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Fabio Capello - Calciatore E Allenatore

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1878363648_juventus1931.jpg.e8a16a7f7faaef1faacc7e214a7e4bbe.jpg FABIO CAPELLO
 
Afbeeldingsresultaat voor fabio capello young
 

 

 

Oscar Massei, un interno argentino di buona classe arrivato alla Spal, dopo l’esordio italiano con la maglia dell’Inter, era l’idolo di Fabio Capello. Il grande Giuseppe Meazza, osservatore della società neroazzurra lo aveva bocciato: «Bravo ma lento, ottima tecnica ma poca verve». E così Massei era approdato a Ferrara, dove aveva trovato l’ambiente adatto. Nella Spal dei giovani si stava mettendo in evidenza un goriziano forte e intelligente, che giocava a centrocampo. «Per me Massei era un fuoriclasse, uno che giocava come intendo io; mi ha insegnato tutto del calcio. Era in allenamento che guardavo, scrutavo, imparavo. Ricordo che anche mio padre ne aveva grande considerazione. Mi diceva: “Quello sì che è un giocatore”, facendomi intendere che avrebbe voluto diventassi come lui. Ed io, dentro di me, ero sicuro che sarebbe accaduto. Forse era orgoglio un po’ eccessivo, ma io ho sempre avuto orgoglio», racconta.
Una volta imparata la lezione, Fabio era stato ceduto alla Roma e dal giallorosso era passato al bianconero, assieme a Spinosi e Fausto Landini, un giovane attaccante, che non avrebbe avuto una lunga carriera. L’avventura romana ha trasformato Capello in un regista di qualità tecniche di grande respiro, uno di quei pensatori che illuminano il gioco con intuizioni improvvise.
L’esplosione definitiva di Fabio avviene con la maglia bianconera, che era stata, fra gli altri, di Giovanni Ferrari al quale lo paragonano. Gli è affibbiato il nomignolo di Geometra, perché la visione di gioco è completa, il campo è tenuto sotto controllo e dominato, quasi come se Fabio avesse la possibilità di vedere quel che accade dall’alto, in postazione sopraelevata.
Capello fa il direttore d’orchestra, tagliando quelle fette inutili del campo per far giungere la palla al compagno il prima possibile: il lancio è millimetrico e intuitivo, il corridoio smarcante colto con frequenza, persino il tiro a rete è spesso potente e preciso; ha la grande capacità di capire, dopo cinque minuti di partita, da che parte gira il fumo e di piazzarsi al posto giusto.
Non sono pochi i goal che Capello riesce a realizzare, soprattutto di testa, nonostante la statura non eccelsa e il fisico non proprio elegante (sedere basso e sporgente, rigido come un baccalà) e di questo si accorge anche la Nazionale. Con la maglia azzurra, infatti, realizza un goal storico a Wembley: il 14 novembre 1973, mette a segno la rete della prima vittoria dell’Italia in casa dell’Inghilterra. In totale le sue presenze azzurre saranno trentadue, con otto realizzazioni. In maglia bianconera, invece, totalizza 239 partite e realizza quarantuno goal.
Dopo quasi trent’anni, ritorna in bianconero, come allenatore; i tifosi sono divisi, Don Fabio ha allenato la Roma ed ha sempre sparato a zero contro la Juventus e questo non può essere né dimenticato, né perdonato. Ma Capello è un vincente, dovunque è andato ha portato la propria squadra a primeggiare: prima il Milan, poi il Real Madrid e infine la stessa Roma.
È subito scudetto; dopo un lungo duello con il Milan, la squadra bianconera riesce a mettere in bacheca il suo ventottesimo tricolore. Ma non sono tutte rose e fiori; i tifosi lo contestano apertamente per le troppe sostituzioni di Del Piero. Anche in Champions le cose non vanno meglio; dopo una splendida rimonta sul Real Madrid, la Juventus è eliminata dal Liverpool e Capello è messo sul banco degli imputati, dopo lo scialbo pareggio casalingo.
Il secondo anno sarà ricordato per sempre dai tifosi bianconeri: la squadra è un carro armato che travolge tutti gli avversari, a Natale i giochi sembrano già chiusi. Con l’arrivo della primavera la Juventus comincia a segnare il passo; Capello non utilizza il turn over e i giocatori sono allo stremo delle forze. Il Milan si fa sotto minaccioso, la Juventus subisce l’ennesima eliminazione dalla Champions League ed è clamorosamente contestata dai tifosi. Nonostante le prime avvisaglie di quello che sarà definito Calciopoli, la Juventus vince lo scudetto.
Nella giornata trionfale di Bari, Capello annuncia di voler restare alla Juventus, qualsiasi sia il responso della giustizia sportiva: «Ci vedremo in ritiro il 15 luglio», annuncia. La tifoseria è fiduciosa ma Don Fabio ha sempre più contatti con i dirigenti del Real Madrid, fino al fatidico annuncio: Capello allenerà le “Merengues”.
Finisce nel modo più ignobile e più meschino la seconda avventura bianconera di Fabio Capello; non sappiamo se abbia mai amato la Juventus, di certo i tifosi non hanno mai amato lui.

CAMINITI DESCRIVE IL CAPELLO GIOCATORE:
Capello è diventato adulto a Roma, ma è nato calciatore a Ferrara. Egli si spiega attraverso tre stadi, e il primo è Pieris nel Friuli, un paese meditativo e tranquillo, dove caccia, pesca e calcio sono tre momenti fondamentali del pensiero, e pure dello spirito, e chi non è sportivo, annega letteralmente dentro il bottiglione (di vino). La geografia è alla base di tutto, a pensarci bene; Pieris sorge tra verdi orchestre di prati, Fabio è figlio di un maestro di scuola, un tipo d’insegnante solido e pratico, tifosissimo di calcio.
Quando Fabio aveva quindici anni tutta Pieris accorreva a vedere giocare il figlio del maestro, e ne restava ammirata; gli applausi scrosciavano. «C’è un certo ragazzino figlio di un maestro – dissero a papà Mazza presidente della Spal – che ha la stoffa del campione». E papà Mazza mandò un suo uomo di fiducia e costui ottenne la firma di Fabio.
«C’è un certo ragazzino figlio di un maestro, a Pieris, che gioca benissimo», dissero a Gipo Viani, di Nervesa, omone rubizzo con il cuore di un nostromo, e Gipo Viani, come faceva sempre, si fece il viaggio e arrivò a Pieris, bussò alla porta del maestro di scuola Guerrino Capello e fu fatto accomodare. Tutti erano accomodati, pure la madre di Capello, Fabio in un angolo, compito come sempre. Viani girava intorno i suoi occhioni cilestrini e si batteva il petto di bue: «Debbo dirle che lei non era nella sua piena facoltà mentale quando ha firmato per la Spal. Il suo figlio benedetto ha un tesoro nei piedi, io ce lo porto nel Milan, gli assicuro il conto in banca a lui e famiglia, lei non era in piena facoltà mentale».
Ha poi spiegato Fabio: «Ero della Spal, Viani non poté portarmi al Milan. A diciotto anni, nel 1964, ho esordito a Genova, contro la Sampdoria. Vincevamo 1-0, poi ci hanno fatto tre goal uno più stupido dell’altro. No, io non giocai male il mio allenatore tra i ragazzi era Gian Battista Fabbri. Brava persona. Ma io imparavo tutto da Massei, che era un fuoriclasse e giocava come intendo io; mi ha insegnato tutto quello che so. Era in allenamento che io guardavo e imparavo».
Il vero Fabio Capello tutti abbiamo cominciato a conoscerlo a Roma, dove trova l’allenatore che lo esalta e lui si sente il perno della squadra. A Roma trova i giornalisti permanentemente disimpegnati, pieni di humor, i quale ne ottengono interviste avvincenti. Capello diventa amico dei giornalisti e gioca partite bellissime. La squadra in campo obbedisce ai suoi piazzamenti, anche se qualche suo compagno dice di lui: «In campo si fa sentire soltanto dopo il 2-0 a vantaggio».
Noi lo conosciamo a Torino, dove (stagione 1970-71) è venuto per comandare in campo alla Juventus come alla Roma. Dice: «Furino ottimo per come annulla ogni pericolo e per come lavora per tutti, Causio con quel qualcosa di più che lo rendeva imprevedibile, Anastasi aveva ritrovato se stesso, Haller e Salvadore, due campionissimi».
In sei campionati (sino a quello 1975-76 compreso) un ruolo di regista interpretato con sicuro impegno, fra lampi geniali e domeniche di routine. Uomo di ragionamento. Questo campione sobrio figlio del maestro di scuola di Pieris. Anche un poco di Nazionale, intanto. Ragazzo di personalità. Non era un coniglio, anzi. E non ci stava mai a perdere. Non volle abbassare la testa neppure nell’ambiente bianconero, la sua partenza ebbe così il sapore di un divorzio forzato. Ma ha lasciato certamente un buon ricordo.
Centrocampista con licenza di andare al tiro (e di segnare), con l’intuizione giusta per accorrere a sostegno della difesa. Un tipo apparentemente freddo, altezzoso. Ma giocatore di rendimento, senza dubbio.

