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Corte D'Appello di Napoli: confermata la condanna in primo grado a Moggi

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Fa il capo-cesso al comune di Napoli, ce l'ha messo il suo amico sindaco Giggino

ma nessuno che tira lo sciacquone ?

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Che credibilità può avere un procedimento in cui sono state rifiutate nuove prove portate dalla difesa?

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è inutile che ci facciamo il sangue amaro... non possono far cadere il castello accusatorio... FANNO MELINA e basta... ad ogni grado di giudizio si smonta qualcosa ma si INVENTANO qualcos'altro per tenere in piedi la FARSA...

assolvere Moggi farebbe cadere troppi potenti... e ci sarebbero troppi risarcimenti da fare... non accadrà mai.

inoltre il popolino NON VUOLE che la favola del lupo cattivo, su cui hanno costruito la loro vita, sia dimostrata falsa.

L'appello di Giraudo e' la prova che la frode sportiva (cosi come lo e' stata la violenza privata nel processo Gea) sara il contentino alla procura.

Penso si possa ritenere un buon risultato l'eventuale assoluzione di tutti gli arbitri (perche anche se ipoteticamente imbeccati, se non hanno messo in pratica...... non hanno compiuto atti idonei ad alterare qualsiasi cosa)

Un ottimo risultato sarebbe se cadesse l'associazione per delinquere (Ognuno si faceva i c***i propri)

Da leccarsi i baffi l'assoluzione dei designatori ( se per loro un arbitro valeva l'altro, non c'e' il dolo )

Impossibile l'assoluzione di Moggi e degli altri dirigenti dall'accusa di tentata frode, troppo fumosa l'interpretazione della norma; con questo metro e' reato anche innaffiare il campo prima della partita.........

Modificato da arashi

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intanto vi posto due articoli di ju29ro sulle sentenze

http://www.ju29ro.com/farsopoli/5303-speciale-calciopoli-la-logica-del-tribunale-riguardo-alle-frodi-sportive-1-tutti-colpevoli.html

SPECIALE CALCIOPOLI: la logica del tribunale riguardo alle frodi sportive /1, “tutti colpevoli”

Stefano Abruzzese Giovedì 14 Novembre 2013 10:47

Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.

Dopo aver completato il percorso relativo all’analisi delle nove frodi sportive e l’accusa di associazione per delinquere, passiamo ora a considerazioni di carattere generale sulla sentenza e alcune logiche in essa contenute. Iniziamo dal tentativo di contestualizzazione.

Ai fini della assoluzione dalle accuse di frode sportiva a poco è valso il tentativo delle difese di contestualizzare l’ambiente del calcio, anche se il tribunale lo ritiene sostanzialmente riuscito. Infatti, esso “stima di poter affermare che (...) è provato dalle reiterate trascrizioni in atti, (...) l’esistenza di un quadro sociale delle condotte indicativo di una generalizzata tendenza a conquistare il rapporto amichevole, in funzione del suggerimento, con designatori e arbitri” (pag. 85, nelle motivazioni della sentenza). I giudici, insomma, riconoscono che “così facevan tutti”, che cioè tutti cercavano in qualche modo di rapportarsi con l’ambiente arbitrale per “suggerire” evidentemente situazioni che potessero in qualche modo tornare utili agli interlocutori stessi. Questo però “non è di per sé idoneo, ad avviso del collegio, a precludere in radice il giudizio sui reati di tentativo contestati agli imputati, in particolare a Moggi, se viene dimostrato che per la sua parte questi ha tenuto comportamento diretto a invadere il campo della discrezionalità tecnica di designatori e arbitri, e a introdursi surrettiziamente, forte della indiscussa competenza nella materia del calcio, nell’area dell’arbitraggio, con esercizio, quindi, di potere che, nella visione del tribunale, può pur sempre essere considerato non indifferente alla contestazione di frode sportiva, poiché come già detto, la legge prevede il risultato diverso, non immancabilmente il risultato a favore o sfavore di questo o di quel particolare partecipante alla competizione sportiva, con la conseguenza che la contestazione, pur se certo esce fortemente ridimensionata dal dibattimento, sembra poter ad esso sopravvivere, senza volgere nel fatto diverso, non penalmente valutabile” (pag. 85).

