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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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LLORIS HA RISCHIATO LA VITA

«Da irresponsabili

lasciarlo in campo!»

Tottenham sotto accusa dopo l’incidente alla testa

Domenica il portiere non è stato sostituito. Eppure aveva perso

i sensi. Villas-Boas: «Stava bene». Protesta anche la Fifa

di GABRIELE MARCOTTI (CorSport 06-11-2013)

Adesso è polemica aperta in Premier League. Come trattare gli infortuni alla testa? Fatti d'attualità dopo la gara di domenica tra Everton e Tottenham, che ha visto il portiere degli Spurs Hugo Lloris perdere i sensi a seguito di un violento - ma casuale - impatto con il ginocchio di Romelu Lukaku lanciato a rete.

PAURA - Lloris è rimasto a terra privo di sensi per qualche minuto tra lo sgomento generale. Andre Villas-Boas, tecnico del Tottenham, ha pensato bene di far riscaldare il portiere di riserva, Brad Friedel. Mentre lo statunitense si apprestava ad entrare in campo è arrivato lo stop di Villas-Boas. Lloris nel frattempo si era rialzato e, dopo essere stato esaminato sul campo dal medico sociale degli Spurs ha ribadito di non volere essere sostituito. Vade retro di Villas-Boas quindi, con Lloris che ha giocato gli ultimi 13 minuti (più 9 di recupero) senza mostrare postumi dello scontro.

L’ACCUSA - «Irresponsabili!» sibilano dall'assocalciatori inglese. «Con gli infortuni alla testa non si scherza». Rincara la dose Jiri Dvorak, responsabile medico dellla FIFA. «Un giocatore che perde i sensi in campo a seguito di un'impatto alla nuca nel 99,9 per cento dei casi ha subito una commozione cerebrale. E chi subisce una commozione cerebrale va sostituito, punto e basta». Villas-Boas ammette che Lloris ha perso i sensi per qualche minuto e che dimostrava segni di amnesia (non ricordava l'impatto e non capiva in quale stadio si trovava.) «Però voleva assolutamente restare in campo e sembrava concentrato e determinato - spiega il tecnico portoghese - Quindi non è stato sostituito». Con Villas-Boas bersagliato dalle critiche, il Tottenham ha rilasciato un comunicato ufficiale dove si spiega che è stato lo staff medico a determinare che Lloris poteva continuare. E ambienti vicino a Villas-Boas sostengono che il tecnico portoghese si è semplicemente attenuto a ciò che gli dicevano i medici.

LE REGOLE - La polemica però non si placa anche perché è di scottante attualità. Ironia della sorte lo stesso Lukaku (che nella collisione ha riportato lesioni al ginocchio) aveva a sua volta subito una commozione cerebrale contro il West Ham a settembre eppure non era stato sostiuito. Anzi, dopo la gara ha rivelato di non ricordare di avere fatto gol. Anche Flamini dell'Arsenal e Snodgrass del Norwich, nelle ultime settimane, hanno subito infortuni simili, anche se, nei loro casi, non sono rimasti in campo. La FIFA ha un protocollo ben preciso. In caso di sospetta commozione cerebrale bisogna procedere alla sostituzione. Però in Premier League il protocollo è diverso: è il medico sociale a prendere la decisione. E proprio questo fa discutere perché in situazioni del genere vi è un evidente potenziale confiltto di interessi. Alcuni chiedono alla Premier di prendere spunto dalla NFL. Nel football americano infatti in caso di sospetta commozione cerebrale il giocatore esce subito dal campo e viene esaminato non dal medico sociale bensì da medici independenti pagati dalla lega stessa.

L’INTERVENTO - In serata è arrivata la conferma che anche la Premier rivedrà i suoi protocolli. Perché la salute è troppo importante perché la si affidi a un esame cursorio fatto in pochi minuti sul campo.

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Calcioscommesse Ecco le «parole chiave»

Computer al setaccio

di GABRIELE MORONI (Quotidiano Sportivo 06-11-2013)

«Abbraccio», «Assegni», «Beppe», «Bolognesi», «Cambiale», «Cervia», «Civ», «Garanzia», «Gol-gol», «Handicap», «Makelele», «Over», «Ovetto», «Pareggio», «Under», «Uovo grande», «Uovo piccolo», «Vittoria», «Zingari». Sono le diciannove parole chiave indicate ai periti chiamati ad analizzare i duecento tra computer, smartphone e tablet, sequestrati nell’inchiesta della Procura di Cremona sul calcioscommesse. Il procuratore Roberto di Martino ha chiesto in luglio l’incidente probatorio che il gip Guido Salvini ha fissato per il 10 dicembre. Interesserà fra indagati, difensori, parti offese, consulenti circa trecento persone. Secondo di Martino gli strumenti informatici «potrebbero contenere elementi di grande rilievo per le indagini, in particolare documentanti rapporti tra gli indagati, diretti a concludere accordi per la manipolazione delle partite di calcio o finalizzati a movimentare somme destinate alla corruzione o costituenti il risultato delle vincite delle scommesse».

Vittoria sembra proprio una pwd scontata…

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APPELLO CALCIOPOLI: HANNO PARLATO I LEGALI VIOLA

«Moggi-Della Valle

non fu associazione»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 06-11-2013)

Luciano Moggi non disse a Diego Della Valle niente di illecito e, certamente, non gli suggerì di entrare a fare parte di un’ipotetica associazione o cupola nell’ottica di ottenere dei vantaggi per la sua Fiorentina. Nella famosa telefonata fra l’ex dg juventino e il patron viola, infatti, il primo lo invitò a farsi sentire, ad alzare la voce nelle sedi opportune, insomma non lo invitò a commettere niente di illegale e, soprattutto, lo invitò a farlo in pubblico. Questo è stato uno dei concetti espressi ieri durante la sua arringa dall’avvocato Francesco Picca che difende Diego Della Valle al processo d’appello di Calciopoli a Napoli.

Ieri hanno iniziato le difese e i primi a parlare sono stati quelli della Fiorentina (dopo quello di Picca, c’è stato l’intervento più tecnico dell’avvocato Curgiuele), ché il patron aveva già rilasciato una dichiarazione spontanea a inizio processo. Nell’udienza c’è poi stato spazio anche anche per la legale di Paolo Bergamo, Silvia Morescanti, che ha sottolineato come fosse difficile sostenere che il suo assistito, all’epoca designatore arbitrale, potesse fare parte della cupola moggiana se, anche dalle intercettazioni, risulta parlare molto di più con i dirigenti del Milan, che secondo l’accusa rappresentava l’avversario contro cui la cupola tramava. Ha parlato anche l’avvocato Siniscalchi che difende il presidente laziale Lotito e ha detto che l’articolo 416, ovvero l’associazione a delinquere, è una forzatura di esaltazione in questo processo. Infine Cirillo per l’ex dirigente del Messina Fabiani e Misiani per il giornalista Rai Scardina, che si sono limitati a chiedere la conferma dell’assoluzione dei loro assistiti. Si torna in aula martedì prossimo.