GIANFRANCO CIVOLANI, “GS” GIUGNO 2015
Primavera del Sessantatré: Giorgio Neri detto il Capitano, gran mecenate nel mondo del tennis e responsabile del settore giovanile del Bologna, mi regala una confidenza e mi dice che i suoi osservatori gli hanno segnalato nei dintorni di Gorizia un talentuosissirno sedicenne che si chiama Fabio Capello e che «se Dall’Ara mi dice di sì, è già nostro». Ma il presidentissimo Dall’Ara dice di no. «Costa troppo e stiamo a vedere se c’è qualcuno che tira fuori quei soldi». Ma il qualcuno purtroppo c’è, si chiama Paolo Mazza ed è il presidente della Spal, detto anche il rabdomante, perché pare che nessuno come lui sappia fiutare le perle Under 18 e soprattutto sappia fare gli affaronissími che altri sognano. E così quel Fabio Capello raggiunge a Ferrara il conterraneo Edi Reja, più attempato solo di pochi mesi e i due assieme vengono parcheggiati da Mazza presso l’abitazione di una gentile signora che a modico prezzo offre camera a due letti e prepara pure pasta al sugo, braciole e il dolce Pampepato come dessert. La prima squadra pare un miraggio, ma nella Spal 1963-64, guidata dall’allenatore-farmacista Serafino Montanari, a tempo debito debuttano il giovanottone e il giovanottino e pazienza e peccato se poi quella Spallina rotola in B mentre il magno Bologna di Bernardini e Bulgarelli vince il suo settimo scudetto e Renato Dall’Ara poco prima di morire dice: «Quel Capello? Noi abbiamo Giacomino e Haller, altro che Capello».
Fabio gioca a centrocampo e si produce guardando il cielo. È di carrello basso, ma dispensa tesori di palle giuste in una Spal, dove cinguettano l’argentino Oscar Massei, il torreggiante Gianni Bui e il navigato Sergio Cervato. E solo il prologo di quel che presto verrà. E, infatti, succede che il birnbotto per qualche stagione si fa le ossa e segna pure qualche goal, lui sostanzialmente negato alla bottarella vincente. E allora i grandi club stanno a guardare? No di sicuro. Ecco la buonissima offerta della Roma e Paolo Mazza sa che deve dire di sì e auguroni belli al talentino che è diventato un talentone.
Ma se Fabietto a Roma spopola, può “Madama” Juve lasciarsi sfuggire l’occasione? Non può e non vuole. Morale: Capello in bianconero finalmente a vincere e a rivincere con il corollario di una maglia azzurra ormai cucita sulla pelle. Ma il tempo è tiranno, il tempo delle mele, del vino e delle rose. E a trent’anni c’è il Milan in attesa e magari Capello non sa che proprio al Milan si compiranno felicemente i suoi destini, perché lì Capello chiude la carriera e starebbe per cominciarne un’altra, se non fosse che tale Silvio Berlusconi gli suggerisce di applicarsi un po’ in azienda per studiare e acculturarsi prima di altre eventuali avventure. E appunto quel che poi è arrivato è storia e gloria di panchine vincenti ovunque anche se, a quasi settant’anni, per Capello si profila l’età della sacra pantofola e della chioma un po’ meno affumicata e dei bilanci.
Quella canzone, “Dimmi chi erano i Beatles”. Ma dimmi chi era Capello e come giocava. Provo a dire, io che l’ho visto e ammirato in campo e che con lui ho dialogato particolarmente quando d’estate andavo a trovarlo a Grado e lui mi spiegava e mi raccontava, lui che aveva fama di carattere dolce e levigato come la carta vetrata. Dimmi com’era Capello e come giocava. Faceva correre la palla, apriva e spalancava gli occhi anche per gli altri. E non faceva tanti goal, ma tutti importanti, quarantaquattro in campionato e anche otto in azzurro, con quel memorabile goal a Wembley, un goal che fece lacrimare una classe operaia che lassù nell’Isola per un attimo si sentì in Paradiso.
E sapeva vivere, come vi racconto nella storiella che segue. Novembre del 1976, il Bologna di Gustavo Giagnoni contro il Milan di un Capello già un po’ polveroso. E dalla tribuna dello stadio bolognese uno dei più improvvisati e improvvidi presidenti del Milan, quel tale Duina, vomita insulti. («Scemo, cretino, vattene via») contro il malcapitato Fabio. E a fine partita tutti a chiedere a Capello se vuole rispondere a quel barile di contumelie. E lui: «Ma quali contumelie?» E noi: «Il tuo presidente ti ha dato del cretino». E lui: «Ero molto concentrato. Scusate, ma giuro che non ho sentito niente». Chapeau, cappello a Capello.

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FABIO CAPELLO

ROMA, JUVENTUS E MILAN COME GIOCATORE ED ALLENATORE

Giovanissimo debutta nella Spal, ma sarà la Roma di Herrera a farlo diventare leader.
Poi il passaggio alla Juventus e la nazionale per poi terminare nel Milan di Liedholm.

 

Afbeeldingsresultaat voor fabio capello young

 

 

Nato a Pieris in provincia di Gorizia il 18 giugno 1946, cresce nella squadra della sua città. Il passaggio a soli diciassette anni nella Spal di Ferrara che gioca il torneo 1963-64 in seria A; per lui quattro partite e il debutto contro la Sampdoria a Genova.

La sua squadra retrocede in serie B ma solo per un anno;nel 1965-66 ritorno al vertice e Capello è titolare con venti partite ed una rete. Il primo grande passaggio arriva nel 1967-68 quando la Roma del presidente Evangelisti e con il “mago dei poveri” Oronzo Pugliese lo vuole come regista di una squadra da rifondare. E’ una società sempre ambiziosa con Capello insieme a due grandi campioni che avevano fatto le fortune dell’Inter di qualche anno prima; i loro nomi Jair e Peirò. Poi tanti ottimi giocatori come Scaratti, Taccola e Cordova. Con il giovane friulano alla regia si comincia una stagione che lascia tutti i tifosi senza fiato; dopo sette giornate la squadra è imbattuta e rimane sola in testa alla classifica.

Dopo tantissimi anni è la Roma che guida il campionato e i sogni dei tifosi si tingono di tricolore; il capolavoro è proprio la vittoria al comunale di Torino contro la Juventus.

Una partita da incorniciare e Capello per ironia della sorte gioca un tiro mancino alla sua futura squadra segnando la rete della vittoria. Poi un brusco risveglio. Capello subisce un serie incidente che lo porterà ad operarsi al menisco e senza il brillante regista la Roma lapida il suo bruciante inizio registrando pareggi e dure sconfitte anche casalinghe. Alla sedicesima giornata l’Inter all’Olimpico sommerge la Roma per 6 a 2. E’ il 21 gennaio 1968 e i giallorossi escono ridimensionati da due doppiette di Mazzola e Corso. Sembra un segno del destino che vuole vedere Herrera futuro allenatore dei giallorossi. La stagione 1968-69 con l’arrivo di Marchini alla presidenza, Capello torna a giocare in una Roma che adesso vede sulla panchina il “vero mago” Herrera che capisce ed apprezza le doti del calciatore. Fabio è un regista che sapeva organizzare gli schemi come pochi e si muove in campo al piccolo trotto. Solo in prossimità dell’area avversaria si fermava per scoccare tiri precisi e potenti che in futuro lo renderanno autore di storiche reti. La Roma vuole con Herrera tornare grande e i giocatori ci sono tutti. Giunge ottava e la conferma che il mago sta creando un ottima formazione è la vittoria in Coppa Italia superando in semifinale un già fortissimo Cagliari di Riva. Nella stagione successiva diventa l’uomo simbolo e guida la Roma anche in Europa con la Coppa delle Coppe, dove dimostra di essere un regista ed un goleador decisivo. Segna la rete determinate negli ottavi contro gli olandesi dell'Eindhoven, poi nei quarti contro il Goztepe e segna anche nella partita di ritorno nelle semifinale contro il Gornik Zabre e anche nello sfortunato pareggio. Sua la rete su rigore in una partita dove solo la monetina negherà a Capello ed Herrera una meritata finale.

In campionato la Roma non brilla arrivando decima e nella stagione successiva con l’avvento alla presidenza di Marchini il grande colpo di scena nella carriera di Capello; nonostante il “no” secco e deciso di Herrera, il vertice giallorosso vende i suoi tre gioielli alla Juventus di Boniperti, i tre giocatori che avevano fatto l’ossatura della squadra: in difesa Luciano Spinosi, in attacco Fausto Landini e al centrocampo il suo leader Fabio Capello che lascia la maglia giallorossa dopo solo tre campionati ma tutti di grande valore. Il presidente giustifica la vendita di Capello ricordando che se pur giovanissimo aveva già subito tre operazioni al menisco. In poche parole sembrava che la Roma avesse venduto un giocatore già finito. Una brillante carriera dimostrerà il contrario.

