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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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.........Rimane solo una questione da dirimere, pi

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Dossier Juve: i veri conti del ricorso al Tar

di GIOVANNI CAPUANO dal blog "Calcinfaccia" 15-11-2011

La richiesta danni da 443 milioni di euro merita uno studio approfondito

perch

Modificato da Ghost Dog

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CONI.it

15/11/2011

TNAS: Juventus F.C. SpA/FIGC e F.C. Internazionale Milano

SpA, il Tribunale dichiara la propria incompetenza

Il Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport, in riferimento alla

controversia Juventus F.C. SpA / Federazione Italiana Giuoco Calcio e F. C.

Internazionale Milano SpA, avente a oggetto l'atto del Consiglio Federale del

18 luglio 2011 di rigetto dell'istanza di revoca dell'assegnazione dello

scudetto stagione sportiva 2005/2006, comunica che il Collegio arbitrale,

composto dal Presidente, Dott. Angelo Grieco, e dagli Arbitri, Avv. Dario

Buzzelli e Avv. Enrico De Giovanni, dichiara la propria incompetenza.

Il lodo integrale

Roma, 15 novembre 2011

___

Il caso Con il Tnas chiuso il discorso sportivo,

Modificato da Ghost Dog

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da il giornale.it

Giustizia, le intercettazioni? Incastrano solo i poveri

Pavia, assolto ex assessore Pdl. Si

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E poi i carabinieri si lamentano delle barzellette che li prendono in giro. Questi lavorano con i piedi (quando non sono in malafede), sono intoccabili e vengono persino pagati.

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Botta e risposta Prima gli attacchi,

poi le prove di disgelo tra il presidente

del Coni e il numero 1 bianconero

Ma la tensione resta sempre alta

Intorno a un tavolo

===

Petrucci:

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DOMANDE PER CAPIRE

Dal Tnas fino al Tar: ecco perch

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ll tavolo si fa

Petrucci telefona

ad Agnelli e Moratti

Sono tutti d'accordo

In cima all'agenda Coni: bisogna chiudere

i conti col passato e parlare di riforme

di MAURIZIO GALDI (GaSport 17-11-2011)

Il clima si è davvero rasserenato, ieri il presidente del Coni Gianni Petrucci

e quello della Juventus Andrea Agnelli hanno avuto un «cordiale» scambio di

idee al telefono. La sera prima Petrucci aveva già sentito il numero uno

dell'Inter Massimo Moratti dopo le dichiarazioni di apertura fatte dal

presidente nerazzurro a un tavolo politico «della conciliazione». Un tavolo

che dovrà per forza vedere oltre a Juventus, Inter e Figc, la Fiorentina

(Della Valle per primo lo aveva proposto) e il Milan.

L'appuntamento La prossima settimana Petrucci sarà per impegni internazionali

a Sochi e Mosca, ma al rientro dalla Russia si concentrerà esclusivamente

sulla messa a punto dell'agenda e degli inviti per il tavolo che dovrà sì

guardare indietro, ma soprattutto avanti. Il cruccio di Andrea Agnelli resta

l'esposto presentato a maggio 2010 e al quale la risposta è stata dato solo

«quattordici mesi dopo», a fine luglio 2011. A questo Petrucci vuole e darà

una risposta chiara e spera anche definitiva. Poi, però, si deve fare un passo

avanti e guardare al futuro del calcio che — e nel suo appello Petrucci lo ha

ribadito — «rischia di essere commissariato dalla pubblica opinione». Lo

scudetto 2006 sarà sicuramente l'argomento principale. Agnelli vuole che si

faccia chiarezza, ma non può diventare una condizione determinante. La

Juventus vuole che si faccia definitiva chiarezza su come si è arrivati alla

decisione di «non competenza» da parte della Federcalcio sulla revoca dello

scudetto, ma questa volta non dovrà essere una «battaglia» di pareri, ma dovrà

esserci quello politico del Coni. Poi, però, si dovrà guardare avanti.

Petrucci su questo è categorico: «Dobbiamo parlare del calcio del futuro» e

Agnelli lo appoggia. Legge 91 (quella del professionismo), legge sugli stadi,

legge Melandri per i diritti televisivi i temi da affrontare e su questo dovrà

intervenire anche il neoministro allo Sport Gnudi.

Abete e il tavolo E anche il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete

avrà avuto modo di parlare con Petrucci, ma il loro è un rapporto costante

soprattutto in questi giorni, per cui anche da parte sua viene la piena

disponibilità a sedersi intorno a un tavolo: «È un momento importante — ha

detto a margine del convegno "Cosa significa gestire una società di calcio"

organizzato dal Novara —. Spero naturalmente che la disponibilità sia

confermata anche nel momento in cui bisognerà fare ulteriore chiarezza e

approfondire i contenuti. Sono d'accordo con il presidente Petrucci quando

dice che c'è il tentativo di molti di portare il calcio fuori dalla dimensione

sportiva». Favorevoli al tavolo politico anche alla Lega di A, il presidente

Beretta spiega: «Mi sembra che ci sia una grande interesse a raccogliere

l'idea di un percorso che getti le basi per una ritrovata serenità». Galliani:

«Un tavolo serve certamente per abbassare i toni. Chi andrà, dovrà essere

dotato di buona volontà».

===

IL CASO IL PRESIDENTE DELLA LAZIO E I DIRIGENTI VIOLA ANDREA DELLA VALLE E MENCUCCI SOSPESI DOPO I VERDETTI DI COLPEVOLEZZA PER FRODE SPORTIVA

Lifting alla norma per salvare Lotito & C.

La Lega chiede di cambiare l'articolo 22 delle Noif:

revoche solo con sentenze definitive, non punire due volte per lo stesso reato

di MARCO IARIA (GaSport 18-11-2011)

«Le nostre società di calcio sono spa con fatturati milionari, non si possono

sospendere i dirigenti che non siano stati condannati in via definitiva, e per

di più dopo aver già pagato con una sanzione sportiva per lo stesso fatto». La

Lega di A erige un muro a difesa dei suoi associati, e nella fattispecie il

presidente della Lazio Claudio Lotito, Andrea Della Valle e Sandro Mencucci,

rispettivamente consigliere d'amministrazione (oltre che presidente onorario)

e a.d. della Fiorentina, condannati per frode sportiva nel processo di primo

grado di Calciopoli e per questo immediatamente sospesi dai loro incarichi

societari dalla Federcalcio. Il consiglio di Lega riunitosi ieri in via

straordinaria chiede, quindi, la revisione del famigerato articolo 22 bis

delle Noif, le norme organizzative interne della Figc, da mettere sul tavolo

nel prossimo consiglio federale, «che va convocato con la massima urgenza». La

delibera è passata con sette voti a favore (Beretta, Agnelli, Galliani, De

Laurentiis, Zamparini, Ghirardi e Lo Monaco) e un'astensione, quella

dell'Inter rappresentata dall'a.d. Paolillo. Che spiega: «La modifica è giusta,

ma sarebbe meglio arrivarci da sospesi per restare nelle norme».

Reazioni Se Abete aveva già offerto la disponibilità a eventuali modifiche

normative in una lettera inviata a Beretta («l'ho apprezzata», ha detto il

presidente di Lega), precisando che la competenza spetta al consiglio federale

e quindi a tutte le componenti, il numero uno del Coni Petrucci liquida la

delibera con una battuta: «Nel giorno in cui tanti esponenti del calcio

italiano cercano di trovare soluzioni per chiudere col passato e costruire un

futuro migliore, per la Lega di Serie A l'unico problema urgente è

rappresentato dalla modifica dell'articolo 22 delle Noif. Comunque, ne prendo

atto e, quando l'argomento arriverà alla Giunta del Coni per la definitiva

approvazione, faremo le nostre opportune valutazioni». Nel frattempo, la Figc

ha chiesto un parere interpretativo alla Corte di giustizia federale perché il

quadro di riferimento non è chiaro, compreso il ruolo di Lotito quale

consigliere federale: può partecipare o no alla prossima riunione?

Dettagli La Lega chiede la revisione del comma 1 del 22 bis, perché «non

conforme all'ordinamento generale». Poi la soppressione del comma 3, che fa

riferimento a condanne non definitive: in questo modo — è l'obiettivo della

Serie A — sarebbero automaticamente revocate le sospensioni dei tre dirigenti.

Infine, la modifica del comma 2, per evitare che chi sia stato già sanzionato

dagli organi disciplinari per lo stesso fatto (Lotito, Della Valle e Mencucci

furono squalificati nel 2006 per Calciopoli) paghi una seconda volta, anche in

presenza di una condanna passata in giudicato. «Vogliamo che i dirigenti di

club siano trattati come gli amministratori di una qualsiasi azienda», chiosa

Beretta.

===

GALLIANI A PETRUCCI SULLE «DIMISSIONI»

«Beretta è e resta il nostro presidente»

di ANTONELLO CAPONE (GaSport 18-11-2011)

«Un presidente c'è ed è Maurizio Beretta. E resta. Dopo essere diventato top

manager di UniCredit ci ha detto di essere pronto a dare le dimissioni, ma non

gliel'abbiamo chieste. Lui ha dato disponibilità a dimettersi quando glielo

avremmo chiesto, ma noi non lo abbiamo fatto e quindi non è dimissionario. La

Lega funziona. Bene»: detto ad alta voce prima del Direttivo da Galliani,

vicepresidente del Milan, dirigente con maggiore esperienza del calcio.

Risponde a Petrucci che aveva detto: «Beretta si è dimesso a marzo, possibile

che i presidenti non siano riusciti ad eleggerne un altro? Non possiamo andare

avanti così, facciano qualcosa di costruttivo ed eleggano il nuovo presidente.

Lega A a rischio commissariamento? Questo non lo so, ma loro lo sanno visto

che hanno fatto tanti studi per vedere se potevano essere commissariati».

Subito con Gnudi Beretta incassa la fiducia di chi non è stato tenero a volte

con lui al pari di Cellino del Cagliari che ieri lo abbracciava e il consiglio

esprime «forza a uno con il quale stiamo ottenendo grandi risultati. Dà

fastidio?». Può cercare a pieno titolo il ministro Piero Gnudi «per proseguire

su riforma della '91 e stadi». La «A malata di doping legale»? Agnelli viene

con Briamonte, Lotito con Gentile «perché ci piace stare con chi sa». Poi

Galliani, per una volta senza Cantamessa, fa: «Dubbi su qualcosa? Chiedete a

Briamonte». Sull'accordo collettivo con l'Aic, Beretta chiosa: «Forse Petrucci

dimentica che è stato firmato a settembre con una cerimonia. Fece pure i

complimenti. E' operativo in tutto e per tutto. Stiamo solo perfezionando

d'intesa con l'Aic i collegi arbitrali».

___

Sì alla pace per Calciopoli

ma i presidenti pensano ad altro

La Lega parla solo di salvare Lotito & C. Petrucci furioso

di STEFANO SCACCHI (la Repubblica 18-11-2011)

I dirigenti della Serie A si accodano alla proposta di Andrea Agnelli, accolta

da Gianni Petrucci, per tentare una pacificazione su Calciopoli: un tavolo

aperto a tutti i protagonisti della vicenda. «E´ un´idea da accogliere», dice

il numero uno della Lega Calcio, Maurizio Beretta. «Sono assolutamente

favorevole ad abbassare i toni», aggiunge Adriano Galliani. Scettica la

Fiorentina che, con Diego Della Valle, aveva già pensato tempo fa a una

soluzione simile: «E´ un´iniziativa piuttosto datata», osserva il presidente

viola, Mario Cognigni. Anche Giancarlo Abete è favorevole, ma con qualche

distinguo: «Mi sembra che ci sia la disponibilità a sedersi a questo tavolo

politico. Ma fare collegamenti tra i procedimenti penali e l´ordinamento

sportivo è una violenza nei confronti del mondo sportivo».

Le due dimensioni si sono sovrapposte anche nel Consiglio di Lega di ieri che

ha approvato una delibera di modifica dell´articolo 22 bis delle Norme

organizzative interne della Figc (sette voti favorevoli, l´Inter si è astenuta)

da sottoporre all´attenzione del prossimo Consiglio federale: i club chiedono

di rimandare la decadenza dei dirigenti alla sentenza definitiva (adesso basta

il primo grado) e di non tenere conto del periodo di sospensione già scontato

in seguito ai provvedimenti della giustizia sportiva. «E´ una semplice

equiparazione alla disciplina applicata ai manager di ogni altra azienda»,

spiega Beretta. I beneficiati sarebbero soprattutto Claudio Lotito (Lazio),

Andrea Della Valle e Sandro Mencucci (Fiorentina), condannati in primo grado

dal Tribunale di Napoli per Calciopoli. La Figc non fa salti di gioia. La

richiesta viene considerata legittima, ma sconveniente per la sua tempistica,

così vicina alla decisione dei magistrati napoletani. E non piace nemmeno la

fretta dei club per un´immediata convocazione del Consiglio federale. La Figc,

infatti, sta ancora aspettando il responso della Corte di giustizia federale

sulla legittimità della presenza di Lotito alle riunioni di Via Allegri. Molto

dura la reazione di Petrucci: «Nel giorno in cui tanti esponenti del calcio

italiano cercano soluzioni per chiudere col passato, per la Lega l´unico

problema urgente è rappresentato dalla modifica dell´articolo 22. Ne prendo

atto e, quando l´argomento arriverà alla Giunta del Coni per la definitiva

approvazione, faremo le nostre opportune valutazioni». E il tavolo su

Calciopoli non è stato l´unico argomento accantonato per parlare di norme ad

personam: il Consiglio di Lega ha glissato sulla questione "ranking Uefa",

all´ordine del giorno per trovare rimedi a un´ulteriore discesa in classifica

dell´Italia nella graduatoria delle coppe europee.

___

IL CONI CERCA UNA SOLUZIONE GIURIDICA: «PERÒ NON DISTRIBUIAMO SCUDETTI»

Le gambe corte

La Juve rinuncerà al Tar solo se sarà revocato il titolo 2006

L’Inter è contraria. E il tavolo della pace parte traballante

di MASSIMILIANO NEROZZI (LA STAMPA 18-11-2011)

Al tavolo su Calciopoli ci si siederebbe per far la pace, o almeno trattare

accettabili rese, ma se le parole restano di guerra, tanto vale lasciar

perdere. Perché i tavoli, come le bugie, si ritrovano poi con le gambe corte.

Se il dialogo a distanza tra il presidente del Coni, Gianni Petrucci, e quello

della Juve, Andrea Agnelli, era approdato a promesse di armistizio, ieri

Giancarlo Abete ha di nuovo impugnato l’ascia: «Chi va al di là dei

regolamenti sportivi commette un vero e proprio atto di violenza - ha detto il

numero uno della Federcalcio - e la Figc non è un fortino da espugnare, ma un

insieme di regole.

Da bambino, mi hanno insegnato che chi giudica va rispettato, evidentemente

qualcun altro non ha ricevuto lo stesso insegnamento». Il riferimento a molti

presidenti e società era quasi universale. Perciò al tavolo si lavorerà, ben

conoscendo le difficoltà. L’accordo potrebbe finire con un pragmatico baratto:

ritiro del ricorso al Tar da parte della Juve, davanti al riconoscimento della

parità di trattamento e conseguente confisca dello scudetto 2006 all’Inter. Ma

è una strada decisamente accidentata.

Il tempo della pace Il Coni dovrà pianificare le tappe della trattativa, ma

Petrucci, prudentemente, ha intenzione di aspettare il parere dei saggi, prima

di iniziare. Per qualcuno, si è già in ritardo: «Mi pare che il tavolo della

pace sia un’iniziativa un po’ datata - ha chiosato il presidente della

Fiorentina Mario Cognini - perché il nostro patron, Diego Della Valle, aveva

lanciato una proposta identica. Non è stata accolta in maniera ottimale». La

Juve non vorrebbe invece attendere troppo, dopo aver atteso oltre un anno la

risposta della Federcalcio all’esposto sulla revoca dello scudetto 2006:

un’altra lunga attesa, somiglierebbe a una presa in giro.

Do ut des

Per potersi sedere, bisognerà essere disposti a rinunciare a qualcosa, come

in tutti gli accordi. E qui l’ostacolo pare essere soprattutto il titolo 2006.

La Juve lo mette in menù, visto che Agnelli ha fatto riferimento a tutti i

fatti emersi dal 2006 a oggi. E se Moratti a riconsegnarlo non ci pensa

neanche, testuale, della stessa idea sembra essere il Coni: al tavolo non si

distribuiscono scudetti, è la linea di Petrucci. Ha già fiutato il pericolo

anche Abete: «Spero che la disponibilità al tavolo sia confermata anche nel

momento in cui bisognerà fare ulteriore chiarezza e approfondire i contenuti».

I commensali

Non resta che compilare l’elenco degli invitati. Il club ristretto sarebbe

composto da Coni, Figc, Juve e Inter. Ma un siffatto privé taglierebbe fuori

altri protagonisti di Calciopoli, come Milan, Fiorentina e Lazio. Per tacere

delle attuali incompatibilità personali: al momento, diciamo che Claudio

Lotito non è proprio in ottimi rapporti con i governi di calcio e sport

italiano. Così come resta in bilico l’affinità con il presidente di Lega

Maurizio Beretta, in rotta con il Coni.

I ricorsi dei bianconeri

Se la Juve vorrebbe mettere sul tavolo lo scudetto 2006, le altre parti

desiderano sapere a cosa Agnelli è disposto a rinunciare: soprattutto al

ricorso al Tar per risarcimento danni alla Figc. Seppur lontana, una fattura

da 443 milioni è una robusta minaccia. Per la Federcalcio, una rischiosa

partita a poker, specie se l’avversario non ha intenzione di ritirarsi: cioè

di farla finita con le carte bollate. Questione strategica, anche: il prezzo

sarebbe quella parità di trattamento invocata da Agnelli, e nelle carte degli

avvocati Briamonte e Chiappero, oltre al tricolore 2006. Il guaio è che la

Juve miscela sentenze penali e pronunce sportive, pozione più velenosa per la

Figc. «Fare collegamenti tra i procedimenti penali e l’ordinamento sportivo ha

sottolineato Abete - è una violenza nei confronti del mondo sportivo. Sono due

ordinamenti diversi. Per questo avevo detto che qualunque sarebbe stata la

sentenza di Napoli era un grave errore e una forzatura andare a vedere

faziosamente gli effetti che poteva dare». Dove la Federcalcio vede faziosità,

la Juve ci ha trovato un pezzo di assoluzione, società liberata da

responsabilità civile. «Come dice Petrucci - ha chiuso Abete - c’è il

tentativo di molti di portare il calcio fuori dalla dimensione sportiva».