In pratica, il tribunale ravvisa in questi comportamenti “istituzionalizzati” di tutto l'ambiente sportivo nei confronti del mondo arbitrale gli estremi per poter configurare la frode sportiva. Non importa, quindi, ai fini della valutazione specifica della posizione di Moggi, se altri abbiano avuto lo stesso comportamento accertato e testimoniato dalle tante telefonate mancanti nelle prime fasi dei processi mediatici, sportivi e penali e ritrovate grazie alla persistenza dell'ex direttore bianconero, vincitore di 15 trofei (escludiamo dal conto la Coppa Intertoto) con la squadra torinese. Una miriade di conversazioni, dunque, trascurate o occultate che fossero che, per motivi che sfuggono alla comprensione, non hanno trovato la strada dell’accusa e del processo per le persone coinvolte in quelle chiacchierate. Nonostante fossero lì, pronte per essere raccolte dagli inquirenti.

Che sia pacifico che questo quadro “istituzionale” sia ormai assodato lo dimostra il fatto che i giudici abbiano rigettato le ulteriori telefonate scoperte all’ultimo minuto dal collegio difensivo di Moggi, spiegando che “non altro potrebbero dimostrare queste ulteriori trascrizioni, se non quello che già è provato dalle reiterate trascrizioni in atti” (pag. 85), ovvero proprio quel “quadro sociale” di cui si parlava prima.

Se è vero che questo enorme ed encomiabile lavoro di contestualizzazione portato avanti da Moggi e dai suoi avvocati non ha raccolto i frutti sperati in sede di processo penale e sportivo, tuttavia è vero anche che dal punto di vista del dibattito da “bar sport” esso ha finalmente dato il quadro reale in cui operavano i dirigenti juventini, permettendo di riscrivere la storia del calcio nostrano, almeno dal punto di vista sostanziale. Prova ne è che la Juventus di Andrea Agnelli conta nel suo palmarès proprio i 31 scudetti vinti sul campo e non i 29 dell’albo d’oro che la Federazione attualmente le riconosce, con tutte le conseguenze di proteste e ricorsi che ciò ha generato da parte della squadra piemontese. E così anche molte discussioni tra tifosi che prima vedevano gli juventini in posizione di debolezza si sono improvvisamente ribaltate. È difatti oramai difficilmente negabile, a meno di volersi spingere oltre la soglia della faziosità, che i comportamenti di Moggi fossero eticamente discutibili al pari di tutti quelli, e in diversi casi anche molto meno, di alcuni suoi colleghi.

Nella realtà dei fatti però, ad oggi, Moggi (assieme alla sua Juventus e a qualche malcapitato) rimane il solo ad aver pagato un prezzo carissimo a questo sentimento popolare anti-juventino. La decisione dei giudici penali rispecchia sostanzialmente quella già presa in sede di processo sportivo. Anche lì il collegio si dimostrò estremamente intransigente. E anche lì soltanto alcuni, per loro sfortuna, vennero accusati e condannati nel 2006, mentre invece altri potenziali colpevoli la fecero franca già in sede di indagini e accusa, non comparendovi neppure: anzi, in quel periodo passarono per quelli “onesti”, tanto che venne assegnato loro addirittura il famoso “scudetto di cartone”.

In quell’ambito, il lavoro del pool di Moggi costrinse poi la Federazione a ritornare successivamente ad occuparsi nuovamente di Calciopoli, con il compito di valutare le condanne del 2006 in relazione ai nuovi fatti emersi. Basti ricordare la famosa relazione del superprocuratore sportivo Palazzi del 2 luglio 2011: in essa incolpava l’Inter e il suo dirigente di allora, Giacinto Facchetti, di illecito sportivo, ma allo stesso tempo proponeva l’archiviazione per sopraggiunta prescrizione.

