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Redfield

Due Chicche Sull'Assessore Narducci

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Joined: 13-Aug-2006
1153 messaggi
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311 messaggi

Guarda se moratti ha scelto narducci (il quale a sua volta si è servito degli auricchio e compagnia cantante) per fare la porcata che ha fatto con farsopoli un motivo ci sarà stato: ha scelto (e pagato) il più maiale di tutti, quello avvezzo a truffe, corruzioni, manipolazioni, mafiosità varie. narducci è sempre stato così e lo sarà finché vivrà.

Di altrettanta caratura morale sono coloro che gli danno credito e che lo fanno ancora andare in giro liberamente.

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Joined: 15-Jan-2007
1006 messaggi

è un corrotto... che novità ...

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Joined: 01-Jul-2011
179 messaggi

Chiaramente "qualcosa sarà sfuggito" (cit.)

A Narducci sfuggono continuamente le cose. Forse ha bisogno di cure mediche e di fosforo per aiutare una mente annebbiata.

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Joined: 27-Jun-2008
1160 messaggi

basta guardare in faccia questo schifosissimo soggetto per capire al volo

1) che è un idiota completo

2) che è un arrogante testa di caxxo

3) che per i punti 1) e 2) è un candidato perfetto per il ruolo di poco di buono

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Joined: 07-May-2009
2736 messaggi

Mister piaccia o non piaccia, un funzionario dello Stato che ha raccontato bugie, c'è altro da aggiungere?

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Joined: 07-May-2009
2736 messaggi

Qualcosa sarà sfugito....

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Joined: 31-May-2010
899 messaggi

Chiaramente "qualcosa sarà sfuggito" (cit.)

A Narducci sfuggono continuamente le cose. Forse ha bisogno di cure mediche e di fosforo per aiutare una mente annebbiata.

superquotone

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Joined: 07-Nov-2006
4362 messaggi

[OT]

Ma avete visto la notizia dell'annullamento dell'ordine di arresto per il fratello di Riina, perché il GIP di Napoli ha fatto copia e incolla della richiesta del PM senza nemmeno cambiare "PM" in "GIP" nel testo?

Ma che tribunale è?

Incompetenti e asserviti alla procura, che è una della più mafiose e asservite alle lotte di parte in Italia.

...E noi dovevamo sperare di avere giustizia da lì? Spero davvero che la Casoria sia stata messa in minoranza e non scriva le motivazioni della sentenza, voglio vedere le altre due come se la caveranno... Faranno il copia e incolla delle requisitiorie dei PM, che puzzavano già di muffa quest'estate... Bah!

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Joined: 05-Dec-2009
3778 messaggi

Infatti, anche se a posteriori è facile parlare, la colpa più grossa del difensori di Moggi è stata quella di non chiedere lo spostamento del processo in altra sede, anche a costo di allungare i tempi ed arrivare alla prescrizione.

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Joined: 18-Apr-2007
457 messaggi

In effetti per la porcata calciopoli Moratti doveva andare sul sicuro, prendere uno senza scrupoli nè morale che la porcata la portasse fino in fondo, e Narducci era l'uomo giusto, non il carabiniere pentito al quale adesso i suoi superiori staranno facendo il lavaggio del cervello perchè ritratti.

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Joined: 07-May-2006
11900 messaggi

Camorrista

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Joined: 13-Feb-2009
838 messaggi

E lo hanno fatto diventare assessore di Napoli....mha....povera italia.

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

L'intervista

Nitto Palma: «Così impedirò ai pm

di tornare dopo aver fatto politica»

L'ex Guardasigilli: Nicastro e Narducci? Non rientreranno al loro posto

di GIANLUCA ABATE (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 18-02-2012)

ROMA — «Io una cosa non l'ho capita».

Quale?

«Perché se parla il Capo dello Stato Giorgio Napolitano davanti al plenum del

Csm sono tutti lì a plaudire alle sue parole?».

Forse perché è stato un bell'intervento.

«Certo. Molto serio e corretto da un punto di vista istituzionale».

E allora perché si meraviglia?

«Perché quelle cose, cinque mesi fa, le ho dette io davanti al plenum. E

m'hanno accusato di voler mettere il bavaglio alla magistratura, limitare i

diritti elettorali, interferire con le scelte dell'organo di autogoverno».

Francesco Nitto Palma — romano, classe '50, senatore, ex pm antimafia, ex

sottosegretario all'Interno, ex Guardasigilli, oggi commissario regionale del

Pdl campano alle prese con il caso del falso tesseramento che agita il partito

anche a Sud (da Salerno a Bari) — quell'intervento del Presidente della

Repubblica di martedì scorso al Csm se l'è riletto una decina di volte. E ora

annuncia: «È necessario intervenire sulle iniziative disciplinari e

regolamentare l'ingresso in politica di pm e giudici, impedendogli il rientro

nelle fila della magistratura. Martedì presenterò una proposta di legge».

Senatore, non è che l'affondo sulla giustizia è un diversivo per

distogliere l'attenzione da ciò che accade con il tesseramento nel Pdl

campano?

«Guardi che io quelle frasi le ho pronunciate davanti al plenum del Csm il 3

ottobre 2011. Ed ero ministro della Giustizia, non certo coordinatore del Pdl

della Campania».

Sono passati più di quattro mesi, perché se ne ricorda solo adesso?

«Perché qualsiasi cosa dica un esponente del centrodestra sulla magistratura

viene criminalizzata a prescindere. E ora, grazie all'intervento del

Presidente della Repubblica, ne abbiamo la prova. Visto che le sue parole sono

state accettate da tutti, possiamo mettere mano alla correzione del sistema».

Cos'ha che non va?

«Tanto per iniziare, nei rapporti tra magistratura e politica c'è un dato che

crea non pochi problemi».

Quale?

«L'ingresso dei magistrati in politica a livello nazionale o negli esecutivi

locali, dove assumono incarichi di governo presso Regioni, Province e Comuni».

Esercitano un diritto costituzionalmente garantito, no?

«No. È accaduto, invece, che i magistrati abbiano fatto indagini su questioni

di pubblica amministrazione rivolte verso una sola parte politica, e poi li

abbiamo visti diventare assessori regionali o comunali in un governo locale

retto dalla parte politica opposta».

Casi particolari?

«Ce ne sono tantissimi in tutt'Italia. E si sono verificati anche al Sud».

Si riferisce alle vicende dell'assessore regionale pugliese Lorenzo

Nicastro e di quello al Comune di Napoli Giuseppe Narducci?

«Non commento casi singoli. Dico, in generale, che trovo strano che uno

finisca a fare l'assessore chiamato dal principale competitor del politico che

ha indagato. Così come trovo strano in generale che si faccia l'assessore

nella stessa città dove fino al giorno prima si conducevano indagini».

Storie vecchie, ormai è cosa fatta.

«Si può sempre iniziare a regolamentare il rientro».

Cioè?

«Non possiamo far finta di niente e poi farli tornare in magistratura».

Che fa, li manda a casa?

«All'Avvocatura dello Stato. O, se proprio si vuole trovare una mediazione

limitata a quei magistrati che hanno incarichi in enti locali, li si allontana

di almeno due regioni. Queste sono situazioni che gettano discredito sulla

magistratura».

Il collegio dei probiviri dell'Anm, proprio sul caso Narducci, afferma

il contrario.

«Sono contento, ma di quello che fa un'associazione sindacale dominata da

logiche correntizie non mi interesso. Narducci, Nicastro e tutti gli altri

creano un problema di immagine di terzietà, punto. E poi l'Anm è governata

dalle correnti di sinistra, Md e Area: pensa che se ci fossi andato io il

risultato sarebbe stato lo stesso?».

Dice che si è puniti o meno a seconda dell'appartenenza?

«Dico che in quell'occasione ci fu un duplice procedimento. Uno per Narducci,

un altro per Arcibaldo Miller, accusato di una certa vicinanza con i politici,

di aver trattato una candidatura, di aver partecipato a una cena. Narducci è

stato prosciolto, Miller s'è dovuto dimettere dall'Anm se no lo fregavano».

A proposito di Miller. I magistrati in politica non ce li ha portati

solo la sinistra. Oltre a lui cito a memoria qualcuno chiamato nel

centrodestra: Papa, Caliendo, Bobbio...