___

NEL RISIKO DEL CALCIO

IL VERO OBIETTIVO

È LA FEDERAZIONE

Guerra di potere Agnelli vuol tornare apesare, la Lega è «vuota» di potere

e attacca la Figc. Moratti accetta il tavolo: «Al Coni non posso dire no...»

di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 18-11-2011)

All’origine fu Calciopoli, un meteorite piovuto sul calcio italiano dal nulla

apparente. Da quel cratere i padroni del calcio italiano ne uscirono meno

ricchi, e per questo più accorti alle moderne voci di fatturato, con due

principi al di sopra del bene e del male: il tifoso e il marchio. In loro

difesa sono disposti a tutto, anche a passare dalle partite di calcio alle

aule dei tribunali. Manca solo l’album figurine con la foto degli avvocati dei

club: Briamonte, Gentile, Cantamessa, sono loro i nuovi protagonisti del

calcio. Dal «doping economico», dunque al «doping legale», come denunciato

mercoledì da Gianni Petrucci. Non a caso, nel suo triplo «non ci sto» lanciato

contro l’attuale pallone («drogato di avvocati e arroganza »), il presidente

del Coni finisce col citare il più illustre tra i suoi predecessori, Giulio

Onesti (32 anni alla guida del Coni). Quasi preconizzando quanto accade oggi

allo sport più popolare d’Italia, nel parlare di crisi del calcio, Onesti

denunciava anche «la leggerezza di certi dirigenti di società che si fanno

guidare dal tifo, cioè da un impulso irrazionale ». Era il 1958 ma sembra sia

passato un minuto, allora era lo spettro del boom economico e dei nuovi ricchi,

oggi le toghe e i continui ricorsi, innomedella tutela del tifoso. L’attacco

epocale di Petrucci al calcio parte dalla stessa Calciopoli, e dalle

difficoltà che trovano Juventus e Inter nel trovare una via di mezzo sullo

scudetto della discordia.

Il suo richiamo ha fatto presa dove Diego e Andrea Della Valle non erano

riusciti: il tavolo di confronto, o di pace, ora lanciato da Andrea Agnelli e

accettato senza remore da Massimo Moratti («Se mi invita Petrucci non posso

rifiutare»). Difficile prevedere quale sarà l’effetto, in un perimetro

delimitato (oltre ai Della Valle e alla Figc, si ipotizza anche la presenza di

Galliani, unico presidente condannato al processo sportivo ma non a quello

penale), anche perché la Juve chiede di «chiarire i lati oscuri di Calciopoli

», ergo la revisione di cinque anni di nuovi elementi di indagine trascurati

dalla Federazione. Ma l’Inter replica: «Niente da giustificare». Altro che

disgelo, certo un passo avanti, di dialogo e non di articoli e commi, ma di

solito i tavoli nascono per non cambiare nulla. La minaccia della Juve è però

seria e rischia esiti simili al caso Sion-Uefa, con il pericolo di portare il

calcio italiano fino alla Corte Europea. Elemento da non trascurare, la

richiesta danni fatta alla Figc (443milioni), che manderebbe in bancarotta

chiunque. Inevitabile l’intervento del Coni in sua difesa, anche se per ora

modalità, tempi, luoghi di questo tavolo restano da valutare.

LA GUERRA POLITICA

Nel sottobosco prolifera da tempo una guerra politica tra una Lega

spaccatissima anche in questo e Figc, in cui si situano due differenti

schieramenti come una partita a Risiko. Le milanesi più vicine alla

federazione, Juventus, Lazio (e più defilata la Fiorentina) che guidano invece

il treno degli scontenti di Calciopoli , chiedendo a gran voce la testa del

presidente federale Giancarlo Abete, bersagliato anche per i recenti

fallimenti del calcio italiano (dalle sconfitte della Nazionale alla quota

extracomunitari, alla mancanza di risultati in Europa da parte dei nostri club)

, e per un Consiglio ormai immobile su tutto (e qui gli attacchi arrivano

anche dalle altre Leghe). In questo senso andrebbe letta allora la recente

autoriforma del Coni, che con la scusa dei tagli economici, punta anche a

dimezzare le cariche federali, spostando la bilancia delle decisioni dai tanti

ai pochi. «L’arroganza », ripete più volte Petrucci, irritato dall’attacco

diretto nei confronti del Coni (mai era successo prima), da parte del

presidente della Lazio, Claudio Lotito per l’affitto dello stadio Olimpico.

Lotito che è il braccio destro di un presidente di Lega, Maurizio Beretta,

dimissionario da marzo e ormai sfiduciato, ma ancora sul trono. Eccolo l’altro

attacco al calcio di vertice, quello più incalzante di Petrucci: «Possibile

che in 60 milioni di italiani, non si riesca a trovare un nuovo presidente di

Lega?». Ma un re senza trono fa i signorotti più ricchi, così un golpe a

Beretta lo invocano in molti ma sembra non interessi a nessuno. In Lega il

blocco sui punti cardine regna sovrano, sui diritti tv è guerra aperta con

fronti mobili (le grandi da una parte, Roma e Napoli aghi della bilancia, la

Lazio tra le piccole a dettare l’agenda). L’ultimo scontro tra club e Figc è

arrivato ieri riguardo l’articolo 22 bis delle Noif (norme organizzative

interne federali), che prevede il decadimento delle cariche ai condannati per

frode sportiva (anche se non passata in giudicato). Ieri il Consiglio di Lega

ha approvato una delibera (7 favorevoli e un astenuto), in cui si chiede alla

Federcalcio di affrontare, nel primo Consiglio federale («che auspichiamo sia

convocato con la massima urgenza », ha detto Beretta) la revisione

dell’articolo 22. «Nel giorno in cui tanti esponenti del calcio italiano

cercano di trovare soluzioni per chiudere col passato e costruire un futuro

migliore,- ha appurato ieri Petrucci - per la Lega di Serie A l’unico problema

urgente è rappresentato dallam odifica dell’articolo 22 delle Noif». C’era

anche Lotito, il deus ex machina di Beretta, suo grande amico e sceneggiatore

(con la Juve) dell’eterna diatriba con i calciatori sul contratto collettivo,

culminata con lo sciopero, voluto di prepotenza dagli stessi presidenti.

«Siamo a novembre e ancora non c’è uno straccio di accordo per il rinnovo del

contratto...», ha tuonato Petrucci, ma così a giugno si rischia una nuova

serrata, anche perché nelle nuove bozze di modifica alla Legge 91, tornano di

moda i trasferimenti coatti: Tommasi è avvertito, ma anche la Lega, a perenne

rischio commissariamento. Petrucci la vede anche peggio: «Altro che dal Coni,

il calcio rischia di essere commissariato dalla pubblica opinione».

___

CALCIOPOLI JUVE NEL MIRINO

«Basta assalti al fortino»

ABETE «Facciamo rispettare le regole pure a chi ha milioni di tifosi»

di VITTORIO OREGGIA (Tuttosport 18-11-2011)

NOVARA. L’ennesima bastonata alla Juventus, terza in ordine cronologico da

martedì a ieri, l’ha ri-assestata Giancarlo Abete , il presidente federale,

intorno all’ora di pranzo nell’auditurium di Novarello, dove in teoria avrebbe

dovuto parlare della «condizione del calcio in Italia in confronto a quello

europeo», ultimo relatore del convegno «cosa significa allestire una società

di calcio», ma in pratica ha chiacchierato di tutt’altro. Senza mai nominare

la società bianconera, con un eloquio ficcante, a tratti abrasivo, il capo

della federazione è stato, per certi versi, persino più puntuto di Gianni

Petrucci , il presidente del Coni. Perché già solo la reiterazione di certi

concetti dopo la proposta di aprire un tavolo di confronto porta con sé molti

significati, e non tutti nascosti. Abete non ha mai usato la vanga, però è

stato lesto, lestissimo con la sciabola: una, due, tre stoccate, fino a

concludere con una frase fortissima, questa: «La Federazione non ha figli e

figliastri, è un soggetto che - pur sbagliando - rispetta e fa rispettare le

regole. Soprattutto, non è un fortino da espugnare, qualunque siano le società

con milioni e milioni di tifosi».

FERRO Il problema, come ha sottolineato il presidente federale, non è di

«rapporti personali», è assai più ampio. Così ampio da diventare un caso

nazionale: «E’ giusto tenere distinti i ruoli e il rispetto degli stessi può

portare anche ad atti che sottintendono una valenza politica: la richiesta di

commissariamento è un atto e ha una valenza politica. Io non commetterò mai

l’errore di personalizzare». E’ ovvio, comunque, che la Juventus viene vista

come un soggetto/oggetto da maneggiare con cura: «La proposta di Agnelli è

interessante ed è stata subito recepita dal presidente Petrucci. Agnelli ha

anche consegnato a Petrucci l’agenda: dunque aspettiamo, malgrado il ferro

vada battuto finché è caldo. La considero un’occasione da cogliere». Però

esiste un però e non di poco conto: quali saranno i temi della discussione?

L’idea che Calciopoli e lo scudetto del 2006 possa non essere materia di

dibattito è predominante. In qualche modo, Abete lo ha lasciato trapelare tra

le pieghe delle sue considerazioni: «Bisognerà fare chiarezza e approfondire i

contenuti...». Tra il presidente federale e il presidente del Coni «c’è

condivisione totale di pensiero» e contatti telefonici «ripetuti e

quotidiani»: insomma, un fronte compatto, non un’armata brancaleone allo

sbaraglio.

FOLKLORISTICO Abete ha cominciato il suo intervento togliendosi qualche

sassolino dalla scarpa, anzi una pietraia. «Per parlare di sport bisogna avere

ben presenti quali sono i valori etici di riferimento. Se no parliamo di

business. Io dico che prima di modificare le regole bisogna rispettarle. Mi

rifaccio al filosofo tedesco Immanuel Kant che aveva due riferimenti: il cielo

stellato sopra di noi e la legge morale dentro di noi». Concetti “alti”, mica

bruscolini. Poi, però, dall’albero sono precipitate pesantissime noci: «E’

singolare e anche folkloristico l’atteggiamento di chi vuole estrapolare la

posizione di una società dal contesto globale. Perché questo genere di

iniziativa viene rispedita al mittente», salvo precisare che il riferimento

non era rivolto esclusivamente alla Juventus «visto che c’è ricchezza di

possibilità per fare altri esempi». Eppure il nodo è sempre il medesimo:

«Bisogna non avere la presunzione di pensare di poter modificare delle norme

automaticamente». Boom. Ma il numero uno di via Allegri ha avuto la forza per

andare oltre: «Non è ammissibile che ciascuno voglia farsi la sua etica a

livello personale. Si è perso il riferimento delle regole e dell’ordinamento

sportivo. Creare un collegamento strutturale tra il processo penale e

l’ordinamento sportivo è una violenza che determina un vulnus». Altro giro,

altro regalo: «Nella giustizia penale non esiste l’articolo 1 o l’articolo

6...». Chi vuole intendere...

FORTINO E siamo ai gesuiti. Abete ha ricordato di essere cresciuto con i

princìpi della Compagnia di Gesù. E ha imparato molto. Cosa? Uh, c’è

l’imbarazzo della scelta. Ha imparato «che i risultati si conquistano sul

campo e che la giustizia sportiva può dare luogo, con torto o ragione, a delle

sanzioni»; che «nella vita ci va rispetto delle diversità e ci va tolleranza,

atteggiamenti che non sempre si riscontrano nel mondo del calcio»; che

«bisogna portare rispetto per chi giudica»; che «il Consiglio Federale non può

modificare atti amministrativi collegati alle decisioni di soggetti

autorizzati a decidere». Amen. Non dai gesuiti ma dal proprio buonsenso, Abete

ha imparato pure un’altra cosa: «E’ indispensabile trovare un punto di

equilibrio tra ciò che fa fare la passione sportiva e il ruolo che si

ricopre»: e qui il riferimento a chi è? Già, a chi è se non ad Agnelli?

Passaggio rapido sulla sentenza di Napoli: «Occorre avere una serena

attenzione perché siamo al primo grado di giudizio». Poi i figli e i

figliastri e il fortino da espugnare...

===

Intanto la Figc consente a De Santis

di chiedere maxi risarcimento all’Inter

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 18-11-2011)

ROMA. Ebbene sì, non è doping legale quello di Massimo De Santis che chiama in

giudizio per un risarcimento da 21 milioni di euro l’Inter. Proprio ieri il

fax firmato da segretario Figc, Antonio Di Sebastiano, che all’ex arbitro -

super-spiato dalla security Telecom per conto del club milanese stando a

quanto emerge nel procedimento Telecom a Milano - può confermare

l’appuntamento in aula il 13 marzo prossimo. «Tenuto conto che la fattispecie

di cui all’istanza esula dall’ambito sportivo, l’azione dinanzi al Tribunale

Civile di Milano non necessitava di autorizzazione ex articolo 30 dello

Statuto Figc». Esula dall’ambito sportivo? Ma secondo via Allegri non lo

pedinavano - il De Santis - per come arbitrava, e se lo faceva favorendo la

Juve?

===

La delibera pro Lotito-Della Valle irrita Petrucci

La Lega vuole che la decadenza dalle cariche scatti dopo il verdetto definitivo. «Il Coni valuterà...»

di STEFANO SCACCHI (Tuttosport 18-11-2011)

MILANO. La giornata, che si era aperta con una serie di adesioni alla proposta

del “tavolo della pace” su Calciopoli lanciata mercoledì da Andrea Agnelli ed

accolta da Gianni Petrucci, si chiude con nuove tensioni tra le istituzioni

dello sport italiano: Lega Calcio di A, Figc e Coni. La scintilla scocca da

una delibera approvata ieri dal Consiglio di Lega con 7 “sì” e 1 astenuto:

l’ad dell’Inter, Ernesto Paolillo. A verbale il parere favorevole di Massimo

Cellino che ha partecipato alla riunione come uditore non essendo consigliere

(«E’ una norma idiota», avrebbe detto).

MODIFICHE ANTI-SOSPENSIONE I club chiedono al prossimo Consiglio federale di

modificare l’articolo 22 delle Norme organizzative interne della Figc,

diventato improvvisamente attuale dopo le condanne penali subite da Claudio

Lotito, Andrea Della Valle e Sandro Mencucci al termine del processo di primo

grado su Calciopoli a Napoli. Provvedimenti che determinano la sospensione dei

dirigenti dai rispettivi organigrammi sociali. Per questo motivo la Lega,

segnalando anche alcune contraddizioni con altre norme delle Noif (in

particolare l’articolo 10), chiede di rimandare la decadenza alla sentenza

definitiva e di non tenere conto del periodo di squalifica già scontato in

seguito ai pronunciamenti della giustizia sportiva, come successo a Lotito,

Della Valle e Mencucci nel 2006. «E’ una semplice equiparazione alla

disciplina applicata ai manager di ogni altra azienda», spiega Beretta.

FIGC SCETTICA Ma in Figc la richiesta della Lega non suscita grandi

entusiasmi. In linea di principio la proposta viene ritenuta corretta, anche

se si ricorda che l’articolo 22 si colloca in un sistema di regole associative

dello sport, ispirate da una forte carica etica: il titolo è “disposizioni per

l’onorabilità”. Ciò che non piace, poi, alla Figc è la tempistica, troppo

vicina alle condanne di Napoli per non destare sospetti di “personalismo”. E

viene ritenuta incongrua la sollecitazione a convocare velocemente il

Consiglio federale. La Federazione è in attesa del parere della Corte di

giustizia federale sulla legittimità della presenza di Lotito alle riunioni di

Via Allegri.

L’AVVISO DI PETRUCCI Ancora più dura la reazione del presidente del Coni,

Petrucci, che a fine pomeriggio, commenta: «Nel giorno in cui tanti esponenti

del calcio italiano cercano soluzioni per chiudere col passato, per la Lega

l’unico problema urgente è rappresentato dalla modifica dell’articolo 22. Ne

prendo atto e, quando l’argomento arriverà alla Giunta del Coni per la

definitiva approvazione, faremo le nostre opportune valutazioni». Passano così

in secondo piano le dichiarazioni favorevoli al “tavolo della pace” arrivate

poche ore prima. «E’ un’idea da accogliere», dice Beretta. «Sono favorevole ad

abbassare i toni», aggiunge Adriano Galliani. Scettica solo la Fiorentina che,

con Diego Della Valle, aveva già pensato tempo fa a una soluzione simile.

RANKING DIMENTICATO Alla fine, in Via Rosellini, ha prevalso l’urgenza

sull’articolo 22 che ha costretto ad accantonare anche la discussione sul

“ranking Uefa”. All’ordine del giorno c’era anche la necessità di trovare

qualche incentivo utile a stimolare risultati più convincenti delle nostre

squadre soprattutto in Europa League per evitare ulteriore declassamenti

internazionali. Se il rendimento delle nostre squadre non migliorasse nei

prossimi 3 anni, il rischio è una discesa dell’Italia al 6° posto della

graduatoria europea con diminuzione in Champions delle italiane, alcune delle

quali sarebbero costrette a partire dai preliminari già a luglio.

===

CALCIOPOLI PARTITA DOPPIA

Juve tra tavolo e Tar

L’agenda di Petrucci condizionerà le strategie societarie

di GUIDO VACIAGO (Tuttosport 18-11-2011)

Di che cosa stanno parlando? Quanto dell'infuocato dibattito di questi giorni

riguarda veramente l'etica o il rispetto delle regole? E quanto, invece, si

sta trasformando in una lotta di potere e poteri, dai contorni meramente

politici? L'idea del tavolo, lanciata da Agnelli mercoledì pomeriggio, va

avanti, ma il nodo dell'agenda resta ingarbugliato. Gli argomenti, insieme

agli interessi, si accavallano e si intrecciano. E così il rischio di perdere

di vista il nocciolo della questione è altissimo, perché ci sarà pure

l'invasione degli avvocati (che in un ambiente che tollera certi procuratori,

in fondo, non ci sembrano personaggi da demonizzare), ma gli azzeccagarbugli

finora sono altri: quelli che non hanno ancora spiegato come si conciliano le

violazioni dell'articolo 1 e 6 da parte dell'Inter (certificate dalla procura

Figc) con la non decisione sullo scudetto 2006. Che poi è quello che vorrebbe

sapere Andrea Agnelli (e non solo lui!), che se da una parte porta avanti

l'idea del tavolo, dall'altra non fa un passo indietro sul fronte del Tar.