Abbiamo dunque visto che le condanne per frode sportiva seguono la logica del tutti colpevoli. Una logica supportata dalla genericità e dall’ampio spettro astratto con cui la legge permette di applicare il reato di tentativo a sostanzialmente qualsiasi azione, cosa che del resto vale anche per l’illecito sportivo in ambito sportivo. Una logica per la quale in questa sentenza la soglia dell’intransigenza è stata opportunamente posta ad un livello talmente basso da far rientrare nella fattispecie criminosa alcuni comportamenti che in quegli anni tutti i dirigenti hanno tenuto nei confronti degli arbitri. Nelle precedenti puntate di questo speciale abbiamo visto che quel livello è assolutamente insostenibile al test del comune buon senso: non ci sono partite alterate, non c’è trasmissione del messaggio delinquenziale agli attori in campo, se non in casi isolati non coinvolgenti Luciano Moggi né la Juventus; non c’è nemmeno l’alterazione dei sorteggi. Ci sono invece soltanto discussioni, critiche, generiche richieste di protezione dagli errori arbitrali, confronti, politica sportiva e così via, in una fase, ovvero la formazione di “griglie arbitrali” per lo più scontate e vincolate dalle tante preclusioni, molto molto lontana dal momento stesso in cui si decide “il leale e corretto svolgimento” della gara; talmente lontana da essere definita dai giudici stessi addirittura “marginale” all’interno delle motivazioni del capo Q e “remota” nel capo F.

Sia chiaro che non stiamo avvalorando la tesi del “tutti colpevoli, quindi tutti innocenti”, bensì che, a nostro avviso, il “tutti colpevoli” non è sostenibile. Oltre a ciò, molto probabilmente i tribunali penali e sportivi hanno potuto utilizzare questa logica soltanto in quanto non sono stati sottoposti a giudizio tanti e troppi attori di quel contesto, le cui azioni a monte vennero misteriosamente filtrate egiudicate irrilevanti. Dubitiamo che, una volta portati dentro il processo questi soggetti, i giudici avrebbero potuto tenere l’asticella così bassa. Invece queste incomprensibili esclusioni hanno avuto la conseguenza di permettere ai biechi teoremi del sentimento popolare anti-juventino di varcare senza fatica quella soglia passando così dai bar sport alle aule di tribunale.

Filtri e giudizi, come abbiamo visto, palesemente arbitrari e che all’atto pratico hanno reso innocue e senza reali conseguenze tante conversazioni che ben si sarebbero potute prestare ad un giudizio intransigente, molto di più delle telefonate a Biscardi, faziosi teoremi di ammonizioni preventive, conoscenze di vecchia data di un mondo sostanzialmente chiuso, delazioni, invidie, paranoie, spavalderie, millanterie e tutto il resto del repertorio che ha portato alla condanna in primo grado di chi stava svolgendo, con grande successo, il proprio lavoro di dirigente sportivo in un ambiente quale quello del calcio, che è stato accertato essere “di per sé sospettoso” (pag. 140) e “dilaniato da recriminazioni di vario tipo, spesso affidate alla stampa, e dominato dal sospetto, con conseguenza di reazione scomposta, oltre misura, così dovendo qualificarsi le reciproche spiate” (pag. 102).

Modificato da pie

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http://www.ju29ro.com/farsopoli/5318-speciale-calciopoli-la-logica-del-tribunale-riguardo-alle-frodi-sportive-2-reato-di-pericolo-da-.html

SPECIALE CALCIOPOLI: la logica del tribunale su frodi sportive/2, reato da 'sliding doors'

Stefano Abruzzese Giovedì 21 Novembre 2013 14:03

Continuiamo la nostra miniserie di articoli dedicati alla sentenza di primo grado di Calciopoli con particolare riferimento alle condanne subite dall’ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi.

Dopo il lungo percorso di analisi specifica di ciascuna condanna e, nella precedente puntata, alcune considerazioni di carattere generale relative al modo con cui è stato trattato l’ex dirigente bianconero in questo processo, è finalmente arrivato il momento di presentare in tutta la sua interezza la star di questo processo: il reato di pericolo. Chi ha letto i precedenti articoli dello Speciale avrà ormai ben chiaro che la sentenza di condanna poggia solo e solamente sulla convinzione, presunta dai giudici, che le telefonate di Moggi a monte della competizione sportiva avessero potuto in qualche modo mettere in pericolo il bene giuridico protetto dalla legge 401/89, quella della frode sportiva, ovvero il “leale e corretto svolgimento” della gara.