Con l’arrivo di Fabio Capello alla Juventus la squadra bianconera trova finalmente il tanto ricercato “uomo di centrocampo”, quell’atleta che avrebbe avuto il delicato compito di costruire il gioco di attacco, fase mancante nell’ultima stagione. Capello piaceva molto per il suo calcio, sottile, semplice ma ragionato, essenziale e senza sbagli, basilare per la squadra voluta da Picchi. La stagione della nuova Juventus diventa comunque difficile e drammatica; Capello faticava ad inserirsi, Anastasi non trovava più la via del gol e lo stesso Armando Picchi si ammala gravemente per poi tragicamente morire.

Boniperti scelse allora l’allenatore della primavera Vycpalek, cecoslovacco burbero ma dalle idee molto chiare. Il torneo vinto dall’Inter vede la Juventus arrabattarsi fra mille difficoltà, compresa la malattia e la lunga assenza di Roberto Bettega. L’anno successivo inizia una fase felice per la Juventus che finalmente torna ad essere protagonista del campionato dopo un lungo periodo, quello degli anni sessanta, che l’aveva vista in secondo piano di fronte ad Inter e Milan. Sono anni di successi che vedono Fabio Capello grande protagonista e per lui il soprannome de “Il professore”. Finalmente la Juventus si amalgama alla perfezione. Capello è la mente e motore di una squadra che vince due campionati consecutivamente, evento rare nel nostro campionato, grazie anche a campioni come Anastasi, Bettega, Causio, Haller ed ai portieri Carmignani e Zoff.

La sua mentalità di calciatore mai domo pronto alla lotta su ogni pallone piace anche a Valcareggi che lo fa esordire nella sfortunata gare di Coppa Europa contro il Belgio il 13 maggio 1972. Una partita che ci costerà l’eliminazione dal torneo, ma sarà la prima di ben 32 gare dove Fabio passerà dai successi del 1973, al famoso gol di Wembley, alla disfatta del mondiale tedesco fino ad essere basilare nella prima nazionale di Bernardini e Bearzot. Capello segnerà otto goal in nazionale, reti tutte importanti.

Sulla panchina della Juventus nel frattempo siede un'altra leggenda come Carletto Parola e arriva il terzo scudetto della carriera di Capello. Dopo la parentesi della vittoria della Lazio di Chinaglia, nel torneo 1974-75 i bianconeri la spuntano su un eccezionale Napoli. L’anno dopo si devono inchinare al Torino di Radice per quella che sarà l’ultima stagione juventina per Capello. Trapattoni è alla guida della squadra di Boniperti e il calcio mercato di quell’anno si anima per uno “affare” che riempie le pagine dei giornali sportivi per tutta l’estate. Scambio Juventus-Milan con Capello e Romeo Benetti. I due calciatori non sono più giovanissimi e le due società sono convinte di aver rinforzato la propria squadra.

Dopo sei stagioni con la Juventus con il bilancio di 165 presenze e 27 gol è il momento di vestire la maglia rossonera.

Per Fabio l’inserimento non è facilissimo. In una Milan in via di ristrutturazione ecco Nils Liedholm che prova per primo in Italia una sorta di calcio “totale”. Inoltre alla regia vi è un Gianni Rivera ancora pronto a far sentire la sua esperienza e la sua tecnica. Capello deve adattarsi ad un nuovo ruolo, compito che svolge con intelligenza e modestia. Il primo risultato è la Coppa Italia del 1977 ma solo dopo due anni arriverà il famoso decimo scudetto rossonero, quello della stella in una formazione nella quale Capello è ormai diventato una seconda linea. Un giovane Franco Baresi è ormai una realtà come protagonista del centrocampo e per Fabio solo otto presenze. L’anno successivo scoppia lo scandalo del calcio scommesse e il suo Milan viene condannato insieme alla Lazio in serie B, segnale che indica che è arrivato il momento di lasciare la carriera di calciatore.

L’ultima sua partita è proprio Lazio-Milan del maggio del 1980 dopo aver collezionate 65 presenze e 4 reti nel Milan, quello che ben presto sarà la sua prima squadra da allenatore, per una carriera successiva a duplicare la medesima vissuta come da grande regista.
Poi Roma, Real Madrid e adesso c.t. della nazionale inglese , confermato alla guida nonostante un mondiale in Sudafrica sfortunato e penalizzato dalle sviste arbitrali (vedi match con la Germania). Adesso il suo obiettivo sono gli europei del 2012.

GolCalcio.it

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inghilterra-italia-1973-wp

 

Lo "storico" gol di Fabio Capello a Wembley all'86' minuto.

Fu la prima vittoria in assoluto dell'Italia in casa degli inglesi.

Era il 14 novembre 1973.

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1878363648_juventus1931.jpg.e8a16a7f7faaef1faacc7e214a7e4bbe.jpg FABIO CAPELLO

 

Pin on Juventus

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Fabio_Capello

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Pieris (Gorizia)
Data di nascita: 18.06.1946

Ruolo: Centrocampista
Altezza: 177 cm
Peso: -

Nazionale Italiano
Soprannome: Geometra - Wayne Szalinski

 

 

Alla Juventus dal 1970 al 1976

Esordio: 06.09.1970 - Coppa Italia - Novara-Juventus 2-2

Ultima partita: 16.05.1976 - Serie A - Perugia-Juventus 1-0

 

239 presenze - 41 reti

 

3 scudetti

 

Allenatore della Juventus dal 2004 al 2006

 

105 panchine - 68 vittorie

 

2 scudetti

 

 

Fabio Capello (Pieris, 18 giugno 1946) è un ex allenatore di calcio ed ex calciatore italiano, di ruolo centrocampista.

Cresciuto calcisticamente nel settore giovanile della SPAL, con la quale ha esordito in massima serie nella stagione 1963-1964, ha speso la propria carriera agonistica tra Roma, Juventus e Milan, vincendo quattro campionati (tre con la Juventus e uno con il Milan) e due Coppe Italia (una con la Roma e una con il Milan). Dal 1972 al 1976 ha collezionato 32 presenze in nazionale maggiore realizzando 8 gol, compreso quello che ha permesso all'Italia di vincere per la prima volta in casa dell'Inghilterra a Wembley nel 1973.

Conclusa la carriera da calciatore, ha intrapreso una proficua carriera da allenatore, affermandosi come uno dei migliori tecnici della propria generazione. Nel suo palmarès può vantare la vittoria di sette campionati italiani (quattro con il Milan, 2 con la Juventus e uno con la Roma) e due spagnoli (entrambi con il Real Madrid), quattro Supercoppe italiane (tre con il Milan e una con la Roma) nonché una UEFA Champions League nella stagione 1993-1994 e la Supercoppa UEFA del 1994, entrambe con il Milan. Dal 2007 al 2012 è stato il commissario tecnico dell'Inghilterra, che ha guidato al campionato mondiale 2010, dove è stato eliminato dalla Germania agli ottavi di finale, e dal 2012 al 2015 è stato il selezionatore della Russia, che ha condotto durante il campionato mondiale 2014, non andando oltre il terzo posto nel girone eliminatorio. Entrato nella Hall of Fame del calcio italiano nel 2013, ha chiuso la propria carriera di allenatore nel 2018, dopo aver guidato i cinesi dello Jiangsu Suning.

 

Fabio Capello
Russia-Aizer (4).jpg
Capello nel 2014 alla guida della Russia
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 177 cm
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Allenatore (ex centrocampista)
Termine carriera 1980 - giocatore
9 aprile 2018 - allenatore
Carriera
Giovanili
1962-1964   SPAL
Squadre di club
1964-1967   SPAL 49 (3)
1967-1970   Roma 62 (11)
1970-1976   Juventus 239 (41)
1976-1980   Milan 65 (4)
Nazionale
1969-? Italia Italia B 3 (0)
1972-1976 Italia Italia 32 (8)
Carriera da allenatore
1982-1986   Milan Primavera
1986-1987   Milan Vice
1987   Milan  
1991-1996   Milan  
1996-1997   Real Madrid  
1997-1998   Milan  
1999-2004   Roma  
2004-2006   Juventus  
2006-2007   Real Madrid  
2007-2012 Inghilterra Inghilterra  
2012-2015 Russia Russia  
2017-2018   Jiangsu Suning

 

Biografia

Nativo di Pieris, frazione di San Canzian d'Isonzo, all'epoca in provincia di Trieste, Capello è nipote di Mario Tortul, calciatore professionista nel secondo dopoguerra e fratello minore di sua madre Evelina (1920-2017).

Il nonno paterno, Eduárd Kapelló, era un fabbro nativo di Himesháza ed emigrato in Italia con la moglie, Mary Olívó, poco prima della nascita del figlio Guerrino (1915-1983), padre di Fabio, un maestro elementare che visse l'orrore dei campi di sterminio nazisti, venendo deportato in sei lager.

Durante gli anni trascorsi a Ferrara, Capello conobbe Laura, che diventerà sua moglie nel 1969; dal matrimonio ebbero due figli.

