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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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ilCaso di FRANCESCO CENITI (GaSport 12-11-2013)

GLI ARBITRI SUL FILO DEI CENTIMETRI:

MENTALITÀ (ITALIANA) DA CAMBIARE

«Abbiamo visto cose che voi umani non potreste immaginarvi». Ecco, se al posto degli assistenti ci fossero degli androidi (come Rutger Hauer in Blade Runner) allora sarebbe normale pretendere la perfezione, persino su un fuorigioco di pochi centimetri. Ma siccome in campo scendono delle persone, per quanto siano abituati a dei «miracoli» (provate a tenere sotto controllo nello stesso istante dei giocatori in continuo movimento e il pallone) non possono raggiungere la perfezione. Se tutti «sposassero» questa considerazione forse si eviterebbero polemiche inutili, discussioni accese e «battaglie» in nome di un piede in offside. Nell’ultima domenica, ad esempio, si è parlato molto di più della posizione irregolare di Llorente (codificata in 21 centimetri) che degli aspetti tattici di una bella partita, con la Juve ritornata al top e un Napoli vivo nonostante il 3-0 finale. In Germania o in Inghilterra l’episodio contestato sarebbe stato mostrato una volta e liquidato in modo semplice: «Sì, era fuorigioco,main diretta era impossibile da capire». E’ chiedere troppo in Italia? Non si tratta di nascondere nulla, per carità. Se un arbitro sbaglia è giusto rimarcarlo, ma in alcuni casi bisogna anche avere la sensibilità di capire se la svista è accettabile oppure no. I vertici arbitrali, con il designatore Stefano Braschi in testa, non considerano errore episodi come quello di Torino o Verona (Paloschi in fuorigioco? Forse sì, forse no...). Sarebbe come se un allenatore o un tifoso contestasse un giocatore per un tiro da lontano finito sul palo. Dagli arbitri (e dagli assistenti), invece, si pretendono solo gol. Nemmeno fossero androidi con fischietto o bandierina.

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CALCIO... ISOLATO

L’UNITÀ DI CIPRO È GIÀ IN PERICOLO

Una settimana fa l’accordo tra le due federazioni

Sarebbe storico, ma ecco i primi ripensamenti

di LUCA BIANCHIN (EXTRATIME 12-11-2013)

Dove le Nazioni Unite hanno fallito, Sepp Blatter può. La Fifa, assieme all’Uefa, martedì ha fatto sedere allo stesso tavolo Hasan Sertoglu, presidente della federcalcio della Repubblica Turca di Cipro del Nord, e Costakis Koutsokoumnis, presidente della federcalcio cipriota. Non sono uno il migliore amico dell’altro, perché Cipro è un Paese diviso dal 1974: al Nord una repubblica riconosciuta solo dalla Turchia, con il turco come lingua principale, al Sud il Paese che parla greco e si relaziona con la comunità internazionale per calcio e politica. Le squadre del Nord, tra cui il glorioso Cetinkaya, non giocano con quelle del Sud o di altri Paesi (…). La nazionale del Nord non ha rapporti con Paesi membri Fifa e il suo highlight degli ultimi anni è il secondo posto alla Viva World Cup, torneino tra nazioni non riconosciute, ottenuto battendo di misura il Darfur nel girone (15-0) e Zanzibar in semifinale.

I 7 punti

In un Paese che la diplomazia da anni prova a guidare all’unificazione senza successo, Sertoglu e Koutsokoumnis hanno firmato un accordo in sette punti. In sintesi: la federcalcio turcocipriota entrerebbe a far parte della federcalcio cipriota ma manterrebbe il diritto a organizzare competizioni. Un comitato avrebbe poi il compito di definire regole sulla partecipazione dei club del Nord alle competizioni cipriote, sul trasferimento di giocatori, su eventuali amichevoli. Non un passo da poco, come ha detto Blatter: «È un eccellente esempio di come il calcio può costruire ponti e unire le persone dopo un lungo periodo di conflitto».

Il freno a mano

L’entusiasmo rischia di essere prematuro perché l’accordo è finito in una terra di mezzo. In poche ore, mentre il presidente cipriota esprimeva «profonda soddisfazione», Sertoglu tirava il freno a mano: «Questo è un primo passo. Ci sono problemi che devono essere risolti». La federcalcio del Nord di sicuro punta a portare le sue squadre nel campionato cipriota, per poter così arrivare a una storica qualificazione alle coppe europee. Inoltre, secondo alcune interpretazioni, ci sarebbero pressioni turche per far cadere un accordo che riconosce la sovranità della federcalcio cipriota. «Sono stato sorpreso dall’accordo - dice Michalis Gavrielides, segretario generale dell’associazione che riunisce i giornalisti sportivi ciprioti - . E non sono affatto sicuro che l’accordo passi alla pratica». Purtroppo per la diplomazia blatteriana, l’opinione di Gavrielides è ampiamente diffusa.

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Scommesse

La Corte Figc e i nove mesi

a Mauri: dubbi sulle accuse

di ALBERTO ABBATE (Il Messaggero 12-11-2013)

Quaranta giorni dopo la sentenza. L’odore di una riapertura dei processii nvade la Corte di Giustizia Federale: «Le nostre valutazioni non possono che essere formulate allo stato degli atti e nella consapevolezza che le risultanze attuali potrebbero essere superate da eventuali future acquisizioni, laddove le stesse dovessero trovare ingresso in altro procedimento, tuttora in corso da parte dell'autorità giudiziaria ordinaria di Cremona ».

«Il contenuto delle accuse rivolte da Gervasoni a Mauri lascia dubbi allo stato non superabili - rileva la Corte - non solo perchè i diretti interessati smentiscono il collega, ma perchè sono in realtà privi di un sicuro riscontro esterno, finendo ogni elemento d'accusa nei confronti di Mauri per far capo sempre e solo a quanto dichiarato dallo stesso chiamante ».

La proroga delle indagini su Stefano Mauri (sino a marzo) emerge anche nelle motivazioni del secondo grado di giustizia sportiva, tanto attese e pubblicate guarda caso ieri: «Il Collegio ritiene che manchi quel tassello probatorio decisivo che possa serenamente condurre all'affermazione della responsabilità del Mauri per violazione dell'art. 7, comma 1, CGS, seppur appare non revocabile in dubbio che vi fosse almeno la consapevolezza ».

Tradotto: non c’è la certezza dell’effettiva partecipazione del laziale, quindi nove mesi di stop per doppia omessa denuncia. Dopo il dubbio pro Conte, ecco il dubbio pro Mauri, nonostante «appare difficilmente revocabile in dubbio che Lazio-Genoa e Lecce-Lazio siano state fatte oggetto di illecito e il risultato sia stato alterato ».

ASPETTANDO CREMONA

Palla a Di Martino: «Il contenuto delle accuse rivolte da Gervasoni a Mauri lascia dubbi allo stato non superabili, non solo perché i diretti interessati smentiscono il collega, ma perché realtà prive di un sicuro riscontro esterno». Arriverà da Cremona e riaprirà il processo sportivo? Intanto avanti così. Può riunirsi il collegio arbitrale del Tnas e pronunciarsi anche a dicembre: si punta a uno sconto a 5-6 mesi, al rientro di Mauri a febbraio. Con lo spauracchio di una revocazione.

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Palla prigioniera

NOI, I PEGGIORI D’EUROPA

ANATOMIA DI UNA RESA

di GIANNI MURA (la Repubblica 12-11-2013)

Quella che per noi ben pensanti è una sconfitta (dello sport, della convivenza civile, della legalità, dello Stato) per gli ultrà è una vittoria, e come una vittoria l’hanno festeggiata in piazza. Quello che per noi rappresenta un punto di non ritorno, l’ennesimo, per gli ultrà è un passo avanti. I fatti di domenica sono noti. Di nuovo c’è la testimonianza di un calciatore della Salernitana che ha visto gli avversari piangere nel sottopassaggio, prima di andare in campo con più di mezz’ora di ritardo e un comunicato degli ultrà di Nocera che smentiscono ogni forma di minaccia ai giocatori e, con la pomposità del caso, si sentono difesi e rappresentati da “undici ragazzotti forestieri” che grazie al loro gesto “diventano grandi e nocerini”.

Amici della zona mi dicono che la partita più a rischio non è il derby tra Salerno e Nocera (distanza km. 17) ma tra Nocera e Pagani (che confinano). Separare tre squadre in due soli gironi, come secondo Lotito avrebbe dovuto fare la lega Pro, non è possibile, almeno due sarebbero rimaste insieme, e comunque, visto che ci sarà sempre un sindaco a garantire l’alta civiltà dei suoi concittadini, prendiamolo per buono. Suppongo che un paganese possa andare a bere un caffè a Nocera, o un paganese e un nocerino a mangiarsi insieme una pizza a Salerno, in tutta serenità e senza schieramenti di polizia. Perché non succede quando c’è di mezzo una partita di calcio? Perché gli ultrà hanno bisogno di nemici. Del calcio che avvicina, delle famiglie negli stadi non gliene frega nulla, sono favolette senza senso. Se ne stanno buoni solo quando incontrano ultrà gemellati, alleati. In quel caso i cori e gli insulti li fanno contro terzi.

Ci sono stati troppi morti negli stadi italiani: da razzo, da coltello, a Roma, a Milano, a Genova, ci sono stati quattro morti su un treno, a Salerno, e molotov su un treno a Firenze. Un poliziotto che uccide il laziale Sandri, un catanese che uccide il poliziotto Raciti. Ci sono stati assalti alle caserme, sassaiole nelle stazioni, violenze sui vagoni. Dopo l’omicidio di Raciti era necessario un giro di vite, ma oggi dobbiamo dire che non è servito a nulla, che il tifo ultrà è una ma-lattia endemica che il sistema ha spesso finto di combattere e, quando ha pensato di avere le armi giuste, le ha ritrovate spuntate. Siamo a livello sudamericano, nell’Europa occidentale nessuno sta peggio di noi. E questo, evidentemente, non dipende solo da società colluse, che con una mano prendevano le distanze da “certe frange” e con l’altra le omaggiavano di biglietti e quattrini, in teoria per le coreografie, in pratica per non inimicarsele. Tanto più che erano buona manovalanza per riportare sulla retta via il calciatore che non faceva vita da atleta o per rompere le corna a qualche giornalista scomodo, o anche per manifestazioni di piazza non legate al calcio.

La legge-Maroni, i biglietti nominali, la tessera del tifoso: un buco nell’acqua. Quelli che sognano di tornare alla domenica della buona gente leggono di 10, 20, 30 Daspo e si sentono sollevati. Sappiano che basta un ricorso al Tar e quasi tutti i Daspo svaniscono, spariscono come gli steward quando i tifosi del Napoli decidono di sfasciare i cessi a Torino (un classico) e di buttare i pezzi di sotto. E capisco gli steward, come capisco i giocatori della Nocerina. Il questore di Salerno garantiva incolumità nello stadio di Salerno, certo. E il giorno dopo? E dopo una settimana? Il calcio in blocco ha alzato le braccia di fronte all’ipotesi di tante curve chiuse negli stadi, in tanti stadi, se non in tutti. Gli ultrà hanno capito che il loro potere era aumentato e si regolano di conseguenza, sono loro a dettare le condizioni e a fare la voce grossa. Loro allo stadio entrano sempre e comunque, loro decidono se processare pubblicamente i giocatori o l’allenatore, loro stabiliscono il tasso di dignità necessario per vestire una maglia, loro si ergono a difensori dell’onore. Gli altri, i non talebani, stiano pure a casa.