Questa serie di frodi, ricordiamo, è stata poi anche propedeutica per la condanna di associazione a delinquere. È proprio questa infatti la presunta prova la cui sussistenza "serve a orientare la decisione anche sulla sussistenza del delitto di cui all’art. 416 c.p." (pag. 78 nelle motivazioni della sentenza). Ciò è dovuto fondamentalmente al fatto che questi comportamenti, giudicati delittuosi dal tribunale, furono compiuti spesso dalle medesime persone, quindi Moggi stesso (assieme a Giraudo), i designatori arbitrali, alcuni arbitri e un dirigente federale.

Iniziamo precisando che i reati di pericolo sono reati a “consumazione anticipata, che presentano particolare modo di protezione del bene ideale della lealtà dello sport. La protezione si svolge cioè in un momento temporalmente anticipato rispetto all’ordinario". (pag. 78). È dunque una fattispecie piuttosto generica ed astratta, precedente e spesso non direttamente collegabile agli attori dell’evento di cui, in teoria, si lede “il leale e corretto” svolgimento. Una fattispecie che necessita quindi dell’interpretazione e di una serie di verifiche del giudice per poter configurare il reato. A questo scopo il tribunale nella propria sentenza elenca i tre momenti di indagine che ritiene fondamentali per poter considerare reato di pericolo presunto un comportamento o un’azione:la prima indagine dovrebbe essere diretta all’accertamento dell’atto fraudolento, la seconda dovrebbe essere diretta all’accertamento del fine di raggiungere un risultato diverso da quello conseguente al corretto e leale svolgimento della competizione, la terza dovrebbe essere diretta all’accertamento dell’efficienza dell’atto fraudolento a raggiungere il fine, secondo un normale giudizio di previsione, nelle date circostanze” (pag. 78).

In realtà, per completare il percorso ci sarebbesecondo quella che sembra essere stata l’opinione del legislatore, che a suo tempo ebbe a richiamare l’art. 49 co. 2 c.p” (pag. 78) anche una quarta indagine da fare, quella più specifica, ovvero quella che identifica la circostanza più concreta della messa in pericolo del bene giuridico, perché “dovrebbe essere diretta all’accertamento della possibilità di ricollegare all’atto il pericolo vietato dalla legge penale” (pag. 78). Ma proprio questa fase viene esplicitamente ignorata dal giudice per via della “contrastata interpretazione in dottrina” (pag. 78).

Entrando nel merito di ciascuna fase, il collegio in riferimento alla prima indagine, specifica che “l’atto fraudolento è l’estrinsecazione attuosa del mezzo fraudolento colto nel suo concretizzarsi, è il mezzo fraudolento assunto nel momento del suo impiego, in vista del raggiungimento del fine. L’atto esecutivo può solo avere forma di atto fraudolento” (pagg. 78-79). Continua: “l’imputato non deve solo volere lo scopo, deve volere anche il mezzo fraudolento, poiché il mezzo fraudolento è inerente al fine della sua azione, e il mezzo fraudolento deve non solo essere intenzionalmente destinato, ma anche oggettivamente avviato a produrre l’evento di pericolo” (pag. 79).

Quindi, ad essere fraudolento non deve essere soltanto lo scopo, nel caso in esame il presunto tentativo di influenzare (paradossalmente, come visto in vari punti della sentenza, non necessariamente a vantaggio della propria squadra) l’arbitraggio di una gara, ma anche il mezzo per raggiungere tale scopo, nel caso in specifico: le varie conversazioni telefoniche in chiaro e quelle presunte nel pasticciato circuito delle sim straniere.
E allora, ad avviso del giudice, “un mezzo può essere qualificato fraudolento quando realizza una finzione atta a produrre un inganno determinato da una falsa apparenza materiale o da una suggestione logica o sentimentale. Deve trattarsi di parole o azioni volte a far credere il falso a pro di chi inganna, a soddisfazione dell’interesse gretto di questi” (pag. 79). Traducendo il tutto in un linguaggio comprensibile, il tribunale considera potenzialmente idonee a creare un pericolo per il bene protetto non solo azioni esplicite concrete, per esempio una richiesta del tipo “fateci vincere”, ma anche apparenze e millanterie.