«I magistrati che entrano in politica sono un problema, dovunque essi entrino».

...E Francesco Nitto Palma. Non suona un po' strano che parli proprio

lei?

«Sono le ragioni per cui mi sono dimesso dalla magistratura il 16 ottobre

2011. E con 38 anni di anzianità, non 40, subendo così un danno sotto il

profilo pensionistico».

Vuol passare per benefattore?

«Vorrei che passi il concetto. Io so di essere imparziale, ma se dopo la mia

esperienza politica nel centrodestra fossi tornato in magistratura e mi

avessero mandato a fare il pm a Napoli, qualcuno avrebbe creduto alla mia

imparzialità se avessi iniziato a indagare sul sindaco Luigi de Magistris?».

S'è dimesso anche lui dalla magistratura, non gli può certo

rimproverare nulla.

«Mi fa piacere per lui, ma io mi sono dimesso senza che nei miei confronti

fosse pendente alcun procedimento disciplinare».

Quello dei procedimenti disciplinari è un altro dei temi toccati dal

Capo dello Stato. Vanno regolamentati?

«È uno dei punti che avevo sottolineato. Il Csm non può attivare in

continuazione procedure per i trasferimenti d'ufficio. Mi hanno criticato, ora

per fortuna Napolitano ha detto esattamente la stessa cosa: l'ordinamento

giudiziario prevede questo strumento solo per i cosiddetti fatti non

colpevoli».

Ce li spiega fuor di giuridichese?

«Sono quelli che determinano un'incompatibilità ambientale per cause non

ascrivibili al magistrato. Come se un giudice avesse il coniuge che gli fa le

corna con tutti».

E i «fatti colpevoli»?

«Quelli rientrano nell'ambito dei procedimenti disciplinari, e le ipotesi di

illecito devono essere espressamente indicate. Solo che è impossibile

prevedere tutto ciò che un magistrato può fare, perciò avevamo inserito una

norma che, al di fuori dei casi indicati, configurava come illecito qualsiasi

condotta lesiva del prestigio della magistratura. Poi è arrivato Clemente

Mastella».

Che c'entra lui?

«Ha eliminato questa norma. E anche quella che regolava le esternazioni.

Quando l'ho detto al Csm, mi hanno accusato di voler mettere il bavaglio ai

magistrati. Ora che l'ha detto Napolitano va bene».

È sufficiente eliminare una norma per far saltare tutto il banco?

«Certo, perché così si crea confusione. Il caso del procuratore di Bari

Antonio Laudati e dell'ex pm Giuseppe Scelsi è emblematico. La Procura di

Lecce ha aperto un fascicolo, il Pg della Cassazione e il ministro della

Giustizia hanno avviato accertamenti, il Csm ha aperto una pratica per il

trasferimento d'ufficio».

Com'è finita?

«È finita che il Csm ha archiviato la pratica dicendo che non c'era nulla di

rilevante, ma il Pg della Cassazione ha deciso di esercitare l'azione

disciplinare. E chi giudicherà? La sezione disciplinare del Csm. Composta da

consiglieri che, in parte, sono proprio quelli che hanno già detto che non

c'era nulla».

Pensa che lo «assolveranno»?

«Penso che si dovrebbero astenere. E penso che noi dobbiamo fare in modo che

pasticci di questo tipo non si verifichino mai più».

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Joined: 01-Apr-2007
3436 messaggi

purtroppo in itaglia fanno carriera quelle persone che sono brave a girare la testa dall'altra parte ed a non accorgersi di fatti evidentissimi per le persone normali

questo individuo ha fatto carriera perchè "piaccia o non piaccia non esistono altre intercettazioni" (cito a memoria ma il senso era quello)

un altro individuo ha fatto carriera senza accorgersi che qualcun altro gli aveva pagato la casa

un'altra individua afferma che "è finita l'era del posto fisso a due passi dalla mamma" (anche in questo caso vado a memoria) e non si accorge che la figlia svolge due lavori uno dei quali proprio a casa di mamma e papà

dall'altra parte in un paese vicino a noi e che fa la voce grossa con il resto dell'Europa il presidente si è dovuto dimettere perchè aveva ricevuto dei favori che confrontati a quelli summenzionati sembrano il rapporto tra una formica ed un elefante

ma tant'è noi ci siamo abituati a queste porcherie, d'altronde il popolo paziente e bastonato col cambiar padron non cambia stato

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

L’INTERVISTA FACCIA A FACCIA

Marcello

Maddalena

È uno dei magistrati più coriacei e influenti.

Ammette «le notevoli discrezionalità dei pm»

e la necessità di controllarli per via gerarchica.

E auspica un nuovo sistema elettorale per il Csm

Il procuratore generale di Torino spiega perché il compito

delle toghe è per definizione «far sempre male» a qualcuno

di LUIGI AMICONE (TEMPI | 29 febbraio 2012)

Giorgio Napolitano ha fatto intendere che non accetterà più le barricate

dell’Anm e ha aperto alla riforma della giustizia. «C’è un positivo mutamento

dell’atmosfera che può consentire un confronto costruttivo». Un bel segnale,

questo che il Quirinale, parlando dal più alto scranno del Csm, ha voluto dare

all’ordine giudiziario. Di qui, anche uno dei più autorevoli rappresentanti

della magistratura, ne ha preso atto. «Condivido il suo discorso, penso che

sia però difficile attuare delle riforme costituzionali in questo momento».

Marcello Maddalena, 71 anni, è procuratore generale di Torino. In magistratura

dal 1967, prima nel ruolo di giudice istruttore e poi di pm, è stato membro

del Csm e segretario nazionale dell’Anm. Negli anni Novanta è stato

procuratore aggiunto e, sempre a Torino, procuratore capo. Ha condotto

inchieste di vasta risonanza pubblica (casi Telekom-Serbia e Moggi-Pairetto) e

ha sostenuto con convinzione l’azione di “Mani Pulite”. Nel 1997 ha firmato

con Marco Travaglio un volume dal titolo abbastanza perentorio (Meno grazia,

più giustizia) e medesimo orientamento mostrò in occasione dell’indulto, che

lo trovò dissenziente, varato dal governo Prodi nel 2007. È ritenuto uno dei

magistrati italiani più coriacei, riservati e influenti. Gli diamo atto di

aver risposto con molto garbo e fairplay alle ruvide domande che gli abbiamo

sottoposto.

In apertura dell’anno giudiziario lei ha affermato che nei processi

penali «la prova si deve formare davanti al giudice dibattimentale e

non essere, anche inconsciamente, condizionata dai tanti talk show

televisivi, che sono sempre estremamente pericolosi anche per la

corretta formazione del convincimento del giudice». Parole sante. Ma

il processo penale è morto, visto che ormai quasi tutto il materiale

dell’accusa e, in specie, le cosiddette “intercettazioni” finiscono

puntualmente sui giornali e nei talk show televisivi perché contenuti

nei dispositivi di custodia cautelare o comunque sono depositati agli

atti, dunque legalmente pubblicabili. Come si fa a ristabilire quei

princìpi fondamentali del processo penale che oggi vengono de facto

disattesi?

In effetti il problema, per quei processi (che per fortuna non sono tutti) che

finiscono nei talk show televisivi, c’è. E soprattutto c’è per quelli che vi

finiscono anzitempo. I rimedi non sono facilissimi perché si tratta di trovare

il giusto equilibrio tra il diritto di cronaca e di critica degli organi di

informazioni (che è fondamentale in qualsiasi regime democratico), il diritto

al controllo pubblico sul funzionamento delle istituzioni, il diritto alla

riservatezza delle persone coinvolte nel processo, il diritto di difendersi

(che comporta anche – dopo la fase delle indagini preliminari – il diritto

dello stesso accusato alla pubblicità del processo), il segreto investigativo

(che quasi sempre è fondamentale per il buon esito delle indagini). In linea

di massima, tutta la fase delle indagini preliminari dovrebbe essere coperta

dal segreto, cioè fino a quando il pubblico ministero non esercita l’azione

penale, e la pubblicità dovrebbe essere riservata alle fasi successive; ma il

legislatore del 1988, per venire incontro – a mio avviso, in modo eccessivo –

alle esigenze dell’informazione, ha adottato una disciplina contorta e

contraddittoria che di fatto favorisce la diffusione del contenuto degli atti

anche durante la fase delle indagini preliminari. La realtà è che sarebbe

necessario, da un lato, rivedere per legge tutta la materia del segreto, al

limite anche riducendone l’area, ma prevedendo poi delle pene severe sia per

chi lo viola (ma è difficile scoprirlo e soprattutto provarne la

responsabilità) sia anche per chi pubblica atti ancora segreti (e qui non c’è

problema di individuazione e di prova: ma entra in gioco il problema della

possibile eccessiva compressione della libertà di stampa). Dico subito che i

tempi non mi sembrano però maturi per correzioni del genere che richiedono

anche un forte convincimento da parte di tutta la società civile, in quanto –

anche per effetto di alcune sentenze della Corte europea di Strasburgo – le

violazioni del segreto (di ufficio, di Stato, investigativo eccetera)

attraverso i mezzi di comunicazione di massa paiono diventati praticamente

irrilevanti (tranne che in casi assolutamente eccezionali).

