volta, nella primavera del 1982, mi chiamò l’augusto direttore, più intelligente che colto, più cinico che malevolo, di una profondità d’ingegno meravigliosamente superficiale, mentre mi trovavo in Perù per pezzi di giornalismo di costume, più o meno sportivo. Mi chiese di informarmi sul macroscopico scandalo internazionale Sindona-Calvi- Banco Ambrosiano-Gelli eccetera, allora in grande spolvero: se non ricordo male c’era una succursale di credito a Lima che poteva saperne qualcosa.

Brutta storia, più nera del nero, con massoni, Mafia e politica alla ribalta attraverso faccendieri coinvolti prima e dopo nei misteri italiani più intrinseci al sistema di cui parlo, come Francesco Pazienza e Flavio Carboni, «grembiulino» anch’egli oltre che sodale libertino (con qualche affare in comune di mezzo) del principe Carlo Caracciolo, cofondatore de «la Repubblica».

 

Storia finita, si fa per dire, con quello che incredibilmente all’inizio fu archiviato dagli inquirenti come suicidio di Roberto Calvi, «autoimpiccatosi» sotto il Ponte dei Frati Neri, a Londra, nel giugno di quell’anno. Un pasticcione con risvolti tenebrosi che coinvolgeva nell’habitat italiano già marcio a sufficienza anche un boss del Vaticano come l’arcivescovo Paul Marcinkus…

 

A oggi, dopo vari processi contradditori, la giustizia non ha individuato nessun colpevole, mutando solo in omaggio all’evidenza il suicidio in omicidio, senza un nome né per il sicario né per il mandante. A distanza di oltre un quarto di secolo non trovate qualche «affinità elettiva» tra quell’omicidio sul Tamigi, acclarato come tale ma ancora oscuro, e il «suicidio» nel 2013 di David Rossi, responsabile della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, subito archiviato così dalla procura? Era stranamente precipitato da una finestra mentre scoppiava lo scandalo della più antica banca italiana e del mondo.

Qualcosa più di una banca, ahimè, che aveva distribuito denaro in gran quantità senza controlli né della Consob (altra Autorità, indipendente a parole, rientrante nella solita giostra) né della politica da cui dipendeva e che finanziava, con in testa da sempre il Pci e poi ex Pci fino a ieri. Un coacervo di interessi imprenditorial-finanziari di stampo prevalentemente massonico, dentro, fino al collo e anche oltre, al sistema avanzato di corruzione intrecciata che da qualche pagina vado cercando di mettere a fuoco, fotografando e zoomando la giungla dove il machete non basta, e ci vorrebbe forse il napalm.

Ma l’opinione pubblica ha dimenticato o rimosso il caso Calvi e gli addetti ai lavori di qualunque settore di magistratura giornalistica non sembrano disperarsi per questo buco di verità. Che succederà per Rossi adesso, in un sistema ancora più marcio ma 2.0, con tutte le variabili di internet, e un filmato colmo di dubbi rispuntato tre anni dopo? Interessante, vero? Ma non è ancora più interessante se giustapposto come tessera alle altre in un mosaico terribile?

Comunque, dall’epoca di Sindona & banditi a oggi è successo qualcosa di molto significativo, sia alla magistratura che al giornalismo. In peggio, rassicuratevi… E il Mowgli di mia competenza ha di che scuotere il capino. Nel ventennio, definito complessivamente berlusconiano anche con qualche intromissione prodiana oggettivamente «complementare» o «compromissoria» all’interno del sistema sempre più guasto, l’antinomia politica-giustizia è arrivata al suo diapason. Facendo credere a un popolino esterno a questo sistema, magari distratto e rassegnato nonché opportunisticamente tifoso di una delle due parti in un derby da toni grotteschi e cronache boccaccesche, che «questo» fosse il problema.

 

Ossia un tycoon d’estrazione affaristico-mafiosa sceso in politica per salvare le sue aziende e poi funzionale a una parte dell’apparato, e una magistratura inquirente e giudicante che, soprattutto dopo la stagione di Mani pulite, aveva preso forza e qualche volta barlumi di autonomia. Di certo tale ventennio ha fornito alle due parti un alibi gigantesco, una specie di grattacielo modello Dubai: a Berlusconi è servito per fare la vittima di una giustizia «politicizzata» a sinistra (ovviamente solo quando gli dava torto), alla magistratura per far passare l’idea che essa fosse sotto attacco della politica, intesa complessivamente, in quanto accusata di tentare di sostituirla in qualche modo.

 

Ci sono magari particelle di verità in tutto ciò. Ma è un fatto che il grattacielo/alibi ha creato le condizioni perché non si vedesse abbastanza chiaramente quanto fosse degradata la politica di ogni colore o sedicente schieramento, e soprattutto quanto fosse malata, come la sanità o la scuola, anche la giustizia italiana. Che purtroppo fa parte, o ne dà l’impressione quasi sempre confermata dai fatti, dello stesso sistema che dovrebbe combattere.

