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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

E tutti scoprirono

la farsa Calciopoli

di STEFANO SALANDIN (Tuttosport 24-12-2011)

Inevitabile, per chi la frequentò come cronista, tornare ogni tanto

con la mente all'aula bunker dello Stadio Olimpico di Roma. Mentre

saliva sul tetto del mondo, il caclio italiano processava (parte di)

se stesso in un'atmosfera da "cupio dissolvi" ben oliata dal profluvio

di intercettazioni che aveva preparato il giustizialismo invocato

dall' opinione pubblica. Ed era, in quel clima, perfino anacronistico

provare a chiedersi (e a chiedere) come mai ci fossero tanti errori o

incongruenze nei capi d'accusa. Ma mica perché il cronista

parteggiasse per questo o per quell'altro. No: solo per provare a

capire di più e meglio. Possibile, ci si chiedeva, che davvero la

difesa di Paolo Bergamo si limitasse a quel ripetitivo «telefonavano

tutti...»? Ma il campionato doveva iniziare, le telefonate erano lì,

la gente voleva giustizia e redenzione per il calcio. Già, la

gente. . . Chissà cosa sarebbe successo se certe telefonate emerse poi

(perché, piaccia o non paccia, aveva ragione Bergamo: telefonavano

tutti, ma proprio tutti) fossero state ascoltate allora, in quell'aula

e in quel clima? Intanto, anche tra le tricoteuses davanti alla

ghigliottina allestita all'Olimpico c'è chi ha cominciato pian piano a

cambiare idea e a farsi domande di fronte a tutto ciò che emergeva nel

processo penale di Napoli. Che poi ha condannato Moggi, certo: ma, e

si ritorna sempre lì, c'era solo lui come imputato. . . Quelle

incongruenze che Tuttosport, spesso isolato, non ha mancato di

sottolineare. Adesso, a sollevare altri dubbi sulle indagini

dell'allora maresciallo Auricchio, ha provveduto anche un

investigatore che faceva parte di quel pool. Anonimo, e dunque da

prendere con tutte le cautele del caso, ma indiscutibilmente

informato. E il fatto che abbia deciso di parlare solo ora è un

segnale, un altro, di come sia cambiato il clima. Solo che la fretta -

guarda un po' - ora non è più quella di "fare chiarezza", ma di

arrivare alla pace...

===

CALCIOPOLI LO SCENARIO

Tavolo della pace: atto 2°

Nuovi contatti con Petrucci Tra gennaio e febbraio il bis?

Intanto Della Valle ha fatto scattare le denunce contro l’ex commissario federale

Rossi. Le rivelazioni di un investigatore pentito possono scatenare altre reazioni

di STEFANO SALANDIN (Tuttosport 24-12-2011)

Ci riproverà, Gianni Petrucci . Ma non tanto perché si sia affezionato al

“tavolo” e ai suoi commensali, quanto perché è convinto che non vi sia altra

strada possibile per provare a sanare le conseguenze nefaste di Calciopoli. A

dire il vero è meglio dire che si è “riconvinto” perché alla fine del primo

summit con Giancarlo Abete e i presidenti (Andrea Agnelli , Diego Della Valle

, Aurelio De Laurentiis , Adriano Galliani e Massimo Moratti ), lo stesso

Petrucci era tutt’altro che soddisfatto. Poi, evidentemente, qualcosa deve

essere successo o, piuttosto, qualcuno deve avergli parlato, convincendolo

della necessità di continuare a tenere aperta la porta al dialogo. Proprio il

presidente del Coni, in una intervista concessa a Sky, ha riaffermato il

concetto: «Se i tempi matureranno - sottolinea Petrucci -, ci incontreremo di

nuovo. Il tavolo della pace non è stato un fallimento, i rapporti sono

migliorati. Non sono affatto pentito, lo rifarei». E tra gennaio e febbraio il

bis potrebbe arrivare.

FRAGILITA’ La convinzione di Petrucci e del suo entourage poggia però su basi

da rinsaldare dopo che i presidenti si siano parlati per 5 ore e lasciati

dandosi la mano. Un inizio, ma non può bastare, visti i temi in ballo e lo

sconquasso che certi futuri provvedimenti potrebbero determinare. Anche Diego

Della Valle, uno tra coloro che avrebbe poi chiamato Petrucci per dirgli di

proseguire, lo ha ribadito: «Il Tavolo della pace? E’ stato utile per far

riparlare della persone che non lo facevano da tempo ma si è rimasti sulle

proprie posizioni».

E DENUNCE Lui, Della Valle, lo è rimasto eccome sulle sue posizioni. Anzi, ha

deciso di accelerare alla ricerca di una verità che ritiene gli sia stata

negata nel processo sportivo e poi in quello penale. Al punto da avere deciso

una vera e propria “escalation” e di aver affidato ai propri legali “di agire,

nelle sedi competenti, nei confronti dell’allora commissari straordinario

della Figc, Guido Rossi e di altri per la gestione assunta negli stessi

durante il processo sportivo di Calciopoli”. Per poi accusare direttamente di

reticenza l’ex commissario e dirigente Telecom: «Ha paura - ha detto Della

Valle - e si nasconde sotto il letto. Ci sono elementi che lasciano

riflettere. Secondo noi le carte processuali possono essere rilette in un

altro modo facendo venire a galla un’altra verità. Sicuri che tutti abbiano

fatto il proprio dovere? La Fiorentina vuole soltanto chiarezza». A

corroborare i sospetti del patron viola sono arrivate le dichiarazioni di un

inquirente che faceva parte del pool di Calciapoli e che ha sollevato pesanti

dubbi su quella inchiesta. Dichiarazioni anonime, ma circostanziate e che

sollevavano i dubbi maggiori proprio su uno dei capi d’accusa più pesanti nei

confronti di Della Valle: il pranzo con l’allora designatore Paolo Bergamo .

===

CALCIOPOLI L'INTERVISTA

«La fuga di notizie rovinò Calciopoli»

LEPORE «Le intercettazioni pubblicate bruciarono l’inchiesta»

L’ex capo della procura di Napoli: «Quando chiesi lumi su telefonate dell’Inter, mi risposero che non c’erano»

di RAFFAELE AURIEMMA (Tuttosport 24-12-2011)

NAPOLI. Potrebbero esserci intercettazioni su Calciopoli, sfuggite o

“distratte” dagli uffici giudiziari per evitare il coinvolgimento di altre

persone o club? «Non credo affatto, altrimenti questa persona si sarebbe

presentata direttamente ad un giudice e non avrebbe rilasciato dichiarazioni

anonime ad un giornale», Giandomenico Lepore , ex capo della Procura del

Tribunale di Napoli e da pochi mesi in pensione, resta stupito dell’intervista

rilasciata ad alcuni organi di stampa da un investigatore, ma non esclude che

quella confessione possa aprire un nuovo fronte giudiziario nell’interminabile

e doloroso capitolo di Calciopoli. «Vedo con piacere che il calcio attira

molto più dei fatti di mafia. Se prendiamo il boss Zagaria, ci dicono bravi,

ma se tocchiamo un calciatore, apriti cielo?», l’amara osservazione, resa con

ironia dall’uomo che ha guidato per anni una delle Procure più calde d’Italia.

Dottor Lepore è rimasto sorpreso dalle affermazioni dell’anonimo

investigatore?

«Trovo un po’ strano che abbia dette certe cose. Tengo a chiarire che in

questo momento parlo sulla base dei ricordi che ho, perché non ho più alcuna

veste ufficiale. Ma come ex capo della Procura di Napoli e riguardando

l’argomento in questione, un’indagine condotta dal mio ufficio, posso

esprimere delle valutazioni su certe considerazioni postume ed effettuate su

di una certa, nostra attività investigativa. Innanzitutto, parliamo di una

persona anonima e, se avesse avuto coraggio, avrebbe dovuto firmarsi con tanto

di nome e cognome. Aggiungo che il processo di Calciopoli ha avuto un vaglio

da parte di diversi giudici, i primi sono quelli che hanno disposto il rinvio

a giudizio e poi i tre che hanno emesso la sentenza».

Ma si è mai chiesto perché non risultasse alcuna intercettazione

relativa all’Inter?

«Sapevo che la Juve era sotto inchiesta, ma anche che qualcuno voleva tirare

in ballo altre squadre. Ad esempio, quando chiedevo lumi sull’Inter, perché

sentivo lamentele sull’inesistenza di intercettazioni relative a questa

squadra, i miei colleghi mi rispondevano sempre che non c’erano elementi a

sostegno di quelle voci. Gli elementi a disposizione dell’inchiesta erano

quelli e basta, mentre gli altri avevano poca consistenza dal punto di vista

penale. Certo, se avessimo potuto portare avanti le indagini così come stavamo

facendo...».

In che senso?

«Ad un certo punto c’è stata una fuga di notizie, con tutte le

intercettazioni pubblicate sull’allegato di un settimanale: in quel preciso

istante la nostra inchiesta fu bruciata».

Fuga di notizia favorita dagli uomini del suo pool?

«Assolutamente no. La fuga di notizie avviene da persone estranee che hanno,

però, interesse a bloccare le indagini. Non potemmo portare avanti altri

aspetti di quell’inchiesta, perché dopo quella pubblicazione i telefoni

cominciarono a tacere... Comunque, non basta una semplice telefonata oppure

una semplice cena per muovere delle accuse penali. I miei colleghi hanno

sempre detto che tutto ciò che non è stato giudicato, non poteva dare corso a

nessun atto processuale. Tanto è vero che quegli elementi sono ben noti,

perché li abbiamo messi a disposizione della giustizia sportiva».

Ma come può verificarsi la fuga di notizie dall’ufficio di

un’inchiesta così delicata?

«Non si tratta di persone al nostro interno, perché quando c’è un processo

vengono coinvolti tanti altri soggetti non strettamente collegati al pool di

magistrati. Ci sono cancellieri, commessi, uomini della polizia giudiziaria,

poi c’è il passaggio dall’ufficio del Gip a quello successivo, per cui basta

una piccola uscita di notizie e si brucia l’indagine. Il più delle volte si

tratta di persone che temono che l’inchiesta possa arrivare fino a loro e

fanno venire fuori le informazioni per bloccarla ed evitare un coinvolgimento

diretto. Ma sono convinto che se non ci fosse stata questa fuga di notizie,

certamente sarebbe venuto fuori dell’altro nell’ambito di Calciopoli».

Cosa pensa possa accadere alla luce di queste rivelazioni, anche se

anonime?

«Se ci fossero elementi non presi in considerazione, ma mi sembrerebbe strano,

si potrebbe aprire una nuova istruttoria. O potrebbe accadere pure se ci

fosse stata un’errata valutazione sui fatti presi in esame. In buona sostanza,

servirebbero altre intercettazioni che giustifichino l’inizio dell’azione

penale. Resta da capire, però, se i fatti in questione non siano talmente

indietro nel tempo da risultare ormai prescritti. Voglio dare un consiglio a

questa persona: se ha elementi validi da giustificare le sue rivelazioni,

abbia il coraggio di andare da un giudice e metterle per iscritto».

===

E le nuove verità ”agitano” Napoli

di MARCO BO (Tuttosport 24-12-2011)

TORINO. Non c’è pace su Calciopoli che ha offerto la sentenza di primo grado a

inizio novembre. In attesa delle motivazioni che la giudice Casoria s’appresta

a concludere, gli avvocati sono al lavoro per strutturare i rispettivi

ricorsi. Che andranno riaggiornati dopo le recenti clamorose dichiarazioni di

un investigatore di Calciopoli che, dietro l’anonimato, ha detto tra le altre

cose, «E’ stata una cosa forzata, non abbiamo scoperto una vera partita

truccata», «Scoppiò una lite tra i capi: uno voleva chiudere il caso, l’altro

no», «Il pranzo tra i Della Valle, Bergamo e Mazzini non fu grave: non dissero

niente». Maurilio Prioreschi, difensore di Luciano Moggi, commenta con

fermezza: «Mi auguro che questo signore si presenti da un giudice per ribadire

le affermazioni. Se è vero che ha voluto liberarsi per una questione di

coscienza, allora è bene che lo faccia nel luogo più appropriato: qualcuno ha

pagato con sentenze dure. Chissà cosa sarebbe successo se si fosse deciso a

parlare prima». Anche Andrea Galasso, avvocato di Giraudo, condannato in primo

grado ma dopo il rito abbreviato, interviene su queste dichiarazioni

esplosive: «Come tifoso rinnovo le parole che in tempi non sospetti ebbi a

rilasciare a “Tuttosport”: “la Juventus ha subito la più grave ingiustizia

della storia sportiva”. Quale cultore del diritto e della legalità sono certo

che la Magistratura saprà difendere il suo indiscutibile prestigio facendo

luce su indagini turbate da omissioni sospette e manipolazioni inquinanti, che

offendono la coscienza civile».

DE SANTIS DENUNCIA Intanto l’ex arbitro De Santis si prepara a denunciare per

falsa testimonianza l’ex tenente colonnello Auricchio, allora capo delle

indagini napoletane su Calciopoli.

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CALCIOPOLI

il caso

La bomba anonima sull’inchiesta di Auricchio & C.

Un ex carabiniere accusa: indagine manipolata,

sparito un audio pro-Della Valle. Teste credibile

o millantatore? La magistratura se ne occupi

di ANDREA MONTI (GaSport 24-12-2011)

...

I fatti: qualche giorno fa, l’uomo - certamente uno dei 12 addetti alle

intercettazioni, probabilmente un ex carabiniere che si è allontanato o è

stato allontanato dall’Arma - convoca alcuni giornali, tra cui non c’è la

giornalaccio rosa dello Sport, e sgancia la bomba.

...

Per quanto riguarda la giornalaccio rosa

dello Sport, solo giornalismo. Seguiremo con molta attenzione gli sviluppi di

questa vicenda, pronti a raccogliere e consegnare ai lettori la voce di ogni

testimone significativo. Purché, come è regola della casa, abbia un nome e un

cognome.

rosica rosica. per tua sfortuna questo uomo ha un nome e cognome. le carte d'identità erano sul tavolo. ma non le viene a raccontare a voi perché non siete credibili ed in piu' non contate piu' una beata. a -15% all'anno nel giro di pochi anni sarete solo un brutto ricordo

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Joined: 10-Dec-2011
122 messaggi

===

CALCIOPOLI L'INTERVISTA

«La fuga di notizie rovinò Calciopoli»

LEPORE «Le intercettazioni pubblicate bruciarono l’inchiesta»

L’ex capo della procura di Napoli: «Quando chiesi lumi su telefonate dell’Inter, mi risposero che non c’erano»

di RAFFAELE AURIEMMA (Tuttosport 24-12-2011)

NAPOLI. Potrebbero esserci intercettazioni su Calciopoli, sfuggite o

“distratte” dagli uffici giudiziari per evitare il coinvolgimento di altre

persone o club? «Non credo affatto, altrimenti questa persona si sarebbe

presentata direttamente ad un giudice e non avrebbe rilasciato dichiarazioni

anonime ad un giornale», Giandomenico Lepore , ex capo della Procura del

Tribunale di Napoli e da pochi mesi in pensione, resta stupito dell’intervista

rilasciata ad alcuni organi di stampa da un investigatore, ma non esclude che

quella confessione possa aprire un nuovo fronte giudiziario nell’interminabile

e doloroso capitolo di Calciopoli. «Vedo con piacere che il calcio attira

molto più dei fatti di mafia. Se prendiamo il boss Zagaria, ci dicono bravi,

ma se tocchiamo un calciatore, apriti cielo?», l’amara osservazione, resa con

ironia dall’uomo che ha guidato per anni una delle Procure più calde d’Italia.

Dottor Lepore è rimasto sorpreso dalle affermazioni dell’anonimo

investigatore?

«Trovo un po’ strano che abbia dette certe cose. Tengo a chiarire che in

questo momento parlo sulla base dei ricordi che ho, perché non ho più alcuna

veste ufficiale. Ma come ex capo della Procura di Napoli e riguardando

l’argomento in questione, un’indagine condotta dal mio ufficio, posso

esprimere delle valutazioni su certe considerazioni postume ed effettuate su

di una certa, nostra attività investigativa. Innanzitutto, parliamo di una

persona anonima e, se avesse avuto coraggio, avrebbe dovuto firmarsi con tanto

di nome e cognome. Aggiungo che il processo di Calciopoli ha avuto un vaglio

da parte di diversi giudici, i primi sono quelli che hanno disposto il rinvio

a giudizio e poi i tre che hanno emesso la sentenza».

Ma si è mai chiesto perché non risultasse alcuna intercettazione

relativa all’Inter?

«Sapevo che la Juve era sotto inchiesta, ma anche che qualcuno voleva tirare

in ballo altre squadre. Ad esempio, quando chiedevo lumi sull’Inter, perché

sentivo lamentele sull’inesistenza di intercettazioni relative a questa

squadra, i miei colleghi mi rispondevano sempre che non c’erano elementi a

sostegno di quelle voci. Gli elementi a disposizione dell’inchiesta erano

quelli e basta, mentre gli altri avevano poca consistenza dal punto di vista

penale. Certo, se avessimo potuto portare avanti le indagini così come stavamo

facendo...».

In che senso?

«Ad un certo punto c’è stata una fuga di notizie, con tutte le

intercettazioni pubblicate sull’allegato di un settimanale: in quel preciso

istante la nostra inchiesta fu bruciata».

Fuga di notizia favorita dagli uomini del suo pool?

«Assolutamente no. La fuga di notizie avviene da persone estranee che hanno,

però, interesse a bloccare le indagini. Non potemmo portare avanti altri

aspetti di quell’inchiesta, perché dopo quella pubblicazione i telefoni

cominciarono a tacere... Comunque, non basta una semplice telefonata oppure

una semplice cena per muovere delle accuse penali. I miei colleghi hanno

sempre detto che tutto ciò che non è stato giudicato, non poteva dare corso a

nessun atto processuale. Tanto è vero che quegli elementi sono ben noti,

perché li abbiamo messi a disposizione della giustizia sportiva».

Ma come può verificarsi la fuga di notizie dall’ufficio di

un’inchiesta così delicata?

«Non si tratta di persone al nostro interno, perché quando c’è un processo

vengono coinvolti tanti altri soggetti non strettamente collegati al pool di

magistrati. Ci sono cancellieri, commessi, uomini della polizia giudiziaria,

poi c’è il passaggio dall’ufficio del Gip a quello successivo, per cui basta

una piccola uscita di notizie e si brucia l’indagine. Il più delle volte si

tratta di persone che temono che l’inchiesta possa arrivare fino a loro e

fanno venire fuori le informazioni per bloccarla ed evitare un coinvolgimento

diretto. Ma sono convinto che se non ci fosse stata questa fuga di notizie,

certamente sarebbe venuto fuori dell’altro nell’ambito di Calciopoli».

Cosa pensa possa accadere alla luce di queste rivelazioni, anche se

anonime?

«Se ci fossero elementi non presi in considerazione, ma mi sembrerebbe strano,

si potrebbe aprire una nuova istruttoria. O potrebbe accadere pure se ci

fosse stata un’errata valutazione sui fatti presi in esame. In buona sostanza,

servirebbero altre intercettazioni che giustifichino l’inizio dell’azione

penale. Resta da capire, però, se i fatti in questione non siano talmente

indietro nel tempo da risultare ormai prescritti. Voglio dare un consiglio a

questa persona: se ha elementi validi da giustificare le sue rivelazioni,

abbia il coraggio di andare da un giudice e metterle per iscritto».

===

maio davanti a certi addetti ai lavori faccio fatica a manterere toni civili...ma c****...ma se è stato aperto un fascicolo sulla fuga di notizie dove si dice che è stato "un servo infedele dello stato",è stato qualcuno di quei cc,lo ha detto pure bergamo e nessuno dei 12 lo ha querelato...ma v********o lepore

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CALCIOPOLI

il caso

La bomba anonima sull’inchiesta di Auricchio & C.

Un ex carabiniere accusa: indagine manipolata,

sparito un audio pro-Della Valle. Teste credibile

o millantatore? La magistratura se ne occupi

di ANDREA MONTI (GaSport 24-12-2011)

Calciopoli, la sorpresa di Natale: ora c’è una gola profonda. Un testimone

anonimo, ma sicuramente partecipe della vicenda, sostiene che l’inchiesta del

procuratore Narducci e del colonnello Auricchio fu gravemente manipolata. I

fatti: qualche giorno fa, l’uomo - certamente uno dei 12 addetti alle

intercettazioni, probabilmente un ex carabiniere che si è allontanato o è

stato allontanato dall’Arma - convoca alcuni giornali, tra cui non c’è la

Ģazzetta dello Sport, e sgancia la bomba. Una Bomba N, uno di quei nuovi

ordigni atomici al neutrone, che lascia intatto lo scheletro delle sentenze ma

polverizza gli uomini, le storie e le poche, faticose certezze che ci stanno

dentro. La tesi di fondo dell’innominato, infatti, è che «di veramente

importante nell’inchiesta non c’è niente, la maggior parte degli imputati è

stata condannata ingiustamente o con pene troppo pesanti».

In sintesi, i punti chiave della testimonianza che traggo dal Corriere dello

Sport. Dopo aver ricostruito il sistema dei baffetti colorati con cui veniva

segnalato il grado d’importanza delle telefonate riportate nei brogliacci,

l’anonimo sostiene che erano solamente Auricchio e il maresciallo Di Laroni a

stabilire cosa inserire e cosa omettere nelle informative da inviare ai

magistrati. E le intercettazioni che riguardavano l’Inter dove sono finite?

«Evidentemente nell’inchiesta non ci dovevano andare…». Ancora: storie di

server che misteriosamente cadono cancellando decine di intercettazioni, le

famose schede svizzere di Moggi su cui poi non si registra alcun traffico, il

ruolo del segretario della Can Manfredi Martino che al primo interrogatorio

dice tremando di non sapere nulla poi diventa uno dei principali testi

dell’accusa, le «cenette» degli inquirenti con non meglio specificati

«personaggi che hanno segnato quel periodo di Calciopoli». E via bombardando…

Ma l’elemento forse più succoso nelle verità dell’innominato è la

ricostruzione dell’incontro dei fratelli Della Valle con Bergamo e Mazzini in

un ristorante sulle colline fiorentine. Un episodio enormemente discusso, non

l’architrave dell’accusa (che ha spinto soprattutto sul significato delle

intercettazioni) ma comunque importante, e sempre contestato dai protagonisti.

Di quel pranzo in cui si sarebbe stabilito il patto per salvare la Fiorentina,

abbiamo solo la documentazione video ma non l’audio, perché quella volta non

furono piazzate microspie. E qui il testimone ci va giù pesante: «Con il

microfono direzionale, a 50 o 100 metri, senti tutto quello che uno dice. Però

’sta voce non s’è mai sentita. Io so che l’hanno sentita. E questa cosa è

importante perché io so che là non hanno parlato di niente. Magari pensi che

Della Valle abbia detto a Mazzini: "Dai, famme vince...". Invece niente. Hanno

dato rilevanza alle immagini e non hanno fatto sentire l’audio ». Dunque,

secondo il testimone, sarebbe sparito un audio che scagiona i Della Valle?

«Non secondo me. L’audio c’è. Sicuro». Un botto terrificante.

Il colonnello Auricchio, oggi capo di Gabinetto del sindaco di Napoli De

Magistris, ha negato in sede processuale che quell’audio esistesse e ora,

raggiunto dalla giornalaccio rosa, chiosa seccamente: «Non ritengo sia necessario

rispondere a dichiarazioni anonime che, fra l’altro, non corrispondono al

vero. Servirebbe solo ad alimentare un’eco mediatica di fatti su cui la

giustizia sia ordinaria, in primo grado, sia sportiva, in via definitiva, ha

già giudicato». Nessun commento, invece, da parte dei Della Valle che si

limitano ad affiggere sulla bacheca del sito viola le interviste con

l’innominato. Come dire, leggete e ci troverete quanto abbiamo sempre

sostenuto. Ma sulle ragioni che lo hanno spinto a parlare come sulla sua

identità, c’è palese prudenza.

In realtà, la strategia di Diego Della Valle è di più ampio raggio. E, nel

suo stile, non ha fatto nulla per nasconderla. Condannato a Napoli con una

pena che, pur lieve, pesa sulla sua figura di uomo e di imprenditore, dal 2006

e con più forza oggi ribadisce una linea che si riassume nel mantra: «Fatemi

capire ». Le sue domande rappresentano certamente una difesa aggressiva, ma

toccano zone d’ombra che sarebbe opportuno illuminare, se non altro per

togliersi ogni dubbio. Ci furono degli ispiratori occulti all’inizio

dell’inchiesta? Perché la Fiorentina fu coinvolta e altre squadre tra cui

l’Inter no? Guido Rossi ricevette le intercettazioni di Moratti e Facchetti

dalla procura di Napoli? E se sì, perché non indagò?

Personalmente, e mi è capitato di scriverlo più volte, non considero

l’inchiesta di Calciopoli un monumento all’infallibilità investigativa.

