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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Tutta la "bella" gente dello sport itagliano!

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in sintonia con il momento godereccio dell'italia intera

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L'indagine Il nastro è stato uno dei punti decisivi delle accuse all'ex direttore generale della Juventus, Luciano Moggi

Video «scomparso», indagato il pm di Calciopoli

Narducci sott’inchiesta con un carabiniere per il filmato sui sorteggi «taroccati»

di LUCA ROCCA (IL TEMPO 27-07-2014)

Il pm di Calciopoli finisce sotto inchiesta. Giuseppe Narducci, il magistrato che ha sostenuto l’accusa nel processo all’ex dg della Juventus, Luciano Moggi, agli allora designatori arbitrali Paolo Bergamo e Pierluigi Pairetto, nonché ad alcuni arbitri internazionali, è infatti indagato a Roma per abuso d’ufficio insieme al maresciallo Sergio Ziino, sotto inchiesta per falso ideologico. L’indagine a carico di Narducci, che dopo Calciopoli si è dedicato brevemente alla politica entrando nella giunta di Luigi de Magistris per poi mollarlo in aspra polemica, si basa su un video che sarebbe scomparso. Ma non uno qualunque. Si tratta, infatti, del filmato che proverebbe il «taroccamento» dei sorteggi arbitrali nella stagione 2004/2005. Il problema è che questo video, girato il 13 maggio 2005 nel centro tecnico di Corveciano dal maresciallo Ziino, sarebbe «fantasma». E secondo coloro che due anni fa hanno presentato la denuncia contro Narducci, e cioè lo stesso Moggi e altre «parti offese», manca dagli atti dal 2009, «sostituito» da foto presentate al processo in sequenza errata.

Facciamo un passo indietro cercando di spiegare i fatti nel modo più chiaro possibile. Il filmato è la prova regina di Calciopoli, quello che dimostrerebbe l’«accordo» fra Moggi e i designatori. Il video, in parte trasmesso il 15 dicembre 2009 da La7 , mostra che l’estrazione delle partite e degli arbitri avveniva così: prima Pairetto estrae la pallina delle partite da giocare (ad esempio Roma-Juventus), poi un giornalista nominato settimanalmente dall’Ussi (Unione stampa sportiva italiana) tira fuori il bussolotto col nome dell’arbitro e passa il biglietto a Bergamo che lo legge ad alta voce. Questo video, però, secondo gli accusatori di Narducci, viene ritirato dal fascicolo dibattimentale nel luglio 2009 senza che le difese ne sappiano nulla, e sostituito da foto con un ordine cronologico dei fatti invertito. In sostanza in queste foto si vede immediatamente Bergamo con in mano la pallina con sopra il nome dell’arbitro, dopo il giornalista (in questo caso Riccardo Bianchi, della Provincia di Como ) che passa il bussolotto col nome della giacchetta nera, e solo alla fine si vede Pairetto che estrae la pallina della partita da associare a quell’arbitro. Secondo quanto riportato nell’esposto di Moggi, solo invertendo la cronologia degli eventi è infatti possibile provare che il sorteggio è stato truccato. E spiegano il perché. Se è prima il giornalista ad estrarre il nome dell’arbitro, come si vede nelle foto «incriminate», poi per il designatore in combutta con Bergamo (e Moggi), cioè Pairetto, è possibile, attraverso palline che l’accusa ha più volte considerato «sbucciate», più calde o più fredde, insomma «segnate», scegliere l’arbitro da associare a quella partita. Se invece, come si vede nel filmato scomparso, la cronologia degli eventi è esattamente invertita, e cioè prima il designatore Pairetto estrae la partita da disputare, e solo dopo il giornalista estrae il nome dell’arbitro per consegnarlo a Bergamo, allora è impossibile provare che il sorteggio è truccato, a meno di non voler mettere sotto accusa, come «complice», quel giornalista. Insomma, o il «terminale» del sorteggio è, appunto, un «complice» oppure provare il fatto diventa un’impresa titanica. Va infine sottolineato che nella foto il giornalista viene definito «dipendente Figc» che indossa una «divisa ufficiale della federazione». Ma in realtà Bianchi è un giornalista e veste abiti civili. Più volte la difesa degli imputati ha richiesto questo video, e più volte il tribunale ha risposto di non esserne in possesso. Il 31 ottobre si terrà l’udienza sulla richiesta d’archiviazione avanzata dal pm per Narducci e Ziino.

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Lotito: “Bingo Bongo? Siamo Robin Hood”

di TOMMASO RODANO (il Fatto Quotidiano 27-07-2014)

Carlo Tavecchio straparla su immigrati e banane, Claudio Lotito preferisce latino e proverbi ampollosi. Il primo, 71 anni, sarà presidente della Figc, il secondo è il suo grande sponsor: gli ha garantito l’appoggio di tutta la serie A (Juve e Roma escluse). Un trionfo politico.

Lotito, come ha fatto?

Con i princìpi, lo spirito di servizio. Abbiamo contemperato le esigenze dei singoli nell’interesse collettivo, senza dimenticare il valore delle istituzioni.

Addirittura. Parla da statista.

Portare vantaggi a una squadra a danno delle altre sarebbe miope. C’era grande sperequazione, mi sono battuto e ho vinto.

Di più: parla da Robin Hood.

È un fatto di equità. Il rispetto della dignità di ognuno: questo è il faro ispiratore. Bisogna ribaltare le situazioni guicciardiniane: non si può badare al “particulare”.

Tavecchio però se ne esce con le banane, si inventa soprannomi razzisti stile “bingo bongo”. Non le pare vergognoso?

No, no, fate confusione. Stava facendo un ragionamento sull’impiego di questi ragazzi, sul fatto che tolgono spazio ai nostri giovani. Bisogna valutare la ratio delle parole. Lui proviene dalla Lega Dilettanti che è il contrario della discriminazione: è la base del calcio italiano.

Ma un uomo pubblico può esprimersi così?

Il linguaggio era improprio. Parlava con enfasi, a braccio, da un’ora e mezza. Ma siete voi che esasperate il concetto mediaticamente. Nessuno si fece problemi quando ci fu il “caso Minala” (primavera camerunense della Lazio ‘accusato’ di essere molto meno giovane di quanto non riporti la carta di identità, ndr).

Finché non portate a casa la nomina, però, non è meglio che Tavecchio taccia un po’?

Forse, ma non va criminalizzato. Ha usato un termine colorito. Ma se ne è accorto. Si è scusato. Sbaglia anche il prete sull’altare. Oggi si crea un caso per motivi elettorali. Bisogna conoscere l’uomo.

L’uomo ha subito 5 condanne.

Se ragioniamo così, per ogni incarico bisognerebbe andare a fare le pulci a tutti. A noi interessano gli aspetti sostanziali.

Le condanne non lo sono?

Lei dimentica una cosa: il suo casellario giudiziario è pulito... e comunque io valuto le persone a prescindere dal casellario giudiziario. Lei ha un casellario giudiziario pulito? Io giudico chi ho davanti da come agisce e da quello che dice: dai programmi. Questo pseudo moralismo non serve a nulla. Non vado a scavare nella vita della gente.

Il rinnovamento passa per un uomo di 71 anni?

Mi duole che si ragioni sull’aspetto anagrafico. Abiuro e contrasto la parola “rottamazione”. Preferisco il “rinnovamento nella continuità”. Il nostro programma è il rinnovamento assoluto.

Il suo programma.

A distanza di 10 anni, io predicavo alcuni temi e ora i fatti mi danno ragione: il calcio deve voltare pagina. Io sono un cattolico cristiano praticante: seguo le parole di Nostro Signore Gesù Cristo: non si possono servire due padroni. Voglio essere un uomo vero, non un sepolcro imbiancato, che è bello fuori, ma dentro è pieno di putritudine.

Lei porta a casa vittorie politiche e sconfitte sul mercato.

La Roma ricordi la Coppa Italia. Io non ho mai detto che avrei comprato Astori.

Ora non faccia come la volpe con l’uva...

Ho sei obiettivi per quel ruolo. Uno si dà delle priorità: Astori non era priorità. Tare purtroppo non parla benissimo l’italiano, non è vero che si vuole dimettere, come hanno scritto.

I suoi tifosi però non la sopportano.

Abbiamo fatto un gran mercato. Ma si crea artatamente un clima negativo attorno a Lotito. Nemo propheta in patria. A Roma c’è il problema delle radio, nel resto d’Italia i tifosi laziali mi adorano.

«Sono sconcertato

Così non si è credibili

contro chi discrimina»

Il n. 1 dell’Aic: «Inquieta il silenzio degli altri. Passo indietro di Tavecchio?

Noi candidiamo Albertini perché è la guida giusta per riportare al centro

il progetto sportivo. Atleti e tecnici non siano estromessi dalle scelte»

di MARCO IARIA (GASPORT 27-07-2014)

Damiano Tommasi, presidente dell’Assocalciatori, cosa ha pensato ascoltando la frase razzista di Tavecchio?

«Sono rimasto sconcertato, non solo per ciò che ha detto ma per il silenzio degli altri. In passato ci sono state prese di posizione contro il razzismo che stavolta non ho registrato. Ho ricevuto tante telefonate di calciatori indignati. Queste sono frasi che spiazzano. Di certo una partenza così non aiuta a parlare poi di programmi e politica federale».

Quella frase è coerente con le iniziative promozionali e sanzionatorie delle istituzioni calcistiche in tema di discriminazioni?

«Come per le risse che scoppiano in campo o per quelle a cui abbiamo assistito talvolta in Parlamento, risulta difficile mantenere poi la stessa credibilità nel portare avanti certe battaglie. Penso alle azioni di contrasto al razzismo negli stadi. È il rischio che si corre se non stiamo attenti a scivoloni che non ci devono essere. È come il genitore che non mette la cintura e poi dice al figlio di farlo».

Ritiene giusto che Tavecchio faccia un passo indietro?

«Dipende dalla sensibilità di ognuno. Noi come calciatori e tecnici candidiamo Albertini alla guida della Figc perché lo riteniamo il più indicato a riportare il progetto sportivo al centro delle politiche federali. I numeri dicono che Tavecchio ha l’appoggio delle leghe, speriamo che fino all’11 agosto quelli che non stanno con Demetrio riflettano e maturino un’idea diversa».

Parliamo, appunto, di programma. Tavecchio propone di abbassare dal 75% al 65% il quorum per le modifiche statutarie. Non è un passo in avanti per porre fine alla logica dei veti?

«A me pare una provocazione chiara, visto che Tavecchio è sostenuto dalle quattro leghe, che sommano il 68%. L’obiettivo è di estromettere le componenti tecniche, che hanno il 30%, dalle decisioni sul futuro del calcio italiano. Quelle stesse componenti tecniche che una legge ha riconosciuto e che è giusto che si prendano le loro responsabilità e partecipino alle scelte da compiere, visto che in campo ci vanno calciatori e allenatori».

E allora cosa si può fare per rompere l’immobilismo della Federazione?

«Intanto dare il giusto peso alla Serie A, però a una Lega che non sia espressione di ciò che è oggi, ossia la somma di venti individualità. Il calcio italiano va a due velocità, quella del professionismo e quella del dilettantismo, che devono essere amministrate con due processi decisionali diversi».

Tavecchio ha detto no alle seconde squadre e sì alle multiproprietà.

«Non mi risulta che le multiproprietà siano un progetto sportivo. Le seconde squadre sì, specie se accompagnate al tetto alle rose e al minimo di calciatori del vivaio. Il vantaggio delle squadre B è che durante la stagione il giovane lavora e si migliora per giocare una partita in prima squadra. Se l’obiezione è che vanno a rubare spazio all’Italia dei campanili, non si capisce perché si parli di ridurre la Lega Pro da 60 a 40 club. Le seconde squadre non devono sostituire i campanili ma chi non si iscrive, oppure essere un’aggiunta».

Ci sono punti di convergenza col programma di Tavecchio?

«Ci sono cose che tutti vorremmo fare. Il dibattito sulla riduzione delle società professionistiche va avanti da mesi ma non si trova mai la quadra. Noi siamo d’accordo, se va in direzione di una maggiore serietà e solidità dei club, in modo che si evitino i fallimenti. Ma ricordiamoci che il calcio è uno sport: per far crescere l’appeal delle competizioni e ridurre il rischio di illeciti e scommesse, bisogna dare un senso ai campionati fino all’ultima giornata. E rendere meno catastrofico l’evento delle retrocessioni».

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Trovo le risposte all'intervista di Lotito allucinanti, ancor più delle stesse frasi di Tavecchio.

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Trovo le risposte all'intervista di Lotito allucinanti, ancor più delle stesse frasi di Tavecchio.

Centrato!

E' ormai un mese che Lotito viene cercato ed intervistato di continuo per queste elezioni in FIGC.