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SCOMMESSOPOLI: UDIENZA IL 10 DICEMBRE

Incidente probatorio

ma Conte non ci sarà

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 06-11-2013)

La Procura di Cremona ha fissato per il 10 dicembre la prima udienza per l’incidente probatorio sull’analisi di computer, smartphone e tablet di circa 300 soggetti tra calciatori, allenatori, dirigenti e società coinvolti nell’inchiesta sul Calcioscommesse. Non è una novità che tra questi figura anche il nome del tecnico della Juventus, Antonio Conte, in quanto compreso tra i 111 indagati per frode sportiva iscritti sul registro del pm Roberto Di Martino da quando Carobbio ha fatto il suo nome. Al momento gli avvocati non hanno ricevuto alcuna notifica, tutti sono fermi alla scorsa estate quando il pm emise l’avviso di voler procedere all’incidente probatorio. Il materiale su cui si baserà l’indagine è quello sequestrato in passato nelle perquisizioni effettuate nel maggio 2012 nelle case degli indagati, compresa quella di Conte. È passato oltre un anno da quei sequestri, in molti casi (Conte incluso) gli apparecchi sono stati restituiti. Agli inquirenti sono però rimasti i backup e le copie dei file system. Da lì si riparte, anche se nel frattempo la giustizia sportiva ha fatto il suo corso e Conte (come molti altri) ha già pagato con 4 mesi di stop al Tnas. Il 10 dicembre Conte sarà a Istanbul a guidare la Juventus alla auspicata qualificazione agli ottavi di Champions. All’incidente probatorio il tecnico juventino non dovrà comunque comparire, ci saranno per lui gli avvocati con i propri periti che lavoreranno assieme a quelli della Procura. La perizia durerà almeno 6 mesi.

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La folle estate di Bouba,

talento perduto dal Carpi

Invitato dal club di B, il 17enne senegalese s’è

smarrito ed è finito a vendere ombrelli a Genova

Un cellulare non attivo e comincia l’odissea:

“Credevo in una truffa, di notte correvo”

di MASSIMO CALANDRI (la Repubblica 07-11-2013)

Bouba lo aveva detto, che era una promessa del calcio. Che a 17 anni lo aveva voluto in Italia una squadra di professionisti, però a Malpensa non c’era nessuno ad attenderlo e da cinque mesi quelli del club non rispondevano al telefono. Lo ripeteva sempre, e quasi gli scappava da piangere. Perché non gli credeva nessuno. Per sopravvivere vendeva ombrelli di giorno, la notte si allenava correndo come un matto su e giù per i vicoli dell’angiporto. E continuava a chiamare un cellulare muto. Fino a quando una mattina lo hanno fermato i carabinieri della Maddalena, nei carruggi di Genova. Un minorenne senza permesso non può essere espulso, lui ha anche mostrato la fotocopia della lettera d’invito della società di calcio e raccontato la solita storia. I militari hanno fatto di no con la testa, dicevano che il foglio era sicuramente un falso, allora anche Bouba ha cominciato ad avere dei dubbi: forse in Senegal mi hanno truffato, forse sono solo uno stupido ragazzino. Invece no. La sua pratica nei giorni scorsi è stata affidata ad un avvocato esperto in diritto dell’immigrazione, Alessandra Ballerini, una donna che detesta il football ma ha provato subito a mettersi in contatto con il Carpi, la società modenese di serie B che aveva scritto al consolato italiano di Dakar chiedendo il visto per il minorenne. Ed era tutto vero, ed è una storia così incredibile che ora Bouba non sa se scoppiare di felicità o preoccuparsi di brutto: perché la prossima settimana sarà a Carpi, resterà un mese con la squadra ma è da giugno che non gioca una partita vera. E non può permettersi di fallire il provino.

«Non siamo mai stati avvertiti dell’arrivo del ragazzo in Italia. Tempo fa ci era stato segnalato da un procuratore, avevamo avviato le pratiche per averlo in prova almeno un paio di settimane. I documenti erano a posto, eravamo pronti a pagare il viaggio. Però nessuno si è più fatto avanti, così abbiamo pensato che all’ultimo avesse rinunciato». Roberto Canepa è il team manager del Carpi. Era suo il numero di cellulare nella lettera di invito. «Quel telefonino è stato disattivato per mesi», spiega. Bouba racconta: «Il biglietto lo ha comprato mia madre con gli ultimi risparmi. Quando ho ottenuto il visto, ho avuto paura di perdere l’occasione. Così sono partito da solo». All’aeroporto di Milano naturalmente non c’era nessuno per lui, quel telefonino suonava a vuoto. «Non sapevo più cosa fare. Ho chiesto aiuto ad un connazionale: lui mi ha dato un passaggio fino a Genova, dove c’è una grande comunità senegalese. Mi hanno aiutato».

Alto e magrissimo, Bouba è cresciuto in un centro di formazione sportiva a Dakar. «Attaccante centrale, ma posso anche muovermi lungo la fascia». In estate, nel dedalo di stradine del centro storico il ragazzino se la cava in qualche modo. Continua a chiamare quel numero del Carpi, inutilmente. «Però non mi sono mai arreso. Mi allenavo correndo la notte per la città, e giocando con i miei connazionali». Ad ottobre, il fermo dei carabinieri. «Quando anche loro mi hanno detto che non credevano alla mia storia, ho pensato che forse avevano ragione. In Africa la vita è dura, la gente cerca sempre di guadagnare qualcosa, la mia famiglia ha investito tutto nel mio sogno. Per la prima volta ho creduto di essere stato preso in giro da chi mi diceva che avrei fatto fortuna in Italia. Volevo solo tornare a casa».

Quando l’avvocato Ballerini scrive alla società modenese, la risposta è immediata: «Siamo felici di avere ritrovato il ragazzo e di potergli dare nei prossimi giorni l’occasione di dimostrare le sue qualità. Dopo tutto quello che ha passato, non c’è fretta. Si fermerà da noi, e speriamo in un lieto fine», dice Canepa. Il manager del club oggi incontrerà il ragazzino. Bouba ha ritrovato il sorriso: «Dentro di me ho anche un po’ di paura, perché in questi mesi ho giocato poco. Ma ho sofferto troppo: non posso fallire».