Grande intenditore di vini e amante del viaggio, della caccia e dell'arte astratta, Capello ha raccontato di non aver mai voluto mescolare la propria famiglia con il calcio, negando perciò a moglie e figli il permesso di conoscere la sua lettura delle partite; ha ammesso anche di aver sempre cercato di scegliersi gli amici più stretti tra le persone che non facevano parte del proprio ambito lavorativo. Coniò il celebre termine «cassanata» per riferirsi ai fin troppo esuberanti comportamenti mostrati in diverse occasioni da Antonio Cassano, che Capello allenò nelle esperienze alla Roma e al Real Madrid.

Caratteristiche tecniche

Giocatore

220px-Coppa_delle_Fiere_1970-71%2C_Juven
 
Capello (al centro) sigla, con un suo tipico tiro da fuori area, il gol del momentaneo 2-1 per la Juventus sul Leeds Utd nella finale di andata della Coppa delle Fiere 1970-1971 (2-2).

 

Regista dai piedi perfetti e freddo rigorista, Capello è stato il punto di riferimento a centrocampo per tutte le squadre in cui ha militato. Veniva ammirato per la semplicità del suo gioco, l'intelligenza tattica e la spiccata propensione al gol. Il forte carattere che sempre lo ha contraddistinto lo rendeva leader in campo, essendo sempre stato pronto a stimolare i propri compagni di squadra.

Allenatore

«Quando si arrabbia sono pochi quelli che osano guardarlo negli occhi, e se ti offre una possibilità e tu non la sfrutti puoi anche andare a vendere salsicce fuori dallo stadio. Nessuno va da lui a parlargli dei suoi problemi. Capello non è tuo amico. Non chiacchiera con i giocatori, non a quel modo. Lui è il sergente di ferro, e quando ti chiama in genere non è un buon segno. D'altro canto non puoi mai sapere. Lui distrugge e costruisce.»

(Zlatan Ibrahimović)

 

La forte personalità di Fabio Capello lo rese un allenatore severo, esigente e inflessibile, tanto da ricevere il soprannome di "sergente di ferro": le sue gestioni furono caratterizzate da un rigido rispetto delle regole, soprattutto in ritiro, sostenendo che non osservarle comportasse un danno per lo spogliatoio. Il punto di forza di Capello risiedeva nel riuscire ad adattarsi alle diverse squadre in cui lavorava, studiando i giocatori a disposizione e riconoscendone veri e falsi leader, ponendosi così un obiettivo da raggiungere; inoltre considerava importante osservare e imparare dagli altri colleghi in panchina, in modo da riproporre poi le idee più valide ai propri giocatori, i quali a loro volta dovevano essere stimolati dai migliori elementi della rosa. Il modulo più usato durante la sua carriera da allenatore è stato il 4-4-2, caratterizzato da una robustezza difensiva e da un gioco basato sulla velocità e sulle ripartenze.

Carriera

Giocatore

Club

SPAL
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Capello alla SPAL nella stagione 1966-1967.

 

Capello iniziò a giocare a calcio nella squadra della sua località natale, il Pieris, dove aveva già militato il padre. Fu notato all'età di sedici anni da Paolo Mazza, il quale lo portò a Ferrara per due milioni di lire, anticipando Giuseppe Viani il quale voleva tesserarlo per il Milan; fu proprio il padre Guerrino a precludere un primo passaggio del figlio ai rossoneri, nonostante l'insistenza di Viani, affermando di voler mantenere la parola data al dirigente ferrarese.

Trascorse due anni nelle giovanili della SPAL, il secondo dei quali nella primavera guidata da Giovan Battista Fabbri; l'esordio in prima squadra arrivò il 29 marzo 1964, a quasi diciotto anni, nella partita di Serie A persa per 3-1 in casa della Sampdoria. Collezionò appena 4 presenze nella sua prima stagione in massima categoria, al termine della quale gli Estensi retrocedettero in Serie B.

La SPAL tornò però subito in massima serie, grazie anche alla mano di Mazza il quale fortificò la rosa, e il diciannovenne Capello divenne già il riferimento per il centrocampo oltreché il rigorista di una formazione che si riaffacciò sulle grandi ribalte del calcio italiano. La stagione 1966-67 fu amara per Capello, poiché un infortunio al ginocchio gli fece perdere metà campionato, al termine del quale concluse la sua esperienza in maglia biancazzurra.

Roma

Nel 1967 venne acquistato per 260 milioni di lire dalla Roma, nel mezzo di un mercato estivo in cui la società giallorossa mise a segno diversi importanti colpi al fine di costruirsi un solido futuro, investendo su giocatori di esperienza come il brasiliano Jair, ma anche su giovani speranze come lo stesso regista friulano.

 

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Capello (terzo in piedi da sinistra) alla Roma durante la stagione 1967-1968.

 

Ad accoglierlo fu il mister Oronzo Pugliese, il quale non poté però puntare molto su Capello durante la stagione: i problemi fisici già accusati a Ferrara continuarono infatti a farsi sentire. Fu così impiegato solamente in 11 partite di un deludente campionato giocato dalla formazione capitolina, che chiuse all'undicesimo posto. Segnò la sua prima rete in giallorosso contro la Juventus il 5 novembre 1967, decisiva per l'1-0 finale.

L'annata 1968-1969 fu tutta un'altra storia, grazie all'arrivo in giallorosso del Mago Helenio Herrera il quale fece di Capello il perno della squadra. Nonostante il non esaltante ottavo posto in Serie A, i giallorossi portarono a casa la Coppa Italia, primo trofeo conquistato dal giovane centrocampista, che segnò una doppietta nell'ultima giornata del girone finale contro il Foggia & Incedit.

L'ultima stagione di Capello in maglia giallorossa vide l'ennesimo deludente piazzamento in campionato, ancora undicesimo, contrastato da un avvincente percorso della squadra in Coppa delle Coppe terminato alle semifinali. Nell'estate del 1970 il nuovo presidente romanista Alvaro Marchini scatenò l'ira dei tifosi e di mister Herrera mettendo sul mercato i cosiddetti gioielli della quadra, Landini, Spinosi e lo stesso Capello, il quale lasciò così la Capitale dopo 84 presenze ufficiali e 18 reti messe complessivamente a segno.

Juventus
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Capello (a sinistra) e il compagno di squadra Roberto Bettega alla Juventus nel 1972.

 

Nel 1970 si trasferì così, assieme agli altri due gioielli Landini e Spinosi, alla Juventus. Come quando passò alla Roma, Capello si trovò in una società totalmente rivoluzionata da numerosi nuovi innesti e affidata a un nuovo allenatore, Armando Picchi. Come Herrera, anche Picchi lo mise al centro del gioco della squadra, ma appena pochi mesi dopo, durante la prima esperienza da allenatore di una grande squadra, al tecnico sopraggiunse la tragica morte.

 

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Capello (in primo piano), inseguito da José Altafini, esulta dopo avere aperto le marcature in Juventus-Sampdoria (2-0) del 9 maggio 1976.

 

Nel corso della stagione 1970-1971 l'eredità di Picchi venne affidata al tecnico delle giovanili bianconere, Čestmír Vycpálek, il quale trascinò la squadra alla finale di Coppa delle Fiere, dove Capello segnò una rete nel 2-2 dell'andata a Torino contro il Leeds Utd, ma che con l'1-1 del ritorno in Inghilterra, rese inutili le speranze per la Vecchia Signora di aggiudicarsi il trofeo per via della regola dei gol in trasferta. Durante la stagione 1971-1972, Capello mise a segno il suo record personale di marcatore in campionato (9), contribuendo alla vittoria del quattordicesimo scudetto del club torinese, nonché il suo primo in carriera.

L'annata seguente, sempre con il cecoslovacco in panchina, subì la sconfitta ai tiri di rigore nella finale di Coppa Italia contro il Milan, ma più sofferente fu quella per 1-0 nella finale di Coppa dei Campioni contro l'Ajax di Johan Cruijff. La delusione per le due finali, perse entrambe da titolare e con la maglia numero dieci sulle spalle, fu mitigata dalla vittoria del campionato, che arrivò solamente all'ultima giornata, traendo vantaggio dall'inciampo del Milan nella "fatal Verona".

Dopo un'altra stagione agli ordini di Vycpálek, terminata con un secondo posto in campionato, Capello si confermò colonna portante della Juventus anche sotto la guida di Carlo Parola, conquistando il suo terzo scudetto nella stagione 1974-1975, e sfiorando il titolo l'edizione seguente, perdendo la corsa scudetto contro i concittadini e rivali del Torino.

Milan

Nel 1976 fu oggetto di un clamoroso scambio con il capitano rossonero Romeo Benetti, il quale fu voluto in bianconero dal nuovo tecnico Giovanni Trapattoni, passato a giugno proprio dal Milan alla Juventus. Il Trap riteneva la Vecchia Signora avesse bisogno più di un centrocampista di nerbo, come il suo pupillo rossonero, che di uno di qualità come il numero dieci bianconero, perciò Benetti raggiunse il suo allenatore facendo ritorno a Torino dopo sette anni, mentre Capello si trasferì a Milano per quella che sarà l'ultima tappa della sua carriera da giocatore.