Se non s'abbatte Lotito (ed il suo cerchio magico), hai voglia ad infangare Tavecchio... ne trovano subito un altro pronto all'uso.

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Centrato!

E' ormai un mese che Lotito viene cercato ed intervistato di continuo per queste elezioni in FIGC.

Se non s'abbatte Lotito (ed il suo cerchio magico), hai voglia ad infangare Tavecchio... ne trovano subito un altro pronto all'uso.

Lotito. Questo non sarà ben visto dai tifosi laziali, ma ha tante protezioni negli ambienti che contano.

Non so quale cittadino italiano riuscirebbe a farsi spalmare i debiti nei confronti dello stato in, mi pare, 24 anni?

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With huge sums in play, FIFA sponsors

are reluctant to push reforms

FIFA’s corporate partners have a long history of enduring serial

FIFA controversies in silence, and that is unlikely to change.

by JACK EWING (NY TIMES.com 27-07-2014)

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Inviato (modificato)
La difesa «Le parole di Tavecchio sono inaccettabili, ma inquadrano un tema ampiamente condiviso»

Carraro: «Ma Carlo è tutto fuorché razzista»

Il programma Da presidente federale lo vincolerei a fare i fatti, non le parole

di DANIELE DALLERA (CORSERA 28-07-2014)

Resettiamo il curriculum (non pedigree caro Tavecchio) di Franco Carraro e ci limitiamo a nomine e responsabilità del presente, senatore della repubblica italiana in Forza Italia e membro Cio, per portarlo su argomenti a lui cari, come la futura elezione del presidente della Federcalcio che vede impegnati Carlo Tavecchio e Demetrio Albertini. Carraro è dalla parte di Tavecchio e ci resta, nonostante la scemenza detta dal futuro presidente federale che ha tirato in ballo «pedigree e banane» parlando di calciatori che arrivano dall’estero.

Scusi Carraro, ma uno che si esprime così può diventare presidente della Federcalcio?

«Gianni Brera avrebbe parlato di “sciocchezza sequispedale”. Ma andrei cauto nell’accusare Tavecchio di razzismo. Nella sua vita non c’è alcun atto che va in questa direzione, tutt’altro. Le sue parole, inquadrando un tema ampiamente condiviso, restano inaccettabili»

Quale sarebbe il «tema ampiamente condiviso»?

«Quello dell’arrivo in Italia di giocatori dalla qualità tecnica inadeguata e non funzionali alle esigenze della nazionale, compreso il problema di passaggi e intermediazioni che rendono eccessivo il costo degli stessi giocatori. E sa qual è stato l’altro grave errore di Tavecchio? Ha sottovalutato la reazione che si stava creando a quelle parole, ripeto inaccettabili: insomma Tavecchio in comunicazione non è molto attrezzato».

Perché lei continua a difendere Tavecchio e a osteggiare Albertini che rappresenta il nuovo?

«Io non ho mai seguito l’onda popolare, credo che un uomo che abbia delle responsabilità, come spesso è capitato a me, debba seguire le sue convinzioni. Io mi comporto così, difatti rientro sempre nella classifica degli antipatici, un po’ come D’Alema» .

D’accordo, torniamo a Tavecchio e Albertini.

«A spiegazione, non certo a giustificazione, di ciò che è successo, Tavecchio andava a braccio, era molto emozionato perché davanti a sé aveva (e ha) la consapevolezza di poter diventare presidente della Federcalcio, in questo momento vive un grave problema familiare che lo rende meno sereno. Detto questo, Tavecchio sarebbe un presidente di transizione, viene dal mondo del dilettantismo dove l’azione del volontariato è determinante, rappresenta circa 14.000 società che vivono impersonando quei valori di sacrificio e di integrazione di cui il calcio ha bisogno. Ecco perché col razzismo non ha proprio nulla a che fare».

E come motiva la sua bocciatura ad Albertini?

«È persona per bene, di qualità ma non mi sono piaciute alcune cose: per esempio ha portato nel settore nazionale tecnici che non si sono rivelati all’altezza, come Casiraghi, eliminando Gentile, un allenatore dai grandi risultati con l’Under 21. È non l’ho mai visto scusarsi. Ultimo esempio: ha preso le distanze dal fallimento al Mondiale. E no, da capo della delegazione le responsabilità bisogna pur prendersele. Spesso pecca di superficialità».

Sembra che in Italia si tema ad affidare delle responsabilità agli ex calciatori.

«Prudenza con gli esempi di Platini e Rummenigge fatti da Andrea Agnelli. Platini ha studiato e continua a studiare, è un secchione, serissimo, competente. Rummenigge ha fatto tanta gavetta».

Allora ci troveremo Tavecchio?

«Sa cosa farei? Da presidente federale lo vincolerei a fare fatti e non parole su problemi come violenza e razzismo, dove il nostro calcio italiano latita, perché appunto finora si ferma alle parole. Da Tavecchio dobbiamo pretendere un coinvolgimento totale su emergenze così gravi».

Ranucci: E’ inadeguato

Ora il Coni aiuti il calcio

«Tavecchio faccia un passo indietro. Non bastano i voti»

«Il suo programma non ha elementi innovativi: persa un’occasione per fare le riforme»

di GUIDO D’UBALDO (CORSPORT 28-07-2014)

Raffaele Ranucci 57 anni, senatore del Pd, una grande esperienza da dirigente nel mondo del calcio, con la Roma e la Nazionale. Portò un certo Francesco Totti nel settore giovanile gialorosso. Oggi questo calcio non gli piace più.

Ranucci, ci parli di Tavecchio.

«Mi sembra che sia proprio inadatto e sia una persona di altri tempi. Mi ricorda un personaggio del Corriere dei Piccoli. Lui pensa di essere in un mondo di 50 anni fa, è una persona inadeguata per il calcio di oggi. Penso che questo sistema dirigenziale dovrebbe provare a fare un passo indietro e scegliere un manager con un programma nuovo e cambiare. Non è pensabile che il calcio sia gestito dal vecchio sistema dirigenziale che si autoriproduce e che non trova mai la forza di cambiare nelle persone. Mi sembra che non ci sia un solo elemento innovativo nel programma di Tavecchio. Invece ci sarebbe molto da rinnovare. Faccio un esempio. La Federazione dovrebbe fornire nomi e cognomi degli azionisti di tutte le società di A e B e che tutti abbiano il pedigree (come dice Tavecchio) con i requisiti di onorabilità. Oggi non sappiamo quali sono le vere proprietà dei club. Per esempio, di chi è il Bari?»

Come si dovrebbe intervenire?

«E’ giusto che la politica non interferisca, ma questi dirigenti vogliono che nessuno si intrometta nei loro giochi di potere, salvo poi chiedere aiuto al Governo per i nuovi stadi o per arginare la violenza. Oggi sono pochi i presidenti che tifano per la proprio squadra, le società vengono usate come finanziarie, il principale obiettivo spesso è fare lo stadio. Ben venga l’idea dei nuovi stadi, ma in alcune città possono essere ristrutturati quelli esistenti. Quando abbiamo fatto la legge sugli stadi si volevano evitare le migliaia di metri cubi di edilizia residenziale. I dirigenti se non ce la fanno riconsegnino le società alle città. I sindaci devono dare in concessione per 50 anni gli stadi e i club possono ristrutturarli secondo le loro esigenze. Poi bisognerebbe fare di più per il settore giovanile. La scuola calcio all’Acquacetosa è stata chiusa, la voracità della Dilettanti di Tavecchio ha ingurgitato anche il settore giovanile. Come può parlare lui di settore giovanile? Certi dirigenti dovrebbero andare a casa di corsa».

La sua previsione.

«E’ vero, in questo calcio non mi riconosco più. Il settore giovanile deve essere l’orgoglio delle società. Bruno Conti ancora lo difende e fa bene, ha vinto lo scudetto Giovanissimi e so cosa significa perchè l’ho vinto anch’io. Si è perso quel senso di appartenenza, sovrastato dai soldi e dalle tv. Poi però sento dire che la Federazione non può prendere un allenatore perchè costa troppo. Eppure in Nazionale quando c’ero io la svolta l’ha data Sacchi, che all’epoca era al top».

Il problema del razzismo non è ancora stato risolto.

«E non lo risolverà Tavecchio. Non dico che è razzista, ma è inadeguato. E’ un signore che è arrivato a fare il presidente dei Dilettanti e ha distrutto il settore giovanile. Ha i voti? Non è un problema di voti. Devono trovare un grande manager. Renzi ha trovato nuovi manager e ha fatto ripartire le aziende. Il programma per i giovani non c’è. Si sta perdendo la grande occasione per autoriformare il calcio. Forse qualcuno si aspettava che il Coni dicesse la sua. Il Coni deve farlo per aiutare il calcio a non sbagliare».

Pescante: Caso chiuso

non l’assolverei ma...

«Avanti con lui se potrà risolvere i problemi della Figc»

«Una scivolata inopportuna, forse per la stanchezza. Deve confermare il suo programma»

di GUIDO D’UBALDO (CORSPORT 28-07-2014)

Mario Pescante, 76 anni, politico italiano del Centrodestra, autorevole dirigente sportivo. E’ stato presidente del Coni e vice-presidente vicario del Cio, primo italiano a ricoprire questa carica. Non può restare insensibile ai problemi del calcio italiano e al dibattito che si è acceso in questi giorni sulla candidatura di Tavecchio alla presidenza della Figc e sulla sua gaffe a sfondo razzista.

Onorevole Pescante, che idea si è fatto sulla frase di Tavecchio?

«E’ stata per lui una inopportuna scivolata, forse giustificabile per la tensione di questi giorni. Ma oserei dire neanche giustificabile, però poi ha chiesto subito scusa. Quindi considero il discorso chiuso. La sua è stata una dichiarazione fuori tempo, fuori dai tempi e da ogni logica. Capisco la stanchezza per le imminenti elezioni, ne ho fatte tante anche io, possono capitare momenti di sbandamento e di tensione in questi giorni così concitati. Ma su questi argomenti sarebbe meglio non capitassero, soprattutto su temi così sensibili. Mi dispiace per Tavecchio, ha chiesto scusa, certamente non lo assolverei, ma chiuderei il caso».

Lei è stato per tanti anni un dirigente sportivo di vertice. Cosa pensa di Tavecchio presidente della Figc?

«Lo conosco da almeno venti anni, quando ero Sottosegretario insieme abbiamo fatto una legge sulle società senza fini di lucro e lui fu effettivamente efficace. Quella è stata una grande opportunità per il mondo dilettantistico. Poi non sono in grado di valutare le sue capacità in altri settori».

Il futuro presidente della Federazione che deve combattere la piaga del razzismo negli stadi non dovrebbe incorrere in certe gaffe

«Mi occupo di attività internazionale, ho preso la parola in questo dibattito per una cosa che cozza con la carta olimpica. Speriamo che un errore dovuto a stanchezza non capiti più, mi auguro che i programmi per i quali Tavecchio ha detto di battersi vengano confermati».

Con quali programmi il calcio può sperare di risollevarsi?

«Il calcio italiano ha bisogno di ripartire. Non voglio dire che Tavecchio può essere un presidente di transizione, ma ha due anni a disposizione e tra due anni si rivota. Ha la possibilità di dimostrare che può meritare anche la riconferma e arrivare a 76 anni. A me sembrano tanti, io li ho adesso, quindi parlo a ragion veduta. Ma se la sua è una presidenza che può risolvere i problemi, che non sono pochi, può andare avanti».

Per esempio? Lei dove interverrebbe?

«Di problemi da risolvere ne cito uno solo. E non vorrei essere male interpretato. Non si devono fare distinzioni sul colore della pelle, ma sul passaporto dei calciatori. Le prime sei o sette squadre italiane, quelle dalle quali poi attinge la Nazionale, hanno solo il trenta per cento di calciatori italiani. Negli altri Paesi hanno altre norme. Sono più celeri sulle nazionalizzazioni e hanno formule di reclutamento migliori delle nostre. Poi il nostro problema è che quei calciatori che abbiamo nazionalizzato non hanno inciso per niente…».

Allarme Raiola «Così allontana i

talenti stranieri. Ci vuole Bierhoff»

L’agente di Pogba e Balotelli: «Una Figc guidata da un razzista

rischia cause legali. Chi appoggia Tavecchio, ora cambi idea»

di CARLO LAUDISA (GASPORT 28-07-2014)

Non toccategli gli extracomunitari: l’incendiario Mino Raiola è pronto a tutto per difenderli. Anche l’agente di Ibra, Balo e Pogba scende in campo contro il candidato Carlo Tavecchio. Negli anni ha combattuto crociate contro gestioni da lui considerate monopoliste di Fifa e Uefa. Stavolta si unisce al partito del rinnovamento del calcio italiano.