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Incidenti, ma situazione sotto controllo

Appelli inutili: violenza tra coltelli,

machete e regolamenti di conti

di FULVIO BUFI (CorSera 07-11-2013)

Gli appelli lanciati da Benitez e dal presidente De Laurentiis non sono serviti. I violenti non ascoltano nessuno: avevano deciso che la partita con il Marsiglia sarebbe stata l’occasione per regolare i conti delle aggressioni subite da alcuni tifosi napoletani due settimane fa in Francia e così è stato. L’ingresso delle due squadre sul prato del San Paolo ha segnato la fine di una lunghissima vigilia di tensioni e violenze. Iniziate nelle ultime ore di martedì e continuate non proprio fino al fischio d’inizio dell’arbitro russo, ma fino a pochissimo prima sì, visto che gli ultimi incidenti sono avvenuti proprio nei dintorni dello stadio e ne è rimasta coinvolta anche la squadra del Marsiglia. Giunto a pochi metri dal cancello di accesso ai sotterranei del San Paolo, il bus che accompagnava i giocatori francesi, pur scortatissimo, è stato bersagliato da oggetti di ogni genere, e un sasso, lanciato probabilmente con una fionda, ha colpito in pieno un finestrino e ha scalfito la parte esterna del doppio vetro. Sempre nei pressi dell’impianto di Fuorigrotta ci sono stato tafferugli tra la polizia che presidiava il percorso seguito dagli ottocento tifosi francesi, e un centinaio di napoletani che tentavano di sfondare il cordone. Non sono riusciti a raggiungere i «nemici» e se la sono presa con un giovane scambiato per un supporter marsigliese. In realtà si trattava di un americano che stava andando alla partita per tifare Napoli. Invece è andato al pronto soccorso dove gli hanno suturato una ferita alla testa. I primi segnali di come sarebbe stata la giornata di ieri si erano avuti martedì sera, quando nei pressi di un cinema multisala, quattro francesi sono stati insultati da un gruppo di napoletani, e uno di loro è riuscito a stento a schivare un pugno al volto. Poi l’intervento di una volante della polizia ha indotto gli aggressori a dileguarsi e i francesi ad affidarsi agli agenti per essere riaccompagnati in albergo. Nelle stesse ore, nella zona dei decumani nel centro antico, otto napoletani (due risultati poi destinatari di Daspo) sono stati fermati da poliziotti in borghese mentre seguivano con aria minacciosa un gruppetto di francesi: avevano coltelli e altri oggetti utilizzabili in una rissa. Ma anche i marsigliesi hanno dato problemi. Quando la polizia ha fermato per un controllo un bus preso a noleggio da una cinquantina di tifosi francesi, oltre a fumogeni e petardi, ha trovato nascosti tra i seggiolini, anche un machete e un paio di accette.

I disordini Frange di teppisti con mazze e pietre contro le forze dell’ordine: agente ferita e due auto della polizia danneggiate

Scontri e sassaiole, caccia ai francesi

Assalto a due bus

Petardi nello stadio Fumogeni e due scoppi di petardi

all’interno del San Paolo, rischio squalifica per il campo

di ANTONIO SCOLAMIERO (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 07-11-2013)

Pochi minuti ma violentissimi. Sono quelli che hanno preceduto l'inizio della gara al San Paolo. All'interno c'era aria di festa. All'esterno no, decisamente no. Un gruppo di un centinaio di sostenitori del Napoli con sciarpe, bastoni (e travisati per non farsi riconoscere) ha tentato di entrare in contatto con i tifosi fracesi.

Sono da poco passate le 20 e quasi tutti i sostenitori transalpini erano già all'interno dell'impianto di Fuorigrotta. È stato in quel preciso istante che i facinorosi hanno cercato di assaltare gli avversari. Teatro dello scontro via Terracina. I teppisti avevano intenzione di arrivare in viale Marconi, dove erano concentrati tutti i bus dei francesi e da dove si accede al settore del San Paolo riservato agli ospiti. Nulla da fare. I violenti hanno trovato di fronte un vero e proprio muro di agenti di polizia e carabinieri in assetto antisommossa che sbarrava il passo a chiunque. Sono cominciate a volare bottiglie, bulloni, fumogeni e bombe carta. A quel punto le forze dell'ordine hanno cominciato a lanciare i lacrimogeni per disperdere il manipolo di malintenzionati. I blindati hanno cominciato ad avanzare a sirene spiegate. Alla fine le forze dell'ordine sono riuscite a riportare la calma. Ma il bilancio è abbastanza pesante: due auto della polizia distrutte, un agente donna rimasta ferita e una persona fermata. A coordinare le forze sul campo anche il capo della squadra mobile, Ferdinando Rossi. Ma non è finita qua. Prima di questa escalation ci sono stati altri episodi. Prima dell'inizio della gara, un militare americano della Nato, scambiato per un tifoso del Marsiglia, ma in realtà simpatizzante del Napoli, è stato ferito alla testa da un lancio di pietre. Il giovane ha fatto poi il suo ingresso nel settore ospiti a torso nudo e scortato dalla polizia fino al presidio medico dove gli sono state prestate le prime cure.

Ma la serata è cominciata ben prima di questo episodio. Un altro grave atto teppistico è stato compiuto all'arrivo del bus del Marsiglia. Mentre il mezzo transitava in via Giovan Battista Marino, all'altezza di un fast food, è stato bersagliato da oggetti lanciati da altri teppisti appostati. Una bottiglia ha raggiunto, danneggiandolo, un vetro del mezzo che subito è svicolato per poi entrare, scortatissimo, all'interno dello stadio. E ancora: un minivan con a bordo turisti francesi è stato assaltato e preso a sassate.

Nel corso dei controlli pre-gara, un bus con a bordo una cinquantina di tifosi dell'Olympique Marsiglia diretti allo Stadio è stato fermato dalla polizia lungo il tragitto che conduce allo stadio. A bordo i poliziotti hanno trovato nascoste nei vani diverse armi tra cui accette, martelli e anche dei machete. Problemi all'esterno, ma anche all'interno dello stadio. Ai due gol del Napoli sono stati accesi dei fumogeni e stati lanciati contro la gabbia che conteneva i tifosi ospiti, alcuni forti petardi. Insomma i ripetuti appelli dei giorni scorsi sia del patron che dell'allenatore Benitez sono caduti nel vuoto. E anche lo speaker durante la gara ha ripetuto più volte l'invito a non accederli. Che fosse una gara ad alto rischio era risaputo. E il dispositivo messo in atto da Questura, carabinieri e Guardia di finanza ha funzionato fin nei minimi dettagli. Solo lo stratagemma di raggruppare tutti i tifosi transalpini fuori città per poi scortarli a Fuorigrotta ha evitato conseguenze ben peggiori.

L’ambiente Tensioni e scontri all’esterno dello stadio, al San Paolo appelli dello speaker al pubblico

Niente errori: squalifica evitata

Nessun fumogeno e gli unici petardi partono dal settore del Marsiglia

I controlli Gli ispettori dell’Uefa si aggirano in tutto lo stadio perfetto controllo degli steward

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 07-11-2013)

La gente fa festa nello stadio per una vittoria che fa sognare. Fuori è diverso: quando ormai mancavano poche centinaia di metri al San Paolo, intorno alle 19,30, il pullman che trasportava i giocatori del Marsiglia - che proveniva da Corso Vittorio Emanuele - è stato assalito da alcuni tifosi-teppisti del Napoli che si sono resi protagonisti di un lancio di oggetti contro la parte anteriore del bus. Il pronto intervento delle forze dell'ordine che scortavano il pullman ha evitato il peggio, ma non ha potuto impedire che i teppisti danneggiassero uno dei finestroni sulla sinistra del mezzo.

Per tutto la partita lo speaker del San Paolo è inseguito dagli incubi e non fa che rilanciare l'appello neppure fosse una musichetta: «Attenzione, è vietato l'uso di materiale pirotecnico». La scritta si insegue pure sullo striminzito tabellone dei distinti. Quasi illeggibile. In tal senso, le parole di De Laurentiis e del sindaco de Magistris hanno colto nel segno: né petardi, né bengala sono stati accesi neppure in occasione dei gol azzurri.

