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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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THE TIMES 02-06-2014

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Something rotten in the beautiful game

by MATTHEW SYED (THE TIMES 02-06-2014)

Is anybody shocked? Can anyone muster surprise at the scale and intricacy of the bribes, gifts and assorted quid pro quos that are alleged to underpin Qatar’s audacious victory in the vote to stage the 2022 World Cup?

Look, for a moment, beyond the allegations that appeared in The Sunday Times. Just a few weeks before the Fifa vote in December 2010, it was revealed that Michel Platini, president of Uefa, had attended a meeting at the Élysée palace with President Sarkozy of France, the Crown Prince of Qatar and Sébastien Bazin from Colony Capital, owner of Paris St-Germain.

Later Platini voted for Qatar for 2022, Qatar bought the struggling French club and Laurent Platini, Michel’s son, was offered a lucrative job with a sports company owned by Qatar. Those involved deny any quid pro quo, but Platini has never given a convincing explanation as to why he defied Fifa’s technical assessors, who described Qatar’s hosting of the event as “high risk”.

Qatar’s bid for the World Cup was never simply about a love of football or nation branding, as has been claimed. It was also part of a sophisticated policy designed to maximise the probability of western support in the event of a wider conflict in the Middle East.

When Saddam Hussain’s tanks rolled into Kuwait in 1990, advisers to the first President Bush counselled him to accept the invasion as a fait accompli provided that the oil still flowed. They were overruled, but Middle Eastern leaders read the signs. They realised that an expensive alliance (Qatar has spent billions on the American al-Udeid airbase, west of Doha) offered no certainty of military support. They needed a more effective guarantee.

Football is just one aspect of the new policy. Middle Eastern sovereign wealth funds have bought huge quantities of western art, sports franchises including New York City FC, and iconic institutions such as the Chrysler building in Manhattan, Harrods and the Shard. Qatar is no longer an obscure Islamic dictatorship, but a regime with direct access to the hearts and minds. It has found a niche in western cultural iconography. That is the logic that underpins an otherwise baffling World Cup bid.

As football descends into another bout of mudslinging, wouldn’t it be lovely if we could take the moral high ground? Sadly, we can take no such comfort. Remember that international friendly scheduled for June 2011 in Thailand? The match had no logic, but its purpose was to secure the vote of Worawi Makudi, from Thailand. This conclusion is bolstered by the fact that the match was cancelled within days of Makudi reneging on his promise to vote for England.

It is difficult to escape the conclusion that football is rotten. As for Qatar, the strategy of bringing the World Cup to the Middle Eastern microstate is starting to backfire. This is not just about the embarrassment that will be felt. It is also about the sense that its leaders believe, with depressing justification, that due process can be skewered provided there is enough grease and lots of willing palms.

Por favor, aires nuevos

Persiguiendo intereses económicos, la FIFA olvidó el

fútbol y postuló la elección simultánea de dos sedes

La Copa del Mundo no tiene dueño. La administra la FIFA, pero le

pertenece a miles de millones en todos los rincones de la tierra

por HAROLD MAYNE-NICHOLS (EL PAÍS 02-06-2014)

Harold Mayne-Nichols fue presidente de la Comisión de Inspección de los

Mundiales 2018-2022, y ex-presidente de la Federación de fútbol chilena.

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Calcioscommesse, nel mirino

Catania-Atalanta e Cittadella-Empoli

L'allarme lanciato da Federbet nel rapporto presentato al Parlamento Europeo. Oltre 110 partite

truccate in tutto il continente nell'ultima stagione. Un mercato mondiale delle scommesse che

vale tra i 500 e i 700 miliardi all'anno. Di questi il 10% gira intorno al 'match-fixing'

di ALBERTO D'ARGENZIO (l'Espresso.it 03-06-2014)

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THE TIMES 03-06-2014

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l'Unità 03-06-2014

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E' ancora poco quel che è capitato al Parma. Si fregiano di titoli vinti in maniera sporchissima grazie all'ill.mo Cav.Tanzi ed ora lamentano l'applicazione delle norme tributarie.

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E' ancora poco quel che è capitato al Parma. Si fregiano di titoli vinti in maniera sporchissima grazie all'ill.mo Cav.Tanzi ed ora lamentano l'applicazione delle norme tributarie.

tanzi ............... ........cragnotti.......sensi ....... per ora chi tocca la juve muore (economicamente ) chissa che moratti ...... tronchetti ..... i ....... forse salvati dai russi ma loro fuori gioco

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tanzi ............... ........cragnotti.......sensi ....... per ora chi tocca la juve muore (economicamente ) chissa che moratti ...... tronchetti ..... i ....... forse salvati dai russi ma loro fuori gioco

Son tutte "brave" persone... ricercate

P.s.

Aggiungerei lo stimatissimo Sabatini ds romanista, un vero fenomeno: ha ricevuto una proposta di radiazione dai ranghi sportivi ad un'età in cui Moggi giocava ancora coi trenini però non conta a fini giornalistici, in senso negativo/spregiativo.

Modificato da Ghost Dog

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Libero 03-06-2014

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L'etica della FIGC rivista e corretta da Guido Rossi fa danni anche tra i pulcini

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La Ġazzetta dello Sport 04-06-2014

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Riuscirà il ns. AA ad entrare nella stanza dei bottoni?

Non dico in consiglio federale al posto del simpaticone Pulvirenti, ma almeno al posto di Cellino, Guaraldi (e/o Ghirardi) in Lega.

Vediamo se fa solo finta di combattere.