SONO questi i due binari su cui viaggia la Juventus, immersa nel dibattito

politico, pronta a essere protagonista del tavolo, ma pure decisa ad andare

fino in fondo con i suoi ricorsi presso la giustizia ordinaria. Nella convulsa

giornata di ieri, con la Lega che si stringeva intorno a Lotito e ai presunti

squalificati del processo di Napoli mentre a Novara partivano altri siluri

dalla portaerei federale dell’ammiraglio Abete , c’è stato un contatto fra

Agnelli e Petrucci . Il presidente della Juventus e quello del Coni si sono

sentiti per telefono hanno portato ulteriormente avanti il discorso del

tavolo. E altre chiamate sono intercorse fra lo stesso Petrucci e Abete. Una

sottile trama diplomatica è in corso di tessitura ad opera di tutti i

protagonisti per realizzare un’idea lanciata in estate da Della Valle e

rilanciata, con altre intenzioni e in un altro contesto, da Agnelli mercoledì.

Ma il problema, dopo le parole di Abete ieri, così come quelle di Agnelli e

dello stesso Moratti mercoledì, resta capire quale sarà il menù del suddetto

tavolo. Fosse per il presidente della Figc e quello dell’Inter, ad esempio,

l’argomento Calciopoli 2 non dovrebbe entrare in nessuna delle sue possibili

vesti, a partire dall’irrisolta questione dello scudetto 2006. Argomento che

ovviamente si aspetta di trovare Agnelli, che per altro si farebbe volentieri

una chiacchierata anche sulla disparità di trattamento che fra il 2006 e il

2011 è stata oggettivamente riscontrata. Petrucci, che in definitiva è colui

che dovrà stilare l’ordine del giorno di questa che rischia di trasformarsi

nell’assemblea di un condominio particolarmente litigioso, finora non si è

espresso, ma è probabile che tenda più dalla parte di Moratti e Abete

piuttosto che da quella di Agnelli (con il quale, tuttavia, si mantiene in

stretto contatto).

Insomma, se il popolo bianconero (o una parte di questo) si aspetta che il

tavolo possa rappresentare un luogo dove trovare risposte, soluzioni ed

eventualmente risoluzioni, non si illuda. Più probabile che tutto sfoci in una

commissione per riscrivere un codice di giustizia sportiva (che effettivamente

necessiterebbe di una bella rinfrescata), tema fondamentale e di per sé

interessante, ma che non ha nulla a che fare con la sete di giustizia e verità

che ancora anima la Juventus e i suoi tifosi.

E così, la società continuerà a percorrere le strade rimaste a disposizione

perché Calciopoli 2 non venga seppellita dalle sabbie dell’improcedibilità e

dell’incompetenza. Tar, Corte dei Conti, Prefetto di Roma: l’avvocato

Briamonte va avanti su tutto il fronte, pronto ad ampliarlo in altre sedi.

Nessun passo indietro e nessuna interferenza con il “tavolo”: si procede

parallelamente, da una parte politica e diplomazia, dall’altra tribunali. E

tutti ordinari, perché un rientro nella giustizia sportiva attraverso la porta

dell’Alta Corte del Coni (in teoria ancora socchiusa) è da escludere a priori:

non fa parte dell’agenda dei bianconeri, ormai convintisi che in quella sede

non ci siano i presupposti per discutere della questione, dopo essersi visti

respingere sempre in via preventiva, senza riuscire mai ad avere la

soddisfazione di entrare nel merito dei loro argomenti.

Come aveva detto lo stesso Agnelli davanti al presidente del Tnas, De Roberto,

quando per la prima volta si discusse la competenza del Tribunale Nazionale

per l’Arbitrato dello Sport: «Sto cercando qualcuno che giudichi. Sono anche

pronto ad accettare una sentenza contraria, ma vorrei avere una sentenza.

Vorrei che qualcuno si prendesse la briga di dirci se è giusto che lo scudetto

2006 sia andato a una squadra che, secondo la Figc, si è macchiata degli

stessi comportamenti per i quali la Juventus se n’è vista togliere due e

retrocedere in serie B». Perché è in definitiva questa la domanda che terrà

viva Calciopoli potenzialmente in eterno, se non trova risposta. Il resto è

politica. Con tutto ciò che, di buono e di cattivo, questo comporta.

===

IL PARERE

Lubrano: «La Juve vada all’Alta Corte»

«Il ricorso alle azioni giudiziarie è un diritto costituzionalmente garantito»

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 18-11-2011)

ROMA. Enrico Lubrano , professore di diritto dello sport alla Luiss e di

diritto amministrativo alla Link Campus University di Roma, contesta la

definizione di “doping legale” lanciata da Petrucci . «Infondata in diritto,

Costituzione e legge 280 garantiscono la possibilità di azione giudiziaria

anche nello sport; infondata in fatto visto che sono solo un centinaio i casi

che arrivano a Tnas e Coni e meno di dieci quelli che finiscono ai giudici

ordinari: numeri fisiologici per un fenomeno come quello sportivo».

Lubrano è da sempre assertore della possibilità di proporre, anche ora che il

Tnas s’è detto incompetente, la questione scudetto 2006 all’Alta Corte. «Nel

caso della Juventus l’esigenza di adire le sedi giurisdizionali è stata

determinata esclusivamente dalla assenza di ogni risposta da parte della Figc

sulla richiesta di revoca dello scudetto 2006 all’Inter, richiesta, a mio modo

di vedere, giuridicamente fondata: la Figc avrebbe dovuto revocare il titolo

in autotutela per illegittimità originaria del provvedimento di assegnazione,

come risultato dai fatti emersi successivamente nel provvedimento della

Procura Federale dello scorso 1 luglio per i comportamenti dei dirigenti

dell’Inter - afferma Lubrano -. In ogni caso, a mio modo di vedere, la

declaratoria di incompetenza formulata dal Tnas non preclude la possibilità

per la Juventus di riassumere il giudizio innanzi alla Alta Corte presso il

Coni - pur essendo scaduti i relativi termini - in applicazione del principio

della “ perpetuatio iurisdictionis ”, sancito da Corte Costituzionale (n.

77/2007) e Cassazione come principio generale dell’ordinamento. L’eventuale

ricorso alla Alta Corte da parte della Juventus potrebbe contenere la

richiesta di pronunciarsi non soltanto sull’illegittimità della declaratoria

di incompetenza manifestata dalla Figc sullo scudetto 2006- conclude -, ma

anche direttamente sulla fondatezza dell’istanza presentata dalla Juventus di

revocare lo scudetto all’Inter (come previsto dall’art. 31. 3 del codice del

processo amministrativo) in ragione del fatto che la Figc non aveva alcun

margine di discrezionalità sull’istanza presentata dalla Juventus dopo la

relazione di Palazzi ».

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L'Inter all'attacco «Beretta vada via»

Paolillo a Lotito: «Si sospenda». In Lega cresce la voglia di un nuovo presidente: sale Cardinaletti

di MARCO IARIA (GaSport 19-11-2011)

Un colpo a Lotito e un altro a Beretta. L'Inter rompe un lungo silenzio

«politico» e appicca l'incendio in Lega. La miccia è la richiesta fatta dalla

Serie A di modificare l'articolo 22 delle Noif, e quindi di revocare la

sospensione ai dirigenti condannati in primo grado di Calciopoli Andrea Della

Valle, Sandro Mencucci e soprattutto Claudio Lotito. La complicità tra il

presidente della Lazio e quello della Lega risulta indigesta a diverse

società. Ecco allora che l'Inter, unica astenuta nella votazione dell'altro

ieri, sputa fuori il malcontento.

Parole L'a.d. Ernesto Paolillo dice: «Lotito non può rappresentare la Lega di

A e sarebbe stato di buon gusto da parte sua autosospendersi in attesa

dell'esame della riforma delle norme. Ho contestato a Beretta di aver

convocato d'urgenza un consiglio per affrontare una materia di competenza

dell'assemblea solo per ottenere più facilmente la maggioranza. Così diventa

un provvedimento ad hoc». Altri consiglieri di Lega si erano lamentati con

Beretta per aver riesumato in tutta fretta, dopo la sentenza di Napoli, un

organismo il consiglio, appunto che nel 2011 si era riunito solo una volta e

il cui letargo è la fotografia dell'immobilismo di via Rosellini, dove tutto

passa dalle assemblee, concitate e inconcludenti quanto le riunioni di

condominio. Moratti, peraltro, ha voluto marcare una differenza: l'Inter non è

disposta a seguire gli altri club di A nello scontro istituzionale con Figc e

Coni, in una fase particolarmente avvelenata per via di Calciopoli. Paolillo

ha pure chiesto il passo indietro a Beretta: «Sono necessarie le sue

dimissioni per affrontare un tavolo di riforma del calcio con un presidente

rappresentativo e meno schierato. C'è una sempre più diffusa richiesta da

parte delle società di cambiare il presidente per averne uno focalizzato solo

sulla Lega. Nella prossima assemblea vedremo cosa pensano anche gli altri, ma

è urgente che la Lega cominci a discutere di problemi seri». Beretta non

replica: aveva già rassegnato il mandato a marzo, una volta accettato un

incarico manageriale in UniCredit. Il problema non è tanto la sua ostinazione

a restare attaccato alla poltrona quanto gli egoismi dei dirigenti di A e la

loro incapacità di fare sistema: così la Lega non funziona, c'è bisogno di una

nuova governance. Lo sanno pure Abete e Petrucci.

Scenario Ora la Lega è una polveriera. A difesa di Beretta e Lotito si sono

subito schierati Genoa e Catania. Negli ultimi tempi, attorno a Milan e Juve

si è saldato un fronte che coinvolge tutti questi club oltre al Parma. La

paura delle due big è che le medio-piccole eleggano un nuovo presidente a

maggioranza. L'Inter è la mina vagante. Napoli e Roma guidano la «rivoluzione»,

assieme a Fiorentina, Udinese, Palermo, Cagliari. «La Lega fattura un

miliardo di euro, serve un presidente a tempo pieno, coadiuvato da un

commissioner che abbia potere operativo», è il convincimento dei frondisti.

Cellino ha inviato una lettera ai colleghi chiedendo le dimissioni di Beretta

e la contestuale convocazione di un'assemblea elettiva. Ma come ci si mette

d'accordo sul successore? Si fa sempre più largo il nome di Andrea

Cardinaletti, commissario dell'Istituto per il Credito sportivo.

===

Palazzo di vetro DI RUGGIERO PALOMBO

Tra Petrucci e Lotito non mettere il dito

Paolillo attacca Beretta e spacca la Lega di A. Un caso? Forse no. Tutto è

cominciato mercoledì sera, pochi minuti dopo che si erano esauriti i fuochi

d'artificio sull'asse Petrucci-Agnelli-Moratti e che il tavolo della pace,

grazie alla proposta del presidente della Juventus, aveva preso forma. Beretta

telefona al presidente del Coni: le sue preoccupazioni sono tutte per

l'articolo 22 delle Noif, quello azzoppa-Lotito per intendersi, e niente

altro. La cosa irrita Petrucci, che nel suo j'accuse mattutino ha appena mosso

non poche critiche alla Lega di Serie A, imputata numero due, seconda solo ai

troppi avvocati che «dopano» il calcio di vertice. La telefonata va avanti,

Petrucci coinvolge Beretta nell'importanza che riveste l'«altro» fin lì

ignorato la Fondazione sulla mutualità è solo un piccolo esempio e ne

scaturisce un epilogo cordiale e costruttivo.

L'appuntamento è alla mattina dopo, per interposto consiglio di Lega: è lì

che Petrucci, dopo le assicurazioni di Beretta, conta di incassare consensi,

se non il plauso unanime. E invece, solo e soltanto articolo 22. Sul resto

caro a Petrucci, niente. Petrucci a questo punto s'incazza ed ecco la

durissima dichiarazione di giovedì sera: «Nel giorno in cui tanti esponenti

del calcio italiano cercano di trovare soluzioni per chiudere col passato e

costruire un futuro migliore, per la Lega di Serie A l'unico problema urgente

è rappresentato dalla modifica dell'articolo 22. Ne prendo atto e, quando

l'argomento arriverà alla Giunta del Coni per la definitiva approvazione,

faremo le nostre opportune valutazioni».

Parole che contengono una nemmeno troppo velata minaccia. Le Noif rivedute e

corrette, cosa che in qualche misura, come abbiamo già scritto no

all'«ergastolo» sportivo, andrà fatta, alla fine del loro percorso vanno

approvate proprio dal Coni. Che può dire di «no», anche se Petrucci è lecito

ritenere non farebbe mai uno sgarbo ad Abete, qualora quello si fosse nel

frattempo convinto per qualche modifica. In proposito, parte lunedì la lettera

coi «quesiti» richiesti alla Corte di giustizia federale sul cosa fare coi

dirigenti condannati in primo grado in sede penale. Una risposta arriverà

prima del prossimo Consiglio 10 dicembre o dintorni perché sulla legittimità o

meno d'una presenza di Lotito non si vogliono commettere errori. Al Coni, dove

sanno di avere ancora da farsi perdonare una normativa troppo generosa da cui

il caso Morzenti, i sei supersaggi sono nel frattempo diventati sette con

l'ingresso dell'ex presidente Consob Lamberto Cardia: a due di essi nelle loro

funzioni di costituzionalisti è capitato di valutare legittima la sospensione

anche dopo un solo giudizio di primo grado. Un indizio o una prova?

___

IL COLPO L’amministratore delegato nerazzurro non risparmia nessuno

L’Inter attacca

Beretta e Lotito

Paolillo: La modifica all’art. 22? Ad hoc per il presidente della Lazio

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 19-11-2011)

MILANO - L’Inter attacca in maniera frontale Maurizio Beretta e Claudio Lotito,

chiedendo senza mezzi termini le dimissioni del presidente della Lega e

l’autosospensione del patron della Lazio dall’incarico di consigliere federale

dopo la condanna di Napoli. Il clima si è incendiato ieri sera quando

l’amministratore delegato nerazzurro Ernesto Paolillo è intervenuto ad una

lezione nella facoltà di economia dell’università Cattolica di Milano, un

incontro con gli studenti nel quale si è parlato di business legato al calcio

e durante il quale ha annunciato una tournée dell’Inter in Indonesia a fine

campionato. Il dirigente interista non ha usato mezzi termini: «Le dimissioni

di Beretta dalla Lega sono necessarie per affrontare un tavolo di riforma del

calcio con un presidente rappresentativo e meno schierato. C’è una sempre più

diffusa richiesta da parte delle società di cambiare il presidente per averne

uno focalizzato solo sulla Lega: nella prossima assemblea vedremo cosa pensano

anche le altre società, ma è urgente che la Lega cominci a discutere dei

problemi seri del calcio e non, come ha fatto per un anno in maniera confusa e

deprimente, di diritti tv e adesso delle Noif. Ieri ho contestato a Beretta di

aver convocato d'urgenza un consiglio per affrontare una materia di competenza

dell'assemblea al solo fine di ottenere più facilmente la maggioranza e di

avere cambiato l'ordine del giorno per parlare solo del caso Lotito» . Ecco

introdotto il nome del secondo “bersaglio” di Paolillo e dell’Inter.

VIA LOTITO - L’ad interista già nel corso del consiglio di giovedì era stato

abbastanza chiaro nel chiedere «l’autosospensione dalla carica di consigliere

federale» del patron della Lazio. «Solo in un secondo momento - ha aggiunto -

è giusto chiedere la revisione dell’articolo 22 delle Noif» . E non a caso era

stata proprio di Paolillo l’unica astensione nella votazione (tutti favorevoli

gli altri 7) con la quale la Lega aveva approvato la richiesta di revisione

dell’articolo avanzata al Coni. E così ieri, mentre la Figc ha chiesto lumi

sulla vicenda Lotito alla Corte di Giustizia Federale, il dirigente interista

è andato oltre: «La riforma dell'articolo 22 delle Noif è un gesto ad hoc per

Claudio Lotito. Lui non può rappresentare la Lega di Serie A e sarebbe stato

di buon gusto da parte sua autosospendersi in attesa dell'esame della riforma

dell'articolo 22 delle Noif. All'improvviso quello che è accaduto a Lotito ha

reso urgente l'intervento della Lega per affrontare la riforma dell'articolo

22, mentre questo tema avrebbe dovuto essere oggetto di una discussione più

ampia. Sarebbe stato molto più di buon gusto non affrontare ora e con questa

urgenza la riforma che così rischia di perdere peso e diventare un

provvedimento ad hoc» .

REAZIONI - Beretta, informato dell’attacco di Paolillo, ha preferito non

replicare: «Non voglio commentare quello che ha detto e non intendo alimentare

polemiche» . Di certo però il numero uno della Lega è rimasto spiazzato. Duro

il presidente del Genoa Preziosi: «Mi sembra ci sia una congiura verso Beretta,

già dimissionario. Forse Paolillo ha ambizioni di fare il presidente della

Lega. In consiglio nessuno ha avuto nulla da dire al riguardo e poi fuori con

i giornalisti vengono fuori delle cavolate. Forse quelli dell'Inter si sentono

in debito di dire certe cose. Paolillo ha detto cose fuori luogo» . D’Accordo

con Paolillo, invece, il presidente Mezzaroma, presidente del Siena: «Sono

convinto anche io che la Lega si debba dotare di organi rappresentativi forti.

Bisogna ridare forza e voce agli elettori» .

===

A FINE NOVEMBRE PRIMA RIUNIONE OPERATIVA

E i “saggi” anti-arroganza del Coni diventano sette

di EDMONDO PINNA (CorSport 19-11-2011)

ROMA - Ci saranno anche l’ex presidente della Consob, e attuale numero uno di

Ferrovie dello Stato, Lamberto Cardia, e l’ex vicepresidente del Consiglio

Superiore della Magistratura (dal 1998 al 2002), Giovanni Verde, nel gruppo di

esperti di diritto che il Coni interpellerà per fare delle «regole che

metteranno fine a questa arroganza. Il punto essenziale è come difendersi da

questi perenni ricorsi ai tribunali» per dirla con le parole di Gianni

Petrucci, numero uno del Palazzo a Cinque cerchi. Petrucci, mercoledì scorso,

era stato durissimo e aveva annunciato come il Coni avesse interpellato cinque

“saggi” per studiare le soluzioni per il futuro.