Tavecchio ha già ritrattato: non è contro gli stranieri.

«Io giudico le persone anche per quello che dicono e quello che ha detto il candidato alla presidenza Figc Tavecchio è sintomatico del fatto che non sa di che cosa parla e che ha preconcetti di stampo razzista. Se questa è la persona che deve guidare il rinnovamento del calcio italiano siamo spacciati. All’estero le sue parole hanno già fatto troppo rumore».

Di cosa lo accusa?

«Parla del sistema inglese invece di prendere ad esempio la Germania campione del mondo. In Germania c’è libertà di ingresso senza limiti per tutti i calciatori. Non ha ancora capito che gli stranieri sono una ricchezza. O pensa che i diritti tv acquisiranno valore o i tifosi acquisteranno i biglietti dei nostri meravigliosi stadi per vedere giocare gli italiani o i pochi stranieri che accetteranno ancora di venire in Italia. Provo ribrezzo al pensiero che il nuovo presidente possa essere un razzista e non mi sorprenderei se qualche giocatore prendesse provvedimenti legali».

Si spieghi meglio.

«A riflettere ci sarebbero i presupposti giuridici per svincolarsi da una federazione guidata da un razzista».

Ma i suoi elettori gli hanno ribadito la fiducia.

«Chi ha inizialmente appoggiato Tavecchio è ancora in tempo per ammettere l’errore e cambiare idea. Sarebbe un atto di umiltà e intelligenza».

Ma che soluzione propone?

«Il sistema del calcio italiano ha bisogno di una persona non già in discussione. Che abbia energie e credibile. Soprattutto che abbia voglia di battere una strada nuova. Chi appoggia questo candidato deve capire che deve mettere da parte i propri interessi. Non serve un presidente debole che si faccia guidare dai soliti noti. Sappiamo chi sono i responsabili della situazione e io credo che sia giunta l’ora di una svolta: dall’interno del mondo del calcio deve partire questo ormai indispensabile rinnovamento».

Ma a chi pensa?

«Io penso a Oliver Bierhoff: serve un tedesco per cambiare davvero».

“Negli Usa squalificano chi dice certe cose

voi state pensando di affidargli il calcio”

Juan, ex della Roma, bersaglio dei buu in un derby

“Guardate l’Nba: non si vota un presidente così”

L'ELEZIONE Dopo aver pronunciato una frase così, non puoi

essere eletto a capo di un’istituzione per nessuna carica

di MATTEO PINCI (la Repubblica 28-07-2014)

La distanza non alleggerisce il disgusto per quella banana. Il discorso dai connotati evidentemente razzisti pronunciato venerdì da Carlo Tavecchio, con cui ha formalizzava la propria candidatura alla presidenza della Federcalcio, è arrivato anche in Brasile. «Una cosa così non si è mai vista, né qui né in Italia: chi parla in questo modo non può essere eletto per nessuna carica». Parole di Juan Silveira dos Santos, oggi difensore dell’Internacional di Porto Alegre, ieri uno dei leader del Brasile. È tra i fondatori del movimento Bom Senso Fc che lotta in patria per un calcio migliore, ma Juan è rimasto a lungo anche in Italia, 5 anni nella Roma con 119 presenze in serie A. E il coraggio di un gesto forte per denunciare un attacco discriminatorio nei suoi confronti: era il 4 marzo 2012 quando durante il suo ultimo derby affrontò la curva laziale che lo bersagliava di ululati razzisti portando l’indice alla bocca, per dire “zitti” a quei tifosi.

Avesse sentito una frase come quella di Tavecchio invece cosa avrebbe detto?

«Che non mi sarei mai aspettato di ascoltare nulla di simile».

Che sensazione prova? Disgusto, rabbia?

«No, dispiacere. Mi dispiace tantissimo, soprattutto per il calcio italiano. Dispiace dover commentare espressioni che offendono tutti. E poi dispiace soprattutto in questo momento in cui si stanno facendo tanti sforzi per l’immagine internazionale del calcio».

Tra l’altro pronunciata durante un discorso di candidatura alla presidenza di una federazione che per punire il razzismo ha chiuso curve, multato le società, minacciato di chiudere gli stadi.

«Appunto. Da fuori sento quelle parole e dico: ecco, già si inizia male. Molto male».

Ma può ancora candidarsi un aspirante presidente dopo un’uscita simile?

«Ma no, certamente. Dopo una frase così non puoi mai essere eletto a capo di un’istituzione, per nessuna carica. E non puoi essere votato da nessuno».

Ma le era mai capitato di sentire un presidente, un candidato, un rappresentante istituzionale esprimersi così?

«Mai, davvero. Anzi sì, una cosa simile l’aveva detta quel presidente di una squadra in Nba...».

Donald Sterling, il proprietario dei Los Angeles Clippers, che in privato si era lasciato andare a frasi discriminatorie degli afroamericani.

«Sì, lui. Negli Usa dopo quella frase razzista lo hanno squalificato a vita e gli hanno imposto di vendere la squadra».

In Italia invece la Lega di serie A ha difeso Tavecchio attaccando chi lo avrebbe “strumentalizzato”. A lei accadde di subire ululati razzisti durante una partita da un gruppo di tifosi rivali: cosa si prova?

«Dispiacere. E trovo incredibile che regolarmente capitino cose per cui si debba tornare a parlarne».

Tommasi: “Con quale credibilità

ora lotteremo contro il razzismo?”

Il n. 1 dei calciatori: “Se uno di noi sbaglia, viene fermato a lungo...”

MESSAGGI DI PROTESTA «Mi hanno scritto in tanti

A tutti dico che il nostro candidato c’è ed è Albertini»

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 28-07-2014)

Damiano Tommasi, lei è il presidente di un’Associazione calciatori che è chiamata ad interrogarsi sull’autogol di chi è in campo (da favorito) per guidare nei prossimi due anni il pallone italiano. Cosa ha pensato nell’ascoltare l’uscita di Carlo Tavecchio sugli extracomunitari?

«Sono rimasto incredulo e sorpreso. E lo sono ancora di più adesso a distanza di qualche giorno: ho notato una grande fretta a liquidare quanto accaduto come una conseguenza della campagna elettorale. Qua non si tratta di schieramenti, di destra o sinistra, di pro o contro Tavecchio, in gioco c’è altro...».

Un gioco molto più profondo...

«Purtroppo non si può tornare indietro ed azzerare tutto. Gli effetti di quelle riflessioni, seppur seguite da scuse, avranno ricadute concrete. Mi domando con quale forza penseremo a mettere in campo politiche contro ogni forma di discriminazione...».

A cosa si riferisce?

«C’è un codice di comportamento che, se disatteso, porta alla chiusura delle curve o alla sospensione delle partite. Ce lo chiede la Fifa, ce lo impone l’Uefa: avremo la stessa credibilità di prima nel prendere certe misure sul tema della lotta al razzismo? Se un giocatore sbaglia, viene fermato, anche a lungo...».

Tavecchio dovrebbe fare un passo indietro?

«Ognuno ha le proprie sensibilità. Io dico soltanto che, ora, siamo più deboli. Lo saranno anche le varie Leghe, quella di A, di B, la Lega Pro, la Dilettanti quando chiederanno ai rispettivi tesserati di partecipare come testimonial a questa o quella iniziativa. I giocatori diranno la loro...».

Okaka, attaccante della Sampdoria, si è ribellato. Sul suo cellulare quanti sms sono arrivati di giocatori presi in contropiede dalle parole che hanno fatto il giro del mondo?

«Tanti, tantissimi. A tutti i livelli, anche del giro della Nazionale: io, a tutti, adesso posso dire che il nostro candidato c’è ed è Albertini».

Come mai il calcio italiano sembra spaventato dall’affidare il proprio destino nelle mani di chi ha fatto il professionista?

«Perché c’è la volontà di gestire, non di creare o valorizzare l’aspetto tecnico. Gestire costa molta meno fatica, pensare all’aspetto tecnico richiede tempo, sacrificio, pazienza, progettazione...».

La partita nell’urna dell’11 agosto, giorno dell’elezione federale, può riaprirsi alla luce dello tsunami delle ultime ore?

«Non lo so, non posso dirlo. Ribadisco soltanto che noi una strada alternativa l’abbiamo messa in campo».

Facciamo un salto indietro. Si sarebbe aspettato una condanna più unanime alle parole di Tavecchio?

«Come dicevo, si è cercato subito di limitarne gli effetti riducendo il tutto alle dinamiche di una campagna per le elezioni in programma fra poco più di dieci giorni. Ma, purtroppo, c’è molto di più e, in questo modo, si rischia di trasmettere il messaggio più sbagliato...».

Lei, prima, faceva riferimento alla Fifa e all’Uefa che chiedono tolleranza zero sulle questioni legate al razzismo...

«I giocatori non sono insensibili, non girano la testa dall’altra parte. Lo dimostra la sollevazione di queste ore: il sistema ha bisogno di credibilità e, in questo modo, di credibilità c’è poco. Chi sarà a chiedere di chiudere quel determinato settore dello stadio per cori espressione di discriminazione per il colore della pelle? Il mondo ci guarda...».

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“Delrio chi? Ma che razzismo, Blatter stia zitto”

di TOMMASO RODANO (il Fatto Quotidiano 29-07-2014)

Maurizio Zamparini non ci sta. La “crocifissione mediatica” di Carlo Tavecchio è “una pantomima, una follia”. Parola del presidente del Palermo, record man assoluto nel siluramento degli allenatori.

Zamparini, ci vuole stomaco per difendere Tavecchio.

Rabbrividisco. Altro che razzismo, sono solo scuse. È un attacco di potere, tipico italiano. Non si può mettere in croce un uomo per una parolina...

Alla faccia della “parolina ”. S’è inventato un nomignolo dispregiativo per quei “mangia banane” degli immigrati.

Ma lasciamo perdere. Ha sbagliato, poi ha chiesto scusa. È stato becero? Tutte le istituzioni sono becere.

Le istituzioni non possono essere razziste.

Razzista? Per una battuta? In Italia il razzismo non esiste. Per quattro scemi che fanno “uh uh uh”... Qui ci prendiamo tutti: neri, gialli e verdi. Vai in Svizzera e in Austria, a vedere chi sono i razzisti.

Quindi tirate dritto con Tavecchio? Non lo mollate come ha già fatto la Fiorentina?

Non mi pare che ci siano grandi alternative. Chi dovrebbe farlo il presidente, Albertini? È un bambino. Cosa dovrebbe saper fare? Ha fatto il calciatore, non ha nessuna esperienza. Tavecchio non sarà un genio ma in Lega Dilettanti ha lavorato bene. In questo momento è il meglio che c’è.

Non sembra un appoggio entusiastico.

Ci vorrebbe uno come Matteo Renzi, un fuoriclasse. Uno con le palle, insomma. Come me.

Si candida?

Io faccio un altro mestiere, sono un imprenditore. Ho 73 anni ma mi sento un ragazzino. Certo che per il calcio italiano è un momento tragico. Qui servirebbe un commissario, altro che. Uno che per 5 anni ha il compito di cambiare tutto. Tutto. Ma vai a trovare la persona giusta...

Che non può essere Tavecchio. Anche la Fifa ha aperto un’indagine sulle sue parole.

Questa fa ridere. La Fifa è un’istituzione abominevole e viene a dire a noi cos’è che non funziona. Blatter ha un potere pazzesco e il calcio mondiale è in mano alla mafia dei procuratori, che gestiscono il commercio dei giocatori.

S’è indignata pure l’Unione Europea.

Ma chissenefrega! L’Europa si faccia i c***i suoi: non siamo più un popolo sovrano, siamo diventati i burattini della Germania. Siamo un popolo di servi e l’Europa se ne sbatte le palle! E si lamentano di Tavecchio...

A lei piace Renzi. Ma Tavecchio è stato criticato anche da uno degli uomini del premier, Graziano Delrio.

Delrio chi? Del Fiume? Chi è Delrio?

«Ma quale razzismo, è una trappola

il Milan al suo fianco, caso chiuso»

«NON HA ATTACCATO LE ISTITUZIONI. HA I VOTI PER ESSERE ELETTO E VA ELETTO»

«HA DETTO QUALCOSA CHE NON AVREBBE DOVUTO, SI È PENTITO, HA CHIESTO SCUSA, FINIAMOLA QUI»

di CARLO SANTI (Il Messaggero 29-07-2014)

Il fronte non si è ancora frantumato. Carlo Tavecchio rimane il candidato forte per la presidenza della Federcalcio. Contro di lui la serie A per ora manda solo Roma, Juventus e Fiorentina (indecifrabile la posizione della Sampdoria) e sembra che altri, almeno adesso e almeno fino a giovedì quando ci sarà un incontro a Roma tra i due candidati, Tavecchio appunto e Demetrio Albertini, con il presidente del Coni, non pensino di cambiare idea. Siamo 17-3, quindi maggioranza per Tavecchio. Enrico Preziosi ha alzato la voce difendendo Tavecchio e le sue frasi razziste. «Abbiamo sentito ministri fare di peggio - ha affermato il presidente del Genoa - e non è accaduto nulla. Tavecchio ha chiesto scusa e lui non è un razzista». La Juventus, che alla compilazione dei calendari non ha visto tra i presenti Andrea Agnelli, ha spiegato, con il direttore generale Giuseppe Marotta, che «Tavecchio è inadeguato». Claudio Lotito, che ha evitato dichiarazioni, è rimasto a lungo con Galliani per discutere le prossime mosse.