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Ma fan sul serio o cosa? :haha:

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Come gli brucia.

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Non credevo che Beha potesse partorire simili cazzate:

http://www.olivierobeha.it/primopiano/2014/06/dal-brasile-a-prandelli-e-tutta-una-fifa

Dal Brasile a Prandelli, è tutta una Fifa

Dicono: ma ti pare che Prandelli ha rinunciato a Rossi per dispetto? E’ nel suo interesse portare ai Mondiali il gruppo più forte…

(...)

La risposta è sì. Voglio dire che da sempre pesano sulle scelte altre variabili. Chi spinge chi, quanto pesa il club di appartenenza, come si regola il Mister e via così. Sacchi ha fatto giocare a Pasadena vent’anni fa in finale un Baggio men che dimezzato, e non era certo solo una scelta tecnica o di riconoscenza. Gli sponsor premevano, eccome, con i media dietro. E quattro anni dopo Maldini in Francia ha privilegiato un Del Piero minore a spese di un Baggio in forma per lo stesso genere di motivi, in una nemesi se volete meravigliosa eppur perdente. Nei due casi…

Adesso Prandelli dopo aver palesemente illuso il Pepito lo “tradisce”: se era un problema di “paura nei contrasti” doveva scartarlo subito, invece evidentemente Rossi stava crescendo e tra tre settimane è previsto il Costarica… Detto altrimenti, se fosse stato – che so – della Juventus, Rossi partiva eccome, e comunque. Pensate che Prandelli preferiva come titolare Paletta, e la Juve l’ha preso per un’orecchia e gli ha detto “dentro Bonucci, e zitto”. Così come è accaduto in chiave di codice etico per Chiellini, due pesi e due misure (Osvaldo) leggermente vergognosi. E certo, l’etica di Rossi non collima perfettamente con quella di Claudio Cesare, opportunamente democristiano come già scritto tante volte e qui addirittura doroteo della specie meno commovente. Non è questione di pronostici: aùguri e aruspici incrociati da sempre annunciano fortune alla Nazionale in mezzo alle disgrazie. Ma nel 1982, grazie a Bearzot, Tardelli, Sordillo e Michele Zaza, e nel 2006 dopo il Calciopoli, i presagi riguardavano il fuori campo da tingere in campo d’azzurro. Qui il colore è prandellianamente marroncino, molto marroncino…

Oliviero Beha

Mi lascia basito.

Modificato da - Domenico -

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ognuno scrive quello che conviene scrivere secondo la bisogna

la verità , ammesso che esista , non interessa a nessuno

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Non credevo che Beha potesse partorire simili cazzate:

[...]

Mi lascia basito.

Posto che Beha è violaceo (con simpatie pure interiste) e dunque anti-juventino nell'animo, qui in effetti lascia molto perplessi per la caduta di stile.

Sarà rimasto malissimo per il taglio di Peppe Rossi, non si spiegano altrimenti le castronerie...

Che Bonucci sia sempre un rincalzo nella eventuale difesa a 4 (persino per A.Conte) è notorio. Se poi gli si preferisce un altro nell'altrettanto eventuale difesa azzurra a 3 dev'essere proprio per emergenza e non certamente per pressioni dell'imbelle dirigenza juventina.

Per quanto riguarda il codice etico prandelliano poi, lui stesso l'ha sempre ridicolizzato ed ora lo ri-valuta per s*****are Chiellini e Prandelli... no dai! E' rimasto davvero deluso per l'esclusione di Rossi (e la Juve non c'entra assolutamente nulla con gli attaccanti di questa nazionale).

P.s.

Tre anni trionfali hanno rinnovato i più beceri luoghi comuni del tifosotto medio.

Qui Beha scrive proprio da tifosotto e non da giornalista accreditato: febbre rara in lui spec.nell'ultimo decennio.

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Capita a tutti....l'anti-juventinismo è sempre latente e pernicioso!

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Capita a tutti....l'anti-juventinismo è sempre latente e pernicioso!

mica tanto latente

sefz

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Wilson Raj ‘still held in Finland’

S’pore police refute reports he’s freed by Finnish cops

by HOE PEI SHAN (THE STRAITS TIMES 06-06-2014)

The Singapore Police Force (SPF) yesterday refuted news reports that convicted match-fixer Wilson Raj Perumal had been released from police custody in Finland. This is reportedly after the police had failed to respond to an extradition offer by their Finnish counterparts.

Singapore, however, does not have an extradition treaty with Finland, said the SPF.

According to news reports in Finland this week, the 48-year-old Singaporean was freed even though a district court of Vantaa – a city north of the Finnish capital Helsinki – had sentenced him to three months’ probation for a border offence and forgery on May 28.

Those news reports also claimed that the current whereabouts of Wilson Raj were unknown.

“The police confirm that we are in contact with our Finnish counterparts,” said a police spokesman, responding to queries from The Straits Times yesterday. “According to the Finnish police, Wilson Raj remains in their custody. We are working with our Finnish counterparts to explore options to bring Wilson Raj back to Singapore.”

But Finnish ministerial counsellor Juhani Korhonen, who oversees extraditions under his country’s Ministry of Justice, told The Straits Times that Finland had given Singapore 30 days from the date of Wilson Raj’s arrest in Helsinki on April 16 to submit a request for extradition. “What I can confirm is he won’t be extradited since the Singapore authorities did not request for it within the deadline, and that he was released from police custody,” he said.

He added that the Finnish authorities had apprehended Wilson Raj because of the convicted match-fixer’s presence on Interpol’s wanted list.