Con riferimento alla seconda indagine il collegio osserva che “anche del fine deve essere accertata la rispondenza alla descrizione fattane dal legislatore, ovviamente con l’uso di tutti i mezzi messi a disposizione del giudice dall’istruttoria dibattimentale.
Vanno valutati non solo gli atti, ma anche il fine che li ha animati, che deve essere quello descritto dalla norma incriminatrice
” (pagg. 79-80). Il tribunale poi precisa che “il momento esecutivo connotato dall’atto fraudolento non costituisce di per sé indice diagnostico del fine, ma deve essere accompagnato dalla valutazione, e relativa esigenza probatoria, della volontà diretta allo specifico fine” (pag. 80). In sostanza, “il mezzo fraudolento deve essere convogliato nel conseguimento del fine” (pag. 80). Per valutare il fine, questo collegio deve quindi operare un'indagine “di natura psicologica” (pag. 80), con il ricorso “a tutte le prove a disposizione” (pag. 80) e tenendo conto nella ricostruzione del fatto di “tutte le circostanze e le modalità nelle quali l’azione si è esplicata” (pag. 80). Contano, quindi, “le circostanze di tempo e di luogo, e la personalità psicologica dell’imputato” (pag. 81).

Come si può notare con sempre maggior evidenza, il giudizio sul reato di pericolo si basa su elementi non chiari ed oggettivi, bensì aleatori e soggettivi come l’interpretazione delle intenzioni, attraverso, per fare un esempio, il giudizio sulle millanterie ascoltate in conversazioni private, goliardiche o semplicemente di cortesia oppure di circostanza, in situazioni di alterazione o meno dello stato d'animo per fatti concernenti la partita o magari in alcun modo ricollegabile a tale evento. Psicologia insomma, da contestualizzare attraverso le fredde trascrizioni del perito e le spiegazioni degli attori del processo. Il tribunale alla fine costruisce in pratica un profilo psicologico dell’imputato e presume se abbia avuto o meno certe intenzioni.

Tale presunzione, siamo al terzo momento di indagine, infatti “non è assoluta, e non sono indifferenti al giudizio le eventuali particolari condizioni positive o negative in presenza delle quali l’imputato agisce, che siano tali da sottrarre l’effetto al dominio dell’autore dell’atto. In particolare non può essere esclusa a priori la rilevanza di particolari situazioni delle persone che sono attivamente e passivamente protagoniste della vicenda criminosa, e parimenti non può essere esclusa a priori la valenza delle incidenze ambientali” (pag. 81). Per valutare, quindi, l’attitudine del mezzo fraudolento a provare l’intenzione dell’agente “deve pur sempre essere considerato il contesto dell’episodio criminoso” (pag. 81).

Con queste premesse, ad esempio nell’imputazione al capo Q il giudice si deve convincere che, tenuto in conto il profilo psicologico degli imputati ed il contesto della telefonata ed ovviamente il contenuto della stessa, nella famosa 'grigliata' fatta all’una di notte con l’allora designatore arbitrale, Paolo Bergamo, l’ex-direttore generale della Juventus avesse non semplicemente voluto fare un gioco 'all’indovina la griglia', bensì abbia proprio voluto influenzare la composizione della stessa, nella convinzione che così facendo ne avrebbe tratto un vantaggio personale o in favore della Juventus. Comportandosi in quel modo avrebbe dunque messo in pericolo “il leale e corretto” svolgimento della competizione, potendosi configurare, se non fosse avvenuta quella conversazione, che a dirigere la partita sarebbe potuto potenzialmente essere chiamato un altro arbitro, con “il suo bagaglio di cognizioni” (pag. 123), il quale direttore di gara avrebbe teoricamente potuto anche portarla ad un altro risultato; come già detto, non necessariamente peggiore o migliore rispetto a quello poi effettivamente risultò, ma semplicemente diverso.

Quindi per il giudice è concepibile il reato di frode sportiva per il semplice fatto che a dirigere una gara ci sia un arbitro in perfetta “buona fede” (pag. 123) della Can A e B, internazionale e di esperienza, piuttosto che un altro con le stesse caratteristiche, nonostante l’arbitro sorteggiato sia poi entrato in campo senza alcun condizionamento in favore degli interessi personali di un imputato, dunque altro fischietto in perfetta “buona fede”. Per condannarlo basterebbe così la convinzione che l’accusato abbia in qualche modo provato ad influenzare tale scelta per avere un proprio tornaconto personale.Come dire, esprimere ad un designatore arbitrale di volere Collina sarebbe un potenziale reato e non un naturale desiderio di avere il miglior arbitro italiano dell’epoca. E sarebbe addirittura un reato il semplice evidenziare ai designatori arbitrali chi sono, a proprio giudizio, i migliori arbitri della Serie A e B senza nemmeno chiedere esplicitamente di avere questo o quell’arbitro per la propria gara.