Galliani, lei è tra gli elettori di Tavecchio ma con Albertini, il suo rivale, il rapporto è più che cordiale.

«Cosa vuole, Demetrio lo conosco fin da bambino: giocava con noi. Nulla di strano, lo seguo sempre con affetto».

Lei, quindi, conferma l’appoggio a Tavecchio?

«Assolutamente. Nessun passo indietro da parte nostra. Il Milan sta con lui».

E le frasi razziste, le banane? Qual è il suo commento di quello che è accaduto?

«Una battuta infelice. Tavecchio non è assolutamente un razzista. Ha solo detto delle cose che non doveva dire».

Dicono: è inadeguato al ruolo che vorrebbe ricoprire.

«Non è così. Non ha attaccato le istituzioni ma il suo impegno nei confronti di persone che sembra avere attaccato è encomiabile».

Lo scenario non cambia, quindi.

«Non cambia e non può cambiare. Noi stiamo sempre con lui».

E neppure in Lega ci sarà un ripensamento?

«Abbiamo deciso di appoggiarlo e continueremo a farlo, senza nessuna remora».

Domenica la Fiorentina ha tolto la sua fidacia. Lei pensa che la società viola possa aprire un fronte?

«Non commento la posizione degli altri e, quindi, anche quella della Fiorentina. Sa, a volte non riesco a commentare neppure le mie decisioni».

Tutti chiedono a Tavecchio di fare un passo indietro. Lei non è d’accordo.

«Non lo sono perché, come ho detto, non vedo nessun nesso con il razzismo che è la questione che adesso viene imputata a Tavecchio. Per me lui deve essere eletto, visto che ha i voti, presidente della Federcalcio».

La Fifa ha chiesto chiarimenti alla Federcalcio. Non è un segnale preciso?

«Non lo penso. Alla Fifa hanno letto i giornali italiani e vogliono solo qualche chiarimento. Nessun problema: vedrete che tutto sarà chiarito al più presto».

Tavecchio ha detto: mi sono sentito più importante del Papa, del Tour de France e delle guerre. Cosa vuol dire?

«Che Tavecchio è caduto in una trappola. Ha detto qualcosa che non avrebbe dovuto dire. Si è pentito e ha chiesto tante volte scusa. Per me il capitolo è chiuso».

Scusi Gallaini, si continua a dire che Tavecchio è inadeguato. Lei cosa risponde?

«Tavecchio è stato proposto dalle Leghe, che rappresentano la maggioranza. Albertini è stato scelto da Calciatori e Arbitri, una minoranza che non è meno rilevante. Se poi si pensa all’età, beh, non si puó dar colpa agli anni che passano bensì alla capacitá di guidare un gruppo. E credo che Carlo abbia tutte le caratteristiche per farlo con grande attentizione».

Secondo lei, lo scenario da qui alla settimana prossima non cambierà?

«Non lo credo davvero».

Incredibile Minala: «Non mi sento offeso»

«NON VOLEVA ESSERE RAZZISTA, NE SONO SICURO»

di EMILIANO BERNARDINI (Il Messaggero 29-07-2014)

Joseph Minala, difende Carlo Tavecchio. Sì, proprio lui il centrocampista camerunense della Lazio si erge a scudiero del candidato numero uno alla presidenza della Figc finito nella bufera per quella infelice uscita sugli extracomunitari e le banane. «Francamente non ho alcun motivo di sentirmi offeso dalle quelle parole, che ritengo usate a chissà quali fini, poiché durante la mia esperienza calcistica se devo qualcosa a qualcuno è proprio a Carlo Tavecchio» ha dichiarato Minala, passato alla ribalta per colpa della sua età. Storia difficile la sua, portato in Italia e poi abbandonato con la promessa di diventare un calciatore.

Quando sei stato trasferito nella città dei Ragazzi hai detto che Tavecchio ti è stato di grande aiuto, in che senso? Di concreto cosa ha fatto?

«La Lega Nazionale Dilettanti nella persona di Tavecchio in quanto Presidente mi ha dato la possibilità di mettermi in luce e quindi poi successivamente di fare lo step tra i professionisti che è quello che mi sta cambiando la vita».

Dopo essere entrato nei dilettanti hai più parlato e sentito Tavecchio? Se sì cosa ti ha detto?

«Al mio passaggio ai professionisti mi ha fatto i complimenti conoscendo a fondo la mia storia particolare».

Quando hai sentito quella frasi sulle banane cosa hai pensato?

«Mi ha ricordato le difficoltà che ho dovuto affrontare all'inizio. Ma partendo da me e dalla mia storia sono sicuro che non voleva essere razzista. Credo piuttosto che sia stato usato per altre questioni».

Il calcio italiano e l’Italia in generale è razzista?

«No, per me no. Io vivo in Italia e sono stato accolto sempre bene ovunque. Ci sono gli italiani e poi gli ignoranti. Ecco gli ignoranti talvolta sono razzisti».

“LA FRASE SI COMMENTA DA SÉ. INTORNO A ME SENTO L’ENTUSIASMO DELLA GENTE”

Albertini ora ci crede: “Ci ha messo in difficoltà”

Dobbiamo essere meno intolleranti. Se vogliamo parlare con i tifosi dobbiamo dare il buon esempio

Sono stufo di vedere il corporativismo dentro la Figc. Vanno rimessi al centro della formazione i giovani

di STEFANO SCACCHI (la Repubblica 29-07-2014)

Demetrio Albertini ha davanti orizzonti impensabili fino a pochi giorni fa. La gaffe del suo concorrente alle elezioni per la presidenza Figc gli permette di recitare la parte della faccia pulita del nostro calcio, davanti al mondo indignato, per la frase sui calciatori stranieri che «mangiavano banane prima di venire in Italia». Albertini pensa soprattutto a questo: all’immagine del nostro calcio oltre confine dopo la dichiarazione-choc di Tavecchio. È preoccupato per la figuraccia planetaria. E parallelamente inizia a immaginare quale credibilità avrebbe una Figc guidata da Tavecchio al momento di punire i tifosi colpevoli di gesti discriminatori sugli spalti.

Albertini, cosa le dispiace di più della gaffe razzista di Tavecchio?

«La frase si commenta da sé. Ci ha messo in difficoltà a livello internazionale».

È stato un duro colpo per il calcio italiano?

«Siamo una delle federazioni più importanti al mondo. Insieme alla Germania abbiamo quattro stelle, secondi solo dietro il Brasile. Conosciamo tutti le regole, ci deve essere tolleranza zero verso alcuni tipi di comportamento».

Cosa succederebbe con il suo sfidante presidente federale?

«Credo che dobbiamo cercare di essere meno intolleranti e dare noi per primi il buon esempio se vogliamo parlare con i tifosi».

Dopo la frase incriminata, qualche presidente di serie A sta cambiando idea.

«Ho letto le dichiarazioni di alcuni presidenti ma non ho ancora fatto verifiche in queste ore. Ci saranno degli incontri in settimana. Non so però quale sarà il percorso da qui a giovedì quando Tavecchio e io incontreremo Malagò».

Pensa di riuscire nella rimonta?

«Posso dire che mi sento appoggiato da calciatori e allenatori ma anche da tanti presidenti e tanti tifosi e dall’entusiasmo della gente».

Cresce l’ipotesi di numerose schede bianche con rischio commissariamento della Figc.

«Questa è una responsabilità che hanno gli elettori. Né io né Tavecchio votiamo».

Cosa pensa di poter dare per migliorare il calcio italiano?

«Mi sono messo a disposizione per portare la mia esperienza. Sono stufo di vedere tutto questo corporativismo all’interno della Figc. Voglio rimettere al centro la formazione di giovani italiani per tornare ad avere un mercato interno importante. È il passato a guidarci verso questa direzione».

Quale aspetto del passato?

«Quando ho iniziato a giocare a calcio, molti giocatori partivano dall’allora serie C e dai Dilettanti per arrivare in Nazionale. Io, ad esempio, ho iniziato con il Padova. E dobbiamo ripartire dalla formazione del centro di Coverciano».

Forse questa è l’unica cosa sulla quale può andare d’accordo con Tavecchio. Per il resto sono divisi su tutto, a partire dal differente livello di serenità. Il suo rivale gira quasi scortato da Lotito. Albertini invece non ha problemi ad affrontare microfoni e tv con la leggerezza di chi non ha niente da perdere, ma solo una rimonta insperata da inseguire.

Abete, l’imbarazzo del n. 1 uscente

«Macché indagini, è tutto sui giornali»

di TIZIANA CAIRATI (LA STAMPA 29-07-2014)

Giancarlo Abete, presidente dimissionario della Figc, fa luce sulla richiesta della Fifa di indagare sulle frasi razziste pronunciate da Carlo Tavecchio. La Federazione internazionale ha chiesto spiegazioni sul caso legato al presidente della Lega Nazionale Dilettanti, candidato alla poltrona di numero uno della Federcalcio. La frase «In Italia giocano stranieri che mangiavano banane» non è dunque passata inosservata tra i massimi livelli delle istituzioni calcistiche che ieri hanno inviato una lettera a Roma in via Allegri con la richiesta di indagare su quelle affermazioni. Lettera che ha avuto l’apprezzamento anche dell’Unione Europea.

Presidente Abete, cosa succede con la Fifa?

«Il vicesegretario della Fifa ha inviato al segretario della Figc una richiesta formale. A questa dovremo dare un riscontro entro il 31 luglio con una lettera».

Come vi muoverete, avete già un’idea di che cosa potrà accadere?

«Risponderemo. E al nostro parere allegheremo anche le dichiarazioni di Carlo Tavecchio che rilascerà alla Figc. Si tratta di valutare una cosa apparsa su tutti i video e su tutti i giornali; non si tratta di scoprire nulla o di fare chissà quali indagini».

Dopo il flop ai Mondiali in Brasile, lei ha dato le dimissioni. Come sta vivendo e come vivrà il prossimo campionato?

«È un’estate diversa. E sarà un campionato bello: che vivrò con la stessa passione, ma con un minore stress».

C’è ancora delusione per l’eliminazione dal Mondiale?

«Sì, c’è. E ha interessato tutti quanti».

Che cosa deve fare il calcio per ripartire?

«Si deve riprendere delle riflessioni organiche, ma la bellezza del calcio è questa».

«E poi parliamo di combattere il razzismo nel calcio?»

L’eurodeputata Pd: «Il problema non è la persona ma il ruolo che vuole

ricoprire. Anche gli attacchi di Borghezio liquidati come battute»

di ADRIANA COMASCHI (l'Unità 29-07-2014)

La sua battaglia per l’integrazione si è trasferita dal ministero ad hoc che le aveva affidato Enrico Letta ai banchi dell’Europarlamento. Ed è da questa prospettiva che Cécile Kyenge commenta le nuove accuse di razzismo piovute sul calcio italiano.

Onorevole Kyenge, Tavecchio tira dritto e addirittura lancia per la sua presidenza «un programma di lotta alla discriminazione nello sport». Che ne pensa?

«Sono stata tra i primi a commentare il caso e voglio ribadire una cosa: io non valuto la persona Tavecchio ma le sue parole, su questo continuo e non mi fermo. Perché noi ancora non abbiamo capito che quando uno si candida a ricoprire un ruolo di rappresentanza deve anche assumere quello di educatore, deve essere di esempio. E quello che ha detto Tavecchio non è un bel biglietto da visita per uno dei settori in cui più albergano episodi di razzismo. Quindi anche il piano da lui annunciato perde di credibilità. Stiamo facendo di tutto per contrastare il razzismo dalle parole alle azioni, anche con leggi, e ogni gesto diventa fondamentale».

Non si può parlare di gaffe insomma?

«Certo che no, credo invece che lui abbia sottovalutato la situazione, dice pure “non sono razzista, faccio volontariato” quando non c’è un nesso tra le due cose. Così anzi ha peggiorato le cose, ha tirato fuori uno spirito paternalistico di chi appunto si sente superiore e pensa che qualcuno non possa accedere a un certo livello perché “mangiava le banane”. Chi si candida alla presidenza della Figc dovrebbe valutare le persone per parlare di sport».