“They (Singapore) did not send anything except a diplomatic note where they asked that (Wilson Raj) be expelled from Finland on the basis that the Singapore authorities had cancelled his travel documents,” said Mr Korhonen.

The SPF spokesman, however, said the police here have considered the question of making an extradition request to Finland “very carefully”.

“However, we were unable to make the extradition request because we do not have an extradition treaty with Finland,” added the SPF spokesman. “Nonetheless, we are continuing to monitor the case closely and are actively exploring alternative ways to secure his return to Singapore.”

Wilson Raj has been a wanted man here since 2009. He was charged in May that year with injuring an auxiliary police officer after being confronted for illegal parking. That earned him a five-year jail term, which he appealed against. He was freed on bail but failed to appear in court as scheduled in July 2010 and was believed to have fled to Europe.

Wilson Raj – who is linked to match-fixing in countries such as Australia and Hungary – was arrested in Helsinki in February 2011 for bribing players in the Finnish league, as well as travelling on a forged Singapore passport.

It is believed that his initial arrest helped to spark a global clampdown on match-fixing, resulting in the arrest here of another Singaporean – Dan Tan Seet Eng, who is linked to a syndicate suspected to have fixed matches in Italy.

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Un inutile gigante di pietra

A Manaus si giocheranno quattro partite dei Mondiali. Ma il nuovo stadio, grande e costoso, rimarrà vuoto dopo la fine del torneo

di PETER BURGHARDT (SÜDDEUTSCHE ZEITUNG 21-05-2014; trad. Internazionale n. 1054)

La storia della cattedrale nel deserto comincia dietro alla facciata rosa antico del palazzo dell’opera. I due edifici si trovano a Manaus, nel mezzo della foresta pluviale più grande del mondo. La centrale operativa del Brasile in Amazzonia ha due milioni di abitanti, qualche centinaio di migliaia di automobili e molti ingorghi pazzeschi. L’unica strada di grande comunicazione su cui si può fare affidamento attraversa la giungla in direzione del Venezuela. Il punto di fuga della città è l’aeroporto, mentre la sua arteria vitale è il rio Negro, le cui acque nere scorrono verso il rio Solimões, il corso superiore del rio delle Amazzoni. Da São Paulo l’aereo impiega quattro ore per arrivare fino a qui.

Dunque Manaus è un po’ isolata. In questa serra urbana circondata dalla giungla alla fine dell’ottocento è spuntato il teatro Amazonas, il teatro più particolare dei tropici, e di recente l’Arena da Amazônia, lo stadio più esotico dei Mondiali di calcio che cominceranno il 12 giugno e finiranno il 13 luglio.

Il teatro Amazonas troneggia sul suo piedistallo nell’aria stantia della città vecchia, a un paio di isolati dal grande fiume e dal porto, con i suoi mercati variopinti e le sue barche di legno. Il teatro fu inaugurato nel 1896, quando Manaus era ancora piccola e ricchissima. I baroni del caucciù erano talmente ricchi che potevano permettersi di portare Giuseppe Verdi e Gioacchino Rossini nel cuore della foresta. “Siete pazzi”, gli dicevano, ma loro non si persero d’animo. A parte i legni pregiati del Brasile, il resto del lusso fu spedito dall’Europa, compresi i musicisti, che in parte furono sterminati dalla febbre gialla. Arrivarono un architetto italiano, il marmo di Carrara, i mobili francesi, i lampadari veneziani e il ferro di Glasgow. Il selciato del circondario fu rivestito di gomma per evitare che le carrozze facessero rumore.

Entrando nella sala ci si sente un po’ come il Fitzcarraldo interpretato da Klaus Kinski nel film omonimo di Werner Herzog e subito ci si lascia cadere su un sedile rivestito di seta di fronte a un sipario rosso scuro. Il condizionatore mitiga il caldo afoso. La cupola, dipinta all’esterno di verde, giallo e blu come la bandiera del Brasile, dentro è decorata in modo da far pensare a una base deformata della torre Eiffel. “Eravamo una Parigi tropicale”, spiega la guida turistica del comune. Oggi il teatro è “al quarto posto a livello internazionale per la qualità dell’acustica”. Il colore della facciata è cambiato nel corso del tempo a seconda del clima politico: dal blu al giallo fino al rosa imperiale delle origini. Oggi questo camaleonte deve tenere testa alla concorrenza di una struttura più moderna: l’Arena da Amazônia, spuntata dal nulla nella distesa di terra rossastra sette chilometri più a nord, lungo una strada importante e congestionata. Perché? Per disputare quattro partite della prima fase dei Mondiali.

Incidenti mortali

Il vecchio stadio, che aveva 32mila posti a sedere e bastava ai tifosi locali, è stato abbattuto nel 2011. I lavori dell’Arena sono costati la vita di quattro operai e 669 milioni di real (219 milioni di euro), più dello Juventus Stadium a Torino. La struttura costerà altri due milioni di euro per ogni stagione, anche se in futuro non sarà sfruttata molto. Alla partita di campionato tra il Nacional, la squadra di Manaus, e il São Luiz, poco più di tremila spettatori si perdevano tra gli oltre quarantamila sedili colorati dello stadio: sono questi i numeri del pubblico locale, perché il Nacional gioca in serie D. “L’Arena da Amazônia sarà un elefante bianco”, afferma Vasconselos Filho, un tifoso del Nacional, magro e con una lunga coda di cavallo, che fa parte del comitato civico istituito a Manaus per i Mondiali. In Amazzonia un elefante bianco non si era mai visto, anche se nella giungla più grande del mondo vivono alcuni animali mitici. Ci sono, a quanto si racconta, serpenti enormi che possono divorare un bambino o un capibara, piranha, anguille elettriche, formichieri, lontre di fiume e scimmie urlatrici. Alcune creature sono leggendarie, altre non sono state ancora scoperte. Se si sale su un motoscafo a Manaus, due ore dopo si può nuotare insieme ai delfini rosa. Oppure si può mangiare un piatto di tambaqui o di pirarucu, due pesci enormi che da soli riempiono un frigorifero. Invece, nel gergo locale, l’elefante bianco è un mostro di pietra senza senso né scopo, una cattedrale nel deserto.