Non è un discorso di nord e sud. A Brescia, a Genova, a Roma (punto di non ritorno si disse anche quando saltò quel derby, e siamo sempre lì) è un rosario di brutte storie. Se i pullman delle squadre, in serie A e figuriamoci in quelle più giù, non fossero massicciamente scortati non arriverebbero o partirebbero interi da uno stadio. Ora cosa succederà? Che i più facili da colpire e quindi i più stangati saranno i giocatori della Nocerina. Che s’invocheranno pene più severe, o almeno un’educazione allo sport (potrei dire alla convivenza) che nessun governo s’è mai sognato di proporre. Si sa che mancano i fondi e si sa che siamo sul fondo. Si sa che l’Italia ha problemi più grandi da affrontare, e intanto questo problema che era piccolo (tranquilli, li conosciamo tutti, sono quattro gatti) è diventato grande. Di estrema attualità, anche se fra pochi giorni non ne parlerà più nessuno, come succede regolarmente e tristemente da una quarantina d’anni.

la Repubblica 13-11-2013

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Modificato da Ghost Dog

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ilCaso di FRANCESCO CENITI (GaSport 12-11-2013)

GLI ARBITRI SUL FILO DEI CENTIMETRI:

MENTALITÀ (ITALIANA) DA CAMBIARE

«Abbiamo visto cose che voi umani non potreste immaginarvi». Ecco, se al posto degli assistenti ci fossero degli androidi (come Rutger Hauer in Blade Runner) allora sarebbe normale pretendere la perfezione, persino su un fuorigioco di pochi centimetri. Ma siccome in campo scendono delle persone, per quanto siano abituati a dei «miracoli» (provate a tenere sotto controllo nello stesso istante dei giocatori in continuo movimento e il pallone) non possono raggiungere la perfezione. Se tutti «sposassero» questa considerazione forse si eviterebbero polemiche inutili, discussioni accese e «battaglie» in nome di un piede in offside. Nell’ultima domenica, ad esempio, si è parlato molto di più della posizione irregolare di Llorente (codificata in 21 centimetri) che degli aspetti tattici di una bella partita, con la Juve ritornata al top e un Napoli vivo nonostante il 3-0 finale. In Germania o in Inghilterra l’episodio contestato sarebbe stato mostrato una volta e liquidato in modo semplice: «Sì, era fuorigioco,main diretta era impossibile da capire». E’ chiedere troppo in Italia? Non si tratta di nascondere nulla, per carità. Se un arbitro sbaglia è giusto rimarcarlo, ma in alcuni casi bisogna anche avere la sensibilità di capire se la svista è accettabile oppure no. I vertici arbitrali, con il designatore Stefano Braschi in testa, non considerano errore episodi come quello di Torino o Verona (Paloschi in fuorigioco? Forse sì, forse no...). Sarebbe come se un allenatore o un tifoso contestasse un giocatore per un tiro da lontano finito sul palo. Dagli arbitri (e dagli assistenti), invece, si pretendono solo gol. Nemmeno fossero androidi con fischietto o bandierina.

Queste cose dette da uno della cazzetta fanno effetto

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Queste cose dette da uno della cazzetta fanno effetto

anche loro tengono famiglia

ed il mutuo da pagare

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“È giusto chiudere le curve

qui tira aria di intolleranza”

Il regista Segre che filmò la nascita dei gruppi ultrà

di CLARA CAROLI (la Repubblica - Torino 13-11-2013)

«Hanno fatto bene a chiudere le curve. Il calcio non è più uno sport e quello che succede negli stadi rispecchia il degrado culturale nel quale è precipitata l'Italia dopo vent'anni di dieta forzata a base di tv becera e pane e pallone». Non usa mezzi termini Daniele Segre, regista alessandrino che nell'80 al fenomeno delle tifoserie dedicò un bel documen-tario, 'Ragazzi di stadio', nel condannare l'escalation di violenza e intolleranza che si consuma ogni domenica sugli spalti e gli ultimi episodi che hanno portato il giudice sportivo a chiudere le curve della Juve dopo i cori discriminatori ai danni dei supporter del Napoli. «Gli insulti della tifoseria bianconera più estremista contro i napoletani - dice Segre, che risponde al telefono da Berlino dove ha presentato al Cinema Babylon il suo film 'Luciana Castellina, comunista' - ci riportano indietro di cinquant'anni, al tempo del 'non si affitta ai meridionali». La crisi esaspera gli animi. Prevalgono modelli aggressivi, tira aria di intolleranza. E senza un argine culturale è quasi inevitabile che queste energie finiscano per sfociare in episodi di disordine sociale anche grave'.

Segre, la sua indagine sulle tifoserie comincia alla fine degli anni Settanta, con 'Il Potere deve essere bianconero', e porta alla realizzazione, nell'80, di 'Ragazzi di stadio'. Perché questi due film sugli ultrà?

«Vidi una scritta sui muri della città: “Il potere deve essere bianconero”. Era il '77. La cosa mi colpì moltissimo perché ricordavo che esattamente dieci anni prima la scritta era: “Il potere deve essere operaio”. Ad interessarmi fu il modo in cui il mondo del calcio si era appropriato del linguaggio e dei colori della politica, riproducendo gli estremismi di destra e sinistra nella contrapposizione tra le tifoserie di Toro e Juve».

Rispetto a ciò che si vede oggi, quelle tifoserie appaiono quasi naif...

«Il fenomeno del tifo organizzato all'epoca cominciava appena a strutturarsi. Chiedevano qualche maglia, un po' di biglietti gratis. Oggi le curve sono società per azioni che condizionano l'andamento della squadra. E il calcio è un mondo drogato, dove tra scommesse e diritti tv girano troppi soldi; e corrotto, come dimostrano le inchieste sulle partite truccate. Un mondo sul quale è scontato che abbiano messo le mani la delinquenza comune e la malavita organizzata».

Oggi lo farebbe un film sui tifosi? E che film farebbe?

«Cercherei di infiltrarmi tra loro per osservare da vicino quel contesto e provare a comprenderne la complessità. Al tempo di 'Ragazzi di stadio' ho cercato di far uscire dall'anonimato giovani emarginati, quasi tutti bollati come delinquenti, che inseguivano fugaci momenti di gloria televisiva allestendo in curva spettacoli nello spettacolo. Oggi tutto è cambiato. Siamo di fronte a una violenza che solo uno Stato degno di questo nome può essere in grado di fronteggiare e sconfiggere».

Con la forza?

«No, con la cultura».

Orgoglio e Pregiudizi

di MARCO MARSULLO (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 13-11-2013)

E diciamocelo pure, quando a noi campani, soprattutto napoletani, ci toccano sull'orgoglio della nostra terra, saremmo capaci di fare una strage. Sì, perché poche sono le cose sacre: la mamma, il Napoli, e Napoli, la nostra città piena di casini che solo noi, però, possiamo criticare. Solo noi possiamo dire che è un bel posto ma che è piena di inciviltà; se lo dice, per dire, uno di Preganziol (vicino a Treviso, non chiedetemi perché conosco questo posto), allora no, non si doveva permettere.

Ed è proprio il nostro orgoglio (oltre la solita, ridondante, dose di politically correct) che sta mischiando un po' le carte per quello che riguarda la questione dei cori razzisti, o insulti territoriali, come va di moda chiamarli negli ultimi mesi. Ha preso le distanze, giustamente, De Laurentiis, che ieri ha dichiarato che certe affermazioni strillate a mezzo tribuna devono solo inorgoglire e stimolare il pubblico partenopeo, non offenderlo. Oh, era ora. Qualcuno che ridimensionasse la polemica e riportasse la questione alla sua natura, cioè: una cosa stupida, goliardica, che non necessita di leggi ad hoc, interrogazioni parlamentari, intervento degli Dei dell'Olimpo. La coscienza è sociale, non sportiva. E negli stadi di tutta Europa sfottò del genere sono all'ordine della domenica. In Spagna, per dire, gli andalusi vengono chiamati zingari in tutti i campi, ma non mi pare che qualcuno tiri per la giacchetta Re Juan Carlos chiedendogli la testa dei tifosi colpevoli. Il punto è che bisogna capire che l'orgoglio resta tale anche se sporcato per novanta minuti da gente di un'altra città. Che non saranno degli slogan in rima a depredarci della nostra, rigogliosa, napoletanità. Che il Vesuvio è talmente svogliato che di sicuro non darà retta a quattro torinesi, bergamaschi, milanesi, intenti a invocarlo come doccia calda. E poi, quando qualcuno del Sud, magari proprio di Napoli, canta che lì al nord hanno solo la nebbia? E su. Ho sentito personalità del mondo dello sport, dello spettacolo e del giornalismo, mobilitarsi per queste cose definite: vergognose. Quando, domenica scorsa, per Salernitana-Nocerina ho sentito la metà del clamore. Fortuna che il caso sta prendendo piede anche a livello nazionale. È questa la vergogna dello sport, è questa la rivalsa che dobbiamo prenderci, noi orgoglio made in sud (me compreso, sempre). È da qui che dobbiamo riprenderci e difendere le nostre radici e renderle talmente forti da non farle scalfire. Perché se ci sentiamo offesi da certi cori sciocchi, probabilmente è perché ci sentiamo in perenne debito verso chi ci sovrasta geograficamente. Una coda di paglia da peccato originale. E, di questo sono certo: la mano decisiva per vincere la partita ce l'abbiamo in mano noi. Partiamo dai fatti di Salerno, lasciamo stare chi canta al Vesuvio. Proviamo a ridarci una vera credibilità, dosando le coscienze noi per primi, usando quel sorriso di cui tanto ci vantiamo in giro per il mondo.

Vesuvio lavali col fuoco? E quanto ci verrebbe a costare di bolletta, poi? Andiamo.

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No substitute for human competition

by MATTHEW SYED (THE TIMES 13-11-2013)

Technology is moving fast. Broadband speeds in the UK were about 8Mbps when ADSL was all the rage a few years ago. Today, fibre broadband can deliver download capability of up to 80Mbps, a speed that is already behind the curve when compared with other countries.

Television is changing, too. High definition (HD) will soon be superseded by ultra-high definition. This has four times the clarity of HD and is, according to those who have seen it, stunning. The Japanese state broadcaster, NHK, recorded the London Olympics with this technology and it is one of the reasons why broadband speed is so important; 100 to 200Mbps are needed to transmit a single channel.

