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bidescu

Luciano Bodini

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Di Bodini mi ricordo le partite nel Mundialito del 1983 dove si disse che conquist

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VIDEO] Amarcord, le due partite contro il Lodz di Boniek (1980/81) - Pagina  4 - Ricordi in bianco e nero - VecchiaSignora.com

 

 

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Luciano_Bodini

 

 

Nazione: Italia Italia
Luogo di nascita: Leno (Brescia)
Data di nascita: 12.02.1954

Ruolo: Portiere
Altezza: 184 cm
Peso: 75 kg
Soprannome: Il 
12º

 

 

Alla Juventus dal 1979 al 1989

Esordio: 09.02.1983 - Coppa Italia - Juventus-Bari 1-0

Ultima partita: 25.06.1989 - Serie A - Juventus-Verona 3-0

 

45 presenze - 35 reti subite

 

4 scudetti

1 coppa Italia

1 coppa dei campioni

1 coppa delle coppe

1 supercoppa Uefa

1 coppa Intercontinentale

 

 

 

Luciano Bodini (Leno, 12 febbraio 1954) è un ex calciatore italiano, di ruolo portiere.

Storica riserva di Dino Zoff prima e Stefano Tacconi poi, è stato per questo appellato come il «12º per eccellenza» del calcio italiano.

 

Luciano Bodini
Luciano Bodini, 1981, Juventus.jpg
Bodini alla Juventus nel 1981
     
Nazionalità Italia Italia
Altezza 184 cm
Peso 75 kg
Calcio Football pictogram.svg
Ruolo Portiere
Termine carriera 1999
Carriera
Giovanili
1973-1974   Atalanta
Squadre di club
1974-1977    Cremonese 108 (-75)
1977-1979   Atalanta 32 (-34)
1979-1989   Juventus 45 (-35)
1989-1990   Verona 6 (-6)
1990-1991   Inter 0 (0)
1996-1999 600px Bianco e Celeste.svg Versilia 1 (-1)

 

Biografia

Appassionato pittore dilettante, vive a Marina di Pietrasanta.

Carriera

170px-Bodini_Luciano.jpg
 
Bodini all'Atalanta sul finire degli anni 1970

 

Cresciuto assieme al fratello nel settore giovanile dell'Atalanta, dov'è allievo di Carlo Ceresoli, nel 1974 viene mandato in prestito alla Cremonese con cui disputa tre campionati di Serie C, conquistando la promozione nella stagione 1976-1977. Tornato a Bergamo, esordisce in Serie A l'11 settembre 1977 in Atalanta-Perugia (1-1), parando nell'occasione un calcio di rigore a Renato Curi.

Nel 1979 passa alla Juventus come secondo portiere, prima dietro a Dino Zoff — «sapevo che sarei stato il 12º, ma anche che Zoff non era più giovanissimo [...] Arrivai alla Juventus quando Zoff aveva 38 anni e io 25: pensai che avrei potuto trovare spazio, considerata la sua età [...] Doveva ritirarsi ed invece è andato avanti fino a 40 anni...», ricorda lo stesso Bodini — e quindi a Stefano Tacconi.

 

220px-Juventus_FC_-_Luciano_Bodini_e_Ste
 
Bodini e Stefano Tacconi alla Juventus negli anni 1980

 

Nell'annata 1982-1983, dopo la fine del campionato e l'avvenuto ritiro di Zoff, disputa da titolare le ultime partite della stagione, contribuendo alla conquista della Coppa Italia e del Mundialito per club. Nell'estate seguente la dirigenza bianconera decide però di acquistare dall'Avellino il promettente Tacconi, sicché Bodini, nonostante un iniziale ballottaggio tra i due per le chiavi della porta juventina, torna a vestire la maglia n. 12 e rifiutando altre destinazioni «perché ero orgoglioso di essere in quel club, in cui rimasi a lungo per Giampiero Boniperti, a cui non potevo dire di no perché mi trattava come un figlio, e per [l'allenatore, ndr] Trapattoni».