È un mattino afoso e Miguel Capobiango guarda il campo da gioco, con i pali ancorati al cemento. Tra poco le porte dovranno resistere ai tiri di Cristiano Ronaldo e di Wayne Rooney, perché su questo prato giocheranno, tra le altre squadre, anche l’Inghilterra contro l’Italia e il Portogallo contro gli Stati Uniti. “Questo stadio è il nuovo palazzo dell’opera, il nuovo teatro”, grida Capobiango nel frastuono degli altoparlanti con un caschetto bianco in testa. Lui coordina l’unità di gestione dei Mondiali di Manaus, cioè è il guardiano dell’elefante bianco, e durante i quattro anni di lavori ha affrontato situazioni difficili.

Il 28 marzo 2013 il muratore Raimundo Nonato Lima Costa, 49 anni, è caduto da un’impalcatura ed è morto sul colpo. Il 14 dicembre 2013 Marcleudo de Melo Ferreira, 22 anni, è precipitato dal tetto, a trentacinque metri d’altezza, e ha perso la vita. Qualche ora dopo José Antonio Nascimento Souza, 50 anni, è morto lì vicino a causa di un infarto. Il 7 febbraio 2014 il portoghese Antônio José Pita Martins, 55 anni, è stato ucciso da una gru. Durante i lavori per i dodici stadi che ospiteranno le partite dei Mondiali sono morte nove persone. Secondo le famiglie e i sindacati, questi incidenti sono stati provocati dal ritmo frenetico dei lavori e dalle misure di sicurezza inadeguate, mentre per i responsabili la colpa è stata della disattenzione degli operai.

Quasi tutti gli operai vivono in alloggi di fortuna e ricevono degli stipendi bassissimi. Un lavoratore a giornata dice di guadagnare 3,90 real all’ora (1,26 euro). Con gli straordinari e lavorando anche nel fine settimana, in un mese può arrivare a guadagnare tra i mille e i milleduecento real. Così aumentano i profitti delle grandi aziende edili come la brasiliana Odebrecht o, nel caso dello stadio di Manaus, la Andrade Gutierrez. Le multinazionali e la Fifa hanno espresso le loro condoglianze ogni volta che un lavoratore ha avuto un incidente mortale. L’ex campione del calcio brasiliano Pelé ha dichiarato che incidenti come questi sono normali ed è più preoccupante la condizione degli aeroporti. Le bare delle vittime sono state riportate a casa e i lavori sono andati avanti, dritti verso il fischio d’inizio.

“In Qatar i morti sono centinaia”, afferma Miguel Capobiango, il direttore del progetto di Manaus. “In Brasile c’è stato qualche incidente isolato e le famiglie degli operai sono assicurate”.

Ai piedi di Capobiango i sedili brillano di giallo e arancione, i colori del mango, della papaia e della maracujá. I sedili sono stati costruiti con una plastica speciale in modo che il sole dell’equatore non faccia sbiadire i colori. Lo stadio progettato dallo studio di architettura tedesco Gpm ha una forma ovale non perché vuole ricordare un elefante bianco. Il tetto riproduce una cesta di paglia usata dagli indigeni, ma in realtà lo stadio è una delle tante navicelle spaziali che si costruiscono oggi per gli eventi sportivi e gli spettacoli. Per i bagni e per innaffiare il campo da gioco si userà l’acqua piovana raccolta in appositi serbatoi. Il tetto è fatto di una membrana trasparente che può fare ombra e permette di risparmiare energia per l’illuminazione.

Come avvenne per il teatro Amazonas, anche per costruire l’arena da Amazônia sono stati spediti dall’Europa carichi con tonnellate di materiale. Il necessario per il tetto è arrivato dalla Germania, mentre le travi metalliche dal Portogallo. Nel teatro ci sono novanta palchi, nello stadio settanta tribune riservate a politici, funzionari e imprenditori. “Tutti parleranno di Manaus”, afferma con convinzione Capobiango. Ma finora si è parlato della città soprattutto perché il nuovo stadio è considerato una sede davvero bizzarra per questi Mondiali già abbastanza eccessivi.

Caldo e malaria

Per la Coppa del mondo il Brasile ha costruito o ristrutturato dodici stadi. La Fifa si sarebbe accontentata di otto campi da gioco, ma i governatori degli stati più potenti e le imprese edili più importanti del paese hanno rivendicato la loro parte. Nel 2007, quando il Brasile è stato scelto come sede per ospitare i Mondiali, l’economia era in pieno boom e il paese voleva dare al mondo una dimostrazione della sua grandezza. In questo contesto Manaus va interpretata come un segno, un riferimento al cuore brasiliano dell’Amazzonia. L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva (in carica dal 2003 al 2011) aveva promesso che tutti i progetti per i Mondiali sarebbero stato finanziati con fondi privati. Oggi sappiamo che quasi tutto è stato pagato dallo stato oppure dalle sue banche e dai contribuenti. Gli stadi dei Mondiali 2014 sono più costosi di quelli realizzati in Germania nel 2006 e in Sudafrica nel 2010 messi insieme, e il costo è stato di almeno 2,6 miliardi di euro: tre volte più del previsto. Tre stadi saranno pronti all’ultimo momento e quasi tutti sono tra i complessi sportivi più cari del mondo: nella classifica del costo per posto a sedere, Manaus è al decimo posto, mentre la Allianz arena di Monaco, che registra sempre il tutto esaurito, si trova all’ottavo. Le rigorose direttive si chiamano padrão Fifa, modello Fifa.