Presenta contraddizioni e qualche visibile buco. Insomma, di certo avrebbe

potuto esser fatta molto meglio. Ma ha retto in diversi giudizi sportivi e

penali. Ora, delle due l’una: o l’innominato dice il vero anche su un solo

episodio e allora occorre buttarla via per intero, oppure l’innominato mente e

allora è un millantatore che va severamente punito. In un paese civile, c’è

una sola strada per stabilirlo, e spetta alla giustizia percorrerla. Un

solerte procuratore, su questo fronte non stiamo scarsi, apra un fascicolo

sulle affermazioni gravissime che avete letto in questo articolo, ripercorra

l’inchiesta passo dopo passo e dica una parola definitiva all’opinione

pubblica, ai tifosi e alle persone coinvolte. Per quanto riguarda la Ģazzetta

dello Sport, solo giornalismo. Seguiremo con molta attenzione gli sviluppi di

questa vicenda, pronti a raccogliere e consegnare ai lettori la voce di ogni

testimone significativo. Purché, come è regola della casa, abbia un nome e un

cognome.

non mi discpiace tutto sommato l'articolo

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SÒLA PROFONDA

Le accuse degli anonimi globali

art.non firmato (il Fatto Quotidiano 24-12-2011)

In un contesto, per così dire, da terno al Lotto,

l’ennesimo scandalo del Calcioscommesse spinge alla

puntata folle. Rosso o nero, purché sthendalianamente

orientati a giocarsi sempre il nom de plume o meglio

l’anonimato. Così Repubblica e Corriere dello Sport

gareggiano come le Giuliette della Polizia di un tempo

(Sòla 1 a Sòla 2, rispondete, passo) e si rincorrono.

Situazionista, Repubblica si è attaccata al teste Alfa,

“fonte confidenziale” della Procura di Bologna. Il

superteste “prospetta il coinvolgimento di giocatori,

società e arbitri, anche di A” senza fornire però un solo

nome. Meglio Il Corsport. Due pagine titolate “Calciopoli

Choc” (La Stampa si accontenta di un solo articolo) in cui,

sempre a condizione di non fornire generalità, il

processo napoletano viene smontato e raso al suolo.

L’autore dello scoop celia: “succede anche nei film che

fanno botteghino”. Nessuno dubita. Avanti il prossimo.

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5193 messaggi

" ......Per quanto riguarda la Ģazzetta dello Sport, solo giornalismo..... "

Roba da ridere.

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 24-12-2011)

Calciopoli, nuove indagini

Sono in arrivo tre esposti

Calciopoli: veleni, sospetti, rivelazioni, esposti, pentiti, eccetera. Non si

finisce mai. Dopo il tavolo della pace, il presidente del Coni, Giovanni

Petrucci, non si arrende di sicuro e chissà che nel 2012 non ritenti

l'impresa. Ma intanto ecco che presto si apriranno nuovi fronti giudiziari. Il

patron della Fiorentina, Diego Della Valle, ha intenzione di rivolgersi alla

Procura della Repubblica di Roma contro l'ex commissario Figc, Guido Rossi, e

gli investigatori, guidati dal t. col. Attilio Auricchio. Della Valle vuole

sapere che "è successo" in quegli anni. E non è il solo. Ad uno scenario che

già presentava non poche ombre, ecco che si aggiungono le "rivelazioni" di un

ex carabiniere che aveva fatto parte dello staff investigativo di Auricchio.

Accuse pesantissime alle indagini, un cono d'ombra su una vicenda ancora viva.

Bisogna che adesso la magistratura chiarisca: si tratta di un millantatore o è

vero quello che sostiene?

Non solo Della Valle vuole saperlo. Intanto anche due ex arbitri vanno

all'attacco. Paolo Dondarini ha già presentato un esposto alla Procura della

Repubblica di Roma "con il quale-spiega il suo legale Gabriele Bordoni- ha

posto formalmente la questione in ordine alla genesi delle scelte

investigative che hanno condotto a 'brogliacciare', cioè trascrivere ed

utilizzare soltanto una parte delle intercettazioni effettuate nel contesto

delle indagini e non altre, pure presenti agli atti ed oggettivamente di

decisiva rilevanza probatoria''. Dondarini era stato condannato a Napoli nel

processo con rito abbreviato. Stessa situazione per l'ex arbitro genovese

Tiziano Pieri che presenterà un esposto il 28 dicembre. Luciano Moggi invece

aspetterà febbraio quando usciranno le motivazioni delle condanne in primo

grado con processo con rito ordinario.

Osservatorio del Viminale: Roberto Sgalla è il nuovo presidente

Roberto Sgalla è il nuovo presidente dell'Osservatorio Nazionale sulle

Manifestazioni Sportive. La nomina è avvenuta con decreto del Ministro

dell'Interno. Sgalla, promosso dirigente generale della Pubblica Sicurezza con

delibera del Consiglio dei Ministri del 13 dicembre scorso, lascia il servizio

di Polizia stradale che ha diretto per oltre tre anni. Il prossimo 11 gennaio,

Sgalla presiederà la prima riunione dell'Osservatorio.

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SÒLA PROFONDA

Le accuse degli anonimi globali

art.non firmato (il Fatto Quotidiano 24-12-2011)

In un contesto, per così dire, da terno al Lotto,

l’ennesimo scandalo del Calcioscommesse spinge alla

puntata folle. Rosso o nero, purché sthendalianamente

orientati a giocarsi sempre il nom de plume o meglio

l’anonimato. Così Repubblica e Corriere dello Sport

gareggiano come le Giuliette della Polizia di un tempo

(SÒla 1 a SÒla 2, rispondete, passo) e si rincorrono.

Situazionista, Repubblica si è attaccata al teste Alfa,

“fonte confidenziale” della Procura di Bologna. Il

superteste “prospetta il coinvolgimento di giocatori,

società e arbitri, anche di A” senza fornire perÒ un solo

nome. Meglio Il Corsport. Due pagine titolate “Calciopoli

Choc” (La Stampa si accontenta di un solo articolo) in cui,

sempre a condizione di non fornire generalità, il

processo napoletano viene smontato e raso al suolo.

L’autore dello scoop celia: “succede anche nei film che

fanno botteghino”. Nessuno dubita. Avanti il prossimo.

ghost, dimmi che è scritto proprio cosi' nell'articolo originale mh

Modificato da Tokio96

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ghost, dimmi che è scritto proprio cosi' nell'articolo originale mh

Confermo

SÒLA%20PROFONDA.jpg

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Lo scandalo calcio

di VITTORIO ZUCCONI dal blog "Tempo reale" (Repubblica.it 22-12-2011)

bwin_rm_milan-300x225.jpg

Ecco un altro “scandalo del calcio”, questa volta in salsa scommesse e partite

manipolate su scala globale, tra la sorpresa dei polli, i pianti dei tifosi

che “no, lui no, è il nostro capitano e la nostra bandiera, giù le mani” e

degli ipocriti, come se oggi far girare i soldi fra Singapore, Napoli, Tahiti,

Bangkok, la Bahamas o dove vi pare fosse più complicato di un paio di click e

i soldi girassero a mano e in contanti nei sacchetti del supermercato. Sai che

novità. Dopo le farmacie, le sim, le telefonatine ad arbitri e disegnatori

giusto per buona educazione, i documenti di identità farlocchi, le truffe di

bilancio con i giocatori valutati cifre fasulle per far quadrare i bilanci

colabrodo e gli scambi del cane da un miliardo ceduto per due gatti da mezzo

miliardo, arriva Gubbio contro Cesena in Coppa Italia o Boschetto di Sopra

contro Sorgente di Sotto. Visti quanti sono, e con quanta regolarità scoppiano

i casi in quella fogna della Lega, non è che per caso lo scandalo non sia “del

calcio”, ma sia proprio “il calcio” in Italia? Dovunque ci siano un gioco

d’azzardo e la possibilità di scommettere, come ormai pubblicizzano anche i

grandi club con il nome perfettamente legittimo dello sponsor sulla maglia, ci

sarà sempre qualcuno che cercherà di barare. Scommettiamo?

Zucconi, dal suo scranno, dimentica che nello scandalo calcio ci sono, e

ficcati fino alla gola, gli stessi giornali/quotidiani/settimanali che infatti

non disdegnano di pubblicare paginate (pubblicitarie e non) su un numero

variabile fino all'inverosimile di scommesse sportive, comprese naturalmente

la partite di calcio (alcune testate hanno addirittura stampato fascicoli,

libri ed opuscoli sulle scommesse).

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Confermo

SÒLA%20PROFONDA.jpg

grazie ghost. allora è proprio vero che è un ignorante che si vuole dare delle arie.

sthendalianamente :haha: :haha: :haha: :haha: :haha: :haha: :haha:

ma parla come magni, sfigato di un giornalaio

:haha: :haha:

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Calcio gp

IL GIORNALE DELLA DEMOCRAZIA JUVENTINA

14 novembre 2011

Speciale Calciopoli

29 AUTORI PER NON DIMENTICARE

29 VOLTE SCUDETTO!

___

(01) Meritiamo la verità

di CLAUDIO ZULIANI

Claudio Zuliani è il volto, la voce e il cuore della Juve “nazionalpopolare”.

Il più amato perché il più vicino al modo di essere quotidiano di ognuno di

noi bianconeri. Il più naturale, ovvero il più genuino. E proprio così,

semplice e diretto come soltanto lui sa essere, il telecronista-opinionista

analizza con noi e per noi il momento Juve. E, soprattutto, il momento

Farsopoli: a tal proposito ci sono il vissuto personale del cronista e le

domande (neppure troppo retoriche) del caso…

Claudio, grazie. Partiamo con un pensiero generale circa questo inizio

di campionato della Juventus… dove può veramente arrivare questa

squadra?

“La Juve è partita con la quarta inserita, grazie al faticoso lavoro estivo

imposto da Conte e al vantaggio di poter preparare in settimana le partite. Ci

sono situazioni di gioco in divenire che però già indicano la via di una

squadra ritrovata in personalità e idee. Dopo un avvio troppo offensivo,

l’allenatore ha aggiustato il tiro trovando l’equilibrio ideale con Chiellini

a sinistra, i tre centrocampisti e la punta fissa coadiuvata da Vucinic e Pepe

esterni. Dove possa arrivare non lo so: sicuramente tra le prime tre se tutto

funziona per il verso giusto e non subentrano contrattempi”.

Senti, ma cosa manca a Vucinic per diventare un top-player?

“Mirko è un attaccante moderno che possiede tecnica, estro e fisico. Non è

mai stato un grande realizzatore a parte la storica stagione di Lecce e in

questo, se vuole fare la punta pura, deve migliorare. Ha bisogno di fiducia e

continuità. Per diventare un top deve concentrarsi per tutti i 90 minuti e non

sparire dal campo per lunghi tratti della partita”.

Confessa: cos’hai pensato (e non detto) quando Rizzoli non concedeva

il rigore su Marchisio in Inter-Juventus?

“Che siamo diversi dagli altri e non ci catapultiamo in campo con tutta la

panchina a protestare”.

Una tua opinione sulla situazione Quagliarella: aspettarlo, darlo

fuori… E una tua sensazione a livello emotivo: come evolverà questa

situazione?

“Fabio è reduce dal primo grave infortunio della carriera ed è umano che

nella testa passino molti pensieri negativi quando vedi avvicinarsi

l’avversario. Lo vedo ancora titubante in alcune fasi dell’allenamento, quasi

alla ricerca del numero per dimostrare a se stesso di esserci ancora. Io

porterei pazienza, uno come Quagliarella nel gioco di questa Juve ci starebbe

a meraviglia”.

Discorso a parte. Gradiremmo un tuo monologo post-sentenza di Napoli.

“Una mattina del 2006 mi son svegliato e ho sfogliato i giornali. Sono

sobbalzato dalla sedia perché erano pieni di intercettazioni che riguardavano

Luciano Moggi. Non ci credo, mi son detto. Poi con calma, analizzando le cose

con il passare dei giorni, ho iniziato ad approfondire e a capire. Perché ci

fanno i libri e li vendono? Perché i titoli sono di colpevolezza ancor prima

che inizi un processo? Passata la fase della digestione mi sono trovato a

seguire la Juventus sui campi della serie B. Gli allenatori avversari non

preparavano la partita, ma la conferenza stampa in cui davano la gara per

persa, i giocatori cercavano Del Piero per avere la maglia, le televisioni

creavano appuntamenti dedicati al campionato cadetto, gli stadi erano

strapieni, a Crotone fingevano visite ospedaliere per vedere i bianconeri

dalla terrazza della clinica, a Frosinone si appostavano sui balconi, a

Treviso girava allo stadio una pornostar per farsi pubblicità, a Rimini non

riuscivano a far sedere tutti i giornalisti al seguito. La passione per la

Juve era travolgente e degna di studio approfondito e allora sotto con la

lettura delle carte per cercare la verità che questi tifosi meritano. Più

leggevo le telefonate a mente fredda e più mi domandavo: ma dove sta la

Cupola? Al processo di Napoli (quello vero) i testimoni chiamati dall’accusa

hanno smontato se stessi, i teoremi sulle ammonizioni mirate sono stati

sbugiardati dalla visione dei tabellini, gli eventuali sodali stanno

scomparendo via via con le assoluzioni, un Tribunale della Repubblica Italiana

ha archiviato il fatto Paparesta perché “non sussiste”, un altro ha dichiarato

i sorteggi regolari. Nonostante tutto ciò è arrivata la condanna in primo

grado che pare nemmeno aver considerato le sim straniere. La Juventus è stata

assolta… Non ci capisco più niente o, forse, ho capito anche troppo e me lo

tengo per me: non rimane che attendere l’appello con fiducia!”.

___

(02) La regolarità del processo secondo Lepore

di NICOL POZZI

Per chi non lo sapesse, Giandomenico Lepore è il procuratore capo di Napoli.

Non un signor nessuno, quindi, quanto a “peso” nelle cose della giustizia del

capoluogo campano. Un professionista sicuramente in grado di svolgere al

meglio il proprio delicato incarico, sicuramente, ma che nell’immediato post

sentenza si è lasciato andare ad una dichiarazione, sulla scia delle tante

interviste ai protagonisti della Pubblica Accusa (Capuano, Auricchio, Narducci),

che lascia perplessi e basiti.

Di più. Lascia il tarlo nella mente di chi prova a interpretare le parole di

Lepore. Le sue parole: “mai come questa volta non è stata una sentenza già

scritta: tra noi ed i collegi ci sono state delle incomprensioni, tant’è vero

che siamo stati costretti a due istanze di ricusazione per ristabilire la

regolarità del processo”.

Ci faccia capire, Lepore: dove era minata la regolarità del processo? Ed in

che modo essa è stata ristabilita, dal momento che le due istanze sono cadute

nel vuoto (addirittura lo stesso procuratore generale di corte d’appello

chiese che l’istanza non venisse accolta) ?

Il politically correct non fa per noi, quindi condividiamo con i nostri

lettori il tarlo del dubbio: l’istanza di ricusazione, fondata su un

procedimento disciplinare a carico del giudice Teresa Casoria, mise in luce ed

acuì una frattura all’interno del collegio giudicante, in cui emerse

chiaramente la distonia tra il presidente del collegio – la Casoria, appunto –

e le due giudici a latere – Gualtieri e Pandolfi. Eppure, secondo la procura

di Napoli ( l’istanza fu proposta da Narducci ma firmata da Lepore ) a dover

essere ricusata era solo il presidente del collegio giudicante: in sintesi,

l‘irregolarità era il giudice Casoria, e non l’intero terzetto.

Se questo abbia comportato degli strascichi in camera di consiglio, non è

dato saperlo. L’imputato Scardina, poi assolto, ha riferito di agitazione e

alterchi provenienti dalle sacre mura in cui i giudici formavano il proprio

convincimento, proprio al termine della camera di consiglio. Il che farebbe

presumere che la decisione sia stata adottata a maggioranza, ma senza

unanimità. Ciò che dovrebbe trasparire anche dalla lettura delle motivazioni.

Resta intatto, in ogni caso, il dubbio relativo alle dichiarazioni di Lepore,

che forse sarà così cortese da chiarire la portata delle sue parole. Dov’era e

chi era l’irregolarità del processo? E soprattutto: come è stata ristabilita

questa regolarità?

___

(03) La difesa di Moggi deve porsi qualche domanda

di GIANCARLO PADOVAN

Siccome di Calciopoli e del processo di Napoli non si può non parlare,

comincio con il fare tre affermazioni ipotetiche da cui, secondo me, non si

può prescindere, ma casomai discendere.

Primo: Moggi è colpevole. Secondo: la difesa di Moggi ha sbagliato strategia.

Terzo: la sentenza è di tipo politico. Delle tre solo una teoria può stare in

piedi, essendo evidentemente confliggenti. Se l’imputato è colpevole non c’è

dubbio che la sentenza sia dura, ma giusta. Se, invece, l’imputato è innocente

non c’è dubbio che la difesa abbia fatto male il lavoro della difesa o, come

minimo, abbia sottovalutato alcuni rilievi sopravvalutandone altri. Se, invece,

l’esito fosse di tipo politico non ci sarebbe né difesa, né argomenti.

Io – lo dico subito – non credo alle sentenze preconfezionate, né a quelle

ideologiche. Meno che mai penso che sia questo il caso. Siccome, poi, sono

convinto che Moggi non sia stato il protagonista di nessuna organizzazione

criminale, non resta che convergere sulle responsabilità del collegio

difensivo. L’impianto accusatorio ha retto, dunque gli avvocati difensori non

sono riusciti né ad abbatterlo, né a scalfirlo. Strano perché il materiale

c’era. Innanzitutto non era giusto puntare sul “così fan tutti”, dunque sul

fatto che non esisteva un sistema-Moggi ma un sistema-condiviso. Casomai

bisognava dimostrare (ripeto: dimostrare) che quanto fatto da Moggi non

rappresentava in alcun modo una fattispecie criminosa. Non è stato fatto, e

dovrà esserlo, nel processo d’appello. Che, però, arriverà fra un paio d’anni.

Troppi per non pensare che la gente si stufi.

In ogni caso è stata buttata una grandissima occasione: quella di smentire la

giustizia sportiva e, soprattutto, di riaprire quel processo. Restano, e

resteranno per sempre, i dubbi che hanno portato a queste conclusioni. Prendo

a prestito una parte dell’illuminante parere di Roberto Beccantini su Il Fatto

Quotidiano di giovedì 10 novembre a proposito di una sfilza di “misteri”:

l’esclusione, scandalosa, di Franco Carraro, all’epoca dei fatti gestore

distratto, molto distratto, di tutto il circo; la celeberrima uscita di

Giuseppe Narducci sulle telefonate di Massimo Moratti e Giacinto Facchetti

(“piaccia o non piaccia non ce ne sono”); le bobine e i baffi trascurati o

scartati dal tenente colonnello Auricchio; lo spionaggio illegale di Telecom;

l’atto d’accusa (postumo) del superprocuratore Palazzi contro l’Inter, il cui

percorso netto a livello disciplinare non può non sollevare qualche sorriso,

dal momento che, senza prescrizione, dentro al calderone (sportivo, almeno) ci

sarebbe finita anche lei: altro che scudetto a tavolino”. Il pezzo di

Beccantini – oltre a stabilire che solo l’onestà intellettuale di certi

giornalisti non si prescrive, altro che l’etica di abetiana memoria – spiega

anche che testate come Il Fatto, con cui anch’io collaboro, sono tutt’altro

che insensibili a posizioni difformi da quelle dominanti.

In questo carosello delle contraddizioni si inserisce, a buon diritto, la

posizione della società Juventus che non solo reclama l’innocenza per non

essere stata condannata ai risarcimenti, ma riproduce, per la seconda volta in

cinque anni, lo strappo con la dirigenza precedente. Ma se, all’indomani dello

scandalo, fu John Elkann, con la fastidiosa arroganza del padroncino acido, a

prendere le distanze da Moggi e Giraudo, questa volta è stato Andrea Agnelli,

il figlio di Umberto, a rivendicare l’estraneità della Juve dall’attività del

suo management. Atteggiamento per nulla giustificabile. Sia perché per nulla

credibile. Sia perché il principio della responsabilità oggettiva non potrebbe

essere meglio rappresentato da un amministratore delegato (Giraudo) e da un

direttore generale (Moggi). Non c’è fine che giustifichi i mezzi.

Se Agnelli pensa di riavere i due scudetti fingendo di non conoscere chi

guidava la società, non solo si sbaglia, ma rischia di alienarsi l’empatia e

il sostegno sia dei moggiani, sia -per le ragioni opposte – degli

anti-moggiani.

Un’operazione di perfetto, quasi irripetibile, autolesionismo.

___

(04) Gli Sciacalli sono tornati, ma noi ci siamo ancora…

di ANTONELLO ANGELINI

Era da molto tempo che provavamo a invitare tanti giornalisti a un confronto

in radio o in tv, ma non siamo quasi mai riusciti a confrontarci con i veri

colpevolisti. Una volta il conduttore interista del TG3 aveva il telefono con

la batteria quasi finita, il giornalista della giornalaccio rosa non voleva mai

incontrarci, quell’altro di Repubblica ormai si occupava di sport differenti,

quello del Corriere dello Sport non poteva più intervenire in nessuna radio e

cosi via…

Gli ex PM rilasciavano interviste solo alla giornalaccio rosa organo amico, insomma i

grandi accusatori non si confrontavano. In questi giorni invece il procuratore

capo della Repubblica di Napoli e l’assessore (ex PM) nonché il capo di

gabinetto del sindaco di Napoli ex colonnello capo delle indagini, hanno

sostenuto che era stata montata una propaganda mediatica pazzesca per

screditare le tesi accusatorie. Allora assieme a Massimo l’altro giorno in

radio facevamo il gioco delle squadre invertite (squadre mediatiche si

intende). Allora a difendere Moggi, Bergamo e De Santis mettiamo il Corriere

dello Sport, La giornalaccio rosa, la RAI, Mediaset, LA 7 con le docufiction, Corsera,

Repubblica, Mediaset Premium e SKY che fa la santificazione di Facchetti e del

figlio più o meno tutte le settimane, 7Gold e vari altri. Invece a difendere

le tesi della Procura e quindi anti-Moggiane la squadra si schiera con 2 siti

come Giulemanidallajuve e Ju29ro, Angelini & Zampini, Tuttosport, CalcioGP, il

Blog dell’Uccellino e Oliviero Beha solo in un secondo tempo, quindi Franco

Melli e Nicola De Bonis.

Ricordo che tanti anni fa il presidente dell’Ascoli, Costantino Rozzi, ogni

volta che giocava con la Juve, il Milan o l’Inter diceva: “Dividiamo gli

incassi e poi si vede chi vince lo scudetto…”. Avete capito credo. Se non

altro vuol dire che anche se eravamo piccoli, pochi, fuori dal coro e senza

mezzi, ne abbiamo fatto di casino… grazie Lepore allora, grazie Narducci e

Auricchio del complimento. Vi spiego una cosa sola che forse non avete ancora

capito: siamo riusciti a fare tanto rumore perché ci credevamo, perché abbiamo

studiato e seguito i processi e le udienze, letto documenti e informative, e

nessuna sentenza ci farà cambiare idea.

Erano i vostri che non entravano nel cuore della gente perché in quel che

scrivevano o dicevano non ci credevano manco loro. Se la facevano sotto nelle

settimane prima della sentenza perché se la giudice Casoria avesse emesso la

sentenza che voleva (io la sento così, sarò presuntuoso nel voler interpretare

il Casoria-pensiero, scusatemi), avreste perso una guerra impossibile da

perdere; sarebbe stato come se gli USA avessero perso di nuovo la Guerra in

Vietnam. Un piccolo popolo armato di tanta buona volontà contro una

superpotenza con tutti i poteri forti schierati.

Avete rischiato di perdere… noi abbiamo sperato di vincere, già questa è una

piccola rivincita. Internet contro tv e giornali, giornalisti improvvisati

contro tutti quelli della Unione Stampa Sportiva, quelli col tesserino da

professionista contro quelli al massimo pubblicisti come me o che manco hanno

mai pensato di prenderlo. Avvocati, bancari, commercialisti, medici, impiegati

si sono divertiti a sbobinare telefonate, andare in tv e radio, organizzare su

Facebook, su Skype e Twitter la controinformazione. Mi sa tanto che ci abbiamo

preso gusto e che quindi continueremo.

___

(05) La Juve non è una persona. Oggi c'è chi ha un'occasione

di LUCA MOMBLANO

Adesso, inutile nasconderselo, ricucire lo strappo con la storia sarà molto

più complicato. E´ un po´ come quando una ferita si rimargina e, a un passo

dalla guarigione, arriva la botta che fa ritornare all'ora zero il percorso

del dolore: non si fa un torto a Luciano Moggi ricordando che la Juventus,

come entità, è qualcosa che viene ancora prima di lui. A prescindere da chi

l'abbia guidata (male e, su alcuni fronti strategici, forse in malafede), da

chi l'abbia schernita e messa all'angolo. La Vecchia Signora viene prima,

anche quando dibattiamo dell'assetto societario del presente e ci

interroghiamo sullo status finanziario del futuro prossimo venturo: il destino

del club, principalmente sportivo, viene prima. Per questo, quando mi è

capitato di criticare benevolmente chi ha alimentato l'equazione Juve=Moggi

ergo Moggi=Juve l'ho fatto (nel mio piccolo) sempre con quella visuale tutta

piemontese di chi sente che sia più redditizio far la parte del disincantato.

Non è convenienza, è piuttosto convinzione. Convinzione addirittura che, per

quanto profondamente attratto e tentato da un'altra ancora più potente

espressione emotivo/matematica (Gianni Agnelli=Juve quindi Juve=Gianni Agnelli),

non esiste uomo sulla terra che sia indissolubilmente la società che ha fatto

la storia del calcio italiano più di ogni altra. Eppure, il calcio è fatto di

uomini. Coloro che vestono il bianconero oggi hanno un'occasione storica: fare

trenta. Sul trentuno nell'appello di Napoli, a questo punto, ci andrei molto

ma molto cauto.