Eppure mentre si allunga la lista dei club che dicono ‘no’ a Tavecchio c’è anche chi, come Galliani, liquida tutto come «una battuta infelice», un singolo episodio...

«Anche del signor Calderoli che mi diede una volta dell’orango si disse che la sua era una battuta, perché detta ogni tanto. Poi il signor Paolo Berlusconi se ne uscì un giorno con “negretto di famiglia” riferito a Mario Balotelli. Allora possiamo andare avanti con le battute, o è arrivato il momento di dire basta? A cominciare magari da uno spazio così importante come quello dello sport? Questa battaglia io la sto facendo dentro la politica, il 30 settembre ad esempio c’è il processo per Calderoli e io vado avanti, anche senza l’appoggio delle istituzioni. Fino al giorno in cui capiremo che le parole hanno un peso, possono sconvolgere la cultura di un Paese».

Anche Joseph Minala, attaccante camerunense della Lazio, difende Tavecchio, dice «non mi sento offeso dalle sue parole». Cosa gli risponde?

«Per fortuna siamo in democrazia, ci sono atteggiamenti diversi. Ma ricordo che ci sono molte forme di razzismo, che non è solo quello evidente, sul colore della pelle, e che quindi sbagliamo se non lo riconosciamo in quelle che sembrano battute e non lo sono solo perché si pensa che una persona abbia fatto del bene. Dobbiamo chiamare le cose con il loro nome, il bene fatto non è una scusante. E comunque ripeto: non ci siamo tutti offesi per le parole di Tavecchio per scopi privati, qui il problema è il ruolo a cui si candida. Fuori da interessi di parte, dobbiamo tutti portare avanti un grande cambiamento culturale, lo sport e il calcio devono essere rifondati su altri valori, anche a me piacerebbe parlare di rinnovamento».

La Commissione Ue ricorda che «il razzismo non deve avere posto nel calcio» e apprezza la richiesta della Fifa alla Ficg di aprire un’indagine su quanto accaduto. Che peso dà alle parole della Commissione?

«Sono contenta dell’intervento dell’Europa ma noto che non dovremmo averne bisogno, anche su Borghezio è stata la prima a muoversi quando il suo gruppo (degli euroscettici ndr) lo espulse per razzismo. Perché non riusciamo a prendere noi un’iniziativa forte? Comunque appoggio Abbot: apriamo un’indagine».

Renzi ricorda che la Federcalcio è autonoma, alcuni esponenti Pd come il senatore Marucci o il sindaco di Rimini Gnassi pensano comunque che la politica debba prendere posizione. Condivide?

«Del tutto, è arrivato il momento. Bisogna farlo su ogni caso».

Come si esce da questa situazione?

«Credo che un passo indietro di Tavecchio sarebbe la via più onorevole, altrimenti siano i club che lo sostengano a fare un passo indietro. Purtroppo questo accade in un momento in cui l’elezione aveva già diviso il mondo del calcio. Ma a volte bisogna avere il coraggio di dire “no”, anche se si ha contro il mondo».

«Adesso sistemiamo tutto, poi ci divertiremo»

Claudio Lotito (Milano, 28-07-2014)

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COME MAI NESSUNO VA A VEDERE COSA C’È DIETRO LE TRIANGOLAZIONI ITALIA-ESTERO O ESTERO-ESTERO

Perché le società di calcio, fra un mediocre italiano e un brocco

straniero (meglio se è un sudamericano), preferiscono il brocco?

di DOMENICO CACOPARDO (Italia Oggi 29-07-2014)

Sembrava fatta per Carlo Tavecchio, presidente della Federazione gioco calcio. Nel segno del continuismo più smaccato da Matarrese ad Abete, sempre il medesimo tipo di persone, tutte legate alla Lega calcio e incapaci di imporre una svolta, un miglioramento morale e statutario del sistema. A parte il breve regno di Guido Rossi. Le questioni sono sempre le stesse. Le società di calcio, tra un mediocre italiano e un brocco straniero, preferibilmente sudamericano, scelgono il brocco. Ma non si pongono il problema in via Allegri (sede della Figc) o, meglio, nelle sedi della Tributaria a Roma e in giro per il Paese?

Se qualcuno si ponesse il problema, è sicuro che, in breve tempo, ci sarebbe un cambiamento di rotta. Le società penserebbero di più al vivaio. Infatti, le triangolazioni finanziarie Italia-estero ed estero-estero (è molto più raffinato possedere una società calcistica in Tunisia o in Uruguay o scambiare un giocatore straniero di proprietà che gioca in Francia con un altro straniero che gioca in Germania) diverrebbero troppo pericolose. Non si tratta, come capiscono anche i bambini, di questioni sportive. Se si trattasse di sport, il fenomeno sarebbe contenuto. E poi il calcio è l’area del conflitto di interessi sistematico come nel caso di Beretta e il suo predecessore Galliani si divideva tra il Milan e la Lega.

Non vogliamo ricordare il periodico scoppiare degli scandali, protagonisti giocatori, qualche allenatore e qualche dirigente. Siamo in Italia, e, dove c’è giro di tanti soldi, la tentazione di peccare è irrefrenabile. Quello che sorprende, in questa cruciale circostanza, è l’assenza silenziosa del presidente del Coni, Giovanni Malagò. Eppure, la sua elezione era avvenuta nel segno del rinnovamento e della competenza. Sconcerta quindi il suo mancato intervento, il timore di formulare un indirizzo, l’assunzione di responsabilità a cui era chiamato dagli sportivi, perplessi tutti per questo passaggio di testimone tra personaggi omologhi ed omogenei come Abete e Tavecchio.

Le qualità della persona, il suo tatto, la sua capacità di direzione sono venute fuori in un episodio che sembra piccolo ma non lo è. Presentandosi nelle vesti di prossimo vincitore ufficiale dell’elezione alla testa della Federazione, ha avuto la dabbenaggine di dire qualcosa del genere: «… Da noi … arriva “Opti Pobà”, che prima mangiava le banane e adesso gioca titolare nella Lazio.» Opti Pobà è un nome di fantasia. Quindi, nel Paese della rottamazione e del rinnovamento generazionale, l’unica reazione del governo, allo stato, è l’irritazione del sottosegretario Delrio cui ha fatto seguito Renzi: «Non mi piace, ma rispetterò l’autonomia sportiva.» Un po’ poco, in verità. Ma come, non volevano mettere sottosopra l’Italia e sostituire tutti coloro che da anni erano a posti di potere?

Il medesimo fatto che il consesso di gentiluomini che presiedono società calcistiche non si sia posto il problema, dimostra che Renzi e la sua squadretta non sono stati presi sul serio. Un episodio, tutto sommato marginale, come le banane di Tavecchio dimostra, meglio di un fondo del più accreditato giornalista politico, l’insussistenza della forza dirompente del rottamatore Renzi. Meglio andare a Genova a celebrare l’arrivo della Costa Concordia. In esso il premier non ha avuto ruolo: menomale.

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«Sì, il calcio sta guarendo»

Il pm Angelillis: «Guardo le partite con fiducia. Che bello spot il Bari»

LA VIA DA SEGUIRE «Pene più severe anche per chi non prende soldi da terzi

ma fa perdere la propria squadra per ottenere vantaggi grazie alle scommesse»

di GIOVANNI LONGO (LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 29-07-2014)

Una premessa. Le domande le fa lei? Ciro Angelillis, il pm dell’inchiesta Calcioscommesse, risponde senza pensarci due volte. «No, semplicemente non posso parlare dei processi in corso».

Va bene. L’inizio dei campionati si avvicina. La tempesta “calcioscommesse” dal suo punto di vista è definitivamente alle spalle, sarà tutto regolare?

Mi chiede di predire il futuro... Nella doppia veste di magistrato che ha condotto le indagini sul match fixing e di appassionato di calcio ritengo sia giusto approcciarsi ai prossimi campionati con la massima fiducia. La passione per il calcio e lo sport hanno bisogno non solo dell’assenza di accordi illeciti, ma anche di sospetti.

Dopo le inchieste che lei ha coordinato guarda le partite in modo diverso?

Nella vita come nella professione, non nutro dubbi se non ho elementi concreti. Ma un episodio mi ha fatto riflettere su come il pubblico possa percepire gesti tecnici sbagliati o il particolare andamento di una partita. Bari-Lanciano dello scorso anno solare, da 0-3 a 4-3. Ero allo stadio con mio figlio che è un grande tifoso del Bari. Alla fine della partita la sua gioia era smorzata da un dubbio: “Secondo te ci può essere stato un accordo? ”, mi ha detto. La partita è stata regolare, eppure mi ha fatto questa domanda. Comunque penso che i calciatori del Bari di quest’ultima stagione hanno avuto un grande merito: ripulire l’immagine della squadra di calcio, si sono dimostrati i primi tifosi genuini.

In tanti la invitano a seminari sul calcioscommesse. È stato persino al Parlamento europeo. Che idea gli altri Paesi hanno di noi?

Pessima. Sono rimasti molto colpiti dalle nostre inchieste e dalle immagini dei calciatori che entravano e uscivano dal carcere come se fossero delinquenti abituali, ma l’idea che ho io di loro è che non stiano meglio di noi.

Qual è il livello della nostra legislazione?

Deve essere certamente modificata e rafforzata, ma credo che alcuni aspetti, come la previsione del trasferimento delle carte dalla magistratura ordinaria a quella sportiva siano innovativi, rispetto ad altri ordinamenti.

Funziona il rapporto tra giustizia penale e sportiva?

Sì, anche se alla base c’è un paradosso. Il processo sportivo è sommario e poco garantista e prevede sanzioni sulla carta meno afflittive rispetto a quelle penali. Eppure in concreto non è così perché i calciatori temono molto di più provvedimenti che incidono sulla loro carriera, piuttosto che condanne in sede penale molto lievi.

Come migliorare la legge sulla frode sportiva?

Allargare il perimetro delle ipotesi di reato e sanzionare non solo il calciatore che riceve danaro per perdere la partita ma anche il calciatore che decida autonomamente di perdere la partita per avere scommesso sulla sconfitta della sua squadra. Poi occorre intervenire sulle pene. La frode sportiva, al livello sanzionatorio, equivale all'ingiuria. Dare del “cretino” viene posto dal legislatore sullo stesso piano rispetto a chi tradisce la passione del tifoso per soldi. Inasprimento della sanzione non fine a se stesso ma per consentire di utilizzare strumenti d’indagine come le intercettazioni e di disporre provvedimenti di confisca dei patrimoni illeciti.

E sul fronte delle società sportive?

Due proposte. Potrebbe essere utile applicare le norme sulla responsabilità della persone giuridiche, prevedendo modelli organizzativi finalizzati a prevenire il fenomeno. Penso a corsi di formazione e informazione per spiegare ai calciatori a cosa vanno incontro nel caso si vendano le partite. E poi introdurrei un meccanismo diverso per i premi. Vietarlo quando la posta in gioco è alta per prevenire la tentazione di dividerlo con un calciatore della squadra avversaria, imporlo quando il risultato sportivo è ininfluente per la classifica per indurre ognuno ad impegnarsi al massimo.

È il sogno di tutti fare il calciatore: soldi, fama, successo. Lei ne ha interrogati tanti. Che idea si è fatto sul perché qualcuno si vende le partite?

Spesso avevo di fronte a me dei ragazzi che non sapevano quello che facevano. Ventenni che catapultati in un contesto sconosciuto e in assenza di punti di riferimento, erano avvicinati da persone discutibili. In qualche caso, però, si trattava di persone esperte legate a gruppi di scommettitori.

All’inizio delle inchieste baresi si era parlato del ruolo che le organizzazioni criminali avrebbero avuto nelle scommesse sportive. Un filone che, almeno per ora, non sembra avere avuto sviluppi. Premesso che di indagini e processi in corso non possiamo parlare, che ruolo potrebbero avere in astratto le organizzazioni criminali nelle scommesse sportive?

Alla base c’è il problema di riciclare soldi a basso costo. Rispetto a 20 anni fa in cui la criminalità usava il linguaggio dell’intimidazione, le organizzazioni si sono fatte imprese con l’unico obiettivo di riciclare danaro. Le organizzazioni utilizzano il Betting Exchange in cui chi organizza scommesse non fa più il banco ma diventa broker, e così è possibile incrociare scommesse sugli stessi eventi in modo che chi scommette non rischia nulla. Se in una parte del mondo Tizio punta 300 euro sull’“1” di una partita per vincerne 100 e Caio, della stessa organizzazione, d’intesa con Tizio, punta 100 su “X2” della medesima partita, per vincerne 300, nessuno perderà perché i soldi dell’uno andranno all’altro ma saranno ripuliti, in questo caso il costo del riciclaggio è costituito solo dalla commissione alla società di scommesse.

Cosa può fare un appassionato di calcio?