Nel precedente articolo avevamo spiegato da un punto di vista della sostanza le ragioni, le quali, a nostro avviso, avevano permesso ai giudici di abbassare l’asticella dell’intransigenza ad un livello tale da farci rientrare una condanna per Luciano Moggi. Da un punto di vista strettamente tecnico-formale viene in aiuto anche il fatto che la quarta indagine venga completamente e scientemente ignorata in questo giudizio. Infatti, con l’aggiunta di questo momento di analisi, l’illecito penale sarebbe dato, “oltre che dal momento formale della trasgressione della norma, dall’elemento sostanziale della lesione del bene” (pag. 81). E per chiarire ancora meglio, “l’antigiuridicità dell’atto deve essere data naturalmente dall’adeguatezza di esso a produrre un danno o un pericolo al bene protetto dall’ordinamento giuridico, nel caso di specie un pericolo” (pagg. 81-82). E così, “l’idoneità dell’azione, (..), dovrebbe costituire il risultato finale del giudizio, e le prove dovrebbero portare l’interprete a concludere che la specifica azione, secondo la logica normale dei probabili, aveva una potenziale causalità, un’attitudine causale a produrre l’evento” (pag. 82).

Non soltanto, quindi, un giudizio su un eventuale atto fraudolento finalizzato, ma anche un giudizio sulle conseguenze. Difatti, “non basterebbe, per produrre l’evento pericoloso, volere lo scopo e i mezzi fraudolenti relativi ad esso, e sarebbe necessario altresì determinare se l’azione, nel modo e nelle circostanze in cui si svolse, era adeguata, conformemente alle norme dell’esperienza, a produrre l’evento, nella specie pericoloso, che si voleva conseguire” (pag. 82). Quindi logicamente ci deve essere un pericolo concreto. Se i sorteggi fossero stati realmente truccati, ecco che saremmo eventualmente potuti essere in presenza di un pericolo concreto, poiché si aziona un meccanismo per ottenere a piacimento un arbitro con tutte le conseguenze in termini di condizionamenti. Ma poiché sappiamo benissimo che i sorteggi non erano stati alterati, cosa confermata dalla sentenza stessa a pag. 90, eliminando questo momento d'indagine i giudici sono potuti salire di un gradino nella scala dell’astrazione e hanno potuto teorizzare che, ad esempio, una innocente chiacchierata su una griglia possa in astratto configurare la possibilità di un pericolo nella selezione finale dell’arbitro e che quindi sostanzialmente devia il corso della storia di una partita, un po’ come i famosi 'sliding doors'. E così nella sentenza la formazione delle griglie, "atto proprio dei designatori" (pag. 96), diventa "il momento fondamentale di impostazione dell’arbitraggio delle partite, idoneo a incrementare le possibilità che per una determinata partita fosse scelto in concreto un arbitro gradito a un competitore e sgradito all’altro" (pag. 96).

Vista soprattutto l’inconsistenza di tutte le presunte prove portate a carico degli imputati per giustificare questa sentenza di condanna, siamo tuttavia amaramente pressoché certi che, anche in presenza di una qualche analisi della quarta indagine, i margini per giudicare colpevoli gli imputati sarebbero stati comunque ancora ampi. D’altronde, come sappiamo, la genericità e la soggettività del reato in oggetto è tale che in pratica con un po’ di olio di gomito qualsiasi comportamento equivoco possa essere interpretato come fattispecie criminosa.
Infatti, il collegio si affretta subito ad aggiungere che “va sottolineato che comunque anche questo giudizio di adeguatezza dell’azione dovrebbe essere condotto alla stregua dell’esperienza” (pag. 82), rendendo dunque anche questo criterio altamente aleatorio, facendo così rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. Infatti, “Il giudizio di adeguatezza non è un giudizio sull’atto dell’uomo, ma un giudizio sulle conseguenze che si possono riportare all’atto, prodotto dall’uomo, pur se la determinazione del fine serve certo a illuminare l’adeguatezza dell’azione, poiché lo scopo nel delitto a consumazione anticipata è l’elemento primario, poiché nel delitto a consumazione anticipata non viene perseguita l’aggressione in atto del bene, ma quella in potenza, e il fine è qualcosa di diverso dal dolo, costituisce il momento soggettivo dell’antigiuridicità” (pag. 83).

