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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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EL PAÍS 25-09-2014

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Ved. quadro "otras sospechas"

Non scherziamo su! Nel 2012-13 Llorente era un profugo a Bilbao.

EL PAÍS 27-09-2014

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Per la cronaca, Gabi, attuale capitano dell'Atletico di Madrid, sarà interrogato il 2 ottobre e rischia d'essere squalificato. La prima in UCL con la Juventus riesce a giocarla.

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Mentre Blatter e le sue commissioni di comodo vorrebbero attendere altri 3 o 4 anni prima di rendere illegali le TPO, i giocatori schiavizzati tentano di slacciarsi il guinzaglio in maniera autonoma. Ma non è facile.

Marcelo Estigarribia
VIA VELOCE COME UN TRENO
IL CARTELLINO DEL CENTROCAMPISTA PARAGUAIANO,
RAPIDO COME UN FRECCIAROSSA, È IN MANO A UNA
SOCIETÀ CHE GLI FA CAMBIARE CLUB OGNI ANNO. LUI
VORREBBE RESTARE A BERGAMO DOVE HA RITROVATO
LA POLENTA. «L’ABBIAMO INVENTATA NOI SUDAMERICANI»

di FABRIZIO SALVIO (SPORTWEEK 27-09-2014)

[...]
Lei è esploso alla Coppa America di tre anni fa. La prende la Juve, vince subito lo scudetto e gioca abbastanza, ma non rimane. Va alla Samp, resta una stagione e va via. Passa al Chievo, che a gennaio lo gira all'Atalanta, dove poi viene confermato quest'estate. A non funzionare in questi anni è stato lei o c'è dell'altro?
«La verità è che il mio cartellino era di proprietà di un fondo di investimento, la Gsm, General Soccer Management, che già mi aveva spedito in Francia e che per il mio riscatto da parte dei bianconeri pretendeva 5 milioni. La Juventus mi avrebbe tenuto ma non aveva intenzione di spendere tutti quei soldi. Così alla Samp: ho giocato 34 partite su 38, eppure non sono rimasto, per lo stesso motivo. E, anche a Genova: Marcelo, noi ti terremmo, ma…».

Oggi rifarebbe la scelta di affidare il suo destino a privati che fanno soprattutto i loro interessi?
«No. Ero giovane e senza esperienza, non avevo famiglia e pensavo: se oggi gioco qua e domani là, cosa importa? Adesso preferisco mille volte che il mio cartellino sia di proprietà di un club».

Invece?
«È ancora di proprietà della Gsm. Ma spero di convincere l’Atalanta ad acquistarmi».
[...]
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Il blitz Sigilli all’azienda fuorilegge ad Arzano

False magliette dei calciatori. Stop ai falsari

Producevano i gadget di tutte le squadre. Business da 750mila euro

di MARCO DI CATERINO (IL MATTINO 27-09-2014)

La più riprodotta? Quella azzurra anni ’80 la indimenticabile numero 10 “dell’eterno” Maradona. Poi a grande distanza, quella di Messi, Neymar, Balotelli. E ancora le altre magliette dei fuoriclasse del calcio. Tutte rigorosamente falsificate, ma a regola d’arte in un opificio di Arzano, scoperto dai militari della guardia di finanza della compagnia di Afragola, diretta dal capitano Giuseppe Bovenzi. Tre le persone denunciate, moglie, marito e un loro familiare, tutti di Arzano, e con denuncia e precedenti penali specifici, che in un locale di appena 250 metri quadrati, ne hanno sfornato decine di migliaia, finite sulle bancarelle abusive dei mercati rionali, ma soprattutto in quelle improvvisate nei pressi degli stadi della serie A, degli impianti sportivi dove si disputano le partite della serie cadetta e persino in quelli della vecchia serie C.

In questa sorta di piccola ma accessoriata azienda del falso a conduzione familiare, i militari delle fiamme gialle hanno sequestrato tutte le apparecchiature e macchinari per il confezionamento non solo delle magliette, ma anche di divise complete, calzerotti compresi, e poi sciarpe e berretti, bandiere e tutti gli altri gadget dei maggiori club italiani quali l’Inter, il Napoli, la Juventus, Milan, di quasi tutte le società della serie B, e di numerose squadre straniere, Barcellona compreso. E che i tre denunciati, fossero davvero molto preparati nella contraffazione di tutto il merchiandising legato al calcio, la realizzazione in tempo reale, della bruttissima maglia mimetica militare, presentata dalla società calcio Napoli. In particolare i militari della compagnia della guardia di finanza di Afragola, al termine degli accertamenti, hanno sequestrato tutto il locale, macchinari ed attrezzature comprese, circa seicento cliché (ognuno diverso per ogni squadra di calcio), un migliaio di fogli particolari per la stampa serigrafica su tessuto sintetico, materie prime e prodotti semilavorati che sarebbero diventate magliette e gadget in un ciclo di lavorazione brevissimo, e circa settemila accessori contraffatti.

Secondo una prima valutazione delle fiamme gialle, tutta la merce una volta immessa nella rete di distribuzione clandestina, avrebbe mosso un giro di affari per circa settecentomila euro. L’azienda clandestina, è stata scoperta dai finanzieri, nel corso di particolari servizi, di sorveglianza di quei personaggi già noti come esperti nel campo della contraffazione di capi di abbigliamento. E proprio monitorando gli spostamenti del marito della titolare, i militari sono giunti ad individuare l’opificio, situato in quella zona della superstite campagna che ancora resiste tra Arzano e Grumo Nevano.

Sarebbe passato un anno dalla bruttissima maglia mimetica, ma va bene così... operazione esemplare.

750mila euro di business per i falsari: quale sarà il moltiplicatore per il merchandising originale?

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Finanza creativa e fondi padroni

Atletico, modello in campo e basta

Solo 6 giocatori di proprietà, ricavi minimi: dietro ai risultati molte ombre

di MASSIMILIANO NEROZZI (LA STAMPA 29-09-2014)

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Vogliamo essere brutali? «La situazione finanziaria dell’Atletico Madrid è drammatica», taglia corto il professor Jaume Llopis, docente alla Business school di Barcellona. Solo che, al momento, tutti sono abbagliati dai fuochi d’artificio con vista prato di Diego Simeone, tra Liga vinta, Champions sfiorata e razzie al Santiago Bernabeu, casa Real, il gran nemico. «E così nessuno parla dei problemi economici». Piuttosto, del modelloAtletico. Il trucco c’è, e si vede, avendo voglia di sfogliare il libro mastro del club: i conti tornano solo sul campo, un po’ meno sulla carta. «Non sono tanto i debiti, comunque una montagna, perché quelli li hanno anche Real e Barça - spiega il professor José Maria Gay de Liebana, del dipartimento di Contabilità dell’università di Barcellona - è che l’Atletico ha ricavi neppure paragonabili con le big europee: 120 milioni, contro i 519 del Real». Così, dai debiti al monte stipendi, tutto diventa sproporzionato.

C’è un altro problema: il patrimonio giocatori incredibilmente basso per una squadra di questo livello. Secondo uno studio dell’università di Barcellona, fino alla stagione scorsa solo sei giocatori della rosa dell’Atletico erano interamente del club: il resto, multiproprietà, con i football fund, i fondi d’investimento. Ormai, se non sei il Real o giù di lì, funziona così: «Third party ownership» (Tpo) si chiama, ovvero la possibilità di terze parti che non siano la società o l’atleta a possedere quote del cartellino. Prendete Radamel Falcao, che di questa finanza creativa è il paradigma, e che nel 2011 finì all’Atletico, quando si dice il caso. Schiacciati dai debiti, 543 milioni di euro al giugno 2013, di cui 171 milioni in tasse arretrate, i Colchoneros non se lo sarebbero mai potuti permettere, ma il generoso «Doyen Group», un fondo d’investimento, pagò la metà dell’attaccante. Il meccanismo è semplice: le squadre fanno acquisti altrimenti impossibili, e il fondo ci guadagna muovendo gli atleti al tempo dello shopping. Un po’ come investire in Borsa e scommettere sui titoli. Nessun segreto, spiegano alla Doyen Sport Investement Ltd, la divisione sportiva della Doyen, con sede a Malta: «Siamo un gruppo privato il cui scopo è garantire una fonte alternativa per il finanziamento dei club calcistici». Commerciare giocatori è come comprare e vendere gas, uranio, metalli, fertilizzanti, tutte cose che il gruppo Doyen in effetti tratta. Con finanziamenti del genere ti può capitare di vincere la Liga e arrivare a un minuto e mezzo dalla Champions: l’Atletico ha comprato giocatori anche grazie ai quattrini della Creative Artists Agency LLC, compagnia con base a Los Angeles, e altri fondi di investimento di Kazakhstan e Azerbaijan. Le banche non erano state così generose, disse all’agenzia Bloomberg Miguel Angel Gil, dg dell’Atletico: chissà perché. Tutto legale, perché se la Uefa minaccia provvedimenti, ma non ritocca le norme, l’unica legge rimane quella della Fifa, all’articolo 18 bis: in sostanza, non si vieta la proprietà dei “diritti economici” dei cartellini a terzi, ma se ne proibisce l’influenza su club e calciatori. Per pensare che la prima non incida sulla seconda ci vuole davvero l’ottimismo delle favole. Alla fine, chi comanda davvero? Nel dubbio, l’Atletico continua a sognare, anche in attesa di un nuovo stadio da 240 milioni di euro. «Nel frattempo - chiude il professor Llopis - devono continuare a stare in Champions e fare grandi stagioni, per attrarre sponsor, ma vendendo i migliori giocatori per gli stessi motivi finanziari: quanto può durare?»

“Si el fútbol quiere un

monólogo Madrid, Barça...”

LOS FONDOS DE INVERSIÓN

defienden su participación en el

fútbol como una garantía de la

competitividad de los campeonatos

por JOSÉ FÉLIX DÍAZ (MARCA 29-09-2014)

La FIFA pretende cerrar la puerta a los fondos de inversión. Joseph Blatter, su presidente, ha decidido seguir el camino marcado por Michel Platini y el máximo organismo ya ha filtrado que no permitirá que los fondos tengan propiedad alguna en los derechos federativos de los jugadores. Medida que no satisface a todos los sectores.