Dal giugno del 2013 a oggi centinaia di migliaia di brasiliani sono scesi in piazza per protestare contro la corruzione nelle istituzioni e gli sprechi, e solo la metà della popolazione è contenta che il paese ospiterà i Mondiali. Viene anche da chiedersi a cosa servano degli stadi Fifa a Manaus, Brasília, Cuiabá e Natal, dato che queste città non hanno neanche una buona squadra di calcio.

Per prima cosa le squadre che dovranno giocare nell’Arena da Amazônia e i loro tifosi arriveranno a Manaus in aereo. Una cosa del genere succedeva in passato con le orchestre del teatro Amazonas. Quando hanno saputo di dover giocare a Manaus, i calciatori e gli allenatori delle nazionali sono entrati nel panico. “È una decisione al limite dell’irresponsabile”, ha protestato il commissario tecnico della Svizzera Ottmar Hitzfeld, che nell’Arena incontrerà l’Honduras. “Una sciagura”, si è lamentato l’allenatore degli Stati Uniti, il tedesco Jürgen Klinsmann. I problemi sono molti: il clima, la distanza, gli insetti. Manaus è una città che dovrebbe essere evitata, ha consigliato il commissario tecnico dell’Inghilterra, Roy Hodgson. E a quel punto il sindaco di Manaus, Arthur Virgílio Neto, ha annunciato che gli abitanti dell’Amazzonia potevano fare a meno dell’Inghilterra. Poi gli animi si sono calmati. Hitzfeld ha accettato l’operazione foresta pluviale e, dopo una prima spedizione a Manaus, Hodgson e Klinsmann si sono riconciliati con la città: “È un paradiso unico al mondo, davvero formidabile”, ha detto l’allenatore tedesco degli Stati Uniti, che ormai vive in California. Capobiango, il direttore del cantiere, gli ha spiegato che a Manaus può fare molto caldo, “ma non è un caldo insopportabile”. Di solito non si viene neanche stritolati dagli anaconda e non c’è il rischio di prendere la malaria, perché le acque del rio Negro sono acide e tengono lontane le zanzare. Perfino i diluvi e temporali saranno abbastanza rari durante i Mondiali, perché il torneo si giocherà durante la stagione secca. Nel Regno Unito il Daily Mail ha anticipato “un’orda di bestie velenose” e il Daily Mirror ha parlato di “un covo di delinquenti” pieno di “narcotrafficanti impazziti”.

Un’idea assurda

Nella classifica delle città più pericolose del mondo, Manaus è al trentunesimo posto con un tasso di 42,5 omicidi ogni centomila abitanti, superata da Fortaleza, Natal, Salvador e Cuiabá, altre quattro città dove si giocheranno i Mondiali. Nella capitale dello stato di Amazonas le carceri sono piene. Per questo il giudice Sabino Marques da Silva ha avuto un’idea: dopo i Mondiali l’Arena si potrebbe trasformare in un penitenziario. Un’idea assurda che ha fatto il giro del mondo. Da Silva se ne sta seduto alla sua scrivania nel palazzo di giustizia. Ha un sorriso mite che ricorda un po’ quello di Nelson Mandela. Il giurista snocciola una serie di dati: nello stato federale di Amazonas ci sono tra i seimila e i seimilacinquecento detenuti, e più della metà è ancora in attesa di un processo. Nelle celle vecchie e sovraffollate governa la violenza e i magistrati sono pochi. A marzo un commissario di polizia è stato ucciso con venti colpi d’arma da fuoco. L’Arena da Amazônia si potrebbe usare per separare i delinquenti pericolosi da quelli meno pericolosi. “Ma senza fargli fare la fine dei detenuti nell’Estadio nacional di Santiago del Cile dopo il colpo di stato del generale Augusto Pinochet”, sottolinea da Silva. Del resto, dopo le quattro partite della prima fase dei Mondiali lo stadio sarà praticamente inutile.

Se pensa ai costi, l’attivista Vasconcelos Filho non trova pace: “A noi il calcio piace, ma i Mondiali sono solo business”. Vasconcelos Filho lavora a Manaus per il movimento di protesta nazionale Comitê popular da Copa. “Il Brasile è sottomesso alla Fifa, un’azienda privata, e il popolo paga il conto. Non abbiamo bisogno di questo stadio. Abbiamo altre priorità: scuole, ospedali, carceri e trasporti locali migliori”.

