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Socrates

Enzo Robotti

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File:Juventus Football Club 1956-1957.jpg - Wikimedia Commons
 
Enzo Robotti Juventus Turin Fußball Autogramm Foto original signiert
 
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1940-1971.png.7273ab5ff30cb6f15e60c6454d8875a5.png ENZO ROBOTTI  

 

Enzo Robotti | Stelle juventine

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Robotti

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Alessandria
Data di nascita: 13.06.1935

Ruolo: Difensore
Altezza: 177 cm
Peso: -

Nazionale Italiano
Soprannome: -

 

 

Alla Juventus dal 1956 al 1957

Esordio: 13.01.1957 - Serie A - Juventus-Padova 0-0

Ultima partita: 16.06.1957 - Serie A - Fiorentina-Juventus 2-2

 

15 presenze - 1 rete

 

 

Enzo Robotti (Alessandria, 13 giugno 1935) è un allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo difensore.

 

 

Enzo Robotti
Enzo Robotti - AC Fiorentina.JPG
Robotti alla Fiorentina fra gli anni '50 e '60
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 177 cm
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex difensore)
Termine carriera 1968 - giocatore
1991 - allenatore
Carriera
Giovanili
1945-1952   Alessandria
1952-1955   Juventus
Squadre di club
1955-1956    Sanremese 31 (0)
1956-1957   Juventus 15 (1)
1957-1965   Fiorentina 231 (2)
1965-1967   Brescia 49 (1)
1967-1968   Roma 21 (0)
Nazionale
1958-1965 Italia Italia 15 (0)
Carriera da allenatore
1970-1971   Montevarchi  
1971-1973   Prato  
1973-1975   Pisa  
1975-1977   Grosseto  
1977-1979   Montecatini  
1980-1982   Spezia  
1982-1983   Fano  
1983-1985   Rondinella  
1985-1986   Avellino  
1987   Cagliari  
1988-1989   Frosinone  
1989-1990   Rondinella  
1990-1991   Trento

 

Carriera

Giocatore

Club

Cresciuto nelle giovanili dell'Alessandria, nel 1952 fu ceduto alla Juventus, inizialmente in prestito. In seguito la formazione torinese lo prestò per una stagione alla Sanremese, prima di far ritorno ai bianconeri nel 1956.

 

220px-Associazione_Sportiva_Roma_1967-19
 
Robotti (accosciato, terzo da destra) nella Roma del 1967-1968

 

Dopo aver esordito in Serie A con la Juventus, Robotti passò alla Fiorentina, con la quale disputò nove campionati ottenendo, come miglior risultato, tre secondi posti consecutivi fra il 1957 ed il 1960. Inoltre, sempre in maglia viola, vinse la Coppa delle Coppe 1960-1961 battendo in finale i Rangers Glasgow; perse, invece, la finale (ripetuta) nell'edizione successiva contro l'Atlético Madrid. Perse anche le finali di Coppa Italia (nel 1958 contro la Lazio e nel 1960 contro la Juventus), Coppa delle Coppe 1961-1962 e Coppa Mitropa 1965.

 

Nel 1965 lasciò la maglia viola per accasarsi al neopromosso Brescia, chiudendo tre anni più tardi la sua carriera con la casacca della Roma.

Nazionale

In azzurro Robotti disputò 15 incontri, prendendo parte alla spedizione cilena del 1962, nella quale fu, assieme a Sandro Salvadore, l'unico giocatore a prendere parte a tutte e tre le gare disputate dalla Nazionale italiana.

Allenatore

Iniziò la carriera di allenatore nel 1970 con il Montevarchi, collezionando subito una retrocessione in Serie D. Allenò poi per due anni a Prato, con un sesto ed un quindicesimo posto. Dal 1973 al 1975 allenò il Pisa, dove ottiene un sesto posto ed il primo esonero della sua carriera.

 

Dal 1975 al 1977 fu a Grosseto, per poi passare al Montecatini, che salì dalla Serie D alla Serie C2, ma solamente in seguito alla riforma dei campionati voluta dalla FIGC a partire dalla stagione 1978-1979. Dopo un anno di inattività, riprese dallo Spezia, che retrocesse in Serie C2. Confermato anche per la stagione successiva, venne esonerato in corso d'opera.