Clubes como Atlético, Sevilla, Valencia, Getafe, Sporting, Elche, Real Sociedad... son algunos de los que han acudido a esos fondos, que han pasado a tener un papel protagonista en el fútbol actual.

La Federación Española se suma a esa iniciativa de FIFA, mientras que la Liga de Fútbol Profesional da el sí a los fondos y se inclina por una regulación. “Si los bancos no dan dinero...”, llegó a decir Javier Tebas, su presidente.

Para variar, Villar y Tebas caminan por sendas distintas. La Asociación de Futbolistas los rechaza porque afirma que sus representados dejan de tener peso y poder en las decisiones, pero la realidad dice que algunos de los clubes de la LFP deben su existencia o, por lo menos, su continuidad, gracias a ellos.

Doyen Sports admite que se regule su actividad

MARCA se ha puesto en contacto con los representantes de Doyen Sports, uno de los principales fondos internacionales. Nelio Lucas, CEO de Doyen, explica: “Somos los primeros en querer una regulación. Nosotros no tenemos participación alguna en la propiedad de los jugadores. Nadie puede ser dueño de un ser humano. Nuestro modelo es diferente a los demás”.

Nelio Lucas da la clave del funcionamiento de su fondo: “Doyen no controla el activo, al jugador. Cumplimos con todas las obligaciones fiscales y financieras. Facilitamos financiación a algunos clubes. Todos nuestros contratos son enviados a las instituciones y a los mercados de valores. Según la Unión Europea, todo lo que hacemos es legítimo”.

‘The Guardian’ desveló la investigación de la FIFA

‘The Guardian’ descubrió días atrás que la FIFA está investigando a cinco fondos radicados en la isla de Jersey por la inversión de 85 millones de euros en jugadores que después fueron partícipes de traspasos millonarios. FIFA pretende que los agentes no tengan participación en fondo alguno, lo que ahora no sucede. Algunos de los más afamados representantes son consejeros de fondos y, a su vez, representan a esos jugadores, algo que según FIFA supone un conflicto de intereses. El citado periódico señalaba a Jorge Mendes como uno de los investigados.

El ‘fair play’ financiero puso freno a los propietarios

El panorama del fútbol mundial ha cambiado. Primero fueron los nuevos ricos los que compraron clubes, esos que nunca aparecen por España para hacerse con un equipo o si lo hacen, son con dudas en los bolsillos como Peter Lim. FIFA y UEFA reaccionaron ante ese fenómeno y se inventaron aquello del fair play financiero para poner freno a esas apor- taciones de euros que hacían los dueños de esos históricos clubes que cambiaron de manos. Manchester City y PSG están en el punto de mira de Platini, algo que no oculta desde hace meses.

Años después, la crisis económica metió a muchos clubes en un callejón sin salida. Sin dinero y sin recursos para poder competir. Sin cajas locales a las que acudir, los bancos cerraron sus puertas y sus créditos. Sin dinero, muchos de esos clubes se pusieron en manos de esos fondos de inversión que, como su nombre indican buscan en el fútbol negocio. Unos sin importarles ni el fondo ni la forma y otros buscando un marco legal que no existe en el panorama futbolístico.

“Si el mundo del fútbol quiere asistir a un monólogo de equipos como Real Madrid, Bayern o Barcelona, adelante con la prohibición. La segunda clase del fútbol tiene derecho a competir, a pelear por los títulos”, señala Nelio Lucas.

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Oh, anche Cerci è arrivato all'Atletico Madrid grazie ad un fondo d'investimento

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Si chiama “Vibrac Corp.”, ha finanziato i Club per 210 mln di euro

(Tifoso Bilanciato - 30-9-2014)

Secondo quanto riporta Alex Duff su Bloomberg, esiste una realtà poco nota (a meno di non essere addetti ai lavori) che ha investito circa 210 mln di euro nel calciomercato di Inghilterra, Spagna e Germania, finanziando l’acquisto di calciatori.

In questi ultimi tempi l’attenzione è rivolta in maniera particolare al fenomeno della TPO (Third Party Ownership), sia per la recente presa di posizione della FIFA che ha annunciato di voler proibire questa pratica, sia per il caso Doyen Group/Sporting Club. Doyen Group , apparentemente il gruppo più attivo in questo tipo di mercato, si è però “limitato” ad investimenti per circa 100 mln di euro.

Qui però parliamo di un soggetto che ha immesso sul mercato una cifra doppia, che da sola rappresenta circa l‘8,2% dell’intero valore delle transazioni delle Big-5 in tutta l’estate 2014.

Si tratta, secondo quanto scoperto da Duff, di una società residente alle British Virgin Island, denominata Vibrac Corp. di proprietà di un investitore anonimo che possiede anche il controllo di un’altra realtà simile, Mousehole Ltd. (quest’ultima risulterebbe al momento inattiva). E non è un fuoco di paglia, perché sembra che Vibrac sia nelle condizioni di poter immettere sul mercato cifre simili con cadenza annuale.

In realtà il confronto con il valore del calciomercato potrebbe essere limitante. Più che come investitore specializzato nell’acquisto di quote dei diritti economici dei calciatori, Vibrac sembra operare anche come una vera e propria banca, non disdegnando di intervenire anche a supporto del normale fabbisogno di cassa dei Club.

Fra le Società finanziate risulterebbero esserci Everton, Fulham, Southampton, West Ham.

Il costo delle operazioni?

Un tasso di interesse compreso fra il 6,5% ed il 10%, tipicamente prendendo a garanzia del finanziamento i futuri incassi derivanti dall’attività sportiva del Club (prevalentemente i diritti televisivi).

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e noi che pensavamo che il futbollle fosse uno sport

vediamoci la partita

esultiamo per la ..... vittoria e poi .....l'ultimo spenga la luce

alla prossima

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Si chiama “Vibrac Corp.”, ha finanziato i Club per 210 mln di euro

(Tifoso Bilanciato - 30-9-2014)

Se Mousehole Ltd. aveva aiutato l'Atletico Madrid nel 2011, dev'essere proprio Vibrac Corp. - dello stesso soggetto investitore - il fondo inglese intervenuto per Cerci qualche settimana fa.

Siam messi bene. In UK vietano le TPO ma le menti criminali della finanza (perché di questo si tratta) sono già riuscite ad ingannare il sistema.

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Joined: 14-Jun-2008
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Achtung! Granata!

Il derby sotto le bombe

Nel nuovo romanzo di Giuseppe Culicchia un parà italiano

e un SS tedesco sugli spalti di un Toro-Juve realmente disputato

il 1° aprile 1945. Doveva essere un’amichevole, e invece...

I PROTAGONISTI Il sottotenente Ermanno Zazzi, tifoso torinista, e l’amico Franz Hrubesch, indifferente al calcio

PRIMA DEL FISCHIO D’INIZIO Una sosta al bordello di via Barbaroux, per sfogare il surplus di energia pre-partita

GOL E TUMULTI Segna Mazzola, poi Sentimenti III. E nel finale si dimostra che il tifo può salvare una vita

di BRUNO GAMBAROTTA (LA STAMPA 01-10-2014)

Il primo aprile del 1945 è una domenica ed è l’ultima Pasqua di guerra. A Torino, nel primo pomeriggio si gioca il derby tra le squadre del Toro e della Juve; allo stadio Mussolini poiché il campo del Filadelfia è stato distrutto dai bombardamenti. Possibile che tra le macerie e i lutti, a meno di un mese dalla fine della guerra, con la città affamata, piena di tedeschi rabbiosi per l’imminente sconfitta e tutto intorno i partigiani pronti a liberare la città, qualcuno pensasse di organizzare un incontro di calcio? È così possibile che è successo veramente e Giuseppe Culicchia lo rievoca in un breve romanzo che ricava il titolo dalla cronaca sulla Stampa del 2 aprile: Ma in seguito a rudi scontri (Rizzoli, pp. 144, 14).

La frase sul giornale prosegue: «... s’accendeva una mischia fra elementi delle due unità». Il campionato era sospeso e quella stracittadina era solo un’amichevole organizzata per onorare con una coppa ai vincitori Pio Marchi, un ex giocatore juventino e poi dirigente, morto in un bombardamento. Ma definire un derby un incontro amichevole è un ossimoro. In undici brevi capitoli Giuseppe Culicchia ricostruisce quella feroce partita collocando sugli spalti della curva Maratona due camerati, il sottotenente paracadutista Ermanno Zazzi, tifoso granata, e il suo parigrado tedesco delle SS, l’Obersturmführer Franz Hrubesch, indifferente al calcio.

Culicchia ha molte frecce al suo arco di scrittore, ma sarebbe un filino esagerato prenderlo come un modello di equidistanza; non bastasse il fatto che lui non è mai riuscito a pronunciare la parola Juventus, citata come «l’altra squadra», leggete le tre epigrafi in apertura di libro. La terza è di Rummenigge e proclama: «La Juve è mafia». Il racconto di quella giornata s’inizia alle 11, quando Ermanno Zazzi va, in sella alla sua moto sidecar Bmw R75, a trovare l’amico Franz presso il comando tedesco, in corso Oporto (ora Matteotti) 33. I due hanno fraternizzato presso il reparto Ortopedia dell’ospedale militare di Marina di Massa; Ermanno aveva la rotula fratturata e Franz aveva perso un piede. Nel frattempo anche il braccio sinistro è volato via. È fin troppo facile leggere in questo tedesco una metafora del Grande Reich che sta perdendo i pezzi. Domani volerà a Berlino come guardia del corpo del Führer ma oggi accetta l’invito dell’amico di andare con lui alla partita. Non prima però di aver fatto una sosta al bordello di via Barbaroux.

Culicchia ama disseminare la prosa dei suoi romanzi di allusioni a saperi e ad avvenimenti postumi. Per esempio la maîtresse del postribolo esalta le qualità della prostituta Aida definendola «la donna della domenica». Su Franz soffia un vento di morte; sceglie di portarsi in camera una prostituta bruna perché gli ricorda la moglie Margarethe, morta con i due bambini nei bombardamenti di Dresda. Invece il nostro Zazzi, come sempre all’avvicinarsi di un derby, sente un surplus di energia che sfoga su Aida, arrivando a prometterle di sposarla una volta finita la guerra.