What does this have to do with sport? Well, you may have noticed that BT paid £897 million for the rights to Champions League football. Between 2015 and 2018, the company will broadcast 350 fixtures each season, including the Champions League final, the most prestigious match in club football. The business logic was simple: in the market for broadband, the telecoms giant had little chance of winning the battle against Sky without “premium football content”.

But this reveals an intriguing juxtaposition. As the technology that surrounds football changes with a speed that is difficult to keep track of, let alone comprehend, the game itself remains just as it ever was. It is played with the same number of players, pretty much the same laws, and the same sized goals. If you were to transport a fan from 100 years ago to a match today, it would be recognisable from the game as it was played in 1913 (yes, I know: minus the diving).

The other great bastion of so-called premium rights is the Olympic Games. In a poll published yesterday, London 2012 topped the list as the most influential brand in licensing (Manchester United came second). The IOC generated $3.9 billion (about £2.45 billion) from TV rights for the 2010 Winter Olympics in Vancouver and the 2012 London Games and its broadcasters are experimenting with new ways to enhance the coverage. But while the technology changes, sometimes beyond recognition, many of the games played at the Olympics have not changed for centuries.

Wrestling is making a comeback at the Tokyo Games in 2020. It is a sport that featured in Ancient Olympia more than 2,000 years ago. Aristophanes, the playwright, was a fan, as was Plato, the philosopher, who got his name from his infatuation with the sport — Platon, meaning broad-shouldered. The Ancient Greeks also had running races (albeit on a rectangular track rather than a more oval one) and games involving jumping and aiming, just like today.

Perhaps the most remarkable thing about travelling out to the sanctuary in the Western Peloponnese, with its relics and the crumbling remains of its sporting venues, is not the sense of coming face to face with a bygone age; it is the umbilical link between ancient and modern. Sport is one of the great survivors of history. These games are islands of immutability in a rapidly changing world.

And the reason, I think, is simple. Humans are drawn to the same themes as they ever were: competition, heroism, narrative. The 3,000-year success story of sport is testament not to new-fangled marketing, or modern technology (as is often claimed), but to unchanging aspects of the human condition.

According to Neil Faulkner, the archaeologist, there is no surviving manuscript from any time in history that lacks descriptions of athletic contests. To be fascinated by sport is, in many respects, to be human.

The same analysis applies to cricket. Sky Sports has provided an invaluable service in modernising the coverage of the game. Graphics and multiple cameras have taken us closer to the action and provided new insights. We will doubtless see more innovation during the coming Ashes series. But Test cricket itself, with its complex rhythms, has barely changed since the days of W. G. Grace. It is a game of nerve and skill played with willow and cork. Everything else, all the technology and flummery, is parasitic on these essentials.

When I first started writing for The Times, more than a decade ago, I took part in a debate about the future of sport. The dominant view at the time was that virtual reality and computer games would dispatch sport into the scrapheap of history. How could these simple games survive when new, mind-bending forms of entertainment were on the horizon? How could an activity involving a ball win out over, say, something that could enmesh you in a virtual reality role-playing game on Mars?

I think we can now see why this analysis was flawed. Football is the only content in town when it comes to the battle between Sky and BT but we don’t need to know that to be reminded that it provides spectacular entertainment.

The real power of sport is revealed, not through the size of the latest broadcast deal, but by looking at history. Again, I am reminded of Ancient Olympia, where tens of thousands of fans would travel for days to reach the old sanctuary. They would mass on the grass inclines on either side of the track looking up at Mount Kronos, where Zeus mythically wrestled his father for dominion of the world. And they would marvel at the spectacle of human competition.

Those who run sport often suffer from a congenital affliction that causes them to alter the games over which they are temporary custodians. You might call it changeitis.

I remember going to a Power Snooker tournament that was billed as “taking snooker into the modern age”. There was a Power Zone, extra points for particular shots, and only nine reds. It was dire. The promoters didn’t seem to understand that sport rarely needs their crass alterations. Sport will be around, in much the same form, long after they have gone.

Lucian, the Greek historian, wrote of the ancient Games: “Oh, I can’t describe the scene in mere words. You really should experience first-hand the incredible pleasure of standing in that cheering crowd, admiring the athletes’ courage . . . their unbeatable determination, and their unstoppable passion for victory.”

He was right. We often get distracted by the flimflam, but sport is ultimately about these eternal qualities. Promoters would do well to remember that.

N.B.

The Times e Sky appartengono alla galassia di Rupert Murdoch

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La convenzione

Fitto del San Paolo,

chiesta la proroga

di PAOLO CUOZZO (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 13-11-2013)

Nessun giornalista presente. La riunione era a porte chiuse. Aurelio De Laurentiis voleva parlare soltanto con i consiglieri comunali. Ed è la prima volta da quando si discute del futuro del San Paolo e della convenzione tra Napoli e Comune di Napoli per l'uso della struttura di Fuorigrotta che scadrà alla fine del prossimo campionato. Convenzione — questa è la vera novità — per la quale De Laurentiis ha annunciato che chiederà una proroga al Comune, peraltro già prevista dall'accordo in essere, in attesa della legge sugli stadi che dovrebbe essere operativa ad inizio del 2014. Legge che permetterà ai club di avere gli stadi praticamente a costo zero senza passare per una gara pubblica. Intanto, però, ieri c'è stata l'ennesima esplosione di rabbia del patron azzurro verso il sindaco de Magistris, reo, secondo il produttore cinematografico, di avergli detto che per quanto riguarda le decisioni futuro sullo stadio i tempi li scandisse solo il primo cittadino «salvo scoprire ora che invece deve parlare col Consiglio comunale, cosa della qual finalmente anche De Laruentiis s'è accorto», racconta Andrea Santoro, consigliere di Fli presente alla riunione col presidente del Napoli. Altro affondo: quello sulla transazione. Un anno fa c'era stato l'accordo col Comune. «Il Napoli — ha detto sempre Santoro — aveva siglato un accordo transattivo col Comune. Poi, però, al club gli sarebbe stato detto che quell'intesa si sarebbe dovuta riscrivere». Da qui, probabilmente, la scelta di De Laurentiis di parlare ora direttamente con tutti gli eletti e aprire un dibattito politico con la città sul futuro dello stadio, che inesorabilmente dovrà passare dall'aula del Consiglio comunale.

Per Carlo Iannello, consigliere di Rd presente alla riunione, «il Comune deve tutelare gli interessi pubblici coinvolti nella vicenda, tra cui anche quello legittimo del Napoli, tenendo presente sempre i vincoli, primo fra tutti il nostro Prg». Carmine Attanasio, consigliere comunale dei Verdi, si è detto «possibilista sulla vendita dello stadio a De Laurentiis a condizione che quest'ultimo dia una mano a ricostruire il palazzetto dello sport». «Lo stadio ha un suo valore e non può essere certo regalato», ha detto Ciro Fiola, capogruppo uscente del Pd. «Ci chiediamo - ha poi aggiunto Esposito, presidente della Commissione sport - se la terza città d'Italia possa privarsi del suo stadio dandolo a un privato, che è comunque un imprenditore di valore. Bisogna ora capire come disciplinare la cosa e farci stare dentro tutto, valorizzando, con una giusta collaborazione tra pubblico e privati, anche l'uso pubblico dell'impianto». Ma tutto questo ora conta poco. Con la proroga della convenzione, infatti, la riqualificazione del San Paolo sarà rimandata a chissà quando.

Il caso San Paolo

Stadio, trattative bloccate

c’è un maxi-pignoramento

Azienda dell’acqua chiede 3,8 milioni: lite Comune-società

La tegola Più intricato il nodo della transazione economica tra Palazzo S. Giacomo e il club

La sfida Il patron: una proroga della convenzione in attesa della nuova legge

I politici Fiola (Pd): la struttura non si vende Sgambati (Napoli è tua): condizioni svantaggiose

di LUIGI ROANO (IL MATTINO 13-11-2013)

Quasi tre ore di audizione, da una parte il presidente del Calcio Napoli Aurelio De Laurentiis, dall’altra la commissione sport allargata a tutti i capogruppo dell’Assemblea cittadina. Due le notizie di giornata: la prima è che la transazione della discordia, cioè il dare avere tra società Calcio Napoli e Comune, è bloccata perché pende un pignoramento di 3,8 milioni. La seconda è che per avere un nuovo San Paolo i tempi si allungano, il patron ha chiesto la proroga della convenzione che scade a giugno in attesa della legge nazionale sugli stadi.

Procediamo con ordine. La bomba, è il caso di dire, una novità assoluta, la lancia il presidente De Laurentiis, queste le sue parole in apertura di audizione: «Ci sono delle situazioni economiche pendenti. Molti di voi forse non sono informati. Ad oggi il nostro debito nei confronti del Comune è di 600mila euro più Iva, che non possono essere versati al Comune perché il Comune stesso è stato fatto oggetto di pignoramento per 3,8 milioni da parte di una società che si chiama ”Condotte acqua”». Quello che non dice il patron lo suggerisce il presidente della commissione Sport Gennaro Esposito: «C’è un terzo pignorato che è la società sportiva, caro presidente». Insomma, un giallo perché l’unica cosa certa è che al di là della quantità del contenzioso è venuto fuori questo pignoramento. Un contenzioso che il dirigente comunale addetto alla questione San Paolo non ha mai voluto firmare. Probabile che non sia stata pagata la bolletta dell’acqua. E viste le quantità enormi che necessitano per irrorare il prato si capisce anche la straordinaria somma pignorata. A rendere ancora più intricata la vicenda, il fatto che lo stesso Comune un anno fa ha installato un contatore dell’acqua esclusivamente per il misurare i consumi dell’irrigazione del prato.

Torniamo alla convenzione, il patron ha chiesto la proroga in attesa della nuova legge sugli stadi. Il ragionamento di De Laurentiis è chiaro e lo ha fatto qualche ora prima nel corso di un convegno al Maschio Angioino: «Vediamo questa legge come sarà e come può essere applicata, poi prenderemo le giuste decisioni». La convenzione scade a giugno e per una proroga c’è la necessità di passare per il Consiglio comunale, come sottolinea lo stesso Esposito. Tempi serrati dunque tanto che già martedì De Laurentiis potrebbe ripresentarsi in Commissione e c’è un’altra data all’inizio di dicembre. Politicamente il patron ha capito che senza l’appoggio dell’Assemblea cittadina nessuna decisione può essere presa e così ha deciso di incontrare i consiglieri. Nella passata consiliatura per rasserenare il clima mai sereno con il Consiglio comunale De Laurentiis invitò a sue spese tutti i consiglieri a una trasferta del Napoli in Champions, chissà che non accada anche questa volta. Magari per la partita di Dortmund.