La sua miglior stagione in bianconero è quella del 1984-1985, quando Giovanni Trapattoni lo preferisce spesso al titolare Tacconi, affidandogli la porta della Juventus anche nella vittoriosa finale di Supercoppa UEFA in cui la squadra torinese sconfigge gli inglesi del Liverpool, nonché nella semifinale di Coppa dei Campioni contro i francesi del Bordeaux; dopo aver condotto la squadra torinese alla finale della principale competizione continentale per club, però, si vede ancora una volta relegato in panchina da Tacconi nella tragica serata dell'Heysel: «Tacconi veniva da un periodo non esaltante, il Trap mi disse che l'avrebbe provato e poi avrebbe deciso. Alla fine giocò lui. Non era in forma ma era Tacconi...»

Terminata l'esperienza in Piemonte, nel campionato 1989-1990 disputa 6 partite con la maglia del Verona. Chiude la carriera agonistica nella stagione 1990-1991 all'Inter, accettando il ruolo di terzo portiere dietro al titolare Walter Zenga e alla prima riserva Astutillo Malgioglio «perché sono sempre stato interista»; con i nerazzurri va in panchina alla 6ª, 16ª, 17ª, 18ª e 27ª giornata di campionato, senza collezionare nessuna presenza.

In totale ha disputato 64 partite in Serie A, subendo 64 reti.

Palmarès

170px-Luciano_Bodini_-_Juventus_FC_-_Sup
 
Bodini difende la porta della Juventus nella vittoriosa Supercoppa UEFA 1984 contro il Liverpool

Competizioni nazionali

Competizioni internazionali

 

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«Boniperti ci voleva bene come se fossimo suoi figli. Ma aveva anche imposto delle regole e non si doveva sgarrare, il famoso stile Juventus. Ci vestivamo sempre eleganti, con giacca e cravatta, dovevamo salutare tutti e firmare gli autografi. Guai se ci fossimo rifiutati di firmare qualche autografo ai tifosi. Venivano le scolaresche al campo Combi a vedere i nostri allenamenti, un ambiente da sogno nel quale ho vissuto benissimo e senza mai creare polemiche. Era come stare in famiglia».
 