___

(06) Brutta cosa, i processi

di ANTONIO CORSA

Il tribunale di Napoli è immenso. Avete presente un aereoporto? Mancano solo

gli aerei. Per uno strano scherzo del destino, si trova in Via Biscardi. Non

Aldo, ma Serafino. Per raggiungere la famigerata aula 216 si prende

l’ascensore, poi si attraversa un lungo tratto a piedi e infine si sale ancora,

un altro piano più in alto. C’è un corridoio, abbastanza grande. Da fuori

l’aula, affacciandosi, si possono vedere man mano gli imputati che si

avvicinano con i propri avvocati. E’ stato così pure martedì scorso. Ero lì.

Ho visto prima sfilare la Morescanti col marito, Fabiani. Un po’ più tondetta,

più mamma. Sempre bella. Discuteva con la Fazi. La Fazi è una di quelle che

quando ci pensi ti aspetti di vedere… chessò.. una strega. La Fazi! La grande

manovratrice occulta! Una che comandava il calcio italiano, che teneva a

bacchetta i designatori, e persino Moggi! Dal vivo è una donna dolce. Ad un

certo punto, prima della sentenza, è uscita per fumare. Si avvicina e con lo

sguardo fa capire che c’è tensione. Rispondo sospirando. Non ci conoscevamo,

mai visti prima. Eppure c’era tanta umanità, quella di una persona che è stata

dipinta per quello che non è. Verrà assolta. Mi ha fatto piacere. Parlava con

la Morescanti. Che poi.. parlava? Praticamente in due avranno detto più parole

di quante ne pronuncio io in un anno. Chissà che si dicevano. Non parlavano

del processo. Non lo faceva nessuno. Era un modo per non pensarci, farsi

coraggio. A Fabiani ho visto fare un sorriso, appena arrivato. Un evento, mi

dicono i sempre presenti. Bergamo era teso, come sempre. E’ uno di quelli che

ha vissuto malissimo il processo, sin dal primo momento. “Me l’aspettavo”, ha

detto appena uscito, deluso. Gli credo. C’aveva proprio la faccia di chi non

aveva fiducia alcuna. De Santis è arrivato come al solito sorridente. Saluta

sempre tutti i tifosi e i presenti, parla con loro, gentilissimo con tutti.

Non è arroganza, né lo fa per qualche ragione. E’ così. Ti vede la prima volta

e ti tratta come se ti conoscesse. Chi l’ha accusato di aver avuto un rapporto

d’amicizia per aver dato del tu non lo conosce. Con me l’ha fatto prima ancora

di aprire bocca. E’ entrato in aula, ha salutato. Poi man mano che passavano i

minuti non riusciva a restare fermo, e si è messo a passeggiare nel corridoio

col suo avvocato, Gallinelli. Niente da fare: erano tutti tesi, persino lui.

Ambrosino era fuori la porta, che commentava le dichiarazioni di Abete, da me

lette pochi istanti prima. Bertini? Non ne parliamo.. Bertini non resiste più

di 10 minuti in aula, tra una sigaretta e l’altra. Iniziasse un discorso, si

perderebbe dopo 10 secondi. Bertini fa impressione, davvero. Poveraccio. Come

Scardina, che se guarda il gabbio gli gira la testa e trema. Altro che

cupolari e manovratori! Moggi è stato l’ultimo ad arrivare, puntuale come un

orologio svizzero (per restare in tema). Aveva detto alle 19.30, e alle 19. 30

era lì, con l’avv. Prioreschi e Ugolini al seguito. Prima di entrare una

stretta di mano. Ferma, ma con un sorrisino. Teso pure lui, anche se

mascherato bene. “Come va?”. Lui a me. Come vuoi che vada, ero più consumato

di lui, dall’attesa. Appena saputo che alle 20 ci sarebbe stata la sentenza,

sono tornato a casa da lavoro, neanche ho mangiato, panino al volo in

autogrill e viaggio per Napoli, per esserci. A prescindere dal risultato, non

ho rimpianti. Sono salito sul carro dei perdenti. Che è più onorevole di

quello dei vincitori.

Perdenti, già, perché con qualche minuto di ritardo la Casoria, accompagnata

dalle due a latere, ha letto il dispositivo. Ero in piedi su una sedia, in

fondo. In diretta radio. Capuano era sorridente già da 10 minuti. E’ una

sfilza di “colpevole”. Uno dietro l’altro. La Casoria legge ad una velocità

impressionante. Non si capisce niente. “A, B, C, E, F, G!”. L’alfabeto. Mi

scappa un “è una strage!”. La A viene ripetuta otto volte: sta per

associazione a delinquere. A metà lettura esco dall’aula. Chiedo conferme, ai

presenti, fingendo di non aver capito. Come quando ti dai un pizzicotto. “Ma

gli hanno dato pure l’associazione?”. “Tutto”. Nessuna delle tre ha mai

guardato gli imputati. Mai. Una leggeva, le altre due guardavano una il

dispositivo, l’altra pareva stesse pregando, con lo sguardo verso il basso. Ad

un tratto esce un avvocato, gridando. E’ contento, e lo lascia a vedere. Era

Vitiello. Di fronte, due donne che piangono (per rispetto non dico chi). Un

avvocato (idem) sconsolato, seduto, che parla da solo: “Non è possibile” (e

altro). Era un ragazzo del pool di Moggi. E’ il brutto dei processi penali,

questo. Già, perché forse l’avevamo un po’ dimenticato: era un processo

penale. Sono brutti. Esperienze forti. C’è sempre uno che esulta e uno che

piange. Uno vince, l’altro perde. Uno brinda, l’altro non mangia.

Per la prima volta, Calciopoli, non è più un processo di calcio (al calcio

non lo è mai stato). Per la prima volta, si è stati giudicati “criminali”.

Come quelli dell’aula di fianco, dove l’ultima volta c’era un processo per

omicidio. O l’altra ancora, dove c’era un processo di Camorra. Forse, solo

allora, gli imputati si sono davvero resi conto che non è più questione di

fuorigioco, di ammonizione e quant’altro. Non se l’aspettava nessuno. “Massimo

due-tre condanne per frode, per non farci chiedere un sacco di soldi”, sospira

un imputato (assolto). Lo schiaffo è di quelli che fa male. Alcuni sono

portati fuori di peso. Moggi scappa subito dalla porta sul retro, non vuole

saperne, non parla con nessuno, dice solo “Non ho parole”. Effettivamente

resti senza. Vedere De Santis, fuori dal tribunale, che chiede a Gallinelli

come sia possibile che gli abbiano riconosciuto delle frodi, e tolto quella

dove avrebbe favorito la Juventus… Ma gli hanno comunque lasciato

l’associazione. Prioreschi fa la conta delle frodi concluse con un’assoluzione,

fa il professionista fino alla fine. Lui, il leone, è il più mortificato e

sconsolato. E’ andata male, malissimo. “Pure il sorteggio truccato?”. “Ma che

hanno dato Udinese-Brescia?”. “Manco le hanno lette, le difese!”. Questa frase,

in particolare, mi ha colpito più di tutte. Sono tra quelli che hanno provato

a vederci più chiaro, con analisi, controanalisi, telefonate, incroci.

La sensazione, alla fine, è di essere rimasti al 2006. Ancora una volta. La

rabbia diventa rassegnazione. E’ come aver giocato a poker, e aver perso a

scopa. Brutta cosa, i processi penali. Specie in Italia.

___

(07) Chi pesta i piedi ai burattinai?

di MARIO SIRONI

Stupore, amarezza, rabbia, rassegnazione, realismo, consapevolezza. Sono stati

questi gli stati d’animo di molti, se non tutti, i tifosi juventini non appena

conosciuta la sentenza di primo grado del processo penale di Calciopoli

svoltosi a Napoli. Una parte di noi sperava di ottenere la giusta assoluzione,

l’altra metà del nostro pensiero sapeva che scagionare Luciano Moggi avrebbe

aperto la voragine delle richieste risarcimento danni alla Figc, ossia al Coni,

ossia alle banche che lo appoggiano e ai poteri industriali che poi sappiamo

essere i veri artefici della pagliacciata di Calciopoli.

A mente fredda posso dunque dire: me l’aspettavo. Davvero si poteva credere

che i pavidi giudici di Napoli si sarebbero messi di traverso schiacciando i

piedi ai burattinai? Eppure, dopo l’iniziale scoramento, ecco apparire nel

dispositivo di sentenza il marchio di prosecuzione del processo farsa svoltosi

in ambito sportivo nel 2006: la Juventus, in quanto società, viene dichiarata

sostanzialmente estranea ai fatti, con rigetto delle richieste di risarcimento

a suo carico.

La responsabilità per fatto altrui (c. d. extracontrattuale) viene esclusa

replicando ancora una volta la contraddizione assoluta di questa vicenda.

Moggi ha tramato nell’ombra di una fantomatica associazione a delinquere,

grazie alla quale non si è arricchito, non ha arricchito chicchessia, e non ha

favorito la squadra che dirigeva. Come nel 2006, una sentenza di condanna

assolutoria, un non- sense.

Una acrobazia giuridica, l’ennesima, che dà un colpo al cerchio e uno alla

botte. Moggi nuovamente in pasto al popolino che si abbevera alle sciocchezze

propinate dal giornale rosa; la Juve non coinvolta, che può dunque proseguire

nella sua battaglia (a scoppio ritardato, a dire il vero) per la restituzione

degli scudetti scippati o almeno per la cancellazione di quello di cartone

assegnato ai formidabili onesti della squadra di Milano, risparmiando al

contempo pesanti costi paventati dalle richieste di risarcimento avanzate nel

processo penale da alcuni altri club.

La società è stata infatti dichiarata non punibile ai sensi dell’art. 2049

del Codice Civile. Di che parla questo articolo? Regola la responsabilità del

datore di lavoro, per i danni arrecati dai propri dipendenti, connessa al

rischio assunto con l’inserimento dei lavoratori nell’organizzazione

aziendale. Un articolo tra l’altro molto severo, in quanto afferma la

responsabilità del “padrone o committente” a prescindere dal fatto di aver

adeguatamente scelto o sorvegliato i sottoposti; basta infatti il semplice

rapporto di subordinazione per far scattare la responsabilità. Ebbene,

nonostante ciò, la Juve viene assolta.

E dunque la spiegazione che emerge da Napoli è : ”Moggi ha creato una rete

illegale ai fini di frodi sportive mai realizzate”. Ci state dicendo che non

ci sono partite irregolari, che non ci sono illeciti, l’ennesimo paradosso che

ora divide le strade di Moggi e della Società per sempre, sacrificando forse

il Lucianone nazionale sull’altare degli scudetti da recuperare a tutti i

costi.

Uno smarcamento che a tanti forse non ha fatto piacere, ma che forse è

l’unica strada rimasta percorribile pur ricordando che il processo ora entra

nella fase di secondo grado di giudizio, l’appello, dove tutto potrebbe essere

ridiscusso. Già cinque anni fa la società bianconera sottolineò nel suo

ricorso al Tar poi abortito, la non rappresentanza legale di Moggi e la

impossibilità dunque di poter applicare la responsabilità diretta anziché

almeno quella oggettiva (che avrebbe consentito di evitare la retrocessione)

come invece incredibilmente stabilito allora per Diego Della Valle, presidente

onorario e primo azionista della Fiorentina, eppure definito dalle sentenza

sportive di Ruperto e Sandulli soggetto non rappresentante la società viola.

Unico dubbio? La prossima sentenza di appello di Giraudo, che potrebbe ancora

mescolare le carte, visto il suo ruolo di ex amministratore delegato. Che

dire? Che la vicenda di Calciopoli è stata “un atto di violenza, nobilitato da

un rito formale (i processi, nda) che potesse agli occhi dei posteri

mascherare prima e poi sancire il consenso”. Sapete chi ha scritto queste

parole in un libro dedicato alla fondazione di Roma, relativamente al famoso

episodio del ratto delle Sabine? Guido Rossi. Non serve dire altro.

___

(08) Sogno che arrivi un Poborsky anche nei tribunali

di GIUSEPPE ANDRIANI

I 29 scudetti non sono tutti uguali. Sono 29, sono tutti splendidi, tutti

pieni di emozioni, sono tutti vinti sul campo. Tutti. Però nella memoria di

chi li ha vissuti o ne ha sentito parlare ci sono quei campionati rimasti

storia nella storia, quelli davanti ai quali il ricordo è talmente particolare,

pieno, vivo, da farti esultare e godere anche se gli anni passano e le

Juventus cambiano. Così come mutano i presidenti, i dirigenti.

Tra quest’ultimi è recente la condanna a Luciano Moggi nel processo di

Napoli. Proprio quel processo, che ha messo in dubbio nei ricordi sfocati,

degli altri, la legittimità dei nostri 29 titoli. Nessun dubbio, è il campo

che parla, che chiarisce. L’ex direttore della Juventus paragonò questo

processo, o meglio il percorso verso la verità su quanto accaduto nel calcio

negli anni tanto discussi, alla partita più importante, e disse qualche anno

fa che era tutta da giocare. La partita è iniziata, ma continuando la metafora

forse, data l’importanza della causa, si può dire che sia un intero

campionato. Ancora il più importante. Siamo la Juve, è Moggi che è rimasto a

difendere a spada tratta quella Juve, quella dei 7 scudetti in 14 anni, quella

vincente. Antipatica, per gli altri. Quella vera per intenderci, quella con

l’Avvocato e il Dottore.

Non quella di Blanc, Secco, no. Loro sono stati un errore, un incidente di

percorso, ma qui c’entrano poco, nei 29 scudetti li vediamo solo come

portaborse. Siamo la Juve dicevo. In quei 29 campionati vinti ci siamo trovati

già in questa situazione, nelle ultime giornate, non primi. Eravamo i più

forti però, o giocavamo col cuore. Qualità queste che si possono assimilare,

in questa grande metafora, all’aver ragione nel processo. E allora, quando

vedo i 5 anni e 4 mesi di condanna a Moggi, oltre a una rabbia, a un senso di

sfiducia e di ingiustizia, ripenso a quei 29 scudetti. A quelli più belli,

quelli inaspettati soprattutto, e qui con la mente sono al processo.

Ricordo, ancora, il 5 Maggio 2002, quando l’Inter aveva festeggiato già prima

della partita, e li vedo godere per una sentenza. E mi chiedo se hanno

dimenticato la loro prescrizione. Sono interisti, mi rispondo così. E allora

penso che questo primo grado può essere come la penultima giornata di quel

campionato, con l’Inter che già festeggiava. Poco gli importava che non era

finito. Oggi come allora importa a noi. Però, con malinconia, ricordo la festa

di quel 5 Maggio, la rabbia di Conte che godeva, i gavettoni di Ferrara, Lippi

felice, e penso al campo. A quello che si sono inventati affinchè queste scene

non si ripetessero più. Poi mi immergo di nuovo nel clima da penultima

giornata, del “forza crediamoci!”.

Perché può sempre arrivare un Poborsky che rovina la festa, e che aggiunge un

tricolore alla Juve. Qui non si tratta di aggiungere,ma di restituire ciò che

da sempre è nostro. Forse ho confuso qualcosa, perché il campo ha sempre una

sua giustizia, e se sei più forte ti ritrovi con 29 scudetti. Sul campo.

___

(09) Sempre e costantemente onore e gloria alla Triade!

di ROMEO AGRESTI

Premettendo che non sono mai stato un grande esponente della materia, e che

quindi sarebbe estremamente presuntuoso discutere dei dettagli, posso

tranquillamente dire, però, che la sentenza del processo penale di Napoli è

stata - a dir poco - imbarazzante. Nel corso dei mesi, grazie al prezioso

lavoro dei legali di Moggi, abbiamo capito com'è andata realmente la storia.

La Juventus doveva essere uccisa perché era la più forte, la Juventus doveva

essere uccisa perché dava troppo fastidio, la Juventus doveva essere uccisa

perché avrebbe continuato a vincere per chissà quanto tempo. Quando il giudice

Teresa Casoria ha emesso la sentenza, ho subito pensato che viviamo in un

Paese dove il sistema giudiziario non funziona minimamente. E questo discorso

lo faccio a prescindere dal tema Farsopoli. E´ stato ampiamente dimostrato che

c'erano persone che facevano cose peggiori di Luciano Moggi; eppure tutto ciò

non è stato sufficiente a fare realmente giustizia. Voglio ringraziare, in

fine, il Dottore. Quando dico che la mia adolescenza è stata felice anche

grazie a Moggi e alle sue scelte sportive non scherzo. Con la sua immensa

conoscenza calcistica è riuscito a regalare tante gioie a tutto il mondo

juventino e, al contempo, tanti rosicamenti all'universo anti-bianconero.

Ricordiamoci sempre che abbiamo assistito al primo grado di giudizio. Chiaro,

non si può essere fiduciosi per il prosieguo di questa battaglia visto quello

che è accaduto a Napoli. Ma ogni tanto i miracoli si avverano. . .

___

(10) I have a dream. Ho un sogno…

di BENEDETTO CROCE

Sono felice di unirmi a voi in questa che passerà alla storia come la più

grande battaglia per la libertà nella storia della Juventus. Cinque anni fa un

grande incubo, dalla cui ombra ancora oggi ci dobbiamo svegliare, è arrivato a

turbare le nostre vite. Vi era stato fino ad allora un principio fondamentale,

ed era che i campionati si vincono sul campo. Da allora non fu cosi. Cento

anni di storia bruciati in 15 giorni di follia e di ingiustizia. Una grande

dirigenza, la più grande della storia del calcio. Quelli che tutti chiamavano

con un pizzico di invidia e con molta riverenza “La Triade” veniva cancellata

dalla storia con ignominia e disprezzo. Bettega, Giraudo e Luciano Moggi il

direttore generale, forse il più bravo di tutti e tre. Colui che è diventato

il capro espiatorio di tutto questo male.

Per cinque anni noi Juventini abbiamo difeso queste persone, condannate

soltanto per il fatto di essere i migliori di tutti. Sono stati cinque anni di

lotta, di discriminazione televisiva, cinque anni in cui i giornali ci hanno

voltato le spalle dando solo le notizie che ritenevano di dare. Cinque anni

dopo, gli Juventini vivono ancora in un’isola solitaria. Tutto intorno a loro

un vasto oceano di bugie. Per questo oggi parlo, per rappresentare la nostra

indignazione. Quello che è uscito dai tribunali sportivi e civili non è

giustizia. La legge non è uguale per tutti.

E’ovvio, che chi doveva giudicare è venuto meno ai suoi doveri. Guido Rossi

che prese uno scudetto vinto con 91 punti teste di caz. (cit. Mughini) e lo

tolse per darlo alla sua squadra, arrivata 15 punti indietro. Il procuratore

Palazzi che per la Juve decise in 15 giorni e per gli altri ci mise 5 anni. La

federazione, che prima ha radiato Moggi e poi si è autodefinita non competente

a restituire lo scudetto spudoratamente sottratto alla Juve. Il tribunale di

Napoli quando ha omesso tutte le testimonianze a favore della difesa basando

un giudizio solo su 40 telefonate. Ora questo non è il momento in cui ci si

possa permettere che le cose si raffreddino o ci si abbandoni alla

rassegnazione. Questo è il momento di continuare le nostre battaglie.

Il 2011 non è una fine ma un inizio. E coloro che sperano che gli Juventini

abbiano bisogno di sfogare un poco le loro tensioni e poi saranno appagati,

avranno un rude risveglio. Voi che pensate che tutto passerà come se niente

fosse successo, vi sbagliate. Non ci sarà nel Campionato Italiano di calcio né

serenità né tranquillità fino a quando agli Juventini non sarà restituito

quello che gli è stato ingiustamente tolto.

Ma c’è qualcosa che debbo dire alla mia gente che si trova qui sulla tiepida

soglia che conduce al palazzo della giustizia. In questo nostro procedere

verso la giusta meta non dobbiamo macchiarci di azioni ingiuste. Cerchiamo di

non soddisfare la nostra sete di vendetta bevendo alla coppa dell’odio e del

risentimento. Dovremo per sempre condurre la nostra lotta al piano alto della

dignità e della disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta

creativa degeneri in violenza fisica. Dovremo continuamente elevarci alle

maestose vette di chi risponde all’ingiustizia con la forza dell’anima. E

mentre avanziamo, dovremo impegnarci a marciare per sempre in avanti senza

voltarci.

A chi ci chiede quando ci riterremo soddisfatti risponderemo:”Non saremo mai

soddisfatti finché non ci sarà restituito tutto il maltolto con tanto di

scuse. Non saremo mai soddisfatti finché chi ha sbagliato nei nostri confronti

non paghi la sua pena. Non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri

figli saranno privati della loro dignità da cartelli che dicono – Io il

campionato non ho rubato e in B non sono stato -. Non potremo mai accettare

questo da chi in B non ci è andato perché prescritto e di campionati ne ha

rubati cinque di fila”.

Ritornate ai vostri Forum; ritornate ai vostri Blog, ritornate tutti ai

vostri posti di combattimento, sapendo che in qualche modo questa situazione

cambierà. Non lasciamoci sprofondare nella disperazione. E perciò, amici miei,

vi dico che, anche se dovrete affrontare le asperità di oggi e di domani, io

ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente radicato nel sogno

bianconero, che un giorno questa squadra si leverà in piedi e vivrà fino in

fondo il senso delle sue convinzioni. Noi riteniamo ovvia questa verità, che

tutti i campionati sono stati vinti sul campo. E sono 29.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno sul prato verde dello Juventus

Stadium Luciano Moggi e gli eredi degli Agnelli, sapranno sedere insieme al

tavolo della conciliazione.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno perfino la FIGC, uno organo colmo

dell’arroganza e dell’ingiustizia, si trasformerà in un’oasi di libertà e

giustizia.

Io ho davanti a me un sogno, che i miei due figli piccoli godranno un giorno

di una squadra nella quale non saranno giudicati per le moviole indirizzate da

antijuventini, ma per le qualità in campo dei loro Campioni.

Io ho davanti a me un sogno, che un giorno in ogni valle , su ogni collina e

su ogni montagna si mostrerà e tutti gli uomini, quello che tutti sanno bene

già oggi e cioè che la Juve era la più forte.

Questa è la fede con la quale io mi avvio verso il mio posto. Con questa fede

saremo in grado di strappare alla montagna della disperazione una pietra di

speranza…Con questa fede saremo in grado di lavorare insieme, di lottare

insieme, di andare insieme allo stadio, di difendere insieme la libertà,

sapendo che un giorno saremo liberi. Quello sarà il giorno della nostra più

grande vittoria.

Liberamente ispirato

dal discorso di

Martin Luther King

a Washinton

il 28 Agosto 1963

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Calcio gp

IL GIORNALE DELLA DEMOCRAZIA JUVENTINA

14 novembre 2011

Speciale Calciopoli

29 AUTORI PER NON DIMENTICARE

29 VOLTE SCUDETTO!

___

(11) Chiamatela Ingiustiziopoli!

di FRANCO LEONETTI

Horribilis dies. Giorni tremendi, infausti che lasciano interdetti, storditi.

Una giustizia, o per meglio dire, una struttura connaturata di profonda

ingiustizia, che ha cancellato prove, intercettazioni e ben tre ani di

dibattimento in aula. Il processo di Napoli ha partorito una sentenza

sconcertante. Il cauto ottimismo covato da chi ha a cuore la Juve, ha lasciato

strada ad una delusione profonda in tutti gli appassionati del popolo

bianconero che si attendevano una rivincita epocale su tutto il guano fetente

rovesciato in quella maledetta estate del 2006.

Un poderoso vento di revanchismo andato perduto. Un giudizio imbarazzante,

minato da incongruenze e da lunghe ombre sospette che si estendono anche su

questo esito processuale della giustizia ordinaria, dopo la vera porcata

ordita dal tribunale sportivo in uno svolgimento affrettato, monco e

volutamente incompleto, atto a condannare la Juventus ad una pena durissima e

immorale. L’uomo della strada attendeva la sentenza di Napoli come un

risarcimento etico e politico in grado di riabilitare agli occhi del mondo la

cannibalizzazione del sistema calcistico nei confronti della ex dirigenza

bianconera. La reintegrazione idealmente bramata non è giunta, ormai lo

sappiamo tutti. L’analisi lucida di martedì 8 novembre passa per alcune

coordinate che hanno reso ancor più ignobile l’intera vicenda, fattori che

forniscono acidità al solo pensiero. Il lavoro immane di ricerche selezionate

e di minuzia certosina messa in campo dal pool difensivo di Lucianone Moggi

non ha sortito effetti ed è stato vanificato da una camera di consiglio, a dir

poco burrascosa, con il giudice Teresa Casoria messa in minoranza dalle due

giudici che già l’avevano ricusata e spinta sulla soglia dell’abbandono del

procedimento penale. Battibecchi serrati, esclamazioni ad altissimo volume,

unanimità mancata: per il verdetto finale si è materializzata la votazione a

maggioranza. E il patatrac è divenuto reale.

Viene da chiedersi tante cose, ma soprattutto come i poteri forti e occulti

che hanno affossato senza pietà gli imputati si siano adoperati a rendere le

due giudici il loro braccio armato. Questa, che era un’indiscrezione raccolta

dal sottoscritto la sera stessa del pronunciamento dell’assise, è divenuta

amara realtà confermata pubblicamente da Nicola Penta consulente di difesa di

Moggi. Ma anche il clamore e l’eccessiva sovraesposizione mediatica hanno

giocato contro un’assoluzione che aveva l’aria d’essere a portata di mano.