Certo ci sarà molto da lavorare. «Ascoltiamo con interesse il presidente De Laurentiis - spiega Carmine Sgambati di Napoli è tua - tuttavia prima di concedere una nuova proroga va cambiata la convenzione perché così come è il Comune ci va a perdere troppo. Bisogna trovare una giusta mediazione che sia equa per la società e per Palazzo San Giacomo». Sulla questione vendita dello stadio interviene invece Ciro Fiola del Pd: «Ho trovato un clima troppo goliardico e poco chiaro. Francamente non mi è piaciuta la discussione, sono andato via molto prima che finisse. Quello che penso io è semplice. Lo stadio non si vende, si può ragionare su di una concessione a lungo termine. Ma alla fine di ogni anno nelle casse dell’ente devono entrare dei soldi». Una situazione ancora in evoluzione che nelle prossime due audizioni potrebbe trovare la svolta. Sullo sfondo pende anche un esposto alla Corte dei Conti che in passato lo stesso presidente della Commissione Esposito ha annunciato.

La polemica

L’audizione avviene a porte chiuse

L’ira dei consiglieri: serve trasparenza

Le critiche Cronisti lasciati fuori. I partiti all’attacco di Esposito: «La città deve sapere»

di LUIGI ROANO (IL MATTINO 13-11-2013)

L’audizione in commissione sport - presidente Gennaro Esposito di Ricostruzione democratica - del patron del Napoli Aurelio De Laurentiis sul futuro dello stadio San Paolo a porte chiuse non è piaciuta ai consiglieri comunali. Molti hanno disertato, soprattutto nell’Idv, altri ci sono andati, ma precisano che alla prossima non ci saranno se la discussione non sarà pubblica. Nella sostanza, il divieto d’accesso ai giornalisti ha fatto scoppiare un caso serio in seno agli eletti del popolo. Censura? Ammiccamento verso il patron che non gradiva in quell’occasione la stampa e lo ha comunicato ad Esposito? Fatto sta che ieri ieri ce ne erano almeno una ventina di giornalisti interessati all’argomento, lasciati fuori dal palazzo di via Verdi per tre ore. Così non sono mancate le prese di posizione. «Qui non c’è nulla da nascondere - attacca Salvatore Guangi del Pdl - la settimana ventura è programmata un’altra audizione. O la si fa a porta aperte oppure possiamo anche non andarci, noi siamo trasparenti».

Ciro Fiola del Pd è sulla stessa lunghezza d’onda. «Ho trovato singolare la decisione delle porte chiuse, la città deve sapere e non far partecipare i giornalisti non è certo un buon segnale. Speriamo non si ripeta più». Carmine Sgambati di «Napoli è tua» entra diritto nel problema: «Nessuno sapeva delle porte chiuse ai giornalisti, non è stata una cosa positiva, senza la stampa è un po’ come chiudere le porte alla città che vuole sapere cosa si decide. Il presidente Esposito ha sbagliato». Ancora più tranchant il giudizio di Pietro Rinaldi della Federazione della Sinistra: «Non ho partecipato alla Commissione per questo motivo. Tante le cose che non mi sono piaciute. A cominciare dalla guardie private di De Laurentiis dentro il palazzo del Consiglio comunale di fianco ai vigili urbani, per passare alle porte chiuse. Non sono stati ammessi i giornalisti e non è stata ammesso il pubblico. Ed è per questo motivo che non ci sono andato». Rinaldi insiste: «Per me il Consiglio comunale è pubblico e aperto, altrimenti non ha senso fare un dibattito con il presidente del Napoli De Laurentiis». Duro il commento anche di Antonio Luogo dell’Idv: «Le porte chiuse sono uno schiaffo alla democrazia. Una decisione, quella del presidente Esposito, incomprensibile, così come quella di non convocare il dirigente degli impianti sportivi. Ovvero il dirigente che non ha firmato la transazione con la società perché i conti non tornano. La speranza è che alla prossima riunione ci sia più trasparenza, più chiarezza e si scoprano tutte le carte, perché noi non abbiamo nulla da nascondere».

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STORIA DI UN CALCIO MALATO

Quanto accaduto domenica non è un fatto isolato

ma l’ultimo atto di un malessere interno al sistema

Il problema non coinvolge solo il meridione

da nord a sud le storie ambigue tra ultrà e società

È NECESSARIO CHE I CLUB SIANO TRASPARENTI

NEI RAPPORTI CON LE TIFOSERIE ORGANIZZATE

di RAFFAELE CANTONE (Il Messaggero 13-11-2013)

Le tifoserie di Salerno e Nocerina sono sempre state acerrime nemiche come avviene spesso nelle rivalità di campanile. Prima che cominciasse il campionato, le autorità di polizia avevano segnalato il rischio di inserire le due squadre nello stesso girone.

E, visto che il loro grido di allarme era rimasto inascoltato, hanno poi vietato ai tifosi della Nocerina di essere presenti domenica allo stadio. Prima di provare a fare una qualsivoglia considerazione, bisogna dire subito e con forza che quello che è accaduto domenica non è un fatto né isolato né tantomeno un episodio che si può comodamente ascrivere ad un contesto particolare, evocando, ad esempio, la presenza (in questo caso, fuori luogo) della camorra, come il solito alibi capace di spiegare tutto quanto avviene in Campania. Si tratta, invece, di un bubbone esploso all’esterno che segnala un male che all’interno del corpaccione del calcio è estesissimo con profonde metastasi; è quello del rapporto ambiguo che vi è tra le società calcistiche e tifoserie violente e criminali, dietro le quali si celano variegate realtà e che non si trovano affatto soltanto nel meridione.

MARASSI SOTTO SCACCO

Partiamo dal Nord Italia e da quanto avvenuto allo stadio Marassi di Genova non molto tempo fa; in Liguria opera una tifoseria considerata molto “effervescente”; mi stupì non poco alcuni anni prima nell’apprendere che il collega della procura che, indagando su altri reati, aveva scoperto la combine della partita Genoa-Venezia era stato costretto per un periodo a vivere scortato perché considerato la causa della mancata promozione/retrocessione della squadra; come se si fosse occupato non di una frode sportiva ma di un processo di mafia! Quella tifoseria, in cui sono presenti capitifosi pregiudicati per reati gravi, riuscì ad interrompere una partita di serie A e a pretendere che i calciatori della propria squadra si togliessero le magliette e le consegnassero a loro; gli animi vennero sedati grazie all’intervento di un calciatore della squadra di casa, Giuseppe Sculli, noto fra l’altro oltre che per essere stato condannato dalla giustizia sportiva per la combine di una vecchia partita giocata in Calabria, per essere il nipote preferito di uno dei più importanti capondrine calabresi. Le persone di buona memoria non possono non ricordare quel calciatore, unico della sua squadra con la maglia ancora indosso, arrampicato sugli spalti che parla all’orecchio ad uno dei capi della tifoseria per convincerli a desistere dai loro propositi bellicosi, ottenendo alla fine il risultato.

ANCHE A ROMA

Scendiamo nella Capitale, dove più che riportare alla memoria gli scontri violentissimi avvenuti per strada con i tifosi che avevano assaltato una caserma della polizia, sarebbe interessante ricordare quanto emerso a margine dell’indagine sul famoso tentativo di scalata dei casalesi alla società della Lazio, utilizzando la bandiera di Giorgio Chinaglia; in quel gruppo che si era cementato intorno a quel nome storico, vi erano pezzi di tifoseria, considerata dagli inquirenti legata alla criminalità romana e contraria alla gestione del presidente Lotito. Il patron biancazzurro si era “permesso” di togliere loro il monopolio di fatto della gestione del merchandising e dell’organizzazione delle trasferte; erano arrivati persino a minacciare di morte il presidente.

ALL’OMBRA DEL VESUVIO

Scenderei, di seguito, a Napoli, dove gli episodi da raccontare sono numerosi; esponenti della tifoseria violenta utilizzati dalla camorra per fomentare i disordini contro l’apertura di una discarica di Pianura, l’organizzazione dei pestaggi di pacifici tifosi inglesi venuti a Napoli per la trasferta della propria squadra in Champion. Ve ne è uno che merita però una menzione particolare, meno noto e solo apparentemente meno significativo; nell’ambito di un’indagine di droga emerse che un calciatore del Napoli, Fabiano Santacroce, si era recato da un piccolo pregiudicato per droga agli arresti domiciliari, ma esponente di un gruppo di tifosi, per fargli omaggio (?) delle magliette dei calciatori con tanto di firme apposte su di esse; quell’episodio ripreso dalle microspie della Procura partenopea - a cui va dato il merito di avere per prima creato un gruppo di lavoro sui reati da stadio – ebbe un seguito processuale; il calciatore interrogato dai pm ammise di essere consapevole che la persona incontrata era agli arresti domiciliari ed affermò di essere stato inviato lì dal capitano della squadra.

FINO ALLA SICILIA

Infine Palermo; anche qui scegliendo fra le varie vicende avvenute si potrebbe non solo ricordare le indagini della locale procura distrettuale sulla gestione dei biglietti omaggio da parte dei clan cittadini di Cosa Nostra (spartiti con una logica che sembrava ricalcare quella dell’importanza delle "famiglie") ma anche la storia inquietante e mai del tutto chiarita dello striscione apparso in curva contro il regime di carcere duro del cd 41 bis; guarda caso, la squadra che si contrapponeva al Palermo rappresentava la città nel cui carcere era detenuto il capo della Mafia.

TANTI ALTRI CASI

E si potrebbe continuare forse riuscendo ad individuare quelli che sembrano aneddoti per ognuna delle tifoserie delle squadre più o meno importanti; si tratta, invece, della plastica dimostrazione di come i gruppi della tifoseria organizzata spesso utilizzino gli spalti per ragioni solo criminali, ma lo fanno grazie a rapporti con le società, spesso fondati sul ricatto ma in qualche caso anche su vere e proprie forme di connivenza. La storia della Nocerina va letta attraverso questa lente ed impone interventi che siano sì durissimi con riferimento all’accaduto, ma che debbono provare ad occuparsi del problema a monte, e cioè recidere il nodo di questi legami chiaramente incestuosi. Vanno messi in campo rimedi seri e adeguati alla gravità del problema. In primo luogo alle società deve essere imposto di fare la loro parte; bisogna, infatti, smetterla di pensare che del tifo violento e criminale si debbano occupare solo le forze dell’ordine; in Inghilterra dove il problema non era certo meno grave, l’utilizzo di steward professionalmente attrezzati ha consentito di isolare gli hoolingans e di arrivare ad abbattere le barriere fra campo e tribune. Gli steward che ladomenica incontriamo nei nostri campi spesso sono ragazzi improvvisati, senza alcuna specifica preparazione, chiamati la domenica e pagati con pochi spiccioli.

LE SANZIONI DA ADOTTARE

Il secondo tema riguarda le sanzioni da adottare da parte di una giustizia sportiva, sulla cui scarsa credibilità ed autorevolezza è meglio non dire altro. È giusta l’idea che bisogna punire i tifosi punendo le società, ma chiudere stadi o interi settori rischia di essere una strategia sbagliata che finisce per penalizzare i tifosi che gli abbonamenti li pagano e di aumentare il potere di ricatto dei delinquenti. Le società siano trasparenti nei rapporti con le tifoserie; bisogna sapere quanti biglietti ed accrediti danno ai capitifosi e capire a chi di loro sia dato libero accesso in allenamenti o nei campi di gioco. Le società che non fanno il loro dovere siano sanzionate economicamente, anche con la perdita dei contributi o dei diritti televisivi. E, infine, si istituzionalizzi il raccordo con le forze di pubblica sicurezza; ci sarà qualcuno - oltre la Nocerina - che pagherà per non essere stato a sentire le raccomandazioni di chi aveva previsto tutto in anticipo? In una nazione, in cui le dimissioni sono pochissime e la destituzione dagli incarichi ancor più rare è semplice anticipare la risposta esatta alla domanda.