Cinque giuristi d’eccezione, da Pasquale De Lise, ex presidente del Tar del

Lazio e Consiglio di Stato, a Giulio Napolitano, professore di diritto

pubblico e figlio del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.

Passando per Paolo Salvatore, ex presidente del Consiglio di Stato, Piero

Alberto Capotosti, ex presidente della Corte Costituzionale (2005) ed ex

vicepresidente del Csm (dal 1994 al 1996), Riccardo Chieppa, ex presidente

della Corte Costituzionale (2002-2004).

La questione è seria e al Foro Italico vigilano su quello che succede e

succederà. Petrucci, davanti alla possibilità di una revisione dell’art. 22

bis (proposta dalla Lega, o da una parte di essa) è stato molto chiaro e il

suo commento non ha bisogno di molte interpretazioni: «Quando l’argomento

arriverà alla Giunta del Coni per la definitiva approvazione, faremo le nostro

opportune valutazioni». Praticamente, un avviso ai naviganti.

__

CALCIOPOLI

Lotte di potere: altro che tavolo di pace

Ieri Paolillo ha attaccato duramente Lotito e Beretta, difeso questa volta da Preziosi.

Il Coni inserisce 2 saggi in più nel comitato anti cause

di MARCO BO (Tuttosport 19-11-2011)

TORINO. La quiete dopo la tempesta? Macchè! E dire che il calcio, dopo lo

tsunami verbale delle ultime giornate, avrebbe veramente bisogno di qualche

giorno di sciopero della parola. Giusto per riordinare i pensieri e far

decantare rabbie e passioni. Invece niente. Perchè, in realtà, si tratta di

una guerra di potere, altro che tavolo della pace in grado di ospitare una

verità condivisibile. Di questo passo, le verità rischiano di non trovare

posto nemmeno in piedi.

L’ULTIMA USCITA Anche ieri una nuova puntata, targata Inter, per bocca del

suo a.d. Ernesto Paolillo . Un’entrata durissima, altezza ginocchio, sul

presidente della Lega, Maurizio Beretta e una altrettanto violenta su Claudio

Lotito . «Sono necessarie le dimissioni di Beretta dalla Lega per affrontare

un tavolo di riforma del calcio con un presidente rappresentativo e meno

schierato. Chiedere la riforma dell’articolo 22 delle Noif è un gesto ad hoc

per il presidente della Lazio Claudio Lotito. C’è una sempre più diffusa

richiesta da parte delle società di cambiare il presidente per averne uno

focalizzato solo sulla Lega. L’altro giorno ho contestato a Beretta di aver

convocato d’urgenza un consiglio per affrontare una materia di competenza

dell’assemblea al solo fine di ottenere più facilmente la maggioranza, e di

avere cambiato l’ordine del giorno per parlare solo del caso Lotito che non

può rappresentare la Lega di A e sarebbe stato di buon gusto da parte sua

autosospendersi». Perché il dirigente nerazzurro, sempre l’altro giorno, in

sede di consiglio di Lega, invece di votare contro la proposta di far

diventare esecutive le sospensioni dalle cariche solo dopo i verdetti

definitivi della giustizia ordinaria, abbia preferito esprimersi con una

demoscristiana astensione, non è chiaro. Più chiaro il suo tecnico Claudio

Ranieri : «Sono molto scettico, per il momento c’è solo il nome: tavolo della

pace. Spero che si metta la parola fine a una macchia bruttissima per il

calcio. Più ne parliamo, più fuori dall’Italia ridono di noi».

LOTTA MULTILEVEL La verità è che soprattutto in Lega si sta consumando una

lotta intestina tra falchi e colombe. Inevitabile, poi, che la Figc e i suoi

vertici vengano giudicati in modo differente a prescindere dalle decisioni che

la stessa assume e assumerà. Poche ore dopo le parole di Paolillo ecco la

replica di Enrico Preziosi : «Le sue parole sembrano una congiura contro

Beretta che è già dimissionario. Forse ha ambizioni di fare il presidente di

Lega». Insomma il clima rimane bello caldo a tutti i livelli: Lega, Figc e lo

stesso Coni. Il suo presidente Gianni Petrucci è in partenza per la Russia

dove è atteso da importanti impegni olimpici che lo terranno via dall’Italia

per la prossima settimana. Al suo ritorno dovrà sbrigare appuntamenti

istituzionali per cui l’attesa convocazione del tavolo della pace proposto da

Andrea Agnelli e condivisa da Petrucci scollinerà in dicembre. Probabile

invece che entro il mese il comitato dei 5 saggi, che il Coni ha deciso di

costituire per fronteggiare i numerosi ricorsi alla giustizia ordinaria, si

doterà di 2 nuovi elementi: l’ex presidente della Consob, Lamberto Cardia e

l’ex vice presidente del Csm, Giovanni Verde .

===

«La Juve potrebbe rivolgersi pure al Tas»

Riceviamo e pubblichiamo questa lettera inviataci dal professore

Paolo Bertinetti, preside della Facoltà di Lingue e Letterature

Straniere presso l’Università di Torino e grande tifoso juventino.

Tuttosport 19-11-2011

Il processo di Napoli almeno per un aspetto è stato utile alla causa della

verità: Facchetti telefonava e parlava ai designatori arbitrali e quindi

Palazzi già da tempo non aveva potuto fare a meno di riconoscere che l’Inter

aveva violato il codice sportivo in modo molto più grave (art. 1 e art. 6) di

quanto, secondo la FIGC commissariata da Guido Rossi, l’avrebbe violato

Luciano Moggi. Le due cose insieme, la sentenza di Napoli e la relazione di

Palazzi, dimostrano che la Juventus ha perfettamente ragione a promuovere una

causa per danni. Petrucci e Abete lo sanno benissimo ed è per questo che

recitano la parte degli indignati. La Juventus ha proposto un “tavolo” per

valutare da persone civili la vicenda di Farsopoli. Moratti, sapendo benissimo

di avere torto, fa resistenza passiva. Se la farsa continua, la Juventus ha

quindi tutto il diritto di andare avanti, al TAR e all’Alta Corte. Soprattutto,

poiché, come vediamo in questi giorni, ci vuole l’Europa per far capire che

certe istituzioni e personaggi nostrani sono privi di credibilità, la Juventus

ha tutto il diritto di andare anche al TAS, il Tribunale sportivo di Losanna,

che per l’appunto è un tribunale dello sport (avrebbe dovuto farlo già cinque

anni fa). Ma farebbe benissimo ad andare avanti anche in sede amministrativa

europea: se il mondo del calcio è cambiato totalmente, ciò non è dipeso dalle

autorità calcistiche, ma dal fatto che quell’ignoto calciatore belga si

rivolse alla giustizia amministrativa.

Paolo Bertinetti, Assoc. Nazionale Amici della Juventus

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Se le mafie vanno al nord (anche in curva)

di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica "NON CI POSSO CREDERE" (SPORT WEEK 19-11-2011)

Le mani sulla città è uno degli ultimi libri sulla ’ndrangheta. Lo hanno

scritto i giornalisti Gianni Barbacetto e Davide Milosa (editore

Chiarelettere). Sottotitolo: “I boss vivono tra noi e controllano milano”. Un

reportage sugli intrecci tra malavita organizzata e imprenditoria lombarda. Ci

ha colpito un passaggio dove si racconta di intercettazioni tra il padrone di

un locale milanese e Loris Grancini, capo ultrà dei Viking della Juve e asso

del poker. Grancini – scrivono gli autori basandosi su un’inchiesta condotta

da Ilda Boccassini – nel novembre 2008 tentava “di far ottenere benefici

carcerari a Giovanni Lamarmore, il padre del capo della ‘locale’ ’ndrangheta

di limbiate, nell’hinterland milanese”. Grancini e il suo interlocutore

“dicono che, sfruttando conoscenze di personaggi politici dell’area di

alleanza Nazionale, hanno fatto recapitare una lettera al direttore del

carcere di San Gimignano”. Che le curve degli stadi del Sud siano infiltrate,

se non dominate, dalle varie mafie è assodato. Diverso è apprendere che un

capo ultrà juventino coltivi contatti simili. Leonardo Sciascia aveva capito

tutto: “Gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è

propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il Nord, di 500 metri,

mi pare, ogni anno. Sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea

della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già

oltre Roma”.

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«Figli con handicap»

L'Algeria-miracolo

ha l'incubo doping

Denuncia dei calciatori dei Mondiali '82 e '86

«Un medico russo ci dava strane pillole»

di ALESSANDRO GRANDESSO (GaSport 18-11-2011)

Faceva il difensore, Mohamed Chaib, nell'Algeria dei miracoli che andò al

Mondiale '86 ed era figlia di quella dell'82. Periodo fasto per il calcio

magrebino che in Spagna batté la Germania di Rummenigge e il Cile (venendo

però eliminata grazie a un «accordo» Austria-Germania), ma oggi forse paga

segreti inconfessabili con vite innocenti spezzate da malattie incurabili.

Come quella che ha colpito le tre figlie di Chaib: distrofia muscolare che ha

ucciso una delle tre sorelle, all'età di 18 anni, nel 2005. Ma Chaib, che era

vice c.t. della nazionale algerina fino a giugno, non è l'unico ex calciatore

a fare i conti con un passato oscuro, da cui emerge lo spettro del doping, di

pillole ingurgitate senza farsi troppe domande su ordine di medici russi e

jugoslavi. Come lui, altri sei ex nazionali dei primi Anni 80 — su una

sessantina in tutto — hanno avuto figli malformati, falciati da handicap

gravi. In tre hanno deciso di parlare, per denunciare coincidenze inquietanti

e chiedere un'inchiesta.

Casi Come Chaib, anche Mohamed Kaci Said, ex centrocampista dell'Algeria, ha

avuto una figlia, Medina, 26 anni, handicappata mentale: «La mia vita è un

inferno. Io e mia moglie ci siamo sottoposti ad esami che hanno escluso

incompatibilità genetiche». L'ex attaccante Djamel Menad ha una figlia, oggi

18enne, nata con un handicap grave. L'ex stella del JS Kabylie, citato dal

quotidiano Dernieres Nouvelle d'Algérie, punta il dito contro lo staff medico

della sua nazionale in Messico: «Ci chiediamo se i medici sovietici dell'epoca

non ci dessero prodotti dopanti pericolosi per la nostra salute. In molti

abbiamo avuto figli handicappati. Non può essere una coincidenza, è tempo di

fare luce». Gli altri, che finora non hanno raccontato apertamente le loro

storie sono Tej Bensaloua, Mehdi Cerbah, Abdelkader Tlemçani e Salah Larbès.

Ha pochi dubbi comunque Said: «C'era un medico russo che ci dava pillole

gialle, dalla forma strana, ma ci diceva che erano semplici vitamine, ci

fidavamo».

Soviet Scene che rievocano il doping di massa dei paesi dell'est Europa

almeno fino alla caduta del muro di Berlino e che avrebbe coinvolto migliaia

di atleti grazie a medici senza scrupoli. Un personale specializzato in doping

che avrebbe insegnato nell'Istituto di scienze e tecnologie dello sport e

collaborato con la nazionale algerina negli Anni 80, portati anche da due c. t.

stranieri, ormai deceduti, il russo Guenadi Rogov e lo yugoslavo Zdravko

Rajkov, che si alternarono a tecnici locali. Ma il capitano dell'Algeria in

Spagna, Ali Fergani, non ci crede: «Non ci sono prove concrete». Rabah Saâdane,

c.t. nell'86, condivide: «Tutto improbabile, con me niente russi». Ma loro

forse non hanno avuto figli malati.

___

Il dramma dei calciatori algerini

«Nostri figli malati: ci doparono»

La denuncia di Chaib, protagonista della Nazionale che fece meraviglie ai Mondiali ’82 e ’86

«Ho tre bambine handicappate». E sarebbe così anche per altri sette compagni di squadra

di PIPPO RUSSO (l'Unità 19-11-2011)

È stata un mito calcistico, ma adesso rischia di veder svanire la gloria nel

disonore e nella tragedia. Stiamo parlando della nazionale algerina di calcio

degli anni Ottanta, quella che partecipò ai mondiali di Spagna 1982 e Messico

1986, e che soprattutto nella prima occasione raggiunse risultati inattesi.

Adesso su quella squadra aleggia un sospetto terribile. Relativo a un doping

sistematico, operato all’insaputa dei giocatori e con conseguenze terribili:

gli handicap di cui sono portatori i figli di almeno sette fra i giocatori che

parteciparono a quelle due spedizioni mondiali.

È quanto ha denunciato lo scorso mercoledì da Mohamed Chaib, 53 anni, ex

difensore dello RC Kouba e della nazionale algerina che partecipò a Mexico ‘86,

nonché allenatore in seconda della nazionale bianco verde fino a qualche mese

fa. Chaib ha deciso di prendere la parola a nome dei suoi compagni, ma

soprattutto delle proprie tre figlie. Tutte quante colpite da handicap alla

nascita, così come accaduto ai figli di altri calciatori (almeno sette) che

presero parte alle due spedizioni mondiali.

Per rendere avvertita l’opinione pubblica algerina, Chaib non ha risparmiato

a se stesso l’esibizione di un dolore che certo avrebbe preferito mantenere

privato. La sua prima figlia, nata nel 1987, morì nel 2005 di miopatia, una

malattia che colpisce le cellule muscolari. Nel 1999 l’ex calciatore e la

moglie decisero di sottoporsi a esami per scoprire se la causa dell’handicap

che aveva colpito la loro figlia dipendesse da loro, e l’esito fu negativo. Ma

quando negli anni successivi la coppia generò due gemelle, queste ultime si

trovarono anch’esse affette da miopatia. Fu a quel punto che Chaib si lasciò

sfiorare dall’ipotesi che tutto quanto dipendesse dal suo passato da

calciatore professionista. Inoltre, a supportare i suoi sospetti giunse la

condivisione dell’esperienza con un altro ex compagno di nazionale: l’ex

centrocampista Mohamed Kaci Said, la cui figlia 26enne è portatrice di un

handicap mentale. Intervistato ancora ieri dal quotidiano algerino Al Watan,

Chaib ha rilasciato dichiarazioni pesanti: «Ci davano regolarmente delle

compresse che sembravano gallette di zucchero. E non potevamo chiedere

spiegazioni. Intraprendemmo la carriera da calciatori all’epoca in cui, per

via della riforma nazionale dello sport, il calcio venne preso in carico dai

poteri pubblici. Sul piano sanitario venivamo seguiti sia dagli staff dei

nostri club che da quello della nazionale. Fra il 1977 e il 1990 abbiamo avuto

molti medici stranieri a occuparsi di noi». Ancor più preoccupante è il fatto

che le prove di un eventuale doping sistematico potrebbero essere state

distrutte: «In una federazione ben organizzata – continua Chaib – i dossier

medici sono accuratamente conservati. Ma presso la FAF (la federcalcio

algerina, ndr), nessuno sa della loro esistenza né dove possano trovarsi».

Amara la conclusione dell’ex nazionale: «All’inizio ho pensato che questo

fosse il mio mektoub, il destino voluto per me da Dio. Ma poi ho scoperto che

altri miei ex colleghi affrontavano la stessa tragedia».

VITAMINE O COS’ALTRO?

Che la socializzazione della sventura e del dolore sia stata determinante per

far scoprire il caso e portarlo a conoscenza del pubblico è confermato da

Djamel Menad, anch’egli nazionale al Mondiale del 1986. La figlia è affetta da

agenesia del corpo calloso, una malformazione dell’encefalo, e lui adesso

dichiara che: «Dopo aver scoperto di non essere il solo ho cominciato a pormi

delle domande». Le stesse domande che adesso si pongono altri giocatori

ritrovatisi nelle stesse condizioni, ma che vengono sdegnosamente respinte da

Ali Fergani, capitano della nazionale algerina protagonista dei memorabili

giorni di Spagna ‘82: con l’inattesa vittoria a Gijon contro la Germania Ovest

(2-1), che poi sarebbe andata in finale anche a causa dell’indecorosa pastetta

nella partita contro l’Austria di cui fu vittima proprio l’Algeria. A suo

giudizio non ci fu doping, e è inutile parlare di «stregoni russi» della

farmacologia al seguito della nazionale bianco verde: «Non prendevamo medicine,

a parte della vitamina C». Una smentita che ha quasi l’effetto di una

conferma, perché lo stesso Chaib ha detto che quelle famigerate pasticche

venivano presentate a lui e ai compagni come vitamine.

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ma paolillo che caspita vuole?come fosse la prima norma ad hoc che verrebbe applicata dal 2006 ad oggi.

e poi non trovo giusto che chi ha già pagato per quelle vicende nel 2006 paghi ancora.

e cose vuole fare?mettere un guido rossi a capo della lega?stia zitto.

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Anche la m***a si ricicla...

___

L’ostile Giraudo

di STEFANO OLIVARI dal blog "Guerin Sportivo" 17-11-2011

Perché Andrea Agnelli si sta facendo ridere dietro da mezzo mondo del calcio

e detestare dall’altra metà? Dopo la sentenza penale di primo grado di Napoli,

attesa come un giudizio di Dio dagli insigni giuristi copincollatori che

affollano il web (per fortuna le loro parole valgono zero, più o meno come le

nostre), e la porta sportiva in faccia presa dal Tnas, il presidente della a

Juventus ha cambiato strategia.

Prima mossa: immediata e grottesca presa di distanze dal condannato Moggi,

che nel caso di assoluzione o pena lieve sarebbe stato invece ‘cavalcato’

senza ritegno. Dimenticando che la sentenza penale, molto più di quella

sportiva (che ha riguardato una stagione ben precisa, la 2004-2005, pur

generando effetti anche per le successive), descrive non singoli episodi

bensì il calcio italiano in un’epoca in cui Moggi non lavorava in proprio ma

era il direttore generale della Juventus.

Seconda mossa: ricorsi ed esposti a raffica, uno più pretestuoso dell’altro.

Quello che ha dato titoli ai giornali è il procedimento presso il TAR del

Lazio, dimenticando che la penalizzazione light del 2006 concordata ccon la

FIGC fu proprio dovuta alla rinuncia al TAR. L’apertura del capitolo

risarcimenti, poi, potrebbe rivelarsi un boomerang che forse i consiglieri di

Agnelli non hanno ben valutato. Nemmeno un commento meritano la richiesta di

commissariamento FIGC fatta al Prefetto di Roma (perché non ad Obama?),

l’esposto alla Corte dei Conti e altre iniziative di cui abbiamo perso il

conto.