Prima di andare allo stadio i due ufficiali sostano al Caffè Vineria Ranzini, covo di juventini, per rifocillarsi. Vediamo se indovinate il nome dei tre tifosi che Zazzi si diverte a terrorizzare spianando l’MP40. È facile: Antonio Moggi, Roberto Giraudo e il giovanissimo Luciano Bettega; vedete voi se è il caso di rimettere a posto i nomi di battesimo. Man mano che si avvicina l’ora d’inizio del derby cresce la temperatura della prosa culicchiana (si dice così?) fino a diventare incandescente. Nel settimo capitolo Ermanno Zazzi si domanda: «Cos’è un derby per me?», e la risposta è una litania in crescendo, un sunto della storia del Torino, con l’elenco di tutti i torti subiti fino ad allora: «Arbitro e guardalinee hanno un occhio di riguardo per la squadra dei padroni e dall’altro sono orbi». Senza nascondersi il paradosso per cui i giocatori del Torino risultavano dipendenti della Fiat per non dover partire per il fronte.

I due compari arrivano allo stadio ed entrano scavalcando la fila e senza pagare, la sola vista di un ufficiale delle SS scioglie ogni esitazione. Comincia una partita che non raccontiamo per rispetto al lettore. Ermanno Zazzi ha delle premonizioni («Prima o poi, voi juventini, lo sento, finirete in serie B»); Valentino Mazzola segna il primo gol, e Franz, che fino a qual momento osservava i tifosi come Ernst Jünger gli insetti, travolto dall’entusiasmo diventa di colpo tifoso del Torino, come San Paolo sulla via di Damasco. I tifosi pregano: «Nostro Signore Iddio, Tu che in quanto tale devi per forza essere anti-juventino...». Quando Sentimenti III, in palese fuorigioco, pareggia per la Juve, Ermanno Zazzi si sfoga dando tre testate nel pilastro di cemento delle tribune e ha delle visioni che gli consentono di vedere nel futuro tutte le occasioni in cui la Juventus è stata favorita, insieme alla storia del Torino. Un vero fuoco d’artificio. Godetevelo, anche se siete juventini. E godetevi il finale, dove si dimostra che il tifo sportivo può salvare una vita.

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Apologia di antijuventinismo.

In Italia è una virtù e passa su La Stampa con nonchalance.

Visto che la casa editrice è la stessa, Rizzoli, scommetterei pure qualche euro sul fatto che l'anonimo Massimo Astio autore di un libretto poi ritirato dal mercato l'anno scorso sia un Culicchia o il Culicchia stesso, che stavolta ammanterebbe l'odio viscerale con la fiction.

Bravi, sia Rizzoli che Culicchia! E complimenti!

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Il colpo a vuoto di Blatter su

Terze Parti e fondi d’investimento

di PIPPO RUSSO (Cercando Oblivia 01-10-2014)

Una mossa inutile. È quella annunciata dalla Fifa a proposito della progressiva messa al bando delle terze parti nella proprietà di calciatori. Arriva tardi, si imporrà seguendo tempi da moviola, e quando infine avrà completato il proprio varo si troverà a intervenire su una realtà che nel frattempo sarà talmente mutata da renderla superflua. Da mesi gli attori dell’economia parallela del calcio globale stanno infatti lavorando a un’evoluzione degli strumenti attraverso cui sfruttare il calcio a fini puramente finanziari, e i bellicosi annunci lanciati dal colonnello Blatter hanno il solo effetto d’imprimere un’accelerazione alle grandi manovre. Del resto, per le forze del turbocapitalismo calcistico la sola cosa che importi è continuare a esercitare il dominio economico e a espandere la colonizzazione del calcio. A partire dalla seconda metà degli anni Zero questa strategia ha trovato nel fondo d’investimento che acquisisce quote di calciatori lo strumento privilegiato. Ma come tutti gli strumenti anche i fondi d’investimento hanno, nella loro declinazione d’uso, un ciclo d’utilità che culmina nell’obsolescenza. E il momento dell’obsolescenza per le TPO sta arrivando adesso. Se ne parla troppo e con frequenza crescente. Persino la sonnolenta stampa italiana s’è accorta di un fenomeno che giornalisti come David Conn del Guardian e Gabriele Marcotti del Times denunciavano già nel 2006, nei giorni in cui il West Ham prendeva Tevez e Mascherano in affitto dalla Media Sports Investments di Kia Joorabchian.

Inoltre, due vicende avvenute in Portogallo durante l’estate appena trascorsa hanno fatto salire il livello dell’allarme sull’invasione dei fondi d’investimento nel calcio. E è sintomatico che ciò avvenga giusto nel paese in cui, come spiego nel mio “Gol di rapina”, la declinazione calcistica del fondo d’investimento ha trovato un appoggio negli attori istituzionali della finanza e del credito.

Qui il primo tentativo di messa al bando delle TPO effettuato dalla Fifa nel 2007, tramite l’aggiunta di un’estensione bis all’articolo 18 (manco a farlo apposta…) del Regolamento sullo Status e i Trasferimenti del Calciatore, è stato aggirato con facilità irrisoria grazie alla creazione di fondi d’investimento da parte degli stessi club. E questo passaggio, oltre a fornire un eloquente esempio a proposito dell’inutilità dei divieti posti dalla Fifa, ha posto le condizioni affinché un grande club europeo come il Benfica venisse a trovarsi in difficoltà patrimoniali e finanziarie. La difficoltà è sorta in conseguenza del fallimento di Banco Espirito Santo (BES), il principale gruppo bancario privato portoghese il cui crack ha messo di nuovo a rischio la convalescente economia lusitana.

È stato proprio BES, attraverso la sua agenzia Espirito Santo Financial Group (ESFG) con sede legale a Lussemburgo, a strutturare nel 2009 il Benfica Stars Fund (BSF), il fondo a cui il Benfica ha ceduto durante questi anni quote di diversi suoi giocatori ottenendo fra l’altro di gonfiarne le valutazioni iscritte a bilancio. Il fallimento dell’istituto e la sua divisione fra una good bank e una bad bank ha costretto il Benfica a un’affannosa operazione di riacquisizione delle quote di suoi calciatori in possesso del BSF. Perché, nel caso in cui il club encarnado non avesse ripreso quelle quote entro il 30 settembre, esse sarebbero finite sul mercato a disposizione del migliore offerente. Sicché ci si è trovati davanti a una situazione grottesca, col Benfica che ha dovuto sborsare 29 milioni per ricomprare quote dei suoi calciatori dal suo fondo d’investimento.

Al BES e alla sua emanazione ESFG è stato legato anche l’altro club portoghese che durante l’estate appena trascorsa è stato coinvolto in un’altra vicenda legata all’azione dei fondi d’investimento. Si tratta dello Sporting Lisbona, che al pari del Benfica ha istituito nel 2011 un proprio fondo (Sporting Portugal Fund, SPF) sotto l’egida di ESFG. Nelle scorse settimane lo Sporting è andato allo scontro con il più potente fondo d’investimento attualmente in campo nell’economia parallela del calcio globale: il Doyen Sports Investiments. Il conflitto è esploso a proposito del nazionale argentino Marcos Rojo e del suo trasferimento al Manchester United.

Alla vicenda ho dedicato un post di questo blog, e da essa è nato un contenzioso fa il club e Doyen con quest’ultimo che ha annunciato ricorso presso il Tribunale Arbitrale dello Sport (TAS) di Losanna.

I due episodi ricordati, uniti allo strapotere dei grandi broker calcistici globali come Jorge Mendes (ai cui tentacolari affari è stato dedicato nei giorni scorsi un lungo e dettagliato articolo da David Conn), hanno proiettato sugli attori dell’economia parallela del calcio globale una pubblicità negativa. Con l’effetto di far schierare anche la Fifa in una battaglia che fin qui era stata affrontata soltanto dall’Uefa di Michel Platini, e in controtendenza rispetto alle voci che nelle settimane precedenti il mondiale brasiliano avevano dato Blatter in procinto di varare un riconoscimento dei fondi d’investimento.

Ma come detto all’inizio questa presa di posizione da parte della Fifa è tardiva. Dunque doppiamente sospetta. Davvero il colonnello Blatter, nell’anno che porterà all’ennesima rielezione, rischierà d’alienarsi i voti di Africa e Sud America, cioè dei continenti in cui le terze parti pascolano beate? Soprattutto, c’è che i finanzieri e i broker dell’economia calcistica parallela globale stanno già manovrando per scrollarsi di dosso l’etichetta ingombrante di “terze parti”. E per farlo scelgono la via più ovvia: acquistano club calcistici.

Si tratta di club di piccola taglia, e il loro valore storico e sportivo è pressoché nullo. Dunque, perché i protagonisti dell’economia calcistica parallela globale li comprano? Un’idea ce l’avrei: per farne tanti Locarno. Cioè utilizzarli alla stregua del club ticinese che nella seconda metà degli anni Zero venne utilizzato dalla HAZ (l’agenzia di Fernando Hidalgo, Gustavo Arribas e Pini Zahavi) per sdoganare e smerciare calciatori d’elite provenienti dall’Argentina. I quali, naturalmente, del Locarno non hanno vestito la maglia nemmeno per un minuto, venendo immediatamente ridestinati a club dei campionati più ricchi d’Europa. In quel caso il controllo era indiretto, perché da un punto di vista formale la proprietà e la dirigenza erano locali. Nella formula odierna, invece, i protagonisti dell’economia parallela entrano direttamente in campo. Da proprietari e gestori, di club, chi potrebbe eccepire sulla legittimità del loro operare nel mondo del calcio? Soltanto applicando questa lettura è possibile spiegare compravendite di club realizzate, o in corso di realizzazione, durante il mese di settembre appena concluso.