Sono un cittadino italiano che non sa, il giorno che dovesse aprirsi

una fascicolo giudiziario nei suoi confronti, se la notizia di reato è

venuta da qualcuno che mi ha accusato di aver io cagionato un danno a

chicchessia, violato una norma del codice penale o essere stato messo

sotto inchiesta dopo che una lettera anonima pervenuta in Procura o

una conversazione privata intercettata nell’ambito di altra inchiesta

ha rivelato a un pubblico ministero che ho riso del terremoto in

Abruzzo o ho insultato il presidente della Repubblica. Sto esagerando,

naturalmente. Ma è ormai molto diffusa la sensazione che

l’obbligatorietà dell’azione penale si sia trasformata in

discrezionalità (ne ha parlato anche Luciano Violante), quando non

addirittura in arbitrarietà. Cosa ne pensa?

È indubitabile che nella gestione delle indagini, nell’acquisizione delle

notizie di reato, nelle scelte istruttorie dei pubblici ministeri vi siano

notevoli margini di discrezionalità, molto maggiori nella fase iniziale che

non successivamente al termine delle indagini dove le loro richieste (di

archiviazione o di rinvio a giudizio) sono comunque sottoposte alla decisione

di un altro magistrato, il giudice delle indagini preliminari. Peraltro, sotto

diverso profilo, il numero delle notizie di reato, o acquisite dallo stesso

pubblico ministero o comunque da lui ricevute, è talmente elevato che, in un

sistema processuale ultragarantito come il nostro (con tre gradi di giudizio e

possibilità di ricorrere in Cassazione contro ogni sentenza), non può essere

certamente smaltito nei tempi ragionevoli richiesti dalla Convenzione europea

sui diritti dell’uomo e – adesso – dalla nostra Carta costituzionale. Si pone

perciò il problema o della selezione delle notizie di reato da coltivare o

della individuazione di percorsi differenziati per le varie tipologie di

processi e di reati; o – ultima ratio – dell’abbandono del principio

costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale (che comporterebbe

sicuramente ed inevitabilmente un grosso vulnus al principio di eguaglianza

dei cittadini di fronte alla legge penale: ma, ad un certo punto, se non si

trova il rimedio, l’abbandono diventerebbe persino necessitato). Prima però di

arrivare a tanto, vi sono però ancora a mio avviso degli spazi per

razionalizzare il sistema attraverso l’adozione di criteri o di definizione

anticipata “per irrilevanza penale del fatto” dei processi per fatti minimi o

di priorità degli uni rispetto agli altri (che in parte sono indicati dal

legislatori ma sono del tutto insufficienti e sopratutto insoddisfacenti) o di

scelta di percorsi alternativi che meriterebbero quanto meno di essere tentati.

Il magistrato dev’essere un leone, ma un leone sotto il trono ha detto

Luciano Violante, uno dei fondatori di Magistratura democratica. Altri

pensano che il difficile equilibrio tra potere popolare

rappresentativo e potere giudiziario autonomo è di fatto saltato agli

inizi degli anni Novanta, quando è cessata la tacita collaborazione

tra i due. Da allora si è di mostrato che il potere giudiziario è

costituzionalmente più forte del potere parlamentare e di governo,

tant’è, il titolo VI della Costituzione consente al magistrato di

sollevare la questione di legittimità costituzionale di una legge o di

un atto avente forza di legge. Non solo, è noto che le stesse leggi

hanno applicazione elastica, tant’è che dalla legge 40 alla Bossi-Fini,

ad esempio, sono decine i conflitti e le interpretazioni diverse che

ne hanno dato le corti. Si può ammettere, anche da parte della

magistratura, che è venuto il tempo di un riequlibrio dei poteri e,

dunque, di una riforma della giustizia, se necessario anche a livello

Costituzionale?

Personalmente ritengo che i padri costituenti abbiano trovato un mirabile

punto di equilibrio tra il potere giudiziario e il potere politico. Ma è stato

lo stesso potere politico che, dopo avere malissimo utilizzato lo strumento

dell’autorizzazione a procedere che rappresentava uno dei capisaldi di

quell’equilibrio, lo ha eliminato, in quanto travolto dagli scandali degli

anni Novanta. E questo ha finito per accentuare inevitabilmente la

conflittualità, che – entro certi limiti – è fisiologica ad ogni latitudine.

Dal canto suo, anche l’attività e il comportamento di alcuni magistrati hanno

talora potuto fornire l’impressione di una discesa della magistratura nel

campo della competizione politica, con conseguente perdita di quell’immagine

di imparzialità super partes che è indispensabile per la credibilità del

magistrato e la fiducia dei cittadini nella corretta e imparziale

amministrazione della giustizia. La stessa divisione dei magistrati in

“correnti” e la stessa legge elettorale del Consiglio superiore della

magistratura che esalta questa divisione ed ancora la commistione, nello

stesso Consiglio superiore, di funzioni amministrative e di funzioni

giurisdizionali (in materia disciplinare) finiscono per avvalorare questa

impressione. Sotto questo profilo, delle modifiche, con molta prudenza, si

possono anche studiare. Devo però aggiungere che, in un paese come l’Italia,

contrassegnato da un altissimo tasso di illegalità, da grosse manifestazioni

di criminalità organizzata in sempre più numerose regioni ed in un sempre

maggior numero di settori, dalla diffusissima insofferenza del controllo di

legalità esercitato dalla magistratura, soprattutto in ambienti politici, la

bilancia pende nettamente a favore dell’operato complessivo della magistratura

che ha saputo fronteggiare adeguatamente – attraverso lo strumento del

processo penale pur con tutti i suoi difetti e nel rispetto di tutte le

garanzie proprie di un regime democratico e civile – fenomeni come il

terrorismo, la delinquenza organizzata mafiosa, il malcostume politico e

amministrativo, l’insicurezza sui posti di lavoro eccetera.

Un magistrato deve apparire oltre che essere imparziale. Ma se i

magistrati sono di fatto divisi in associazioni sindacali fortemente

politicizzate – penso a Md – io cittadino, come posso andare

serenamente a giudizio conoscendo le convinzioni ideologiche di chi mi

inquisisce e mi giudica? Non mi dica quello che ha detto Gherardo

Colombo al Corriere della Sera, e cioè che sarebbe come chiedere a un

terrorista islamico quale fiducia può avere rispetto a un giudice

cattolico che va a messa tutte le domeniche. Stiamo parlando di

magistrati che partecipano a comizi, dichiarano che un certo governo

“non ha l’autorità morale” per fare certe leggi, di magistrati che

calcano le scene televisive prima di cambiare casacca e da un giorno

all’altro trasformarsi in politici. Non sarebbe necessario mettere

paletti per evitare che un magistrato si scelga le inchieste che gli

danno maggiore visibilità e gli procurano fortune politiche?