Non mi sono piaciute le manifestazioni di piazza davanti alla Procura federale durante i processi sportivi. C’è immaturità da parte di chi si lamenta di indagini o sanzioni a carico della propria squadra, ritenendosi perseguitato. Bisogna fidarsi delle istituzioni sportive che hanno dimostrato di sapere fare il loro dovere. In gioco c’è la sorte del calcio, occorre salvare il calcio non la propria squadra o il proprio campione.

Lei è un grande tifoso del Foggia. Nell’inchiesta di Cremona, tra le persone coinvolte c’è anche Beppe Signori, il personaggio più amato di Zemanlandia.

Da appassionato ho vissuto un piccolo dramma. Quando giocò l’ultima partita nel Foggia, in casa contro il Napoli in curva si decise di fare uno striscione in suo onore. «Beppe cambia la maglia, non il cuore».

Cosa farà il Foggia quest’anno?

Spero che si salvi...

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Tavecchio è meglio di Albertini

Altro che banane, il presidente dei Dilettanti ha sistemato e reso ricco il calcio «povero», l’ex braccio destro di Abete

ha partecipato agli ultimi 7 anni di disastri Nazionali. E la polemica razzista nasconde solo la verità: troppi stranieri

di LUCIANO MOGGI (Libero 30-07-2014)

Siamo sinceri, questo polverone per la corsa alla presidenza della Figc proprio non ce l’aspettavamo. Soprattutto perché sono soltanto due i candidati, Carlo Tavecchio e Demetrio Albertini: il primo, presidente della LegaDilettanti dal 1999; l’altro, dal 2007 (troppo tempo ormai) a presidiare l’area tecnica Federale.

Da un primo raffronto tra i due emerge nettamente la figura di Tavecchio, il quale, preso il settore Dilettantisco in condizioni pessime, l’ha trasformato in positivo tanto da essere ora il fiore all’occhiello della Federazione. Per quanto riguarda Albertini, possiamo dire che abbia brillato soprattutto per i suoi silenzi, è passato attraverso due eliminazioni al primo turno dei Mondiali 2010 e 2014 senza che si sia sentita la sua voce (soprattutto prima ma anche dopo le gare), in aiuto di Prandelli e della squadra. Parla adesso perché candidato alla presidenza; aveva anche dichiarato che, dopo i mondiali ai quali era arrivato da vicepresidente dimissionario, avrebbe cambiato aria ma non l’ha fatto, forse “incoraggiato” dai risultati ottenuti da quella che fu la nazionale del trio Abete-Prandelli-Albertini con la supervisione del Direttore Generale Antonello Valentini.

IL «TRIO ALLEGRIA»

Quattro persone al comando, chi per un verso chi per un altro colpevoli di aver trascinato il nostro calcio al minimo storico. Passi per Valentini, che al massimo può fare il tifoso e non ha colpe se Abete lo ha promosso, con la sua lungimiranza, a Direttore Generale; non si può però passare sopra ai comportamenti del “trio allegria” Abete-Prandelli-Albertini, che è riuscito a trasformare in scampagnata la trasferta brasiliana.

L’unica nota positiva è che ci siamo liberati, ed era ora, di Abete e Prandelli: difficile però capire come Albertini abbia avuto il coraggio di candidarsi alla presidenza e, ancora, con quale coraggio potrà essere appoggiato da quanti professano di voler bene al calcio. Gli stage vengono fatti per capire le qualità del soggetto, Albertini ha fallito, è da bocciare oltretutto perché il suo praticantato, cominciato nel 2007, ha percorso l’intero periodo disastrato del nostro calcio.

Si parla, anzi si sparla, di Tavecchio, del suo modo di esporre il programma, della sua infelice battuta sugli extracomunitari (che voleva essere solo una battuta), per la quale ha anche chiesto scusa. Si invoca l’inchiesta della Fifa perfino da quanti, nel lontano 2006, criticarono proprio Blatter per non aver voluto premiare la nostra nazionale Campione del Mondo. Nessuno a dire che Tavecchio ha colpito effettivamente il centro del bersaglio: a giusta ragione disse un giorno Fabio Capello che il nostro campionato «non è allenante», troppi gli stranieri non all’altezza.

Tavecchio ha ribadito questo concetto, magari accentuando l’esposizione programmatica con la battuta infelice, probabilmente detta per sintetizzare meglio l’importanza che riveste questo punto per la ripresa del nostro calcio. Se infatti nella Premier inglese gli stranieri possono accedere solo se abbiano fatto determinate partite nella nazionale del proprio Paese, perché - dice Tavecchio-, non farlo anche in Italia? Si darebbe sicuramente più qualità e anche credibilità al nostro campionato. Se poi qualcuno dovesse obiettare che in Germania l’ingresso agli stranieri è libero e loro sono diventati Campioni del Mondo, allora dovrebbe essere tirata in ballo la diversa qualità dei dirigenti nostrani rispetto a quelli tedeschi; la Merkel nel caso ci potrebbe dire «ancora non siete in grado di camminare da soli».

NUOVE REGOLE

Se è vero, ed è vero, che pure nel settore giovanile abbondano gli stranieri anche extracomunitari - è giusto quello che dice Tavecchio: serve eliminare per quanto possibile questa moda e dare più possibilità di emergere ai nostri giovani, punendo quei club che per tesserare un giovane straniero arrivano addirittura a cercare lavoro al capofamiglia con relativa residenza. Sono queste le linee programmatiche esposte da Tavecchio, che ha già avuto modo di praticarne alcune con successo nel settore Dilettantistico, non è quindi un esperimento anche perché di persone a fare esperimenti in Figc ce ne sono già state troppe e non se ne sente assolutamente più bisogno.

Sarebbe giusto quindi che tutti coloro che hanno a cuore il nostro calcio mettessero da parte la politica lasciando il posto al senso di responsabilità; sarebbe giusto dire stop alle polemiche faziose; non sono queste le elezioni politiche che mettono in gioco l’avvenire della nostra Italia, sono però elezioni che devono portare le persone giuste al posto giusto per ridare linfa ad un “gioco”, quello del calcio, che tanti amano e vorrebbero rivedere competitivo come lo era nel 2006, quando persone incapaci attuarono il ribaltone chiamato Calciopoli insediandosi in posti di comando a loro non confacenti, rigettati poi dal “calcio” stesso per insipienza lavorativa: perché il calcio non concepisce chi non conosce la materia.

In un paese particolare come l'Italia l'endorsement di Moggi dovrebbe assestare la mazzata definitiva

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La posizione Manca un mese all’inizio del campionato e le autorità già si preoccupano per la sicurezza

Il prefetto di Roma all’attacco

«Partite a rischio mai la sera»

«Si giocherà di pomeriggio, e se serve a porte chiuse»

Niente Olimpico Pecoraro gioca d’anticipo: Lega calcio e televisioni sono avvisate

di RINALDO FRIGNANI (CORSERA 30-07-2014)

Primo scoglio Lazio-Juve del 23 novembre, poi il secondo, una settimana più tardi, Roma-Inter. Il calendario ha concesso quasi tre mesi in più rispetto alle migliori previsioni per mettere a punto l’ordine pubblico dello stadio Olimpico. Una manna per come si è conclusa l’ultima stagione, con l’omicidio di Ciro Esposito prima della finale di Coppa Italia e i timori — forse qualcosa di più — di vendette e altri scontri. Nubi scure sul prossimo torneo che comincia fra un mese soltanto. E allora Roma corre ai ripari prima che sia troppo tardi. «Farò giocare le partite a rischio di pomeriggio, e se sarà il caso, anche a porte chiuse», annuncia il prefetto Giuseppe Pecoraro. Una presa di posizione chiara, ancor prima di scendere in campo: sarà più difficile assistere a match in notturna, soprattutto se si tratta di big match. Con buona pace di chi decide anticipi e posticipi.

Gioca d’anticipo il prefetto, napoletano e tifosissimo degli azzurri: nella prossima stagione gli incontri all’Olimpico con il bollino rosso sono una decina, compresi i due derby, addirittura alla penultima giornata. Quello d’andata sembra lontanissimo (11 gennaio 2015), come anche Roma-Napoli (4 aprile), la sfida preceduta il prossimo 2 novembre dalla prima gara al San Paolo. Eventi blindati perché il ricordo della tragedia di Ciro sarà sempre presente. A Napoli e a Roma.

Ma quest’anno all’Olimpico non si scherza. La parola d’ordine è sempre tolleranza zero. Con particolare attenzione agli agguati, alle «puncicate» — gli accoltellamenti alle gambe —, che hanno spesso trasformato in un incubo le trasferte dei tifosi ospiti. «La sicurezza dei cittadini viene prima di tutto — aggiunge Pecoraro —, le mie saranno decisioni autonome, gli altri facciano quello che ritengono più giusto». Ma l’ultima parola spetterà a lui, sempre e comunque. Pur tenendo nella massima considerazione il parere dell’Osservatorio del Viminale sulle manifestazioni sportive, da pochi giorni presieduto da Alberto Intini, poliziotto di lungo corso, già questore di Benevento e Latina, ma anche capo della Scientifica nazionale, della Squadra mobile romana e prima ancora della sezione Omicidi. Una scelta di certo non casuale affidargli il compito delicato di stabilire quali eventi saranno a rischio, tenere il polso della situazione negli stadi, indicare alle questure e alle prefetture quali pericoli prevenire. Una preoccupazione anche degli investigatori romani, che per il prossimo autunno potrebbero ottenere rinforzi non indifferenti grazie al progetto del questore Massimo Maria Mazza — rivelato dai sindacati di polizia — di reperire personale da utilizzare in ordine pubblico dalla chiusura notturna di alcuni commissariati capitolini. Serviranno nelle piazze così come all’Olimpico. Ma averci pensato con tanto anticipo non sembra proprio un buon auspicio per ciò che sarà.

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Calciopoli, chi ha fatto sparire le prove?

Dopo l’inchiesta che vede indagato il pm Narducci e un carabiniere

abbiamo riletto carte, memorie, telefonate. E abbiamo scoperto che...

Incongruenza Del filmato presenti solo due fotogrammi. Ma sono stati invertiti

Sorteggio Il giornalista Bianchi chiamato in causa come... dipendente Figc

Errore Quello del maresciallo attribuito a una scarsa conoscenza dei presenti

di LUIGI ROCCA (IL TEMPO 30-07-2014)

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L’inchiesta su Giuseppe Narducci, il pm di Calciopoli indagato per abuso d’ufficio a Roma, è partita da una denuncia presentata dall’imputato «simbolo» Luciano Moggi, dall’arbitro Massimo De Santis e altri «parte offese». Il nodo centrale è il video del sorteggio del 13 maggio 2005 girato a Coverciano dal maresciallo Sergio Ziino, anche lui indagato per falso ideologico nello stesso procedimento.

IL FILMATO SCOMPARSO

Il filmato, architrave di Calciopoli, dimostrerebbe che quel sorteggio non è stato affatto truccato, perché si vedrebbe il primo designatore arbitrale, Pierluigi Pairetto, estrarre le squadre che dovranno disputate la partita, poi un giornalista tirare fuori il nome dell’arbitro da associare a quella partita e infine il secondo designatore, Paolo Bergamo, pronunciare ad alta voce il nome della giacchetta nera. Quel filmato, però, non è più agli atti del processo dal 29 luglio 2009, «sostituito» da foto estrapolate dal video. Solo che, secondo quanto sostengono coloro che hanno denunciato Narducci e Ziino, fra il primo e le seconde c’è un’inversione cronologica dei fatti. Nelle foto, infatti, si vede per primo Bergamo che pronuncia il nome dell’arbitro estratto, poi il giornalista con in mano lo stesso biglietto e solo alla fine Pairetto (che secondo l’accusa è «in combutta» con Bergamo e quindi con Moggi) che tira fuori il nome delle squadre sfidanti. Solo «piazzando» Pairetto come «terminale» del sorteggio si può, infatti, ipotizzare il «trucco». Se invece il giornalista (uno diverso ogni settimana) estrae il nome dell’arbitro solo dopo che Pairetto ha tirato fuori il bussolotto con le squadre sfidanti, per sostenere che il sorteggio è truccato occorre coinvolgere il giornalista stesso e quelli che hanno sorteggiato gli arbitri in altre occasioni. Nelle annotazioni delle foto redatte dal maresciallo Ziino, inoltre, Riccardo Bianchi, il giornalista che partecipa al sorteggio, viene definito «dipendente Figc». Così da «dimostrare» al processo, sospettano i denuncianti, che tutto fosse «orchestrato» da una sorta di «cricca». Per Moggi e De Santis, dunque, il filmato, che loro non hanno mai trovato agli atti e di cui sono venuti a conoscenza nel 2009 solo perché trasmesso, in parte, da La7, «poteva smascherare le falsità del maresciallo» e pertanto il video è stato «ritirato» dai pm per «coprire» la falsità ideologica.