È del 28 settembre una notizia molto istruttiva pubblicata da A Folha de Sao Paulo, quotidiano molto attento al tema delle terze parti sin dai giorni in cui Kia Joorabchian e la sua Media Sports Investments prendono il controllo del Corinthians.

La notizia che un club minore dello stato di Minas Gerais, l’Uberlandia Esporte Clube, sta per passare sotto il controllo di un terzetto formato dal padre di Neymar, dal potente agente brasiliano di calciatori Wagner Ribeiro (agente dello stesso Neymar, di Robinho, e dell’allenatore ex del Real Madrid e della nazionale brasiliana Vanderlei Luxemburgo), e dal popolare cantante Alexandre Pires, il Gigi D’Alessio di Minas Gerais.

E dato che i giornalisti di Folha hanno maturato una certa competenza nell’interpretare le manovre interne all’economia calcistica parallela, ecco data la lettura di questo episodio: per aggirare il bando prossimo venturo posto dalla Fifa bisogna acquistare dei club. Come già da tempo ha fatto la Traffic Sport, che mantiene nel proprio portafoglio il Desportivo Brasil, i portoghesi dell’Estoril Praia, e due franchigie della risorta NASL nordamericana (Fort Lauderdale Strikers e Carolina Railhawkes). E facendo un giro d’orizzonte si scopre che le manovre d’acquisto dei club si moltiplicano. In un articolo dedicato alla cessione di Abel Hernandez da parte del Palermo segnalai il fatto che Pablo Bentacur, il mediatore peruviano di calciatori che gestisce la carriera dell’ex rosanero, aveva da poco comprato la quota del Lugano (40%) in possesso di Enrico Preziosi.

Sta manovrando anche Peter Lim, il magnate singaporiano amico e socio di Jorge Mendes che da mesi è in procinto di acquistare il Valencia ma ancora non ne viene a capo perché Bankia (creditrice nei confronti del club per 305 milioni) non si fida delle garanzie finanziarie.

Dunque Lim vira altrove e prova a acquistare il Salford City, una società dilettantistica controllata da un gruppo di ex calciatori del Manchester United denominatosi Class 92. Si tratta di Ryan Giggs, Paul Scholes, Phil Neville e Nicky Butt. Assieme a altri due ex Red Devils (Gary Neville e David Beckham) sono stati protagonisti di un documentario intitolato The class of 92, dedicato alla generazione di talenti del Man U che segnò gli anni fra il 1992 e il 1999.

Manco a farlo apposta, fra i produttori del documentario c’è anche Doyen Sports Investments. Ovviamente Lim nega che l’acquisizione del Salford sia dovuta alla necessità di sopperire al bando delle TPO. Avrebbe mai potuto dire il contrario?

E infine, ecco l’ultima novità. Gustavo Mascardi, l’argentino ex agente di borsa nonché mediatore di calciatori che ha ricavato una mega-commissione dal trasferimento di Iturbe alla Roma, e che s’è da poco visto riconoscere dal Tas un indennizzo da 8 milioni per il trasferimento di Paulo Dybala dall’Instituto Cordoba al Palermo (e l’acuto Zamparini paga).

Dieci giorni fa Mascardi ha comprato l’Alcobendas Sport, club sito nella comunità autonoma di Madrid che milita in terza serie. Lo fa per amore del club, o perché si stava annoiando? Direi nulla di tutto ciò. Staremo piuttosto a vedere quanti calciatori passeranno formalmente dall’Alcobendas, allo stesso modo in cui Gonzalo Higuain passò dal Locarno.

Nel frattempo il colonnello Blatter avrà già celebrato il trionfo in una battaglia vinta per abbandono del campo da parte dell’avversario. Di vittorie del genere è costellata la sua storia di presidente della Fifa.

P.S. Leggendo questo post sarete indotti a credere che le manovre di acquisto o controllo di club da parte di attori dell’economia calcistica parallela siano faccende non riguardanti la realtà italiana. Sbagliato. Guardate cosa succede da due anni al Catania, club in cui l’ex agente di calciatori (ha ceduto l’agenzia al fratello…) Pablo Cosentino agisce da plenipotenziario.

Con risultati catastrofici dal punto di vista sportivo, peraltro. Ma magari quest’ultimo è un aspetto secondario della gestione. L’importante è far sbarcare a Catania calciatori argentini come Gonzalo Escalante e Gonzalo Piermateri. Il primo mai visto in campo, il secondo nemmeno in panchina.

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Liga spagnola alle prese con il Fisco.

Il governo chiede il pagamento di debiti per 500 milioni

di MARCO BELLINAZZO (Calcio & business 01-10-2014)

Il governo spagnolo esige ai club dI calcio di “aggiornare” la propria posizione e saldare i debiti col Fisco e l’Agenzia Tributaria, alla quale devono 500 milioni di euro, 200 in meno che all’inizio dell’attuale legislatura, nel 2011. “Abbiamo detto alle società di calcio che, come qualunque tipo di attività, perché sono aziende, non possono finanziarsi a costo degli spagnoli”, ha detto oggi il ministro delle Finanze, Cristobal Montoro, in dichiarazioni radiofoniche a Onda Zero. “A me piace il calcio, ci vende illusioni, ma questo non significa che debbano finanziarlo tutti gli spagnoli”, ha aggiunto il ministro, nel sottolineare che le società calcio “non possono vivere di rinvii e devono affrontare i pagamenti che corrispondono loro negli accordi sottoscritti con l’Agenzia Tributaria”.

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CALCIOSCOMMESSE «C’ERA ANCHE L’EX TEAM MANAGER TARANTINO». MA LA PROCURA HA GIÀ ARCHIVIATO TUTTO SU DI LUI

«Quella lista nera della combine»

L’ex Esposito ricorda in aula quando contò i soldi della mazzetta da dividere con i compagni

di GIOVANNI LONGO (LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 01-10-2014)

Durante le indagini Marco Esposito aveva raccontato una storia diversa della presunta combine Salernitana-Bari. A partire da chi, a detta dell’ex difensore biancorosso, l’avrebbe ispirata: Luciano Tarantino, ex team manager del Bari. Le sue dichiarazioni avevano indotto la Procura di Bari a iscrivere nel registro degli indagati per concorso in frode sportiva il braccio destro di Giorgio Perinetti. Quelle dichiarazioni, però, non sono state riscontrate. Al punto che per Tarantino, l’allora procuratore Antonio Laudati e il pm Ciro Angelillis avevano chiesto (e poi ottenuto l’archiviazione). Su Tarantino, dunque, non c’era (e non c’è nulla). Ma ha fatto un certo effetto sentire in aula quelle parole, fino a ieri, solo trascritte su un arido verbale d’interrogatorio.

«Il primo a chiedermi di perdere per dare una mano alla Salernitana fu Luciano Tarantino», ha ribadito Marco Esposito nel processo in corso davanti al Tribunale di Bari sulle presunte combine relative alle gare di serie B Salernitana-Bari (3-2) del 23 maggio 2009 e Bari-Treviso (0-1) dell’11 maggio 2008. Nell’ambito di questo filone in cui sono imputate 18 persone quasi tutti ex calciatori del Bari, della Salernitana e del Treviso, accusati di concorso in frode sportiva, Esposito ha risposto alle domande del pm Giuseppe Dentamaro, dei difensori degli imputati e del giudice monocratico Domenico Mascolo.

La sua memoria è andata a quel finale di stagione quando il Bari di Conte, con la promozione in A in tasca da tempo, affrontò la Salernitana nell’ultima giornata di campionato. «Il clima era particolare: i tifosi ci chiedevano di perdere - ha ricordato Esposito - per dare una mano ai campani con i quali erano gemellati».

Una lista scritta a mano con i nomi di chi avrebbe ricevuto i soldi frutto della combine, un accordo raggiunto telefonicamente, una borsa nera con 150mila euro in banconote da cinquecento e cento euro: questi i ricordi dell’ex biancorosso che ha confessato di aver «contato personalmente i soldi» e di averli poi «divisi tra chi aveva aderito all’accordo sulla base di una lista scritta a mano che avevo trovato a casa mia».

In quella lista Esposito ha assicurato che c’erano, oltre a quasi tutti i suoi compagni di squadra, anche Angelino Iacovelli, factotum di alcuni ex calciatori e imputato nel processo, ma anche Tarantino e il ristoratore Aldo Guarino (la posizione di entrambi è stata archiviata non essendoci stato un riscontro alle parole di Esposito).

Stando alle indagini dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Bari, per far vincere alla Salernitana la partita del 23 maggio 2009 due calciatori e un dirigente della squadra campana - gli atleti Luca Fusco e Massimo Ganci (ex Bari) e il team manager Cosimo D’Angelo - avrebbero offerto 150mila euro a 16 calciatori del Bari e ad Angelo Iacovelli.

Prossima udienza il 4 novembre.

A CREMONA

Scommesse, la perizia scagiona Milanetto

di MARCO MENDUNI (IL SECOLO XIX 02-10-2014)

Il 28 maggio 2012 Omar Milanetto era stato arrestato con un’accusa pesantissima: associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Allora giocava nel Padova ed era rimasto in prigione fino al 14 giugno.

Un’esperienza, quella del carcere, che l’aveva debilitato profondamente: quando si era presentato di nuovo sul campo di allenamento, a luglio, era dimagrito di otto chili. Era l’inchiesta sul calcio-scommesse della procura di Cremona, che di proroga in proroga è ancora in fase di indagini preliminari e che oggi, con un secondo round già fissato per il 29, arriva a uno snodo decisivo.

I periti incaricati di analizzare i computer di tutti gli indagati (sono 111, tra di loro nomi importanti del calcio italiano) presenteranno le conclusioni del loro lavoro. In quella relazione c’è un colpo di scena: Milanetto, scrivono i consulenti nella perizia che sarà depositata oggi al gip, con le scommesse non c’entra e non c’è mai c’entrato nulla. Non c’è nessuna traccia che lo possa accusare.