Oggi le sedi penali di alcuni svolgimenti processuali sono diventati pesante

oggetto di show televisivi che, alla lunga, possono inficiare o instillare

condizionamenti reali e tangibili. Fattore questo che dovrebbe far riflettere

in modo opportuno su tutte le componenti: assoluzioni e punibilità in mano ai

media? In Italia può accadere anche questo.

Mi permetto anche di esporre una mia teoria personale che si va ad

incastonare all’insieme sino ad ora enunciato. In caso di formula piena

assolutoria, la maggior parte degli imputati aveva già assicurato la richiesta

di danni alla Federazione Giuoco Calcio. E allora diciamolo in modo chiaro,

per sgombrare il campo da ogni ombra di dubbio. Una richiesta danni così

massiccia e ingente alla Fgci avrebbe creato una situazione impossibile da

sostenere e la Federazione stessa avrebbe chiuso i battenti oggi stesso

impantanando il sistema calcistico in una situazione impossibile da

sciogliere. E allora ecco servito il verdetto, bello caldo e profondamente

impuro che provoca sdegno e amarezza, a prescindere da imputati e accuse. La

giustizia dovrebbe essere super partes sempre, parafrasando lo slogan scritto

in tutte le aule di tribunale della Repubblica, invece tale non è. Ma questo

lo sapevamo già, purtroppo.

E allora basta con gli appellativi, gli sforzi di ingegno per definire una

vicenda tristissima che, se non fosse tanto seria, apparterrebbe ai faldoni

storici della Commedia Dell’Arte. Chiamiamola Ingiustiziopoli e non se ne

parli più, tanto da qualsiasi prospettiva si osservino questi lunghissimi

cinque anni, l’onta rimarrà, almeno sino all’appello.

___

(12) Vi racconto Teresina e le matte

di GIACOMO SCUTIERO

A Perugia assolvono i condannati in primo grado del caso Kercher. Si parla di

una ventenne sgozzata, non di calcio. Un mio maestro aggiorna Facebook:

l’Italia è quello strano paese dove la gente, anziché gridare vergogna agli

inquirenti che hanno sbagliato, grida vergogna alla gente che si difende. Sono

pochi quelli che si fidano dello stato italiano, di certo non sono comuni

cittadini. Lo chiamo stato e non giustizia, perché questa è ancora definita

una virtù. Insultare la Bongiorno che fa il suo lavoro e sognare di linciare

Knox e Sollecito perché liberi, sono i dettagli del pensiero di sopra. D’altra

parte quasi nessuno rivaluta Guede. Quello del rito abbreviato e condannato

per concorso in omicidio, che secondo l’appello Knox e Sollecito non hanno

commesso. Il sentimento popolare cambia mai la prima idea; è stolto, dicendolo

non offendo tutti perché offenderei mai me stesso.

Passiamo alla cosa più importante tra le cose meno importanti. A Napoli

accolgono le richieste dell’accusa, l’udienza è tolta e la difesa pure. Chi

meno e chi più, Teresina con le matte hanno deciso. Casoria le chiamava

furbette, le chiamerà come si chiama chi condanna ma non sa che motivazioni

stendere. Garantisti, giustizialisti, indifferenti e ignavi, tutti sorpresi:

hanno sottovalutato antiche pressioni. Quando il giudice fa capire ai pm che

di quel passo non può che assolvere, Narducci e Capuano la ricusano; Casoria

barcolla ma non molla, però secondo i magistrati non è più serena per

giudicare. Doppio gancio, doppia schivata. Non ero lì, non confermo né

smentisco risa o urla nella camera di consiglio. Pare abbiano fatto il tiro

alla fune, tre sessi uguali ma due contro una. Sola. Déjà-vu. Ha respinto un

memoriale, ha schernito Zeman e si è alterata con Nucini, ha annuito alle

richieste di falsa testimonianza della difesa. Trama e intrecci sono roba per

maniaci del diritto, quel che resta è il finale. La sentenza si rispetta e si

appella. Dopo aver letto le motivazioni, equivalente pre-umorale di “innocente

fino a condanna definitiva”.

Il Procuratore Capo di Napoli manifesta eroicità: una sentenza giusta

“nonostante i tentativi di pregiudicare le indagini, prima con la fuga di

notizie e poi con una serie di accuse frutto di immaginazione”. La teoria di

Lepore sulla fuga di notizie è lo stop alle indagini, per colpa della

pubblicazione preventiva e del sentimento popolare. Alzo le mani se questa è

verità: significa che l’inchiesta dura fin quando esce o fanno uscire qualcosa

per interromperla. La serie di accuse da immaginazione invece è una roba

controversa: il rapporto esclusivo con designatori e gli auguri di Natale; il

pranzo a casa e quello al ristorante nel giorno di chiusura; carabinieri

ignoranti Coppola e Bergamo e diligenti coi baffi; Fabiani complice svizzero e

assolto; magliette in dono e un regalino a domicilio; notai e giornalisti

conniventi e pilotaggi impossibili; griglia quasi azzeccata e irrefrenabile

desiderio di Collina; ventuno telefonate su tante…

Mi fermo solo per non abusare di battute. Lepore non può che smentire la

sentenza già scritta e, a proposito delle ricusazioni, parla di caso più unico

che raro. Caso unico, vero, ma ha scritto lui al Tribunale dicendo di far

abbandonare il processo a Casoria. Piuttosto che circolo vizioso, vizio in

circolo. Agli altri la sentenza, a lei le motivazioni. Poco importa se

illogiche. Il primo tempo è andato, ma sembra essergli garbato più il

pre-partita. Giraudo. L’appello reale è il suo, quello di Moggi va a sfiorare

la data Maya. Fine o nuovo inizio.

___

(13) La sincerità di Ibra suona come la vera sentenza

di ALBERTO ZANELLO

Lo sconcerto che ha suscitato la sentenza di Napoli non è ancora stato

metabolizzato dai tifosi bianconeri, soprattutto da coloro che hanno seguito

da vicino Calciopoli. Pur non potendomi definire un vero e proprio esperto del

settore, non riesco a capire come sia stato possibile far finta di tutto ciò

che è venuto fuori (intercettazioni in primis) dal 2006 in poi. E non credo di

essere l'unico a pensarlo. Quello che tuttavia mi sento di dire è che non

bisogna smettere di cercare la verità, nonostante la batosta arrivata nel

giudizio di primo grado possa indurre il contrario. Come mai direte? Ecco un

buon motivo: quasi come uno scherzo del destino sono state rivelate nella

settimana del processo di Napoli alcune anticipazioni della biografia di

Zlatan Ibrahimovic a proposito di Calciopoli. "Eravamo semplicemente i

migliori e ci dovevano affondare, ecco la verità", ha fatto sapere Zlatan.

Parole che sanno di una vera e propria sentenza. Quella vera. Quella che a

Napoli è come se ci fosse stata. Si può dire di tutto su Ibra, tranne che non

sia sincero, nel bene e nel male. Anche per questo motivo il suo libro ha già

scaturito parecchie polemiche. Proprio per questo le sue parole, a maggior

ragione da ex interista e da attuale tesserato rossonero, pesano e non poco.

Perché non sono costruite a tavolino e perché, nella loro rudezza e nel

disagio che arrecano, fanno (intra)vedere la verità che nel processo di Napoli

non è ancora emersa. Ecco perché vale ancora la pena continuare a sperare.

___

(14) C'è chi aveva capito tutto

intervista di SANDRO DALL'AGNOL a PAOLO BERGAMO (risalente ad aprile 2011)

Centocinquantacinque partite arbitrate in serie A dal 1975 al 1988, la

qualifica di "internazionale" mantenuta per quasi un decennio, designatore del

massimo campionato italiano tra il 1999 e il 2005: una carriera al top

infangata in quel fatidico e maledetto luglio, inizio di un incubo dal quale

Paolo Bergamo chissà ancora per quanto tempo non potrà risvegliarsi. Ma prima

o poi succederà, perché la verità viene sempre a galla, perché chi sa di

essere senza macchia si batte affinché ciò avvenga. Con orgoglio e

determinazione infiniti.

Allora, Bergamo, partiamo dalla strettissima attualità: è stato

posticipato al 20 maggio il pronunciamento sulla ricusazione del

giudice Casoria, con tanto di udienze da qui a quella data. . .

Dire che è una buffonata credo che sia sin troppo poco. . . Una situazione

ridicola che non fa altro che aumentare la mortificazione personale di tutti

noi.

Tra l'altro, evento più unico che raro, è la seconda volta che i PM

hanno chiesto la ricusazione: possibile che l'accusa voglia evitare

che si arrivi alla sentenza di primo grado?

Credo che sia del tutto evidente la volontà dell'accusa di arrivare alla

prescrizione.

Nel caso che si giungesse alla prescrizione, lei che cosa ha in mente

di fare: rinuncerebbe o si accontenterebbe di chiudere il procedimento

a suo carico?

Non penso minimamente a questa seconda possibilità, io ho tutta l'intenzione e

il fortissimo desiderio di essere giudicato.

Se arrivasse l'assoluzione, pensa all'eventualità di adire le vie

legali per un eventuale risarcimento?

Farò certamente tutto quello che sarà nelle mie possibilità: tanto è vero che,

con i miei legali, mi sono già mosso contro coloro i quali ritengo i veri

responsabili. E le mie istanze sono già state accolte dai tribunali di Milano

e Roma, riguardo al processo Telecom-Pirelli e alla fuga di notizie che legò

il tenente colonnello Auricchio e l'Espresso.

Facciamo qualche passo indietro: l'attuale designatore, Braschi, in

alcune intercettazioni era indicato come possibile vostro successore.

Una Calciopoli "gattopardesca", cambiare tutto per non cambiare nulla?

Ma è l'ottica di partenza a essere sbagliata: che cosa si doveva cambiare? Il

settore arbitrale era all'avanguardia e al primo posto per numero di iscritti

agli organi mondiali. Siamo stati i primi in assoluto a inserire nel nostro

staff un allenatore federale, Roberto Clagluna, per aiutare a comprendere

meglio le dinamiche e le tattiche di gioco. Per noi era fondamentale che i

direttori di gara fossero preparati anche in materia; cosa tra l'altro

ribadita da Collina in un'intervista recente che ha ulteriormente valorizzato

le iniziative che ideammo. Poi siamo entrati in una bufera voluta da altri.

A proposito di Collina: in alcune intercettazioni (in particolare con

Meani) risultava che puntasse al ruolo di designatore, che gli venne

poi puntualmente assegnato. Solo una coincidenza?

No, no, su questo non ci vedo nulla di male. Anzi, io stesso in prima persona

ero convinto che potesse essere il successore più degno e qualificato. E´ il

numero uno in Ucraina e in Europa, noi come AIA abbiamo commesso un grave

errore a lasciarlo partire; chi dice che l'ha fatto per soldi è totalmente

fuori strada: quando Collina ha capito che qualcuno gli remava contro, il

Presidente dell'associazione su tutti, ha deciso di andarsene.

Parliamo del suo rapporto con il Nucini arbitro: aveva mai pensato che

stesse organizzando la sgangherata indagine con Facchetti?

Assolutamente no, il suo comportamento è stato disonorevole. Nucini è un

disadattato nella vita quotidiana, aveva grossi problemi familiari e l'unico

lavoro continuativo che riusciva a mantenere era l'arbitraggio. Si era

dimostrato bravissimo in serie C, discreto in serie B, ma nella massima serie

non era assolutamente all'altezza.

Come lei ha sempre dichiarato, con Facchetti c'erano frequenti e

amichevoli telefonate: immaginava che proprio il presidente dell'Inter

potesse aprire un'indagine sul suo conto?

Indubbiamente è la persona che più mi ha deluso, anzi, forse più di lui è

stato Massimo Moratti, con il quale pensavo di avere un rapporto non certo

intimo, ma molto cordiale e di stima reciproca. Credevo che lui avesse capito

che i mancati successi della sua gestione derivassero da una squadra non

certamente al livello di Juventus e Milan. Non mi si venga a dire che l'Inter,

quella dei tredici pareggi nel girone d'andata del 2004/05, aveva la medesima

organizzazione di gioco delle prime...

La famosa scheda svizzera che le diede Moggi: conoscendo i legami

Inter-Telecom, aveva anche lo scopo di evitare che qualche orecchio

indiscreto scoprisse le comunicazioni che lei intratteneva con la

Juve? E per quale motivo la accettò?

In quel periodo, Moggi iniziò a intuire qualcosa in particolare perché gli

erano saltate improvvisamente alcune trattative di mercato e propose a me e

Pairetto la scheda svizzera. La utilizzai per circa una ventina di giorni poi

ci rendemmo conto che non ne valeva assolutamente la pena: io avevo già il

numero della federazione, quello dell'ufficio, quello personale ed erano tutti

più o meno noti. Non avevamo nulla da nascondere: per esempio, in quella che è

considerata la "madre di tutte le intercettazioni", quella della famigerata

"griglia", dico alla segretaria di Moggi di chiamarmi al numero di casa.

Lei rivelò di avere un costante dialogo con tutte le altre società, ma

in particolare con Capello che allora allenava la Roma: quali erano i

temi delle conversazioni?

Nel 2002 ci furono tanti errori arbitrali a svantaggio della Roma e io lo

riconobbi anche pubblicamente. Ero personalmente convinto che dipendesse molto,

se non tutto, dall'atteggiamento incontenibile e sopra le righe che manteneva

Capello in panchina: finiva per aizzare giocatori e tifosi, creando un clima

nel quale era quasi impossibile arbitrare. Così decisi di incontrarlo per

confessargli le mie impressioni: lui capì, iniziò a moderare i suoi

comportamenti e instaurammo un dialogo proficuo grazie al quale, settimana

dopo settimana, ci scambiavamo idee e opinioni. Le cose cambiarono rapidamente

in meglio.

Carraro le chiedeva di "sbagliare, ma non a favore della Juventus":

perché tutto questo terrore che gli errori potessero favorire solo la

Juve?

Me lo disse in una situazione molto particolare: si riferiva a un Roma-Juve

nell'anno del passaggio di Emerson-Capello-Zebina a Torino quindi il clima era

già bello che surriscaldato. In più Carraro era preoccupato perché si era in

prossimità delle elezioni in FIGC e in Lega e la scarsa serenità non poteva

essere d'aiuto. Per rispondere alla domanda, comunque, credo che il clima

fosse di intolleranza totale: tutto era visto come scandalo e come presunto

favore a quella che era nettamente la squadra più forte.

Le sue cene con Moggi e Giraudo sono state indicate come "prove" di un

rapporto compromettente: dal processo è poi emerso che altrettanti

incontri cordiali c'erano con molte società, compreso il Parma di

Sacchi. L'ha sorpresa che proprio Sacchi fu successivamente uno dei

suoi più grandi accusatori?

Sinceramente sì, senza dubbio la persona che più mi ha deluso: diciamo che se

la gioca al fotofinish con Facchetti e Moratti. Fu proprio Sacchi a

organizzare la cena, il cui unico scopo era conoscere Stefano Tanzi e

instaurare un rapporto collaborativo con il Parma. Era un preciso diktat della

FIGC e credo di aver fatto bene a mantenere certi rapporti con le società. Con

Sacchi avevo interminabili conversazioni telefoniche trattando di tecnica e

tattica, ma anche di applicazione del regolamento, settore in cui Arrigo è un

vero maniaco. Pensavo davvero di avere un rapporto schietto e che lui mi

apprezzasse come lo stimavo io...

La Juventus era universalmente considerata la "favorita dagli arbitri"

da tutti i media e gli organi di stampa. Un'opera di delegittimazione

sistematica che è addirittura diventata probante nelle successive

indagini: cosa pensa di quel bombardamento mediatico prima e dopo

l'esplosione dello scandalo?

Ci ho messo alcuni mesi per rendermi conto della macchinazione che era stata

messa in atto: all'inizio, quando scoppiò Farsopoli, io davvero non capii

nulla. Mi rinchiusi in silenzio, persi parte delle mie attività. Io sapevo di

essermi comportato correttamente, sapevo di non aver fatto qualche "malanno",

come diciamo noi toscani. Sono figlio di contadini, sono cresciuto con valori

umili e semplici, con la cultura del lavoro e, soprattutto, del non far mai

del male agli altri.

___

(15) Il mio Big Luciano contro Ponzio Pilato

di PRINCIPIO PAOLINO

Nel “mio” Luciano Moggi c’è tutta la fortuna di poterlo raccontare anche

grazie a un incontro personale, fugace ma intenso, breve ma eterno. Un

incontro informale e per questo ancora più fortunato, perché più vero, più

asettico. Per quel classico caffè dopo pranzo che rappresenta uno dei piaceri

della vita, figuriamoci se poi lo condividi con un personaggio di questo

spessore.

Spessore? E sì, perché lo vedi arrivare con una deambulazione che è al tempo

stesso flemmatica e decisa, quella di chi sa sempre dove andare. Che magari si

abbina in tutto e per tutto a quel modo di esprimersi paragonabile quasi a una

cantilena, a una litania, eppure passaresti la giornata ad ascoltarlo. Una

stretta di mano anch’essa flemmatica ma decisa e nel mentre qualcuno che gli

sussurra: «Questo ragazzo ha scritto un libro sulla Juventus». Da parte sua

subito un’occhiata scrutatrice, il solito ghigno inconfondibile e la

constatazione che suscita l’ilarità generale: «Sulla Juventus? Ah, brutto

affare…». Del resto la sua battaglia personale era appena cominciata. Già, il

momento è da immortalare: mi viene automatico smettere i panni di quello che

ha scritto un libro sulla Juventus per indossare quelli in cui mi sento più a

mio agio, i panni del tifoso. Gli si chiede uno scatto fotografico insieme ed

ecco che Luciano Moggi è anche disponibiltà, oltre a carisma, sicurezza e

ironia. In quella foto ha sempre il solito ghigno beffardo: in un momento in

cui la sua battaglia personale è appena cominciata, sembra voler dire che ne

vedremo delle belle. E infatti ne abbiamo viste delle belle, anche se non

supportate dalla sentenza più giusta, una sentenza giusta che però avrebbe

scatenato un terremoto e nessuno era pronto ad affrontare un simile scenario.

Del resto Moggi è esattamente come la Juventus. O lo ami più della tua

compagna oppure lo odi più di quel tuo capo incompetente e frustrato. Ed è

risaputo che la nostra Italietta si divida perfettamente in due, presentando

anche quel lato senza audacia e senza attributi. Il nostro è un paese in cui

si fa finta di non vedere fino a che fa comodo, solo che poi a un certo punto

si rende necessario rimettere le cose a posto, così si cerca il capro

espiatorio e il giustizialismo è l’unica cosa che conta. Dopo quello scatto io

e Big Luciano abbiamo appoggiato i gomiti su due tavoli diversi per goderci il

nostro caffè dopo pranzo. L’ho osservato a lungo, sorseggiando quel caffè come

se fosse una tisana bollente, e mi sono sempre chiesto se in quel momento si

stesse semplicemente godendo uno dei piaceri della vita o se stesse in qualche

modo preparando la sua battaglia personale.

Più in generale, personalmente non ho mai condannato Luciano Moggi. Nemmeno

quando l’accostamento tra le sue telefonate scovate e la nostra retrocessione

giorno dopo giorno diventava qualcosa di tangibile. Forse perché appartengo a

quella generazione che è stata per 9 lunghissimi anni a veder vincere gli

altri ma che poi ha visto arrivare quella Triade che ha riportato la Juventus

sul tetto del mondo. Forse perché ne ho apprezzato la competenza, tipo

l’acquisto a cifre irrisorie di Zidane e la sua cessione al Real Madrid per

quasi 150 miliardi delle vecchie lire, o l’arrivo last minute di Ibra, giusto

per citare alcuni esempi. Forse perché solo per cause di forza maggiore mi

sono perso una partita della Juventus e francamente la mia squadra vinceva

perché era nettamente più forte delle altre. Nettamente più forte, quindi non

era certo un rigorino dubbio o un’espulsione che ci sta e non ci sta a fare la

differenza.

Il processo di Napoli, per noi addetti ai lavori-tifosi, si è celebrato in

maniera particolare, nel senso che la fede si è mischiata con la ragione e mi

rendo conto che così è impossibile essere obiettivi. Eppure, se già prima

camminavamo a testa alta, man mano che venivano fuori altri elementi abbiamo

iniziato a camminare anche con il petto in fuori. Abbiamo avuto evidentemente

la sensazione di poterci riappropriare di qualcosa che ci appartiene, di una

verità sacrosanta. Per questo dobbiamo ringraziare anche Nicola Penta, uno che

veramente meriterebbe la cinquantunesima stella nel nuovo stadio. Dopo la Figc

che più volte ha deciso di non decidere, in sostanza anche a Napoli si è

deciso di lasciare tutto così com’è, con Lucianone fuori dal calcio per sempre

e con la Juventus che continuerà a trovare un percorso tortuoso sulla strada

che porta alla restituzione degli scudetti e a un equo risarcimento per gli

ingenti danni subiti.

Ma se è per questo anche nel 33 d.C. qualcuno se ne lavò le mani e ora che

siamo nel 5 d.C., inteso come dopo Calciopoli, la storia si ripete. Chissà se

questa similitudine che vuole essere ironica e non certo blasfema possa

mettere sul volto di Luciano Moggi quel suo solito ghigno beffardo.

___

(16) Quel tasto che non si può spegnere

di FRANCESCO CECCOTTI

“C’era una volta una squadra forte, ma forte davvero, forse troppo forte. Le

altre squadre ci provavano, spendevano, alcune compravano televisioni perché

si parlasse male della squadra troppo forte, altre dettavano ai giornali

colorati i titoli che la mettessero in cattiva luce. Niente, tutto inutile, la

squadra troppo forte era troppo forte davvero. Finché un giorno la Juventus …”

Con questa descrizione il 1 febbraio 2007 all’apertura del forum

ɣecchiaşignora.com presentavamo la sezione dove si sarebbe parlato dei fatti

accaduti mesi prima, di quel processo lampo del 2006 che aveva messo in

ginocchio la squadra più famosa d’Italia e con lei i suoi milioni di tifosi.

Ma né io né gli altri fondatori del sito ci saremmo mai immaginati oggi,

prossimi alla data del nostro quinto anno di attività sul web, di essere

ancora una volta increduli davanti ad una nuova sentenza che in pratica

ricalca le orme di quella precedente, come se nel frattempo non fossero emerse

decine di telefonate a mostrare come certi comportamenti non fossero esclusiva

di Moggi, e quella presentazione invece di essere preistoria è sempre più

attuale.

Non lo nascondo, a volte viene la voglia di premere un tasto e cancellare

quella sezione perché quello che noi volevamo era poter parlare solo di calcio

giocato, perché per noi l’avversario doveva essere solamente il protagonista

di un simpatico sfottò, perché il tifoso juventino si sarebbe dovuto dividere

al massimo tra il sostenitore e il non di un Krasic qualunque. Ma non possiamo,

poichè, per volontà altrui, questa è diventata la normalità quotidiana e ci

si trova a parlare più di quello che succede nei tribunali rispetto a quello

che succede sul campo.

Proprio in questi giorni abbiamo pubblicato sul nostro sito web un’ intervista

all’avvocato Andrea Galasso che ci ha spiegato come il suo assistito Antonio

Giraudo, in attesa dell’appello di Napoli, sia stato scagionato da uno dei

tanti processi farsa che ha colpito la Triade bianconera e i suoi singoli

componenti, tutto questo aspettando che uno di loro venga prima o poi accusato

anche della morte di Gheddafi perché con la storia della Lafico hai visto mai…

In questa normalità il sito ɣecchiaşignora.com, che rappresenta l’unione ad

oggi di 76000 tifosi bianconeri sparsi nel mondo, continuerà a far sentire la

propria voce sui media dove, fortunatamente, è sempre presente. Perché questa

normalità non sarà accettata finché non ci sarà giustizia o almeno finché non

ci diranno chiaramente che in Italia se sei juventino ti devi difendere da un

processo e non in un processo.

A quel punto forse ci convinceremo a fare un passo indietro.

___

(17) Il mio martedì nero in radio

di NICOLA DE BONIS

La settimana più lunga, la più nervosa, insomma, La Settimana. Ore 20 di un

martedì come tanti altri, ma non per me. Da circa due mesi e mezzo sono il

padrone di casa di un contenitore giornalistico che ha come suo custode

Luciano Moggi. Mi supportano dei colleghi di grande calibro ed esperienza come

Padovan, Rossi e Biasin. Ci salutiamo con Luciano nella trasmissione del

lunedì antecedente la sentenza, non ne parliamo, si tratta calcio giocato. Al

momento dei saluti e ringraziamenti di rito timidamente dico: “Direttore

grazie, a domani… Oh Direttore…In bocca al lupo! crepi Nicola, ci sentiamo

mercoledì”. Entro in trance umana e professionale, la verità potrebbe

finalmente emergere, noi juventini potremmo urlare con passione la nostra

libertà, la rabbia di anni difficili potrebbe placarsi.

La mattina seguente accendo per caso la radio della mia automobile, non amo

ascoltare calcio, sembra strano ma lo detesto. In un paio di emittenti

capitoline non si parla d’altro… è il giorno della sentenza per la vicenda

Calciopoli. Ognuno fa i suoi pronostici, spengo, non ho voglia, speriamo bene.