 

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Capello con la maglia del Milan nel 1976.

 

Alla prima stagione con la sua maglia rossonera, Capello venne subito impiegato come titolare da Giuseppe Marchioro prima e dal paròn Nereo Rocco poi, riuscendo subito a conquistare la Coppa Italia 1976-1977, la sua seconda in carriera dopo quella vinta otto anni prima a Roma. Anche con il ritorno di Nils Liedholm in panchina nella stagione 1977-1978, Capello continuò a giocare con continuità nel Milan, con il quale raggiunse il quarto posto in campionato assicurandosi la qualificazione in Coppa UEFA.

Tutto cambiò l'annata dopo, quando gravi problemi fisici gli tolsero la maglia da titolare, e riuscì a scendere in campo in campionato solamente per 8 volte; ciò gli bastò però per conquistare lo scudetto della stella, il suo quarto in carriera.

Nella stagione seguente, la sua ultima da giocatore, Capello totalizzò appena tre presenze in campionato e 1 presenza, con 1 gol, in Coppa Italia. Rendendosi conto di essere arrivato al capolinea, lasciò il calcio giocato nel 1980; i suoi compagni, dopo essere stati declassati dal terzo posto conquistato in campionato per via delle sentenze sul calcioscommesse, retrocedettero per la prima volta in Serie B.

Nazionale

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Capello (accosciato, primo da sinistra) in nazionale per l'amichevole contro gli Stati Uniti tenutasi a Roma nel 1975.

 

Il 13 maggio 1972, durante gli anni di militanza nella Juventus, esordì nella nazionale maggiore italiana, contro il Belgio.

Ne divenne una presenza fissa nella prima metà degli anni 1970, totalizzando 32 presenze e 8 reti tra le quali spiccò negli annali il gol segnato il 14 novembre 1973 a Wembley, grazie al quale l'Italia vinse per la prima volta nella sua storia in casa dell'Inghilterra, e garantendosi la partecipazione al campionato del mondo 1974 in Germania Ovest, dove l'Italia uscì al primo turno. In quel torneo realizzò il gol del definitivo 2-1 nella partita persa contro la Polonia, ma l'eliminazione dal torneo fu, secondo lo stesso Capello, uno dei ricordi più amari della sua carriera.

Allenatore

Prima di conseguire la qualifica da allenatore, frequentò le scuole manageriali della Fininvest. Già plurivittorioso sul campo, condusse varie formazioni al successo dalla panchina, tanto da ricevere il soprannome di "Don Fabio" ai tempi dell'esperienza in Spagna.

Milan

Gli esordi in panchina, l'intermezzo dirigenziale
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Capello alla sua prima esperienza sulla panchina del Milan, mentre posa con il trofeo della Coppa Super Clubs 1987.

 

Dal 1981 intraprese la carriera di allenatore, guidando inizialmente varie squadre giovanili del Milan. Nella stagione 1981-1982 allenò la formazione Berretti, portandola alla vittoria del campionato nazionale dopo avere battuto in finale gli omologhi del Bari. Successivamente passò sulla panchina della squadra Primavera, conducendola dapprima alla finale nazionale 1983-1984, persa contro la Roma, per poi aggiudicarsi la Coppa Italia Primavera 1984-1985.

Fu quindi promosso vice della prima squadra, agli ordini del suo ex tecnico Nils Liedholm, per la stagione 1986-1987. Sul finire della stessa debuttò come tecnico in Serie A, subentrando ad interim allo svedese nel frattempo esonerato: guidò così i rossoneri durante le ultime sei giornate di campionato, garantendo loro la qualificazione in Coppa UEFA grazie alla vittoria nello spareggio di Torino contro la Sampdoria.

Seguì un periodo da dirigente della Polisportiva Mediolanum in varie discipline, tra cui hockey su ghiaccio, baseball, pallavolo e rugby.

Il ritorno in panchina e il ciclo di successi

Capello abbandonò nuovamente la scrivania in favore del campo quando il Milan, nel giugno del 1991, ebbe necessità di sostituire Arrigo Sacchi, chiamato a dirigere la nazionale italiana. Accolto da un'iniziale perplessità per la sua scarsa esperienza in panchina ed etichettato frettolosamente come uno yes man dei vertici societari, Capello raccolse la difficile eredità del tecnico romagnolo, capace a posteriori di segnare la storia del calcio, e inaugurò uno dei più prolifici cicli di vittorie della sponda rossonera di Milano. Fra il 1991 e il 1996, infatti, la squadra allenata dal bisiaco si aggiudicò quattro scudetti, di cui tre consecutivi (1991-1992, 1992-1993, 1993-1994, 1995-1996), e una Champions League (1993-1994), e disputò altre due finali della massima competizione continentale per club nel 1993 e nel 1995; stabilì inoltre numerosi primati, tra cui il maggior numero di risultati utili consecutivi in Serie A (58).

 

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Capello viene portato in trionfo dai giocatori del Milan dopo la vittoria del quattordicesimo scudetto rossonero, nella stagione 1993-1994.

 

Capello ereditò in larga parte giocatori e schemi tattici del predecessore Sacchi, rimpiazzando il centrocampista Carlo Ancelotti con il giovane Demetrio Albertini e inserendo il portiere titolare Sebastiano Rossi. La prima stagione alla guida del Milan si concluse in modo trionfale, con la vittoria dello scudetto da imbattuti, fatto senza precedenti nella storia del calcio italiano. Nell'estate del 1992 il Milan, sborsando 15 miliardi di lire per assicurarsi la promettente ala del Torino Gianluigi Lentini, concluse la più costosa operazione di calciomercato della storia fino a quel momento; in rossonero arrivarono poi anche Fernando De Napoli, Stefano Eranio, Jean-Pierre Papin, Dejan Savićević e Zvonimir Boban. Il forte organico, che poteva già contare su nomi del calibro di Marco van Basten, Ruud Gullit, Paolo Maldini e Frank Rijkaard, fu gestito dall'allenatore friulano con un impiego frequente del turnover, di cui Capello è stato tra i precursori in ambito calcistico. Lo schema tattico prevedeva l'adozione di Rijkaard e Albertini quali centrocampisti difensivi che consentivano alle ali maggiore libertà di attacco. La squadra dominò il campionato di Serie A 1992-1993, confermandosi campione, e raggiunse da imbattuta la finale di Champions League, dove venne sconfitta per 1-0 dall'Olympique Marsiglia. Nel corso della stagione il club rossonero stabilì una striscia di imbattibilità di 58 partite di Serie A, dal 26 maggio 1991 al 21 marzo 1993, record per il calcio italiano.

Nel costruire la squadra per la stagione 1993-1994, Capello fece acquistare, tra gli altri, Christian Panucci e Marcel Desailly. Impiegando quest'ultimo davanti alla difesa, il tecnico consentì al resto del centrocampo di proporsi con maggiore copertura ed efficacia in avanti. Pur sconfitto nella Coppa Intercontinentale contro il San Paolo, cui partecipò in luogo dello squalificato Marsiglia, in ambito nazionale il Milan riuscì ad aggiudicarsi lo scudetto per la terza volta di fila e contestualmente si aggiudicò la Champions League battendo per 4-0 in finale il Barcellona allenato da Johan Cruyff. A causa degli infortuni patiti da numerosi elementi dell'attacco rossonero, van Basten in primis, il Milan realizzò appena 36 gol in 34 partite di campionato, ma confermò la solidità del reparto arretrato, con soli 15 gol subiti (miglior difesa della Serie A). La linea difensiva milanista dell'epoca, composta dai quattro italiani Mauro Tassotti, Franco Baresi, Alessandro Costacurta e Maldini, è ancora considerata una delle più valide di tutte le epoche. Della compattezza difensiva dell'undici di Capello beneficiò il portiere Rossi, la cui porta, nel campionato di Serie A 1993-1994, rimase inviolata per 929 minuti di gioco consecutivi, dal 12 dicembre 1993 al 27 febbraio 1994, stabilendo un record che sarà battuto dallo juventino Gianluigi Buffon solo nel campionato di Serie A 2015-2016.

 

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Capello (a destra) al ritorno in Italia con il trofeo della Champions League, dopo la vittoriosa finale del 1994 ad Atene contro il Barcellona.

 

Con le partenze di van Basten e Papin, Capello richiamò al Milan l'olandese Gullit, ceduto appena un anno prima alla Sampdoria, e ingaggiò l'attaccante Paolo Di Canio. L'inizio della stagione 1994-1995 vide i rossoneri stentare in campionato e uscire sconfitti dalla Coppa Intercontinentale contro il Vélez Sarsfield, ma la squadra si aggiudicò a marzo la Supercoppa UEFA battendo l'Arsenal e raggiunse per la terza volta di fila la finale di Champions League, dove venne sconfitta di misura dall'Ajax. Il campionato si chiuse con un deludente quarto posto, che negò ai rossoneri la qualificazione alla successiva edizione della Champions League.