I suoi computer sono stati analizzati, come tutti gli altri, fin nei più segreti meandri della memoria. Gli esperti lo faranno presente al giudice: Milanetto, assistito dall’avvocato Maurizio Mascia e già assolto dalla giustizia sportiva, va escluso dalla rosa dei sospettati. Questo non vuol dire che l’inchiesta di Cremona sia un flop. Perché, nella stessa relazione che sarà illustrata in due parti, le conferme riguardo a tante altre posizioni hanno invece trovato ogni conferma, eccome. L’analisi dei computer ha infatti evidenziato illeciti macroscopici da parte di altri tesserati: quali siano queste evidenze e quali siano i nomi di coloro che sono stati trovati con le mani del sacco verrà illustrato davanti al giudice nelle due date dell’incidente probatorio.

Ai periti i magistrati della procura avevano fornito anche alcune “parole chiave” che, nel corso della prima parte delle indagini, erano state identificate come una sorta di codice cifrato che gli scommettitori utilizzavano per dissimulare la loro attività. Diciannove termini in tutto: Abbraccio, Assegni, Beppe, Bolognesi, Cambiale, Cervia, Civ, Garanzia, Golgol, Handicap, Makelele, Over, Ovetto, Pareggio, Under, Uovo grande, Uovo piccolo, Vittoria, Zingari.

Lo scorso 2 settembre il gip Guido Salvini ha disposto l’archiviazione da tutti i reati contestati per l’ex centrocampista del Milan e della Nazionale Gennaro Gattuso.

Extraños favores en Zaragoza

Gabi declara ante el fiscal que antes del supuesto amaño con el Levante, el club

aragonés le ingresó 85.000 euros y luego le pidió que se los devolviera en efectivo

El que fuera capitán zaragocista asegura que fue un favor que les pidió el presidente

El exdueño del club maño sostiene que se trataba de primas por la victoria

por LADISLAO J. MOÑINO (EL PAÍS 03-10-2014)

Gabi, exfutbolista del Zaragoza y capitán del Atlético de Madrid, reconoció ayer ante el fiscal que investiga el presunto amaño del Levante-Zaragoza, disputado en 2011, que retiró de una cuenta bancaria una cantidad aproximada a 85.000 euros en los días previos al encuentro y que después devolvió ese dinero al club. El futbolista sostuvo que ignora para qué fue utilizada posteriormente la cantidad devuelta. Fue un favor que les pidió el presidente, Agapito Iglesias.

La comparecencia de Gabi fue una más de las otras seis que se produjeron ayer con motivo de las diligencias abiertas por la fiscalía anticorrupción ante el supuesto amaño del mencionado partido, correspondiente a la última jornada de Liga de la temporada 2010-11 y en el que la victoria del conjunto zaragozano supuso su permanencia en Primera División. La fiscalía sostiene que una decena de jugadores del Zaragoza recibió ingresos en sus cuentas procedentes del club y que posteriormente fueron retiradas en bloque por varios de ellos, aunque no todas el mísmo día. Las cifras oscilan entre los 85.000 y los 90.000 euros, para un total cercano al millón de euros.

La declaración de Gabi puso en la diana a Agapito Iglesias, por entonces presidente de la entidad aragonesa. Este fue el primero en declarar, al considerarle la investigación como el urdidor principal del tongo. Otras fuentes cercanas al caso le señalan también como el principal protagonista de la trama por su capacidad como presidente para autorizar las transferencias monetarias. Según fuentes próximas al proceso, el expropietario afirmó que el dinero entregado a los futbolistas fue en concepto de primas. De la afirmación de Iglesias y de la de Gabi se deriva una contradicción. No se entiende que un dinero entregado como prima hubiera que devolverlo antes de que se celebrase el partido. Gabi también aclaró que “el favor” realizado supuestamente se debía a las dificultades económicas del Zaragoza que, un mes después, entró en Ley Concursal.

Entre los siete citados a declarar ayer, de un total que sobrepasa la treintena de investigados, se encontraba el defensa central del Levante Sergio Ballesteros. Este figura en la investigación, según otras fuentes cercanas al caso, al habérsele sido detectados ingresos bancarios por los que fue preguntado y que fueron realizados después de la disputa del partido, aunque no en días cercanos a este. Esas mismas fuentes aseguran que el jugador reconoció los movimientos bancarios dando una explicación sobre los mismos ajena a los hechos denunciados.

La de ayer fue la primera de la gran cascada de comparecencias de dirigentes y futbolistas del fútbol español para esclarecer el supuesto amaño de un partido. Alejandro Luzón, el fiscal encargado del caso, escuchó primero al exdirigente zaragocista y después desfilaron Jorge López, Braulio, Gabi, Diogo y Obradovic, todos ellos exjugadores del Zaragoza. En el caso de Obradovic, su abogado, Jaime Sanz de Bremond quiso aclarar: “Afirmo categóricamente que Iván Obradovic jamás ha tenido que ver con amaño de partido alguno. Debo incluso afirmar que carece de toda justificación su citación para declarar como investigado”.

Vestidos de sport, en contraste con sus trajeados abogados, los jugadores fueron entrando a la sede de la Fiscalía especial contra la corrupción y la criminalidad organizada. Algunos esbozaban sonrisas medio forzadas mientras caminaban la calle Manuel Silvela. Otros, se refugiaban en miradas huidizas que denotaban bochorno ante las cámaras y los micros de la prensa.

“Todo bien” se limitó a decir tras su declaración Gabi a la salida. “Jugaré el sábado [ante el Valencia]”, aseguró el centrocampista con una sonrisa mientras se subía al coche de su representante.

Hoy continuarán las citaciones, en la que se espera a más jugadores del Levante. El lunes también está previsto que acudan más futbolistas. La mayoría de los jugadores que ahora militan en el extranjero o el técnico Javier Aguirre, por entonces del Zaragoza, y ahora actual seleccionador japonés, no han sido llamados a declarar, aunque eso no signifique que si se abre un juicio no tengan que acudir como imputados.

La entrada en vigor en diciembre de 2010 de la reforma del Código Penal abrió las puertas por primera vez a la persecución de los sobornos y fraudes en el ámbito deportivo, como la compra o amaño de partidos de futbol.

El artíc**o 286, bis del Código fija las sanciones, multas o penas de cárcel para aquellas conductas que tengan por finalidad “predeterminar o alterar de manera deliberada y fraudulenta el resultado de una prueba, encuentro o competición deportiva profesionales” y se castiga con penas de prisión entre seis meses y cuatro años de cárcel, inhabilitación de uno a seis años y multas.

Una vez iniciadas las diligencias y tras haber escuchado a los investigados, la Fiscalía Anticorrupción presentará las pertinentes acciones judiciales en un juzgado de Valencia, ciudad en la que se disputó el encuentro. El final y las consecuencias del caso pueden extenderse en el tiempo a más de un año.

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Trece partidos en la diana

Los investigadores advierten de las apuestas “increíbles” en

al menos seis de los encuentros de los que sospecha la Liga

“Recuerdan a algunos duelos trágicos de la Liga italiana”, se lee en el informe

Los autores descubren cuotas “pulverizadas” que “raramente” se ven en el mercado

En uno de los cruces señalados se llegaron a “inyectar” al menos 3,5 millones de euros

Apuntan a la influencia del mercado asiático en el cambio de los flujos lógicos de apuestas

por JUAN JOSÉ MATEO (EL PAÍS 03-10-2014)

La Liga de Fútbol Profesional (LFP) seleccionó en 2013 un grupo de 13 partidos para que los investigara Federbet, la empresa con la que ha firmado un acuerdo para que estudie si hay flujos de apuestas extraños que delaten amaños de resultados. La contestación de los expertos, que llegó a través de una carta dirigida personalmente a Javier Tebas, el presidente de la LFP, dejó una certeza y una duda: según el informe de los investigadores, al que ha tenido acceso este diario, los datos de las apuestas en seis de esos partidos delatan “al borde de la certeza” que se pactaron previamente distintas variables como el resultado, pero la ausencia de pruebas no limpia de dudas necesariamente al resto de encuentros.

Así, los expertos de Federbet subrayaron ante la LFP la diferencia entre amañar con el objetivo de lucrarse a través de las apuestas gracias al conocimiento previo del marcador (el caso de los cuatro encuentros destacados en rojo, que dejaron una huella digital a través de las apuestas online) y amañar para lograr una meta deportiva (evitar un descenso, por ejemplo), cuando el grupo de implicados es menor. Estos son los encuentros que llamaron más la atención de los analistas de Federbet, que para su trabajo estudian las cuotas de los partidos en los mercados europeo y asiático, y que tienen en cuenta el llamado hándicap asiático, que intenta eliminar de la apuesta la posibilidad del empate y sobrepondera de inicio a uno de los equipos concediéndole ventaja.

» Xerez-Hércules. 7 de abril de 2013 (0-0). “¡Increíble!” “Recuerda a aquellos [encuentros] trágicos del año 2010-2011 de la Liga italiana [hubo 19 detenidos y 150 investigados en el calcio profesional]”, escriben sobre el partido los investigadores, que hablan de cuotas “pulverizadas”. “¡Increíble!”. “Raramente hemos visto algo parecido (...) Estamos sin duda ante un intento de alterar que no acaba bien para los protagonistas”, argumentan los autores del informe. “Muchas veces hemos sido testigos de los intentos de manipulación de resultados distintos de los acordados, que a menudo no son posibles porque no todos los jugadores están de acuerdo y [los implicados] no convencen en su intento criminal a otros elementos de la formación”, explican. “En este caso nos encontramos, sin duda, frente a una información vendida a más sujetos y cuyo carácter confidencial no pudo resistir frente a la tentación de apostar cuanto antes posible”. El encuentro fue suspendido de cotización en varias casas de apuestas por el “increíble” aluvión de apostantes convencidos de la derrota del equipo andaluz.

» Levante-Deportivo. 13 de abril de 2013 (0-4). “Se inyectaron 3,5 millones”. “Según nuestra evaluación”, dice el informe, “estamos asistiendo a un claro intento de alteración y, sin embargo, informamos a las autoridades competentes antes del escándalo”. El estudio del encuentro está lleno de signos de exclamación y subraya que se “inyectaron sin duda” más de 3,5 millones de euros en las apuestas en aquel duelo, y que los apostantes asiáticos demostraron un sorprendente interés en un partido menor de España. Lo que disparó las alarmas fue la cantidad de dinero apostada a que se llegaría 0-3 al descanso. El informe señala que en el Levante-Celta del 27-04-2013 (0-1) también se presencia “un intento de alteración con características precisas y definidas” similares.