Arrivo alle 18, vado in onda, tutto scorre liscio, dibattiti, sensazioni,

speranze, nulla di più. Dalle 19 alle alle 20 passeggio nervosamente per la

redazione, parlo con tutti, chiamo tutti. Becco Moggi, “Direttore come va? Sto

teso Direttore. – Stai calmo andrà tutto bene”. Fumo, fumo, fumo, è un attesa

che mi scuote. Accendo Rai Sport, provo disgusto nel vedere gli ospiti

presenti. Che vergogna, non ho parole, ȼazzo questi ci fregano… Me la prendo

ad alta voce con tutti, arriva un collega, mi stuzzica… Rispondo male,

malissimo.

Entra la Casoria, l’ascolto, non provo reazioni immediate. Rimango di pietra

sulla mia sedia, non ho voglia di provare niente, sono spento. Alle 21 in

totale confusione vado in onda con “Stile Juventus”, rimango lucido ai massimi

livelli anche se ho ancora il viso rosso per lo schiaffo. Ci dormo su, non ho

voglia di farmi domande ma già sotto casa le prime battutine al veleno mi

attendono vigliacche. “Finalmente l’hanno arrestato a quel mafioso de Moggi e

tu che ancora lo difendi!”. Beh, dovevo aspettarlo mi ripeto.

Dalle radio romane si sprecano gli applausi a questa giustizia italiana tra

le più limpide al mondo. E’ il giorno dei colpevolisti che sventolano fieri la

loro bandiera. Qualcuno inizia a chiamare in causa Radio ManàManà e

l’opportunità di ospitare Moggi in un contesto nemico come quello capitolino.

Rispondo con garbo a chi si sta riempiendo la bocca e durante la diretta delle

18 ascolto con interesse l’opinione del mio editore che ha voluto fortemente

l’ex Direttore Generale della Juventus sulle sue frequenze. E’ un

Bandecchi-show che contesta la sentenza e si mostra orgoglioso di avere Moggi

nella sua radio. Sto con lui, ascolto l’opinione di Padovan, De Nicola, Biasin

e Rossi: lucidità e saggezza prevalgono anche sull’emotività.

Arrivano le 19, mi tolgo le cuffie, sono stanco ma soddisfatto ed orgoglioso

di come ho saputo guidare la macchina fino al garage. Dentro questo garage ora

lascio la mia automobile con all’interno una sentenza già scritta ma non

definitiva. Per qualche mese non metterò più piede in quel box, la mia

automobile ha bisogno di raffreddarsi. Ma presto ci tornerò e riaccenderò quel

motore, vecchio forse, ma non morto e con ancora tanta voglia di far sentire

il suo rombo, un rombo di nome giustizia.

Ah, dimenticavo… il mio box è il numero 29.

___

(18) Il giorno dei giorni in Ģazzetta…

di MASSIMO ZAMPINI

Per la terza volta negli ultimi anni, Massimo Zampini è riuscito a introdursi

nella redazione della Ģazzetta, e qui riporta come sono stati vissuti lì

dentro i giorni caldi della sentenza di Napoli. La prima volta ci aveva

raccontato come veniva preparata la campagna del 2006 (campagna “mandiamo la

Juve in B”), la seconda ci ha illustrato come la rosea ha cercato di

convincere i lettori interisti – un buon 75% del totale – ad accettare Ranieri

sulla panchina della squadra più onesta del mondo (“Moggi e la Cupola gli

hanno ostacolato la carriera, altrimenti avrebbe vinto tutto”).

Vediamo questa volta come è andata…

8 novembre, mattina

Il Direttore Monti chiama tutti a raccolta. C’è una certa tensione in

redazione, lui prende la parola: “allora ragazzi, come tutti sapete oggi c’è

un evento importantissimo, seguitelo con attenzione e domani apriremo con

quello”. Ruggiero Palombo lo interrompe preoccupato: “Direttore, scusami ma mi

sembra una strategia quantomeno rischiosa, se le cose non vanno come ci

auguriamo forse conviene parlare di altri argom…”

Il Direttore lo blocca, scocciato: “Ruggiero, ma cosa hai capito? Parlo di

Italia-Argentina della Coppa del Mondo femminile di volley, perché dovrebbe

andare male? L’Italia sta giocando benissimo,le ragazze sono in gran forma”.

Condò interviene con voce sommessa: “Scusate, ma credo che oggi ci sia un

qualcosa di più importante, per l’Italia sportiva, non dovremmo forse parlare

anche di quanto accadrà a….”. Monti lo blocca, alza la voce: “Hai ragione,

Condò, c’è Fognini al Masters di Parigi Bercy, gioca contro il croato Dodig.

Incrociamo le dita per il nostro tennista! E ora forza, tutti ai vostri posti”.

Condò ci riprova, ricordando che “oggi è una giornata importante anche per

qualcosa che accadrà fuori dai campi di gioco, non possiamo evitare di

parlarne”. Palombo prende la palla al balzo, guarda il collega soddisfatto e

con piglio deciso lo asseconda: “Paolo ha ragione, oggi potrebbe cadere il

governo Berlusconi, ne parlerà nel suo spazio apposito Giorgio Dell’Arti, lui

si occupa di politica”.

Condò, con voce sempre più flebile: “intendevo la sentenza di Nap…”. Monti

scoppia a ridere: “ahaha Paolo mi fai morire! Ma scusa, siamo un giornale

sportivo e ci mettiamo a parlare di quanto accade in un processo penale che

nulla a che vedere con il giudizio sportivo? E perché mai? Non l’abbiamo

proprio seguito, cominciamo a occuparcene oggi?”. Condò fa notare

sommessamente che però quando Manfredi Martino aveva parlato dei sorteggi il

giornale aveva titolato su calciopoli, con un epico “Ecco come truccavamo i

sorteggi”. Monti lo interrompe con aria paterna, gli ricorda qual è il compito

dei giornalisti (“condizionare, indirizzare l’opinione pubblica”) e invita

tutti a tornare ai propri posti. Forza Italvolley, forza Fognini.

8 novembre, ore 14.00

Esce l’agenzia, alle 20 ci sarà la sentenza. L’aria in redazione si fa tesa.

Monti è nervoso, invita tutti a seguire con attenzione il duro match di

Fognini tralasciando le notizie secondarie provenienti da inutili aule

giudiziarie. Radio Radio chiama il prode Palombo per il consueto collegamento

giornaliero, si apre con Calciopoli. In collegamento c’è Antonello Angelini,

in collegamento da Napoli. Ruggiero fa presente alla redazione della radio che

non vuole parlare con quel tipo, che in fondo non è nessuno, mentre lui è il

vicedirettore della Ģazzetta. Allora Antonello viene liquidato in poco tempo,

e ora ecco, tocca a Ruggiero: “ve lo ripeto per l’ultima volta, e vi prego di

non interrompermi. Franco, per piacere, voglio concludere il mio pensiero su

questo argomento, e se possibile non tornarci più: non sono un penalista, mi

occupo di sport. Le sentenze sportive per me chiudono il discorso, le novità

emerse in questi anni non cambiano niente. Semmai dimostrano che avrebbero

dovuto pagare anche altri, ma l’esito di questa sera non mi interessa affatto.

E ora vi prego di non interpellarmi ulteriormente sull’argomento, se non vi

dispiace, perché non ho alcun interesse nel discuterne. Scusami, Franco, ma

per me il discorso è chiuso”.

Basta, lasciatemi in pace, fatemi seguire lo sport, io faccio quello nella

vita. Che diamine, Fognini sta soffrendo.

8 novembre, ore 20.10

Boato in redazione. Penso subito a un ace di Fognini, invece sento urla

scomposte: “Condannati, associazione a delinquere, Narducci uno di noi!!!”

Monti esulta,c’è un abbraccio commosso tra Cecere e Palombo, vengono stappate

bottiglie di champagne. Il direttore sale su una sedia, prende la parola:

“Cari redattori, la giustizia ha trionfato!!! La sentenza penale che tanto

aspettavamo è arrivata!”. Grida, boati, si abbracciano tutti. Solo Condò prova

a capirci qualcosa: “Ma come, sono 3 anni che diciamo che non ci interessa

niente, perché esultiamo così? E poi l’Italvolley ha vinto, ma Fognini ha

perso contro il croato. Cosa abbiamo tanto da esultare?”. Le grida dei

colleghi sommergono le sue osservazioni, è il momento di preparare il giornale

del giorno successivo. Galdi chiama Narducci (gli costa poco, hanno lo “You

and me”) e Lepore, una bella intervista a tutti gli anti Moggi di questi anni.

Forse si può quasi tornare a chiamarla Moggiopoli, come ai bei tempi, come se

nulla fosse accaduto. Ma per ora accontentiamoci di un titolo a tutta pagine:

COLPEVOLI!

E fu così che Moggi tornò in prima pagina sulla Ģazzetta, dopo tanto tempo.

Che la vittoria dell’Italia di pallavolo femminile e la sconfitta di Fognini

finirono nelle brevissime. Che la coerenza e la buona fede, ancora una volta,

non trovarono posto neanche in un trafiletto invisibile.

___

(19) Vipere a latere?

di ERMENEGILDO LOFFREDO

Sostanzialmente accolte tutte le richieste dell'accusa. Questo racconta il

dispositivo della sentenza calciopoli. Potremmo dire che il collegio

giudicante così ha deciso e l'udienza è tolta. Già, il collegio giudicante,

composto da Maria Pia Gualtieri, Francesca Pandolfi e presieduto da Teresa

Casoria. Un collegio che durante il procedimento disciplinare davanti al CSM a

carico della presidente Casoria s'è rivelato tutt'altro che unito e forse

anche litigioso. Le due giudici a latere lamentavano i toni poco ortodossi e

il fare prevaricatorio della presidente. Presidente che di rimando ha

descritto le due colleghe come "furbette", in cerca di facili punteggi per la

carriera e per giunta anche poco capaci di stendere le motivazioni di una

sentenza, soprattutto se impegnativa.

In quel procedimento disciplinare davanti al CSM apprendemmo anche delle

enormi pressioni che gravitavano su Teresa Casoria e delle invidie di altri

giudici desiderosi di celebrare il processo a Moggi. "La vispa Teresa"

appariva come una persona dal carattere forte e invisa a più d'uno nel

tribunale di Napoli. Di sicuro per la sua dialettica e il proprio modo di fare

è da annoverare tra i protagonisti del processo, forse anche più di Moggi. A

tal punto protagonista che potrebbe aver suscitato le invidie delle due

colleghe del collegio.

Un presidente indesiderato anche dai pm che l'hanno ricusata per ben due

volte, la prima perché avrebbe anticipato un verdetto che Narducci e Capuano

ritenevano sfavorevole, la seconda perché a causa del procedimento

disciplinare non avrebbe avuto la serenità di giudicare nel processo. Da

notare che la ricusazione dei pm è stata proposta solo verso il presidente e

non contro l'intero terzetto delle giudici.

Questo collegio giudicante pare essersi diviso fino all'ultimo, raccontano

infatti che le urla della camera di consiglio si sentivano chiaramente a

distanza. Si vocifera anche che la decisione non sia stata unanime. Voci di

corridoio (che valgono quel che valgono) danno la presidente schierata per

l'assoluzione e le altre due giudici “convinte” della colpevolezza degli

imputati.

Non saprei dire se questa divisione sia veritiera e rispondente alla realtà

della camera di consiglio. Volendo però prendere per buono il risultato di due

giudici a una per le condanne, non posso non chiedermi chi delle tre sia la

colomba. E allora mi chiedo se una giudice ricusata più volte perché temuta

per un verdetto di assoluzione sia poi uno dei due falchi. Non posso non

chiedermi se una giudice che esprime premura per la condizione di detenzione a

cui sono assoggettati degli imputati possa infliggere in modo così

inverosimile cinque anni e quattro mesi in un processo che ritiene “meno

serio”. Mi chiedo se quel giudice che evidenzia l'auto-squalificazione dei

testi portati dall'accusa sia incline alla pena.

Mi appare allora plausibile che i falchi fossero seduti a latere in questo

collegio dei veleni, in cui due componenti si sono volute mettere di traverso

forse solo per spirito di contrapposizione al presidente. Un ultimo sfregio ad

una collega mai amata, un modo per macchiare una carriera che vanta processi

di ben altra portata. Processi più seri, tanto per capirci, come quello in cui

ha rappresentato la pubblica accusa contro Raffaele Cutolo. Magari Maria Pia e

Francesca se la sono presa molto per essere state additate come incapaci di

redigere le motivazioni di una sentenza, a differenza di chi non ha mai visto

ribaltato in appello una decisione tanto le motivazioni erano convincenti. Per

la serie: “questo è il verdetto, adesso scrivi la motivazione”, ben sapendo

che dovrà per forza di cose essere illogica e del tutto avulsa dal

dibattimento. In fondo questa passerà come la sentenza di Teresa Casoria, che

"obtorto collo" prima delle altre se ne dovrà prendere la maternità.

Se così stessero realmente le cose dovremmo solo sperare che le nostre sorti

giudiziarie non dipenderanno mai da giudici che calpestano il diritto per mere

dispute interne. Nel caso di specie mi piacerebbe sapere, visto lo svolgimento

del processo e le risultanze processuali, cosa ne pensa Alemi, il presidente

del tribunale di Napoli, dei suoi giudici. Ritiene che sia questa una sentenza

corretta e rispettosa dei fatti e del diritto?

___

(20) Juve assolta ed esultante, una vittoria di Pirro

di IVAN SCALISE

“Gli eserciti si separarono; e, da quel che si dice, Pirro rispose a uno che

gli esternava la gioia per la vittoria che “un’altra vittoria così e si

sarebbe rovinato”. Questo perché aveva perso gran parte delle forze che aveva

portato con sé, quasi tutti i suoi migliori amici e i suoi principali

comandanti; non c’erano altri che potessero essere arruolati, e i confederati

italici non collaboravano. Dall’altra parte, come una fontana che scorresse

fuori dalla città, il campo romano veniva riempito rapidamente e a completezza

di uomini freschi, per niente abbattuti dalle perdite sostenute, ma dalla loro

stessa rabbia capaci di raccogliere nuove forze, e nuova risolutezza per

continuare la guerra”. È così che Plutarco ci tramanda la famosa “vittoria di

Pirro” che tante volte nominiamo e abbiamo sentito nominare per descrivere

quelle battaglie da cui il vincitore esce peggio dello sconfitto. Battaglie

vinte inutilmente.

Quella a cui abbiamo assistito martedì 8 novembre è una classica vittoria di

Pirro. La società, grazie al lavoro svolto dai legali di Luciano Moggi,

arringhe finali comprese, è riuscita a rinviare la minaccia dei risarcimenti

mentre l’ex direttore generale e amministratore incassava una condanna dietro

l’altra. Ha esultato come un praticante il legale che di quel processo è stato

per anni poco più di uno spettatore. Per il troppo entusiamo nel riferire a

Pirro cos’era successo, ha rischiato il caldo abbraccio, fuori dall’aula, di

quei tifosi che eppure avrebbe dovuto rappresentare e rendere orgogliosi.

Proprio come duemila anni fa, gli amici e i comandanti erano perduti, gli

eserciti divisi. Mentre, dall’altra parte, i comandanti nemici ritrovavano la

forza delle tesi iniziali e guadagnavano ampio spazio su televisioni e

giornali. Si è detto e si dirà ancora che la società è stata necessariamente

cinica. Che cinico è stato lo spettatore nella sua esultanza. Che cinico è il

comunicato con cui Moggi viene lasciato solo alla sua condanna. Come se il

cinismo possa essere confuso con l’idiozia. La storia ha visto naufragare

sodalizi ben più forti e duraturi di quello in essere tra la Juventus e Moggi.

Può succedere di non andare più d’accordo, di avere interessi diversi, di

separare le proprie strade. Non c’è nulla di male

Pessimo e inutile invece è il tentativo di cancellare pubblicamente un

dirigente che ha contribuito a rendere forte la Juventus e non solo per quegli

ultimi due scudetti contestati. Tutte le società devono fare i conti con

quella che è la reputazione, qualcosa che non costruisci in un giorno ma che

in un giorno puoi distruggere. Dal 2006 ci sono una famiglia e un ufficio

legale che, a fronte dei numerosi patteggiamenti e di altri comportamenti

discutibili, stanno distruggendo una reputazione costruita in oltre un secolo

di storia. Anche questi sono danni e chissà che non s’aggiungano alle

inevitabili cause civili che pioveranno sulla società se il reietto Moggi e il

trasparente Giraudo non riusciranno a dimostrare la propria innocenza entro

gli ultimi due gradi di giudizio. Poiché quell’esclusione in sede penale non

esclude richieste future in altra sede con l’aggiunta di nuove parti lese.

Fa specie che non abbia subito proferito parola in merito Andrea Agnelli. Uno

che, prima di ringraziare John Elkann per la sua – ben nascosta –

determinazione, dovrebbe ringraziare lo stesso Luciano Moggi che ai tifosi

juventini l’ha raccontato e raccomandato. Alla fine un altro degli

amministratori assunti dal padre è stato condannato per associazione a

delinquere. Umberto Agnelli, per la procura e per i giudici napoletani,

assumeva dei delinquenti della peggior specie, di quelli che barano nelle

competizioni sportive. E lo staff legale del figlio esulta in aula

nell’apprendere la notizia.

Modificato da Ghost Dog

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Calcio gp

IL GIORNALE DELLA DEMOCRAZIA JUVENTINA

14 novembre 2011

Speciale Calciopoli

29 AUTORI PER NON DIMENTICARE

29 VOLTE SCUDETTO!

___

(21) A questo punto, processo lontano da Napoli!

di MARCO VENDITTI

A pochi giorni dalla lettura della sentenza che ha condannato Luciano Moggi,

dopo il processo di primo grado celebrato a Napoli, il mio stato d’animo

naviga tra incredulità e sgomento. Sono sincero: non me l’aspettavo. L’anno

scorso, “Signora Mia”, trasmissione che ho condotto da Roma, è stata

incentrata proprio sul processo a “Calciopoli” e dalla mole di intercettazioni,

anche inedite, messe in onda grazie al contributo della redazione di

Juventinovero, dalle interviste realizzate agli ospiti in studio, dalle

analisi con i legali ed i consulenti tecnici di Luciano Moggi, mi sembrava

un’ipotesi remota che si potesse concretizzare una condanna del nostro amato

ex Direttore. Qualcosa non quadra. Eppure le intercettazioni, quelle integrali

e scovate magistralmente da Nicola Penta, non lasciano dubbi sulla reale

situazione del mondo del calcio oggetto dell’indagine. Appare chiaro che la

Juventus, società paradossalmente uscita indenne dal processo di Napoli, era

davvero un fortino che si difendeva, in modo lecito e vincendo sul campo,

dalle manovre di alcuni personaggi che di potere ne avevano e ne hanno,

tutt’oggi, da vendere. Il processo Telecom in corso a Milano, stranamente non

mediaticamente appetibile, è un esempio lampante. Al processo Calciopoli

abbiamo visto di tutto: indagini iniziate sul sentito dire e su voci di

corridoio; capi d’imputazione costruiti su episodi inesistenti; testimoni

dell’accusa che hanno smontato le teorie dei PM; intercettazioni “sfuggite”,

tagliate ad arte per dare una determinata interpretazione e, piaccia o non

piaccia, oggettivamente occultate; il giudice Casoria vittima di scandalose

pressioni dall’interno della Procura di Napoli e di 4 richieste di ricusazione

per fortuna respinte; PM ed ufficiali dei carabinieri che hanno abbandonato il

proprio ufficio per dedicarsi alla politica; c’è da aggiungere altro? Dal 2006

siamo vittime di processi mediatici, ma personalmente confido nella giustizia

e spero fortemente che i prossimi gradi di giudizio, magari non celebrati a

Napoli, possano sancire una verità senza ombre a garanzia della credibilità

del nostro sistema giudiziario.

___

(22) Anche nel calcio non c’è pace senza giustizia

di EMILIO TARGIA

No. Il problema non è di essere “pro” o “contro” Moggi. Il nodo non è essere

juventini o non esserlo. Il bivio non è tra “colpevolisti” e “innocentisti”.

No.

Sgombriamo il campo dai fraintendimenti. Dalle cattive interpretazioni.

Estirpiamo la gramigna contagiosa del cattivo giornalismo, della

superficialità colpevole, della velenosa approssimazione. E cerchiamo una

volta per tutte di evidenziare il fatto che quel che serve -servirebbe- al

calcio, al suo passato e quindi al suo futuro, è giustizia, trasparenza,

verità, equità. Tutto quel che è accaduto dal 2006 fino ad oggi sta portando

davvero a questo? Si sta veramente facendo “giustizia”? O invece colpire la

Juventus e Luciano Moggi è servito in questi anni come formidabile arma di

“distrazione di massa” per poi lasciare immutata la sostanza dello scena

calcistica, ed irrisolti i problemi veri che affliggono questo sport? Gli

uomini che hanno gestito finora le istituzioni del calcio, sono cambiati o

sono sempre gli stessi?

Lo straordinario oppiaceo del Moggi-padre-di-tutti-i- mali ha anestetizzato

davvero qualunque istanza di giustizia, qualunque voglia di trasparenza, di

mutamento, di crescita del calcio italiano?

E le responsabilità dei media sono errori commessi per fretta e incapacità o

per calcolo e malafede?

Ed Enzo Biagi, aveva ragione, quando parlava nel 2006 di “una sentenza

pazzesca perché costruita sul nulla, su intercettazioni difficilmente

interpretabili e non proponibili in un procedimento degno di tal nome” . Una

sentenza pazzesca perché punisce chi era colpevole solo di vivere in un certo

ambiente, il tutto condito da un processo che era una riedizione della Santa

Inquisizione in chiave moderna” ?

Le perplessità c’erano già prima, i dubbi si sono rafforzati ora.

Il vero “bivio” è dunque tra chi cerca e pretende equità e giustizia, e chi

si accontenta di verità parziali. E le spaccia per fatti consolidati.

Qualunque sia il fine.

Non va dimenticato (e non va perdonato) che la maggior parte dei giornalisti

così come la gran parte dei media hanno in questi anni inspiegabilmente

rinunciato alla possibilità di indagare, cercare, verificare, limitandosi al

raccontino sbrigativo del processo sportivo e a qualche trafiletto sulle

udienze di Napoli. Tutti soggiogati, chi in buona fede chi meno, dalla

accecante luce del Moggicolpevole. Scritto tutto attaccato. Senza una virgola

di riflessione. Del Moggi discarica unica dei mali del calcio. Hanno abdicato.

E oggi alcuni di loro – comprese firme importanti e rappresentantive-

ammettono senza vergogna di “non aver seguito con troppa attenzione le udienze

di Napoli”, ma di essere “convinti che…”. Ecco. Persino coloro che con il loro

prestigio e la loro esperienza dovrebbero provare a raccontare con scrupolo e

attenzione il dibattimento e le eventuali verità nascoste di una vicenda così

delicata, soccombono al “sentimento della piazza”. Sic (attenzione, perchè poi

alla lunga i “sentimenti” traditi, generano risentimenti).

Proprio per questo mi sono adoperato perchè la mia emittente, Radio Radicale,

raccontasse integralmente il processo di Napoli.

Per la prima volta, la radio che ha raccontato agli italiani tutti i processi

più famosi degli ultimi 30 anni, si è cimentata con un processo che riguardava

il mondo del calcio. Qualcuno avrà magari storto la bocca, pensando che una

radio così “seria” non dovesse occuparsi delle futilità del mondo calcistico.

E invece no. E invece questo processo è stato uno spaccato importante di un

pezzo d’Italia, un’occasione di approfondimento e di conoscenza, una specie di

torcia nel buio dove ci avevano precipitato senza se e senza ma. Raccontandoci

solo una parte del calcio e spacciandola per il tutto.

In questi 3 anni alla fine ci hanno ascoltato tifosi di tutte le squadre,

cittadini di ogni regione, politici di ogni schieramento, giornalisti di tutte

le testate. Ci hanno ascoltato tante persone che non amano il calcio, abituate

magari all’ascolto delle dirette dal parlamento, ed anche molte personalità di

rilievo delle istituzioni, che spesso non potendo ascoltare le puntate del

sabato sera curate puntualmente dal collega Andrea De Angelis si rifugiavano

sul sito per recuperare le udienze perdute.

34 mesi, 61 udienze. Centinaia di ore di registrazione per provare a capire

“davvero” quali fossero le tessere che costituivano il puzzle di “calciopoli”.

Un viaggio che ci ha consentito di ascoltare le voci degli imputati, dei pm,

dei testimoni. Tutti e ciascuno si saranno così potuti fare un’idea. Un’idea

“propria”, non mediata da resoconti spesso faziosi e di parte.

Un modo faticoso certo, ma anche una occasione straordinaria per poter

finalmente “entrare” tra le pieghe del processo. Perchè tutte le cose che

abbiamo capito nel corso del dibattimento le tv e le radio- con pochissime

eccezioni- ce le avevano negate.

E così i giornali, con la felice eccezione di “Tuttosport”, con Alvaro

Moretti e Guido Vaciago che hanno seguito personalmente 58 udienze su 61.

Radio Radicale ha innescato gi anticorpi in chi ogni giorno veniva bombardato

dal “crucifige” mediatico a senso unico.

Forse anche per questo il nostro lavoro non è stato pubblicizzato dalle

grandi emittenti radiotelevisive o dai quotidiani.