Per rispondere a questa domanda devo fare due premesse. La prima è che mal si

attaglia alle “correnti” della Anm la qualifica di “associazione sindacale”

(in quanto l’aspetto degli interessi economici della categoria è

oggettivamente l’ultimo di quelli presi in considerazione: e forse una

maggiore attenzione agli stessi non guasterebbe neppure). La seconda è che gli

orientamenti “culturali” o, se si vuole, lato sensu, “politici” di ogni

magistrato finiscono per essere noti in ogni paese del mondo, sia pure con

diverse aggettivazioni: conservatore, progressista, liberal eccetera. Ciò non

toglie che personalmente io sia stato sempre fortemente critico sulla

proclamata “collocazione” politica (di “sinistra”) che si è voluta dare, fin

dal suo nascere, Magistratura democratica. Ma questo non incide né sulla

imparzialità né, a mio avviso, sulla immagine di imparzialità del magistrato

fino a che non si traduce in comportamenti che facciano comprendere o anche

immaginare una sua discesa in campo sul piano della competizione politica. Di

qui la mia netta convinzione che un maggiore “self restraint” da parte di

alcuni magistrati non nuocerebbe. Sono poi assolutamente convinto della

necessità di porre alcuni paletti, come ad esempio quello per cui il

magistrato, che sia passato alla politica attiva, non possa più far rientro

nella professione. Quanto alle inchieste che danno maggiore visibilità e

procurano fortune politiche, per quella che è la mia esperienza non è tanto il

magistrato che si sceglie l’inchiesta che dà visibilità politica, quanto il

fatto che è lo sviluppo di certi procedimenti occasionalmente trattati da un

determinato magistrato a dare inevitabilmente visibilità (politica o meno).

Ovviamente a questo risultato contribuiscono anche le capacità del singolo

nello sviluppare le indagini, ma questo indipendentemente dalle velleità

eventualmente politiche dello stesso. A puro titolo di esempio, non vi è

dubbio che moltissimi magistrati del pubblico ministero, in qualsiasi città di

Italia, in occasione dell’arresto di Mario Chiesa si sarebbero limitati a

procedere per direttissima (era stato arrestato in flagranza) e ad ottenerne

la condanna. E tutto sarebbe finito lì. Lo sviluppo successivo (qualsiasi

giudizio se ne voglia dare) dipende esclusivamente dalla scelta di Antonio Di

Pietro di non fermarsi lì ma di scavare più a fondo estendendo le indagini ad

altri casi trattati dall’indagato. E lo stesso discorso può farsi per molte

altre indagini nei settori più disparati (di criminalità mafiosa ed

organizzata, di pubblica amministrazione, di malattie professionali o

sicurezza sui posti di lavoro eccetera).

Controllo dell’operato della magistratura, argomento delicatissimo, ma

che per esempio il giudice Giovanni Falcone affrontava domandandosi

«com’è possibile che in un regime liberal democratico non vi sia

ancora una politica giudiziaria e tutto sia riservato alle decisioni

dei vari uffici di Procura e spesso dei singoli sostituti». E

aggiungeva Falcone, «in mancanza di controlli istituzionali

sull’attività del pm saranno sempre più gravi i pericoli che influenze

informali e poteri occulti possano influenzare tale attività ». Cosa

ne pensa?

Il problema si pone, ovviamente, solo per gli uffici di procura perché non è

pensabile di poter sottoporre a controllo, in un regime non totalitario,

l’operato dei giudici per il quale vale il detto: “habeant sua sidera lites”.

Per quanto concerne i pubblici ministeri il rischio di andare incontro a tante

cosiddette “politiche giudiziarie” o, peggio ancora, a tante diverse

giurisprudenze quanti sono i magistrati che compongono gli uffici inquirenti

(circa duemila in tutta Italia) può essere adeguatamente fronteggiato, almeno

in parte, attraverso l’organizzazione gerarchica delle procure, che è stata

caldeggiata anche – proprio per garantire il corretto ed uniforme esercizio

dell’azione penale – dalla Raccomandazione n. 19 del 6 ottobre 2000 del

Comitato dei ministri d’Europa. Di più non credo che si possa fare, a pena di

non sottoporre il pubblico ministero al potere esecutivo con tutti i rischi

che – specie in Italia (che è il paese della raccomandazioni) – ne

deriverebbero sia sul piano del rispetto del principio di eguaglianza e di

obbligatorietà dell’azione penale sia su quello della “strumentalizzazione”

degli uffici di Procura da parte del potere politico: insomma, per chi deplora

la possibile “politicizzazione” dei magistrati del pubblico ministero,

significherebbe cadere dalla padella nella brace. Né va dimenticato che un

controllo – sia pure limitato ai casi di abnormità dei provvedimenti e delle

condotte giudiziarie – sull’operato dei pubblici ministeri viene effettuato

dal Consiglio superiore della magistratura, come dimostra il caso della

condanna e del trasferimento di ufficio di un notissimo magistrato del

pubblico ministero passato poi direttamente alla politica (e premiato

dall’elettorato) ma prima sanzionato dalla sezione disciplinare del Consiglio.

Ancora Falcone sosteneva che se negli Stati Uniti «la giustizia è più

rapida, efficiente e attenta ai diritti della difesa» dipende anche

dallo «strumento fondamentale della non obbligatorietà dell’azione

penale»: «Fino a quando in Italia vi saranno rigide normative sulla

obbligatorietà il problema della repressione giudiziaria del crimine

organizzato non avrà fatto un passo avanti». Non pensa che i milioni

di processi pendenti e le centomila e passa prescrizioni all’anno

dipendano da questo feticcio dell’obbligatorietà?

A mio avviso, non è del tutto probante il paragone con gli Stati Uniti sia

perché – al di là della durata dei processi – è tutto da dimostrare che la

giustizia penale funzioni meglio lì che in Italia (rileggasi, per cominciare

ad avere qualche dubbio, il romanzo Presunto innocente di Turow) sia perché il

rapporto cittadino-istituzioni è lì concepito in modo nettamente diverso che

in Italia (lì il diritto alla menzogna non è riconosciuto neppure all’imputato)

con la conseguenza che non sono immaginabili le pressioni che si

addenserebbero sulla magistratura ove non vi fosse il principio di

obbligatorietà dell’azione penale (che costituisce l’unico vero scudo del

magistrato che voglia procedere – imparzialmente e senza nessun accanimento

accusatorio! – anche nei confronti dei potenti della terra).

Se l’autonomia della magistratura è in crisi non dipende anche dalla

crisi che investe l’Anm, le cui correnti si sono trasformate in

macchine elettorali per il Csm? E non sarebbe ora di riformare anche

l’organo di autogoverno della magistratura?

Ciò in parte è vero. E come ho detto, sarei favorevole ad una revisione del

sistema elettorale (non della sua composizione) del Csm in modo da ridurre lo

spazio di incidenza delle correnti (penso ad un collegio uninominale a doppio

turno). Penso anche alla possibilità di una sezione disciplinare autonoma

rispetto al resto del Csm, per evitare improprie commistioni di funzioni

amministrative e giurisdizionali. Ma non farei ulteriori cambiamenti perché i

danni che provocherebbero sarebbero, a mio avviso, maggiori dei vantaggi,

anche perché è solo una leggenda metropolitana che la sezione disciplinare sia

viziata da “corporativismo”. Al contrario, non vi è in nessuna amministrazione

pubblica, e in nessuna categoria professionale, una incidenza del disciplinare

anche lontanamente comparabile con quella che, da qualche anno a questa parte,

si registra all’interno dell’ordine giudiziario.

Immagino che anche lei, come i suoi colleghi, sia contrario alla norma

sulla responsabilità civile diretta dei magistrati. Ma come fate a

sostenere l’unicità di un mestiere che per molti versi può essere

comparato a quello del chirurgo da cui dipende la vita delle persone e

il chirurgo può essere chiamato direttamente in causa, invece

dell’eventuale dolo del magistrato risponde lo Stato, cioè il

contribuente?

In Italia già esistono la responsabilità penale, quella disciplinare e quella

civile del magistrato per colpa grave e diniego di giustizia. Il paragone con

il medico ed il chirurgo è improprio, perché il medico ed il paziente sono

uniti dal medesimo fine (la salute del malato) e il sanitario non deve

necessariamente “far male” a qualcuno (anzi) mentre il magistrato, per

definizione, “fa sempre male” a qualcuno (nel civile o all’attore o al

convenuto a seconda della persona cui attribuisca la ragione; nel penale,

all’imputato rinviato a giudizio o condannato ovvero, nel caso di assoluzione,

alla persona offesa o danneggiata dal reato). Se dovesse essere introdotta la

responsabilità civile per qualsiasi decisione ritenuta nei successivi gradi di

giudizio o in autonomo processo sbagliata, il magistrato finirebbe per restare

condizionato, nelle sue decisioni e magari senza esserne neppure consapevole,

dal timore che gli potrebbe derivare dalla “parte più forte”. Il magistrato

deve emettere dei “giudizi”. Ed un giudizio o è libero o non è un giudizio. E

il magistrato, se dal suo giudizio può attendersi o dei vantaggi o del danno,

non è più veramente libero. Per questo deve agire “sine spe et sine metu”.