» Huesca-Sabadell. 14 de abril de 2013 (4-3). “Informaciones vendidas”. “Mirando a los datos objetivos que nos vienen de las cuotas, estamos frente a un intento de alterar con informaciones vendidas muy considerablemente”.

» Girona-Xerez. 11 de mayo de 2013 (2-4). “Sucedió algo extraño”. “Algunos datos, combinados con el hecho de las motivaciones en el campo [el Girona se jugaba ascender], nos llevan a creer que algo extraño sucedió pero la información fue probablemente limitada [que el número de implicados no fue lo suficientemente grande como para alterar el resultado]”. Tras este informe, la LFP interpuso una querella que ha derivado en la imputación de José Vega, excentrocampista del Xerez. Según la querella, mantuvo conversaciones sobre si su equipo se dejaba ganar en una jornada clave para el ascenso. Sin embargo, el Xerez ganó 2-4.

» Hércules-Murcia. 2 de junio de 2013 (0-2). “Intento claro” “Hay, de acuerdo con nuestra opinión asistida por los números, un claro intento de alteración, además con éxito, y una información a delincuentes particularmente grandes”, explican. Los investigadores basan esa información en que “casi todas” las casas de apuestas se retiraron del partido.

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Storie di cuoio

Il fascismo venne emulato dalle dittature latinoamericane. Brasile

e Argentina vinsero i Mondiali con l’appoggio dei militari. Nando,

il fratello di Zico, l’unico calciatore riconosciuto vittima del regime

S U D A M E R I C A

Il calcio di regime

di MASSIMILIANO CASTELLANI (AVVENIRE 03-10-2014)

Albert Camus è stato anche un portiere e tra i suoi pensieri di uomo in rivolta c’era anche quello di «tutto quello che so della vita, l’ho imparato dal calcio». Una sfera di cuoio è da un secolo a questa parte metafora di dominio, a volte totalitario. E non c’è stato luogo della terra come il Sudamerica in cui il “panem et circenses” del pallone sia riuscito a stabilire la relazione pericolosa trasferita nell’equazione: calcio uguale dittatura.

Tra le miserie di questo sport, il sublime narratore uruguayano Edoardo Galeano ha scritto: «Il calcio è la patria, il potere è il calcio: “Io sono la patria”, dicevano quelle dittature militari». Il gioco della propaganda politica applicata al campo dove si schierano e si combattono 22 eroi in calzoncini corti, è cominciata con il fascismo che perse la guerra, ma si fregiava dei due titoli mondiali conquistati nel 1934 e nel ’38 dalla Nazionale di Pozzo.

Oltre all’oro olimpico (rimasto l’unico del calcio azzurro) ai Giochi organizzati nel 1936 a Berlino dagli alleati nazisti. «L’Italia fascista deve tendere al primato sulla terra, sul mare, nei cieli, nella materia e negli spiriti», era stato il monito di Benito Mussolini, ripreso alla lettera dai dittatori del Brasile e dell’Argentina che grazie alla struttura della squadra “Giunta” riuscirono ad imporsi nei campionati del mondo degli anni ’70-’80. «La fascistizzazione del calcio ha seguito il doppio passo, quello delle dittature simil fasciste dell’America Latina: dal Brasile all’Argentina appunto, dal Cile all’Uruguay, dalla Bolivia al Paraguay, dal Salvador al Guatemala», dice lo storico dello sport Sergio Giuntini autore di un saggio smarcante e illuminato come Calcio e dittature. Una storia sudamericana (Sedizioni). Il calcio come oppio fumoso negli occhi del popolo lo aveva soffiato già nel ’36 il presidente del Perù Oscar Benavides che ritirò la nazionale di Lima dalle Olimpiadi quando venne sentenziata la ripetizione della gara che la selezione andina aveva vinto - ai supplementari - contro la forte Austria del bomber “anti-Anschluss” Matthias Sindelar (morto misteriosamente assieme alla compagna, l’ebrea italiana Camilla Castagnola). «Benavides gridò al “complotto” - spiega Giuntini -. Così, approfittando della collera nazionalistica diffusasi in Perù riuscì a stornare le attenzioni sulla corruzione del suo governo, riottenendo la fiducia delle classi popolari». Siamo dinanzi a quell’antropologia da stadio che si studiava facilmente dai gradoni del vecchio Maracanà, costruito per contenere un mondo. Universo ancestrale del futebol da 130mila posti che, nel nefando 16 agosto 1950, arrivò ad ospitare fino a 200mila anime in pena per il “Maracanazo”, la storica sconfitta del Brasile nella finale con l’Uruguay. Il giornalista del “Guardian” Alex Bellos fa notare che «durante gli anni ’70 il regime brasiliano edificò 27 stadi della capacità di 45mila spettatori e cinque da oltre 100mila posti. Ogni città doveva avere il suo tempio del calcio per poter essere definita rispettabile. Una politica populista che riuscì ad accentuare l’orgoglio nazionale». Giocava «com muito orgulho muito amor» e con tanta fede in Dio, Nando Antunes Coimbra, il fratello maggiore di Zico e di Edu. Una famiglia di professionisti del “jogo bonito” in cui Nando, stellina della Fluminense, spiccava per sensibilità e impegno sociale: a 18 anni (nel 1963) si iscrisse alla facoltà di Filosofia e divenne un volontario del Piano nazionale di alfabetizzazione. Scelte invise a quel capitano dell’esercito che era anche il tecnico del Santos de Espirito Santo il quale firmò il foglio di via per Nando che espatriò in Portogallo. Il pallone di Edu rimbalzò dalla dittatura del generale Medici (che nel 1970, alla vigilia dei Mondiali del Messico aveva silurato il ct della Seleçao, João Saldanha, per sostituirlo con il fido Mario Zagallo) di Salazar. Tra soprusi e pressioni, Nando rimase, comunque, quattro anni a giocare nel campionato portoghese e solo con l’aiuto del grande Eusebio riuscì poi a trovare i soldi necessari per tornare nel suo Paese. Quel Brasile che, intanto, aveva sbarrato le porte della nazionale a Edu e depennato Zico dalla lista della nazionale olimpica per i Giochi di Monaco ’72 in quanto “fratelli del comunista”. Lo stesso marchio appiccicato alla maglia del leader della “Democracia Corinthiana”, il leggendario dottor Socrates. Quel marchio indelebile di indesiderato dagli oligarchi del futebol a 26 anni portò Nando alla sofferta decisione di appendere gli scarpini al chiodo per darsi all’attività di commerciante. Solo nel 2010 il presidente Lula ha dichiarato Nando «perseguitato politico del Regime brasiliano», diventando il primo calciatore riconosciuto vittima della dittatura. Non ha mai avuto lo stesso risarcimento morale lo scrittore Jaime Riera Rehren (nipote di Jaime Riera ex ct cileno nel Mondiale casalingo del’ ’62) che il 26 ottobre del 1973, in occasione di un sopralluogo della Fifa prima del match farsa Cile-Urss, era tra i «duecento ultimi pericolosi» ancora detenuti all’interno dell’Estadio Nacional di Santiago. Lo stadio diventato “lager” a cielo aperto dopo il colpo di stato dell’11 settembre ’73 ordito da Augusto Pinochet. Paolo Hutter, in quei giorni funesti del golpe, era un giovane giornalista allo sbaraglio per le strade di Santiago, in cui venne arrestato e così ricorda le sue tre settimane da “deportato” insieme ad altri 10mila: «Monotono e quasi gentile, l’altoparlante legge i cognomi e i nomi di quelli che devono presentarsi sulla pista per andare a farsi interrogare. Almeno uno su tre viene scientificamente torturato. Parecchi spariscono, li portano nelle segrete case di tortura o li fucilano in periferia».

Nei periferici ed oscuri Garage Olimpo di Buenos Aires, durante il Mundial del ’78 andò in scena lo stesso tragico teatro degli orrori. L’allora 22enne portiere dell’Almagro, Claudio Tamburrini, è riuscito a scampare alla morte sfuggendo dalle mani dei carnefici del generale Videla che lo tennero prigioniero alla Mansión Seré. Tamburrini visse il trionfo mondiale dell’Argentina dal suo esilio in Svezia (oggi insegna Filosofia all’università di Stoccolma) e tornò in patria solo nell’85 per far condannare i colpevoli di quella guerra muta che strappò migliaia di figli alle mamme di Plaza de Mayo. Il «fútbol» come lo pronunciava il massimo scriba di calcio, Osvaldo Soriano, spesso apre la ferita della guerra, come quella “de la cien horas” scoppiata nel ’69 tra El Salvador e Honduras e di cui scrisse Ryszard Kapuscinski ne “La prima guerra del football”. Ma l’urlo di uno stadio annuncerà la tregua e come insegna Edilberto Coutinho «I dittatori passano. Passeranno sempre. Ma un gol di Garrincha è eterno. Non lo dimentica nessuno».

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Apologia di antijuventinismo.

In Italia è una virtù e passa su La Stampa con nonchalance.

Visto che la casa editrice è la stessa, Rizzoli, scommetterei pure qualche euro sul fatto che l'anonimo Massimo Astio autore di un libretto poi ritirato dal mercato l'anno scorso sia un Culicchia o il Culicchia stesso, che stavolta ammanterebbe l'odio viscerale con la fiction.

Bravi, sia Rizzoli che Culicchia! E complimenti!

Ho letto un po'...ma almeno la carta di quel libro è resistente?Sai, magari se si deve dar la tinta ai muri, potrebbe servire...

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Ho letto un po'...ma almeno la carta di quel libro è resistente?Sai, magari se si deve dar la tinta ai muri, potrebbe servire...

Ormai è raro per me sfogliare libri (preferisco le edizioni digitali), non saprei dirti con certezza... però posso confermare che Culicchia è quasi sicuramente Massimo Astio o un suo volgare seguace. Ebbene sì, ho letto questo libretto. Oltre vituperi ed insulti, ecco la summa.