Forse per questo né io né il collega che ha curato gli speciali siamo MAI

stati chiamati a partecipare a qualcuno dei rari dibattiti televisivi sul tema

calciopoli sulle tv nazionali.

Verrebbe da pensare, vista la scorrettezza di alcuni resoconti e

l’approssimazione di alcune cronache, che questo non sia stato un riflesso del

tutto involontario.

Eppure in questi ultimi due anni i toni di alcuni giustizieri a mezzo stampa

si erano fatti meno arroganti, e gli atteggiamenti dei media sembravano più

sfumati. Ma dopo la sentenza di primo grado di Napoli ho sentito il coro

riprendere fiato. Con toni a volte sguaiati. Molte radio romane hanno intonato

di nuovo il refrain del Moggi colpevole. Con chiose spesso volgari. Mentre le

tv hanno riportato il verdetto senza provare nemmeno a cogliere eventuali

aspetti critici. E i giornali, ancora una volta, hanno rispolverato l’arsenale

dell’estate 2006.

In attesa delle motivazioni della sentenza, la lettura della stessa ci offre

intanto più di uno spunto di riflessione. A cominciare dal fatto che viene

recepita praticamente per intero la richiesta dei Pm pur a fronte della

nullità di 8 capi di imputazione su 18. Mentre sarà interessante capire dalle

motivazioni le condanne per Cagliari-Juve o per Juventus-Udinese. E i perchè e

i per come di tante altre cose. In attesa dell’appello.

Intanto nel coro spesso stonato di questi giorni ci sono alcune eccezioni.

I colleghi di Tuttosport Moretti e Vaciago, che proseguiranno il loro lavoro.

E poi Olviero Beha, Piero Ostellino, Gigi Moncalvo…. Che non si inchinano alle

verità di comodo.

E poi il lavoro sacrosanto dei siti, dei blog, come Ju29ro ,

giùlemanidallajuve, ?ecchia?ignora. com e tanti altri.

Ma quel che irrità di più è che sono apparsi di nuovo quelli della “pietra

sopra”. Sono alcuni giornalisti che si ostinano ad usare la clava al posto

della penna e che non ne possono più di calciopoli e di quella che loro

chiamano la “guerra infinita” tra Juventus e Inter. O forse sono solo

spaventati dalla loro stessa superficialità. Che in futuro potrebbe essere

smascherata.

E una pietra magari vorrebba metterla anche sulla pesantissima relazione

Palazzi sull’Inter, con un Art.1 e un Art.6 che pesano come macigni, quelli sì,

sulla credibilità stessa del calcio.

E allora No.

Non potrà esserci mai pace senza giustizia. E non potrà mai esserci giustizia

senza una ricerca costante, pressante e incondizionata della verità.

29 volte, verità.

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(23) Nella delusione ritroviamo le nostre radici e nuove energie

di NINO ORI

Una botta pesante, di quelle che non si dimenticano, di quelle che per

rialzarti ce ne vuole. Non è una sconfitta qualsiasi: martedì 8 novembre è

“la” sconfitta. Sorpresa, silenzio, delusione, rabbia, bestemmie, frustrazione,

disillusione, voglia di spaccare tutto, voglia di mollare tutto (compresa la

matrigna Italia).

Non è facile accettare che la Verità non produca il risultato sperato e non

conduca alla Giustizia. Ma è andata così. Sai che Ju29ro, il gruppo di amici

di cui fai parte da 5 anni, ha fatto tutto quello che si poteva fare, tutto

quello che la passione permetteva di fare, contribuendo alla ricerca della

verità. E la verità è venuta fuori: lampante, chiara. Il dibattimento è andato

meglio anche delle più rosee previsioni, e le accuse sono state smontate tutte,

una per una. Ma è stato tutto inutile: mesi e mesi di lotta, di analisi, di

inchiesta, di argomentazioni, di speranza, di certezza… spazzati via in pochi

minuti.

Qualche ora è sufficiente a realizzare che, al di là della sensazione di

impotenza del momento, si andrà comunque avanti, e Ju29ro continuerà a fare

informazione su tutto quello che accade intorno alla Juve. Come sempre senza

padroni, come sempre senza fare sconti. Forse la verità continuerà a non

vincere, ma vale la pena di continuare a raccontarla. Non è un dovere, è una

scelta. La scelta di persone innamorate ed appassionate, di persone che sanno

di essere nel giusto.

Più complesso è riuscire a riconciliarti con la tua juventinità. Impossibile

dimenticare l’inutile e inopportuna esultanza che l’avvocato che rappresentava

la società ha sbattuto in faccia ai condannati; difficile accettare il

contenuto e la tempistica del pilatesco comunicato apparso sul sito ufficiale

della società stessa. E’ uno di quei casi (per fortuna, pochi) in cui certi

comportamenti ti addolorano, quasi ti fanno vergognare di essere juventino.

E allora, vai indietro nel tempo a cercare conforto, aggrappandoti alle

radici della tua passione. Vai con la mente fino al momento in cui l’orgoglio

di essere bianconero ha iniziato a manifestarsi. Metà degli anni sessanta,

periferia sud di Torino, scuole elementari. I tuoi compagni di scuola. I figli

di immigrati sono quasi tutti interisti: la squadra di Angelo Moratti, Italo

Allodi ed Helenio Herrera viene da quattro primi posti negli ultimi quattro

anni (tre scudetti e uno perso nello spareggio contro il Bologna), due

vittorie europee e due intercontinentali. I pochi torinesi sono divisi tra

granata e bianconeri, con prevalenza numerica dei primi.

L’unica cosa che accomuna interisti e granata dell’epoca è un incomprensibile

(e, ai tuoi occhi, immotivato) odio per la Juve, cui viene imputato di rubare,

di essere la squadra degli Agnelli e di rappresentare l’arroganza del potente.

E tu, che al momento di calcio sai assai poco, non puoi che concludere che “se

la odiano così tanto tutti quanti, deve essere davvero qualcosa di grande: non

posso che essere juventino!”.

Ecco, comincia così. Ma non è facile: veniamo da diverse stagioni negative,

mai in lotta per il titolo. La Juve del 66/67 di Heriberto non è proprio una

bellezza a vedersi. Il pacchetto difensivo (Anzolin; Gori, Leoncini;

Bercellino, Castano, Salvadore) è solido e funziona piuttosto bene: pochi i

gol subiti. In mezzo, a cercare di costruire gioco, ci sono Cinesinho, Del Sol,

Favalli e Menichelli. La punta vera è una: De Paoli, eventualmente affiancato

dall’estroso Zigoni; nel caso, uno tra Favalli e Menichelli rimane fuori. I

nerazzurri invece sembrano imbattibili: la nazionale italiana del dopo Corea è

costituita intorno a loro, addirittura otto undicesimi. I primi mesi di

campionato sembrano confermare i pronostici: vincono le prime 7 partite

consecutive… la sensazione è che non ci sia nulla da fare neanche stavolta. E

anche quando hanno dei momenti di pausa, gli episodi sono sempre tutti a loro

favore, e li premiano ugualmente. Ultima del girone d’andata: Lazio-Juventus

0-0. Peccato che, in realtà, la Juve abbia vinto, ma senza che l’arbitro se ne

sia accorto: De Paoli segna un goal straordinario, di rara potenza. L’arbitro

De Marchi non lo vede entrare e, quando il pallone rimbalza nell’area piccola

dopo quel tiro violentissimo, forse pensa che abbia colpito la traversa. Nulla

di fatto: un punto perso. Poi arriva, a poche giornate dal termine,

Venezia-Inter 2-3. Con tre reti annullate (due delle quali regolarissime) al

centravanti veneziano Manfredini. L’arbitro Sbardella lascia lo stadio da

un’uscita secondaria… e la sera alla Domenica Sportiva i commentatori coniano,

per spiegare la sua prestazione, l’espressione “sudditanza psicologica”. Noi

perdiamo in casa del Milan, e sembra finita: quattro punti a quattro partite

dalla fine… ma vinciamo con Favalli lo scontro diretto e riduciamo il distacco

a due punti. Ne rimane poi solo uno alla vigilia dell’ultima giornata. Intanto

loro perdono la finale di Coppa dei Campioni contro il Celtic, antipasto di

ciò che li avrebbe aspettati a Mantova. Nell’ultima giornata, noi facciamo il

nostro dovere contro la Lazio, mentre la squadra di Herrera, di fronte ad un

Mantova solidissimo, difeso da un allora venticinquenne ma già insuperabile

Dino Zoff, finisce per perdere partita e scudetto, con la papera del portiere

Sarti, su un tiro-cross di Di Giacomo.

Lo scudetto che non ti aspetti, vinto di giovedì, con un incredibile sorpasso

all’ultima giornata. Lo scudetto che ci permette di staccarli (13 a 11) anche

nel computo totale degli scudetti vinti. Peccato solo che sia tardi: è già

giugno, e i giorni di scuola rimasti, per vendicarsi dei compagni di scuola a

colpi di sfottò, sono davvero pochi. Ma è bello lo stesso, aver vinto con un

organico certamente inferiore, contro lo strapotere altrui.

Nell’occasione, la Juve non ha mai dato la sensazione di poter stravincere

sulle avversarie più accreditate. Ha sempre sofferto, riuscendo comunque a

mantenersi ad una distanza non eccessiva dal primato. Ma quando, nel finale

del campionato, il gioco si fa duro, ecco emergere (al di là delle qualità

tecniche) le risorse della squadra di razza, nata per primeggiare non appena

se ne presenti l’occasione. Quella mentalità vincente, unanimemente

riconosciutaci (anche dagli avversari che ci odiano e ci invidiano), da sempre

caratteristica fondante e distintiva dell’essere bianconeri. Da ritrovare.

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(24) Cara società Juve, non dimenticare il tifoso!

di ROBERTO BUONFIGLIO

Sono onorato di scrivere le mie considerazioni sul giornale online a tinte

bianconere più seguito del web. La passione per la Juventus mi ha portato tre

anni fa a creare in collaborazione con Enrico Levanti la pagina fan di

orgoglio bianconero seguita da più di 46.000 fan. Come già qualcuno di voi sa

abbiamo dovuto necessariamente chiudere la pagina a causa di un hacker che ha

violato la proprietà intellettuale. L’immensa passione per la Juventus non ci

ha scoraggiato e abbiamo ricominciato da capo; abbiamo aperto sul web il blog

di orgogliobianconero.net che devo dire ci sta dando molte soddisfazioni con

più di 20000 visualizzazioni settimanali. Ah, dimenticavo per non farmi

mancare nulla, faccio parte della redazione di “Forza Juve” trasmissione che

va in onda tutti giovedì alle 21:45 su Rete7 e sul canale di Sky 825.

Dopo questa ampia premessa vorrei ringraziare tutti coloro che nel corso di

questi cinque anni hanno profuso sacrifici enormi a difesa della causa

bianconera soprattutto un caloroso abbraccio ai ragazzi di juventinovero. com.

Purtroppo la giustizia non è uguale per tutti: a seguito della sentenza

Farsopoli, che ha in parte sorpreso e in parte no, la reazione dei principali

condannati come Moggi, Lotito e i Della Valle si è fatta sentire, anche la

Juventus unica squadra del calcio italiano distrutta e annientata nel 2006 ha

fatto la sua richiesta alla Figc.

La richiesta di risarcimento danni ammonta a 240 milioni di euro, cifra

giustificata dalle seguenti voci:

  • Danno subito per giocatori ceduti con svalutazione nel 2006: – 121milioni
  • Mancati proventi da sponsor e pubblicità: – 21 milioni
  • Mancato proventi da radio e tv: – 35 milioni
  • Perdita in borsa: – 53 milioni

Io credo che a questo punto in Figc qualcuno dovrebbe cominciare a

preoccuparsi. Tavolo o non tavolo.

Mi dispiace dirlo ma sono cinque anni che la società non ha più voce in

capitolo, lo possiamo constatare dalle più recenti situazioni in cui ci siamo

trovati come ad esempio i soliti cori infami che continuano a profanare il

nome di Gaetano Scirea e i 39 angeli dell’Heysel.

Ed eccoci al paradosso, l’ultima presa per i fondelli da parte del giudice

sportivo che ha inflitto èuna misera ammenda di 20. 000 euro a causa degli

striscioni esposti al Meazza (acciaio scadente ……nostalgia dell’Heysel…. . e

Agnelli crepa) mentre solo un anno fa per i cori contro Balotelli durante il

match di Coppa Italia Juventus-Napoli il giudice sportivo ha disposto la

chiusura della curva Sud per l’incontro di campionato contro la Roma, che dire

anche in questo caso la legge o la giustizia non è uguale per tutti.

Non dimentichiamo il TIFOSO; anche lui ha diritto ad un risarcimento almeno

morale. Certo! Perché chi vive la Juve la vive con tutto il cuore!!!! Sapremo

rialzarci per l’ennesima volta, il TIFOSO bianconero onora la sua squadra del

cuore in tutto e per tutto. Per noi sono e saranno sempre 29 gli scudetti

vinti sul campo.

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(25) Giornalisti in soggezione, il gioco delle Procure

di ALESSANDRO BANFI

Per i tifosi Calciopoli è una storia a sé. Ma per chi, come me, vive da anni

nelle redazioni di telegiornali e trasmissioni di approfondimento, è una

vicenda che purtroppo ne ricorda tante altre. In Italia c’è un grave problema,

una patologia, nel rapporto tra parte accusatoria della giustizia penale e

mass media. E non stiamo parlando di inchieste che riguardino soggetti

politici o scontri politica-magistratura. Anzi, ma di inchieste penali che

riguardano la Cronaca di tutti i giorni: da Brembate ad Avetrana. Per rimanere

ai tristi eventi di questi giorni.

La dinamica perversa che si è innescata nel nostro Paese è costituita da una

continua soggezione dei giornalisti alle ipotesi delle Procure. Quantomeno

nella fase preliminare di una qualsiasi indagine. Negli anni Settanta quando

il vostro cronista cominciò a lavorare c’era un clima opposto: i giornalisti

partivano da un pregiudizio critico nei confronti degli organi dello Stato:

Polizia, Carabinieri e magistratura inquirente. Ed allora il Codice di

Procedura Penale prevedeva un’immediata verifica delle prime accuse presso il

Giudice Istruttore. Con Mani Pulite questa tendenza si è capovolta fino a

diventare (anche grazie all’introduzione del Nuovo Codice) una malattia del

sistema.

Oggi chi fa le prime indagini, i pm della Procura, hanno potere assoluto sui

mass media. Decidono loro quali e quanti violazioni del segreto ammettere (di

fatto), perseguono loro i pochi cronisti che si avventurino su considerazioni

critiche o pubblichino notizie non gradite alle stesse Procure, procedono ad

un processo pubblico via mass media che non ha eguali in Europa. In

particolare attraverso quelle prove (fumose e discutibili in un processo) che

si chiamano: intercettazioni telefoniche e ambientali. Secondo voi, in quale

Paese si potrebbero mai pubblicare tali documenti durante le indagini

preliminari? Bravi, in nessuno. Pensate che invece da noi, per restare al

clamoroso caso di Sarah Scazzi, sono state persino diffusi sonori autentici

degli interrogatori con la voce di persone addirittura ancora “informate sui

fatti”, testimoni non indagati. Pensate che la Procura di Taranto abbia aperto

un’inchiesta su questa fuga di sonori, quasi in tempo reale finiti sui mass

media? E tuttavia esistono un paio d’inchieste contro colleghi che hanno

pubblicato altri documenti evidentemente non graditi. I giornalisti non

criticano più le inchieste delle Procure, anche quando sanno che ci sono gravi

errori, per non inimicarsi la fonte delle notizie, che è allo stesso tempo

anche il persecutore delle notizie non gradite.

Così, quando arriva il processo e naturalmente la Procura ritorna ad essere

una parte di esso, una parte importante, l’accusa, ma una parte, tutto assume

un’altra luce. In particolare le intercettazioni telefoniche o ambientali

vengono ridimensionate, a volte addirittura non citate, spesso, molto spesso,

affiancate da altre occultate nella fase preliminare dall’accusa. Il processo

di Napoli è, ahimè, uno dei tanti processi in cui questo accade. In cui di

colpo gli atteggiamenti di chi ha condotto le indagini emergono in tutta la

loro evidenza, in cui d’improvviso vengono fuori altre telefonate, rispetto a

quelle pubblicate con tanta enfasi cinque anni fa.

Ma ormai il processo vero c’è già stato. Sui giornali e in tv.

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(26) Il campo oltre i tribunali: un modo per aggrapparsi alla nostra storia

di NICOLA NEGRO

Confesso di non aver ancora capito fino in fondo il perché, in un’età in cui

più che mai ti sembra che il mondo abbia milioni di colori, possa capitare di

essere attratti da una maglia bianconera. Per me la scintilla c’è stata una

domenica pomeriggio, che molti anni più tardi ho scoperto essere il 23 aprile

1972. Campionato di serie A a 16 squadre, un pomeriggio trascorso a casa dello

zio della provvidenza a scoprire “Tutto il calcio minuto per minuto”, “90°

minuto”, quindi, alle 19, la trasmissione televisiva di un tempo di una

partita di calcio. A quella trilogia sempre uguale eppure sempre nuova a ogni

domenica ci ho incollato i più bei ricordi di bambino. Quella domenica 3-0

(contro l’Inter) per le maglie a strisce bianconere e un trasporto naturale

per quel qualcosa di magico di quei due colori agli antipodi, ma così perfetti

uno vicino all’altro.

Nell’intreccio fra magia bianca e magia nera che passano per Torino, è

suggestivo ricondurre a qualche mistero esoterico il colore di quelle maglie

un po’ bislacche arrivate invece solo per caso dall’Inghilterra. Erano gli

anni dei pionieri e di un gruppo di liceali che si ritrovavano intorno a una

panchina di Corso Re Umberto. Lo dobbiamo a quei ragazzi se oggi stiamo qui a

parlare di Juventus.

Poi la famiglia Agnelli, una dinastia che ha guidato la società lungo quasi

tutto il suo percorso storico. Dal quel martedì 24 Luglio 1923, giorno in cui

Edoardo Agnelli venne eletto presidente per acclamazione è trascorso quasi un

secolo. Una longevità unica nella storia del calcio. E‘ una Juve da leggenda

quella del quinquennio 1931-1935. Un primato di vittorie sul campo a oggi

ineguagliato. Poi in quell’estate la morte improvvisa di Edoardo sembrò

spegnere ogni speranza di rinascita. Gianni aveva solo 12 anni, mentre Umberto

nemmeno un anno, ma c’era già una squadra nel loro destino. A cavallo degli

anni Cinquanta parlava “danese” la Juve di Gianni Agnelli, mentre quella di

Umberto, negli anni bel boom economico, riusciva a unire gli italiani nel

triangolo magico dei suoi tre campioni. Boniperti, Charles e Sivori.

E in quegli anni che la Juventus diventava “la fidanzata d’Italia”, capace di

abbracciare trasversalmente tutte le classi sociali e di unire il nord con il

sud sotto un’unica bandiera a strisce bianconere.

La mia prima Juventus è stata quella autarchica che mi ha preso per mano

negli anni Settanta, unica squadra a vincere una coppa europea con una squadra

tutta italiana. Poi è stato amore folle con la Juve di Platini, come si può

amare follemente a diciotto anni prima di risvegliarsi nella notte dell’Heysel.

Quel 29 maggio 1985 rappresenta una data in cui la Juventus è diventata

qualcosa di più di un legame affettivo ed emozionale con una squadra di

calcio. In quella notte 39 vite spezzate a colpire un intero popolo

bianconero. Io mi sentivo lì in mezzo anche vivendo quella tragedia attraverso

una piccola tv in bianco e nero. E poi Scirea e quella disgrazia che ci ha

tolto un fuoriclasse in campo come nella vita. Passano gli anni, ma il suo

esempio di juventinità è sempre vivo.

Con la Juve della Triade è stato amore vero e come un grande amore che ti

travolge fra gioie e dolori, è stata la Juventus che più di ogni altra mi è

entrata dentro. E‘ stato l’epilogo di Calciopoli a farmi fare i conti con una

Juventus che non c’era più, morta ammazzata dai processi di piazza e dalle

invidie di chi sul campo non riusciva a vincere mai. Insieme alle sentenze

sportive di quella maledetta estate ho sentito di aver perso anche la “mia”

Juventus quella delle emozioni lunghe una vita.

Una Juve oggi ritrovata che bisogna amare anche più di prima perché ce n’è

bisogno. Perché oggi amare la Juventus non vuol dire solo tifare, ma anche

chiedere verità e giustizia per via di quel processo sommario che in quella

maledetta estate ha privato la Juve di due scudetti e l’ha cacciata in serie B.

Nei tribunali per questa Juventus si gioca la partita dell’onore. Dopo anni

bui c’è di nuovo un Agnelli presidente a tessere le fila, mentre in campo c’è

un condottiero indomito, Antonio Conte, a guidare la rinascita. Sono

soprattutto loro a cui oggi rimane aggrappata la mia juventinità.

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(27) Non ridete, tifosi della Juve

di GIANNI VOLPI

Non ridete, tifosi della Juve. È tutto vero, è certificato da un tribunale

della Repubblica italiana. È accaduto l'11 gennaio, al Tribunale di Napoli,

presieduto da una giudice, la signora Casoria, che alle chiacchiere preferisce

i fatti documentati (anche il calcio sarà salvato dalle donne?).

Una delle prove - non ridete! - della connivenza tra arbitri e Juve è che

Moggi avesse regalato, dopo un Lecce-Juve, maglie della Juve agli arbitri.

Ebbene l'ex guardalinee Enrico Cennicola, davanti al tribunale, dice

testualmente che non solo questa era prassi comune a tutte le squadre, ma che

"il Milan regalava borsone e materiale tecnico Adidas e orologio, l'inter

abbigliamento e borson Nike, orologio e in tutte le gare una maglione di

cachemire" (scritto anche cashmire). Ovvero, il cachemire non è reato, e

neppure gli orologi. Forse perché non sono tracciabili come una maglia della

Juve.

Ma ci sono altre perle, in questa prima udienza del 2011. Si parla dell'ex

arbitro Nucini, amico di Facchetti (ci spiace, ma é così), che confessa che

lui era il "cavallo di Ţroia" dell'Inter nella Can per capire come venivano

"condizionati i risultati e quindi l'intero campionato". E non per una volta,

per un mese, per una stagione calcistica. Per quattro anni! Da parte sua

l'Inter si era interessata con banche e istituti vari per trovargli un posto

di lavoro. Tuttosport commenta candidamente: "Tutte cose che Palazzi vorrà

leggere presto, come presto vorrebbe avere gli esiti delle audizioni Figc

anche Narducci". Ed invece Palazzi se ne va. Sinora ha insabbiato, rallentato

l'esposto di Andrea Agnelli. "Quieta non movere, et mota quietare", non

smuovere ciò che è tranquillo, e calma ciò che è agitato, dicevano i latini e

quello che era un po' il suo motto.

Perché, dunque, tornare su Calciopoli, anzi Farsopoli, come ormai dicono in

tanti? Oltre non poteva andare, né smentisri. Così il Palazzo perde Palazzi.

Ovvero, è bastata qualche iniziativa un po' più decisa e precisa per smuovere

le acque della palude della giustizia sportiva. Oggi, più che mai ci fa rabbia

pensare al comportamento della società negli anni 2006-10 e all'"elegante"

ignavia di Cobolli Gigli. E ricordiamo che padre Dante colloca gli ignavi

nell'Antinferno, dove circolano punti da vespe e mosconi.

Tante altre cose sono venute fuori da Napoli, in una sola udienza! Ad esempio,

che le famose "schede svizzere", provs principe della segretezza dei rapporti

tra Moggi e gli arbitri e quindi della "colpa" della Juve (la "pistola

fumante", l'aveva definita in trasmissione Fabio Ravezzani, direttore di

Telelombardia), erano assolutamente "agganciabili", ecc. , ecc. .

Come cittadini, però, abbiamo il dovere di porci una serie di domande. Ma

nessun magistrato, prima di istituire processi, ha letto le inchieste

folkloristiche del colonnello Auricchio, basate sulla Ģazzetta dello sport,

errori compresi? Nessuno si è chiesto se esistevano altre intercettazioni e di

che tenore e chi riguardavano? Nessun magistrato ha mai dato esami di storia e

sentito parlare di "controllo delle fonti"? Se c'era di mezzo uno meno potente

e ostinato di Moggi, che si è potuto permettere avvocati di prim'ordine ed

esperti informatici del Politecnico di Torino per individuare e trascrivere

centinaia di "altre" telefonate, tutto questo sarebbe finito per sempre nel

dimenticatoio?

Come tifosi, invece, chiediamo: Zaccone (a bilancio della Juve, per questa

performance, per 500 mila euro, ci dicono gli azionisti) quando parlava di

prove schiaccianti tali da provocare la retrocessione della Juve in serie C?

Era il dossier della Juve o quello del Milan, della Lazio, della Fiorentina,

dell'Inter? C'è stato evidentemente uno scambio di dossier. Per questo, come

si annullano i processi per scambio di persona, dovremmo chiedere

l'annullamento del processo sportivo per "scambio di dossier".