Qualcosa però ha rimbombato sul prato. Quasi tutto arrivava dal settore occupato dai tifosi marsigliesi che nello stadio erano entrati verso le 18. I dirigenti del Napoli hanno seguito passo dopo passo gli ispettori Uefa che si sono aggirati per le tribune come dannati. Sul San Paolo incombe la maledizione di una condanna sospesa che non consente scappatoie: se quelli della Uefa hanno visto qualcosa di storto, il supermatch con l'Arsenal si giocherà a porte chiuse. E non ci saranno ricorsi che tengono. Con un danno da 3 milioni di euro per le casse del Napoli. E allora giusto che ci sia uno steward posizionato ogni dieci metri nel terzo anello, costruito per Italia '90 e simbolo di quei lavori fatti male. Il settore è off-limits: la Uefa ha avuto da ridire anche su queste. Ma pure a cercarli con la lente di ingrandimento, gli 007 della Uefa non trovano nessuno nel settore chiuso.

Resta il dubbio sulle vie di fuga, ovvero le scale di color giallo: in curva sono tutte occupate. Negli altri settori la vigilanza è perfetta. Difficile prevedere quello che hanno annotato gli uomini di Platini: di sicuro, all'interno dello stadio ha funzionato apparentemente tutto alla perfezione. Resta da aspettare. Ma i tifosi del Napoli presenti al San Paolo hanno dato prova di immensa maturità, limitando persino i cori anti-marsigliesi. Chapeau. E tra i tifosi il più felice di tutti fin dal primo minuto è stato un ragazzino di 10 anni, Marco, che con il Marsiglia ha coronato un suo sogno: scendere in campo al fianco di Albiol. Per lui ha un significato speciale: è il segno del ritorno alla vita.

Marco è uno dei pochi sopravvissuti all'incidente del bus finito giù dal cavalcavia di Monteforte Irpino. Incidente in cui persero la vita 40 persone, tra cui i suoi nonni e i suoi zii. Si è salvato miracolosamente, e aspetta il ritorno della sua famiglia, che è a Lecco, dove la mamma accudisce, la sorellina Francesca di tre anni e il papà uscito da appena un mese dal coma.

La Champions, gli incidenti

Sassaiole e caccia ai tifosi

bus francese pieno di armi

Brividi nel prepartita: pietre contro il pullman del Marsiglia

Vigilia del match ad alto rischio denunciati otto napoletani pronti a far partire un raid in centro

La violenza Militare americano scambiato per tifoso ospite e ferito alla testa

di GIUSEPPE CRIMALDI (IL MATTINO 07-11-2013)

È di tre arrestati, 55 fermati e 12 feriti il bilancio finale degli scontri che si sono concentrati intorno allo stadio San Paolo prima, durante e dopo la partita di ritorno di Champions League tra Napoli e Marsiglia. Dieci i feriti tra le forze dell’ordine, sette poliziotti (tra i quali un funzionario e un’agente donna colpita ad un occhio) e tre finanzieri. Danneggiati anche cinque automezzi delle forze dell’ordine. Gli arrestati sono: Tullio Zaccardi (25 anni) e Vincenzo D’Onofrio (31 anni), il primo per possesso e lancio di fuochi d’artificio proibiti, il secondo per resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. I due avevano ingaggiato un corpo a corpo con le forze dell’ordine in via Terracina, tentando di superare il varco riservato ai tifosi del Marsiglia. Il terzo arrestato è un giovane le cui generalità non sono state diffuse, bloccato dalla polizia municipale in via Lepanto mentre con un complice tentava di assaltare un minivan sul quale c’erano 12 tifosi francesi.

Un prepartita da brividi. L’autobus con a bordo la squadra dell’Olympique Marsiglia è stato intercettato da alcuni teppisti poco prima dell’arrivo al San Paolo e colpito con ogni genere di oggetti (con un vetro scalfito ma nessun danno alle persone). Un secondo bus che conduceva 55 tifosi transalpini è stato trasformato in vera e propria santabarbara, con decine di armi, tra cui 25 spranghe, 4 razzi, 9 bombe carta, un mephisto e persino un machete, oltre a coltelli, asce, mazze da baseball e fumogeni: è stato bloccato dalla polizia poco prima che arrivasse allo stadio. Ed ancora, un militare americano della Nato scambiato per tifoso francese ferito alla testa dal lancio di pietre.

Partite di calcio che si trasformano in occasioni di guerriglia urbana. Lo stesso era accaduto a Marsiglia a ottobre, in occasione della partita di andata. Evidentemente non contenti delle fitte sassaiole e della caccia ai napoletani scatenata dai marsigliesi in casa, tra i transalpini in trasferta ieri a Napoli c’era chi si era organizzato per venire a Napoli come si va alla guerra. Cinquantacinque sostenitori del Marsiglia sono stati intercettati dalla polizia a bordo di un bus carico di armi. La comitiva era partita proprio da Marsiglia ieri e - dopo un viaggio notturno in autostrada - aveva raggiunto ieri mattina il capoluogo campano. Tutti gli occupanti avevano in tasca il biglietto per vedere la partita. Non è ancora chiaro dove il gruppo si sia rifornito delle armi che sono state sequestrate. Naturalmente a nessuno è stato consentito di accedere nel settore ospiti del San Paolo. I 55 francesi restano al momento in un commissariato della provincia.

In realtà l’atmosfera di tensione si respirava già da martedì sera. Da quando la polizia aveva individuato e bloccato nove teppisti napoletani travestiti da ultrà e armati di coltelli, i quali avevano deciso di dare una lezione ai primi marsigliesi che avessero incrociato. I nove, tutti di età compresa tra i 21 e i 39 anni, sono stati bloccati dai Falchi della Questura e denunciati nel centro antico di Napoli. Si aggiravano nelle stradine dei Decumani: tentavano di avvicinarsi al gruppetto di francesi che in quel momento percorreva una stradina poco illuminata che da piazza San Domenico Maggiore conduce a piazzetta Nilo. Dopo averli bloccati, i poliziotti li hanno perquisiti trovandoli in possesso di due coltelli a serramanico. Sono ora tutti accusati di porto abusivo di coltelli a serramanico. Due di essi, in particolare, risultavano destinatari del Daspo, il provvedimento che proibisce di partecipare a manifestazioni sportive. Sempre martedì sera, ma nella zona di Fuorigrotta, si erano incrociati due gruppi di tifosi napoletani e transalpini. Nei pressi del cinema «Space» di Fuorigrotta, quattro tifosi transalpini sono stati aggrediti verbalmente da un gruppo di giovani napoletani. La lite non è degenerata grazie, come detto, all’intervento di una volante. Un tifoso del Marsiglia è stato raggiunto dal pugno sferrato da un napoletano.

Oltre mille, complessivamente, i tifosi arrivati da Marsiglia: gli ultimi sono giunti a Capodichino tra le 15 e le 17 a bordo di cinque voli charter. I francesi sono stati poi scortati a bordo di pullman della Gesac nel terminal 2 dell’aeroporto, protetto da carabinieri in assetto antisommossa. Da qui sono poi stati accompagnati dalle forze dell’ordine direttamente allo stadio San Paolo.