LA RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE

Il 10 gennaio 2014 il pm Eugenio Albamonte ha chiesto l’archiviazione sia per Narducci che per Ziino. Quanto all’errore commesso da Ziino, il pm evidenzia che il maresciallo lo ha attribuito a un «difetto di conoscenza delle persone presenti», ritenendo che i soggetti «autori delle operazioni fossero dipendenti Figc». E per il magistrato «non emergono elementi dai quali poter in alcun modo inferire l’intenzionalità di tale erronea rappresentazione». Quanto al «ritiro» del filmato dagli atti, «è stato appurato» che il video venne richiesto da Narducci il 29 luglio 2009, e che lo stesso Narducci, sentito due volte, «non ha saputo ricordare le esigenze d’ufficio per le quali ciò avvenne, ricollegandole, verosimilmente, all’esigenza di predisporne copie da depositare nell’ambito di alcuni procedimenti stralcio». Da qui le conclusioni di Albamonte: «Il venire meno di ogni dubbio circa l’intenzionale falsificazione dell’annotazione del maresciallo Ziino, fa venire meno qualsiasi sospetto circa la "maliziosità" dell’iniziativa assunta dal Dottor Narducci». Inoltre il pm aggiunge che «la procura lasciò agli atti i fotogrammi estrapolati dal video; proprio quei fotogrammi dai quali fu possibile rivelare l’incongruenza, di modo che non avrebbe avuto alcun senso, volendo occultare maliziosamente la falsità dell’annotazione, sottrarre il video e lasciare i fotogrammi che consentivano di disvelarla». Per queste ragioni «si deve fermamente escludere anche solo il sospetto che la condotta di Narducci possa essere stata ispirata da intenzioni mistificatorie o illecite». La procura che ha indagato su Narducci e Ziino annota, infine, che è stato possibile visionare il video «acquisito dalla Digos di Roma (dvd consegnato dalla giornalista Lidia De Simone Amalia)».

LE CONTRODEDUZIONI DI DE SANTIS

Le controdeduzioni dei denuncianti, che si oppongono alla richiesta di archiviazione, non tralasciano nessun punto. Il legale di De Santis, Paolo Gallinelli, evidenzia innanzitutto come «l’errore di persona» commesso da Ziino non sia stato mai chiarito dallo stesso maresciallo, e poi come sia «inverosimile che Ziino non abbia svolto alcun accertamento in ordine all’identità dei soggetti che partecipavano attivamente alle operazioni». Secondo punto: perché, se il video è stato ritirato nel luglio 2009, dopo quattro anni e le molte richieste della difesa, non è ancora agli atti, come evidenziato dalla corte d’appello nelle motivazioni della sentenza depositate nel marzo 2014? E ancora. Se il filmato è stato «ritirato» per farne delle copie da inviare nei «procedimenti stralcio», come mai il video pare non essere stato rinvenuto nemmeno nell’unico processo «parallelo», e cioè quello celebrato con il rito abbreviato? E poi, si chiede ancora il legale di De Santis, perché la Digos per entrare in possesso del filmato si è dovuta rivolgere a una giornalista «e non già presso gli uffici giudiziari del tribunale di Napoli»? Non è tutto. Il legale fa notare che nella richiesta di archiviazione il pm «bypassa» il confronto fra il video, acquisito dalla Digos, e i fotogrammi che «invertirebbero» la sequenza delle immagini del sorteggio di Coverciano. Ragione per cui al giudice che a ottobre dovrà decidere se archiviare l’inchiesta o, come chiede la difesa di De Santis, proseguire nelle indagini, sarà domandato di confrontare il filmato con le foto. Infine viene sottolineato come la richiesta di archiviazione per Narducci e Ziino, presentata il 10 gennaio 2014, sia «precedente alla "cristallizzazione" dell’inesistenza del filmato negli atti, fatta dalla corte d’appello con il deposito delle motivazioni», avvenuto, come detto, nel marzo 2014.

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In un paese particolare come l'Italia l'endorsement di Moggi dovrebbe assestare la mazzata definitiva

Bene, vedo che hai anche tu lo stesso sospetto. ;)

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Inviato (modificato)

L'ho stampato, me la mangio leggo dopo la banana. Ti faro' sapere.

Bravo, bel pezzo, come al solito:

"...nella benaugurata ipotesi che le discussioni e il clamore provocati da quelle assurde e superficiali dichiarazioni trovassero solida base per un eventuale e improbabile ritiro della candidatura (pare che sia nato anche l'interesse delle FIFA sulla vicenda - ndr), ci troveremmo di fronte ad una nuova situazione, decisamente paradossale. La nuova situazione sarebbe determinata, non perché dopo una attenta analisi delle candidature in qualche modo il sistema nel suo complesso è arrivato ad una decisione ragionevole, ma perché semplicemente uno dei candidati dal passato forse discutibile si è espresso in pubblico in modo decisamente maldestro e sconveniente. Ossia, è casualmente scivolato su una buccia di banana.

Il punto è tutto qua. La realtà triste è questa. Accontentiamoci dunque.
In fondo c'è molta amara ironia in tutto questo. Noi italiani siamo ancora legati a questo tipo di ragionamenti. In fondo ci piacciono.
Ci piace essere un po' superficiali, siamo sempre seduti con la granita al bar, gusto banana ovviamente, a giudicare, purché ciò non costi fatica, siamo seduti a chiacchierare di rivoluzioni che non faremo mai. Non importa alla fin fine se il bar lo scontrino lo fa o no, se disturbiamo gli altri avventori o no, se abbiamo i soldi in tasca per pagare la granita o no, se la cassiera molto formosa e carina è sposata o no.

Ci piace stare seduti ad osservare i passanti, soprattutto se succedono cose divertenti. Poi nel corso del tempo si possono raccontare a chi non era presente."

Modificato da ClaudioGentile

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L'ho stampato, me la mangio leggo dopo la banana. Ti faro' sapere.

Allora stampati anche questo, mentre ci sei.

.read .read .read

Fermi tutti! Abbiamo scoperto un genio...

http://www.ju29ro.com/contro-informazione/5790-fermi-tutti-abbiamo-scoperto-un-genio

sefz

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Allora stampati anche questo, mentre ci sei.

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Fermi tutti! Abbiamo scoperto un genio...

http://www.ju29ro.com/contro-informazione/5790-fermi-tutti-abbiamo-scoperto-un-genio

sefz

Allora Tonino Matarrese è stato un profeta!

(crisi d'astinenza da Mai Dire Gol)

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Inviato (modificato)

Allora stampati anche questo, mentre ci sei.

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Fermi tutti! Abbiamo scoperto un genio...

http://www.ju29ro.com/contro-informazione/5790-fermi-tutti-abbiamo-scoperto-un-genio

sefz

Ho letto questo qua e ti ho anche risposto nell'altro topic. Avevo le lacrime agli occhi quando leggevo della grandezza di Cobolli Gigli :haha: :haha: :haha: Sei stato molto bastardo in questo pezzo, ti sei superato!

.clap .clap .clap .clap

Modificato da ClaudioGentile

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Puro stile Crazy! sefz

Questi pezzi andrebbero diffusi in tutta itaglia...giusto per causare qualche maldistomaco a certa gente...

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Inviato (modificato)
In A il doppio dei trasferimenti

della Premier e 1127 tesserati

Perché? E la qualità dov’è?

Negli ultimi 15 anni stipendi e cartellini hanno bruciato tutti i ricavi ma il livello

del campionato è sceso. Mercato spesso utilizzato per operazioni contabili

Lo scorso anno il Parma ha fatto 178 movimenti in entrata. Il Napoli solo 17

In Italia tanti scambi senza passaggio di soldi. E quante spese in Sudamerica

di LUCA BIANCHIN, GIULIO DI FEO & MARCO IARIA (GASPORT 31-07-2014)

Questa è la storia di come il calcio italiano ha certificato il suo fallimento, in fatto di scelte tecniche e aziendali, dilapidando risorse sterminate, fagocitando un mercato a volte fine a se stesso, perdendo di vista la progettualità sportiva, diventando schiavo della “finanziarizzazione” del pallone. Questa è la storia dell’innocenza perduta di un movimento che negli anni del boom dei diritti tv, anziché accelerare ha perso terreno nel contesto europeo. Sì, nel frattempo il mecenatismo all’italiana ha imboccato la via del tramonto mentre altrove spuntavano i nuovi ricchi ma, anche solo guardando al nostro cortile, lo scempio compiuto negli ultimi 10-15 anni è sotto gli occhi di tutti, dei tifosi in primis.

Niente show Provate a chiedere a chiunque se si divertiva di più a vedere una partita di campionato a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila oppure adesso: tutti sceglieranno la prima opzione. Il prodotto Serie A si è andato via via impoverendo, proprio nella sua fase di espansione economica. Un non senso. Dal 1998-99 al 2012-13 ha accumulato un giro d’affari di 19 miliardi, interamente bruciati dalla spesa sportiva: 14 per gli stipendi, 5 per gli ammortamenti (il costo dell’acquisto dei calciatori spalmato su più stagioni). Responsabilità aggravate se si mette il naso in casa d’altri: a parte la Premier, che fa storia a sé con 31 miliardi di ricavi e 27 di spesa (20 in stipendi e 7 in ammortamenti), negli ultimi 15 anni la Bundesliga e la Liga hanno capitalizzato molto meglio le risorse a disposizione. A parità (o quasi) di entrate rispetto a noi – 19 miliardi e mezzo per la Bundes e 18 per la Liga – i competitor hanno sperperato meno soldi: 13 miliardi i tedeschi (10 in costo del lavoro e 3 per i cartellini) e 15 gli spagnoli (11+4). Restiamo, però, dentro i nostri confini.

Cortocircuito È mai possibile che la Serie A, pur registrando una crescita del 112% del fatturato tra il 1998-99 e il 2012-13 (al netto dell’aumento da 18 a 20 squadre), sia caduta così in basso in termini qualitativi? Si potrebbe rispondere: beh, i soldi sono serviti per produrre utili. Certo che no, perché se nel 1998-99 il rosso della A era di 11 milioni, nel 2012-13 è stato di 202. La verità è che non si è badato a spese: nello stesso periodo gli stipendi della A (tenendo conto del passaggio a 20 club) sono schizzati in su del 110%, passando da 28,4 a 59,7 milioni medi a squadra; e pure gli ammortamenti sono quasi raddoppiati (+86%), da 12,3 a 22,8 milioni in media. Sta tutto qui il cortocircuito del calcio italiano. Soldi, tanti soldi messi sul tavolo ma per ingaggiare chi? Le stelle non cadono più in Italia, il livello complessivo dei calciatori è sceso in picchiata. Poi si scopre che i tesserati professionisti in Serie A, tra il 1998-99 e il 2012-13, sono esplosi: da 679 a 1127. In media l’incremento è stato del 50%, da 37,7 a 56,3 tesserati per società. E stentiamo a credere che ciò sia dipeso dal maggior numero di impegni agonistici. Altrimenti i giocatori effettivamente scesi in campo avrebbero seguito lo stesso trend, e invece sono passati dai 461 del 1998-99 ai 583 del 2012-13, solo 3 e mezzo in più a squadra (da 25,6 a 29,1). Inutile girarci attorno. Sul massimo campionato grava un “esubero” di 200-300 professionisti, figli dell’era del “fantacalcio” all’italiana. In parte è colpa dei bachi del sistema. Da un lato non sono previste seconde squadre o altri sbocchi efficaci per i ragazzi che escono dai settori giovanili e finiscono in un ginepraio di prestiti e comproprietà; dall’altro non viene posto un freno alle rose extra-large, a differenza di Premier e Liga, che impongono il tetto a 25 giocatori per squadra (illimitati gli under 21 per gli inglesi e gli under 23 per gli spagnoli) aderendo al meccanismo delle liste Uefa. Una strada, quest’ultima, che la Lega vorrebbe percorrere, magari dal 2015-16.

Quali strategie Ma il “fantacalcio” è anche e soprattutto una questione di modus operandi e scelte gestionali. Insomma, è un fatto culturale. Lo studio dell’Eca (l’associazione dei club europei) sui trasferimenti ci consegna cifre apparentemente inspiegabili. Nel biennio 2011-13 le movimentazioni in A sono state 2533 (di cui 1308 prestiti), il doppio della Premier (1169 con 534 prestiti) e tre-quattro volte di più di Liga (739- 275), Ligue (680-161) e Bundesliga (655-183). Saranno contenti i procuratori le cui commissioni, in Italia, erano pari a 58 milioni nella stagione 2010-11, meno solo dell’Inghilterra (86) e più che in Spagna (46), Germania (38), Francia (36), secondo una ricerca di Cies. Per non parlare della vocazione esterofila. Nel 2011-13 nessuno ha speso, nemmeno lontanamente, quanto i club italiani per pescare giocatori in Sudamerica: 158 milioni contro i 73 dei francesi, i 48 degli inglesi, i 22 degli spagnoli e i 13 dei tedeschi. La grande mole di trasferimenti ci dice che nel nostro Paese c’è una fetta del mercato che risponde più a logiche da “fantacalcio” che da calcio vero e proprio. Anche perché le differenze tra una società e un’altra sono notevoli: nella scorsa stagione, solo in entrata, il Parma ha fatto registrare 178 movimenti. Il Napoli, per esempio, ne ha fatti 17, cioè un decimo, nonostante fosse impegnato anche in Champions.