Speranze e timori sono fattori di condizionamento e quindi di perdita di

imparzialità. Ma noi giustamente vogliamo e pretendiamo che il magistrato

(compreso il pubblico ministero che indaga) sia e resti assolutamente

imparziale.

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Il processo Il pentito: «Diceva che un carabiniere comprava la droga per il pm». L’assessore corre in Procura

Lo Russo rivela: Pisani indagava su Narducci

di TITTI BENEDUCE (Corriere del Mezzogiorno 21-03-2012)

Vittorio Pisani sosteneva che l'ex pm Giuseppe Narducci facesse uso di cocaina

e che la droga gliela procurasse un carabiniere alla Torretta. È il contenuto

di un verbale del collaboratore di giustizia Salvatore Lo Russo, depositato

dai pm al processo in corso contro l'ex capo della mobile. Appreso il

contenuto del verbale, l'assessore è corso in Procura: «È doveroso rivelare

che cosa accadeva quando indagavo sui rapporti tra polizia e clan».

___

Il processo L’assessore corre in Procura: mi è tutto chiaro, ho diverse cose da riferire ai miei ex colleghi

Il verbale choc del pentito:

«Pisani indagò su Narducci»

Lo Russo: diceva che il pm sniffava coca

di TITTI BENEDUCE (Corriere del Mezzogiorno 21-03-2012)

NAPOLI — Pisani indagò sull'ex sostituto procuratore Giuseppe Narducci, oggi

assessore nella giunta De Magistris, e mise in giro la voce che il pm di

Calciopoli facesse uso di droga, procuratagli da un carabiniere. La

dichiarazione — bomba è del collaboratore di giustizia Salvatore Lo Russo, ex

confidente di Pisani. Il verbale in questione, in precedenza omissato, è stato

depositato nei giorni scorsi in forma integrale dai pm Sergio Amato ed Enrica

Parascandolo. Pisani si sarebbe rivolto al suo confidente per acquisire

informazioni sul magistrato, convinto — a dire del pentito — che facesse uso

di droga. Il collaboratore ha sottolineato di essere rimasto «sbalordito»

dalla richiesta in quanto sapeva, da quanto leggeva sui giornali, che Narducci

era un pm molto attivo. L'attuale assessore alla Sicurezza del Comune di

Napoli da pm ha svolto importanti inchieste, tra cui quella contro i clan

Misso e Giuliano. Negli anni '90 condusse, tra l'altro, indagini su presunte

collusioni poliziotti e clan. E lì, probabilmente, è l'origine di tutto: per

questo, ieri sera, quando ha saputo delle dichiarazioni di lo Russo, Narducci

è corso in Procura. «È doveroso — ha detto — fornire ai miei ex colleghi

elementi su quale fosse l'attività che veniva dispiegata nei miei confronti

dall'attuale imputato». L'ex pm ne ha anche per Damiano Lisena, l'ispettore

che lo definiva Peppe 'o scemo: «Ho raccolto su di lui dichiarazioni di

diversi collaboratori». Eccoci all'interrogatorio di Lo Russo del 19 ottobre

2010; il pm Amato rilegge una dichiarazione che il pentito aveva reso

precedentemente: «Ricordo che in un'occasione il dottor Pisani mi chiese

informazioni circa il fatto che c'era un carabiniere che si recava nella zona

della Torretta per acquistare cocaina per il dottor Narducci. Rimasi

sorpreso». Lo Russo aggiunge: «Diciamo sbalordito». Il pm riprende la lettura

del verbale precedente: «Anzi sbalordito». Quindi chiede: «Rimaneste

sbalordito perché?». Il collaboratore spiega: «E perché io il dottor Narducci

lo conosco attraverso le cronache e cose, io sono sempre convinto che è una

bugia per me, perché non la vedo una persona che può far uso di stupefacenti».

Il pm Amato riprende la lettura del verbale precedente: «Rimasi sorpreso, anzi,

sbalordito da quanto diceva, in quanto conoscevo la fama del dottor Narducci

di magistrato integerrimo». Lo Russo lo interrompe: «Non mi voglio sbagliare,

il dottor Narducci era uno di quelli che stava spesso sul giornale, era uno

che lavorava molto a quei temi». Amato continua a leggere il verbale

precedente: «Risposi che non sapevo nulla e che nulla potevo fare in quanto

quella non era una zona in cui avessi particolari conoscenze. Di lì a poco

chiesi a Damiano Lisena che tipo fosse il dottor Narducci e lui rispose che

loro non lo tenevano in nessuna considerazione, precisandomi che anche nelle

occasioni in cui operava direttamente con loro ne parlavano come Peppe 'o

scemo».

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Le dichiarazione dell’ex boss Lo Russo

"Pisani mi chiese notizie su Narducci"

Nuovo verbale del pentito Lo Russo che in aula torna ad accusare il poliziotto

di DARIO DEL PORTO (la Repubblica - Napoli 21-03-2012)

La Procura toglie il segreto da alcuni verbali del pentito Salvatore Lo Russo

e spuntano nuove, dirompenti, dichiarazioni dell´ex boss di Secondigliano.

Alla fine degli anni ´90 l´ex capo della squadra mobile Vittorio Pisani

avrebbe chiesto a Lo Russo, all´epoca suo confidente, oggi suo accusatore,

informazioni sull´allora pm anticamorra Giuseppe Narducci, oggi assessore

comunale, e sul leader dei No Global Francesco Caruso.

Gli atti sono stati depositati alla vigilia dell´udienza di ieri del processo

sul riciclaggio in alcuni locali del lungomare dove Lo Russo, imputato assieme

ad altre 16 persone fra le quali Pisani e gli imprenditori Marco Iorio e Bruno

Potenza, ha risposto alle domande del pm Sergio Amato.

Collegato in videoconferenza con l´aula 116 del Tribunale, il pentito ha

parlato per oltre due ore. Ha ricostruito i suoi rapporti con Mario Potenza,

storico contrabbandiere e usuraio del Pallonetto di Santa Lucia, e con il

figlio Bruno, al quale avrebbe affidato 500 mila euro della figlia. «Bruno mi

disse che avrebbe fatto girare quei soldi e avrebbe dato a mia figlia 4 mila

euro al mese, come poi accadde». Lo Russo ha poi affermato di aver affidato a

Marco Iorio e Bruno Potenza un milione e mezzo di euro, senza però entrare

formalmente nella società che gestiva i ristoranti, concordando una rendita di

100 mila euro l´anno (ma ne aveva chiesti 150 mila euro), soldi poi mai

ricevuti perché, nel 2007, Lo Russo fu arrestato.

Il pentito ha riferito inoltre dell´antipatia nutrita nei confronti del

calciatore Fabio Cannavaro, ritenuto dall´ex capoclan troppo venale: «Iorio e

Cannavaro sono amici ma anche soci. Fabio Cannavaro possiede il 10 per cento

della società della ristorazione, mi disse Marco Iorio. Ma a me stava

antipatico. Lo schifavo». E ha ribadito le accuse nei confronti di Pisani, del

quale era stato a lungo confidente, sostenendo anche di avergli consegnato in

tre occasioni denaro contante nonostante la «resistenza» opposta dal

superpoliziotto. Pisani, accusato di favoreggiamento di Iorio e Potenza, ha

sempre respinto tutte le accuse e gode tuttora della piena fiducia del

Viminale. Ieri ha ascoltato la deposizione del pentito seduto accanto ai suoi

legali, gli avvocati Vanni Cerino e Rino Nugnes, che si preparano al

controesame del collaboratore di giustizia che si svolgerà martedì 27 marzo.