Assalto al pullman della squadra transalpina, fermati 60 tifosi con un arsenale da guerra

Rabbia ultrà: pietre contro i bus

ma i francesi avevano anche asce

Nella notte otto persone denunciate

Mille gli agenti impiegati, sei feriti alla fine

di IRENE DE ARCANGELIS (la Repubblica - Napoli 07-11-2013)

Li aspettano. Riescono a lanciare e a colpire. Un tiro di fionda. La pietra colpisce l’autobus che porta il Marsiglia al San Paolo. Manca più di un’ora al fischio d’inizio. Nessun ferito grazie ai doppi vetri che reggono, ma è la risposta della tifoseria violenta. Con il passare dei minuti cresce la tensione. Arrivano alcuni tifosi francesi a bordo di un mini- van in via Lepanto, e anche lì parte il sasso che sfonda il parabrezza. Intervengono i vigili urbani, fermano un tifoso e lo portano al comando di via De Giaxa. Ma anche i tifosi francesi non scherzano. Viene controllato un bus, a bordo c’è di tutto: machete e asce, accette, mazze e spranghe, petardi e fumogeni. In sessanta vengono trattenuti e identificati. Un ragazzo americano tifoso del Napoli, scambiato per francese finisce in ospedale: un pietra lo colpisce alla testa. Tornerà allo stadio scortato dalla polizia. Intorno al San Paolo è il caos a causa dell’arrivo alla spicciolata dei tifosi stranieri non monitorati dalle forze dell’ordine. Partono i lacrimogeni della polizia, arrivano altri blindati per riuscire a concludere l’entrata degli ospiti allo stadio. Intanto in via Terracina altri tifosi napoletani tentano di sfondare il blocco della polizia. Ci sono tafferugli con i poliziotti, poi partono altri lacrimogeni sotto il rombo degli elicotteri delle forze dell’ordine. I tifosi violenti lanciano bottiglie e bombe carta anche all’indirizzo di passanti pacifici, pure loro diretti allo stadio.

Giornata difficile, per le forze dell’ordine che intanto, affidano il loro pensiero al maggiore sindacato di categoria, il Siulp. «In occasione dell’incontro — scrive il segretario generale di Napoli Vincenzo Annunziata — saranno impiegati circa mille uomini per garantire cinquecento volanti e pattuglie. Gli incontri calcistici sono manifestazioni a scopo di lucro. Chi vuole un servizio deve pagarlo».

La guerriglia era cominciata nella notte tra martedì e mercoledì. Otto persone vengono denunciate. Intorno all’una, in piazza San Domenico Maggiore a poca distanza da un gruppo di francesi, i Falchi hanno bloccato dieci giovani che li seguivano e avevano dei coltelli nascosti anche nelle scarpe. Il gruppo ha subito spiegato di non aver mai avuto a che fare con il calcio, ma due di loro erano già stati colpiti dal Daspo. Sono stati tutti denunciati per porto abusivo di armi. La polizia del commissariato San Paolo ha bloccato e poi allontanato altri facinorosi nei pressi del cinema “Space”. Giornata difficile, perché fin da ieri mattina sono stati “blindati” i tre voli charter e i tre di linea arrivati a Capodichino con gran parte dei 1.145 supporters transalpini. L’attesa nell’area Atitec, quindi dieci autobus privati li hanno trasferiti allo stadio. Per i tifosi arrivati in pullman lunga sosta, pure questa blindata, nell’area di parcheggio del Magic World quindi apertura del cancelli alle sei del pomeriggio. Nell’intervallo, tentativo di sfondamento nel settore dei marsigliesi: feriti sei poliziotti.

E' abbastanza inutile l'"arte" di alcuni giornalisti tesa a minimizzare gli eventi.

Gli ispettori UEFA, per problemi all'interno degli stadi, registrano pure uno sguardo torvo.

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Calcioscommesse, quote e corruzione:

tutto pronto per il Mondiale

La polizia di Singapore un mese e mezzo fa ha arrestato quattordici persone,

tra cui Tan Set Eng, il capo del calcio scommesse mondiale. Nei computer

sequestrati durante l'operazione, gli investigatori asiatici hanno trovato la

lista delle squadre "avvicinabili", due delle quali già qualificate alla fase finale

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (Repubblica.it 08-11-2013)

La minaccia del calcioscommesse si allunga sui mondiali di calcio in Brasile. Ne è sicura la polizia di Singapore che un mese e mezzo fa, proprio per questo motivo, ha arrestato quattordici persone, chiedendo e ottenendo dal giudice per quattro di queste tra cui Tan Set Eng, il capo del calcio scommesse mondiale, il cosidetto "section 5" il regime di detenzione speciale, residuo dell'epoca coloniale britannica, attualmente riservato solamente ai terroristi e ai mafiosi.

LA MINACCIA - Tutto era pronto: nei laptop sequestrati durante l'operazione, gli investigatori asiatici hanno trovato la lista delle squadre "avvicinabili", due delle quali già qualificate alla fase finale e nella lista delle top 50 della Fifa. La banda aveva anche un elenco dei calciatori, arbitri e guardalinee. Gente di cui Den, questo il nome internazionale di Set Eng, conosceva tutto, storia personale, vizi, peccati e punti deboli. Ma soprattutto, gli investigatori hanno trovato le tracce di una cifra non precisata (il dato è coperto da assoluto riserbo) di milioni di dollari da sbloccare al momento giusto. Danaro che, grazie a una papera di un portiere, un fuorigioco sbagliata da un difensore, l'inciampo di un centrocampista, si sarebbe moltiplicato per due, tre forse anche quattro volte, meglio di una partita di cocaina, più di una cassa di armi. L'investimento più sicuro e più redditizio al mondo.

LE INDAGINI - Dal giorno del suo arresto, Den, è praticamente sotto continuo interrogatorio. Non può parlare con nessuno l'esterno, e ogni giorno agenti di polizia si danno il cambio per cercare di strappargli qualche dettaglio, qualche notizia sulla sua impresa. Ma, da quello che filtra, agli investigatori sta raccontando poco. Gli elementi in mano della Corrupt Practices Investigation Bureau ( CPIB ) sarebbero tuttavia assai solidi, tanto da spingere una fonte della polizia di Singapore ad affermare senza troppi dubbi che Den e i suoi uomini non solo "avevano organizzato una struttura per truccare alcune partite dei mondiali di calcio" ma anche "gare dei prossimi giochi olimpici". Vista l'imminenza dell'evento, la banda aveva cominciato a muoversi con più decisione. E per questo la Polizia di Singapore, da tempo attivata dalle pressioni internazionali dell'Interpol, ha deciso di procedere agli arresti. Le strade attraverso cui Den avrebbe operato in Brasile erano due, spiega una fonte investigativa al quotidiano locale The New Paper. "Gli arbitri corrotti e giocatori con i quali molti dei loro uomini avevano già avuto a che fare".