Terza mossa: dopo il messaggio in codice di Petrucci (”Il pallone è malato

di doping legale”), la cauta apertura che prelude ad un vaghissimo ‘tavolo’.

La cui utilità è una sola: non potendo il ‘tavolo’ cambiare pene e sanzioni,

nè tantomeno restituire scudetti, con qualche dichiarazione di principio

permetterebbe ad Agnelli di uscire senza perdere la faccia dal tunnel in cui

si è infilato.

Nelle mosse juventine degli ultimi tempi è evidente lo stile di Antonio

Giraudo, il che non significa che Giraudo sia tornato a lavorare per la

Juventus ma solo che il suo parere è tenuto da Agnelli in gran conto. Uomo di

fiducia del padre Umberto, compagno di golf alla Mandria, stratega del cinico

smarcamento da Moggi. Per la serie: mostriamo la faccia cattiva, qualcosa

succederà perché come diceva Mao il numero è potenza. Può essere una tattica

produttiva. Del resto se le condanne avessero riguardato il Chievo non

saremmo qui a parlarne.

___

Letterina di Natale ad Andrea Agnelli,

bambino che non cresce

Dopo 18 mesi di mugugni, proclami e reclami, e alla vigilia del

penoso "tavolo politico" chiesto a Petrucci, è giunta l'ora di

dire al presidente della Juve che il mondo in cui vive non è

quello delle fiabe, ma è il mondo reale

di PAOLO ZILIANI 18-11-2011

Che i rampolli di casa-Agnelli non fossero esattamente aquile lo si sapeva

da tempo; ma che Andrea Agnelli, figlio di Umberto, l'ultimo a portare il

nome di famiglia, rischiasse di fare più danni del cugino John Elkann e di

risultare più molesto del cugino Lapo, nessuno onestamente l'avrebbe

previsto. E invece. Nel breve volgere di un anno e mezzo – ed esattamente dal

28 aprile 2010, data della sua nomina a presidente della Juventus in

sostituzione di Jean Claude Blanc – il giovane Andrea è riuscito nell'impresa

di coprirsi, e di coprire la Juve, di ridicolo. E oggi, mentre l'anno di

grazia 2011 declina, dopo una carrettata di proteste, lamenti e mugugni,

proclami, reclami ed esposti, il rampollo Andrea ha raggiunto l'apoteosi

infilandosi nell'imbuto in cui resterà strangolato: il leggendario “tavolo

politico” da lui richiesto, a gran voce, dopo l'ennesima porta in faccia

sbattutagli dal Tnas, a distanza di pochi giorni dalla condanna di Moggi a 5

anni e 4 mesi per associazione a delinquere e frode sportiva al termine del

processo che avrebbe dovuto decretarne la beatificazione e fare della Juve

una martire del ventunesimo secolo, la Santa Maria Goretti del calcio

italiano.

Per la cronaca: la sanzione inflitta a Moggi (direttore generale) segue

quella comminata a Giraudo (amministratore delegato) che avendo chiesto il

rito abbreviato ottenne, il 14 dicembre del 2009, lo sconto di un terzo della

pena: 3 anni pure a lui e sempre per associazione a delinquere e frode

sportiva. Con motivazioni a dir poco drammatiche anche per l'immagine del

club: il giudice De Gregorio sottolineò “il peso che l'uomo aveva

nell'ambiente calcistico, peso sul piano logico compatibile piuttosto che con

la sua qualità di amministratore di una società avente pari dignità di altre,

con la sua appartenenza ad un gruppo organizzato ed influente sulle cose di

calcio». Ancora, il giudice rimarcò come fosse da considerare appurato che

anche nei campionati antecedenti la Juve avesse vinto partite in modo

fraudolento visto che i componenti della cupola “si associavano tra loro e

con altre persone, avendo già nel passato condizionato l'esito di campionati

di calcio di Serie A, con particolare riguardo a quello 1999/2000, che fu

sostanzialmente condizionato sino alla penultima giornata (quando si giocò

Juventus-Parma, diretto da Massimo De Santis)...”.

Ebbene, che Andrea Agnelli si ritrovi seduto, sotto Natale, a un “tavolo

politico” in compagnia di Petrucci, Abete, Pagnozzi, Moratti, Galliani e

compagnia cantante fa veramente ridere: come si dice in questi casi, la

montagna ha partorito il topolino. Che cosa si aspetta, nella sua beata e

sconfinata ingenuità, l'illustre rampollo della Real Casa? Che Moratti gli

restituisca lo scudetto di cartone con tanto di fiocco natalizio? Che Abete

si scusi a nome della Figc per l'ingiusta condanna alla B decisa nell'estate

del 2006? Che Petrucci si complimenti per il fair play, oltre che – en

passant – per l'ottima qualità dell'acciaio usato per lo “Juventus Stadium”?

Forse sarebbe meglio che qualcuno gli parli, prima di prestarsi alla

baracconata del tavolo; e gli spieghi, naturalmente con le dovute cautele,

come quando ai bambini si dice che Babbo Natale non esiste, che il mondo

reale è un altro. Magari potrebbe bastare una letterina natalizia infilata

sotto il piatto. Una letterina che dica più o meno così. . .

“Caro Andrea, ora che sei diventato un ometto, e ti stai preparando a

soffiare sulle 36 candeline, è giunto il momento di dirti alcune verità. La

prima è che dopo aver giocato al Piccolo Chimico e al Piccolo Inventore,

pensavi di esserti appassionato al Piccolo Presidente (della Juventus), ma

non si trattava di un gioco. Fare il presidente è una cosa seria e il calcio,

anche se è un gioco, si è dato delle regole, e anch'esso è una cosa seria. E

insomma...

1) Se l'amministratore delegato e il direttore generale di un club mettono

in piedi un'associazione a delinquere per vincere più facilmente gli scudetti,

barando, vanno puniti: loro e il loro club.

2) Se la giustizia sportiva lavora in fretta, esaurendo velocemente tutti i

gradi di giudizio, è perché non potrebbe fare altrimenti: non si potrebbero

più giocare i campionati, coi tempi della giustizia ordinaria. Particolare

importante: da che calcio è calcio, in Italia e nel mondo, chi accetta di

entrare a far parte del movimento accetta, anche, che sia la giustizia

sportiva, col suo particolare ordinamento (e i suoi tempi, e i suoi modi) a

deliberare.

3) Se la giustizia sportiva ti toglie 2 scudetti per le malefatte dei tuoi

dirigenti, non puoi andare in giro a raccontare di averne vinti 29, se sono

27; ed è di cattivo gusto appiccicarne 29 nel nuovo stadio. È da cafoni. E

tanta manna che le intercettazioni siano scattate durante la stagione

2004-2005, e non prima: sennò gli scudetti sarebbero molti meno, con buona

pace di Moggi e Giraudo, Bettega e Lippi, Agricola e Ventrone.

4) Se un minuto dopo la condanna di Moggi a 5 anni e 4 mesi hai la faccia

tosta di prendere le distanze da lui, voluto alla Juve da papà Umberto come

“male necessario”, per usare le parole dello zio Gianni Avvocato buonanima,

devi decidere cosa pensare di te stesso la sera davanti allo specchio.

Ammesso che sia stato tu, il giorno dell'insediamento a presidente, a tessere

parole di elogio e di riconoscenza nei confronti di Moggi, e non invece un

tuo clone, un replicante, un sosia impostore.

Ci sono momenti, nella vita, in cui tutti siamo chiamati a crescere – per

quanto doloroso sia – e a diventare grandi. Ecco caro Andrea, il momento di

lasciarti alle spalle il mondo dell'infanzia con le sua fiabe, le sue fate e

i suoi balocchi è arrivato. Non è facile, ma a 36 anni ce la puoi fare anche

tu. Fatti forza! Babbo Natale non esiste e Moggi e Giraudo non erano il Gatto

e la Volpe del Paese dei Balocchi, ma dirigenti che avevano messo in piedi

un'associazione a delinquere per truccare le carte e vincere gli scudetti.

Questo succedeva nel mondo reale, quello nel quale adesso vivi anche tu.

Datti un pizzicotto. Vedrai che sei vero. Vivo. In carne ed ossa”.

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oramai il fronte è aperto su tutti i punti cardinalii

se perdessimo la guerra finirebbe la juve

AA ha passato il punto di non ritorno

e con lui tutti noi

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Di ragioni ne abbiamo da vendere (e questo nonostante una sentenza di colpevolezza). Quello che la società non capisce è che se non hai l'appoggio dei media le tue ragioni non le conosce nessuno e per l'opinione pubblica sei un colpevole e pure arrogante.

Andrea Agnelli dovrebbe curare questo aspetto, il costo di coloro che se ne occupano verrebbe ampiamente ripagato dai vantaggi di immagine.

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Di ragioni ne abbiamo da vendere (e questo nonostante una sentenza di colpevolezza). Quello che la società non capisce è che se non hai l'appoggio dei media le tue ragioni non le conosce nessuno e per l'opinione pubblica sei un colpevole e pure arrogante.

Andrea Agnelli dovrebbe curare questo aspetto, il costo di coloro che se ne occupano verrebbe ampiamente ripagato dai vantaggi di immagine.

io ancora non ho capito perchè la stampa non si comporta come fosse la nostra giornalaccio rosa nella parte dello sport

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Il pallone di Luciano

L’etica ballerina

del presidente Abete

di LUCIANO MOGGI (Libero 20-11-2011)

Toh, l’etica ballerina di Abete ha cambiato natura. Ricordate la reboante

dichiarazione dell’epoca? «L’etica non va in prescrizione», tanto per far

capire (tutti lo capirono in questo senso) che se anche le responsabilità

emerse dalle indagini allora in corso da parte di Palazzi non fossero

proseguite, causa prescrizione, per lui il giudizio finale sarebbe venuto

dall’etica. Detto, non fatto.

Da quando Palazzi concluse accertando l’esistenza di illeciti ex articolo 6 a

carico dell’Inter e dei suoi massimi dirigenti (Moratti e il presidente

pro-tempore Facchetti), Abete ha dimenticato l’etica e i suoi risvolti, non

esimendosi però da un’osservazione importante, «mi sarei augurato che l’Inter

rinunciasse alla prescrizione». Invito inascoltato e non ci vuole troppa

fantasia per il perché. Un conto è proclamare da parte dell’Inter la presunta

illibatezza di club e dirigenti, tutto un altro dimostrarlo, potendo questo

essere cercato solo attraverso la rinuncia alla prescrizione, puntualmente non

esercitata. Il presidente Figc si comporta come quel tale che butta la

pietruzza e ritira la manina; come dire: «Io a Moratti l’ho detto ». Poteva

fare altro e non l’ha fatto.

PRESCRIZIONE O NO? Forse dimentico di quanto detto prima, il presidente Figc

scopre ora che «non si può parlare di sport, se non si hanno dei valori etici

di riferimento». E poi, «siamo all’etica individuale e soggettiva: ognuno si

fa la sua etica, nel senso che ognuno ha la presunzione di farsi la sua

etica». Io, piccolo pensatore, mi permetto un’osservazione preliminare, non

vedo un’etica più individuale e soggettiva di quella praticata da Abete. Una

domanda: Abete risponda sul punto d’origine, l’etica va o non va in

prescrizione? E se non ci va, spieghi perché lui ce l’ha mandata. Al di là dei

paraventi di comodo, invero miseri («Rossi non fece un atto amministrativo

formale, e per questo non si ci può essere revoca») contano i fatti: nella

bacheca dell’Inter quello scudetto non ci può stare, perché questo dice, tra

molte altre cose, la relazione di Palazzi. La Figc nicchia e qui si apre il

gioco delle incompetenze, solo che l’ errore sta al principio, lo ha detto

l’ultimo grado di giudizio sportivo compulsato dalla Juve: doveva decidere la

Figc, la competenza era sua, ma di fronte al dilemma (pro o contro l’Inter,

mica per la giustizia) sono tutti scappati.

REGOLE DIVERSE Non è finita. Abete ha fatto un altro autogol, «mi hanno

insegnato che i campionati si vincono in relazione al fatto che devi vincere e

fare risultato sul campo». Spieghi allora perché quello scudetto è stato dato

e lasciato all’Inter, finita a 15 punti dalla Juve, e in presenza degli

illeciti riscontrati da Palazzi. Insiste Abete sui suoi sofismi e invoca il

rispetto delle regole “diverse”, proprie dell’ordinamento sportivo. Se ci sono

regole, lui dovrebbe essere il primo a rispettarle, e così non è invece

avvenuto per il caso delle radiazioni, ad esempio, per il quale a un passo

dalla scadenza si è inventato il pastrocchio di due “nuovi” gradi di giudizio,

in realtà attestati sulla data immobile di cinque anni prima.

E a riprova che in quanto a faccia tosta quelli dell’Inter ne hanno più di

tutti, c’è ora Paolillo, ad nerazzurro, che chiede la testa di Beretta sul

caso Lotito. Da che pulpito. Paolillo è il direttore di banca che doveva

trovare un posto all’allora arbitro in attività Nucini per premiarlo delle

frequentazioni nerazzurre. E sempre Paolillo non si è mosso di una piega per

restituire lo scudetto 2006. Adesso all’Inter non si riesce a trovare uno che

faccia bene il ventriloquo di Moratti.

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CAMBIO DI CAMPO

Zamparini, Lotito, Della Valle e De Laurentiis. I presidenti che vorrebbero fare come il Cav. del ’94

di Beppe Di Corrado (Il Foglio 22-11-2011)

Alti i gomiti, con la scusa di proteggere il pallone. Le parole di Maurizio

Zamparini, Claudio Lotito, Diego Della Valle e poi di qualcun altro sono

l’avvertimento all’avversario, come quando lo stopper ti buttava giù, poi ti

aiutava a rialzarti dicendoti: “Dopo avrai il resto”. Qui il dopo è un

emisfero parallelo: la politica. Berlusconi torna a fare il presidente del

Milan? Qualcun altro ha la tentazione di cercare approdo nel Palazzo. Naturale,

ovvio, scontato, persino banale. Ci sono movimenti, si vedono. Ci sono

ambizioni, si sentono. Sotterranee o dichiarate, annusate o urlate. Oltre

Silvio, il pallone e la politica sono lì, in vista: chi vuole e chi vorrebbe,

chi ci prova e chi ci proverebbe, chi aspetta la chiamata e chi la millanta.

Maurizio Zamparini, dal Friuli passando per Palermo, ha cominciato a muoversi.

Movimento per la gente, così ha chiamato la sua idea. E’ una rivisitazione

molto italiana di una delle mille anime del Tea Party americano: una specie di

associazione dei consumatori a difesa degli italiani dalle tasse e dalla

burocrazia. Anti Monti e anti tutti. Così è Zampa, in fondo. Uno che si muove

come s’è mosso lui nel calcio in politica può soltanto ripetersi: caos e

visibilità, idee e confusione. Ecco perché non accettò la candidatura al

Senato per Alleanza nazionale che gli propose Gianfranco Fini negli anni

Novanta. Avrebbe dovuto rispettare certe regole, cosa che gli è impossibile.

Per anni, dopo quel rifiuto, si disse che di An Zamparini fosse un generoso

finanziatore. Mai confermato, né smentito. La politica gli è sempre piaciuta,

però solo se fatta a modo suo.

Che cos’è oggi il Movimento per la gente? Non lo sa neanche il signor Maurizio,

a dirla tutta. E’ un concentrato di show e frasi a effetto, una grande festa

nazional popolare che mette insieme Martufello e proclami da imprenditore

nordista arrabbiato con lo statalismo e il fiscalismo di Roma. La

presentazione dell’associazione è stata una zamparinata eccezionale. Fiano

Romano, 10 novembre scorso. Palazzetto dello sport. Tremila persone. Lui: “Non

esistono salvatori della patria. Siete voi protagonisti del vostro futuro”.

Voi, cioè il pubblico, che a sentire i racconti dei presenti, era perlopiù di

anziani. Ottimo, no? Se ne frega della realtà che non sia la sua. A lui sta

sulle palle Equitalia? Ecco: prende un po’ di soldi, mette insieme due amici

che la pensano come lui, assolda tre personaggi della tv e organizza qualcosa.

Fa stampare i manifesti: “Equitalia? Strozzinaggio o usura legalizzata”.

Tremila persone a Fiano Romano valgono trentamila altrove e trecentomila in un

altro posto ancora: è questo lo schema del signor Maurizio. Il caos

organizzato. E dentro quel caos ci mette la sua personalità da intelligente

affabulatore, da scaltro combattente. E’ più chic di quanto voglia far credere,

però sa che quelli chic hanno già occupato i posti giusti: a lui resta

puntare su altro. Le urla e le provocazioni fanno parte del piano: “Equitalia

sta massacrando le partite Iva di Italia. Fondo questo movimento perché dalla

vita ho avuto tanto e ho imparato che dare agli altri è più importante che

ricevere. Dobbiamo far partire la nostra amministrazione dal basso, non

dall’alto con persone che ci dicono cosa fare e che ci hanno portato al

disastro. Questo è un ruscello che parte da qui e al quale si uniranno altri

ruscelli non soltanto per fermare Equitalia ma per dare una nuova impronta per

un’Italia in cui i politici vanno a lavorare per la gente”.

Chi, come, dove, quando e perché. Zamparini non può spiegare. L’avventura di

un presidente di calcio in politica è sempre un percorso improvvisato. E’ la

popolarità che spinge: sai di avere un seguito e puoi supporre che quel

seguito si traduca in consenso e quel consenso in voti. Si va per tentativi e

allora nessuno ha il coraggio di svelare il punto d’arrivo. Non si bruciano le

tappe, ovvio. Il pallone crea aspettative che la politica può solo deludere.