Insieme al suo compagno di lotta Dino Adnamar dos Santos, Vasconcelos Filho attraversa il traffico intenso della città dirigendosi verso la periferia. Lungo il percorso si passa davanti a chiese evangeliche e a fabbriche Samsung, Nokia, Harley-Davidson e Honda. Manaus è una zona franca. Anche la Bmw ha scelto la città per montare le sue motociclette a un prezzo più basso: grazie alle esenzioni fiscali, stabilirsi in Amazzonia conviene. E così Manaus si sviluppa rapidamente. A nord, ai margini della foresta, si trova Pinheiro: una favela. Quando piove gli abitanti di Pinheiro si trovano con l’acqua fino alle ginocchia. Poi arrivano le vipere e i bambini si ammalano. Lì vicino stanno costruendo una strada, l’avenida de las Flores, il viale dei fiori. Sulle baracche non intonacate sono stati scarabocchiati numeri senza chiedere niente a chi ci viveva, poi le ruspe hanno spinto le macerie fino alle porte delle case. Il municipio offre risarcimenti minimi e il viale dei fiori non sarà mai pronto per i Mondiali, come del resto il tracciato dell’autobus veloce annunciato a gran voce. “La realtà è questa. Lo stadio è solo una facciata”, sostiene Eliane Matos, madre di sei figli. “Cosa pensiamo di questo campionato?”. La donna ride, e continua: “Non pensiamo niente”. Più a ovest, a Ponta Negra, lungo il rio Negro, svettano dei grattacieli inaccessibili. I palazzi hanno nomi come Beethoven. La sabbia è bianca e pulita e si può ordinare un semifreddo di açaí, un frutto straordinario. Ponta Negra è una specie di Miami Beach in Amazzonia. Chi vive qui può anche permettersi di comprare i biglietti per i Mondiali e quelli per la stagione operistica.

Robério Braga, ministro della cultura dello stato di Amazonas da diciotto anni, è seduto in un palazzo di stile coloniale ed è vestito di lino bianco, come Fitzcarraldo. Anche lui era stato cauto e aveva detto che non bisognava aspettarsi troppo da questi Mondiali. Ma riguardo a Manaus, vuole parlare solo degli aspetti culturali. Braga racconta dell’inaugurazione del teatro Amazonas, con la presenza di un governatore nero, poco dopo l’abolizione della schiavitù nel 1888. All’epoca l’élite del posto parlava francese e faceva lavare il bucato a Lisbona, perché lì l’acqua era più pulita. Nel 1910 la festa finì: gli inglesi avevano contrabbandato semi di alberi di caucciù in Malesia, una colonia britannica. Manaus diventò povera e lo restò finché non fu fondata la zona industriale e la dittatura militare decise di attirare migranti nella città. Nel 1990, dopo ottant’anni di silenzio, nel teatro cantò Plácido Domingo.

Dopo la caduta del muro di Berlino in questa zona si sono stabiliti musicisti provenienti dall’Europa orientale. Qui Christoph Schlingensief ha messo in scena Il vascello fantasma di Richard Wagner. “Sono stato il primo ministro che ha sostenuto i Mondiali di calcio a Manaus”, dice Robério Braga. “Faremo vedere a tutti cosa sappiamo fare. Abbiamo la natura, la tecnologia e la cultura. Faremo vivere lo stadio proprio come abbiamo fatto con il teatro”. È come se a fantasticare così ci fosse Klaus Kinski.

A fine maggio lo stadio di Manaus è stato consegnato alla Fifa, con un lieve ritardo sulla tabella di marcia. Il 25 giugno si disputerà l’ultima delle quattro partite della prima fase dei Mondiali. E dopo, a Manaus, bisognerà capire come dare da mangiare all’elefante bianco.

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The Economist 07-06-2014

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Una novità rosea: le classifiche vengono stravolte pro Internazionale.

Per la Gds i campioni del mondo in nazionale juventini sono 23, quelli tristi nerazzurri 21.

Per una rivista seria come The Blizzard (ed altri organi d'informazione) gli juventini sono 24 e quelli tristi 20.

La Ġazzetta dello Sport 06-06-2014

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THE Blizzard

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Come ventunesimo nerazzurro hanno quasi sicuramente conteggiato Fabio Grosso (Mondiale 2006; Palermo). Chi avranno spuntato dalla lista juventina?

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Tanto quel ridicolo pezzo di carta straccia, secondo me dovrebbero non venderlo, bensì darlo GRATIS come SUPPLEMENTO!!

E' la fine che gli auguro!

Quante braccia in meno per le aiuole, i giardini....!

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Posto che Beha è violaceo (con simpatie pure interiste) e dunque anti-juventino nell'animo, qui in effetti lascia molto perplessi per la caduta di stile.

Sarà rimasto malissimo per il taglio di Peppe Rossi, non si spiegano altrimenti le castronerie...

Che Bonucci sia sempre un rincalzo nella eventuale difesa a 4 (persino per A.Conte) è notorio. Se poi gli si preferisce un altro nell'altrettanto eventuale difesa azzurra a 3 dev'essere proprio per emergenza e non certamente per pressioni dell'imbelle dirigenza juventina.

Per quanto riguarda il codice etico prandelliano poi, lui stesso l'ha sempre ridicolizzato ed ora lo ri-valuta per s*****are Chiellini e Prandelli... no dai! E' rimasto davvero deluso per l'esclusione di Rossi (e la Juve non c'entra assolutamente nulla con gli attaccanti di questa nazionale).

P.s.

Tre anni trionfali hanno rinnovato i più beceri luoghi comuni del tifosotto medio.

Qui Beha scrive proprio da tifosotto e non da giornalista accreditato: febbre rara in lui spec.nell'ultimo decennio.

Eh già, è proprio così. Le tue osservazioni sono condivisibili.

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Il calcio è una lezione pratica di cosa sia il Brasile.