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IL CASO NELLA BUNDESLIGA

Bufera in Austria

Difensore denuncia ricatto: 3 arresti

Toboga, del Grödig, pressato per manipolare

alcune gare: in cella ex punta della nazionale

di CHRISTIAN REICHEL (GaSport 14-11-2013)

Scandalo scommesse anche nella Bundesliga austriaca. Lunedì scorso Dominique Taboga, difensore del neopromosso Grödig, ha sporto denuncia per essere è stato ricattato con lo scopo di manipolare diverse partite. Il giocatore ha affermato di aver subito pressioni per truccare le gare e dopo essersi rifiutato ha dovuto pagare 70 mila euro per evitare «gravi conseguenze» per sé e la sua famiglia I responsabili del Grödig hanno confermato l’accaduto e hanno anche sospeso Taboga finché non siano chiariti i fatti. Nel corso di una consegna di denaro sono state arrestate tre persone, fra cui il 36enne Sanel Kuljic: l’ex attaccante (Salisburgo, Sion, Austria Vienna, Neuchatel), ha disputato 20 partite con l’Austria, segnando tre gol. Taboga è stato interrogato dalla polizia: il difensore avrebbe ridotto da 70 a 30 mila euro la cifra sborsata. Intanto una delle tre persone arrestate martedì, con una spettacolare azione in un centro commerciale, è stata liberata, mentre le altre due rimangono a disposizione. Taboga non è stato arrestato, finora viene definito come vittima. Ma è ancora da chiarire il ruolo del difensore: lui e Kuljic erano compagni la stagione scorsa a Kapfenberg (Serie B). Kuljic aveva annunciato il ritiro dopo la rottura dei legamenti crociati subiti nella primavera di quest’anno. Proprio domenica Taboga ha causato un rigore col Rapid Vienna: i viennesi hanno così salvato un punto segnando il 22. Ma ogni movimento di Taboga ora desta sospetti.

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Corriere della Sera 14-11-2013

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OGGI RIUNIONE INFORMALE

Sorpresa in Lega

Img offre 3 miliardi

Proposta triennale dell’advisor

per prendere il posto di Infront

di MATTEO BREGA (GaSport 14-11-2013)

Da una manifestazione di interesse a una proposta concreta: Img ha avanzato un’offerta per diventare il nuovo advisor della Serie A almeno per il triennio 2015-2018 mettendo sul tavolo un minimo garantito di 2,979 miliardi di euro proveniente dalla vendita dei diritti tv italiani e internazionali. Così ripartiti: 986 milioni il primo anno, 993 il secondo, un miliardo il terzo. Di più dei 5,49 spalmati in sei anni (fino al 2021) proposti da Infront. Le commissioni di Img sarebbero del 15% e scatterebbero oltre il minimo (Infront viaggia sui 35-40 milioni sul miliardo di ricavi).

Riunione Oggi i club si ritrovano in Lega a Milano per una riunione informale. In origine avrebbero dovuto parlare della controproposta da presentare a Infront. Perché le sette sorelle, (Fiorentina, Inter, Juventus, Roma, Sampdoria, Sassuolo e Verona) sono pronte a respingere la proposta di Infront e con loro il fronte dei «ni» si starebbe allargando come una crepa sul parabrezza. È probabile che stamattina in via Rosellini si parlerà prima di questa nuova proposta. Arrivata appositamente ieri, in tempo prima dell’assemblea di lunedì. Nella valutazione si terrà conto comunque del fatto che Infront ha un contratto in essere valido fino al 30 giugno 2016.

Img Tra l’altro da quel che filtra, l’offerta presentata ieri non sarebbe rigida. Per il momento si parla del triennio 2015-18, ma non è escluso che i vertici di Img potrebbero allungare l’arco temporale, magari arrivando come Infront al 2021. Si attendono le controproposte. In primis dalla Lega di A. E poi di Infront che non aspetterà a braccia conserte.

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Il focus

Debiti e otto inchieste,

stadio nel caos

Impianto colabrodo e traffici illegali: indagano Procura e Corte dei conti

La polemica Lite sui soldi che la società deve versare al Comune: «600mila euro» «No, vogliamo 4,4 milioni»

di LUIGI ROANO (IL MATTINO 14-11-2013)

Si parla, si litiga e si discute sul futuro del San Paolo, ma se non si risolvono prima le grane amministrative, legali, finanziarie e giuridiche, è impossibile qualsiasi ipotesi di convenzione, dismissione o concessione della vetusta struttura di Fuorigrotta. Per capire di cosa si sta parlando basta pensare che sullo stadio incombono 6 inchieste della Corte dei Conti e almeno un paio della magistratura ordinaria.

Procediamo con ordine, a cominciare da ieri quando cioè il presidente Aurelio De Laurentiis denuncia in commissione consiliare che il suo debito verso il Comune è di 600mila euro più Iva, soldi che non versa perché se lo facesse non andrebbero nelle casse del Comune ma in quelle dei creditori. Nello specifico la società Condotte d’Acqua che ha chiesto il pignoramento per ben 3,8 milioni. Un sub-appalto per lavori fatti non solo al San Paolo, mai saldato. Forniture idriche tutte da chiarire, tanto che un anno fa il Comune decide di mettere un contatore dell’acqua esclusivamente per verificare i consumi quando si irrora il prato. Ma davvero il debito del patron è di 600mila euro? La transazione tra Comune e società è un nodo che nessuno riesce a sciogliere da almeno un anno. Ballano cifre e sospetti. Se dal Calcio Napoli denunciano 600mila euro dal Comune sostengono che il debito ben più elevato, si parla di una cifra di 4,4 milioni. Però, sostengono dalla Società, bisogna decurtare tutti i lavori che il Napoli ha anticipato e che sono stati necessario per avere l’agibilità del San Paolo. Insomma un pasticcio. Al punto che il dirigente addetto agli impianti sportivi del Comune non ha voluto firmare i conti presentati dalla Società. Con questi presupposti si può chiudere una nuova convenzione per l’utilizzo dello stadio tra Palazzo San Giacomo e Calcio Napoli? Assolutamente impossibile.

Passiamo alla Corte dei Conti, ben sei le inchieste che pendono sulla gestione del San Paolo. Tutte scattate per l’uso improprio dell’impianto. Si ricorderà che di notte per un periodo è diventato il parco dell’amore, con addirittura una garconniere. Già al centro di numerose inchieste per la sua eccessiva permeabilità, con tanto di traffici illegali. Una inchiesta interna di Palazzo San Giacomo trasformatisi poi in inchiesta giudiziaria. Un dossier che ancora oggi è sui tavoli della Procura della Corte dei Conti e della Magistratura ordinaria, che dopo 15 mesi di indagini potrebbero stringere il cerchio intorno a chi ha così svilito il tempio del calcio partenopeo. Detto questo, la Procura ha acceso i riflettori sul San Paolo da mesi e mesi e l’ultima visita risale a luglio quando ha acquisito la documentazione relativa ai passati certificati di agibilità, con riferimento agli ultimi 7-10 anni. Una acquisizione di documenti specifica, figlia molto probabilmente delle stesse denunce partite da Palazzo San Giacomo. Gli investigatori hanno bussato anche alla porta della «Commissione provinciale di vigilanza per il pubblico spettacolo» di nomina della Prefettura e permanentemente riunita a Palazzo di governo, dove hanno chiesto anche qui la documentazione sulla stadio per lo stesso periodo. Si ricorderà che in estate nessuno voleva rilasciare il certificato di agibilità dello stadio per un motivo semplice, in passato nessuno lo aveva mai fatto.

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Stadi vuoti e ultrà violenti

il flop della tessera del tifoso

Sei anni dopo Raciti, ecco perché la legge non funziona

Record negativo di presenze: poco più di 23 mila di media. “È uno slalom tra divieti e teppisti”

Meno feriti, ma sempre più potere alle curve. La Juve: i bambini in quelle chiuse per i cori

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 15-11-2013)

La medicina non ha funzionato, in compenso, però, ha danneggiato il malato forse più della malattia stessa. Di questo sta morendo oggi il nostro calcio. «Renderemo gli stadi dei luoghi sicuri e faremo tornare le famiglie con i bambini» era l’inverno del 2007, da poco a Catania era morto negli scontri per il derby contro il Palermo l’ispettore Filippo Raciti e con queste parole dal Viminale promisero che nulla sarebbe stato come prima. S’inaugurò così una stagione di riforme, alcune delle quali al limite della costituzionalità. Tessera del tifoso, Daspo, divieto di trasferta, biglietti nominali, tornelli. Novità introdotte in tempi e da ministri diversi, tutte però nella stessa direzione: blindare lo stadio, renderlo difficilmente accessibile a tutti, criminali e non. Nonostante le polemiche il Viminale non fece un passo indietro. Ma oggi, sei anni dopo, bisogna essere in cattiva fede per non vedere che l’obbiettivo è stato completamente fallito. La violenza continua, si è solo spostata da dentro a fuori lo stadio. In compenso si sono attivati dei meccanismi che hanno concesso alle tifoserie organizzate la possibilità di tenere sotto costante ricatto i club.

Di contro è vero che gli stadi sono diventati dei luoghi più sicuri. Ma solo perché allo stadio non va più nessuno. In questa stagione è stato raggiunto il record negativo di presenza in serie A: la media nelle prime giornate di campionato supera di poco le 23mila presenze a partita. Pochissimo soprattutto se si contano i boom di Roma e Napoli, il rilancio dell’Inter e la conferma della Juventus (nella curva squalificata nella prossima partita ci saranno i bambini). La media degli anni scorsi era sempre stata superiore ai 26mila, poi si era scesi a 25mila e 400, lo scorso anno a 24.600. Nulla se si pensa ai 45mila della Bundesliga, i 34 della Premier e i 28 della Liga. «Se non ci sarà un intervento i numeri continueranno a scendere» spiega il presidente della Lega di serie B, Andrea Abodi, ancora più preoccupato di quello che sta accadendo perché nel suo caso i numeri sono ancora più bassi. La media della B è di 18mila spettatori a partita. Lo scorso anno erano 24mila, nel 2005 prima del decreto Amato 37.450. La “scusa della televisione”, con la gente che preferisce il divano alla tivù, si schianta con gli abbonamenti delle pay per view sul calcio in costante calo. «Essere innamorati del pallone tra steward è divieti è eroico: ci proibiscono di portare gli ombrelli e gli stadi sono scoperti...» dice Abodi. Non è un caso che la settimana prossima il ministro degli Interni, Angelino Alfano, e il capo della Polizia, Alessandro Pansa, saranno in Lega per parlare di steward e semplificazione delle norme.