Allora bisogna aspettare il momento in cui far passare il messaggio più

semplice: sono loro che mi cercano, è la gente che mi spinge. Prima è tutto un

costante tira e molla. Come quello di Zamparini: “Il nostro non sarà mai un

partito politico, ma il grembo per far nascere nuovi politici. Noi dobbiamo

trovare le soluzioni per la gente. Voglio dare il mio contributo per risolvere

i vostri problemi”. A Palermo c’è riuscito più dei politici veri: ha portato

sogni che mancavano, ha ridato prospettive che sembravano tramontate, ha messo

sul tappeto i posti di lavoro. Come non conta: il calcio come strumento di

pressione vale esattamente quanto altro, quanto un sindacato che può agitare

lo spettro delle tensioni sociali, come una qualunque opposizione che minaccia

di portare la gente in piazza. Il presidente di pallone che si lancia in

politica solo errore: pensare di poter essere Berlusconi. Il resto vale,

compresa la scelta di portare con te sul palco Fabrizio Bracconieri,

Martufello, Maurizio Mattioli, Tony Sperandeo e Magdi Cristiano Allam. E’ la

politica del patchwork: mettici tutto e qualcosa uscirà. Malcom Pagani l’ha

raccontata così: “Zamparini è così. Fedele al motto andreottiano. Fondamentale

è che si discuta di lui. Così assembla pantaloni fucsia e giacche verde

bottiglia e come dice un suo ex giocatore: ‘Per stupire, indosserebbe anche

una gonna’. A Palermo arrivò quasi dieci anni fa. Dopo aver nuotato nella

laguna di Venezia: ‘L’investimento me lo consigliò un amico: è un affare,

costa poco, mi disse. Ci rimisi 200 milioni’. Megalomane, Zamparini li marchiò

con le proprie iniziali. Da qui Emmezeta, esperimento semiologico poi ripetuto

con la catena Mandi, dedicata ai figli Diego, Maurizio e Andrea. Nella prole

di Zamparini, Silvana gestisce l’agriturismo di casa e solo Greta, attrice, è

fuggita a gambe levate. Zamparini, poi, ha Sasà, chauffeur e ultrà, che quando

il presidente sbarca (a Palermo), lo porta in giro nelle meraviglie di Palermo

per l’intera durata della gara. Con la politica, il tycoon ha un controverso

rapporto. Guglielmo Micciché, fratello di Gianfranco, è il vicepresidente del

Palermo e Jörg Haider, il leader ultranazionalista austriaco morto in un

incidente stradale nel 2008 era uno dei migliori amici di Zamparini.

Villeggiavano entrambi a Bad Kleinkirchheim, dove Zampa, figlio di un operaio

specializzato emigrato in Venezuela, ancora possiede un villone con alcune

dependance. Gli stipendiati di Zamparini trascorsero per anni i ritiri estivi

in Carinzia mentre nella sua magione, con loden d’ordinanza, si faceva vedere

spesso il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, tifoso del Palermo e

assiduo frequentatore del più noto mangiatecnici d’Italia. E’ forse in memoria

di Haider che Zampa progetta il grande salto. Nel mondo semplificato di

Maurizio ‘faccio tutto io’, Montecitorio somiglia allo Zen di Palermo”.

Non piace a molti, Zamparini. Al resto sì. Buoni numeri, anche perché chi

prova a fare un giro nelle decine di città italiane che avevano il grande

calcio e adesso sono sull’orlo della scomparsa, troverete soltanto gente che

ripete frasi così: “Eh, ci vorrebbe anche qui uno Zamparini”. E’ la forza di

quello che dice e la forza di come lo dice. E’ la forza della tv. Il signor

Maurizio non esisterebbe senza le telecamere. Come Claudio Lotito, campione,

in questi giorni, della filosofia del “se me lo chiede la gente”.

L’esposizione mediatica, come direbbe lui, ha traslato il proprietario della

Lazio dalla categoria dei presidenti di calcio a quella dei possibili

presidenti di tutto. L’ha detto: “La politica? Se me lo chiede la gente sono

pronto”. Appunto. Il che significa esattamente questo: lui vuole, a

prescindere dalla gente. Gli hanno chiesto: un ministero lo vorrebbe? “Non

credo potrei far del bene da semplice parlamentare. Però non so’ cose che

posso decide’. Sarebbe come andare dall’oste e chiedere se il vino è buono”.

Ci crede, Lotito. Nel frattempo bisognerebbe capire dove potrebbe andare.

Finora ha litigato, negandolo, praticamente con tutti: con Veltroni, con

Cicchitto, con i leghisti, con Storace. Dove potrebbe andare? Con chi? Forse

con nessuno, forse con chiunque. Forza, questa. Già dimostrata: è in grado di

gestire i conflitti, le tensioni, le amarezze. Ha provato meglio di molti

politici che cos’è la solitudine vera: quando la gente non ti chiama, quando

la gente non ti cerca, quando ti senti un appestato. C’è una foto simbolo di

qualche tempo fa: lui isolato nella tribuna autorità, senza neanche un

portaborse o un figurante vicino, e tutto il mondo biancoceleste intorno che

lo insulta. Tutt’altro che una “sparuta minoranza”, come ha sempre liquidato i

contestatori e come in quei giorni gli ricordò il Corriere della Sera. Ecco:

nonostante quella solitudine, Lotito ha continuato a fare quello che voleva e

quello che doveva. Un altro ambizioso come lui avrebe ceduto, lui no. Convinto

com’è che davvero una chance ci possa essere. L’abilità di imporsi ce l’ha.

Nessuno ancora lo conosceva e si presentò a passo di carica alle assemblee

della Lega Calcio, seguito dalla scorta (“Ma la benzina la pago io”, specificò)

e da un codazzo di giornalisti delle radio romane sempre a caccia di una sua

frase, di una citazione. “Il latino bisogna saperlo”, diceva e dice ancora. E’

passato attraverso molte stagioni nonostante la giovane esperienza: la

celebrità, l’oblio, il ritorno grottesco e quello vincente. Oggi funziona e

per questo può ambire a un salto vero.

Cosa che piacerebbe, a quanto pare, anche a Diego Della Valle. Lui nel pallone

neanche c’è davvero. O meglio: c’è con i soldi, non con la qualifica. Non è

presidente di nulla, anche se a Firenze tutti lo chiamano così. Non sappiamo

che cosa voglia fare davvero del calcio, visto che al Wall Street Journal ha

detto che per lui è “un hobby da domenica davanti al caminetto con la tv

accesa”. Non sappiamo che cosa voglia fare della politica. Anzi del paese.

Perché nessuno parla di politica, ci mancherebbe. Adesso funziona così: il

paese, la nazione, la gente. Diego che fa? Se lo chiedono tutti, compreso

forse anche il suo giro. Sponsorizza Luca Montezemolo, parla, poi riparla, a

volte straparla. Compra pagine sui giornali, va da Santoro. Politica? No,

grazie. Ma politica comunque. Appoggio esterno a non si sa bene chi o che

cosa. Forse indecisione. Forse decisione perfetta. Diego è il mistero

dell’Italia del 2011: sai che c’è, non sai ancora bene dove. Anche nel calcio

è così: è la Fiorentina senza avere una sola carica ufficiale nel club. Il

contrario di Lotito, in questo caso. Claudio fa tutto, Diego fa niente. Eppure

il destino recente è comune: hanno annunciato di voler scendere in campo e ora

sono stati espulsi. Capita, sì. Hanno capito anche loro come funziona il giro

del fumo: il calcio ti dà popolarità impensabile senza pallone, poi però ti

espone al rischio della gogna vigliacca. Della Valle e Lotito sono stati

puniti. Erano gli uomini della rinascita, gli eroi del risorgimento etico e

sono stati indicati come quelli con le mani sporche di marmellata, assieme

agli altri illustri protagonisti della cosiddetta Calciopoli. I tribunali del

popolo tifoso li hanno infilati tra i colpevoli di quella stagione

indecifrabile dal punto di vista giudiziario, che ha dato sentenze certe senza

avere uno straccio di prova. Così è, anche se non pare a loro e forse a nessun

altro. L’accusa certificata da una corte è questa: invece di tutelare gli

interessi del paese, immagine che piace moltissimo ai due, hanno badato al

particolare, all’interesse personale delle loro aziende, Fiorentina e Lazio,

accomunate anche da una partita poco fischiata e molto contestata ma pure

dalla voglia di apparire su altri fronti, la politica, il bene sociale, il

senso patriottico, il desiderio e la sicurezza di essere altro da quello che

passa il convento Italia.

“Della Valle e Lotito sono due tipi fondamentalmente diversi, opposti direi”,

ha scritto Tony Damascelli. “L’imprenditore laziale non bada al look semmai

alla lingua, veste ordinario, classico, nessun fronzolo, bracciale, foulard,

frequenta l’italiano, a volte arcaico, enuncia frasi in latino, ha un ritmo

affabulatorio da radiotaxi. Il suo collega marchigiano è una nuvola di charme,

commette gaffe di italiano scritto tra un anacoluto e uno strafalcione, parla

quasi sottovoce, come in hot line. Lotito ha chiare, decise radici di destra,

Della Valle fluttua, di qua e di là, secondo l’ufficio meteorologico e il

mercato. Vederli, insieme, condannati ad anno uno e mesi tre per una storia di

pallone potrebbe provocare risa tra le jene di cui il bel paese è affollato.

Ma, secondo un’altra corrente di pensiero, sono vittime del sistema, semplici

osservatori dell’Onu calcistico, personaggi a margine di un tritacarne

manovrato da chi sappiamo, anzi sanno e sapranno sempre. Lotito in tivvù, non

ha cortigiani e intervistatori accomodanti, anzi spesso si ritrova a fare

disfida con opinionisti che non gli perdonano, per ignoranza, le citazioni

ciceroniane o la ‘non’ cultura (!!!) calcistisca, per gli altri, invece,

ammessa con sudditanza; Della Valle gode di coccole e carezze in ogni dove

decida di presentarsi, con eleganza e charme, le sue riflessioni sono magiche,

come il tono della voce che le accompagna a differenza di quel caciarone

laziale che non parla ‘ore rotundo’ ma ovale”.

Pallone e politica fanno scopa. Fanno anche gola: una tentazione che a volte

diventa irresistibile. Spontaneo, no? Vedi la folla, la gestisci o la patisci.

Zamparini, Lotito e Della Valle sono gladiatori che alzano lo sguardo verso la

tribuna del Colosseo per guardare il pollice dell’imperatore e quindi del

popolo e allo stesso tempo sono proprio quegli imperatori. Su e giù:

contestati e adorati, come la casta dei politici che viene idolatrata e poi

censurata.

L’altro della combriccola è Aurelio De Laurentiis: amico di nessuno dei tre e

forse amico di nessuno, ma simile nello sviluppo della carriera da presidente

pallonaro con ambizioni altre: l’avevano indicato come possible candidato del

centrodestra alle amministrative di Napoli. Lui l’anti De Magistris. E’ finita

che Giggetto ha avuto da Aurelio il San Paolo come palco delle prime

apparizioni pubbliche da sindaco. Giravolte. Il presidente del Napoli è il

quarto anello: presente in tv come gli altri tre. Che vogliono oltre il

calcio? Lo scopriremo. Se la politica post berlusconiana ha abbandonato il

talk show, lo spettacolo ripartirà dal pallone. Due poltroncine bianche qui e

due lì. Il salotto poco buono e per niente buonista: perfetto per costruire

ambizioni che il pallone può coccolare. Solamente, certamente.

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776 messaggi

Tutti a tavola. Anche i guardalinee.

di OLIVIERO BEHA (olivierobeha.it del 23 novembre 2011)

Immaginatevi la scena: viene ordito in pompa magna il famoso tavolo della pace tra i poteri calcistico/sportivi, quello richiesto da Andrea Agnelli per le vecchie storie della Vecchia Signora, con Petrucci alla presidenza a mo’ di Artù e Massimo Moratti e magari Della Valle ecc. E ai lati di esso ci sono gli assistenti arbitrali che alzano la bandierina se la discussione va in fuorigioco… Meravigliosa trasposizione da subbuteo del pallone italiano di oggi, di ieri e di domani, in balia di decisioni arbitrali più che discutibili sulla scorta quasi sempre delle segnalazioni dei loro laterali. L’elenco degli errori è infinito e bisognerà pure cavare qualche ragno dal buco. Per esempio, l’errore di chi aiuta (o danneggia) Mazzoleni nel gol di Seedorf annullato ingiustamente a Firenze ha determinato il mancato primato in classifica del gruppo parlamentare titolare di Berlusconi.

Male, certo. Ma c’è un peggio: se domenica prossima qualcuno dovesse restituire il maltolto al Milan contro il Chievo qualora ce ne fosse bisogno – che so, un rigore fasullo o un gol in fuorigioco, per dire… – che diremmo? Giustizia è fatta? Vallo a spiegare al Chievo… E non mi sono discostato tanto dalla lettura dei fatti. Prendete l’Inter: sulla carta deve mangiarsi il Cagliari, sul campo così non è e la partita viene sbloccata da un gol in fuorigioco di Thiago Motta (ormai ci sono più Thiaghi in giro che Rossi…). Morale: l’Inter dice che con tutto quello che ha subito fin qui, non c’è tanto da fare gli schizzinosi. Ma se vale questa regola, tradotta in “tanto tutto si compensa, alla fine del campionato” (e non è vero per niente), ditemi voi quanto è regolare eticamente un torneo così. L’obiezione di chi non vuol capire è: ma adesso succede perché sbagliano in buona fede, la bad company di Moggi e Co. invece funzionava dolosamente. Ma scusate, dunque il teorema della compensazione è invece eticamente accettabile?

E a spese di chi? Perché ci sarà alla fine il classico “ortolano” del proverbio del Settecento francese illuminato, non vi pare? E chi fa la parte di questo ortolano nel magazzino ortofrutticolo del Reame Rotondocratico? Vedete, non sarebbe male che assieme al tavolo di cui sopra, che attendo con ansia per capire chi ci marcia e chi no, venisse affrontato politicamente e non solo giuridicamente il caso da cui parte la necessità del tavolo stesso, ovvero l’anima (bianco)nera di Calciopoli. L’Alta Corte del Coni ha infatti in giudizio la delicata questione immediatamente ricollegabile al suddetto scandalo, quella della radiazione di Moggi. Di cui a mio parere il lettore non sa nulla. Perché un ricorso a un simile grado di giudizio? Perché la Federcalcio ha combinato pasticci con la radiazione per finta di Preziosi e Dal Cin, ne ha segretato gli atti per evitare confronti con la difformità di giudizio nel caso di Calciopoli, non ha tenuto nel debito conto alcuna altra telefonata sopraggiunta a chiarire o a modificare o a integrare le colpe di tale scandalo.

A distanza di oltre 5 anni, forse il tavolo summenzionato potrebbe inglobare anche queste questioni, così da illuminare a giorno tutto ed evitare ulteriori somministrazioni di “doping legale”, come l’ha chiamato con felice intuizione l’astuto Petrucci (al Coni da una vita in qualità di germoglio spontaneo…). E tornando alle fischiate improvvide, non ci sono stati solo annullamenti di stampo “etico”, ma anche di stampo estetico: come definire altrimenti la meraviglia di Osvaldo, in volo in bicicletta all’Olimpico come nei tempi antichi? Comunque ha vinto la Roma , ma siamo stati deprivati tutti da un gesto sensibile come pochi (ricordo nell’era ronaldiana all’Inter una meraviglia di Djorkaeff, proprio contro la Roma), tra l’altro sempre più raro. Un altro paio di considerazioni apparentemente di contorno, in realtà credo cruciali. La prima riguarda le dimostrazioni di razzismo degli stadi: è vero, il presidente della Fifa, Sepp Blatter (ossia Giuseppe Blatte, come l’insetto), è stato capace di sottovalutare conati razzistici negli stadi inglesi, suscitando la reazione di dirigenti albionici quando il capataz svizzero, coinvolto in una montagna di casi con indebiti regali, favori ecc. nella nebbia opacissima del potere di Zurigo, se ne è uscito con la paterna recinzione delle frasi razziste “all’interno del calcio”.

Ma deve essere chiaro che è lui un cattivo esempio, assieme ai responsabili di manifestazione razzistiche di qualunque livello. Per cui fa malissimo da noi il presidente della Fiorentina, certo Cognigni, a sottovalutare i cori da “zingaro” riservati a Ibrahimovic dopo episodi analoghi indirizzati a Mihajilovic. È un modo di stravolgere le gerarchie di importanza e di accettare questo imbarbarimento meta-economico dello sport o del gioco. La seconda considerazione tocca il linguaggio, quindi comunque la valutazione errata di ciò che succede, come per Blatter, come per Cognigni e chissà quanti altri. Sabato non si è giocata una partita della Bundesliga tedesca, precisamente Colonia-Mainz. L’arbitro designato aveva tentato in mattinata il suicidio e fortunatamente è stato ripreso per un capello. Giornalisticamente è ovvia la necessità di ricordare come purtroppo riuscendovi due anni fa avesse fatto lo stesso il portiere della Nazionale tedesca, Henke: ma sapete come parecchi siti internet italiani hanno connotato la tragedia mancata dell’arbitro? Con il termine “clamoroso”. È possibile mischiare insensibilità a ignoranza lessicale in questo modo? Per la mia generazione era un brocardo di Ciotti “Clamoroso al Cibali” se il Catania batteva l’Inter. Oggi è “clamoroso” un tentato suicidio? Urge un tavolo anche per il linguaggio, temo.

Modificato da huskylover

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E in certe curve si continua

la sfida "rossi contro neri"

di Giovanni Tarantino dal blog "L'eminente dignità del provvisorio" 23-11-2011

Chi non vuole uscire dalla logica degli anni di piombo, purtroppo, trova

ancora adepti in qualche curva di stadi italiani e non solo. Così è possibile

trovare nel 2011 un libro che racconta le curve d’Italia come fossero centri

sociali di matrice autonoma o anarchica insurrezionalista. Controcultura

ultras. Comunicazione, partecipazione, antagonismo (Coessenza, pp.247, euro 15),

scritto da Marco De Rose, è il fiore all’occhiello degli ultras allineati a

sinistra. L’autore è un ultrà del Cosenza, curva rossa, e frequentatore della

Libreria internazionale di Via dei Volsci a Roma, quella fondata dal

«sociologo di strada» Valerio Marchi, scomparso nel 2006.

Il fenomeno ultrà viene visto in questo libro come una controcultura, con i

suoi linguaggi, i suoi stili, intrisi di comunicazione controinformativa e

lotte sociali. Questo è un dato vero, confutabile leggendo le storie di

diverse tifoserie italiane. Le conclusioni a cui giunge, tuttavia, sono

nefaste. I toni sono fortemente politicizzati. L’analisi che parte da un

presupposto valido – quella ultras è una controcultura – si perde nei moniti

da ciclostile della curva livornese: «Non siamo e non saremo mai solidali a

nessun ultras neofascista, in quanto il suo annientamento è il nostro

obiettivo». Appare come un paradosso la realtà di un fronte comune per ultrà

omologati, con esponenti delle tifoserie di Ternana, Livorno, Ancona, Cosenza,

ribattezzato «fronte di resistenza ultras».