La campagna acquisti per la stagione 1995-1996 fu faraonica: Berlusconi consegnò all'allenatore bisiaco le stelle George Weah e Roberto Baggio, oltre all'ala Paulo Futre. Capello, che già disponeva di Di Canio, Lentini, Savićević, Eranio, Roberto Donadoni e Marco Simone, dovette gestire una notevole abbondanza di opzioni nel ruolo di ala e lo fece con un uso sapiente del turnover, modificando occasionalmente il modulo 4-4-2 in un 4-3-3 in cui la punta centrale Weah, nel frattempo insignita del Pallone d'oro 1995, era supportata da Baggio e Savićević, consentendo così ai due playmaker di giocare vicini a centrocampo. Il Milan chiuse la stagione aggiudicandosi lo scudetto, il quarto in cinque anni, con un margine di otto punti sulla Juventus seconda classificata.

Real Madrid

Nell'estate 1996 venne ingaggiato dal Real Madrid del presidente Lorenzo Sanz, concretizzando voci già diffusesi nei mesi precedenti. Chiamato a risollevare le sorti di una squadra che si era piazzata quinta nella stagione precedente (peggior piazzamento dal 1977), non guadagnando la qualificazione alle competizioni europee, il tecnico chiamò in squadra Clarence Seedorf, prelevato dalla Sampdoria, e spinse subito per l'acquisto di Roberto Carlos: venuto a sapere della messa sul mercato del terzino brasiliano, il tecnico contattò immediatamente Sanz e fece chiudere la trattativa con l'Inter nel giro di poche ore. Capello riuscì a realizzare un efficace equilibrio tattico: le incursioni di Roberto Carlos in avanti e i lanci di Fernando Hierro conferirono sostanza alla manovra offensiva, ispirata da Raul e Predrag Mijatović.

Entrato in conflitto con Sanz, l'allenatore preannunciò la propria partenza già in primavera; l'esperienza iberica si concluse tuttavia in modo trionfale, con la conquista del titolo grazie al margine di due punti sul Barcellona.

Ritorno al Milan

«La mia avventura al Real Madrid finì con una telefonata di Berlusconi che mi chiese di tornare ad allenare il Milan. A lui dovevo tutto e non potevo dirgli di no.»

 

Dopo il suo addio dal Real Madrid, Capello fece ritorno al Milan, anche per riconoscenza nei confronti di Berlusconi. Reduce da una stagione fallimentare, la compagine meneghina non migliorò, tuttavia, i propri risultati classificandosi decima nel campionato di Serie A 1997-1998 e mancando la qualificazione alle coppe europee per il secondo anno consecutivo. Di maggiore caratura risultarono le prestazioni offerte in Coppa Italia, dove la squadra, dopo un cammino caratterizzato dalla storica vittoria sull'Inter per 5-0 nell'andata dei quarti di finale, capitolò in finale contro la Lazio, in maniera rocambolesca: dopo avere vinto per 1-0 l'andata a San Siro, venne sconfitta per 1-3 al ritorno all'Olimpico, peraltro dopo l'iniziale vantaggio siglato all'inizio della ripresa, subendo tre gol in appena dieci minuti. A causa dei deludenti risultati, Capello venne esonerato al termine della stagione.

Roma

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Capello (seduto, al centro) posa con la squadra nella sua prima stagione da tecnico della Roma.

 

Trascorsa la stagione 1998-1999 nel ruolo di commentatore per la Rai, nel giugno 1999 Capello fu ingaggiato dalla Roma. Dopo due anni di offensivo 4-3-3 sotto la guida di Zdenḝk Zeman, Don Fabio riportò i giallorossi a giocare con una tattica più equilibrata, abbandonando le tre punte con lo spostamento di Delvecchio sull'ala, e cominciando a costruire una solida intelaiatura che vedeva, tra gli altri, Tommasi a centrocampo, e la linea brasiliana Aldair-Zago-Cafu in difesa. La prima stagione alla guida dei giallorossi offrì alcune buone prestazioni, su tutte il 4-1 nel derby alla Lazio futura scudettata, ma il campionato venne concluso soltanto al sesto posto.

Rinforzata dagli acquisti di Walter Samuel, Emerson e soprattutto Gabriel Batistuta, la squadra di Capello volò da subito in testa alla classifica del campionato 2000-2001 e riuscì a mantenere per tutta la stagione un buon vantaggio sulla Juventus inseguitrice. Il 17 giugno 2001, nell'ultima giornata di campionato, battendo il Parma per 3-1 la Roma si laureò campione d'Italia per la terza volta nella sua storia: per il tecnico bisiaco fu il quinto trionfo in carriera.

Due mesi più tardi, il 19 agosto, i giallorossi trionfarono per la prima volta anche in Supercoppa italiana, superando la Fiorentina di Roberto Mancini. Fu l'unico trofeo di quella stagione per Capello poiché nel campionato 2001-2002, pur guidando una squadra ulteriormente rinforzata dal talento del giovane Antonio Cassano, nonostante il simbolico campione d'inverno non riuscì a centrare il bis tricolore, vinto dalla Juventus, mentre in Champions League il club capitolino venne eliminato nella seconda fase a gironi. Don Fabio restò alla guida dei giallorossi per altre due stagioni, 2002-2003 e 2003-2004, raggiungendo la finale di Coppa Italia, persa contro il Milan, durante la prima, e il secondo posto in campionato, dietro agli stessi rossoneri, durante la seconda.

Juventus

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Capello, tecnico della Juventus, firma un autografo a metà degli anni duemila.

 

Nel maggio 2004 divenne l'allenatore della Juventus, fatto vissuto come un «tradimento» dai tifosi romanisti: lo stesso tecnico, appena pochi mesi addietro, aveva infatti dichiarato di non nutrire interesse per la panchina bianconera. Al termine di un testa a testa protrattosi per tutta la stagione, fu lo scontro diretto dell'8 maggio 2005 a San Siro, terminato 0-1 per la Juventus contro il Milan di Carlo Ancelotti, a decidere de facto il campionato.

Anche la stagione successiva, seppure iniziata malamente con la sconfitta 0-1 in Supercoppa italiana contro l'Inter ai tempi supplementari, si concluse con la vittoria dello scudetto, il ventinovesimo della storia bianconera e l'ottavo in carriera per Capello, dopo la vittoria per 2-0 contro la Reggina sul campo neutro del San Nicola di Bari. I due titoli vennero tuttavia revocati a seguito dello scandalo di Calciopoli, scoppiato a maggio del 2006. Durante l'intero biennio con Capello la squadra torinese stabilì un primato, rimanendo in testa alla classifica per 76 giornate di Serie A (dal 12 settembre 2004 al 14 maggio 2006), mentre in ambito europeo furono due formazioni inglesi, il Liverpool poi laureatosi campione d'Europa nel 2004-2005, e l'Arsenal poi finalista nel 2005-2006, a spegnere i sogni di gloria dei bianconeri in UEFA Champions League, sempre ai quarti di finale.

Alla Juventus Capello rinsaldò i legami tra l'ambiente e David Trezeguet, e valorizzò il promettente svedese Zlatan Ibrahimović, mentre visse un rapporto conflittuale con il capitano della squadra, Alessandro Del Piero, il quale in tale biennio fu impiegato con minore frequenza rispetto al passato.

Ritorno al Real Madrid

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Capello nel 2007, alla sua seconda esperienza alla guida del Real Madrid.

 

Nell'estate 2006, dopo lo scandalo che declassò la Juventus in Serie B, Capello fece ritorno al Real Madrid. Dopo un inizio di stagione difficoltoso, che vide tra l'altro l'esclusione di Antonio Cassano dalla rosa, i madrileni riuscirono a migliorare i propri risultati: pur eliminati dal Bayern Monaco negli ottavi di Champions League, si imposero sul fronte nazionale sopravanzando il Barcellona per l'esito favorevole degli scontri diretti.

Malgrado il successo, Capello venne esonerato dal presidente Ramón Calderón pochi giorni dopo.

Nazionale inglese

Nel dicembre 2007 venne chiamato alla guida della nazionale inglese, reduce dalla mancata qualificazione per l'Europeo. Ad accompagnarlo era uno staff interamente italiano, con Italo Galbiati allenatore in seconda. Dopo una serie di amichevoli, affrontò il primo banco di prova con le eliminatorie dei Mondiali 2010: una striscia di 8 vittorie consecutive assicurò ai britannici la qualificazione per il torneo. Grazie ai risultati ottenuti Capello fu nominato — dopo Vicente del Bosque — il secondo miglior commissario tecnico del 2009, in base alla classifica stilata dall'IFFHS. La rassegna iridata si concluse per i Leoni negli ottavi di finale, contro la Germania.

Confermato in panchina, il tecnico friulano condusse gli inglesi a qualificarsi senza sconfitte per l'Europeo 2012. Nel febbraio precedente il tecnico rassegnò tuttavia le proprie dimissioni, in seguito alla scelta della FA di destituire John Terry dei gradi di capitano per il comportamento razzista di quest'ultimo verso Anton Ferdinand.