«SOLO RUBARE! SAPETE SOLO RUBARE! SOLO RUBARE! SAPETE SOLO RUBARE!»

Quanto allo Zazzi, che alla rete avversaria ha bestemmiato e ha battuto volontariamente per tre volte la testa contro uno dei pilastri di cemento armato della curva, è come in trance. Gli occhi iniettati di sangue rivolti al cielo come in attesa di un segnale divino, o perlomeno di uno Stuka che annienti la metà bianconera dello stadio, aspetta che il coro si plachi, dopodiché si issa di nuovo sulla balaustra più vicina, e con piglio tutto zazzico attacca a cantare a squarciagola: «Tutta l’Italia lo sa, come faceva a rubare, usava il suo cellulare!».

La curva immediatamente lo segue: «Tutta l’Italia lo sa, come faceva a rubare, usava il suo cellulare!».

Lo Hrubesch guarda lo Zazzi senza capire.

«Ma che cos’è un cellulare?» gli chiede. «Un’arma segreta dei badogliani?»

Mentre tutta la curva continua a cantare, lo Zazzi lo guarda con la fronte livida e gli occhi sbarrati.

«Non lo so… Dopo che ho tirato quelle testate contro il pilastro ho avuto come una… visione mistica… Dioken… Ho visto… un difensore della Sampdoria… tale Marcello Lippi… che respingeva oltre la linea di porta un pallone calciato da uno dei nostri… Aldo Agroppi… e l’arbitro che annullava il gol regolare che ci avrebbe dato lo scudetto… finito invece alle *****e…

«Poi ho visto… quello stesso difensore, diventato a distanza di anni allenatore delle *****e medesime… che si ostinava a negare di aver respinto il pallone dopo che era entrato in porta… malgrado le foto e anche i filmati da cui si evinceva il contrario…

«Poi ho visto… un rigore sacrosanto negato a noi in una partita persa per uno a zero contro la Roma che sarà la sola sconfitta in quella stagione… e allo stesso tempo un gol in fuorigioco delle *****e segnato da un certo Claudio Gentile contro il Catanzaro…

«E poi due giocatori della Sampdoria espulsi sullo zero a zero nella partita contro le *****e… e alla fine le *****e che si aggiudicavano lo scudetto con cinquantuno punti mentre noi arrivavamo secondi con cinquanta…»

«Zum Teufel!»

«Poi ho visto… un gol regolare di un certo Turone… il nome di battesimo non lo so… annullato in una partita della Roma contro le *****e… che grazie a questo episodio vincevano di nuovo lo scudetto…

«Poi ho visto… le *****e che vincevano a Catanzaro grazie a un rigore inventato… mentre alla Fiorentina veniva annullato un gol valido contro il Cagliari… e le *****e grazie a questo vincevano di nuovo lo scudetto…

«Poi ho visto… uno di loro subire un fallo a tre metri dall’area in una finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool… e l’arbitro assegnare il calcio di rigore grazie al quale le *****e vincevano la coppa… con cui facevano il giro di campo, malgrado sugli spalti si contassero trentanove morti tra i loro stessi tifosi…

«Poi ho visto… un rigore dato alle *****e in una partita contro il Verona… per un fallo di mano in area totalmente inventato di un terzino germanico, tale Hans-Peter Briegel… e a ruota un netto fallo di mano di uno delle *****e che però l’arbitro, caso strano, non fischiava… e da lì contropiede delle *****e che segnavano malgrado l’azione fosse viziata dal fallo di un certo Massimo Mauro… su un veronese.

«Poi ho visto… un testa a testa per lo scudetto tra la Roma e le *****e… che nelle ultime due giornate affrontavano entrambe il Lecce già retrocesso e il Lecce si batteva alla morte contro la Roma sconfiggendola… mentre contro le *****e giocava come se si trattasse di un allenamento e perdeva… col risultato che lo scudetto andava di nuovo alle *****e…»

«Mein Gott!»

«Poi ho visto… un fallo da rigore evidentissimo su un certo Ronaldo detto il Fenomeno dell’Inter… che in quel momento aveva un punto in meno delle *****e… ma il fallo, guarda un po’, non veniva fischiato… e da lì partiva il contropiede delle *****e che ottenevano un rigore anche se poi un tale Alessandro Del Piero lo sbagliava… ma comunque alla fine le *****e vincevano lo scudetto…

«Poi ho visto… un gol regolare alle *****e di un certo Cannavaro… che in quella partita giocava nel Parma… gol che incomprensibilmente veniva annullato… e le *****e vincevano di nuovo lo scudetto…

«E poi ho visto… tanti… ma proprio tanti… tantissimi altri episodi simili a questi… finché a un tratto non ho anche visto… qualcosa di incredibile…»

«E poi ho visto… la cosa più incredibile di tutte… le *****e in Serie B… con il Toro in Serie A… le *****e in Serie B, ma non per broccaggine come noi, no… per illecito sportivo… che se posso dire, è molto peggio… mille volte meglio in B da brocchi che da ladri…»

Ci dev'essere qualcuno nella divisione libri della Rizzoli che non si vergogna di pubblicare libretti volgari contro la Juventus: la RCS partecipata dagli inutili Elkann che a loro volta non si vergognano di veder recensito sul proprio quotidiano di famiglia il suddetto libretto volgare da un simpatico tifoso granata.

Un circolo di M***A, davvero!

P.s.

In questo caso il filtro contro le scurrilità del forum fa il suo dovere in pieno.

Modificato da Ghost Dog

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In effetti fa schifo!Bisognerebbe attuare il codice deontologicamente juventino e ESCLUDERE a priori la robaccia delle altre squadre, salvo ovviamente se sono libri di accusa!

Dopo farsopoli mi sono convertito al "occhio per occhio, dente per dente"!

Basta simpatia, porc...!Bisognerebbe mostrare i denti!Fuori dal campo (oltre che sul campo, ovviamente)

Visto che non sono stati affatto signori con noi...perchè dovremmo esserlo noi?

Mazzate e basta!

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

In effetti fa schifo!Bisognerebbe attuare il codice deontologicamente juventino e ESCLUDERE a priori la robaccia delle altre squadre, salvo ovviamente se sono libri di accusa!

Dopo farsopoli mi sono convertito al "occhio per occhio, dente per dente"!

Basta simpatia, porc...!Bisognerebbe mostrare i denti!Fuori dal campo (oltre che sul campo, ovviamente)

Visto che non sono stati affatto signori con noi...perchè dovremmo esserlo noi?

Mazzate e basta!

Mazzate che però dalla società Juventus non partono mai come si converrebbe ad una società quotata in borsa.

E qui mi corre l'obbligo di ricordare che la delirante frase di Rumenigge "Juventus ist Mafia" fu pronunciata quando era ancora in sella la Triade (dicembre 2005) e non mi risulta ad oggi se fu mai querelato.

Qualche settimana fa un tribunale spagnolo ha condannato una società televisiva spagnola che un paio d'anni fa, tratteggiando i calciatori del Real Madrid come iene, ricevette immediatamente la denuncia della Real Casa.

Da noi alla Real Casa dormono dormono dormono.. ieri come oggi... e quando intervengono riescono spesso a passare dalla ragione al torto: sono semplicemente incapaci di gestire e reggere le comunicazioni.

Ed i sostenitori bianconeri ingoiano tonnellate di amaro

P.s.

E poi sulla Stampa di Torino la recensione di una m***a del genere non doveva neanche essere immaginata, a mio modo di vedere.

Modificato da Ghost Dog

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Joined: 10-Sep-2006
5208 messaggi

Mazzate che però dalla società Juventus non partono mai come si converrebbe ad una società quotata in borsa.

E qui mi corre l'obbligo di ricordare che la delirante frase di Rumenigge "Juventus ist Mafia" fu pronunciata quando era ancora in sella la Triade (dicembre 2005) e non mi risulta ad oggi se fu mai querelato.

Qualche settimana fa un tribunale spagnolo ha condannato una società televisiva spagnola che un paio d'anni fa, tratteggiando i calciatori del Real Madrid come iene, ricevette immediatamente la denuncia della Real Casa.

Da noi alla Real Casa dormono dormono dormono.. ieri come oggi... e quando intervengono riescono spesso a passare dalla ragione al torto: sono semplicemente incapaci di gestire e reggere le comunicazioni.

Ed i sostenitori bianconeri ingoiano tonnellate di amaro

P.s.

E poi sulla Stampa di Torino la recensione di una M***A del genere non doveva neanche essere immaginata, a mio modo di vedere.

Non dimentichiamo che la Real Casa fu capace di denunciare la Triade di infedeltà patrimoniale (mi pare, o qualcosa del genere)

Roba da rabbrividire

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la real casa

vede l'italia come casa di vacanza

nulla più

come gli inglesi il chianti

e tuuto il cialtrume

viene visto come ....caratteristico

parte del paesaggio

noi no

noi ci viviamop

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IL TEMPO 07-10-2014

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La guerra del football Un po’ di serietà non guasterebbe tra quei

parlamentari che, sfidando il ridicolo, minacciano interrogazioni

contro l’arbitro di Juve-Roma e alimentano la rissa sui social network

SE ANCHE IL GOL

FINISCE IN POLITICA

di GOFFREDO BUCCINI (CORSERA 07-10-2014)

Dopo Juventus-Roma, coi suoi tre rigori e le sue mille liti, una formazione bipartisan di deputati ha annunciato un’interrogazione parlamentare: l’ultimo cattivo servizio reso dalla politica al nostro Paese.