LA STRUTTURA - La struttura del resto è capillare e si estende in tutti i continenti, in decine di paesi. Come ha avuto modo di raccontare agli investigatori l'unico pentito di questa formazione criminale, Wilson Perumal, gli scommettitori di Singapore hanno dai due ai tre uomini in ogni componente e scelgono volta per volta che campionati infiltrare. In Italia lo hanno fatto tre anni fa con la serie B e con la serie A, tanto che su Den c'è un mandato di cattura internazionale emesso dalla procura di Cremona. (Gli uomini dello Sco, il Servizio centrale operativo della Polizia, hanno già chiesto ufficialmente di ascoltare l'indagato ma per il momento non è arrivata nessuna risposta). In particolare Den stavolta puntava sui calciatori "amici" che giocano nelle nazionali meno esposte, dall'Oceania al Sud America, dall'Africa all'Europa dell'Est, quelli in grado di assicurare - magari a giochi già fatti - goleade piuttosto che risultati esatti al termine del primo tempo. Com'è noto, gli uomini di Singapore chiedono infatti partite con molti gol, in modo tale da poter puntare in modo sicuro sull'Over (un tipo di scommessa che paga se in una partita vengono segnati almeno 3 gol). L'attenzione su competizioni importanti come i mondiali o le olimpiadi non è poi casuale: è in queste competizioni che si muovono flussi "regolari" di scommesse importantissimi. Coinvolgendo nazionali "sensibili" al tema delle scommesse come Cina, Vietnam, Cambogia , Thailandia , Filippine , Giappone, Corea , Malesia e Indonesia, secondo un calcolo effettuato da società di settore una manifestazione come la coppa del mondo potrebbe muovere circa 150miliardi di dollari, poco meno del pil della Nuova Zelanda, tre volte quello dell'Uruguay.

I PRECEDENTI - Non sarebbe stata nemmeno la prima volta. Stando alle indagini in corso, proprio la banda dI Den aveva infatti truccato numerose gare olimpiche da Atlanta '96 in poi.. "Cominciai a lavorare con Den - ha raccontato Perumal - proprio nei giochi americani: la mia prima partita fu Tunisia contro Portogallo". L'allarme è arrivato immediatamente sul tavolo della Fifa. Anche perché al momento la Polizia non esclude che nella rete di Den sia caduto anche qualche funzionario della Federazione internazionale. Gli stessi che hanno permesso che alcune partite delle qualificazioni alla prossima coppa del Mondo venissero truccate senza conseguenze: Laos-Cambogia doveva finire 2-4. Ed è finita così. Stesso discorso vale per le competizioni internazionali minori: nel febbraio del 2011 in Turchia fu organizzato un quarangolare tra Bulgaria, Estonia, Bolivia e Lituania. Nelle due partite si segnarono sette gol. Tutti e sette su rigore. Gli arbitri li aveva scelti Den. "Stiamo vigilando - ha spiegato Ralf Mustchke, il capo della sicurezza della Fifa - Non siamo particolarmente allarmati, siamo certi però che in Brasile non accadrà nulla". Forse, perché Den è in prigione.

Vorrei capire perche' tra i precedenti non parlano specificamente di quel che successe al Mondiale 2006 (sicuramente 'toccato' dai singaporiani). Avranno il timore di fare la fine di Beha? Forse hanno semplicemente ri-pubblicato. In effetti hanno ri-pubblicato e re-interpretato un articolo di Zaihan Mohamed Yusof (reporter tra i piu' stimati e minacciati a Singapore) del 07-10-2013

Modificato da Ghost Dog

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Paolo Negro, minacce

e ricatti per l’ultimo gol

Condannati due degli estortori dell’ex biancoleste

IL CALCIATORE: DICEVANO CHE AVEVO VENDUTO QUELLA RETE

PER MEZZO MILIONE E PER IL SILENZIO NE VOLEVANO LA META’

di ANDREA OSSINO (Il Messaggero 08-11-2013)

Nei corridoi del tribunale penale capitolino, Paolo Negro non è passato inosservato. L'ex difensore della Lazio e del Siena ha raccontato la sua versione dei fatti relativi ad una vicenda che, due anni fa, lo ha portato ad essere vittima di una tentata estorsione. Un ricatto compiuto da Emanuele Fois che, condannato con il rito abbreviato, dovrà scontare tre anni e quattro mesi di reclusione insieme al complice Filippo Fazioli, condannato a due anni e otto mesi. Ma a tentare di estorcere il denaro all'ex calciatore sarebbero stati anche Marco Fardellotti, Valentino Aliberti e Andrea Caprinozzi, che attualmente stanno affrontando un processo ordinario.

LA TESTIMONIANZA

Paolo Negro, sollecitato dalle domande del pm Roberta Capponi, ha dovuto ricordare una vicenda che lo ha scosso parecchio e che ora lo costringe ad affrontare, come parte lesa, un processo penale: «Nel 2011 fui minacciato da alcune persone che millantando amicizie pericolose, mi chiedevano soldi. Dicevano che mi ero venduto la partita Lazio-Siena del campionato 2006-2007». Tutte accuse false ed infamanti naturalmente. «Dicevano che alcuni loro conoscenti - ha continuato il giocatore - mi avevano visto con una valigetta contenente mezzo milione di euro e se non avessi dato almeno la metà dei soldi mi avrebbero dato in pasto ai giornali e alla procura. Quindi li ho denunciati». Una vicenda che è costata cara al calciatore ed alla sua famiglia: «All'inizio pensavamo fosse uno scherzo - ha dichiarato in aula la moglie del calciatore - sembrava tutto surreale. Ma quando anche alle mie figlie sono arrivate lettere minatorie, la vicenda per noi si è fatta drammatica ».

LA VICENDA

Una storia che inizia quando Paolo Negro, nella stagione 2006-2007, con la maglia del Siena, realizza un goal valido per la salvezza. E lo segna proprio alla sua ex squadra, la Lazio, e nel giorno della sua ultima partita in campo, prima di appendere le scarpette al chiodo. Trascorsi diversi anni, nel 2011, il calciatore viene contattato da alcuni uomini: «La prima volta - ha testimoniato la moglie del giocatore - venne un uomo nel mio salone di bellezza, Marco Fardellotti, e disse ad una dipendente di dover parlare con Paolo Negro, sottolineando che era una questione di vita o di morte». Quando giorni dopo Paolo Negro incontrò Marco Fardellotti nel parcheggio di un circolo sportivo, l'uomo gli disse che aveva conosciuto delle persone che erano certe che l'ex calciatore si era venduto la partita ed ora volevano ricattarlo. Il loro silenzio sarebbe costato trentamila euro. La vittima però denunciò tutto. Per rendere più credibile il ricatto, iniziarono le minacce: «Io, mia moglie ed anche le mie figlie - ha continuato in aula Paolo Negro - siamo tutti stati minacciati». Una volta venne anche recapitata una lettera minatoria presso l'asilo delle figlie dell'ex calciatore. La procura però diede subito il via alle indagini che portarono alle prime condanne e al processo di primo grado che attualmente si svolge nel tribunale capitolino, da dove ieri, Paolo Negro, dopo la sua deposizione, si è allontanato dopo aver firmato alcuni autografi.