Dall’Osservatorio per le manifestazioni sportive del Viminale fino a oggi si sono sempre detti entusiasti dei risultati arrivati con l’introduzione delle norme sicurezza. Gli incidenti con feriti negli stadi sono calati del 72 per cento, dicono, e i feriti tra gli agenti del 92. Omettono però di dire che gli scontri si sono spostati in molti casi fuori dagli stadi (33 episodi censiti quest’anno). Come invece sanno perfettamente gli agenti che ogni domenica fanno il servizio di ordine pubblico: «Non andiamo più a fare la guerra - ammette uno di loro - però abbiamo smesso di fare il servizio informativo, e affidare il controllo interno alle società in molti casi ha significato di fatto metterlo nelle mani delle tifoserie organizzate, ormai potentissime».

Un potere che adesso si fatica ad arginare con gli stessi strumenti che hanno creato questa situazione. «Pensare di gestire con i Daspo problemi come quello di Nocera è folle - ha spiegato il magistrato antimafia, Raffaele Cantone - Il problema è che manca completamente il filtro della Lega e della Federazione ». E’ da lì che si deve ripartire. Dai padroni del calcio. Ma chi gestisce il calcio oggi è lo stesso di quarant’anni fa. E che ha sempre avuto a cuore ben altri aspetti della vicenda. Basti pensare che, mentre società e calciatori cercano di sottrarsi agli eterni ricatti delle curve, la Lega Pro si prende la briga di inviare domenicalmente una multa da mille euro a tutti i club che inviano al sito immagini delle gare non adeguatamente montate, come da contratto. Servono per gli highlights.

La norma in vigore

Sotto controllo finiscono trasferte e abbonamenti

La tessera del Tifoso entra in vigore dalla stagione 2010-2011 dopo una direttiva varata dall’allora Ministro dell’Interno, Roberto Maroni, il 14 agosto 2009: uno strumento che prevede le modalità di verifica dei requisiti per il rilascio dei titoli di accesso allo stadio. Indispensabile essere possessori della Tessera - rilasciata dalle società - per acquistare un abbonamento o un biglietto per il settore ospiti: pregiudiziali per il rilascio i Daspo in atto e le condanne per reati da stadio (anche non definitive) nei 5 anni precedenti la richiesta. Il dispositivo è regolato dal decreto dell’8 febbraio 2007 sulla sicurezza negli stadi, emesso a caldo sull’onda emotiva dell’omicidio dell’ispettore Raciti durante gli scontri tra ultrà catanesi e polizia del 2 febbraio 2007. Un decreto che ridefinisce i confini della “prevenzione e repressione di fenomeni di violenza in occasione di eventi sportivi”: tornelli e zone di prefiltraggio obbligatori, biglietti nominali, divieto di striscioni incitanti alla violenza, controllo degli steward a carico delle società e l’introduzione del Daspo preventivo con l’estensione della “diffida” alle 24 ore precedenti e successive la manifestazione sportiva. Con inevitabile militarizzazione degli stadi.

Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 15-11-2013)

Una legge da rifare.

Ora servono i fatti

È ora di dirlo senza girarci troppo intorno: la legge contro la violenza negli stadi è un fallimento e va rifatta. Le norme che regolano lo spettacolo da stadio, in Italia, sono state varate dopo l'assassinio di un poliziotto, l'ispettore Filippo Raciti, con l'intento di stroncare la violenza degli ultrà all'interno degli impianti, costasse ciò che costasse. Un punto di partenza naturalmente condiviso da tutti, ma che ha dato vita a una legge fondata su un principio assai discutibile: la rinuncia a parte delle libertà individuali dei cittadini (blindatura degli stadi, schedatura di massa con i biglietti nominativi prima e la tessera del tifoso poi), in cambio della garanzia della identificabilità, e dunque della possibilità di punire i comportamenti illegali. Ci si interrogò a lungo, fin dal primo decreto Amato (2007) su quanto fosse giusto arrivare a tanto: impedire il libero accesso a uno spettacolo pubblico - come lo sono il cinema o il teatro - in cambio di meno scontri, meno feriti, meno violenza. Repubblica fu tra i giornali più critici, soprattutto dopo l'introduzione della tessera del tifoso (2010): troppo alto il prezzo da pagare per le persone perbene, da un giorno all'altro costrette a rientrare in una categoria di vigilati speciali: andare allo stadio a vedere la partita diventava improvvisamente un'attività sospetta. Ma l'ondata emotiva successiva alla morte di Raciti, l'insurrezione seguita a quella altrettanto assurda di Gabriele Sandri, resero il dissenso marginale, quasi provocatorio: bisognava usare il pugno di ferro, prevenire con i tornelli, le tessere, le limitazioni, le ordinanze prefettizie, i divieti, i Daspo preventivi. Era l'unico modo per riportare la civiltà.

Sei anni dopo, il Viminale può vantare con soddisfazione i numeri macroscopici sulla diminuzione degli incidenti e dei feriti dentro gli stadi: quelli tra le forze dell'ordine sono calati addirittura del 92%. Sono dati inoppugnabili e certi: dentro lo stadio non ci sono più lacrimogeni e manganelli perché non ci sono più poliziotti, sostituiti con gli steward; i tifosi in trasferta vengono incolonnati e impacchettati in settori-gabbie, dai quali escono per ultimi, a volte ore dopo la fine della partita cui hanno assistito; i fenomeni di invasione di massa di stadi altrui sono finiti per sempre. Ciò che il Viminale non dice, perché non interessa certo alla polizia, è che le leggi Amato-Maroni hanno contribuito a deteriorare ulteriormente la cultura da stadio in Italia, un dato questo non misurabile da nessuna statistica, ma che è sotto gli occhi di tutti. Mentre gli ultrà sono sempre lì, e sempre più consapevoli del proprio potere di ricatto, le norme repressive e preventive hanno privato le persone normali di un'abitudine come quella di svegliarsi la mattina, vedere il sole e decidere di portare i figli allo stadio; hanno reso la fruizione di un allegro spettacolo pubblico una triste battaglia privata contro la burocrazia; hanno escluso di fatto gli appassionati meno facoltosi, che non possono comprare i costosi biglietti di tribuna e non si azzardano più ad andare nei popolari, diventati territorio franco ultrà. Ma, soprattutto, la legge ha tradito il suo presupposto chiave: quel sacrificio richiesto - rinunciare a una fetta di libertà individuale in cambio della certezza di civiltà e sicurezza - si scontra clamorosamente con quanto accaduto a più riprese in questi anni in tutta Italia: prima dello spettacolo finale di Salerno, abbiamo visto le maglie fatte sfilare ai genoani, gli stadi chiusi per razzismo, allenatori minacciati dentro gli spogliatoi, giocatori costretti a chiedere scusa ai capobastone delle curve, altri obbligati a cambiare aria, la capitale del paese messa a ferro e fuoco nel pomeriggio di un derby, decine e decine di "puncicati" un po' ovunque, teste sanguinanti di padri e madri di famiglia colpite da rubinetti e pezzi di gabinetto, pullman di squadre assaltati e spaccati, agguati, bombe carta e sassaiole a volontà.

Questa non è civiltà. Questa non è sicurezza. Questa si chiama violenza. Questo significa che quella legge ha fallito, ed è ora che la politica metta le mani nella questione stadi: non soltanto facilitandone la costruzione, ma anche e soprattutto cambiandone il contenuto. Non con gli slogan - la abusata tolleranza zero, invocata anche da Letta. Ma con i fatti.

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DIRITTI TV

La Lega a Infront:

minimo un miliardo

No all’offerta Img

di MARCO IARIA (GaSport 15-11-2013)

La certezza è che l’interlocutore della Lega è rimasto Infront. È stata respinta la proposta di Img di gestire i diritti tv del triennio 2015-18. Offerta economicamente allettante (minimo garantito di 2,979 miliardi) ma tecnicamente irricevibile perché Img si propone come intermediario indipendente, figura regolamentata dalla Legge Melandri e che può essere individuata solo con una procedura competitiva. Ecco perché Maurizio Beretta ha inviato per conoscenza alle autorità garanti la risposta a Img. Il quasi miliardo annuo di Img, comunque, è una specie di «arma» per la Lega nel negoziato che faranno con Infront. È scontato, infatti, che l’assemblea di lunedì respingerà la proposta dell’advisor (minimo di 900 milioni nel 2015-18 e di 930 nel 2018-21) elaborando una controproposta.

Cifre Ieri i club hanno cercato di arrivare a un documento unitario, che tuttavia ancora non c’è. Juventus e Roma hanno espresso la loro contrarietà sulle cifre. Non tanto sul minimo da un miliardo a stagione da chiedere a Infront, quanto sul risultato che l’agenzia dovrebbe raggiungere per la riconferma del mandato per il 2018-21: la maggioranza punterebbe su un miliardo e cento milioni, ma alcune società ritengono più strategico alzare l’asticella per poi trovare un punto di caduta. Tutti d’accordo a vincolare il rapporto con Infront: alla fine del primo triennio, se non si raggiungono determinati obiettivi, scatterebbe la risoluzione del contratto. Quanto alle commissioni, la Lega vorrebbe proporre il 3% oltre il miliardo per i diritti domestici e il 4% per quelli esteri: una drastica riduzione rispetto a quanto percepisce ora Infront. Ma in una trattativa, si sa, ognuno gioca le sue carte.

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Lo scontrino dell'odio Un negozio di Melito di Napoli stampa scontrini con la scritta "Odiamo la Juve".

Notizia del 18 Ottobre 2013 - 18:43 [libero.it]
Chissà quanti clienti tifosi della Juventus avrà questo negozio di Melito di Napoli, paesone di quasi 40mila abitanti confinante con il capoluogo. Presumibilmente pochi.
Il proprietario del locale, con ogni probabilità tifoso azzurro doc, in fondo al normale scontrino, invece di stampare i più canonici e tradizionali "Grazie" o "Grazie e arrivederci", ha pensato bene di scrivere "Odiamo la Juve".
Non è il primo caso: lo scorso febbraio in un pub di Corso Garibaldi a Napoli apparirono scontrini fiscali con la scritta "Odia la Juve", che generarono polemiche furiose a Torino.
Modificato da totojuve

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Lo scontrino dell'odio Un negozio di Melito di Napoli stampa scontrini con la scritta "Odiamo la Juve".