GIANNI GIACONE, DA “HURRÀ JUVENTUS” DEL NOVEMBRE 1979
Andiamo alla scoperta, autentica scoperta, di Luciano Bodini, di professione portiere. Raramente siamo partiti alla volta di una intervista cosi sprovveduti, così privi di concetti e preconcetti.
Bodini, venticinquenne bresciano, è in effetti da scoprire quasi tutto, è sufficientemente inedito per le grandi e grandissime platee ed è grande e smaliziato quanto basta per reggere paragoni impegnativi e per farsi raccontare al passato senza tema di esaurirsi in poche parole. Naturalmente, la chiacchierata cerca di approfondire un po’ più, di anticipare certo futuro prossimo e persino remoto.
Ed è chiacchierata piacevole, svolazzante. Come doveva essere piacevole conversare con portieri grandi e meno grandi del passato. Il ruolo è mito, storia patria, eroismo talvolta, ardimento sempre. Il portiere pionieristico si bardava per la partita come il cavaliere prima di andare alla guerra, e finiva tutto rotto, sfasciato, gloriosamente ma immancabilmente sfasciato. Giocavano in porta tipi strani, magari niente affatto adatti al ruolo di temerario, ma che si stravolgevano nella pugna sino a diventare eroi.
Oggi è cambiato tutto, quel calcio è morto per sempre; quegli ardimentosi, oggigiorno si darebbero al motocross. Forse.
Ma non divaghiamo troppo. Il portiere Luciano Bodini, bresciano della provincia, anno di nascita il ‘54, mese di febbraio, reclama giuste attenzioni. Si parla a Villar Perosa, la squadra in ritiro, la valle del Chisone triste com’è triste la montagna quando piove e fa freddo. Ci sono brume autunnali più che incipienti.
«Ho cominciato in una squadretta d’oratorio, a Brescia, ma a 13 anni ero già all’Atalanta, e a 17 finivo già in panchina con la prima squadra, in seguito ad un incidente che aveva tolto di mezzo per un bel po’ il secondo portiere Rigamonti. Poi, a vent’anni, vado a Cremona e gioco in 😄 108 partite, tante soddisfazioni, ed è già ora di tornare a Bergamo. Gioco solo 8 volte il primo anno, anche a causa di un serio infortunio. Ma mi rifaccio in pieno l’anno scorso, rivalutandomi, anche se la squadra va così e così e retrocediamo. E ora eccomi qua».
– Raccontami di questo Pizzaballa eterno.
«È un portiere fantastico, un uomo meraviglioso. Mi è stato molto amico, mi ha aiutato tantissimo, anche se, per colpa sua, ho fatto un sacco di panchina. Ma se si ha buona volontà, si impara molto anche stando fuori a guardare. E, modestamente, quanto a volontà, non mi sento secondo a nessuno».
– Dalla padella alla brace: dal longevo e inossidabile Pizzaballa a Zoff, che promette gloria sino a cinquant’anni.
«Qui, in effetti, è molto più difficile trovare spazio. A Bergamo, anche se c’era Pizzaballa in gran forma, ho trovato spesso posto, mentre qui, con Dino davanti, devo rassegnarmi a fare anticamera fissa, o quasi. Ma vedi, io ho le idee chiare in proposito. Zoff non si discute, ci mancherebbe; ma io osservo e scruto, e mi danno l’anima in allenamento come se stessi giocando la finale di Coppa dei Campioni. Così miglioro, e sono pronto per l’uso…».
– Una volta si distingueva tra portieri da piazzamento e portieri spericolati nelle uscite. Adesso esiste il portiere e basta. O no?
«Sì, sono distinzioni un po’ superate, anche se effettivamente ci sono dei portieri, che, appena possono, escono dalla porta per restringere lo specchio di tiro, e altri che si muovono soltanto quando è strettamente necessario. Personalmente, mi considero un portiere abbastanza scattante tra i pali, e ho lavorato sodo per migliorarmi tecnicamente nelle uscite, facendo allenamenti specifici. Infine, ho sempre curato molto il salto, l’elevazione, anche in considerazione del fatto che non sono molto alto».
– Pensi di assomigliare a qualcuno, o almeno ti piacerebbe?
«Sarebbe facile e comodo dirti che vorrei assomigliare a Zoff, ma non è vero: in realtà, non mi sono mai posto il problema di assomigliare a qualcuno. Faccio il mio lavoro, cerco di migliorare più che posso, e poi lascio agli altri giudicare».
– Nella tradizione, i portieri sono tutti tipi un po’ speciali, strani o addirittura stravaganti di carattere. Ti consideri tale?