In un verbale del 19 ottobre 2010, Lo Russo indica un episodio che sarebbe

avvenuto «prima dell´anno 2000». Dice il pentito: «In un´occasione il dottor

Pisani mi chiese informazioni circa il fatto che c´era un carabiniere che si

recava nella zona della Torretta per acquistare cocaina per il dottor

Narducci», in quegli anni sostituto di punta del pool anticamorra. Lo Russo

aggiunge di essere rimasto «sbalordito da quanto diceva in quanto conoscevo la

fama del dottor Narducci di magistrato integerrimo. Risposi che non ne sapevo

nulla e che nulla potevo fare in quanto quella non era una zona dove avevo

particolari conoscenze». Ieri sera Narducci si è recato in Procura per esporre

ai magistrati alcuni elementi ritenuti a suo giudizio utili alle doverose

verifiche sulla attendibilità di quanto sostenuto da Lo Russo. Più volte,

nella sua carriera, Narducci si è occupato di inchieste che hanno toccato

ambienti della polizia. Alla fine degli anni ´90 le indagini avviate dall´ex

pm dopo il pentimento di uno dei fratelli Giuliano di Forcella, Guglielmo,

avevano anche portato all´apertura di un fascicolo per favoreggiamento nei

confronti di Pisani, istruito da un diverso pm e poi chiuso con il

proscioglimento del superpoliziotto.

Nel verbale il collaboratore di giustizia prosegue affermando che in un´altra

circostanza «il dottor Pisani mi chiese se avessi informazioni» in merito a

Francesco Caruso, leader dei No Global che è stato anche deputato di

Rifondazione tra il 2006 e il 2008. Nel corso dell´esame di ieri, il pm Amato,

che sostiene l´accusa con il pm Enrica Parascandolo, non ha rivolto a Lo Russo

alcuna domanda su queste vicende. In aula Lo Russo ha invece ripetuto quanto

già detto a verbale sul rapporto di natura confidenziale instaurato con Pisani

e ha anche parlato di tre presunte dazioni di denaro in favore del

superpoliziotto. La prima in occasione del periodo natalizio: «Misi 20 mila

euro in una busta, non sapevo come sarebbe andata, se avrebbe accettato o

meno. All´inizio oppose resistenza, diceva che ai soldi non andava appresso».

Altri 20 mila euro Lo Russo sostiene di averli regalati al dirigente di

polizia per il suo compleanno, che cade lo stesso giorno di sua figlia, mentre

altri 50 mila euro sarebbero stati dati dopo una vincita di 140 mila euro al

casinò di Sanremo.

Lo Russo ha detto che il rapporto con Pisani gli «garantiva sicurezza, mi

faceva sentire immune». E ha accennato un episodio che sarebbe avvenuto mentre,

in auto, si stava dirigendo a Viterbo. «Avevo con me 200 mila euro, mi fermò

la polizia, ci dissero di seguirli in questura. Avvertii Pisani». A questo

punto però il pm Amato ha interrotto il pentito invitandolo a non proseguire

nel racconto in quanto si tratta di fatti ancora coperti da segreto

istruttorio.

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Inviato (modificato)

Riciclaggio, i verbali choc

Il pentito, Narducci e i «veleni» sulla cocaina

Lo Russo: «Pisani mi chiese se l’ex pm facesse uso di droga. Al superpoliziotto diedi 90mila euro»

di LUIGI ROANO (IL MATTINO 21-03-2012)

Svela un retroscena, una storia al cianuro che si abbatte sul processo in cui

è imputato l’ex capo della Mobile Vittorio Pisani. Eccolo l’ultimo verbale del

boss pentito Salvatore Lo Russo, da qualche giorno offerto alle parti senza

omissis, senza censure da parte del pm: è il 19 ottobre del 2010, Lo Russo

sostiene che una decina di anni prima, Vittorio Pisani avrebbe chiesto notizie

su un carabiniere che acquistava cocaina alla Torretta per conto dell’allora

pm anticamorra (oggi assessore alla Sicurezza) Giuseppe Narducci. Poche righe,

una rasoiata che svela un retroscena (al momento non riscontrato) del rapporto

intrecciato tra l’allora boss dei capitoni e l’ex superpoliziotto di via

Medina. Salvatore Lo Russo - da anni non è un mistero - era il confidente di

Pisani, da due anni sta collaborando con la giustizia. Ed è all’inizio del suo

pentimento che Lo Russo spiega ai pm Sergio Amato e Enrica Parascandolo una

presunta ricerca di notizie da parte di Pisani mirata su Narducci (ma anche

verso l’ex parlamentare di Rifondazione Francesco Caruso).

Un tentativo di dossierare il pm che indagava sul clan Giuliano? Un tentativo

di colpire il titolare di una indagine per favoreggiamento (poi finita con il

proscioglimento) che colpì il giovanissimo Pisani? Inchiesta in corso, secco

no comment da parte dei penalisti Vanni Cerino e Rino Nugnes, ma ecco le

dichiarazioni rese note in queste ore dalla Dda: «Ricordo che in un’occasione

il dottor Pisani mi chiese informazioni circa il fatto che c’era un

carabiniere che si recava nella zona della Torretta per acquistare cocaina per

il dottor Narducci. Rimasi sorpreso». Lo Russo aggiunge: «Diciamo sbalordito».

Il collaboratore spiega. «E perché io il dottor Narducci lo conosco attraverso

le cronache, io sono sempre convinto che è una bugia per me, perché non la

vedo una persona così che può far uso di stupefacenti. Conoscevo la fama del

dottor Narducci di magistrato integerrimo. Era uno di quelli che stava spesso

sul giornale, lavorava molto». Ma è ancora Salvatore Lo Russo a tenere banco

nel corso del processo sul presunto riciclaggio in attività di ristorazione.

Settima sezione penale, presidente Rosa Romano, aula gremita, tensione a

fette. Parla l’ex boss dei capitoni (che si dice «abbandonato» come pentito

dalla famiglia), racconta il suo ruolo di boss confidente di Pisani, ma anche

il suo rapporto con Bruno Potenza e Marco Iorio (entrambi ristoratori finiti

in manette), oltre alla relazione con il poliziotto Damiano Lisena. In aula,

il pentito conferma di aver dato soldi a Pisani a mo’ di regalo: 90mila euro,

due tranche da 20mila e una terza da cinquantamila euro: «Ci scambiavamo

regali, lui mi regalava pomodorini o pullver di cachimere, io mi decisi a

dargli dei soldi. Lui all’inizio si mostrava turbato, opponeva qualche

resistenza, ma i soldi li intascava. La terza volta venivo da Montecarlo,

avevo vinto quasi 180mila euro, gli feci vedere la ricevuta, gli spiegai che

non erano rubati. Fu così che prese 50mila euro». Anche qui, al di là delle

accuse del pentito, non ci sono riscontri su una circostanza per altro

fortemente negata dallo stesso Pisani. Conferme anche su un altro punto:

«Pisani mi diceva di non parlare mai a telefono, di stare attento alle

intercettazioni. Quando fui arrestato, disse a mia moglie che non dovevo fare

colpi di testa. Una volta gli chiesi se a Sant’Antimo c’era un progetto di

ammazzarmi, lui mi disse che il fatto non era campato in aria». Non manca un

riferimento ad Adamo Bove, l’ex poliziotto e manager Telecom morto suicida nel

2006: «Mi disse che aveva toccato cose e persone da cui doveva stare alla

larga, mi fece capire che quel poliziotto apparteneva ai servizi. Mi fa più

paura Pisani, che cento camorristi insieme». Poi i rapporti societari con

Iorio e Potenza. Tra il 2004 e il 2005, Lo Russo avrebbe consegnato 500mila

euro a Bruno Potenza, per ottenere una rendita di 4mila euro al mese da girare

alla figlia. Poi, l’ingresso nella società di Iorio e Potenza: «Ho affidato un

milione e mezzo di euro (in tre tranche), in cambio di una rendita di 100mila

euro l’anno (soldi mai intascati causa arresto di Lo Russo, ndr)». Non manca

una battuta offensiva a Fabio Cannavaro (ex socio di Iorio e non indagato):

«Marco Iorio a tutti costi me lo voleva far conoscere, ma a me era antipatico,

lo ritenevo un accattone e mi sono sempre rifiutato di conoscerlo, anche dopo

la sua vittoria ai mondiali».