 

Nella stagione 1982-1983 subentrò alla guida del Fano, per poi passare alla Rondinella, con la quale ottenne il miglior risultato della propria carriera nella stagione 1983-1984, un quarto posto in Serie C1. Lasciò la Rondinella nel 1985 in comune accordo con il presidente Ugo Poggi. Nello stesso anno colse l'opportunità di allenare in massima serie l'Avellino, dapprima affiancato da Tomislav Ivić come direttore tecnico e poi come prima guida tecnica, conquistando l'ottava salvezza consecutiva per gli irpini. Nel 1987 si trovò al capezzale di un Cagliari appena retrocesso dalla Serie B, venendo successivamente esonerato. Nella stagione 1988-1989 sostituì a campionato in corso Alberto Mari sulla panchina del Frosinone.

 

Palmarès

Giocatore

Club

Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

 

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1940-1971.png.7273ab5ff30cb6f15e60c6454d8875a5.png ENZO ROBOTTI  

 

robotti%2Be%2Bpuppo%2B-%2BCopia.jpg

 

 

 

Una stagione, quella 1956-57 dei “Puppanti”, per Enzo Robotti, forte difensore alessandrino. Solamente 15 presenze per lui e una rete su rigore, in un roboante 5-1 all’Inter del 3 marzo ‘57. Questa la formazione della Juve di quel match: Romano; Corradi, Robotti; Oppezzo, Nay, Montico; Donino, Colombo, Boniperti, Conti, Stivanello. Per i nerazzurri: Ghezzi; Fongaro, Giacomazzi; Invernizzi, Rebizzi, Bernardin; Pandolfini, Vonlanthen, Nesti, Lorenzi, Skoglund. Segnarono, oltre al nostro, Colombo, Conti, Oppezzo e Montico per la Zebra. Di Rebizzi dal dischetto l’unico punto per il Biscione.
Robotti troverà gloria nella Fiorentina (dove vincerà la Coppa delle Coppe e la Coppa Italia) e nella Roma, partecipando pure al nefasto Mondiale cileno del 1962.
 