Ha forse un senso ricordare che le Brigate Rossonere, fondate nel 1975,

annoverano tra i loro creatori quel Toni Negri leader dell’Autonomia operaia.

Caso non unico di commistione tra ultras e militanti politici a sinistra come

a destra. Va annoverato in tal senso anche il caso di Beppe Franzo, tra i

fondatori degli Indians della Juventus negli anni Ottanta, e successivamente

animatore de L’Araldo, centro culturale tradizionalista torinese. Proprio

Franzo, qualche tempo fa, presentando ai microfoni di Radio Bandiera Nera il

suo libro Via Filadeflia 88 (Novantico), ha ricordato peraltro una rivalità

nella rivalità che animava la contrapposizione cittadina torinese tra gli

«Indians della Juve, composti in maggioranza da militanti della destra

extraparlamentare e i Granata Korps, che radunavano quasi tutto il Fronte

della Gioventù missino della città della Mole».

Ma erano quelli i tempi: in certi casi si era ultras e comunisti, o ultras e

neofascisti. E storie come quella raccontate da Franzo non sono dissimili a

quanto accadeva nelle curve di sinistra. È un pezzo di storia, non lo si può

negare e ha un senso ridiscuterne oggi. Quello che appare meno sensato è

imitare esperienze di quel tipo ai nostri tempi. Che senso ha, oggi, a giocare

a curve rosse contro curve nere? A immaginare trame oscure che legano le curve

«di destra» alle forze dell’ordine? È forse di matrice rossa la curva di

appartenenza del povero Gabriele Sandri? Oppure quel caso evidenzia

un’assurdità che non ha nulla a che vedere con i colori politici e di fede

calcistica?

Ai paladini della contrapposizione politica applicata al calcio sfugge poi un

altro dato. Sono veramente pochi i casi di curve completamente allineate in un

unico fronte politico. I casi più noti quelli dell’Hellas Verona a destra o

del Livorno a sinistra: in mezzo tante tifoserie a predominanza trasversale.

Ma negli anni d’oro del movimento ultrà italiano, gli Ottanta, le rivalità non

erano quasi mai dettate dal colore politico. È il campanilismo, lo spirito di

supremazia territoriale che domina nel calcio, e nella sua filosofia, fin

dagli albori tardo ottocenteschi derivanti dalla Gran Bretagna. Non si

spiegherebbero altrimenti le rivalità stracittadine tra Roma e Lazio,

l’antipatia tutta campana tra Salernitana e Cavese, l’odio tra due fazioni un

tempo di sinistra come atalantini e fiorentini. Non è figlio della politica il

cosiddetto derby d’Italia tra Inter e Juventus, come non lo è quello di

Sicilia tra Palermo e Catania.

Diverso è il senso delle battaglie condivise «contro il calcio dei padroni»,

altro che la certificazione di conformità ideologica che certi “compagni”

vorrebbero.

Negli ultimi anni il mondo ultras ha avuto di che lamentarsi. Da

provvedimenti discutibili come la tessera del tifoso fino a casi di eclatante

ingiustizia come quello riguardante la morti di Gabriele Sandri e Matteo

Bagnaresi. È quasi naturale che gli ultras fungano da comune cassa di

risonanza di battaglie civili: è logico che chiedano di essere ascoltati, che

pretendano garanzie, che non vogliano essere l’anello debole della catena

chiamata calcio. Ma non è il clima da «noi contro di loro» che può risolvere

il problema. L’antifascismo da stadio è solo uno scimmiottamento di

contrapposizioni desuete, dannose, che hanno generato un clima di odio e una

stagione di sangue. Di un periodo che, per fortuna, non interessa il mondo del

calcio, che avrà pure mille difetti ma che non è toccato, nemmeno per sbaglio,

dagli antagonismi da guerra civile fuori tempo massimo che piacciono tanto a

qualche nostalgico.

___

L'Ambrogino di cartone

di Giovanni Capuano dal blog "Calcinfaccia" 23-11-2011

Per capire la motivazione che porterà l'avvocato, giurista e professor emerito

di Diritto commerciale alla Bocconi Guido Rossi sul palco del Teatro Dal Verme

a ritirare dalle mani del sindaco Pisapia il prestigioso Ambrogino d'Oro

bisognerà attendere ancora qualche giorno. Oggi si sa solo che il nome di

Rossi è finito nell'elenco dei 28 milanesi 'doc' premiati con la Medaglia

d'Oro. Un riconoscimento che gli arriva nell'anno in cui l'offensiva di Moggi

e della Juventus ha fatto tremare dalle fondamenta la sua gestione della Figc

post-Calciopoli a partire dalla scelta di assegnare all'Inter lo scudetto 2006.

Che si tratti di un ultimo schiaffo politico-calcistico a juventini e

milanisti? Ufficialmente la candidatura è stata presentata dall'architetto,

assessore ed esponente del Pd, Stefano Boeri. I retroscena della riunione che

ha compilato la lista dei premiati dicono che a chiedere conto del perché si

volesse onorare proprio Guido Rossi sia stato un solo consigliere, milanista

altrettanto 'doc'. "Sono sincero, mi ha mosso soprattutto l'odio calcistico

nei confronti di chi ha regalato all'Inter lo scudetto di cartone" ammette

Matteo Salvini. Messo in minoranza ha dovuto abbozzare e così Guido Rossi,

commissario straordinario della Figc per 90 giorni nell'estate del 2006 e

passato alla storia per l'assegnazione del tricolore all'Inter (di cui era

stato consigliere d'amministrazione) e per la comparsata ai Mondiali 2006,

entrerà nel novero dei milanesi da ringraziare per la loro attività.

A meno che il premio non sia destinato alla sua militanza negli ambienti

finanziari, delle banche e della Borsa. Il che sarebbe plausibile ma, forse,

un po' indelicato nel mezzo di una crisi nata proprio nel mondo della finanza.

O, ancora, che sia stata riconosciuta la sua opera nel Group of High Level

Company Law Experts della Commissione Europea proprio mentre l'Europa stessa

vede sfaldarsi le sua fondamenta. Per non voler essere maliziosi e sostenere

che una legislatura in Senato da indipendente della Sinistra possa valere il

primo Ambrogino dell'era Pisapia. No, non ci crediamo. Se Guido Rossi passerà

alla storia sarà per quel maledetto scudetto che sta dividendo l'Italia tra

interisti e revisionisti. E allora l'Ambrogino non può che essergli stato dato

per questo e tremiamo all'idea che la sua assegnazione possa diventare oggetto

di una guerra di religione. Via il dente, via il dolore: lo chiameremo

l'Ambrogino di cartone. Tutti contenti, nessuno (si spera) al Tar.

___

SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 23-11-2011)

Via al tavolo della pace

il capolavoro di Petrucci

Un autentico capolavoro: Giovanni Petrucci, il numero 1 dello sport italiano,

si è confermato non solo uomo di sport ma anche abile politico. Le durissime

parole nei confronti del mondo del calcio, e l'iniziativa del tavolo della

pace, hanno avuto subito un effetto positivo: le polemiche si sono placate,

non si parla più di ricorsi ai tribunali ma finalmente di calcio giocato. La

Juventus ha subito aderito al tavolo di Petrucci, per chiudere finalmente con

Calciopoli: e anche lo stesso Massimo Moratti ha detto di sì, per rispetto del

Coni e del suo presidente. Chiaro che il n. 1 dell'Inter non accetterà alcun

processo: il caso dello scudetto 2006 è chiuso, la prescrizione ha dato un

colpo di spugna. Vero che le indagini di Napoli si sono rivelate terribilmente

lacunose, e che se certe intercettazioni fossero venute fuori anni fa (quando

dovevano venire fuori!) almeno le vicende sportive avrebbero avuto un'altra

piega. Ma così non è stato: Andrea Agnelli si è rivolto ai tribunali ordinari,

magari esagerando, per cercare quella giustizia che non ha avuto da quelli

sportivi. Ma intanto la sua presa di distanza di Moggi e c. gli è costata

subito la contestazioni degli ultrà bianconeri. Insomma, Calciopoli è e resta

una ferita aperta: per questo il tavolo di Petrucci è lodevole. Non si sa

ancora quando si farà e nemmeno chi vi prenderà parte ma si farà di sicuro. Si

sta cercando una data che vada bene a tutti: adesso Petrucci e Pagnozzi sono a

Sochi, poi si sposteranno a Mosca.

La prossima settimana c'è Giunta Coni (martedì 29) e Consiglio Nazionale, più

probabilmente un appuntamento a Palazzo Chigi per parlare di Roma 2020 e della

relazione della commissione-trasparenza di Fortis e Carraro. Poi Petrucci avrà

altri impegni in Italia e all'estero, così come Giancarlo Abete, n. 1 della

Figc, il 7 e 8 dicembre sarà a Venezia per l'esecutivo Uefa e intorno al 12

dovrebbe tenere un consiglio federale, l'ultimo dell'anno. Probabile, a questo

punto, che il tavolo della pace si tenga dopo il 15 dicembre ma sicuramente

prima di Natale. Dipende dagli impegni di tutti gli invitati: Petrucci,

Pagnozzi, Abete, Andrea Agnelli e Massimo Moratti sono sicuri. Gli altri, non

si sa ancora. Diego Della Valle, patron viola, aveva proposto per primo una

soluzione del genere, anche se sicuramente più "aggressiva", tanto che Moratti

aveva detto immediatamente di no, seccatissimo. E Galliani va invitato? E' uno

dei dirigenti più importanti del calcio italiano: come si fa a lasciarlo

fuori? Zamparini ha tuonato contro il tavolo di Petrucci ma sono sicuro che se

lo invitassero cambierebbe subito idea. E gli altri? Preziosi, Di Benedetto,

Pozzo, Cellino che è pure consigliere federale? Che si fa, si lasciano fuori?

E Beretta, presidente della Lega di A? I suoi rapporti con Petrucci sono ai

minimi ma in fondo Beretta rappresenta (si fa per dire... ) la Lega Maggiore.

Insomma, in questi giorni si stanno definendo data e partecipanti. La prossima

settimana verrà tutto ufficializzato. Ma, ripeto, Petrucci ha fatto un

autentico capolavoro: da dirigente cresciuto alla scuola della Dc (la stessa,

per capirci, di Abete) ha saputo parlare nel momento giusto, coi toni giusti.

Un esempio di autorevolezza riconosciuta da tutti.

Petrucci ha avuto un'offerta da Casini, leader dell'Udc, per candidarsi a

sindaco del Comune di San Felice Circeo, posto splendido ma sicuramente assai

difficile. Può darsi anche che accetti: nel 2013 si chiude la sua avventura

con il Coni (il delfino è Lello Pagnozzi) ma Petrucci crede ancora nella

candidatura di Roma 2020. Ci credeva poco, pur senza ammetterlo pubblicamente,

con il governo Berlusconi: d'altronde il ministro Tremonti non aveva mai dato

segnali d'interesse all'Olimpiade. Ora, con Monti al potere, e con governo

tecnico, crescono le speranze: Petrucci ha avuto già un incontro con Piero

Gnudi, neoministro del turismo e dello sport. Presto ci sarà anche il summit

con Catricalà, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Il Pd ha dato

forti segnali d'appoggio alla candidatura, il Pdl dovrebbe confermare il suo

sì convinto, mentre potrebbe esserci una resistenza della Lega Nord (ma ora

sta all'opposizione). Insomma, torna l'ottimismo e Petrucci "il politico" ora

sarà impegnato nella sua battaglia più dura, e sicuramente prestigiosa. Se

Roma 2020 dovesse davvero farcela (il Cio decide il 7 settembre del 2013: la

volata è ancora lunga), chissà che Petrucci non faccia solo il sindaco di San

Felice Circeo...

___

Sibilia e la pistola, gli autografi a casa Pellegrini:

30 anni di retroscena del grande calcio

di FABRIZIO BOCCA da "Bloooog!" (Repubblica.it 23-11-2011)

Provate a immaginare il calcio di qualche tempo fa, provate a immaginare, ad

esempio, Sibilia che per cominciare un colloquio, diciamo cosi’ di lavoro, si

toglie la giacca bianca ed appoggia la pistola sul tavolo. Il libro comincia

cosi’ ed e’ un viaggio nel calcio, dagli anni ‘80 fino ad oggi, un viaggio con

tante piccole tappe, tante, piccole e grandi storie, tantissimi aneddoti di

calciatori, presidenti, procuratori: da Falcao a Guardiola, da Gaucci a Moggi,

da Pellegrini a Dino Viola. Il libro si chiama “Lo stalliere del Re, fatti e

misfatti di 30 anni di calcio” (Dalai editore,338 pagine, 17 euro) ed e’ stato

scritto da Dario Canovi, noto procuratore di calciatori (in passato fra i

tanti Collovati, Dossena, Conti e oggi Thiago Motta) e Giacomo Mazzocchi, noto

giornalista nonche’ padre di Marco affermato giornalista sportivo (e non solo)

in Rai. Lo Stalliere del Re, com’è noto, e’ uno dei tanti appellativi di

Luciano Moggi, secondo una delle definizioni piu’ felici, quella di Gianni

Agnelli. C’e Moggi ovviamente nel libro, ma non e’ un libro inchiesta questo

su Calciopoli o i tanti scandali del calcio, quanto piuttosto una piacevole e

interessante passeggiata fra i volti di tanti anni di calcio. Storie che ti

fanno vedere i personaggi, siano Falcao o Cerezo, molto da vicino, che ti

raccontano il calcio cosi’ come una volta era possibile, quando il calciatore

era gia’ famoso, era gia’ un idolo, ma non era ancora diventato un fenomeno di

marketing. E dunque gestito sotto tutti gli aspetti, senza trtascurare alcun

particolare. Un tempo non era cosi’.

Sibilia, il camorrista, i furti e Juary - E cosi’ si comincia con una visita

ad Avellino per risolvere alcuni problemi contrattuali con l’ex presidente

Sibilia, il quale prima di mettersi a sedere di fronte al procuratore si

toglie la giacca ed appoggia la pistola sul tavolo con la canna rivolta verso

l’interlocutore. Ma era stato solo un gesto distratto, non propriamente

minaccioso: la Magnum nella fondina gli dava evidentemente fastidio. Lo stesso

Sibilia che nell’ottobre del 1980 porto’ l’assistito di Canovi il piccolo,

bravo e simpatico brasiliano Juary (quello della danza attorno alla bandierina)

a consegnare una medaglietta d’oro a Raffaele Cutolo nel bel mezzo di

un’udienza,episodio notissimo. Forse molti non sapranno pero’ che una volta

Juary ando’ a lamentarsi che gli era stata rubata l’auto e il presidente

gliela fece ritrovare semplicemente informandosi se avesse parcheggiato dalla

parte sinistra o destra della strada di Avellino. Anche Tacconi si lamento’ di

un furto, ma se ne infischio’ perché guadagnava troppo e gli stava antipatico.

Lo scandalo del Totonero 1980 alla radio - Lo scandalo del Totonero del 1980

e’ ripercorso velocemente con una partenza molto originale, e cioe’ la

radiocronaca con le voci di Ciotti, Ferretti, Ameri che ripercorrono il famoso

pomeriggio degli arresti durante Tutto il Calcio Minuto per Minuto. La

cassetta con quella radiocronaca fu regalata da Ciotti a Canovi.

Il contratto di Cerezo e la sua storia - Esilaranti gli episodi raccontati

relativi a Toninho Cerezo. Il brasiliano stava per passare al Milan,

raggiunsero un accordo con Galliani in un appartamento di Berlusconi a Milano:

contratto biennale da un miliardo e duecento milioni, un’auto, un appartamento

e 16 passaggi aerei andata e ritorno per il Brasile. Poi pero’ l’affare si

chiuse con Mantovani, 700 milioni e niente premi, con tanto di finta

telefonata alla moglie Rosa per chiedere l’ok. Ma Cerezo era talmente

rompiscatole che dopo un gol ottenne che Mantovani gli comprasse e recapitasse

tutti i mobili della casa in affitto. Canovi ha reicontrato Toninho Cerezo

poco tempo fa accompagnato dai suoi tre figli tra cui Lea T famosissima

modella transessuale che lavora per Givency. Bellissime le parole dell’anziano

Cerezo: “Dobbiamo accettare le differenze ed essere tolleranti con le

diversita’. Non dobbiamo giudicare cio’ che non capiamo. Leandro o Lea, tu

sarai sempre orgogliosamente una parte di me”.

Il mercato dell’Inter e la grafologia di Lady Pellegrini - La storia che Lady

Pellegrini, moglie di Ernesto presidente dell’Inter, sottoponesse la firma del

contratto dei calciatori a un esame dell’autografo prima di autorizzarne

l’acquisto e’ assolutamente confermata con vari episodi. Capito’ a Canovi con

Mandorlini e Dell’Anno – la signora faceva finta di chiedere autografi per la

figlia – e persino per una trattativa che riguardava Guardiola e Stoichkov, ma

rimediando solo la firma del loro intermediaro, Pellegrini ripiego’ su Jonk e

Bergkamp.

Il fenomeno Alba Parietti - Ci sono molte divagazioni nel libro, tra cui una

su Alba Parietti, autentico fenomeno esploso nel 1990 con Galagol. La Parietti

dienne improvvisamente un’icona di bellezza nazionale, gli uomini e

soprattutto i calciatori stravedevano per lei. Un sogno sexy che impersava in

tv ai tempi dei mondiali italiani. “Ma al momento giusto tutti impauriti

scappano con una scusa…”

E ancora le litigate fra la Juventus di Giraudo e la Domenica Sportiva

accusata di essere romanocentrica, il calcio molto approssimativo e

lontanissimo di personaggi come Anconetani e Gaucci, l’incredibile fissazione

di calciatori e allenatori per maghi e fattucchiere (persino il serioso

Dossena a quanto pare frequentava un personaggio che prevedeva risultati e gol)

, Gigi Martini ex terzino della Lazio con idee di estrema destra poi per dieci

anni deputato di An e coinvolto nel caso Finmeccanica come ex presidente Enav,

che allora non solo pilotava aerei ma si buttava giu’ dai C-119 con il

paracadute insieme a Luciano Re Cecconi, il presidente del Toro, Borsani,

anche lui fissato col volo e che trascurava gli ordini della torre di

controllo picchiando sull’aeroporto di Caselle.