Plusvalenze vitali È ovvio che ci sono club più orientati al trading. Basta dare un’occhiata alle plusvalenze messe a bilancio: nel 2012-13 Udinese regina con 87,2 milioni, poi Genoa 54,4, Milan 53,4 (nell’anno solare 2012), Inter 33,9, Napoli 31,6, Roma 28,6, Siena 24,8, Parma 22,5; nel 2011-12 Genoa in testa con 62,2, poi Udinese 57,5, Parma 53,4, Inter 44,4, Palermo 35,5, Cagliari 23,8, Milan 23,6 (anno 2011). Complessivamente, i guadagni dalle cessioni sono ripresi a salire in tempi recenti: negli ultimi 5 anni +15% in Serie A, dove sfiorano ormai il mezzo miliardo. Senza di esse la A avrebbe un buco di 700 milioni. Molte società se ne servono per sistemare i conti e rimandare le ricapitalizzazioni. Ma quante di queste plusvalenze producono effettivamente cash e quante, invece, servono solo a cosmesi contabili, perché frutto di scambi di giocatori, magari ipervalutati, senza passaggio di denaro?

Scambi di figurine Scorrendo i bilanci delle società saltano fuori alcune valutazioni di calciatori che, quantomeno, si sono rivelate sbagliate se rapportate al rendimento sul campo. Nell’estate 2011, quella del passaggio di El Shaarawy dal Genoa al Milan, ci furono diverse operazioni di contorno. Per esempio lo scambio delle comproprietà di Matteo Chinellato, classe ’91 e nessuna presenza in A e B, il 100% valutato 3,5 milioni, e Nicola Pasini, classe ’91 e nessuna presenza in A e B, il 100% valutato 3,3 milioni. I due ragazzi non hanno mai giocato con Milan e Genoa, hanno girovagato in prestito per lo Stivale e adesso, tre anni dopo, bazzicano ancora in Lega Pro: Chinellato nell’Alto Adige, Pasini nella Pistoiese. Beninteso, ci sono tantissimi casi del genere: gli interisti Andrea Romanò e Andrea Bandini valutati rispettivamente 2,6 e 2 milioni nello scambio di comproprietà col talentino del Bologna Alessandro Capello (5); Davide Adorni ceduto dal Parma al Cesena per 2 milioni di plusvalenza, la stessa cifra di Marco Paolini che ha fatto il percorso inverso, in un altro “baratto” di metà cartellini. Tutto in nome di un istituto, quello delle compartecipazioni, che spesso è servito soltanto per sistemare i bilanci e che, fortunatamente, la Federazione ha deciso di abolire. A giugno sono state risolte 365 comproprietà, un terzo delle quali coinvolgevano sette società: Cesena, Chievo, Genoa, Inter, Juventus, Siena (tutte con oltre 20 operazioni tra attive e passive) e Parma (72).

Cura dimagrante In tanti, in questi anni, sono saliti sull’ottovolante del mercato e hanno alzato l’asticella degli stipendi, con alterne fortune. Qualcuno si è ravveduto. Il Genoa, dopo aver gonfiato il valore contabile della rosa fino ai 123 milioni del 2011, a fine 2013 è sceso a quota 77 a suon di dismissioni, con un parco da 72 calciatori, che l’anno prima erano 20 in più. Nell’ultimo esercizio, chiuso il 31 dicembre, si sono registrati 14 milioni di minusvalenze, il prezzo da pagare agli addii di calciatori non funzionali alla squadra che gravavano su un monte-stipendi pari al 96% del fatturato, adesso ridotto di parecchio. In assemblea, l’a.d. del Genoa Alessandro Zarbano ha spiegato che «il cambio di politica è stato dovuto senz’altro a una minore disponibilità di investimento, ma anche alla volontà di una riduzione dei costi conseguenti, essendosi poi verificato che, in molti casi, i risultati attesi non sono stati conseguiti. La società quindi continua nella ricerca di talenti su cui investire risorse, più però nell’ottica di un loro diretto utilizzo nella rosa per mantenerla competitiva per la categoria e per la loro diretta valorizzazione». Proprio la mission che dovrebbe essere alla base di ogni progetto calcistico.

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Conferenza in Campidoglio

Il D-Day del progetto americano.

I tecnici decidono lo sbarco a Roma

Oggi si riunisce la Conferenza di servizi che dovrà esaminare il progetto

Piano Può essere bocciato, accettato in blocco o con modifiche

Comune Cinque assessori hanno espresso riserve e perplessità

di FERNANDO MAGLIARO (IL TEMPO 31-07-2014)

Oggi è il D-Day dello Stadio. In mattinata, negli uffici dell’Urbanistica all’Eur, si riunisce la Conferenza di servizi che dovrà esaminare il progetto dello Stadio della As Roma a Tor di Valle presentato dalla Eurnova di Parnasi. Oggi sapremo, quindi, non tanto se il progetto verrà accolto o respinto - difficile ipotizzare che i funzionari capitolini boccino completamente l’opera - ma quali prescrizioni verranno impartite ai proponenti per ottenere l’assenso del Comune al progetto definitivo. A ieri sera ancora non c’era assolutamente nulla di deciso e definito: tutto in alto mare.

Diverse - e spesso contraddittorie - le uscite dei politici. Limitandoci solo agli assessori, in diverse circostanze perplessità sono state espresse dai titolari dell’Urbanistica, Giovanni Caudo, dei Trasporti, Guido Improta, dei Lavori pubblici, Paolo Masini, del Commercio, Marta Leonori, e dello Sport, Luca Pancalli. In sintesi, i cinque assessori hanno manifestato riserve sull’impatto generale che lo stadio, e tutte le opere a esso collegate, potrà avere sulla città. Troppe cubature richieste per un progetto carente in termini di interesse pubblico. Fa da contraltare l’intervista di Mark Pannes a Roma Channel che, da membro del cda della Roma, braccio destro di Pallotta e capo dell’intero progetto stadio, dice a chiare lettere: il progetto dev’essere valutato unitariamente, portiamo un sacco di soldi alla città in opere pubbliche e migliaia di posti di lavoro fra costruzione e successiva gestione dello stadio ma, consapevoli anche noi che il progetto non è perfetto, siamo pronti a fare modifiche. Ancora più netto il presidente della Roma, James Pallotta: «Questo è un progetto nell’ordine del miliardo di euro, di cui 300 milioni dedicati alle infrastrutture con finanziamenti privati. Approvare questo progetto è importante». Al tavolo della Conferenza di servizi di oggi siederanno tutti i vari capi dipartimento e capi di direzione dei diversi assessorati comunali. Non è prassi che i politici partecipino alle Conferenze dei servizi, quindi non dovrebbero esserci né Caudo né Improta, i due uomini forti della Giunta e i cui assessorati sono più direttamente coinvolti nell’opera. Quasi tutti i direttori delle diverse branche dell’Urbanistica e della Mobilità, più Segretariato generale, al quale è demandato il compito di scrivere la eventuale delibera da portare in Consiglio comunale, e l’Avvocatura capitolina. Oltre loro ci saranno Atac, Ama, Acea, Eni, Italgas, Regione Lazio, Trenitalia, Asl, le Sovrintendenze all’Archeologia, ai Beni Culturali e ai Beni architettonici e per il Paesaggio, e l’Autorità di bacino del Tevere. Tutti questi tecnici devono decidere se il progetto presentato da Parnasi va accolto così com’è, respinto direttamente o accolto con modifiche.

Nel primo caso, prima si va dritti in Consiglio comunale con una delibera che dichiari l’interesse pubblico dell’opera. Dopo di che, Parnasi presenterà il progetto definitivo in Regione che ha 6 mesi di tempo per approvarlo in Conferenza di servizi decisoria. A quel punto, si potrà iniziare a costruire.Nel secondo caso, l’iter si ferma. Parnasi potrà solo riprendersi le carte, rifare il progetto e provare a ripresentarlo.Nel terzo caso, invece, occorrerà vedere quali modifiche potrebbero essere richieste dal Comune. E qui la strada si fa complessa. Se sono modifiche parziali e non particolarmente significative sul progetto, Parnasi dovrà tenerne conto in sede di progetto definitivo, da presentare sempre in Regione. Se, al contrario, fossero estremamente impattanti, tanto da alterarne l’intero equilibrio economico-finanziario e, quindi, la sua sostenibilità, Parnasi potrebbe scegliere di ritirarlo, modificarlo e ripresentarlo oppure di provare la strada del tirar dritto e modificare il progetto definitivo sperando nell’avallo della Regione. In mezzo, ci sarà il Consiglio comunale che dovrà votare la delibera che sancirà l’interesse pubblico dell’opera. E lì occorrerà vedere quanto la delibera sarà restrittiva: se l’Assemblea voterà un testo che rende totalmente vincolanti tutte le prescrizioni della Conferenza di oggi, il progetto dovrà essere adeguato, pena la decadenza del pubblico interesse.

L'impianto giallorosso Alcune particelle sarebbero di proprietà del gruppo Armellini. Nuovo fronte di battaglie legali

Stadio sì, stadio no. Tutto dipende dagli espropri

Oltre 46mila metri quadri dell’area interessata fanno parte della riserva naturale della Regione

di FERNANDO MAGLIARO (IL TEMPO 31-07-2014)

C’è un capitolo nella storia dello Stadio della Roma che ancora non è stato esplorato e che, insieme a infrastrutture, parcheggi, mobilità e cubature, deve essere sciolto dalla Conferenza di Servizi di oggi. Si tratta degli espropri. Ed è un tema che può incidere sull’esito finale dell’opera.

Presentando il progetto la Eurnova non ha indicato il «piano particellare», vale a dire l’esatto elenco delle aree interessate dal progetto. Aree che vengono identificate sul foglio del Catasto con dei numeri. È un documento fondamentale perché serve a identificare esattamente l’area su carta, determinarne precisamente la superficie interessata e stabilirne la proprietà. Tutto ciò al fine di avviare correttamente le procedure di esproprio.E non stiamo parlando di pochi metri quadri: nello studio di fattibilità presentato dalla Eurnova si legge, infatti, a pagina 14, che il «progetto di sviluppa su un’area di 547.015 metri quadri di proprietà di Eurnova; 86.716 di proprietà pubblica e 451.789 di proprietà di privati che sarà assoggettata ad esproprio». In sostanza, quindi, su un totale di 1.085.520 metri quadri interessati da tutto il complesso Stadio di Tor di Valle, il 50,4% è di Eurnova; il 41,6% è da espropriare e l’8% è di proprietà pubblica.

Per gli espropri, i proponenti mettono in conto di dover spendere poco più di 30 milioni di euro per le indennità.

Gli uffici capitolini hanno fatto una prima scoperta: circa 46mila metri quadri è vincolato a riserva naturale; la proprietà è della Tenuta dei Massimi, parco di Roma Natura, società regionale. Sull’area in questione, da progetto, dovrebbe essere costruita la rotatoria fra l’Ostiense e la via del Mare.

Non che quest’area non sia espropriabile e non possa cambiare di destinazione d’uso. Ma non dovrebbe poter essere il Comune a farlo. Occorre una variante urbanistica che dovrebbe spettare alla Regione. Condizionali d’obbligo visto che è in atto una sorta di querelle interpretativa delle norme fra i diversi uffici capitolini interessati.

Secondo problema: tutto l’intervento riguarda una cinquantina di particelle catastali: 2 di proprietà Eurnova, 10 pubbliche e 37 di privati. Fra queste ultime, 23 risultano essere di tre società riconducibili, secondo le voci di Campidoglio, al gruppo Armellini. Tanto che, nei giorni scorsi, all’assessorato all’Urbanistica si sarebbe presentato un emissario del gruppo che avrebbe presentato domanda di accesso agli atti dello Stadio. Abbiamo provato a contattare l’avvocato Piselli, storico legale del Gruppo Armellini, il quale si è limitato a un sobrio «non ne so nulla». Se le voci trovassero conferma, si aprirebbe un nuovo fronte di dispute legali.

Presto, si contatti il Sig.Cantone ed eventualmente la neuro

Modificato da Ghost Dog

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