SI RACCONTA SU “HURRÀ JUVENTUS” DEL GIUGNO 1963
Arrivai alla Juventus che avevo sedici anni. Mi pare superfluo rievocare le sensazioni di quei giorni: a quell’età entrare a far parte della quadra più popolare e più famosa d’Italia! Toccavo il cielo con il dito, ecco; gli inizi, nella squadra ragazzi dell’Alessandria, mi sembravano ormai lontani. Mi illudevo di essere arrivato, di aver raggiunto il tetto delle ambizioni, il vertice della carriera. Purtroppo, non fu così semplice.
Il mio tirocinio alla Juventus fu lungo e cosparso di spine. Trovai dapprima un limite nell’età, poi nella bravura dei miei compagni di squadra. Raggiunsi la prima squadra con Puppo allenatore (un vero signore, misurato, intelligente: sapeva lavorare il morale dei giocatori in maniera insuperabile), ma trovai la mia definitiva valorizzazione lontano dalla Juventus, in quella Fiorentina che è logicamente divenuta la squadra del mio cuore.
Con tutto questo, non dovete credere che i miei ricordi juventini siano venati di malinconia o di spunti polemici. Tutt’altro. Ricordo la Juventus come una squadra e soprattutto una società modello. Le piccole beghe che inevitabilmente capitano nel nostro mondo di calciatori non risparmiavano neppure la Juventus. Ma era lo stile nel superarle a dare la misura della classe della società. Nessuno scandalo, un trattamento sempre signorile. I problemi venivano discussi e risolti in famiglia, al di fuori non trapelava nulla.
Ricordo con affetto e gratitudine tutti i dirigenti di allora, ricordo Locatelli, l’allenatore di noi ragazzi che ci dava la carica con quel suo tratto semplice e pieno di umanità.
Ma a voi interessano forse di più i ricordi sportivi. La mia permanenza alla Juventus non coincise con un periodo felice per la squadra. Si lottava a metà classifica, Milan e Inter dominavano la scena. Per questo mi sembrava ancora più inspiegabile l’alone di affetto e di popolarità che circondava la squadra. I successi del passato, senza dubbio, rimanevano nella memoria del pubblico. Ma c’era di più: forse era proprio lo stile juventino che affascinava le folle, le faceva stringere attorno alla bandiera bianconera.
È piuttosto singolare il modo in cui mi guadagnai il posto in prima squadra. Io giocavo nelle riserve e spesso mi ero trovato in allenamento di fronte a quel mago di Praest. Poi arrivò uno svedese biondo, fragile come un cristallo allora, ma tecnicamente un demonio. Si chiamava Kurt Hamrin, i nostri destini dovevano poi incrociarsi.
Nelle partitelle di metà settimana, disputai alcuni duelli memorabili con Kurt. Lui a inciucchirmi di finte e scatti ed io a tenerlo spietatamente, con rabbia. Si accorsero di me, allora. C’era Puppo, appunto. Ero tornato da un anno di prestito alla Sanremese, che mi era servito per farmi le ossa, come si dice in gergo. Dopo dieci partite di campionato, divenni titolare e non mollai più il posto sino alla fine. Ogni tanto ricordiamo quei giorni, con Hamrin. La Juventus aveva due grandi terzini, Corradi e Garzena, che giocano ancora, sia pure in altre squadre. Ormai come riserva ero un lusso, fu così che si arrivò alla mia cessione alla Fiorentina.
Il primo incontro che disputai in campionato contro la Juventus, avrei voluto spaccare tutto. È un sentimento umano. Ma poi, pur impegnandomi sempre al massimo a ogni occasione, non riuscii mai a scovare un valido motivo di vendetta che potesse caricarmi. Non avevo nulla da rimproverare alla Juventus, mi avevano trattato con tutti i riguardi.
Il mio passato di juventino è ormai un capitolo lontano. Nella Fiorentina ho trovato la valorizzazione, la maglia azzurra. È difficile ipotecare il futuro di noi calciatori, ma posso dichiarare in tutta sincerità che se fossi costretto a lasciare la maglia viola, lo farei con l’animo pieno di amarezza. Alla Fiorentina sono legato a doppio filo. Questo non mi impedisce di mantenere un ottimo ricordo della Juventus. Penso che per un calciatore essere appartenuto alla Juventus sia un po’ un’etichetta di nobiltà: per questo ne vado fiero.
 
GINO STACCHINI, “HURRÀ JUVENTUS” DELL’APRILE 1963
Pensando a un terzino che io temo particolarmente, vi faccio un nome: Robotti. Il fiorentino Robotti. Ricorderete che, con Enzo, ho giocato parecchio tempo qui a Torino, per la stessa squadra, per la Juve. Giocavamo con i titolari e con le riserve. In genere non era lui che io trovavo sulla mia strada, appunto perché eravamo insieme. Ma poi, sapete come va a finire. Capita che in allenamento si giochi in formazioni miste, un tempo lo si fa con i titolari, un tempo con gli allenatori. Insomma, Enzo ha potuto «conoscermi» in tutta tranquillità, imparando a memoria, anche non volendo, il mio repertorio di gioco personale.
Poi, Robotti se n’è andato alla Fiorentina. La musica è cambiata perché me lo sono ritrovato di fronte e non si trattava più di allenamenti. Si trattava di Campionati e di Coppe... Qualche volta sono riuscito a portarlo a spasso; sovente, però, il nostro duello l’ha vinto lui. Lui, perché mi conosce e perché è per me un fatto psicologicamente negativo il sapere, appunto, che lui mi conosce. Il gioco diventa un fatto tutto psicologico, in queste condizioni. È una guerra fredda che è difficile improvvisare con lucidità. Non questa finta perché lui la conosce, non quell’altra perché lui non abbocca... La vita diventa difficile. Eppure, anche in questo caso la forma ha un grandissimo peso.
 
 
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