Notizia del 18 Ottobre 2013 - 18:43 [libero.it]
Chissà quanti clienti tifosi della Juventus avrà questo negozio di Melito di Napoli, paesone di quasi 40mila abitanti confinante con il capoluogo. Presumibilmente pochi.
Il proprietario del locale, con ogni probabilità tifoso azzurro doc, in fondo al normale scontrino, invece di stampare i più canonici e tradizionali "Grazie" o "Grazie e arrivederci", ha pensato bene di scrivere "Odiamo la Juve".
Non è il primo caso: lo scorso febbraio in un pub di Corso Garibaldi a Napoli apparirono scontrini fiscali con la scritta "Odia la Juve", che generarono polemiche furiose a Torino.

stai attento

stai facendo del terrorismo raziale

ti fanno chiudere 2 locali di casa tua

questo è folccccrrrrore

è il modo di esprimersi di questa gente cosi espansiva

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La battaglia La sfida lanciata dalla proprietaria di un pub, ora rischia di diventare la sentenza Bosman del settore audiovisivo

E sui decoder Bruxelles dà

ragione alla barista inglese

Diritti tv, si muove l’Antitrust: a rischio le licenze nazionali

di IVO CAIZZI (CorSera 24-11-2013)

L’obiettivo è il Mercato unico con una maggiore liberalizzazione dei diritti televisivi nei 28 Paesi dell’Ue, soprattutto per le partite di calcio, altri eventi sportivi, film e programmi musicali. La Commissione europea intende eliminare le restrizioni nazionali, generatrici di eccessivi costi e di esclusioni per centinaia di milioni di telespettatori europei. I servizi di quattro commissari, lo spagnolo Joaquín Almunia (Concorrenza), il francese Michel Barnier (Mercato interno), la olandese Neelie Kroes (Agenda digitale) e la cipriota Androulla Vassiliou (Cultura), stanno operando in questo senso, cercando di superare le resistenze di grandi operatori privati del settore. Il quotidiano Financial Times ha attribuito notevole peso, nello sviluppo di questa iniziativa, anche agli sviluppi di una indagine dell’Antitrust di Almunia sul rispetto della normativa Ue nelle limitazioni nazionali delle pay-tv sui diritti per partite di calcio e film. Le eventuali sanzioni possono arrivare al 10% del fatturato.

Il punto di partenza è stata la vittoria nel 2011 alla Corte europea di giustizia della britannica Karen Murphy, che aveva contestato una multa comminata perché nel suo pub faceva vedere partite di calcio utilizzando una scheda greca (molto meno costosa di quella locale della multinazionale Sky). La sentenza Murphy promette di rivelarsi per la liberalizzazione dei diritti televisivi in Europa simile a quanto provocato nei trasferimenti dei calciatori dal giudizio a favore del belga Jean Marc Bosman. Già è diventato possibile acquistare una card per ricevere programmi satellitari in qualsiasi Paese membro. Ulteriori miglioramenti per i consumatori sono in corso di valutazione.

Almunia ha fatto sapere al Corriere, tramite il suo portavoce Antoine Colombani, che dopo il verdetto degli euro-giudici nel 2011 «la Commissione ha condotto una investigazione di ricerca dei fatti per esaminare se gli accordi di licenza per i contenuti di premium pay-tv contenessero clausole di totale restrizione territoriale in grado di restringere la concorrenza, intralciare il completamento del Mercato unico e impedire ai consumatori l’accesso transnazionale ai contenuti sportivi e ai film». Nessun commento è stato espresso da Almunia sul procedimento in corso. Anche perché l’obiettivo della attuale Commissione europea, che si avvicina al termine del suo mandato, è di tentare prioritariamente il «percorso veloce» degli accordi con le imprese del settore. A questo proposito è in fase avanzata il programma «Licenze per l’Europa», guidato da Barnier, Kroes e Vassiliou, che punta a sviluppare proprio il Mercato unico dell’industria audiovisiva. Tra i primi obiettivi c’è arrivare gradualmente alla «portabilità » dei programmi tv per i cittadini europei che si spostano nei 28 Paesi membri. In assenza di risultati adeguati, la Commissione chiederebbe l’introduzione di regole inderogabili.

Queste iniziative di Bruxelles potrebbero risolvere alle comunità italiane all’estero l’antico problema dell’impossibilità di vedere le partite di calcio della nazionale azzurra trasmesse dalla Rai, che vengono criptate oltreconfine per un problema di costi e di limitazioni dei diritti fuori dall’Italia. L’eurodeputato Enzo Rivellini del Ppe ha sollecitato l’intervento del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano per convincere i vertici della tv di Stato a trovare una soluzione in vista dei prossimi mondiali di calcio in Brasile.

L’apripista

«Mi davano della criminale, ho vinto io»

di PAOLA DE CAROLIS (CorSera 24-11-2013)

«È un buon inizio». Karen Murphy, proprietaria del pub Red White & Blue di Portsmouth, non aveva letto la prima pagina del Financial Times prima di essere raggiunta al telefono, ma non le fa più effetto vedere sui giornali il suo nome o le ripercussioni di una battaglia legale che per sette anni le ha complicato la vita e fatto perdere clienti.

Bruxelles lancerà un’inchiesta sui diritti nazionali della pay tv?

«Vediamo cosa succede. Per ora la situazione non è cambiata molto, la gente ha ancora paura a usare la scheda di un altro Paese perché Sky e la Football association hanno da sempre troppo potere».

Senza di lei e la sua determinazione ad andare avanti nonostante i costi stratosferici di avvocati e ricorsi, forse oggi non ci sarebbe la sentenza della corte europea sul decoder libero.

«Mi è sempre sembrato immorale dover pagare centinaia di sterline al mese per guardare le partite di calcio in tv. Il consumatore generalmente ha il diritto di scegliere che prodotto comprare, con lo sport no. Pazzesco».

Ha usato una scheda greca per far vedere le partite nel suo pub sino a quando Sky l’ha bloccata. Per 7 anni, sino alla fine dell’iter legale.

«Tanta gente ha smesso di venire da noi. A nessuno piace il fatto che oggi il calcio sia fatto di soldi e diritti tv, ma alla fine vogliono vedere le partite. Adesso stanno tornando. Sono stati anni molto difficili. Mi hanno dipinto come una criminale, ma ho sempre saputo di essere dalla parte del giusto».

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SPORT 24-11-2013

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Investigative journalist Declan

Hill continues his crusade against

the scourge of match-fixing in soccer.

Ottawa journalist Hill paints disturbing picture in new book

by RICHARD STARNES (Ottawa Citizen 16-11-2013)

On Tuesday, Ottawa investigative journalist Declan Hill told the European Parliament that if something is not done to crush match-fixing across the continent, spectator sport as we know it will begin to die.

He explained how sports fans throughout Asia have turned away because they no longer want to watch a match that has quite likely been fixed, and he called on prominent European politicians to stand beside him to demand action.

Later that day, he reiterated to me from his Brussels hotel room that global sports corruption is growing at such an alarming rate that it threatens to ruin sport.

If anyone has earned the right to say this, this remarkable crusader must be him.

Ten years ago, he launched into his Oxford University doctorate with a look at match-fixing in soccer — and by extension, as it turned out, other sports. And he has been shaking the soccer world by the neck ever since. He has sought out dangerous individuals, frightened individuals, major soccer players, match officials and team owners and their underlings.

His first book, The Fix: Organized Crime and Soccer, zipped around the world to a mixed early reception. The trouble was amateur and professional soccer players, millions of fans and a host of those in official capacities either didn’t believe him or, more likely, didn’t want to. He struck at the heart of the game in some of the most hallowed halls of the sport. Famous clubs, famous players, famous officials under scrutiny. That first book has become a must-read in the five years since it appeared.

Now he is telling us that those who didn’t believe then had better start changing their minds.

Hill has travelled the world preaching the gospel. He has testified on match-fixing in professional sports to the International Olympic Committee and the Council of Europe. Now he has launched his second salvo with The Insider’s Guide to Match-Fixing in Football, which was unveiled for the Kindle on Monday.

From where I sit, it promises to lift the lid once more, letting out the stench of corruption and warning the world that sport as a whole and soccer in particular is under threat.

He sees it as war and he intends to win it.

Maybe that’s a little too strong, but Hill is convinced that if something is not done to correct the problem, our children or grandchildren may no longer be able to enjoy a simple match between two “clean” teams intent on sporting endeavour. Would any of us want to watch something that had been arranged in a dressing room somewhere or in a dark alley? Of course not.

During his doctorate, Hill amassed a huge collection of statistical evidence to help prove his point, and he has turned it into a book because he wants all of us with a love for honest competition to understand just how perversely and insidiously matchfixing is wrapping its tentacles around sports.

Anyone with an inquisitive eye might have spotted a man sitting in the corner of The Georgetown Pub in Old Ottawa South pecking away at a keyboard. They would have had no idea it was Hill turning out an academic statistical book that he has managed to write as a non-academic must-read.

He has littered the book with so many anecdotes that it is difficult to set aside.

Some were directly relayed to him in often hair-raising, almost unbelievable interviews, some from corruption court cases. He is even cheeky enough to suggest average fans skip the first four chapters if statistics send them to sleep. Don’t do that. There are far too many gems in there to allow you to drop off.

“At this moment, global sports corruption is in the hands of fixers in Indonesia, Singapore, Malaysia and Thailand,” Hill says. Then he tells me that his research clearly indicates that Europe is under siege. Those fixers have spread into the Czech Republic, Finland, Italy, Slovakia, Greece, Germany, Belgium, Switzerland and more. The list is eye-popping.

He says what has been happening to sports in Asia is there to see. Sponsors dropping off, fans staying away.

“With a very few honourable exceptions, it is so thoroughly corrupted and disgraced, most sports fans in Asia simply don’t bother. Instead, they watch the Premier League, Formula One, the NBA and switch off their local product.”

Then he gives me another shock, intended to emphasize the point that the cancer is spreading. That is how he described it in a speech to the Council of Europe — with apologies if the cancer analogy was too distasteful.

He seldom minces words.

“Italian and Turkish soccer is a dead man walking,” he says. “Right now Italian police say more than 20 teams are under investigation for match fixing in Serie A and Serie B (the top two professional leagues in the country). That’s 50 per cent. And if you include Serie C, more than 40 teams are being investigated for money laundering. There is a fully organized system of corruption.”

We soccer fans want to cover our ears when we hear stuff like that. But Hill has no intention of letting us.

He has on his side Dick Pound, the Canadian mastermind behind the World AntiDoping Agency, which has become so powerful it is capable of helping to bring down the most famous cheating untouchables. Remember Lance Armstrong?

And, judging by reaction from some of the prominent politicians at the European Parliament who have told him they will spread the message with him, he has a growing band of influential people ready to join the fight.

So where do we need to go from here?

Hill looks back to 1985 to support what he suggests.

That was the year when 89 (sic, ndt) Juventus fans died after a brutal confrontation with Liverpool fans in Brussels before the European Cup Final, the continent’s most important club contest. The European soccer authority (UEFA) told English authorities they had a soccer hooligan problem and banned all clubs in the country indefinitely. It lasted five years — six for Liverpool — by which time the hooligan element had been mostly eradicated. Families could return to stadiums to watch games in safety.

It was the tough stance that forced change, and Hill believes similar action is required here.

“At this moment, the Asian problem is racing round the world like the Asian flu,” he says. “We need to say to Indonesia, Singapore, Malaysia and Thailand governments: ‘With the greatest respect, your criminals are coming to Europe and fixing our sports. It has to stop and, if you don’t start taking measures, you are not welcome in international sport for the next two-to-five years.”

Europe’s most influential soccer authority — UEFA president Michel Platini — is onside.