-------

La reazione

L’assessore va in Procura e accusa

«Vogliono screditare le mie indagini»

Dopo le dichiarazioni emerse dai verbali sul caso Pisani la visita al palazzo di Giustizia

di LUIGI ROANO (IL MATTINO 21-03-2012)

Amareggiato ma battagliero, così nella tardissima sera di ieri si è

presentato dai suoi ex colleghi pm. Giuseppe Narducci - oggi assessore alla

legalità - è stato tirato in ballo nell’inchiesta che vede coinvolto l’ex capo

della Mobile Vittorio Pisani dove l’ipotesi di reato è riciclaggio - il boss

pentito Salvatore Lo Russo ha riferito in aula nel corso del dibattimento di

avere ricevuto da Pisani la notizia che il poliziotto stava indagando su

Narducci sospettato di fare uso di droga. Addirittura il pusher sarebbe stato

un carabiniere. Una brutta storia che viene da lontano e che fa apparire

sempre più concreti i fantasmi di una faida all’interno delle Istituzioni che

fa bene solamente ai camorristi. Veleni inoculati da un boss oggi pentito che

scuotono due palazzi: quello della politica e della Procura. Narducci ha

appreso la notizia delle dichiarazioni del pentito mentre si apprestava ad

andare in giunta dove c’era in discussione la manovra di bilancio. Ha letto e

riletto quei dispacci d’agenzia quindi incredulo ha avvisato il sindaco Luigi

de Magistris di quanto stava accadendo ricevendone la solidarietà. Si è

attaccato poi al telefono. Da dove ha chiesto ai suoi ex colleghi di essere

ascoltato immediatamente.

Perché è andato in Procura Narducci? La circostanza riferita da Lo Russo

risale agli inizi degli anni ’90. Narducci si è recato in Procura per fornire

chiarimenti ai magistrati «su quale fosse l’attività che veniva dispiegata da

Vittorio Pisani nei miei confronti». «Mi sembra doveroso - dice Narducci -

riferire cose anche sul protagonista di quella vicenda oggi imputato nonché

sull’ispettore Damiano Lisena sul cui conto raccolsi dichiarazioni di

collaboratori di giustizia che evidentemente i miei ex colleghi stanno

utilizzando». Narducci, dunque mette in relazione la vicenda raccontata dal

pentito con l’inchiesta che condusse negli anni novanta su poliziotti accusati

di collusioni con i clan. Nella sostanza l’assessore alla Legalità di Palazzo

San Giacomo - trapela dal suo quartier generale di Piazza Municipio - a

quell’epoca indagava sui rapporti tra pezzi dello Stato collusi, non solo

poliziotti e camorra. Già a quel tempo «era stata messa in atto un’attività

per screditare l’opera delle indagini». Insomma, secondo quello che trapela, a

Palazzo San Giacomo trova più che un conferma l’idea che l’attività svolta da

Narducci e dall’amministrazione nel suo complesso ostacola i traffici illegali

e questo non fa contenti gli esponenti delle famiglie mafiose. Una teoria non

campata in aria.

Narducci - come assessore - è impegnato in Comune sul fronte della difesa

della cosa pubblica dall’aggressività dei clan. È attivo per questo motivo sul

fronte delle gare d’appalto. Il meccanismo di assegnazione dei lavori pubblici

è il suo pallino. Ha lavorato e sta lavorando per mettere a punto sofisticati

strumenti per impedire le infiltrazioni. Di più. Ha creato un albo per

sostenere le aziende vittime del pizzo e riportare quindi sul mercato imprese

strozzate.

Modificato da Ghost Dog

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Riciclaggio, i verbali choc

Il pentito, Narducci e i «veleni» sulla cocaina

Lo Russo: «Pisani mi chiese se l’ex pm facesse uso di droga. Al superpoliziotto diedi 90mila euro»

manca la chicca

I COMMENTI DELL'ISPETTORE - Lo Russo aggiunse che chiese informazioni su questo all'ispettore Damiano Lisena, colui che gli aveva presentato Pisani e che per un periodo aveva lavorato nei ristoranti della famiglia Iorio. Lisena, afferma Lo Russo, "disse che loro (i poliziotti, ndr) nell'ambiente lo chiamavano Peppe lo scemo". Il pm riprende la lettura del precedente verbale: "Di lì a poco chiesi a Damiano che tipo fosse il dottor Narducci e lui rispose che loro non lo tenevano in nessuna considerazione, precisandomi che anche nelle occasioni in cui operava direttamente con loro ne parlavano come Peppe 'o scemo".

http://www.napolicentro.eu/home.asp?ultime_news_id=4757

Modificato da ampeg

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manca la chicca

I COMMENTI DELL'ISPETTORE - Lo Russo aggiunse che chiese informazioni su questo all'ispettore Damiano Lisena, colui che gli aveva presentato Pisani e che per un periodo aveva lavorato nei ristoranti della famiglia Iorio. Lisena, afferma Lo Russo, "disse che loro (i poliziotti, ndr) nell'ambiente lo chiamavano Peppe lo scemo". Il pm riprende la lettura del precedente verbale: "Di lì a poco chiesi a Damiano che tipo fosse il dottor Narducci e lui rispose che loro non lo tenevano in nessuna considerazione, precisandomi che anche nelle occasioni in cui operava direttamente con loro ne parlavano come Peppe 'o scemo".

http://www.napolicen...me_news_id=4757

:261:

Chissà se conosce qualche sarto alla Pinetina? .asd

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Chi di pentiti ferisce spero che di pentiti perisce e spero che colui che lo lo accusa sia un ciarlatano come i testimoni dell'accusa al processo di farsopoli.

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L’assessore citato dal pentito Lo Russo

Narducci: denunciai Pisani, ce l'ha con me da 15 anni

di TITTI BENEDUCE (Corriere del Mezzogiorno 22-03-2012)

Un rancore che dura da 15 anni: così Giuseppe Narducci, ex pm e oggi assessore

del Comune di Napoli, interpreta le dichiarazioni del pentito Salvatore Lo

Russo, secondo il quale l'ex capo della squadra mobile Vittorio Pisani aveva

indagato sullo stesso Narducci facendo credere che facesse uso di droga.

Narducci ha parlato di altri episodi in cui emergeva il tentativo da parte di

poliziotti di indurre collaboratori di giustizia a muovere false accuse nei

suoi confronti. «È fatto notorio a Napoli che da 15-20 anni sono considerato

da Pisani foriero di molte sue disavventure. È lusinghiero che un capo camorra

si sia detto sbalordito delle insinuazioni di Pisani e abbia affermato che

negli ambienti camorristici ero considerato integerrimo».

-------

L’assessore alla Legalità spiega i motivi dei contrasti con l’ex capo della Mobile

Narducci: «Denunciai Pisani, perciò ce l’ha con me»

di TITTI BENEDUCE (Corriere del Mezzogiorno 22-03-2012)

NAPOLI — Un rancore che dura da 15 anni. Una guerra fredda tra Procura e

Questura che si protrae silenziosa salvo poi, ogni tanto, sfociare in

pericolose scaramucce. Così Giuseppe Narducci, ex pm e oggi assessore alla

Sicurezza del Comune di Napoli, interpreta le dichiarazioni del pentito

Salvatore Lo Russo, secondo il quale l'ex capo della squadra mobile Vittorio

Pisani (imputato nel processo su riciclaggio e ristorazione) aveva indagato

sullo stesso Narducci facendo credere che facesse uso di droga. Ma quello

attuato attraverso Lo Russo, secondo l'ex pm, non rappresenta l'unico episodio

per screditarlo. Lo ha spiegato lui stesso incontrando i giornalisti nel suo

ufficio al primo piano di Palazzo San Giacomo, all'indomani della

pubblicazione dei verbali di Lo Russo. Verbali sconcertanti: «Ricordo — dice

il pentito — che in un'occasione il dottor Pisani mi chiese informazioni circa

il fatto che c'era un carabiniere che si recava nella zona della Torretta per

acquistare cocaina per il dottor Narducci. Rimasi sorpreso, anzi sbalordito».

Narducci ha spiegato di essere subito andato in Procura per rendere

dichiarazioni ai pm titolari del procedimento in cui è coinvolto Pisani,

Sergio Amato ed Enrica Parascandolo. «È fatto notorio a Napoli, in ambienti

giudiziari e investigativi — ha sottolineato l'ex pm — che da 15-20 anni sono

considerato da Pisani foriero di molte sue disavventure. Una circostanza che

lo stesso Pisani non ha mai nascosto». Narducci ha ricordato le sue inchieste

sul clan Giuliano e sulle collusioni di esponenti della polizia. In seguito ad

una sua relazione all'allora procuratore Agostino Cordova, infatti, Pisani

finì sotto inchiesta per favoreggiamento (vicenda conclusa con un non luogo a

procedere dopo l'imputazione coatta ordinata dal gip) e fu trasferito a Roma.