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(28) Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire

di PIERO PIZZI

Dal 2006 gli juventini, quelli veri, quelli che hanno sopportato i commenti di

scherno degli idioti del villaggio e subito l’umiliazione della serie B, vinta

tra l’altro con 94 punti conquistati sul campo (guarda caso 91 punti furono

quelli della vittoria dello scudetto numero 29, di cui si è appropriato la

banda degli onesti capitanata da Moratti) ingoiano bocconi così amari che la

metà avrebbero avvelenato chiunque. La sentenza di Napoli che ha condannato

Moggi in primo grado è un po’ tutto questo, i carneadi hanno servito un’altra

dose dell’amarissima cicuta che ormai in quantità sempre più massicce

propinano da cinque anni a questa parte. Eppure, l’iter giudiziario,

finalmente portato avanti come Dio comanda e non con una frenetica e veloce

sentenza come fu nell’anno del Signore 2006, a mio modesto parere aveva

dimostrato altre cose, ormai evidenti anche ai più ciechi.

In questi ultimi mesi l’avvocato Prioreschi, uno dei due difensori di Moggi,

ha dimostrato in aula, con effettive prove, che la presunta integerrima onestà

dell’Internazionale F.C. non esiste e non è mai esistita, dal momento che in

settantadue pagine il procuratore federale Stefano Palazzi ha sostenuto che la

suddetta squadra ha violato gli articoli 1 e 6 del codice sportivo e, in

particolare, ha cercato di ottenere, e cito testualmente «un vantaggio in

classifica mediante il condizionamento del regolare funzionamento del settore

arbitrale» e che solo la prescrizione ha evitato a tale squadra la punizione

che altrimenti avrebbe meritato. Questi sono atti giuridici che esistono, sono

prove inconfutabili, capisco che a molti ciò non faccia piacere, ma così è,

piaccia o non piaccia. Non solo, dal dibattito in aula, tutti abbiamo imparato

a conoscere il celebre “sistema dei baffi” con il quale il colonnello dei

carabinieri Auricchio ha braccato Moggi. Peccato, per i delatori della

Juventus, perché le indagini dell’aprile del 2010 hanno accertato che erano

tantissime le telefonate emerse e, a torto, sfuggite o ritenute irrilevanti da

Auricchio, che erano invece state segnalate come rilevanti. Anche le

telefonate di Facchetti, dunque, erano state regolarmente segnalate dai

carabinieri. Perché Auricchio non ne tenne conto? Perché le intercettazioni

dell’Inter e di altre squadre furono cestinate? A pensar male si fa peccato

però molto spesso s’indovina.

Si è gridato allo scandalo per le cene organizzate da Moggi con i designatori

arbitrali, poi abbiamo scoperto che anche Moratti, Facchetti, Galliani, Meani

e Collina pasteggiavano allegramente con Bergamo e Pairetto. Qualcuno spieghi

allora perché se a cena ci va Moggi è reato da punire con la gogna e il

pubblico ludibrio, se ci va Moratti è un atto di cortesia e gentilezza. Si è

detto, tra le mille sciocchezze, che Moggi era a capo di una cupola,

abbastanza strana come situazione se si tiene conto che un calcolo statistico

ha dimostrato che la Juventus con gli arbitri presunti sodali della cupola

aveva una media di 1.8 a partita, con tutti gli altri di 2. 24, ma allora mi

chiedo prosaicamente, che razza di cupola era?

Poi qualcuno obietterà che Moggi aveva dato schede svizzere ai suoi “bravi” e

che con queste schede si macchiava di indicibili nefandezze. Ma anche la

questione delle sim svizzere rientra perfettamente in questo processo di

barzellette e da giustizia di avanspettacolo. Le schede svizzere,

un’ossessione che riecheggia sempre nelle aule del tribunale di Napoli, solo

oggi abbiamo capito che le usava per proteggersi da un tentativo di spionaggio

contro la sua persona. L’attività di spionaggio effettivamente c’è stata ed è

stata condotta invece da un team ben addestrato della Telecom, cioè l’azienda

di Tronchetti Provera, che casualità ha voluto facesse parte del consiglio di

amministrazione della squadra milanese. E a proposito di consigli di

amministrazione, non bisognerebbe dimenticare che il signor Guido Rossi, per

chi non lo conoscesse, è stato il “grande saggio” che ha attribuito lo

scudetto di cartone all’Internazionale F.C., dopo il 2006 è stato anch’egli

nominato Presidente Telecom.

Per tutti questi motivi la sentenza appare stucchevole, di fatto certifica

l’esistenza della cupola che la realtà fattuale ha smentito. Hanno perso,

ancora una volta, la possibilità di rendere giustizia e tacitare i poteri

forti. Assolvere Moggi significava sconfessare calciopoli, ridare dignità a

uomini non meno fallaci di altri, per questo temo che la sentenza fosse già

scritta. Si poteva riscrivere quel bellissimo romanzo popolare che è il gioco

del calcio, ma hanno prevalso i demagoghi che confondono la giustizia con il

sentimento popolare, una sentenza schifosa, un’altra pagina vergognosa che

renderà felice chi, senza calciopoli, non avrebbe vinto nulla.

___

(29) A Napoli sentenza giuridica che definirei mostruosa

di PAOLO BERTINETTI

Ritengo che Luciano Moggi non sia affatto colpevole dell’accusa grottesca per

cui il Tribunale di Napoli lo ha condannato in primo grado. L’associazione per

delinquere è una cosa seria, un reato gravissimo che niente ha a che fare con

i comportamenti di Moggi, anche se fosse vero tutto ciò che l’accusa ha

“costruito” a partire dalle intercettazioni. Intercettazioni che, sia chiaro

una volta per tutte, NON servivano per indagare sulle camarille del mondo del

calcio (infatti se emergevano intercettazioni in tal senso le si ignorava), ma

che si prefiggevano di incastrare Moggi.

I giudici hanno, per legge, parecchie settimane di tempo per mettere nero su

bianco le motivazioni di una sentenza che, stando ai giuristi con cui ho

parlato, costituisce una mostruosità giuridica. In tutte queste settimane,

qualcosa di presentabile se lo inventeranno. Tuttavia la sentenza c’è.

Spetterà ai difensori di Moggi preparare il modo giuridicamente ineccepibile

per andare in appello. Spetterà ai tifosi juventini, a quelli che già da

cinque anni a questa parte hanno denunciato il linciaggio contro la Juventus,

contrastare gli effetti di questa sentenza.

Per quanto riguarda la difesa di Moggi bisogna riconoscere che purtroppo

l’impostazione data finora, assai efficace sul piano mediatico e assai utile

alla Juventus e ai suoi tifosi, si è rivelata debolissima. Se mi accuso di

avere rubato in un supermercato, non posso difendermi dicendo che in quel

posto lì rubavano tutti e che quindi non sono colpevole. Devo spiegare che non

ho rubato; che quello che facevo io (e che facevano tutti) non era un furto.

Nel nostro caso si trattava di dimostrare ai giudici che quelle telefonate

erano una prassi diffusa e al tempo consentita (si badi bene, consentita); e

che quindi non c’era nessun accordo illegale tra Moggi e altri messo in atto

allo scopo di delinquere. Di più: che non c’era nessun accordo con nessuno per

trarre un vantaggio illegittimo. Da qui, io credo, dovranno partire i

difensori di Moggi per l’appello.

La Juventus, in questo caso grazie all’accortezza dei suoi legali, esce

indenne dal processo di Napoli. Anzi, potrà forse utilizzarne la sentenza per

le azioni legali che intenderà eventualmente prendere. Il tutto è naturalmente

paradossale. Ma questo dice la sentenza. Per noi tifosi, al di là delle

eventuali mosse della Juventus, resta ancora molto da fare: se possibile in

condizioni ancora peggiori di prima. Possiamo però partire da ciò che è emerso

in modo inconfutabile dal processo, cioè da quello che (considerato

irrilevante sul piano penale) dovrebbe essere invece molto rilevante sul piano

sportivo. Alle autorità calcistiche non sembra vero poter ignorare e

prescrivere tutto ciò che riguarda l’Inter e gli altri “onesti”. Ma noi

dobbiamo ricordare a tutti, compresi i tifosi juventini tiepidi, che dalle

indagini, dalle intercettazioni rese note al processo di Napoli, è emerso

chiaramente che i dirigenti dell’Inter (e del Milan e di altre squadre ancora)

parlavano direttamente non solo con i designatori, ma addirittura con arbitri

e guardalinee.

Su questo punto non bisogna retrocedere neppure di un millimetro. Facchetti

le telefonate le ha fatte: l’Inter è la squadra dei furbetti disonesti e lo

scudetto di cartone deve essere revocato. In quanto alla Juventus, gli

scudetti 2005 e 2006 li ha vinti meritatamente sul campo ed è non solo

legittimo, ma doveroso rivendicarli. Qualsiasi siano le conclusioni (o le non

conclusioni) delle autorità sportive. Gli striscioni su chi ha rubato partite

e scudetti dovremo farli noi.

Modificato da Ghost Dog

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SPY CALCIO

di Fulvio Bianchi

26 dicembre 2011

I club e il calcio delle regole

Ecco dove sbaglia Agnelli

Quaranta, quarantadue squadre professioniste. E stop. Il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, è per una riduzione, drastica, dei club. "Io sarei per allinearci alla Spagna. Serie A, serie B, una riga qua". Agnelli cancella la Lega Pro (ex serie C): chissà come è contento Mario Macalli... "Prendete la classifica della Lega Pro - aggiunge il n.1 della Juve - accanto a metà delle squadre c'è l'asterisco: 2,3,4 punti di penalizzazione. Non giustifico nessuno ma quando si scommette sugli avvenimenti sportivi e io non ti pago lo stipendio, poi è più facile rubare". Non è sempre così: molti dei calciatori coinvolti nel recente scandalo delle scommesse (a cominciare da Doni e per finire ad altri della Lega Pro) erano regolarmente e lautamente pagati dai loro club. Agnelli, comunque, nella sua intervista segnala un problema che il mondo del calcio deve risolvere, e in fretta: sono troppe le squadre professionistiche ma, onestamente, 40-42 sono troppo poche. Questa è l'Italia dei Campanili, dei derby. Perché non ci devono essere squadre a Pisa, Campobasso, Cosenza, Bolzano, Reggio Emilia, Vercelli, eccetera? Il calcio "minore" ha diritto di esistere: certo, 90 club in Lega Pro erano troppi, un'autentica assurdità. Ma Macalli e il suo agguerrito staff hanno già iniziato una cura dimagrante e l'obiettivo è arrivare a soli 60 club, divisi in tre gironi. Questa è la "missione": club sani, che non falliscono, e largo ai giovani. Il percorso è già iniziato: ci si arriverà in fretta. Così come Andrea Abodi, attivissimo presidente della Lega di serie B, ha già fatto votare alla sua assemblea il taglio di due club, in modo da poter scendere da 22 club (un assurdo) a 20, per passare poi, più avanti, magari a 18. Le due Leghe, B e Pro, hanno già progetti avanzati: l'unica che non si muove, caro Agnelli, è proprio la Lega di serie A di cui lei fa parte (attiva). Il vecchio progetto di scendere da 20 a 18 club - e sarebbe una cosa saggia - è chiuso da più di dieci anni in un cassetto. Se ne parla, a volte, in maniera informale fra i presidenti, soprattutto dei grossi club, ma nessuno che chiede che venga messo all'ordine del giorno dell'assemblea di Lega. Poi, il passo successivo, sarebbe il consiglio federale della Figc. Troppo severo, e ingiusto, è il giudizio di Agnelli quando parla di "totale assenza di un sistema di governo e di regole che possa permettere al calcio di svilupparsi". Non è così: Giancarlo Abete, presidente della Figc, ha fatto buone cose quest'anno. A cominciare da un rilancio totale del Club Italia, dove grazie anche all'impegno costante di Demetrio Albertini e Arrigo Sacchi, sono rinate le Nazionali azzurre, ci sono giovani interessanti. Prandelli, Ferrara, Di Biagio e c. stanno facendo un ottimo lavoro, le Rappresentative di B e Lega Pro fanno la loro parte. Ha sbagliato Abete quando ci ha messo più di un anno a rispondere alle Juve che la Figc non era "competente" sullo scudetto 2006: doveva farlo prima, con maggiore sollecitudine e chiarezza. Certo, il sistema calcio è "ingessato" in uno statuto che non consente mano libera ad Abete (e vorrebbe averla...) su tante iniziative: è stato tentato di modificare le norme, Carlo Tavecchio si è impegnato a lungo. Ma lo sa Agnelli chi si è messo di traverso? Soprattutto la Lega di A che ha disertato per mesi le riunioni mandando solo un suo progetto (scritto) che toglieva spazi alla Figc, agli arbitri e alle altre Leghe. Proprio così. Non aveva torto Giovanni Petrucci quando parlava di un calcio prigioniero del "doping legale": troppi avvocati, pochi uomini di sport.

(26 dicembre 2011)

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CALCIOPOLI

Un processo costruito sul falso

Serve un’indagine sull’indagine

Telefonate scomparse, misteri irrisolti: le rivelazioni dell’investigatore pentito al

«Corriere dello Sport» obbligano a riscrivere la storia dello scandalo dell’estate ’06

di GIGI MONCALVO (Libero 27-12-2011)

La clamorosa intervista di Edmondo Pinna, pubblicata sul “Corriere dello

Sport” di venerdì - sicuramente la prima di una serie di prossime puntate -

apre nuovi scenari sul retrobottega delle indagini, condotte in una sola

direzione, riguardanti “Farsopoli”. Pinna ha intervistato uno dei “magnifici

dodici” del gruppo di investigazione. Finalmente, per gli amanti della verità,

arriva una importante conferma di come tali indagini sono state fatte. È un

racconto da brividi poiché, se questi sono i metodi di investigazione, chissà

quanti innocenti sono in galera o sono stati condannati, quanti malfattori

gongolano, e quanti colpevoli di reati ben più gravi, importanti e dannosi di

quelli di “Farsopoli”, l’hanno fatta franca.

Primo dato. In via dei Selci a Roma, sede del Nucleo Investigativo dei

Carabinieri, una delle strutture che in genere conduce le indagini più

delicate di tutta Italia, lavorano 60 investigatori. Per lunghissimo tempo,

nell’arco di qualche anno, dodici di questi uomini - un quinto dell’intero

organico -, cioè ufficiali, sottufficiali e agenti di polizia giudiziaria sono

stati destinati a occuparsi di “Farsopoli”. Nel paese certo c’erano indagini

ben più importanti da svolgere. Ad esempio, nel 2006, quella sullo “strano”

spoglio delle schede che a tarda notte aveva capovolto, per poche migliaia di

voti, il risultato delle elezioni politiche consegnando a Romano Prodi il

governo della nazione. Ma evidentemente il “capo” politico dei carabinieri,

cioè il ministro della Difesa Arturo Parisi, molto amico di Prodi, portò una

ventata di “aria nuova” agli alti comandi di viale Romania. Un’aria che scese

giù per li rami fino ad arrivare ai gradi inferiori. Il problema più rilevante,

dunque, è questo: chi ha fatto in modo, e dato ordine, che quell’inchiesta

diventasse prioritaria e assorbisse così tante energie di uomini e mezzi? Tale

scelta ovviamente non va attribuita ai carabinieri, ma - oltre al superiore

livello politico - anche ai magistrati di Napoli che avevano ordinato un certo

tipo di inchiesta agli uomini in divisa.

I magnifici 12

C’è un secondo aspetto. La “filiera” al vertice dei “magnifici 12

investigatori della squadra Off-side” era composta, in ordine gerarchico

decrescente, dal tenente colonnello Giovanni Arcangioli, il maggiore Attilio

Auricchio, e infine il maresciallo capo Michele Di Laroni, braccio destro di

Auricchio. Furono questi ultimi due a dare all’inchiesta in nome in codice

“Off-side”. Un giornalista della “giornalaccio rosa”, Maurizio Galdi, inviato in pianta

stabile al processo di Napoli, scrisse: «Off-side perché il desiderio è di

mettere in fuorigioco l’intero sistema calcio. Sono gli unici a sapere ciò che

sta succedendo, per due anni vivranno nell’ombra, mimetizzandosi». Tanta

enfasi e tali tinte eroiche su Auricchio e Di Laroni forse erano dovute al

fatto che il maresciallo fece addirittura ricorso contro una multa presa dal

giornalista. Dato che si scoprì che il reporter era, fin dall’inizio delle

indagini, un collaboratore dei carabinieri. E quindi non si trovava nelle

migliori condizioni di obiettività per scrivere su quel tema. Anche se, di

certo, riceveva soffiate unidirezionali per dar corpo a un certo tipo di

teorema accusatorio. Ma su di lui, né l’Ordine dei Giornalisti, né la

direzione del suo giornale, ha mosso un dito...

Copertura dall’alto

Dall’intervista dell’investigatore “indignato”, e col voltastomaco,

protagonista del racconto al “Corriere dello Sport”, emergono altri dati

preoccupanti: quando viene avviata un’inchiesta, che ha una forte “copertura

dall’alto”, poi accade che a prendere il sopravvento siano due o tre elementi

della squadra investigativa che condizionano il lavoro di tutti e, valendosi

del loro grado, ne possono combinare di tutti i colori raccogliendo materiale

che poi determina processi falsati. Bastano un paio di inquirenti in mala fede

e si arriva a tutto tranne che alla la ricerca della verità, badando solo a

compiacere la direttiva arrivata, oppure a procurare vantaggi a coloro cui fa

gioco quell’indagine.

C’è ad esempio, la notizia di incrinature al vertice: il responsabile delle

indagini, Arcangioli, ha firmato solo la prima informativa dei carabinieri e

non la seconda, quella sul Milan. Dimostrando che non condivideva il lavoro di

Auricchio e Di Laroni e non si voleva assumere la responsabilità delle loro

“conclusioni”. Ma allora perché è rimasto al suo posto? Arcangioli arrivò “ai

ferri corti” con Auricchio: considerava giustamente inopportuno andare avanti

con un’indagine che non portava risultati, che appariva debole e senza

riscontri, nonostante impegnasse una buona parte dell’organico della caserma.

Com’è possibile che, nonostante l’aperta dissociazione del suo superiore,

Auricchio poté continuare le indagini “a modo suo”? Su quali

“protezioni”poteva contare?

Andiamo avanti. «Tutte le sere si facevano le riunioni a fine servizio.

Attorno ad un tavolo», e ognuno parlava dei risultati dello spicchio di

indagini o intercettazioni a lui affidate, dice l’investigatore intervistato.

«Le telefonate dell’Inter? Che ci stavano si sapeva...». Si faceva il punto,

ma alla fine erano «Auricchio e Di Laroni che decidevano cosa mettere o non

mettere nell’informativa». A loro completa discrezione. . . Ogni telefonata

intercettata veniva inserita nel brogliaccio e, per capirne la rilevanza prima

di trascriverla o meno, si indicavano tre “baffetti rossi” col pennarello

accanto ad essa, se era considerata importante. Come mai molte di queste

telefonate con i baffetti rossi non sono finite nell’inchiesta? «Evidentemente

non ci dovevano andare (….). So soltanto che quello che veniva fatto, veniva

fatto per costruire. Poi io ti porto il materiale, t’ho portato il mattone ma

se tu non ce lo metti, ’sto mattone..». E Auricchio e Di Laroni hanno evitato

di mettere molti mattoni...

Ecco spiegato perché certe intercettazioni non sono finite nell’inchiesta,

anche se le telefonate «c’erano perché ci sono le registrazioni ». Ma di

spiegazione ce n’è un’altra, inquietante: «La cosa un po’ anomala è il server

delle intercettazioni. È in Procura, a Roma, a Piazzale Clodio. Quando c’era

qualche problema, e capitava spesso, telefonavamo a chi era in Procura:

“Guarda, la “Postazione 15” qui non funziona, che è successo?”. “Vabbé adesso

controllo....”. Dopo un po’ richiamavano da Piazzale Clodio: “Ti ho ridato la

linea, vedi un po’”. Andavi a controllare, magari avevi finito alla telefonata

250 e ti ritrovavi alla telefonata 280. E le altre 30? “Me le so perse.. . ” ».

Chi contattava il responsabile del server a Piazzale Clodio? «Non ci parlavamo

solo noi, c’era anche il responsabile della sala. Ci parlava Auricchio, ci

parlava Di Laroni... ». E ancora: è tecnicamente possibile non intercettare

un’utenza sotto controllo per un determinato periodo di tempo?

«Tranquillamente. Tu stacchi il server e la cosa si perde». Questo fa pensare

che c’erano altre orecchie in ascolto, magari in un palazzo di Milano. E

quando sentivano certe cose, o si accorgevano dei numeri di appartenenza di

chi stava chiamando o rispondendo, staccavano il server e impedivano anche ai

carabinieri di registrare...

Orecchie tese

Insomma, intercettazioni selezionate e pre-selezionate. Sia alla fonte, in

origine, straccando il server. Sia dopo, evitando di farle trascrivere. Con

una ulteriore appendice molto italiana o napoletana, a detta

dell’intervistato: cenette a Napoli, da “Zi’Teresa”, con Auricchio e

Arcangioli con uno dei pm dell’inchiesta. L’investigatore non fa il nome

dell’ex pm Beatrice, che già si era smarcato dichiarando che fino al 2009,

prima di passare ad altro incarico, non conosceva quelle telefonate ritrovate

dalla difesa di Moggi. Sugli “altri personaggi” delle cenette, il “Corriere

dello Sport” ci darà certo ragguagli. Così come il bravissimo Pinna (mi

raccomando, occhio a non parlare al telefono...) ci dirà quanti caffè presero

insieme Auricchio e Baldini, per esempio, perché i numeri che hanno dato nelle

loro risposte in aula non combacia. A questo punto - come da anni afferma

ju29ro (juventino vero. com), la punta di diamante dell’informazione su

“Farsopoli”, «solo una “indagine sull’indagine” potrà cercare di dare le

risposte a molte domande su tanti fatti poco chiari e chiariti, anche perché

chi dovrebbe fare informazione cercando la verità e facendo indagine si è

invece accontentato di chiedere ad Auricchio, dopo la sentenza, se avesse

“stappato lo champagne?”. Buchi rosa e buchi neri, ma da oggi un po’ meno

neri».

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Calcio e criminalità Il questore: La concentrazione temporale balza agli occhi.

Voci di una «vendetta» della camorra dopo la decisione di vendere online i biglietti

Gli otto sgarbi ai calciatori E Napoli teme il complotto

Orologi e auto rubate. Il pm: qualcosa di strano

di GOFFREDO BUCCINI (CorSera 27-12-2011)

NAPOLI — La statuetta del Matador ancora resiste nella tramontana gelata di

San Gregorio Armeno: forse appena mezzo sughero indietro rispetto alla gloria

d'un anno fa, un'inezia tra pecorelle e pastori dei mastri artigiani. Del

resto quando Edi Cavani, accompagnato da Morgan De Sanctis, è apparso in carne

e ossa nella basilica di piazza del Plebiscito, precettato da quel geniale

napoletano che è Crescenzio Sepe per dare attrattiva pop alla chiusura

dell'anno giubilare, sotto le sacre arcate sono rimbombati boati da curva,

come sempre. «Questi ragazzi sono testimoni di speranza», ha detto il

cardinale indicando il centravanti e il portierone della squadra di calcio

forse più amata del mondo.

«Certo, l'affetto magari è anche eccessivo, il calore può. . . stancare»,

medita un altro napoletano che conosce il peso delle parole, Luigi Merolla,

questore d'una città dove Bassolino s'illuse di regolare il flusso del bene e

del male spingendo i suoi cittadini a fermarsi coi semafori rossi e da dove de

Magistris immagina di esportare mondezza via piroscafo manco fosse pizza

Margherita. Cavani come Hamsik, Lavezzi come Aronica, insomma i «testimoni di

speranza», a loro volta coltivano una speranza segreta: cavarsela. Perché, al

di là delle icone e dei presepi, del sacro e del profano che sempre nella

patria di San Gennaro e di Sepe la plebe mescola, forse qualcosa s'è rotto:

«Troppo calore, forse», ammette ancora Merolla, prudentissimo.

Chiamalo calore. Otto sgarbi, tra furti e rapine, otto ceffoni in faccia agli

intoccabili in maglia azzurra in poco più d'un mese e mezzo: rubati orologi da

ventimila euro, auto anche da poco prezzo (ad Aronica persino una Panda e una

Cinquecento a noleggio!), quattrini, gioielli. . . non hanno risparmiato né

Martina Hamsik, moglie di Marek, né la splendida Yanina, fidanzata di Pocho

Lavezzi e ragazza senza mezze misure («città de mierda», ha chiosato su

Twitter, salvo pentirsene, dopo aver dovuto mollare il Rolex a due guaglioni

svelti di mano), e neppure Barbara, dolce consorte del quasi sconosciuto

stopper Fideleff. Al procuratore di Cavani hanno minacciato la compagna

incinta con una pistola sul ventre. Prendersela con le famiglie.. . Roba che,

fosse successa ai tempi di Maradona, i Giuliano sarebbero scesi in armi da

Forcella, don Loigino in testa, a vendicare le vittime. Invece, qua, tutti

zitti.