Nazionale russa

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Capello sulla panchina russa nel 2014

 

Nell'estate 2012 divenne il commissario tecnico della nazionale russa. L'esordio avvenne il 15 agosto, con un pareggio nell'amichevole contro l'Uruguay. Nell'autunno 2013 la selezione russa conquistò l'accesso diretto al Mondiale, costringendo il Portogallo agli spareggi.

Il torneo si concluse però in breve tempo per la squadra, con l'immediata eliminazione nella fase a gruppi: la sconfitta col Belgio condannò i russi al terzo posto, con due punti in classifica (per via dei pareggi con Corea del Sud e Algeria). Nonostante l'iniziale conferma giunta dalla Federazione locale, nell'estate 2015 il contratto venne risolto.

Jiangsu Suning

L'11 giugno 2017 venne annunciato ufficialmente come nuovo tecnico dello Jiangsu Suning, squadra di proprietà del gruppo Suning; lo staff tecnico era completato da Gianluca Zambrotta e Cristian Brocchi come assistenti, Franco Tancredi come preparatore dei portieri e Giampiero Ventrone come preparatore atletico. Esordì nella sconfitta interna per 1-0 contro il Changchun Yatai. Dopo appena un mese alla guida del club cinese venne eliminato al quinto turno della Coppa della Cina dal Shanghai Shenxin. In campionato condusse la squadra al dodicesimo posto e centrò una sofferta salvezza. Il 28 marzo 2018, dopo appena 3 partite di campionato (in cui aveva totalizzato una vittoria e 2 sconfitte), rescisse consensualmente il contratto.

Dopo la risoluzione del contratto con lo Jiangsu Suning, il 9 aprile 2018 annunciò il proprio ritiro da allenatore dopo 37 anni di carriera.

Dopo il ritiro

In parallelo alla carriera in panchina, Capello ha intrapreso anche l'attività di commentatore televisivo: l'esordio fu nel 1983 a Telemontecarlo dove, alternandosi con Altafini e Bulgarelli, affiancava Luigi Colombo. Ha poi svolto tale incarico anche per Fininvest e Tele Capodistria. Durante la stagione 1998-99 collaborò con Bruno Pizzul per le gare della nazionale italiana, ruolo svolto anche nel periodo precedente l'esperienza inglese.

Dal 2013 al 2018 è stato opinionista per Fox Sports, passando poi a Sky Sport.

Controversie

  • Nell'estate 1994 fu interrogato per il presunto coinvolgimento in una combine, dopo che la sconfitta casalinga del Milan contro la Reggiana (all'ultimo turno di campionato) aveva consentito ai reggiani di salvarsi, causando contestualmente la retrocessione del Piacenza. Nei mesi successivi, dopo un'altra gara con i reggiani, fu squalificato per accuse di parzialità rivolte all'arbitro Loris Stafoggia.
  • Durante il periodo alla Juventus — di comune accordo con la società — vietò ai propri calciatori di interrompere il gioco per consentire le cure di avversari infortunati, ritenendo che questi potessero trarne un vantaggio illecito.
  • Nel gennaio 2007 mostrò il dito medio ai tifosi del Real Madrid, la cui dirigenza non accettò le scuse, multando l'allenatore. Poche settimane dopo ringraziò le frange più estreme del tifo madrileno per non averlo contestato, subendo un richiamo dalla Federazione.
  • Indagato per evasione fiscale nel gennaio 2008, nella primavera seguente venne accusato di falsa testimonianza circa il processo di Calciopoli.

Palmarès

Giocatore

Club

Allenatore

Club

Competizioni giovanili
Competizioni nazionali
Competizioni internazionali

Individuale

 

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Black & White Stories: il derby di Fabio Capello - Juventus

 

 

 

La storia che Fabio Capello ama raccontare da una vita è quella del famoso “non passaggio” al Milan. Vero che poi ci sarebbe arrivato sulla soglia dei trent’anni, a vestire i colori rossoneri, ma quella volta, quando venne a cercarlo Gipo Viani in persona, lui era appena un ragazzino. Giocava a Pieris, il paese natale. La sua giornata era fatta di casa, scuola e pallone. Insomma, il ragazzo doveva saperci fare se il grande Gipo si mosse personalmente fino a quel paese lontano dai riflettori del grande calcio. E nella casa dei Capello, a Pieris, si sedette a un tavolo davanti a un bicchiere di rosso forte, di fronte a papà Guerrino, maestro elementare. Che gli fece capire senza troppi giri di parole che questa volta era arrivato secondo. «Mi dispiace – allargò le braccia il maestro – ho già dato la mia parola alla Spal».Abbastanza, per fermare Viani? Nemmeno a parlarne. Si discute, ma il maestro resta fermo come un palo di fronte all’uomo che ha costruito il primo Milan europeo. E Viani sbotta. «Insomma, faccia qualcosa, dica a Mazza che quel giorno era confuso, che non era in sé. Inventi una scusa, dica che aveva bevuto». Fine delle trasmissioni. Il maestro si alza e gentilmente, ma con fermezza, accompagna l’ospite alla porta. «Ho dato la mia parola. La mia parola».
Storia semplice e genuina, che colora a tinte forti l’infanzia e la giovinezza di Fabio Capello, e ne porta a vista le radici. Storia di benedetta testardaggine e di giustificato orgoglio, quelli che il maestro Guerrino ha trasmesso a questo figlio che poi di strada nel calcio ne ha fatta parecchia, da giocatore e da tecnico.
Un passo indietro. Fino al giugno del ’46, fino a un’estate lontana nel sole secco e radente del Nord. Pieris è un paese di pianura, in provincia di Gorizia ma a metà strada tra Trieste e Udine. Un posto di confine. Quelli del posto sono chiamati “bisiachi”, perché sono strizzati in mezzo a due fiumi, l’Isonzo e il Tagliamento. Da “bis aquae”, che significa letteralmente tra le due acque. Gente abituata a stare in equilibrio, a camminare sul filo dei sacrifici, vivendo a metà strada tra montagna e mare, tra la cultura contadina del profondo Friuli e quella mercantile di Trieste.
In mezzo, e sulla linea, anche geograficamente: tra cultura latina, tedesca e slava. Una terra di confine, o meglio di frontiera. Lì cresce il talento del piccolo Fabio. Nel Pieris, la squadra per cui ha giocato, all’epoca in Serie C, anche papà. Il ragazzo ha appena 16 anni quando Paolo Mazza, mago del calciomercato e mecenate della Spal, gli mette gli occhi addosso.
Mazza è reduce dall’infausta avventura ai Mondiali ’62 in Cile, dove ha ricoperto il ruolo di commissario tecnico azzurro insieme a Ferrari. Bussa alla porta di papà Guerrino un attimo prima di Viani, come si è detto. E il maestro ha una parola sola.
Fabio va alla Spal e nelle casse del Pieris finiscono due milioni. Un anno nella Primavera di G.B.Fabbri, e finalmente il debutto in Serie A, nella stagione 1963-64. 4 partite in tutto, tra un’interrogazione e l’altra all’istituto per geometri. Quell’anno la Spal finisce in Serie B ma Mazza la fortifica per l’immediata risalita.
E quando, nella stagione 1965-66, i biancazzurri si riaffacciano sulle grandi ribalte del calcio italiano, Capello è già un punto di riferimento del centrocampo. Talmente sicuro di sé ed equilibrato da essere promosso, a 19 anni, rigorista della squadra. Non è una Spal fatta di grandi nomi, ci sono i giovani Capello e Reja, c’è la “chioccia” Bagnoli. Un gruppo concreto, quello che occorre per raggiungere la salvezza.
La stagione successiva è piena di tribolazioni: Fabio ha un ginocchio ballerino, perde mezza stagione. Senza quel ragazzo che ormai è un pilastro, la struttura cede, e la Spal scivola di nuovo in Serie B. Lui questa volta non ne segue i destini. Passa un treno importante, per il ragazzo di Pieris: lo vuole la Roma, che sta costruendo il futuro attraverso una serie di importanti colpi di mercato. In quella stagione, il 1967-68, arrivano il brasiliano Jair, Scaratti e Pelagalli, Giuliano Taccola e un gruppo di giovani speranze: Cordova, Cappellini, Ferrari e, appunto, Capello.
La Roma è nelle mani del “mago di Turi”, al secolo Oronzo Pugliese, tecnico che nel bene e nel male non passa inosservato. Parte forte in campionato, ma presto ridimensiona i sogni di gloria e chiude la stagione all’undicesimo posto. In quel primo anno capitolino, Capello è ancora alle prese con i problemi fisici e tocca il campo soltanto 11 volte.
Nell’estate successiva la voglia di grandezza dei tifosi giallorossi sembra autorizzata dall’arrivo di un altro Mago, questa volta quello con la “m” maiuscola. Helenio Herrera dà fiducia a Capello, ne fa il perno della squadra che ruota interamente intorno a lui.
«Come calciatore – ricorda da sempre il nostro – devo molto a Herrera. Lui ha creduto in me, mi ha insegnato tante cose e mi ha fatto maturare tatticamente. Penso sia stato il più grande allenatore mai venuto in Italia, quello che ha fatto maturare il nostro calcio».
In campionato la Roma non va oltre l’ottavo posto, ma trionfa in Coppa Italia anche grazie alla doppietta che Fabio segna nell’ultima partita del girone finale, contro il Foggia. È destino che sia una Roma che sorride in Coppa, poiché anche la stagione successiva regala un anonimo undicesimo posto in campionato ma fa sognare il popolo giallorosso in Coppa Coppe: la squadra arriva alla semifinale e solo un sorteggio sfortunato la elimina, a vantaggio dei polacchi del Górnik.
È la terza stagione di Fabio nella Capitale. L’ultima. La presidenza della società è passata dalle mani di Evangelisti a quelle di Ranucci e poi di Alvaro Marchini, che ha grandi progetti ma per rifondare decide di liberarsi dei suoi gioielli. Mette sul mercato Spinosi, Landini e Capello, scatenando le ire della piazza. E dello stesso Herrera che, almeno a parole, si oppone alla triplice cessione. Le smentite si moltiplicano, ma alla fine l’affare va in porto.
Capello dice addio alla Roma dopo 62 partite in campionato, 11 in Coppa Italia, 8 in Coppa delle Coppe. Ha lasciato il segno, con la sua classe e il suo modo di stare in campo.
«Era un ragioniere del centrocampo – ricorda Fausto Landini – aveva piedi perfetti e un carattere forte che ne fece un leader da subito, nonostante la giovane età. Scendeva sempre in campo per vincere, e per stimolare i compagni non esitava a discutere con loro durante la partita. Fuori, naturalmente, tornava il ragazzo più tranquillo di questo mondo».
L’esplosione definitiva di Fabio avviene con la maglia bianconera, che era stata, fra gli altri, di Giovanni Ferrari al quale lo paragonano. Gli è affibbiato il nomignolo di Geometra, perché la visione di gioco è completa, il campo è tenuto sotto controllo e dominato, quasi come se Fabio avesse la possibilità di vedere quel che accade dall’alto, in postazione sopraelevata.
Capello fa il direttore d’orchestra, tagliando quelle fette inutili del campo per far giungere la palla al compagno il prima possibile: il lancio è millimetrico e intuitivo, il corridoio smarcante colto con frequenza, persino il tiro a rete è spesso potente e preciso. Ha la grande capacità di capire, dopo cinque minuti di partita, da che parte gira il fumo e di piazzarsi al posto giusto.
Non sono pochi i goal che Capello riesce a realizzare, soprattutto di testa, nonostante la statura non eccelsa e il fisico non proprio elegante (sedere basso e sporgente, rigido come un baccalà) e di questo si accorge anche la Nazionale.
Con la maglia azzurra, infatti, realizza un goal storico a Wembley: il 14 novembre 1973, mette a segno la rete della prima vittoria dell’Italia in casa dell’Inghilterra. In totale le sue presenze azzurre saranno 32, con 8 realizzazioni. In maglia bianconera, invece, colleziona 239 partite e realizza 41 goal.
Dopo quasi trent’anni, ritorna in bianconero, come allenatore. I tifosi sono divisi, Don Fabio ha allenato la Roma e ha sempre sparato a zero contro la Juventus e questo non può essere né dimenticato, né perdonato. Ma Capello è un vincente, dovunque è andato ha portato la propria squadra a primeggiare: prima il Milan, poi il Real Madrid e infine la stessa Roma.
È subito scudetto; dopo un lungo duello con i rossoneri, la squadra bianconera riesce a mettere in bacheca il suo 28° tricolore. Ma non sono tutte rose e fiori: i tifosi lo contestano apertamente per le troppe sostituzioni di Del Piero. Anche in Champions le cose non vanno meglio: dopo una splendida rimonta sul Real Madrid, la Juventus è eliminata dal Liverpool e Don Fabio è messo sul banco degli imputati, dopo lo scialbo pareggio casalingo.
La squadra della stagione successiva è un carro armato che travolge tutti gli avversari, a Natale i giochi sembrano già chiusi. Con l’arrivo della primavera, però, la Juventus comincia a segnare il passo; Capello non utilizza il turn over e i giocatori sono allo stremo delle forze. Il Milan si fa sotto minaccioso, la Juventus subisce l’ennesima eliminazione dalla Champions League ed è clamorosamente contestata dai tifosi. Nonostante le prime avvisaglie di quello che sarà definito Calciopoli, la Juventus vince lo scudetto.
Nella giornata trionfale di Bari, Capello annuncia di voler restare alla Juventus, qualsiasi sia il responso della giustizia sportiva: «Ci vedremo in ritiro il 15 luglio», annuncia. La tifoseria è fiduciosa ma Don Fabio ha sempre più contatti con i dirigenti del Real Madrid, fino al fatidico annuncio: Capello allenerà le Merengues.
Finisce così, nel modo peggiore, la seconda avventura bianconera di Fabio Capello.