«È un luogo comune, questo, ma ammetto che in molti casi c’è del vero, o almeno c’era. Si dice che noi portieri siamo gente un po’ matta, che giochiamo con spirito garibaldino, che ci buttiamo da incoscienti tra i piedi di avversari che magari non fanno neanche in tempo a tirare indietro la gamba. Oggi, è solo più in parte vero. I portieri di una volta erano davvero spericolati, e rischiavano a ogni partita l’osso del collo. Oggi, col calcio moderno, tutti rischiano allo stesso modo, il portiere come il centravanti. È dimostrato dalle statistiche
– Al di fuori del calcio e della famiglia, di cui parleremo dopo, che fai? Hai qualche hobby sportivo e non calcistico?
«Non è che mi avanzi molto tempo libero: comunque, gioco a tennis quando posso, e ammiro i grandi campioni di questo sport in televisione».
– Il tuo idolo.
«Borg Assolutamente fantastico».
– Ti piacerebbe essere un campione in qualche sport diverso dal calcio? Provi mai invidia, chessò, per il campione di formula uno?
«No, non mi è mai capitato. E poi la Formula uno non mi piace, sono un tipo tranquillo, io».
– E al di fuori dello sport, c’è posto per qualche hobby?
«Sì; mi piace molto dipingere. Faccio quadri, quando mi viene l’ispirazione. A me piacciono abbastanza, agli altri non so anche perché, sinora, li ho fatti vedere solo ad amici, che chiaramente non osavano criticarmeli».
– Ascolti qualche volta della musica? Quale?
«Ne ascolto spessissimo, e ho gusti intonati con il mio carattere: amo, cioè, la musica distensiva, non chiassosa, melodica. Quella che «andava» anni fa. Ebbene sì, sono pure abbastanza romantico, e per esempio Claudio Villa mi piace moltissimo, anche se so che molti rideranno, e mi diranno che sono un sorpassato. E poi, non mi dispiace nemmeno la musica classica. Non sopporto, invece, la musica da discoteca: è un rumore che non mi va proprio».
– Ti sei sposato giovanissimo, e sei pure diventato padre recentemente: naturalmente, sei dell’idea che a un calciatore fa bene sistemarsi presto.
«È così, e devo dire che ho avuto ragione. In effetti, in famiglia sto benone, e mi distende meglio che in qualsiasi altro posto. La famiglia ti aiuta a superare tutte le difficoltà piccole e grandi del lavoro di tutti i giorni. Sono diventato più uomo, e molto più in fretta».
– Ti senti realizzato, ora che sei arrivato alla Juve, e ritieni di avere ancora molta strada da fare?
«Arrivare alla Juve è una cosa che, credo, farebbe piacere a tutti calciatori d’Italia, figurarsi al sottoscritto. Il fatto di esserci come riserva non significa nulla: se ti hanno voluto, è perché servivi, mi sono detto. Tuttavia, penso di avere ancora davanti a me una strada lunga e difficile, e mi preoccupo di percorrerla bene, magari piano piano, ma senza commettere errori».
– Quale era il tuo stato d’animo, a Bergamo, quando scendevi campo con l’Atalanta, sapendo che in tribuna c’era qualcuno mandato dalla Juventus apposta per tenerti d’occhio?
«È una cosa a cui, sinceramente, non ho mai pensato in quei momenti. Per me, quando scendo in campo, conta la partita, e niente altro».
– Non ti spaventa essere capitato a Torino, in una piazza difficilissima per i portieri?
«Penso che, quando toccherà a me scendere in campo, quei problemi non mi sfioreranno nemmeno. Del resto, o dimostro di valere, e allora non ci saranno problemi, oppure non ce la faccio, e allora una piazza vale l’altra».
– Pensi mai al futuro? Dico futuro vero, il dopo-calcio.
«Qualche volta: ma poi mi convinco che per un dieci-quindici anni non dovrebbe esserci problema, e accantono la domanda. Recentemente, in famiglia, qualche progettino è comunque venuto fuori. Diciamo che mi starebbe bene aprire una agenzia di assicurazioni, oppure un negozio di articoli sportivi».
– Hai dai rimpianti, ad esempio per aver dovuto interrompere gli studi?
«Dopo la terza media ho provato a iscrivermi all’istituto tecnico per ragionieri, ma mi sono presto accorto che non avrei potuto conciliare calcio e studio, e ho dovuto scegliere. Certo che un po’ di rimpianto c’è: vedo di farmelo passare sforzandomi di leggere il più possibile».
Ecco Luciano Bodini, bresciano venticinquenne con famiglia, tipo tranquillo, lineare come devono essere i suoi quadri, che non abbiamo visto ma è come se li avessimo sott’occhio. L’epoca dei portieri svolazzanti e sfarfalleggianti è finita, l’unica cosa che lega Bodini al pioniere primo portiere juventino della storia, Durante vale a dire, è l’amore per la pittura. Il resto è diversità. Si può essere assolutamente normali ed essere buoni, ottimi portieri. Magari campioni. Basta non avere fretta.
 