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Las amistades peligrosas de La Roja

La selección española jugará por primera vez un amistoso en Guinea

Ecuatorial, uno de los regímenes más corruptos. El partido abre la

controversia: ¿debe ser el fútbol neutral ante las dictaduras?

A España se le concedió el Mundial en 1966, durante la dictadura de Franco

“Obiang usa el evento para dar imagen de normalidad”, critica un opositor

por LUIS GÓMEZ / SILVIA BLANCO (El País 09-11-2013)

La Roja hará historia en Malabo, la capital de Guinea Ecuatorial, el 16 de noviembre. Será la primera vez que una selección española de fútbol pise territorio guineano y la primera vez también que visite ese país una campeona del mundo. La federación de fútbol argumenta que la selección no cobrará por el viaje porque el motivo es respaldar el fútbol en un país muy modesto deportivamente. Pero, ¿es atinada la elección? Guinea Ecuatorial no es un país cualquiera. La pequeña excolonia española lleva 34 años encapsulada en la dictadura de Teodoro Obiang y su familia, uno de los regímenes más corruptos del mundo —según el último listado de Transparencia Internacional— donde se aplasta a la disidencia y unos pocos se reparten los miles de millones de euros procedentes del petróleo. La propaganda del régimen ya se ha puesto en marcha aprovechando la presencia de La Roja.

Una vez más, el fútbol (o el deporte) es la excusa para no hacer política cuando no hacer política es una manera de eludir cualquier responsabilidad en materia de defensa de los derechos humanos, una materia en la que los altos organismos deportivos han estado siempre de perfil. Es su discutible concepto de la neutralidad. “No haremos jamás política de políticos, política religiosa, política racial, somos una asociación que no es política, que se ocupa del desarrollo del fútbol. Mi papel como presidente de la UEFA es organizar la competición”, dijo ceremoniosamente Michel Platini, antigua estrella del fútbol en los años ochenta, a consecuencia de la petición de diversos organismos para que se boicoteara la Eurocopa 2012 que se celebraba en Ucrania, como protesta por el encarcelamiento de la ex primera ministra Yulia Timoshenko quien, por cierto, sigue en prisión. Es exactamente la misma frase que difunde a menudo Joseph Blatter, presidente de la FIFA, la misma posición que en su día mantuvo su antecesor João Havelange, criado como dirigente en la dictadura brasileña. El desarrollo del fútbol está por encima de cualquier otra consideración ética o política.

Cualquier repaso a las principales decisiones adoptadas en el seno de la FIFA, a través de sus denominados Congresos, no hace sino confirmar hasta qué punto alcanza ese elevado concepto de la neutralidad. Pongamos por caso el 35º congreso de la FIFA celebrado en Londres el 6 de julio de 1966. Allí se decidieron las sedes de tres mundiales: 1974 (Alemania Federal), 1978 (Argentina) y 1982 (España). A nadie le preocupó entonces concederle la organización del máximo acontecimiento mundial a un país que acababa de sufrir su quinto golpe militar (el 28 de junio se produjo el golpe del general Juan Carlos Onganía) y a otro, España, que llevaba sufriendo una dictadura desde antes de la II Guerra Mundial. El destino quiso que el Mundial de Argentina se celebrara bajo el yugo de la junta de Videla (sexto golpe militar de Argentina), pero que España pudiera celebrar su primer gran evento deportivo en una democracia recién conquistada. Es evidente que ese no era el propósito de la FIFA: si Franco hubiera vivido en 1982, habría presidido la ceremonia inaugural con Havelange a su lado.

El criterio para elegir las sedes de un Mundial no se ha modificado desde 1966. Están a la orden del día las sospechas de corrupción política y económica alrededor de la designación de Catar como sede del Mundial de 2022, un país pequeño, con una estructura política feudal, anclado en el desierto con temperaturas de más de 40ºC.

La Federación Española de Fútbol decide contra qué selección juega amistosos La Roja y asegura que el principal criterio para elegir país es deportivo. España mantiene relaciones diplomáticas con Guinea Ecuatorial, tiene embajada allí, es el tercer cliente comercial del país —por detrás de EE UU e Italia— y el segundo proveedor de Guinea —después de China—, según datos de la Oficina de Información Diplomática de 2010. Así que, ¿por qué pedirle al deporte lo que no hacen la diplomacia ni las empresas?

“El régimen aprovecha mucho estos acontecimientos para dar imagen de normalidad y que la gente olvide la opresión”, considera Wenceslao Mansogo, secretario de derechos humanos del principal partido opositor tolerado en el país, el CPDS (Convergencia para la Democracia Social). “Que vaya La Roja es indecente por parte de España. Es hacerle publicidad a Obiang. A mí me gusta el fútbol, y hay bastante afición en el país, pero con esto se enmascara la realidad”, critica.

En Guinea Ecuatorial, “las violaciones de derechos humanos son sistemáticas”, explica Mansogo. “No hay ningún tipo de libertad, ni de expresión, ni de opinión o de circulación dentro del país. La justicia no funciona, hay detenciones arbitrarias y abuso policial y militar”, agrega. Como a las dictaduras no les suele gustar parecerlo, Obiang organiza elecciones presidenciales de cartón piedra cada siete años con resultados extraordinarios: en 2009 obtuvo el 95% de los votos, y en las últimas legislativas, en mayo de este año, su partido logró 99 de 100 diputados, y 54 senadores de 55 elegibles. El que falta en cada cámara lo obtuvo la oposición, toda una prueba de pluralismo.

El régimen ya está haciendo su trabajo y prepara el terreno para vender la visita como un éxito político. La maquinaria propagandística guineana ha calificado el encuentro como “histórico” y se congratula por “el hecho de que el equipo español, actual campeón del mundo, haya aceptado jugar sin ninguna compensación económica gracias a las excelentes relaciones culturales, de amistad y cooperación que unen a España con nuestro país”, dijo a Efe uno de los 39 ministros que tiene el Gobierno guineano, el titular de Juventud y Deportes.

Las noticias que van llegando mencionan que la expedición española se alojará en Sipopo, un lujoso complejo con un hotel, un palacio de conferencias, hospital, campo de golf y playa privada, el delirio de grandeza de Obiang que costó 580 millones de euros. Allí vivirán encerrados en una burbuja futbolistas y, seguramente, periodistas deportivos, cuando es casi imposible para un reportero español conseguir un visado para entrar en el país, mucho menos en periodo electoral. Posiblemente toda la información que puedan divulgar abunde en torno a la enésima o no titularidad del guardameta Casillas y al probable estreno del delantero Diego Costa como internacional español.

Ese complejo turístico refleja las enormes desigualdades del país y de la economía de rapiña que practica una reducida élite próxima al poder, la que se podría permitir ir a Sipopo. La gran mayoría de los 736.000 guineanos viven en la pobreza y la esperanza de vida es de 52 años, mientras el país exhibe cifras macroeconómicas excepcionales —el PIB per cápita es de 26.486 dólares (19.750 euros), según el FMI en 2012— gracias al petróleo.