VLADIMIRO CAMINITI
Capello è diventato adulto a Roma, ma è nato calciatore a Ferrara. Egli si spiega attraverso tre stadi, e il primo è Pieris nel Friuli, un paese meditativo e tranquillo, dove caccia, pesca e calcio sono tre momenti fondamentali del pensiero, e pure dello spirito, e chi non è sportivo, annega letteralmente dentro il bottiglione (di vino). La geografia è alla base di tutto, a pensarci bene; Pieris sorge tra verdi orchestre di prati, Fabio è figlio di un maestro di scuola, un tipo d’insegnante solido e pratico, tifosissimo di calcio.
Quando Fabio aveva 15 anni tutta Pieris accorreva a vedere giocare il figlio del maestro, e ne restava ammirata; gli applausi scrosciavano. «C’è un certo ragazzino figlio di un maestro – dissero a papà Mazza presidente della Spal – che ha la stoffa del campione». E papà Mazza mandò un suo uomo di fiducia e costui ottenne la firma di Fabio.
«C’è un certo ragazzino figlio di un maestro, a Pieris, che gioca benissimo», dissero a Gipo Viani, di Nervesa, omone rubizzo con il cuore di un nostromo. E Gipo Viani, come faceva sempre, si fece il viaggio e arrivò a Pieris, bussò alla porta del maestro di scuola Guerrino Capello e fu fatto accomodare. Tutti erano accomodati, pure la madre di Capello, Fabio in un angolo, compito come sempre.
Viani girava intorno i suoi occhioni cilestrini e si batteva il petto di bue: «Debbo dirle che lei non era nella sua piena facoltà mentale quando ha firmato per la Spal. Il suo figlio benedetto ha un tesoro nei piedi, io ce lo porto nel Milan, gli assicuro il conto in banca a lui e famiglia, lei non era in piena facoltà mentale».
Ha poi spiegato Fabio: «Ero della Spal, Viani non poté portarmi al Milan. A 18 anni, nel 1964, ho esordito a Genova, contro la Sampdoria. Vincevamo 1-0, poi ci hanno fatto 3 goal uno più stupido dell’altro. No, io non giocai male il mio allenatore tra i ragazzi era Gian Battista Fabbri. Brava persona. Ma io imparavo tutto da Massei, che era un fuoriclasse e giocava come intendo io; mi ha insegnato tutto quello che so. Era in allenamento che io guardavo e imparavo».
Il vero Fabio Capello tutti abbiamo cominciato a conoscerlo a Roma, dove trova l’allenatore che lo esalta e lui si sente il perno della squadra. A Roma trova i giornalisti permanentemente disimpegnati, pieni di humor, i quale ne ottengono interviste avvincenti. Capello gioca partite bellissime. La squadra in campo obbedisce ai suoi piazzamenti, anche se qualche suo compagno dice di lui: «In campo si fa sentire soltanto dopo il 2-0 a vantaggio».
Noi lo conosciamo a Torino, dove (stagione 1970-71) è venuto per comandare in campo alla Juventus come alla Roma. Dice: «Furino ottimo per come annulla ogni pericolo e per come lavora per tutti, Causio con quel qualcosa di più che lo rendeva imprevedibile, Anastasi aveva ritrovato se stesso, Haller e Salvadore, due campionissimi».
In sei campionati (sino a quello 1975-76 compreso) un ruolo di regista interpretato con sicuro impegno, fra lampi geniali e domeniche di routine. Uomo di ragionamento. Questo campione sobrio figlio del maestro di scuola di Pieris. Anche un poco di Nazionale, intanto.
Ragazzo di personalità. Non era un coniglio, anzi. E non ci stava mai a perdere. Non volle abbassare la testa neppure nell’ambiente bianconero, la sua partenza ebbe così il sapore di un divorzio forzato. Ma ha lasciato certamente un buon ricordo.
Centrocampista con licenza di andare al tiro (e di segnare), con l’intuizione giusta per accorrere a sostegno della difesa. Un tipo apparentemente freddo, altezzoso. Ma giocatore di rendimento, senza dubbio.

 

http://ilpalloneracconta.blogspot.com/2008/06/fabio-capello.html

Modificato da Socrates

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