«È cosa 'e niente», direbbe Eduardo. Cosa da niente, robetta, sembra far

intendere la società guidata da Aurelio De Laurentiis, che — al netto di una

battutaccia: «Chi gira per Napoli col Rolex non è ancora abbastanza

napoletano» — si blinda dietro un silenzio inquietante. Qualche manager per

parlare pretenderebbe la rilettura preventiva dell'articolo. Tutti minimizzano,

tranne Mazzarri che sui giornali descrive un'opera di «destabilizzazione»,

salvo poi addebitarla ai giornali stessi. Cosa 'e niente. Ma si mormora che

proprio Mazzarri sia pronto ad andarsene. Cavani pure. Magari anche gli altri

gioielli di una squadra che ha ridato orgoglio alla città dopo la B e il

fallimento. Nei bar di piazza dei Martiri, tra gli scaffali della Feltrinelli,

ai tavolini del Gambrinus, sui blog, monta la teoria del complotto. In molte

versioni. Si dice che De Laurentiis stia resistendo a un vero tentativo di

estorsione. Che abbia rotto una pax consolidata vendendo online i biglietti

delle partite e ledendo così gli interessi dei bagarini. Che perfino

l'abbandono del campo di Soccavo abbia fatto girare le scatole a qualche

padrino che ha perso l'indotto. Uno studioso degli ultra, Rosario Dello Iacovo,

manager dei 99 Posse, ammette che «il filotto di aggressioni insospettisce:

qualcuno potrebbe stare bussando a quattrini. Ma va anche tenuto d'occhio il

nuovo scandalo delle scommesse, lì s'è solo sollevato il lembo del lenzuolo».

Dello Iacovo è uno convinto che la camorra sia «una forma atipica di welfare»

ed è un frequentatore abituale delle curve A e B e di piazza Bellini, base di

partenza del tifo estremista. Ma anche un intellettuale indiscusso come Biagio

De Giovanni è preoccupato: «Il Napoli è un grande mito che unifica. Il merito

di De Laurentiis è stato riportarlo tra noi. A questi segni di vitalità la

camorra torna a interessarsi. E così sembra prendere di mira i giocatori del

Napoli, per entrare in tutti gli interstizi di un mito rinascente, gioco,

scommesse, biglietti». Non tutti la vedono così: «Totale fesseria, questa del

complotto», giura Claudio Botti, penalista famoso e artefice a suo tempo del

Te Diegum in onore di Maradona: «Sono tutti episodi non collegati. Se la

camorra vuole mandarti un messaggio, te lo manda molto più esplicito di così».

Insomma, se non è proprio cosa 'e niente, è roba da prendere con le molle.

Così ha fatto dall'inizio il questore Merolla: «Lei può rassicurare l'opinione

pubblica», ci dice. Ma poi aggiunge: «Per ora». Rispetto ai primi tempi di

totale diniego, resta la cautela eppure si nota un cambiamento: «Ci sono

episodi sottoposti a un'attenzione particolare, ma di qualità diversa». Tutti

in poche settimane, però. «Certo, la concentrazione temporale balza agli occhi

anche a noi, perciò guardiamo questi fatti con un certo interesse». Il furto

dei Rolex rappresenta un filo sottile che attraversa tutta questa storia. I

carabinieri del colonnello Minicucci hanno mappato i 78 colpi simili da inizio

anno, la rapina dell'orologio di lusso è un marchio della piccola mala

napoletana. «Ma una stranezza c'è: che adesso non si restituisca all'eroe il

maltolto», ammette Giovanni Melillo, il procuratore aggiunto che coordina le

indagini sulle otto aggressioni subite dai giocatori e dalle loro famiglie.

Quando derubarono Maradona i guaglioni fecero a gara per riparare alla sgarro.

«Il contesto è complesso. Allo stadio, in curva, vige la legge di camorra»,

spiega il procuratore, per il resto abbottonato come sempre. Ciò che Melillo

non dice è che certe sere, a fotografare le tribune dei vip, «verrebbe fuori

un gigantesco 416 bis per quanti pregiudicati ci trovi», come sussurra qualche

vecchio sbirro. Su certe frequentazioni le indagini sono aperte: agli atti

anche i rapporti tra alcuni calciatori del Napoli e i bravi guaglioni (il

Viminale identificò tre mesi fa i membri di 15 clan in curva). E se Maradona

si fece avviluppare dai Giuliano e dalla loro vasca a conchiglia, Lavezzi ha

dovuto spiegare ai pm il suo aggrapparsi a personaggi come l'imprenditore in

odore di riciclaggio Marco Iorio (socio di Fabio Cannavaro nel ristorante

«Regina Margherita») o Antonio Lo Russo, rampollo di capoclan («pensavo fosse

solo un capo ultrà»). Infortunato, per la partita col Genoa era in tribuna

vip: gli si sono assiepati i fedeli attorno, spalle al campo e ai gol della

squadra, per lunghi minuti, scandendo Po-cho! Po-cho! Forse per chiedergli

perdono. Forse perché, in una città dove tutto è cosa 'e niente, l'unica cosa

seria sono loro: questi ragazzini milionari che giocano a un gioco di cui non

sempre sanno bene le regole.

===

Il caso Gran parte dei presidenti vorrebbe una riduzione del numero dei club, ma fino al 2015 il format è bloccato dal contratto tv

Troppe venti squadre di A, ma la Lega non lo sa

di FABIO MONTI (CorSera 27-12-2011)

MILANO — Il problema è vecchio di almeno cinque anni, ma questa, semmai, è

un'aggravante. La serie A a 20 squadre, nata nel 2004-2005, come conseguenza

del caso Catania, non piace quasi a nessuno, ma nessuno si muove per avviare

un cambiamento del format. C'è un consistente nucleo di presidenti, da Moratti

a De Laurentiis ad Andrea Agnelli, che lo ha spiegato anche nell'intervista di

tre giorni fa, che considera le 38 giornate del campionato un elemento dannoso

per tutto il movimento di vertice. Il presidente del Coni, Gianni Petrucci,

non perde occasione per sottolineare la necessità di una riforma globale del

pallone, a fronte di una Lega come quella di serie A che parla sempre e

soltanto di soldi. E della questione si è parlato anche al famoso tavolo della

pace il 14 dicembre a Roma.

Sul piano sportivo, un campionato a 20 squadre impone: 1. rose troppo ampie;

2. aumento delle spese rispetto ai ricavi; 3. minor partecipazione della gente

negli stadi; 4. calendario congestionato con ripetuti turni infrasettimanali

(in notturna); 5. un consistente numero di partite inutili, soprattutto a fine

stagione (con la tentazione di illeciti sportivi o comunque di taciti accordi)

; 6. compressione degli spazi per coppe europee e nazionali; 7. Coppa Italia

con calendario super spalmato e seguita con attenzione dal pubblico soltanto a

partire dalle semifinali; 8. allenamenti azzerati per mesi, con elevato

rischio di infortuni.

La questione dovrebbe riguardare anche la serie B, con il presidente della

Lega, Abodi, che ha già manifestato la propria disponibilità a tornare alle 20

squadre del 2002-2003. La Lega Pro (ex serie C), quest'anno ha tagliato 13

club (mancati ripescaggi), per problemi economico-finanziari e conta di

scendere a 60 società (tre gironi da 20) nel giro di tre anni. Del resto, le

continue penalizzazioni in classifica proprio per il ritardato pagamento degli

stipendi (e affini) rischiano di falsare il verdetto sportivo del campionato.

Il deficit di serie A, B e Lega pro nella stagione 2009-2010 era stato di 345,

5 milioni di euro.

La Lega di serie A non sembra aver preso nemmeno in considerazione la

possibilità di tornare alle 18 squadre, preoccupata soltanto di ottimizzare i

ricavi dalla vendita dei diritti tv, destinati a sfiorare il miliardo di euro

grazie al nuovo contratto di cessione (triennale). Il discorso è rinviato al

2015, con notevoli danni per i club. Sulla modifica dei format, il presidente

della Figc, Abete (che aveva prospettato una rivoluzione del settore pro con

una serie A a 18, due gironi di B e tre di C), ha le mani legate, perché,

secondo lo Statuto, per muoversi serve l'autorizzazione della Lega

interessata. Resta da capire qual è la posizione del sindacato. È vero che la

riduzione degli organici comporterebbe una perdita di posti di lavoro in serie

A e in B (molti riservati a giocatori provenienti da federazioni estere), ma è

anche vero che un mese di attività in meno rappresenterebbe un modo per

salvaguardare meglio la salute dei calciatori, consentendo loro di allenarsi

di più e meglio. E che una riforma vera darebbe maggiori certezze economiche

anche ai calciatori. È venuto il momento che chi guida la Lega di serie A

affronti per primo l'argomento. Nell'interesse del calcio e non delle

corporazioni.

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Prima o poi qualche collega mi spiegherà cosa è successo perché ancora oggi

tra i maggiori siti di informazione juventina continuano ad esserci screzi ed

antipatie , come quella di non poter scrivere semplicemente Uecchia Signora

qui o non riportare (rectius, tagliare) juventinovero su altri siti in ordine

a citazioni d'articoli di giornale.

Deluso!

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Prima o poi qualche collega mi spiegherà cosa è successo perché ancora oggi

tra i maggiori siti di informazione juventina continuano ad esserci screzi ed

antipatie , come quella di non poter scrivere semplicemente Uecchia Signora

qui o non riportare (rectius, tagliare) juventinovero su altri siti in ordine

a citazioni d'articoli di giornale.

Deluso!

lo scopro ora

prova: ********************

e dove non si può riportare ju29ro?

Modificato da Gimli

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lo scopro ora

prova: Vecchia Signora

e dove non si può riportare ju29ro?

Vecchia<>Signora da congiungere...

Ho notato che nel forum Giù le mani riportavano un articolo (quello di Moncalvo)

tagliando la parte elogiativa su ju29ro...

Ma sono tanti i casi di veti incrociati adocchiati.

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Vecchia<>Signora da congiungere...

Ho notato che nel forum Giù le mani riportavano un articolo (quello di Moncalvo)

tagliando la parte elogiativa su ju29ro...

Ma sono tanti i casi di veti incrociati adocchiati.

vero.

e giulemani....si può scrivere?prova: giùlemanidallajuve GLMDJ

pare di si

Modificato da Gimli

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I due pentiti

di ROBERTO BECCANTINI dal blog "Beck is back" 27-12-2011

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi, scriveva Bertolt Brecht. Povera

Italia, allora. Le feste natalizie ce ne hanno portati addirittura due, di

eroi. Il primo, con nome e cognome; il secondo, senza. Un giocatore di calcio

e un ex carabiniere.

Simone Farina è un difensore del Gubbio, passato agli onori della cronaca per

aver rifiutato e denunciato la proposta indecente di 200. 000 euro – da

spartirsi con altri tre compagni di squadra – per truccare la partita di Coppa

Italia Cesena-Gubbio. Il gesto, straordinario, ha spinto il ct Cesare

Prandelli a invitarlo al raduno della Nazionale in vista dell’amichevole del

27 febbraio 2012 con gli Stati Uniti. Al netto dell’enfasi: dall’interno del

sistema, Farina ha sfidato ufficialmente il potere malavitoso che controlla il

giro immane, e infame, delle scommesse.

L’ex carabiniere, uno degli «intercettanti» all’epoca di Calciopoli, ha

svelato, nel corso di un’intervista, che l’inchiesta del procuratore Giuseppe

Narducci e del tenente colonnello Attilio Auricchio «fu gravemente

manipolata»: piste preferenziali, telefonate «da leccarsi i baffi» (non tutti,

però), schede svizzere spente, Inter ignorata, audio pro-Della Valle sparito.

Eccetera eccetera. Un «già sentito» inquietante. Al netto dell’enfasi: il

carattere parzialmente anonimo delle accuse, pesantissime, impone verifiche

rigorose.

Come dimostra il Watergate di nixoniana memoria, le gole profonde non sempre

sono discariche di menzogne. Auricchio ha già smentito con sdegno, ma lo

sdegno non basta. Nessun dubbio che Calciopoli 2 abbia allargato il fronte di

Calciopoli 1. Ciò doverosamente precisato, sono d’accordo con l’avvocato

Maurilio Prioreschi: in attesa che un Guariniello curioso apra un fascicolo,

il signor «Innominato» corra dai magistrati e racconti le sua verità (già

illustrate ai giornalisti).

Come ha fatto Simone Farina.

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L’INTERVISTA Carlo Petrini

“Soldi, truffe e doping

è il calcio di sempre”

di MALCOM PAGANI & ANDREA SCANZI (il Fatto Quotidiano 28-12-2011)

Gli è rimasto qualche desiderio. “Mi piacerebbe bere un caffettino”. Ottiene

una brodaglia nerastra allungata con l’acqua. Un fondo in cui leggere e

diluire passato e presente. Il campo adesso è un divano, la mobilità

un’illusione e l’orizzonte un muro di nebbia. “Ho tumori al cervello, al rene

e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e

dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di

vita. È stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da

assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare

dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci

sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche”. Ieri, abbattuto dalla

leucemia se n’è andato anche Sergio Buso. Saltava da portiere nella Serie A

degli anni 70. Quella raccontata da Carlo Petrini, centravanti di Genoa, Milan,

Roma, Bologna e di altre stazioni passeggere: “Da mercenario che pensava solo

a drogarsi, scopare, incassare assegni e alterare risultati”. Vinse, perse,

barò. Scrisse libri su doping e calcioscommesse. Fece nomi e cognomi. Rimase

solo. Il Carlo Petrini di ieri non c’è più. Il corpo che un tempo gli serviva

per conquistare amori di contrabbando e tribune esigenti tra San Siro e il

Paradiso, è un quotidiano inferno che gli presenta conti con gli interessi e

cambiali da scontare. A 63 anni, con il vento che scuote Lucca e non lo

accarezza più, non c’è Natale o epifania possibile. A metà conversazione,

mentre lamenta l’abbandono di chi un tempo gli fu amico: “Ciccio Cordova,

Morini, non mi chiama più nessuno”, un segno. Squilla il telefono. La voce di

Franco Baldini (San Prezzemolo - ndt). Il dirigente della Roma. Il nemico di

Luciano Moggi. Petrini gli parla: “Ho fatto molta chemio. Sto cercando di

superare il male. Io spero, Franco. Spero ancora”. Poi lacrima. In silenzio.

Rumore di rimpianto. E di irreversibile.

Petrini, come si racconterebbe a chi non la conosce?

Un presuntuoso. Un ċoglione. Uno che credeva di essere un semidio e morirà

come un disgraziato. Ero bello, forte, ricco, invidiato. Avevo tutto e ora non

ho niente.

Perché?

I miei errori iniziarono a metà dei ’60, al Genoa. Siringhe. Sostanze. La

chiamavano la bumba. Avevo 20 anni. Non smisi più. Il nostro allenatore,

Giorgio Giorgio Ghezzi, ex portiere dell’Inter, ci faceva fare strane punture

prima della gara. Un liquido rossastro. Se vincevamo, si continuava.

Altrimenti, nuovo preparato.

Cosa c’era dentro?

Mai saputo. L’anno dopo, disputammo a Bergamo lo spareggio per non retrocedere

in C. Il tecnico Campatelli scelse cinque di noi come cavie. Stesso intruglio

per tutti. Eravamo indemoniati. La punta, Petroni, sembrava Pelé. Vincemmo 2-0

e, in premio, ebbi il trasferimento al Milan.

Perché non vi ribellavate?

Venivamo da famiglie poverissime. Mio padre era morto a 40 anni, di Tetano.

Rifiutare le punture, le pastiglie di Micoren o le terapie selvagge ai raggi X,

significava essere eliminati. Fuori dal circo. Indietro, in cantina, senza

ragazze o macchine di lusso. Nei nostri miserabili tinelli, con la puzza di

aringa che mia madre metteva in tavola un giorno sì e l’altro anche.

Quindi continuò ad assumere sostanze proibite?

Ovunque andassi. A Roma il massaggiatore ce lo diceva ridendo: ‘A ragà, forza,

fa parte der contratto’. A Milano, dove mi allenava Rocco, feci invece i raggi

Roengten per guarire da uno strappo muscolare. Non so se Nereo sapesse. Con me

aveva un rapporto particolare: ‘Testa de casso, se avessi il cervello saresti

un campiòn’.

Di radiazioni Roengten, secondo la famiglia, morì anche Bruno Beatrice.

Fu mio compagno a Cesena, Bruno. Se ne andò a 39 anni, a causa di una rara

forma di leucemia, tra agonie e sofferenze atroci. Come tanti, troppi altri.

Si muore di pallone?

Hanno sperimentato su di noi. Non ci curavano, ci uccidevano. Vorrei sapere

con quali ausili gli eroi contemporanei disputano 70 incontri l’anno.

Lei insinua.

Affermo, ma non ho le prove. Nonostante l’impegno di Guariniello, hanno

nascosto tutto. Ai nostri tempi le punture le faceva chiunque e un minuto dopo,

sentivi un mostro che ti sollevava e ti faceva volare .

Chi ha nascosto tutto?

Allenatori, calciatori, presidenti. Il sistema che ancora foraggia con le

elemosine quelli capaci di non tradire. Gente che ogni mattina si alza con la

paura e che continua a tacere anche se oggi, grazie agli ‘aiutini’

farmacologici o è una lapide con un’incisione o recita da vegetale.

Di chi parla Petrini?

Di quel piccolo uomo di Sandro Mazzola, che ha smesso di parlare al fratello

Ferruccio. Di Picchio De Sisti, che nega l’evidenza nonostante la malattia. O

del commovente Stefano Borgonovo. Uno che sta molto male, aggredito dalla Sla

e che continua a sostenere che il pallone non c’entri nulla. Se non mi facesse

piangere, verrebbe da ridere.

E invece?

Sono triste. Vedendo come sei e come potresti essere, persino peggio di ora,

ti vengono mille domande senza risposte. Parliamo di gente che non ha

respirato amianto o fumi in miniera. Ha inseguito una sfera e muore

nell’indifferenza in una guerra non dichiarata. Non sono un dottore, ma non

può non esserci una relazione tra le mie malattie e quelle di altri calciatori.

Prova rancore?

A volte li sogno. Con i loro sorrisi falsi. Le loro bugie. Vorrei

cancellarli. Non ci riesco.

Lei fu tra i protagonisti del primo calcioscommesse, quello della

primavera 1980.

E oggi succede la stessa cosa. Partite combinate, risultati compromessi, soldi

gestiti dalla camorra, dalla mafia, dalla ‘ndrangheta.

La ‘ndrangheta forse uccise Bergamini. Lei ci scrisse un libro.

Che è servito per riaprire l’inchiesta, dopo più di 20 anni. Bergamini era

l’ingenuo, il ragazzo pulito, smarrito in una vicenda più grande di lui. La

scoprì, provò a uscirne e lo fecero fuori. Dentro la sua squadra, il Cosenza,

c’era chi organizzava traffici di droga. Bergamini era l’anello debole e fu

suicidato.

Nel suo libro lei ha intervistato anche il compagno di stanza di

Bergamini, Michele Padovano, appena condannato per traffico di

stupefacenti. Il padre del calciatore Mark Iuliano lo ha chiamato in

causa.

La sua condanna non mi stupisce. A fine intervista, Padovano si alzò

di scatto, mi mandò a fare in ċulo e provò a distruggere la

registrazione. Sono sicuro che lui sappia tutto della morte di Denis.

Tutto. Bergamini ne subiva l’ascendente. Del padre di Iuliano non so

cosa dire, su Mark si raccontavano tante cose, non solo sulla sua

presunta tossicodipendenza. Si raccontava che mandasse baci alla

panchina rivolti a Montero, un’ipotetica‘ p rova ’ della sua

omosessualità.

Dica la verità. Lei ce l’ha con la Juve, fin dal 1980.

Al contrario. La salvai. Nell’80 giocavo con il Bologna. Bettega

chiamò a casa di Savoldi e ci propose l’accordo. Tutto lo spogliatoio

del Bologna, tranne Sali e Castronaro, scommise 50 milioni sul

pareggio. Prima della partita, nel sottopassaggio, chiesi a Trapattoni

e Causio di rispettare i patti: ‘Stai tranquillo, Pedro, calmati’, mi

risposero.

Tutta la Juve sapeva?

Certo. Rivedetevi le immagini, sono su Youtube . Finì 1-1. Errore del

nostro portiere, Zinetti e autogol di Brio. Bettega ce lo diceva,

durante la partita: ‘State calmi, vi faccio pareggiare io’. La gente

ci fischiava e tirava le palle di neve. Una farsa. Quando lo scandalo

esplose, Boniperti e Chiusano mi dissero di scovare Cruciani e

convincerlo a non testimoniare contro la Juve: se li avessi aiutati,

loro avrebbero aiutato me. Fui di parola, incontrai Cruciani al

cancello 5 di San Siro, ero mascherato. Una scena surreale. Lui

accettò e la Juve si salvò dalla retrocessione. Ma alla fine pagai

soltanto io.

Le è rimasta la possibilità di raccontare.

Neanche quella. Ho dato fastidio a gente potente. Mi hanno minacciato

di morte e poi coperto con gli insulti. Per i Savoldi e i Dossena ero

un bugiardo, per Rivera un pornografo. Se l’era presa perché lo

descrivevo per quello che era, una fighetta. I miserabili sono loro.

Mi impedirono di andare persino a parlare nelle scuole. Zitto dovevo

stare, ma non ci sono riusciti.

E la scrittura?

Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è

ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua

a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà l’ultimo.

Perché?

Mi dedicherò a ricordare mio figlio Diego. Morì a 19 anni di tumore,

mentre chiedeva di vedermi e io ero in Francia, in fuga dai creditori.

Non me lo sono mai perdonato. Gli farò un regalo. Proverò a sentirmi

vivo. Sono distrutto e sofferente, ma non mollo. Vivere, ancora, mi

piace.

Ci sarà tempo?

Non è detto. Penso sempre al giorno in cui ci sarà giustizia. Aspetto

ma non viene mai.

Modificato da Ghost Dog

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Bilancio Il presidente aspetta che i club trovino l'accordo sul nuovo presidente per lasciare la Lega di A

Beretta fra dimissioni e rivoluzione

di FABIO MONTI (CorSera 28-12-2011)

MILANO — Con grande sorpresa da parte dei vertici dello sport italiano, il

presidente della Lega di serie A, Maurizio Beretta, in un'intervista a Sky

Sport 24, ha spiegato che «il bilancio per il calcio di A è positivo. Crescono

in modo significativo gli spettatori che guardano il calcio in tv: siamo oltre

i 9 milioni a giornata e questo è un risultato straordinario. Inoltre non

diminuiscono le presenze negli stadi, con una media di 230/240 mila spettatori

per turno». Secondo l'Osservatorio del calcio italiano, la media-spettatori

presenti allo stadio (23.675) risulta essere la peggiore degli ultimi quattro

anni, nonostante l'incremento di presenze per la Juve (66, 7%). Il calo

generale rispetto a un anno fa è del 4, 9%: 24. 901 spettatori di media nel

2010-2011; 25. 570 nel 2009-2010 (7, 4%); 25. 779 nel 2008-2009 (-8, 1%).

L'argomento-stadi, che faceva parte del suo cartello elettorale 2009, è stato

ignorato, mentre Beretta ha parlato dell'accordo-ponte con i calciatori

firmato il 5 settembre (scade il 30 giugno 2012), che ha permesso di compiere

«passi avanti per la sostenibilità del sistema calcio nel medio termine». Ha

sottolineato come siano stati «valorizzati i diritti tv in particolare a

livello internazionale»; sulla A a 18 squadre, ha commentato: «La posizione

della Lega sarà quella che verrà portata in discussione quando la maggioranza

dell'assemblea lo chiederà. Con le regole in vigore nessuno è in grado di

decidere per sé; sono processi che hanno un percorso decisionale complesso. Ma

sarebbe utile ragionare anche sulle rose».

Il presidente ha toccato la questione della responsabilità oggettiva: «Noi ci

siamo espressi tante volte in favore della revisione, perché è evidente che

può esistere il tentativo di condizionare i club in alcune decisioni». Ma

Beretta è il primo a sapere che la responsabilità oggettiva rappresenta la

pietra angolare sulla quale poggia tutto l'ordinamento sportivo, non soltanto

calcistico e italiano. Per i ricatti ci sono i tribunali.

Beretta ha ribadito di essere pronto a lasciare la guida della Lega di A (è

il responsabile delle relazioni esterne di Unicredit): «Ma è importante che le

società trovino quanto prima un accordo su un successore che le soddisfi e che

possa trovare un largo consenso. Aspetto un segnale per convocare un'assemblea

elettiva». Una storia che si trascina da sei mesi.

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Joined: 18-Apr-2007
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L’INTERVISTA Carlo Petrini

E la scrittura?

Mi è rimasta solo quella. Il nuovo libro, Lucianone da Monticiano, è

ancora su Moggi. Il mio compaesano. Uno che pur squalificato continua

a ricattare e a fare il mercato di mezza Serie A. Ma non sarà l’ultimo.

Patetico, anche lui per far soldi tira fango su Moggi. Petrini può raccontare quello che vuole di quando giocava lui, poi chi si sente calunniato farà ciò che crede. Ma sulla Juve di Moggi cosa può dire? Non ne ha mai fatto parte in nessun modo, cosa può raccontare se non le solite chiacchiere da bar facendo a gara a chi la spara più grossa.

Se poi leggo che Baldini della Roma, nemico di Moggi da sempre, è suo amico, allora ho già capito tutto.

Facciamo prima a dire che Baldini e gli organizzatori di Calciopoli pagano Petrini (che ormai non ha niente da perdere) per mettere in cattiva luce Moggi. Come Travaglio e tanti altri.

Moggi che ancora oggi controllerebbe mezza serie A. Si...... si vede.... proprio lui.........come trema la Figc incompetente quando vede Moggi. Ma come si fa a crederci?

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