Dopo l'omicidio di Giuseppe Giuliano avvenuto nel luglio 1998 — ha detto

ancora Narducci — fu intercettata una telefonata tra Pisani, all'epoca capo

della sezione Omicidi della squadra mobile, e il boss latitante Guglielmo

Giuliano. Una vicenda definita «anomala» da Narducci, il quale ha sottolineato

che il compito di un funzionario di polizia è in primo luogo quello di

arrestare un boss latitante della camorra. In quella circostanza il boss, al

quale Pisani chiedeva informazioni sul delitto, esprimeva anche pesanti

apprezzamenti sul conto di Narducci, «senza del resto che da parte

dell'interlocutore venisse mossa alcuna obiezione». Narducci ha spiegato di

aver fornito ai pm altri «elementi di fatto»: tra questi figurano altri

episodi, trasmessi poi all'autorità giudiziaria di Roma, in cui emergeva il

tentativo da parte di poliziotti di indurre collaboratori di giustizia a

muovere false accuse nei suoi confronti, sempre relative al consumo di

stupefacenti. Fu il pm Giovanni Corona, si ricava dagli archivi giudiziari, a

rendersi conto che quei sedicenti collaboratori in realtà mentivano.

Ricordando l'inchiesta sulla collusione di funzionari e agenti di polizia,

Narducci ha affermato che quell'indagine «fu tra le più scomode mai fatte a

Napoli: erano anni difficili, io e altri colleghi indagavamo sui rapporti

collusivi tra camorra e forze dell'ordine. Io ero stato individuato come il pm

più ostinato nell'attività di indagine e nella ricerca di prove su elementi

collusivi». Narducci è poi ritornato sulle dichiarazioni di Lo Russo: «È

lusinghiero che un capo camorra si sia detto sbalordito delle insinuazioni di

Pisani e abbia affermato che negli ambienti camorristici ero considerato

integerrimo. Io invece non sono sorpreso e sbalordito, ma indignato». Sulla

vicenda è intervenuto anche il sindaco, Luigi de Magistris: «Chi fa il

magistrato, il poliziotto o il carabiniere in un certo modo sa perfettamente

che oggi le tecniche migliori per delegittimare le persone oneste sono il

fango, la violenza morale e quella della carta da bollo. Da parte

dell'Amministrazione, me in testa, c'è massima solidarietà. La storia

personale e professionale di Narducci dimostrano che persona è e probabilmente

paga con il fango le doverose e coraggiose inchieste che ha portato avanti da

magistrato a Napoli».

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Sfogo dell´ex pm dopo le dichiarazioni del pentito Lo Russo: "Pisani mi ritiene causa di molte sue disavventure"

Caso Pisani, l´ira di Narducci

"Così tentarono di infangarmi"

L´ex pm: colpito per le inchieste sulle collusioni

di DARIO DEL PORTO (la Repubblica - Napoli 22-03-2012)

«Salvatore Lo Russo dice di essere rimasto sbalordito. Io invece sono

indignato», afferma l´assessore alla legalità Giuseppe Narducci. Le clamorose

rivelazioni del pentito si inquadrano, secondo l´ex pm, «in un clima che ho

respirato per anni, caratterizzato da tentativi di dossierarmi ed infangarmi

perché ero stato individuato come il magistrato più ostinato nella ricerca di

prove sulle collusioni della camorra con ambienti delle istituzioni ed

esponenti della polizia».

Si riferisce, Narducci, al verbale del 19 ottobre 2010 depositato agli atti

del processo sul riciclaggio in alcuni locali del lungomare. Lo Russo, ex boss

di Secondigliano, sostiene di aver ricevuto alla fine degli anni 90 dall´ex

capo della squadra mobile Vittorio Pisani, del quale era informatore, la

richiesta di notizie su un fantomatico carabiniere che avrebbe acquistato

droga alla Torretta per conto di Narducci, in quel periodo magistrato

antimafia. Lo Russo aggiunge di essere rimasto stupito dalla richiesta:

«Conoscevo la fama del dottor Narducci come magistrato integerrimo. Risposi

che non ne sapevo nulla e nulla potevo fare in quanto quella non era zona dove

avevo particolari conoscenze». Martedì sera, quando gli organi di stampa hanno

rilanciato le dichiarazioni di Lo Russo, Narducci si è presentato

spontaneamente in Procura dai pm Sergio Amato ed Enrica Parascandolo, titolari

del procedimento scaturito dalle dichiarazioni di Lo Russo, che lavorano per

verificare l´attendibilità del pentito. «Ho voluto indicare - spiega Narducci

ai cronisti - fatti e circostanze a mio avviso significative del fatto che nel

periodo indicato dal collaboratore la mia attività investigativa aveva

arrecato profondi contraccolpi».

L´ex pm ha ricordato che già in passato erano state trasmesse per competenza

alla Procura di Roma dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia che

avevano disegnato scenari analoghi a quelli di cui parla Lo Russo, con

tentativi di ottenere dichiarazioni in grado di screditare il magistrato.

Vicende, chiarisce l´assessore, non riferite in alcun modo a Pisani. Ma

sull´ex capo della mobile, l´assessore sottolinea: «È fatto notorio a Napoli e

negli ambienti giudiziari e investigativi che da quindici anni io vengo

ritenuto dal dottor Pisani il pm foriero di molte delle sue disavventure o

traversie. Una circostanza che lo stesso Pisani non ha mai nascosto». Quindi

Narducci ricostruisce un episodio che risale alla fine al mese di luglio del

1998: dopo l´omicidio di Giuseppe Giuliano, zio dell´allora capoclan Luigi, fu

intercettata dai carabinieri del Ros una telefonata tra Pisani e Guglielmo

Giuliano, all´epoca dei fatti latitante. Circostanza definita «singolare» da

Narducci, che coordinava le indagini sulla camorra di Forcella e scrisse una

relazione sul fatto al procuratore capo Agostino Cordova. «La relazione

determinò due conseguenze: l´estromissione dalle indagini della squadra mobile

e, per decisione autonoma del procuratore, l´avvio di un procedimento a carico

di Pisani per favoreggiamento». Fascicolo istruito da un diverso pm, che

chiese l´archiviazione, e poi chiuso, «dopo che il gip aveva disposto

l´imputazione coatta e la fissazione di un´udienza preliminare, con la

sentenza di non luogo a procedere». Nella interpretazione di Narducci, «dopo

la mia relazione, che aveva provocato qualcosa di non usuale, nasce l´esigenza

di chiedere a un importantissimo capo camorra notizie sul mio conto. Poi,

vivaddio, quel capocamorra ebbe l´onestà e la forza di dire che non solo non

gli risultava alcunché, ma che nel suo importantissimo gruppo criminale ero

considerato integerrimo».

Sulla circostanza riferita nel verbale del 19 ottobre 2010 non è stata

rivolta alcuna domanda a Lo Russo durante l´esame sostenuto martedì in aula al

processo sul riciclaggio, dove Pisani è imputato di favoreggiamento degli

imprenditori Marco Iorio e Bruno Potenza. A questa come alle altre accuse di

Lo Russo il superpoliziotto, al quale il Viminale non ha mai fatto venire meno

la fiducia, ha scelto di non replicare in sedi diverse da quelle processuali e

così i suoi legali, gli avvocati Vanni Cerino e Rino Nugnes, che stanno

preparando il controesame del pentito fissato per il 21 marzo. Solidarietà

all´assessore Narducci viene espressa dal sindaco Luigi de Magistris: «Parlano

la storia personale e professionale di Narducci. Probabilmente paga con il

fango le doverose e coraggiose inchieste che ha portato avanti da magistrato a

Napoli». Prima di lasciare la Procura, Narducci ha indagato sui clan di

Forcella e della Sanità, quindi su Calciopoli e sul caso Cosentino. Un altro

pentito, Michelangelo Mazza, ha detto che nel 2003 i clan dominanti del centro

cittadini avevano deciso di ammazzarlo. L´agguato doveva scattare in piazza

dei Martiri, dopo aver ricevuto una "soffiata" sui suoi spostamenti.

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