 

Dipende dalla politica, direttamente per nomina o per vie traverse, a partire dal Consiglio superiore della magistratura, a scalare per tutto quello che la riguarda. Così che è da un pezzo acquisito come «normale» che tra magistratura e politica ci sia un’osmosi elettorale e istituzionale, con grave danno di immagine e sostanza, di fraintendimento e strumentalizzazione, per entrambe le classi duellanti. Che invece rispettando Montesquieu dovrebbero essere due poteri autonomi, il giudiziario e il legislativo.

 

Nella stragrande maggioranza dei luoghi e dei livelli, poi, la giustizia penale, quella civile e amministrativa sono lizze sospette in cui la dizione «la legge è uguale per tutti» fa ormai sorridere, nel senso di piangere lacrime amare, senza alcuna uniformità né tantomeno certezza del diritto, il che nebulizza anche solo il più vago concetto di difesa della legalità, dove manca tutto: il rispetto tra le parti, il personale sufficiente nei tribunali, la fiducia che la legge sia uguale per tutti.

 

 

Non lo è, e purtroppo ormai si sa. Ed è scesa come nel resto, nella sanità, nella scuola, nell’informazione, la qualità media dei magistrati, obnubilati dall’onnipotenza e garantiti dall’avanzamento di carriera non per merito bensì per anzianità.

 

Quindi, a eccezione di pochi di loro, inquirenti e giudicanti, degni di stima e ammirazione, capaci di tenere separato il lavoro dalla loro idea politica o di società, quello della magistratura è un ambiente malsano come il sistema intricato nel quale in qualche modo è inserito.

 

Ed è malato il rapporto del cittadino con la giustizia, anche senza ricordare la cronaca nera, che ci riserva frequentissime notizie sul coinvolgimento di magistrati in qualche scandalo.

 

Nell’antinomia politica-giustizia sub specie berlusconiana naturalmente i media sono stati molto presenti, schierati a grandi linee con l’una o con l’altra. Ma anche in questa parte di magistratura giornalistica, compenetrazione di notizie e diffusione delle stesse, mentre i magistrati tendevano sempre più spesso alla visibilità, in oltre trent’anni, da Calvi in poi, è successo qualcosa. Intendo la concentrazione sempre maggiore delle testate di stampa, fino alle più recenti fusioni all’ombra del Caimano di sinistra, De Benedetti, omologo di Berlusconi ma autosistematosi dalla parte meno «sputtanata». All’apparenza.

Non bastavano le tradizionali proprietà editoriali largamente maggioritarie nel mercato truccato – «impure» da sempre, cioè use ad acquisire e poi sfruttare i propri mezzi di comunicazione per favorire affari in altri settori di loro competenza, dall’edilizia alla farmaceutica a tutti i gangli industriali più delicati e importanti del Paese – benedette dalla politica. Con le ultime aggregazioni non si capisce bene quanto manchi a un unico, magari apparentemente frastagliato padrone, certo di garanzia per «la libertà di stampa»…

 

Così che le organizzazioni criminali, la politica e il capitalismo di relazione, già ben cementati tra loro nell’impasto che ci sta finendo di schiantare in assenza assoluta di democrazia e trasparenza, possano anche contare sul compiacimento generico della magistratura e il consenso automatico di media che non chiamerei neppure di regime.

Semplicemente, il piano su cui poggia la giungla, imbarazzante già prima per la latitanza della libertà di pensiero ed espressione, essendo inclinato, li fa rotolare sempre più velocemente. Nient’altro. A questo sta andando incontro zampettando mio nipote, ma anche i vostri, poiché i figli paiono già abbondantemente fottuti.

 

 

http://www.dagospia.com/rubrica-2/media_e_tv/morto-roma-oliviero-beha-aveva-68-anni-figlia-germana-147727.htm

Letto tutto Craze dalla prima all'ultima riga, in questa Domenica mattina di lavoro, mi sono ritagliato il tempo necessario per leggere...difficile non condividere anche solo una virgola del suo "racconto". Una persona di spessore, con una mente indagatoria e critica, per cercare una verità scomoda a tutti. Spaccato del nostro paese nei suoi punti più oscuri, tristemente lasciato andare volontariamente alla deriva. Il sunto finale di per sé, spiega tutto. In quanto a te caro Craze, grazie per ciò che fai..ed il modo in cui cerchi di esporlo anche a noi...

PS Ah naturalmente invito anche io tutti gli altri utenti a "perdere" pochi minuti e leggere questo estratto.

Modificato da Press

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Joined: 03-Mar-2017
6064 messaggi

Giornalista d'inchiesta, Beha era un uomo con il coraggio delle sue idee è profondamente schietto. Una delle ultime firme prestigiose, quando avere una firma prestigiosa significava qualcosa

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Joined: 07-May-2009
2736 messaggi

Onore ad una voce fuori dal coro che ha espresso liberamente le proprie convinzioni  riferendo fatti e non teorie, che ha avuto il coraggio di  fare revisionismo per farsopoli pagandone di persona le conseguenze. R.I.P. e che la terra ti sia lieve.

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