Luciano dimostra, quelle rare volte che è chiamato in causa, di essere un portiere completo, tecnicamente ineccepibile, coraggioso il giusto. «La stagione 1982-83, per me, è finita in modo molto positivo. Ho dimostrato qualcosa, credo. E ho sfruttato l’occasione che mi è stata offerta. Sono diventato titolare in un momento molto delicato, all’indomani di Atene. Sentirmi incoraggiato e sostenuto dai tifosi mi ha dato una grossa spinta a fare bene. Voglio ringraziarli davvero».
Ma la società teme che, dopo quattro anni di attesa, sia un po’ arrugginito e, da Avellino, arriva Tacconi e Bodini torna in panchina. La delusione è notevole. «L’arrivo di Tacconi rappresentò, per me, la fine di un sogno a lungo nutrito, quello di poter essere protagonista a tempo pieno con la maglia della Juventus. Ero nel pieno della maturità come calciatore, avevo appena vinto un Coppa Italia e un Mundialito, pensavo che la maglia da titolare fosse mia. Invece, non fu così ed è per questo che l’unica alternativa ipotizzabile era la cessione a un’altra società, nella quale avrei potuto esprimere tutto il mio valore. Una decisione vantaggiosa per Bodini atleta, ma i sentimenti che ho sempre nutrito per la maglia bianconera sono tali da prevalere sulla logica, cosicché ho optato per restare a Torino».
«Ho subito visto che ci era rimasto chiaramente male – ammette la moglie Barbara – ma con me non si è mai sfogato, non mi ha mai detto cosa veramente pensava, cosa c’era dentro di lui; ho cercato di stuzzicarlo in tutte le maniere, di sotto, di sopra, niente! Lui aveva deciso di rimanere nella squadra del suo cuore, non tenendo in alcun conto i miei suggerimenti: almeno, gli dicevo, pensaci bene prima di decidere; macché, un macigno impenetrabile!».
Trapattoni lo chiama una prima volta per sostituire il titolare che si è fratturato un dito, a metà stagione; la seconda volta, un anno dopo, gli offre addirittura la maglia di Tacconi (il quale accusa un preoccupante calo di condizione). Luciano risponde alla grande, protagonista in campionato (gioca perfino con una frattura al setto nasale), protagonista in Coppa dei Campioni: un suo splendido intervento su Tigana, sul finire di Bordeaux-Juventus, regala ai bianconeri la finalissima con il Liverpool.
Peccato che il grande sogno finisca proprio alla vigilia del grande appuntamento: Trapattoni preferisce schierare Tacconi nella tragica partita dello stadio Heysel. Bodini ci resta male, però sa tornare nell’ombra, campione anche di stile. «Ho provato tanta amarezza nel momento in cui ho saputo di non poter disputare la finale. Ho ricevuto una fitta tremenda al cuore, ma col tempo il dolore è scematoe ho ripreso fiducia in me stesso e negli altri».
La coppa tanto attesa è un po’ sua, proprio come la Supercoppa vinta da protagonista, in gennaio, nella prima sfida al terribile Liverpool. Resta quella, per il simpatico eterno secondo, la soddisfazione più grande. Insieme con la certezza che, la sua curiosa carriera da dodicesimo, non ha nulla da invidiare a quella di tanti celebrati numeri uno. «Nonostante una partecipazione attiva piuttosto occasionale, credo di avere svolto il mio ruolo nel modo più consono alle esigenze della Juventus e, quando le circostanze me lo hanno permesso, ho dato il meglio di me stesso. Una Coppa Italia, un Mundialito, una Supercoppa Europea e una qualificazione alla finale di Coppa dei Campioni, rappresentano il frutto di un duro lavoro fatto sempre con impegno, malgrado un destino ingrato mi abbia voluto solo comparsa nel circo dorato del pallone».
 