E tante, tante curiosita’ di quel mercato che poi alla fine e’ l’altra faccia

della partita di calcio, la parte che impegna molto la fantasia dei tifosi.

Oggi come trent’anni fa gli affari si potevano fare e far saltare con tanti

trucchi. Come quando Sandro Mazzola mentre stava per andare a depositare in

Lega il contratto di Falcao all’Inter si fermo’ in un bar (non c’erano i

telefonini) per chiamare Fraizzoli confermandogli la chiusura del clamoroso

affare. Il presidente lo fece tornare precipitosamente indietro, gli aveva

appena telefonato il presidente Viola, minacciandolo velatamente di fargli

togliere, con le sue amicizie politiche, l’appalto per la fornitura delle

divise delle guardie carcerarie in tutta Italia. Per Falcao valevano anche i

colpi proibiti.

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Moratti accetta il tavolo? Soltanto perché anche lui ha scaricato Giancarlo Abete

di Giancarlo Padovan • 24 nov 2011 • CALCIO GP

Più il tempo passa e più mi risulta chiaro che l’obiettivo del dopo-calciopoli è, per tutti, il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete. Prima, infatti, la Juve lo ha attaccato direttamente promuovendo ben sette azioni giudiziarie per riottenere quanto le è stato tolto. Poi, Massimo Moratti che non ha mai perso l’occasione per stuzzicarlo, ha aderito al tavolo di conciliazione lanciato da Andrea Agnelli. Con una sottigliezza, però, che non è sfuggita ai più: “Come potrei sottrarmi all’invito di Petrucci che è il massimo responsabile dello sport italiano?”

Ecco il punto: se a chiamare è il presidente del Coni, allora Moratti si muove, pur con tutti i distinguo del caso (“speriamo che sotto al tavolo non ci siano i coltelli”), ma se a farsi interprete dell’iniziativa fosse stato Abete (o, peggio, Della Valle che non ha un profilo istituzionale) avrebbe detto di no, come già accaduto in passato.

Questa situazione, già di per sé equivoca come ho avuto modo di dire, mi porta a formulare due domande. La prima: perché Moratti ce l’ha così tanto con Abete? La seconda: perché, dopo aver detto no al confronto su calciopoli, ora Moratti lo accetta? Parto dal secondo quesito. Con calciopoli il presidente dell’Inter è finito in un vicolo cieco. Ha conservato lo scudetto a tavolino del 2006, ma non può ignorare quel che tutti sanno. E cioè che l’Inter sarebbe stata giudicata al pari di Juve, Milan, Fiorentina, se solo fossero emerse per tempo le intercettazioni che riguardavano i rapporti di Facchetti con il mondo arbitrale. Il vicolo cieco non ha, per definizione, vie d’uscita. Da una parte, infatti, c’è l’infamante salvataggio della prescrizione; dall’altro, l’uso che l’Inter e, prima di tutto Moratti, ha fatto di Facchetti. Proprio durante il periodo di calciopoli, infatti, egli era diventato presidente al posto del patron. Come mai? Forse per fare quel lavoro non troppo pulito di relazione e di mediazione con arbitri (Nucini) e designatori (Bergamo) che altri rifiutavano in nome di un presunto candore?

Sì, perché il sospetto che sempre più si radicalizza nell’opinione pubblica calcistica italiana è che a disonorare Facchetti non sia stato Palazzi (il quale si è limitato a registrare il suo coinvolgimento) ma sia stato proprio Moratti che lo ha lasciato ferirsi le mani in quel ginepraio del malaffare che era il calcio. Tutti noi, io per primo, pensiamo che Facchetti sia stato un uomo giusto, probo ed esemplare. Ma non si può non constatare che, a causa del ruolo assegnatogli da Moratti, anche lui si sia adeguato ai comportamenti della maggioranza. Da tempo Moratti ha capito che tutti abbiamo capito. Perciò ha bisogno di una via d’uscita onorevole, altrimenti finisce per annegare nel ridicolo dove già si dibatte annaspando.

Invece mi manca completamente la risposta per quanto riguarda l’opposizione ad Abete. Anziché essergli riconoscente per aver pilotato il consiglio federale verso la dichiarazione di incompetenza a proposito della revoca dello scudetto 2006 e, casomai, ringraziare il procuratore federale Palazzi per avere lasciato scadere i termini di incriminazione dell’Inter, Moratti snobba Abete come se fosse un nemico peggiore della stessa Juve. Un atteggiamento tanto più incomprensibile nel momento in cui Abete è diventato il principale bersaglio della Juve. A meno che il tavolo della presunta conciliazione non sia l’occasione che tutti vogliono sfruttare per riconquistare quote di potere altrimenti perdute. In questo senso non mi sembra per niente casuale la richiesta formulata per bocca del direttore generale nerazzurro Paolillo di dimissionare il presidente della Lega Beretta. Il quale, per la verità, si era dimissionato da solo quasi sei mesi fa, guardandosi bene dall’andarsene. La sostituzione di Beretta è utile per capire che cosa ci sia in ballo adesso. Forse la restaurazione nello stile Prima Repubblica del calcio italiano.

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leggere paolo ziliani istiga all'acquisto di un arma da fuoco

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SPORT & POTERE

Orfani dell'Olimpico

Baldini, dg della Roma, nega la tribuna autorità ai

vip. E allora ecco chi si rivolge al Coni per una

poltrona e chi protesta per il declassamento. . .

di GIANFRANCESCO TURANO ft.MIRKO CIAMPI (l'Espresso n. 48 | 1 DICEMBRE 2011)

Olimpiastro.jpg

Com'è triste l'Olimpico, soltanto un anno dopo. D'accordo, Roma-Lecce non è

una partita di cartello e la tribuna autorità si affolla solo per i big match,

quando non solo è importante essere visti ma essere seduti, di preferenza

nelle zone alte. Si aggiungano la politica di austerity della Roma

all'americana, che nega gli ingressi ai vip su disposizione del direttore

generale Franco Baldini, e la crisi di governo che ha fatto mancare persino un

habitué come Antonio Catricalà, innamorato della Roma per affinità cromatica

con il club della natìa Catanzaro. Il neosottosegretario alla presidenza del

Consiglio era stato invitato dalla Roma, come al solito, insieme ad Anna Maria

Cancellieri, ministro dell'Interno romanista. Ma entrambi erano impegnati in

una riunione a palazzo Chigi.

Alla fine, hanno resistito quelli davvero motivati a santificare la festa

giallorossa. Nel caso, il capogruppo Pdl al Senato Maurizio Gasparri, il

collega del Pdl Stefano De Lillo, l'ex deputato nuovo Psi Gerardo Labellarte,

il presidente del consiglio comunale Marco Pomarici, il capogruppo Idv alla

regione Vincenzo Maruccio, l'onnipresente Gigi Marzullo e buona parte dei

tredici consiglieri d'amministrazione del pletorico board romanista.

Tra loro, l'anima in pena Pippo Marra. La gestione Di Benedetto ha, in senso

letterale, degradato il fondatore di Adn Kronos dai quartieri nobilissimi

della fila 11 e 10, dove alloggiava ai tempi dei Sensi, di cui erta

intimissimo, alla fila 6, là dove aveva fissa dimora per questioni

scaramantiche l'ex presidente Rosella. Marra non ha ancora smesso di

protestare per la discesa nella piramide del prestigio e, appena trova posti

vuoti, si sposta nelle file più in alto. Marra ha dovuto anche subire, insieme

agli altri consiglieri, la riduzione dei biglietti a disposizione. Da una

mezza dozzina la società è scesa a uno, che il giornalista-imprenditore ha

girato all'amico generale Michele Adinolfi, indagato per rivelazione di

segreto e favoreggiamento di Luigi Bisignani nell'inchiesta P4.

Per il resto, domenica 20 novembre c'erano ampi vuoti fra le 230 poltroncine

imbottite azzurre che l'As Roma condivide con il Coni, proprietario

dell'impianto. Il comitato olimpico nazionale, in quanto ente pubblico, è

diventato il bersaglio delle richieste da "fonti istituzionali" che l'As Roma

respinge. Qualche nome? Il capogruppo del Pdl alla Camera Fabrizio Cicchitto è

stato costretto a rivolgersi all'amico Gianni Petrucci, presidente dei Coni

che supervisiona personalmente la lista degli invitati. Cicchitto, accusato

dal "Fatto" di entrare all'Olimpico a scrocco, ha replicato di avere

acquistato un abbonamento in tribuna Monte Mario. Il che non spiega perché si

piazzi in tribuna autorità. Un'altra personalità trasferita dall'area Roma,

che si trova alla destra di chi guarda la tribuna, alla zona Coni è il

generale Paolo Poletti da Civitavecchia (fila 4, posti 14 e 15), già capo di

Stato maggiore della Guardia di finanza, vicedirettore dell'Aisi, referente di

Valter Lavitola e "nome noto" nella lista di Diego Anemone, il costruttore

della Cricca che aveva eseguito lavori per il generale nella sua casa presa in

affitto da Propaganda Fide. Niente da fare anche per Marcello Masi, direttore

del Tg2 respinto da Baldini.

Altri, forse scoraggiati dal giro di vite, si guardano con orgoglio la

partita a casa. Massimo D'Alema, per esempio, non si vede dal campionato

scorso, quello con Rosella Sensi ancora ai comandi. Era lei a dargli i

biglietti. La stessa Rosella, a differenza della madre, la signora Maria, non

si è mai più vista in tribuna autorità dopo l'estromissione dal club. La sua

unica presenza all'Olimpico in questa stagione risale al 15 novembre per

Italia-Uruguay, su invito dell'organizzatore, la Federcalcio di Giancarlo

Abete.

Per vivere momenti di gloria vecchio stile la tribuna autorità deve affidarsi

alla squadra ospite. Roma-Palermo e Roma-Milan hanno riportato per 90 minuti

l'aria dei bei giorni, con le 230 poltroncine quasi esaurite. Il match contro

il Palermo ha visto lo sbarco all'Olimpico in forze della comunità sicula. Il

sottosegretario allo sport Rocco Crimi era seduto accanto al presidente del

Senato Renato Schifani. Il Guardasigilli Angelino Alfano (fila 8) ha

chiacchierato cordialmente con il superprocuratore antimafia Piero Grasso,

sistemato alla fila 9 e dunque invitato del Coni come, poco più in là, un trio

formato da Luigi Abete, dall'agente Lucio Presta e dalla moglie Paola Perego.

Per la magistratura era presente anche Antonio Marini, onnipresente nel

Cafonal di Dagospia come ai convegni di Flavio Carboni al Forte Village. Con

il Milan si sono visti di nuovo Crimi, Catricalà, il direttore del

"Messaggero" Mario Orfeo, il costruttore Claudio Toti, che è fra i candidati a

fornire l'area del nuovo stadio voluto da Tom Di Benedetto. Non fa notizia

Giovanni Malagò, presidente del circolo Canottieri Aniene. Lui c'è sempre.

Certo, sia Roma-Palermo sia Roma-Milan sfigurano rispetto alla finale di

Coppa Italia Roma-Inter giocata il 24 maggio 2008, sedici giorni dopo il

giuramento del governo Berlusconi IV. Quella sera la tribuna autorità ha

fotografato con rara efficacia il passaggio di poteri dal centrosinistra al

centrodestra. Da almanacco Panini della politica la fila 9 con il trio in

sequenza composto da Walter Veltroni (juventino), Piero Marrazzo (romanista) e

Ignazio La Russa (interista) sormontati in fila 10 dai finiani Fabio Granata e

Claudio Barbaro. Poi, uno dopo l'altro, Gianni Letta, Gianni Petrucci, il

presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, Luigi Abete, Antonio Matarrese,

Gabriele Galateri di Genola e Andrea Ronchi.

Nella fila inferiore, la 8, Catricalà colloquia amabilmente con Giulio

Napolitano, figlio di Giorgio. Seguono parlamentari assortiti insediati nelle

file basse: Luciano Ciocchetti (Udc), Mario Valducci (Pdl), Renzo Lusetti, al

tempo Pd, e il ministro dei Trasporti uscente Alessandro Bianchi. Presenti

anche due colonne della Cisl come il segretario in carica Raffaele Bonanni e

l'ex numero uno del sindacato Sergio D'Antoni. Fra i due ci sono ben tre

gradini di differenza a favore di Bonanni, piazzato alla fila numero 6 in area

Coni. E questo nonostante D'Antoni sia stato presidente del Palermo calcio

quando il club siciliano era di proprietà di Franco Sensi. Quella sera di tre

anni fa persino Marzullo, seduto alla fila 4, era piazzato meglio. La gloria è

transitoria e la tribuna autorità ne prende atto. Alla fine, niente di nuovo.

Funzionava così anche al Colosseo.

Modificato da Ghost Dog

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Palazzo di vetro DI RUGGIERO PALOMBO (GaSport 26-11-2011)

Etica e buon senso

per il caso Lotito

L'art. 22 va corretto ma non troppo,

giovedì la Corte di giustizia dice la sua

Caso Lotito e dintorni. Giovedì la Corte di Giustizia federale si pronuncerà

sui quesiti posti dalla Federcalcio dopo la condanna penale di Calciopoli, che

ha colpito per frode sportiva il presidente della Lazio. La Corte dovrà

soprattutto chiarire se Lotito «possa continuare a rivestire il proprio ruolo

di consigliere in seno al Consiglio federale e al comitato di presidenza».

Palazzo di vetro si è già occupato della vicenda: «Quella norma così non

funziona», titolavamo il 12 novembre, sottolineando, con l'aiuto dell'avvocato

Grassani, come fosse non condivisibile parte dell'articolo 22 comma 3 delle

Noif che dice «restano sospesi dalla carica di dirigente di società coloro che

vengano condannati, ancorchè con sentenza non definitiva, per uno dei delitti

previsti dalle leggi indicate al comma precedente (tra cui la frode sportiva).

La sospensione permane sino a successiva sentenza assolutoria». E'

quest'ultima frase, in particolare, a lasciare assai perplessi: coi tempi

(spesso biblici) della giustizia ordinaria, una condanna in primo grado

rischia di trasformarsi per il reo, a livello di sanzione sportiva, in una

sorta di «ergastolo», paragonabile, sia pure sotto le mentite spoglie della

sospensione, a una vera e propria radiazione.

Detto e ribadito questo, tre osservazioni: 1. Le norme esistono dal 1993 e

non sono di dubbia interpretazione. L'articolo 10 (i dirigenti federali),

comma 5, specifica: «Non possono ricoprire cariche federali elettive di nomina

coloro che incorrano in delitti non colposi sanzionati con condanna del

giudice penale». La parola «definitiva», al fianco di condanna, come si può

notare non c'è, anche se a qualcuno è sembrato di vederla. 2. Siamo tra quanti

dicono «no» all'ergastolo e aggiungiamo pure che non ci scandalizza la

partecipazione di questo o quel dirigente condannato alle assemblee della

Lega: il Lotito di turno è e resta padrone della propria società, tenerlo

fuori da quella porta è un pò ipocrita. 3. Ben diverso è il discorso che

riguarda Consiglio federale e Comitato di presidenza. Presso il Governo del

calcio un condannato sia pure in primo grado per frode sportiva non può e non

deve sedere. Lo dicono le norme, ma lo dice soprattutto il buonsenso e

sorprende che in Lega non ci siano arrivati da soli. Buon senso ed etica:

quelli che è probabile userà la Corte di Giustizia federale.

Ps. Roma 2020: la commissione di fattibilità Fortis-Carraro aspetta di essere

ricevuta dal Governo: non più a Palazzo Chigi ma presso il nuovo ministero

dello Sport guidato da Piero Gnudi. Ora le priorità sono altre e dopo il varo

del decreto su Roma capitale ragioni di opportunità suggeriscono di prendere

tempo. Meglio però che non sia troppo.

___

Moggi, la cena (delle beffe) e la lezione del Trap

di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica "NON CI POSSO CREDERE!" (SportWeek 26-11-2011)

“Mimì alla ferrovia” è un noto ristorante di Napoli, vicino alla stazione

centrale. Lo frequentava il grande Totò, principe della risata, che da un

piatto di spaghetti al pomodoro lì cucinati, e poi mangiati con le mani,

trasse spunto per una scena di Miseria e nobiltà. Sul sito potete trovare le

foto di tanti clienti vip: tra gli altri Maradona, Schumacher e Berlusconi.

Specialità i primi piatti. Che delizia. Da provare i “paccheri alla

Schumacher”, con pesce bandiera, vongole e pomodorini. Una fonte accreditata

ci assicura che per la sera di martedì 8 novembre don Mimì aveva in agenda

un’importante prenotazione, da 35-40 coperti. Cena speciale, anzi cenone

offerto da luciano Moggi per festeggiare la sua assoluzione al processo penale

di napoli. Invitati avvocati e portaborse, amici di vario ordine e giornalisti

fedeli alla causa. Alle ore 20 la sentenza del collegio presieduto dal giudice

Maria Teresa Casoria ha però bloccato lo stomaco ai 35-40 commensali. Tutti (o

quasi) colpevoli, gli imputati di calciopoli. “Mimì alla ferrovia” ha ricevuto

la disdetta e il gruppone dei 35-40 si è ritrovato a imprecare nella hall

dell’holiday inn, attiguo al Palazzo di Giustizia. Pazienza, sarà per la

prossima volta, per il verdetto d’appello. Ma possibile che gente così esperta

di calcio non abbia ancora imparato la lezione di Giovanni trapattoni, c. t.

dell’Irlanda? «Don’t say cat, if the cat is not in the sack».

___

UFFICIO DI GENE di Gene Gnocchi (SportWeek 26-11-2011)

CHE COSA VORREBBE FARE LA JUVE COI 444 MILIONI DI DANNI CHIESTI ALLA FIGC?

Da quello che ho saputo, la richiesta di una cifra così ingente da parte dei

dirigenti della Juventus è determinata da un problema molto grosso e di non

facile soluzione: la manutenzione delle sopracciglia di Andrea Agnelli, che

come tu ben sai sono un tutto unico e per dividerle ci vuole un defogliante di

produzione australiana che costa appunto 444 milioni di euro più le spese di

spedizione, pagamento contrassegno.

Modificato da Ghost Dog

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