Chiudiamo così questa seconda parte di approfondimento generale della sentenza e vi rinviamo alla terza puntata che sarà anche quella conclusiva di questo “Speciale Calciopoli” dedicato alle condanne subite da Luciano Moggi in questo primo grado. Nell’ultima puntata esporremo una serie di argomentazioni logiche portate dalle difesa a discolpa dei propri assistiti durante il dibattimento e nella discussione, ma che in definitiva poco hanno potuto per evitare la sentenza di colpevolezza.

Modificato da pie

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[solo perchè stava per uscire dalla prima pagina]

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sconcertante, se ci si mettono pure i giudici ad occultare le cose non vedo come uno possa uscirne, poi hai voglia a dire che sbagliano, hanno in mano tutto loro, interpretano e decidono come pare a loro

Modificato da ampeg

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1464621_10152133384923714_1377697890_n.j

Serata Fondazione Cuori Bianconeri Onlus

Modificato da Paganese26

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narduccio ci andrebbe a nozze con una foto del genere, Moggi minaccia Nedved puntandogli il dito contro

processo e condanna sicura

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L' avvocato di Meani non ha un briciolo di vergogna .blah

Vergognoso e senza dignità... ma d'altronde siamo in itaGlia mica per niente...... .oddio

ciao fratè! sefz

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Vergognoso e senza dignità... ma d'altronde siamo in itaGlia mica per niente...... .oddio

ciao fratè! sefz

Appunto .bah ... ciao! :D

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sconcertante, se ci si mettono pure i giudici ad occultare le cose non vedo come uno possa uscirne, poi hai voglia a dire che sbagliano, hanno in mano tutto loro, interpretano e decidono come pare a loro

devono pure ricostruire il profilo psicologico dell'imputato .asd

sono pure psicologi sti giudici sefz

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Appunto .bah ... ciao! :D

ti lascio un +1 visto che non vedo "mi piace" sefz

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Remember!

Il 27 c'è udienza!

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Domandina procedurale.

Se i vari difensori che ancora devono intervenire fossero "veloci veloci" tanto da concludere tutti i loro interventi nella giornata di domani, il collegio si riunirebbe subito in camera di consiglio per la sentenza senza attendere il 3/12, giusto?

Modificato da gobbo_dal_76

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Leggo ora il post sopra il mio

Ricordavo bene

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Oggi probabilmente tocca a Pairetto, Puglisi, De Santis e Bertini. L'udienza del 3 dicembre sarà dedicata ai difensori di Moggi e a seguire ci sarà la sentenza. Fonte: giùlemanidallajuve.com

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Oggi probabilmente tocca a Pairetto, Puglisi, De Santis e Bertini. L'udienza del 3 dicembre sarà dedicata ai difensori di Moggi e a seguire ci sarà la sentenza. Fonte: giùlemanidallajuve.com

Il 3 dicembre è il mio compleanno, sarei ben felice di festeggiare con una buona notiza...ma ci credo poco

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Niente cronaca da Napoli?

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Sicuri che a Napoli si lavori oggi? No, perchè avranno fatto le ore piccole a festeggiare la partitona di ieri sera.... .asd.asd.asd

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Sicuri che a Napoli si lavori oggi? No, perchè avranno fatto le ore piccole a festeggiare la partitona di ieri sera.... .asd.asd.asd

Saranno predisposti .sisi

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Il difensore di Dattilo è già all'opera :sisi: :sisi:

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Il Direttore, lunga vita a lui, comincia ad avere una certa età...

Speriamo abbia la forza di vedere la fine della sua vicenda, oltre che una vittoria.

.quoto.quoto .quoto .quoto

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