FRANCO MONTORRO, DA “HURRÀ JUVENTUS” DELL’APRILE 2002
A volte pensiamo che sarebbe più giusto se nel calcio ci fossero le sostituzioni “libere”, come in altri sport: giocatori che entrano e rientrano senza limitazioni, secondo la necessità o anche solo del desiderio di cambiare un atleta per fargli ricevere dal pubblico il doveroso applauso. Una regola del genere l’avrebbe meritata Luciano Bodini, portiere bianconero dal 1979 al 1989, sempre partendo dalla panchina e sempre rifiutando altre opportunità per essere titolare altrove pur di rimanere legato a una Juventus nella quale ha vinto molto e giocato poco. Non per colpa sua, perché di colpe non ne ha Luciano Bodini, che anzi va ricordato come atleta e uomo impeccabile, con una grande classe messa sempre a disposizione della squadra. Sempre e comunque; anche partendo spesso dalla panchina, impeccabile “secondo” di Zoff e Tacconi: straordinario nel restare in silenzio a lavorare e ancora di più a farsi trovare sempre pronto a offrire prestazioni di altissima qualità. Una sicurezza per tutti, perché quando capitava che toccasse a lui difendere la porta bianconera, nessuno si accorgeva della differenza, del fatto che non giocasse il titolare. Perché Luciano aveva la classe e il carisma del grande campione. E lo dimostrava sempre, in allenamento, come in panchina, come sul campo. 
Oggi Luciano è rimasto nel mondo del calcio, come allenatore, anche specifico dei portieri. «Ho il patentino. Ho gestito per anni una mia scuola calcio. Poi ho allenato diversi portieri, fra i quali Roccati, e sono stato anche in Scozia con i Bonetti, al Dundee e là mi sono reso conto di quanto il nostro campionato sia il più impegnativo di tutti. Altrove può esserci più agonismo, ma solo in Italia il livello di classe e di tecnica è così alto. Certo, il ruolo del portiere è molto cambiato nel corso degli anni, oggi deve saper fare anche il libero con queste difese a 3 o a 4 ma che poi prestano regolarmente un uomo a centrocampo durante la manovra di attacco. I portieri oggi devono sapersi muovere molto e bene fuori dai pali, ai miei tempi quasi non ci si spostava dalla riga. I miei tempi, già... Anni bellissimi alla Juventus. Ho giocato poco, ma ho fatto bene e ho vinto molto: quattro scudetti e poi, proprio dal campo, una Coppa Italia, una Supercoppa Europea, un Mundialito. Non ho rammarico per essere stato tanto in panchina con Zoff, grande uomo e grande portiere. Mentre con Tacconi il posto ce lo giocavamo».
Il nastro dei ricordi di Bodini continua ad andare. «Ne ho affrontato di attaccanti fuoriclasse, fin dai tempi dell’Atalanta: Pulici, Graziani, Pruzzo, Savoldi e Maradona. Tutti furbi, svelti e forti. E quando giocavo a Bergamo, con l’Atalanta, più di una volta me li trovavo a tu per tu. Giocare nella Juventus, con tanti campioni in difesa, ti facilitava un po’ la vita, ma io comunque mi sono preso belle soddisfazioni personali, credo di aver sempre difeso bene la porta e di aver fatto bella figura in più di un’occasione. Tutti ricordano la semifinale di Coppa dei Campioni a Bordeaux. Certo, giocai molto bene, ma nell’archivio dei ricordi io conservo in prima posizione un 2-0 a Torino contro l’Inter e un 3-0 a Udine: sono state quelle le mie partite più belle».
Il presente di Bodini, come detto, è ancora nel calcio, anche se al momento la sua esperienza e le sue qualità tecniche non sono a disposizione di nessuno. Il futuro più remoto, invece, potrebbe essere rappresentato da un passaggio di consegne. «Sono sposato, ho due figlie e un terzo bambino di sei anni. Gioca a calcio ma ancora solo per divertimento, naturalmente. Avrà tempo per decidere che cosa fare da grande».
Se deciderà per il ruolo portiere, da grande avrà già un esempio, in casa. E un maestro insuperabile, il padre: che faceva parte, da campione, di un’indimenticabile Juventus.
 
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