Certo, dev’essere liberatorio. Mentre il tifoso comune si macera davanti alla tv per un rigore carogna, o dalla curva maledice impotente i defunti dell’omino in giacchetta gialla (un tempo nera) , beh, deve dare un sottile brivido sottopelle poter proclamare a parenti e amici: «Domani a quell’arbitro gliela faccio vedere io!». E l’indomani, anziché intrupparsi al Bar Sport tra cappuccini tiepidi e imprecazioni roventi, filare a Montecitorio, sorseggiare fieri un caffè alla buvette e annunciare una bella interrogazione parlamentare. Nientemeno. Stavolta, dopo Juventus-Roma, coi suoi tre rigori e un gol forse gravato da fuorigioco (attivo? passivo?), i nostri eroi si sono schierati in formazione bipartisan: i deputati Fabio Rampelli di Fratelli d’Italia, Ignazio Abrignani di Forza Italia, Marco Miccoli del Pd e Paola Binetti dell’Udc (momentaneamente distolta da più serie questioni etiche) chiederanno — indignati — al governo di rispondere sull’operato dell’arbitro Rocchi, da domenica sera appena un gradino sotto il comandante Schettino nella hit parade dei cuori giallorossi: si tira in ballo anche la Consob (trattasi di società calcistiche quotate in Borsa). Miccoli, renzianamente, ci infila pure la meritocrazia, e riesce a dichiarare: «... più che dall’articolo 18 sono sicuro che gli imprenditori stranieri siano messi in fuga da questa arbitrarietà (sic) e mancanza di certezze nell’applicazione delle regole », svelandoci infine che non le lentezze del processo civile, non le pastoie della nostra burocrazia sono responsabili della stagnazione italiana, ma il cripto-juventino Rocchi.

Naturalmente Miccoli e i suoi sodali non s’inventano nulla di nuovo. Churchill sogghignava spiegando che noi italiani andiamo alla partita di calcio come a una guerra e alla guerra come a una partita di calcio. Calcio e politica sono da sempre binomio intrigante, prova ne siano il fascino che il pallone ha esercitato su tutti i dittatori in cerca di consenso — da Mussolini a Videla — e le mirabolanti favole di passione e sudore («Splendori e miserie...») narrate da Eduardo Galeano. Si parva licet, troviamo, già trent’anni or sono dalle nostre parti, serissime interrogazioni di tre senatori comunisti a favore di O’ Lione Vinicio, sloggiato dalla panchina dal patron dell’Avellino Sibilia: «Si pone con urgenza il problema di garantire in una società democratica (sic) il rispetto della dignità degli allenatori». E via così, di interrogazione in interrogazione, con sovrano sprezzo del ridicolo, fino ai nostri giorni.

Tuttavia questi sono tempi di ferro, sorridere è sempre più difficile. L’ultimo cattivo servizio che la nostra politica rende al Paese è infilare uno spirito da «lei non sa chi sono io» nella rissa divampata da domenica sera sui social network di tutta Italia. Si dirà che l’Italia è appunto questa e i deputati ne sono una... avanguardia. Gianluca Buonanno, lo stravagante leghista che ha proclamato Varallo Sesia «Comune non islamizzato » e messo a dieta i concittadini dietro compenso (cinquanta euro per tre chili persi in un mese), porta lo «scandaloso arbitraggio» alla Commissione europea. Paolo Cento, antico difensore di ultrà, sostiene che Roma sia stata «umiliata, offesa, derisa» e chiede al sindaco Marino di battere i pugni. Sui profili Facebook di numerosi dirigenti del Pd romano appaiono commenti del tenore «ladri da vomitare, schifosi, Moggi era un’orsolina». Questa è l’Italia e ha i parlamentari che merita, certo. Tuttavia un po’ di serietà, se non di sobrietà, non guasterebbe. Serio sarebbe non stupirsi la prossima volta che centinaia di mentecatti, scambiando per Vangelo le sciocchezze di queste ore, se le suoneranno di santa ragione davanti allo stadio. Serio sarebbe non prendersi così sul serio. Ma la nonna di Florenzi dura un pomeriggio, tutto il resto sono giochi di guerra.

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Memorandum

LA NAZIONE 08-10-2014

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IL TEMPO 08-10-2014

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Messaggi distensivi di un ultraottuagenario: non è un cardinale.

IL TEMPO 06-10-2014

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IL TEMPO 08-10-2014

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Pavel, pensaci tu!

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Un arbitro straniero per Napoli-Juventus

di MAURIZIO DE GIOVANNI (IL MATTINO 08-10-2014)

«Sono cose che tutti sanno, è dunque ora che si dicano. Sta scritto da qualche parte che non si debba raggiungere la Juventus. È il terzo scudetto che ci fregano, così non si può andare avanti. Se lo avessimo saputo non avremmo nemmeno partecipato al campionato. I casi sono due: o io mi sono inventato tutto e allora mi squalificano a vita, oppure riconoscono di avere sbagliato e bisogna cambiare, sostituire chi non è all’altezza». Sembra una puntualizzazione di Totti, vero? Un ulteriore, freddo chiarimento delle frasi dette a botta calda, alla fine della partita Juve–Roma di domenica sera, quella nella quale ai bianconeri sono stati concessi due rigori che non c’erano (il secondo ben trenta secondi dopo la fine del recupero concesso) e non è stato annullato il terzo gol all’ultimo respiro, con Vidal in chiarissima e influente posizione di fuorigioco. Pare una dichiarazione esplicativa del capitano giallorosso, esperto campione trentottenne che parla con la consapevolezza di una vita vissuta nel calcio.

Ebbene, non è così. Le dichiarazioni, reperite sul Corriere dello Sport, sono uscite dalla bocca di un altro immenso del calcio italiano, capitano di un’altra fiera avversaria dei bianconeri, e cioè Gianni Rivera, e risalgono al 12 marzo del 1972, quando il Milan subì a tempo scaduto un inesistente rigore del Cagliari che lanciò la Juve verso la vittoria in campionato. Portò male a Rivera e al Milan, il fatto che il capitano avesse dato voce a un disagio condiviso da quasi tutti gli osservatori: una squalifica fino al giugno di quell’anno per il calciatore, e lo scudetto della stella al Milan solo sette anni dopo.

Ci sarà un motivo per il quale, a più di quarant’anni di distanza, il contenuto delle dichiarazioni di calciatori così esperti sia sostanzialmente lo stesso; e che nel frattempo ci siano stati il gol annullato a Turone, il rigore negato a Ronaldo, la supercoppa di Pechino in cui era coinvolto il nostro Napoli, solo per citare quello che la misura di queste colonne consente. Il destino, si dice, alla fine compensa: ma sull’altro piatto della bilancia si trova solo la sottrazione a tavolino dei due scudetti dell’era di Moggi a seguito di calciopoli.

Marotta, infatti, in un’intervista di replica a Totti ha prontamente richiamato la sottrazione di quei titoli: come se si trattasse di qualcosa di altrettanto opinabile rispetto all’allargamento dell’area di rigore giallorossa operato dal signor Rocchi. Insomma: da un lato la reiterata, evidente sudditanza arbitrale al clima caldo dello Juventus Stadium, culminata nell’arbitraggio di domenica, e dall’altro la decisione in più gradi di giudizio, suffragata da prove e intercettazioni, su un sistema posto in essere dai dirigenti bianconeri e tenuto in piedi per anni. Come se fosse la stessa cosa.

Si racconta che uno di questi dirigenti zebrati abbia affrontato all’epoca un arbitro, colpevole di aver mancato l’opportunità di concedere un rigore dubbio ai pluricampioni d’Italia, dicendo: nel dubbio, dovevi fischiare. Nel dubbio: noi non vogliamo concessioni inesistenti. Vogliamo solo che, nel dubbio, si propenda per quello che ci conviene.

Non sappiamo se la leggenda sia vera, ma se lo fosse si tratterebbe di qualcosa di raffinatissimo perché l’opinabile non è mai davvero contestabile, soprattutto quando si tratta di prendere una decisione in pochi secondi.

Insomma, ci sarebbe bisogno di certezza del diritto. Converrebbe che si aggiungesse una postilla nel regolamento, che cioè in caso di dubbio si fischiasse in favore della Juventus, e che si riassegnassero gli scudetti ingiustamente sottratti: così sarebbe finalmente tutto chiaro e i Rivera e i Totti, ma anche gli Hamsik e i Pandev, si metterebbero l’anima in pace.

Scherzi a parte va detto, a scanso di equivoci, che parliamo di una compagine fortissima, sostenuta dalla finanza del gruppo industriale più potente di sempre nel nostro paese e quindi molto ben condotta tecnicamente e amministrativamente; i migliori giovani, da sempre, vengono acquistati in anticipo e a prezzi alti; lo scouting internazionale è capillare e validissimo, e porta a ottime acquisizioni; gli ingaggi sono sempre i più alti, e quindi i calciatori a parametro zero (Tevez, Pogba, Llorente per fare alcuni tra gli ultimi esempi) vengono più volentieri. Difficile da contrastare una forza così in campo, e impossibile se a ciò si aggiunge l’atteggiamento di evidente sottoposizione da parte arbitrale. La solita musica, come efficacemente mimato dal bravo Garcia prima di essere giustamente cacciato dal terreno di gioco: il signor Rocchi non pareva molto incline ad apprezzarne l’ironia.

Al Napoli toccherà incontrare questa corazzata a Doha, in palio la supercoppa. Come dicevamo, i precedenti non sono confortanti: proporremmo che oltre l’eccentrica scelta promozionale di una sede così fuori portata per i tifosi, si scelga anche un arbitro straniero, magari individuato tra i migliori del pianeta. Uno che non guidi Fiat né Chrysler e che abbia una reputazione immacolata da difendere. Così, magari, perderemo con maggiore soddisfazione e senza scrupoli o rimpianti. Sarebbe meglio per tutti.

Mani avanti, mani indietro, mani in alto: tipico sport dei giornalisti assennati

*****E!

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Optì Pobà for president

di LEE MARSHALL (Internazionale.it 08-10-2014)

Le parole di Tavecchio sono razziste, e non c’è altro modo di interpretarle. Parlare di una “gaffe”, come hanno fatto molti mezzi d’informazione, significa sminuirne la gravità. Inventare un nome finto africano come Optì Pobà, per poi definire questo giocatore fittizio un mangiatore di banane, non è una gaffe. La gaffe è un errore imbarazzante commesso da chi non è sufficientemente informato sui fatti. Non rivolgersi a una principessa nel modo previsto dall’etichetta è una gaffe. Darle della ţroia è un insulto.

Lui è un esperto, chissà cosa pensa del NON VINCETE MAI

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