In 2011, he told the Council of Europe: “European football is afraid … European sport is afraid because of a match-fixing phenomenon that is developing in connection with large-scale online betting activities … If tomorrow we’ll see a game and we already know the result, football is dead.” He reiterated the warning in an interview in September.

Hill is also calling for an independent international corruption agency to be set up to steer the fight — much like the anti-doping agency.

He is hoping what he reveals in The Insider’s Guide to Match-Fixing in Football will be a key persuader.

Former S-League player says

he will plead guilty to all allegations

by K.C. VIJAYAN (The Straits Times 24-11-2013)

Former S-league player Gaye Alassane, who is being detained without trial for being part of a global match-fixing ring, now says he is prepared to plead guilty to all the allegations against him.

In a bid to end his detention, the 39-year-old, who in the past denied any links to match-fixing, adds that he is also willing to testify in any criminal trial.

The Singaporean, who was born in Mali, has now been confirmed by his lawyer Louis Joseph as one of four men to be detained under the Criminal Law (Temporary Provisions) Act two months ago for their alleged role in a worldwide “kelong” syndicate.

It is believed that alleged mastermind Dan Tan Seet Eng, wanted by Interpol, is also one of them.

In his detention order, Alassane’s criminal activities allegedly include acting as a courier or agent to help fix matches in Egypt, South Africa, and Trinidad and Tobago between 2010 and 2011.

His case is due to be considered by a Criminal Law Advisory Committee next month, when his lawyer is expected to urge for his client to be placed under police supervision as an alternative to detention. The independent committee will then make its recommendations to the President, who may cancel, confirm or vary the orders.

Mr Joseph , in a letter to the committee, argued that since Alassane admits the allegations against him, he is no longer a danger to public safety – which is one of the reasons for detaining him.

“Subject to instructions from our client, if our submissions are rejected, we would seek judicial review in the High Court,” said Mr Joseph, who works for the firm Regent Law.

When asked by The Sunday Times, a Home Affairs Ministry spokesman said: “It is not appropriate for us to comment on the case as it is before the committee.

“For Criminal Law (Temporary Provisions) Act cases, all relevant information and considerations would be taken into account by the various parties involved in the issuance, review and confirmation of a detention order.”

The four detained were among 14 suspects arrested during an islandwide raid conducted by the police and anti-graft officers on Sept 17.

This followed a two-year investigation that involved extensive collaboration between the local authorities and their overseas counterparts such as Interpol’s Global Anti-Match-fixing Task Force.

Alassane, who played for Gombak United and Tampines Rovers and had been running the A-Stars Soccer Academy here before his arrest, has been linked with convicted match-fixer Wilson Raj Perumal in the past.

In 2011, Perumal was found guilty by a court in Finland of bribing 11 football players in the Finnish league.

But when asked last year about the links, Alassane is reported to have said: “I’ve absolutely nothing to do with Perumal... in the past or present.”

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Sportitalia in fuorigioco

Debiti per 62 milioni. Creditori vip che premono. Da Telecom a Cairo. E la

tv fondata da Tarak Ben Ammar rischia il crac. Ma il nuovo editore si difende

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 28 novembre 2013)

Si chiamava Sportitalia ed è finita nel gioco delle tre carte. Fallimenti, debiti, cessioni rendono molto oscure le prospettive per decine di dipendenti della tv tematica trasmessa ai canali 60, 61 e 62 del digitale terrestre. La concessione televisiva è ormai l'unico tesoro che il nuovo proprietario, Valter La Tona, tenta di proteggere dall'aggressione dei creditori ereditati dalla gestione precedente, quando il marchio Sportitalia, di proprietà di Tarak Ben Ammar, era in affitto a Bruno Bogarelli.

La gestione Bogarelli si è saldata con i fallimenti delle sue società di produzione Maroncelli 9 (ex Interactive group) e di Edb Video. Lo stato passivo accertato è di 62 milioni di euro, a fronte di attivi e liquidità che non arrivano a un milione.

La lista dei creditori è di gran gala a partire da Telecom Italia e Telecom Italia Media Broadcasting. Segue Urbano Cairo, che ha raccolto pubblicità per Bogarelli fino a un anno fa circa e ha tentato di pignorare i tre canali per recuperare gli arretrati. Invano, perché La Tona ha messo i canali al sicuro all'interno del suo gruppo. C'è poi la Prs di Alfredo Bernardini De Pace che ha sostituito Cairo nella raccolta pubblicitaria. La Tona ha rescisso l'accordo con Prs, che ha fatto causa, per affidarsi alla sua concessionaria Dad. Dulcis in fundo, fra i creditori figura la Lega calcio che ha come advisor per i diritti tv la Infront Italy di Marco Bogarelli, fratello minore di Bruno.

Per anni si è detto che il Bogarelli-Infront fosse socio del Bogarelli-Sportitalia dietro lo schermo di Unione fiduciaria. Di certo, il primo agosto 2012 la Deruta 20 di Bogarelli-Infront ha preso in affitto gli studi di produzione e gli uffici dalla Maroncelli 9 di Bogarelli-Sportitalia per 360 mila euro all'anno. Poi a luglio 2013, con Maroncelli 9 fallita da sette mesi, Deruta 20 ha esercitato il diritto di prelazione e ha comprato tutto al prezzo imbattibile di 500 mila euro.

La Tona, editore televisivo con i canali Marco Polo, Nuvolari, Leonardo, ha lamentato errori nell'accertamento del passivo e debiti imprevisti. Fatto sta che la sua Lt multimedia ha comprato Edb per un milione di euro e l'ha subito ceduta a Sitcom. «È un soggetto terzo», ha dichiarato La Tona. In realtà, Lt e Sitcom hanno un solo proprietario. La Tona, appunto.

La vicenda Sportitalia è rilevante non soltanto per il carico passivo accumulato ma anche per la caratura dei personaggi che hanno ruotato intorno al network dello sport in chiaro. Il comun denominatore è la scuola Fininvest. La Tona, cresciuto nella holding berlusconiana, ha debuttato con Sitcom nel 1997. Al suo fianco c'era Giancarlo Innocenzi, dirigente Mediaset, sottosegretario alle Comunicazioni con il Berlusconi bis, poi commissario Agcom e oggi mandato a svernare alla presidenza di Invitalia.

Bruno Bogarelli è stato direttore di Videonews, la testata giornalistica delle reti Fininvest, e ha lavorato in Sportitalia con Angelo Codignoni, fondatore della prima Forza Italia e animatore di Canale 5 russo. Marco Bogarelli viene da Milan Channel. Cairo si è formato in Publitalia '80 e Ben Ammar è un ambasciatore del berlusconismo in Francia e nei paesi arabi. Nonostante questo spiegamento di uomini, presidiare il mercato è diventato impossibile e comunque costa troppo. Il primo a capirlo è stato Ben Ammar che ha ceduto le frequenze della sua Europa Tv a Mediaset già nel 2006 e poco dopo si è defilato dall'avventura Sportitalia. Bogarelli non ha retto. La Tona ristruttura. E i dipendenti pagano.

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Nuovi stadi e false informazioni in giallorosso

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso.it 25-11-2013)

La Consob, organismo di controllo sulle attività borsistiche, presenta livelli di tolleranza alquanto variabili.

Il suo mitico “faro” che sovente si accende sui misfatti finanziari spesso ha brillato sulle vicende del calcio quotato. Per avere scritto che Sensi vendeva la Roma, decine di cronisti vennero messi sotto inchiesta. Anche l’autore di questo blog fu convocato negli uffici della Guardia di Finanza per avere turbato il mercato in un particolare giorno in cui il titolo As Roma aveva oscillato dello 0,8%, equivalente a un caffè per ogni cento azioni possedute.

Invece nel caso della recente rissa fra Jim Pallotta e Unicredit, per ora non ci sono segnali di abbaglianti accesi dalla Consob. Eppure il turbamento di mercato dovrebbe essere profondo. Gli americani, azionisti di maggioranza, accusano la banca italiana, azionista di minoranza, di diffondere notizie false sull’arrivo di un nuovo socio di minoranza dalla Repubblica popolare cinese.

Unicredit ribadisce che la trattativa esiste e, in questo modo, ribalta su Pallotta l’accusa di falsità.

Ora, le false informazioni al mercato su una società quotata sarebbero un reato. Se lo commette un istituto di credito, il reato non diventa per questo più trascurabile. Semmai, il contrario.

Eppure da qualche giorno c’è un pubblico dibattito su chi racconti più balle tra gli azionisti della Roma.

Che fra Pallotta e Unicredit le cose si siano guastate è un fatto, e neppure tanto recente. Bisogna vedere perché, in effetti, si sono guastate.

Pallotta ha preso il socio cinese come pretesto del suo fastidio. Sotto, però, c’è la questione dello stadio nuovo. L’operazione è interamente nelle mani di Unicredit che ha in mano – creditiziamente parlando – sia il proprietario dell’area di Tor di Valle, il re degli ippodromi Gaetano Papalia, sia il coordinatore del progetto Luca Parnasi, sia una fetta dell’As Roma.

Parte oggi, parte domani, parte a Natale. Nei fatti, il nuovo stadio è appeso a un filo. Su Papalia pesano 17 milioni di euro di cartelle Equitalia e il curatore fallimentare delle sue società non ha alcuna intenzione di concedere la precedenza a Unicredit sulla disponibilità dell’ex ippodromo per non incorrere nel possibile reato di bancarotta preferenziale.

Insomma, la dirigenza fatica a tenere il passo della squadra, che lotta per lo scudetto. Ed è un miracolo con questo assetto azionario.

Perciò Pallotta ha torto ad arrabbiarsi. Dovrebbe accogliere a braccia aperte qualunque socio che sostituisca Unicredit.

Qualcuno ricordi pure a Pallotta quel tipo un po' strano…

Adnan Adel Aref Qaddumi

Chi la fa l'aspetti

La ɱerda

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è un poco come in politica

divisi = più forti

e se va male ....... chi ti conosce

questo su sportitalia

sulla roma

che dire

quando fanno una legge è perchè a qualcuno interessa

non certo a noi poveri mortali

quando a noi arriva 1 a qualcuno è arrivato 100000000000000000000000000

Modificato da wmontero

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è un poco come in politica

divisi = più forti

e se va male ....... chi ti conosce

questo su sportitalia

sulla roma

che dire

quando fanno una legge è perchè a qualcuno interessa

non certo a noi poveri mortali

quando a noi arriva 1 a qualcuno è arrivato 100000000000000000000000000

Per i fuoriusciti Mediaset in ordine a Sportitalia c'è poco altro da dire: una rete d'interessi tesa ad occupare, per partenogenesi, frequenze, diritti di trasmissione e pubblicità. Ce lo meritiamo proprio a causa della politica.

Per la Roma, il cui titolo in Borsa dall'inizio del 2013 guadagna il 179% e dall'inizio della Serie A 2013-14 si attesta sul +112%, la bolla non si spiega solo con la prospettiva del nuovo stadio. L'andamento è torbido e la Consob dorme.

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