Gli interessi indegni di chi lo controlla anche

di SÓCRATES BRASILEIRO SAMPAIO DE SOUZA VIEIRA DE OLIVEIRA (FOLHA DE SÃO PAULO 14-11-2007)

traduzione di Virginia Gaspardo (ALIAS 07-06-2014)

Non ci siano dubbi, caro lettore, sulla nostra felicità per la scelta del nostro Paese come sede di questa grande manifestazione calcistica nel 2014. Questa felicità, però, non ci può annebbiare la vista davanti all’abisso che ci separa dalle condizioni necessarie per aver meritato questa designazione. Il calcio è un fenomeno sociale, parte integrante della cultura del Paese, un elemento innegabile di identità nazionale, estremamente simbolico in quanto tale. Il calcio brasiliano (dentro e fuori dal campo) dice molto su chi siamo, i nostri valori, le dinamiche sociali e le relazioni di potere. È una lezione pratica di cosa sia il Brasile. Il Mondiale, pertanto, non deve essere analizzato se non in quest’ottica.

La mancanza di condizioni è stata evidente sin dai primi passi per la candidatura del paese e, a partire da oggi, sarà evidente per quanto riguarda l’organizzazione di questo mega evento. Dando uno sguardo ai vertici che minacciano di mettersi a capo di questo processo, è possibile anticipare il futuro: l’appropriazione dei beni comuni, la personificazione maliziosa di estese iniziative sociali, la preponderanza di interessi indegni e illegittimi a proprio vantaggio o del proprio gruppo ristretto di persone e la difesa del piccolo potere eterno che caratterizza queste pratiche nel mondo del calcio (e nel paese).

Il comitato organizzatore del Mondiale 2014 annunciato pochi giorni fa ne è il miglior ritratto: una sola persona che può tutto, che non deve dare conto o soddisfazione a nessuno. Torniamo al feudalesimo! Ma non dobbiamo preoccuparci, qualsiasi evento sportivo accade da solo. Basta una palla che rotoli e tutte le attenzioni si dirigeranno verso il campo e tutte queste «premure» svaniranno e saranno dimenticate, grazie alla valanga di informazioni controllate, specialmente quelle veicolate dall’impero mediatico, onnipresente e onnipotente nel mondo nel calcio, svolgendo un ruolo fondamentale nel ritardo delle istituzioni sportive. È sempre stato così in Brasile, no?

Quello che ignorano volutamente, e che vogliono farci ignorare, è il potenziale di agitatore delle masse e trasformatore sociale di questo fenomeno giocato coi piedi. Questa è la natura legittima del calcio; se dovesse emergere non troverebbe limiti alla trasformazione di realtà, all’integrazione di culture e persone, alla formazione di cittadini e conoscenze e, infine, servirebbe da vettore di sviluppo e uguaglianza. Questo è un punto di vista che ci manca, lo spirito che darebbe un senso a una Coppa del Mondo disputata in Brasile. Un Mondiale con questi valori in gioco, con benefici per tutti (benefici reali, non solo la fugacità della felicità di assistere ad alcune partite) ci renderebbe meritevoli di ospitare tale evento, con molto orgoglio.

Nemmeno per quanto riguarda le migliorie alle infrastrutture, conseguenza di un evento di questa portata, si può parlare delle condizioni necessarie. È già successo con il Campionato Panamericano: nonostante le innumerevoli promesse di incredibili lasciti e fantastiche migliorie, finita la competizione resta davvero poco destinato a migliorare la vita quotidiana dei cittadini. Quello che si è visto è stata una quantità immensa di investimenti pubblici per nulla trasparenti, usati in larga parte per abbellire opere sociali provvisorie, dunque inefficienti, per migliorie urbanistiche non urgenti e per costruire parchi sportivi che servono a quelli di cui abbiamo parlato prima, sia che si parli di concessioni per il loro utilizzo in forma privata a prezzi ridicoli, o proprio per un effimero teatrino sportivo che serve a sostenere questo piccolo potere.

In questo scenario crudele, la cosa peggiore è capire che l’unico che meriterebbe di vivere una Coppa del Mondo grazie alla sua passione delirante per il calcio, all’intensità con cui questo sport fa parte della sua cultura e identità, è proprio chi, anche a causa di tutto ciò di cui abbiamo parlato, non è stimolato alla discussione sulla manipolazione della propria passione, né a comprendere questa realtà. Ovvero, il tifoso brasiliano.

Alla luce di questi aspetti e di una visione più profonda e complessa, che inserisca il Mondiale e il proprio gioco del calcio in un contesto sociale e politico, evitando il punto di vista e il potere di chi è contrario e, infine, andando oltre alla semplice festa e al semplice gioco, non vediamo le condizioni perché il Brasile riesca ad ospitare un evento di tale portata e simbolismo. Allo stesso tempo, ci sembra improbabile che possa portare delle trasformazioni nella realtà sociale del nostro Paese, che è quello che a noi (che sogniamo un Brasile più giusto e umano) interessa.

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Throw FIFA Out of the Game

by DAVE ZIRIN (The New York Times 06-06-2014)

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The world protests

but Fifa won’t listen

THE SUNDAY TIMES 08-06-2014

In the seven days since this newspaper revealed — as part of a huge cache of emails and other documents — the illegal payments, favours and backhanders that lay behind Qatar’s successful bid for the 2022 World Cup, several things have happened. Few people around the world — the story went global — can now be unaware that there was something rotten at the heart of Fifa’s 2010 decision to award the tournament to Qatar.

There is a sense of deep unease among the people inside and outside football about the corrupt financial wheeling and dealing that helped this energy-rich nation, lacking a football tradition or a suitable climate, to secure the World Cup.

Ed Miliband, the Labour leader, put it well when he said: “The Sunday Times has brought to light startling evidence that the decision to make Qatar the host for the World Cup in 2022 may have been corrupted. If these allegations are verified, there will be an overwhelming case for the bidding process to be reopened immediately. But few people will have much confidence in the investigation being conducted by Fifa unless it takes full account of the evidence uncovered by The Sunday Times.”

This goes to the heart of it. One predictable response amid the outcry over our revelations has been Qatar’s insistence that the activities of Mohamed bin Hammam, the Qatari former vicepresident of Fifa who used slush funds to build support for Qatar’s bid, had nothing to do with them. Yet today we reveal that the links between the official bid team and Mr Bin Hammam were close, frequent and undeniable.

The other predictable response has been from Fifa. Sepp Blatter, its president, who was in charge of this corrupt network of dodgy dealing, even if he was not personally involved, has been reminding everybody of a March statement from Fifa’s executive committee in which it said the 2022 World Cup in Qatar was “not in question”. Although the committee will wait until this week for the corruption report it had commissioned on the Qatar bid from Michael Garcia, an American lawyer, the omens are not good. Mr Garcia, having cut his investigation short, will not be considering the Sunday Times emails and other evidence. He has not interviewed Mr Bin Hammam.

This is not good enough from Fifa, particularly in the light of today’s additional revelations. Qatar, one of the world’s leading gas producers, has the ability to use the energy weapon. Today we reveal close links between Thailand’s football representatives, its energy officials and the Qatar authorities. Worawi Makudi, the president of Thailand’s football association, and his adviser were involved in a meeting, facilitated by Mr Bin Hamman, about a gas deal with Abdullah bin Hamad al-Attiyah, Qatar’s energy and industry minister.

We also reveal, after last week’s report of vote-influencing payments to African football officials, a similar pattern in Asia. Bank transfer slips and emails reveal that Mr Bin Hammam made payments totalling $1.7m (£1m) from secret slush funds to senior football officials across Asia.

Fifa seems to think this scandal will go away. Yet the outrage is growing. The vote for the 2022 World Cup needs to be rerun as soon as Fifa’s executive committee is capable of doing it in a fair and transparent way. Mr Blatter has further demonstrated his unsuitability for the role of Fifa president. If ever an organisation needed change from the top, this is it.

THE SUNDAY TIMES 08-06-2014

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laRiflessione di FABIO LICARI (GaSport 08-06-2014)

LE ACCUSE AL QATAR PER IL MONDIALE

PERCHÉ IL VERO BERSAGLIO È PLATINI

Troppo superficiale pensare che dietro il Qatargate ci sia soltanto il Mondiale 2022. Non scherziamo. Ecco cinque cose da sapere.

1) Lo scandalo. Non ci voleva il «Sunday Times » per scoprire che l’assegnazione di Qatar 2022 (e Russia 2018) è stata scandalosa. «Il Mondiale dei ricchi» titolò la giornalaccio rosa, in buona compagnia della stampa internazionale, per spiegare che quel giorno i soldi avevano giocato un ruolo importante, compromettendo la già ferita credibilità della Fifa. Come Pasolini: tutti sappiamo, ma non abbiamo le prove.

2) Le elezioni 2011. Ha scritto un’agenzia britannica: nell’inchiesta del «ST» non c’è la «smoking gun», cioè la prova della corruzione per il 2022. Perché i pagamenti di Bin Hammam sono riferibili a un altro obiettivo ben preciso: comprare l’elezione presidenziale 2011. L’uomo d’affari qatariota cadde, a un passo dalla vittoria, per le mazzette ai presidenti nordamericani che dovevano votarlo. Ebbene: anche la denuncia del «ST» riguarda presidenti corrotti (africani stavolta) che votarono alle presidenziali ma non per il Mondiale. Solo i soldi all’oceanico Temarii possono collegarsi indirettamente al Qatar.

3) Chi c’è dietro. Allora a chi giova tutto questo caos? Quello che Platini ha cercato di dire, senza far nomi, è: a Blatter. A Nyon sanno che i documenti sono arrivati al «ST» dalla Fifa con un timing sospetto: potrebbe essere la strategia per mettere fuori causa il francese prima delle presidenziali 2015. Sacrificando, se necessario, anche Qatar 2022 che per lo stesso Blatter è «un errore». Ma Platini si candiderà? Oggi è improbabile.

4) Il complotto. Che il Qatar sia la chiave di volta per colpire Platini si capisce anche dalle continue inchieste contro di lui di «France Football », controllato dalla Fifa dal 2010. La guerra con l’Uefa è dichiarata. E Platini è attaccabile: ha dichiarato il voto al Qatar (onesto); c’è la cena all’Eliseo con Sarkozy e lo sceicco (ingenuo); soprattutto, c’è il figlio assunto dal Qatar dopo il voto (poco etico). Ma con il francese hanno votato altri 13.

5) La revoca. Togliere il Mondiale al Qatar, come ha spiegato Gianni Merlo, sarebbe un evento unico. E più s’avvicina la data più si riduce questa possibilità. A meno che non spuntino prove schiaccianti che travolgerebbero anche Russia 2018, aprendo così la strada a un Mondiale inglese. Senza sottovalutare che gli stessi inglesi hanno interessi politico-diplomatici opposti a quelli Francia e Germania sul Qatar. E che Al Jazeera (proprietà Qatar) ha in mente di prendere i diritti della Premier. Altro che Qatar 2022…

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EL PAÍS 08-06-2014

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Il Sole 24 ORE 08-06-2014

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MARCA 08-06-2014

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