No es probable que los jugadores de La Roja, ni quienes los acompañan puedan ver la realidad de la dictadura. “Reto a cualquier miembro de la Federación a que tome un taxi e intente visitar un barrio cualquiera, que se salte el protocolo. No podría. La policía se lo impediría”, afirma Tutu Alicante, presidente de EG Justice, una ONG con sede en EE UU que promueve los derechos humanos en Guinea. Él cree que la ocasión no va a servir para llamar la atención sobre la dureza de la dictadura, sino para legitimar al régimen. Por eso opina que el partido no debería celebrarse: “El Gobierno necesita este tipo de eventos para presentarse como un país emergente y distraer a la población de las violaciones de derechos humanos y de la pobreza”.

Con estos antecedentes, ¿es exigible a la Federación Española de Fútbol que establezca una salvedad ética o política a la hora de efectuar una visita a un país como Guinea Ecuatorial? ¿Se le puede reprochar lo que no se reprocha a los empresarios o a los políticos que hacen negocios con Guinea y la visitan con frecuencia? ¿Han pensado los dirigentes de la federación aprovechar la visita a Guinea para demandar el respeto a los derechos humanos en el país? ¿Es de esperar que jugadores internacionales como Casillas, Xavi, Iniesta y compañía hagan algún guiño en ese sentido? ¿O se impondrá el conocido criterio de la neutralidad?

“La cuestión es si la Federación acepta el principio de que política y deporte no tienen nada que ver, o no se acepta”, plantea John Carlin, autor de El factor humano (Seix Barral), que luego inspiró la película Invictus, con Morgan Freeman. “Si se acepta, entonces es irrelevante que La Roja juegue en Corea del Norte o en Guinea Ecuatorial, que es una dictadura grotesca. Supongamos que se acaba la guerra en Siria y que El Asad sigue en el poder. ¿Irían a jugar allí? Si van, serían coherentes con ese principio, aunque creo que habría polémica”, razona.

En el libro, Carlin cuenta cómo Nelson Mandela, ya como presidente, transforma la Copa Mundial de Rugby de 1995 en un elemento de reconciliación entre blancos y negros. “En Sudáfrica, durante el apartheid, hubo un boicoteo total a los equipos sudafricanos en todos los deportes. Fue una medida apoyada internacionalmente que tuvo un impacto político real de censura al régimen. Les lanzó el mensaje de ‘sois los parias del mundo y os vamos a castigar, pero si acabáis con esta injusticia, os daremos el caramelo que ahora os negamos”, explica Carlin. Por eso el escritor y periodista cree que “si se boicoteara el partido en Guinea, se enviaría al régimen un mensaje potente de ‘no vamos a vuestra fiesta”, comenta. “Recuerdo una frase de Mandela que uso en mi libro: ‘Hay que apelar a los corazones y no a las mentes’, en referencia a la lucha contra el apartheid. En el caso del fútbol, el impacto es más emotivo que cualquier mensaje político. Si la Roja decidiera no acudir a ese partido, el mensaje llegaría a todos, desde la cúpula del régimen hasta el campesino”.

La decisión de la Federación se escuda en la deportividad y en la neutralidad, en una labor de fomento del fútbol. Guinea Ecuatorial era la selección africana peor situada en el ranking de la FIFA (151 hace un año) hasta que tuvo la oportunidad de organizar la Copa de África 2012 junto a Gabón. Diez de los jugadores guineanos de la selección se habían formado en España y llevaron a Guinea a una clasificación histórica al llegar a cuartos de final, donde cayeron ante Costa de Marfil, que luego sería la subcampeona.

No parece que el resultado del encuentro dé para mucha sorpresa ni que vaya a haber tanta “emoción” como el régimen pretende: “Será como una pelea entre David y Goliath”, dijo el ministro guineano. “Si vas a pasar por otro país africano antes de ir a Sudáfrica [donde España jugará un partido para el que ha sido contratada La Roja], hay más partidos contra Angola, Camerún, Ghana o Nigeria que contra Guinea, que puede ser un 14-0”, ironiza Carlin.

España probablemente ganará, porque la diferencia física y técnica con la selección de Guinea Ecuatorial es insalvable. Ganará, como se dice coloquialmente, “con los ojos cerrados”... pero con los ojos cerrados para todo.

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Tutti contro Ferguson

scrittore ingrato

NELLA SUA AUTOBIOGRAFIA SIR ALEX, PER 27 ANNI ALLENATORE

DEL MANCHESTER UNITED, GETTA FANGO SU MOLTI DEI GIOCATORI

CHE GLI HANNO FATTO VINCERE TUTTO. GLI INTERESSATI E

LA STAMPA RISPONDONO PER LE RIME. E CI VANNO GIÙ DURO

di PAOLO CONDÒ (SPORTWEEK 09-11-2013)

Il trucco editoriale per lanciare le autobiografe dei grandi personaggi è scoperto: diffondere le anticipazioni più pepate per stimolare le reazioni degli interessati, creando un battage che pubblicizzi il libro. Di rado, però, un’opera del genere è stata accolta da un fuoco di sbarramento così ftto come quello dedicato a My Autobiography, il racconto che Alex Ferguson, allenatore del Manchester United dal 1986 alla fne della scorsa stagione, ha fatto della sua vita nel calcio (in Italia uscirà a primavera da Einaudi).

Non parlo soltanto delle repliche di chi è stato toccato, tipo Roy Keane – «Parla di lealtà, ed è una parola della quale non conosce il significato» – ma anche delle critiche di chi per mestiere giudica i libri e chi li scrive. Se si è arrivati a leggere sul Times che nella sua autobiografa Ferguson “si rivela moralmente un pigmeo”, vuol dire che stavolta sono stati toccati i fili dell’alta tensione. Considerato che quello di manager di un club come il Manchester United è fatalmente un lavoro per gente tostissima, Sir Alex ha sempre comunicato sensazioni complessivamente buone. «In squadra voglio solo cattivi perdenti», la sua frase simbolo, «gente che non riesce ad accettare la sconftta e che quindi, la volta successiva, farà di tutto per non riprovare quella frustrazione». Un duro disposto a quasi tutto per vincere, abituato a trattare con uno spogliatoio di divi, ma senza mai dimenticare la sua estrazione da working class.

John Carlin, il grande giornalista inglese autore di Playing the enemy, il libro su Mandela dal quale venne tratto il film Invictus, scrive oggi sul Pais. Nella sua rubrica si è scagliato contro Ferguson in un modo che definire violento è poco, accusandolo di aver gettato palate di fango sui campioni che gli hanno dato tante vittorie e di aver taciuto sui rapporti intrattenuti con i vari azionisti del club, non sempre animati da finalità sportive. L’apice della polemica di Carlin – il cui parere non può essere considerato uno dei tanti – arriva quando si parla di David Beckham, dell’infelice frase usata dal manager del Manchester per descrivere la loro rottura (“un giorno pensò di essere più importante di Alex Ferguson” scritto proprio così, in terza persona, alla Maradona) e della reale dimensione dello Spice Boy. “Ho una notizia per lei, Sir Alex”, scrive befardo Carlin. “Se Beckham pensava di essere più importante di lei, non sbagliava. Più generoso, più elegante, più rispettoso, più leale, più famoso, più bello, più ricco e più giocatore di lei, dimenticabile centravanti del campionato scozzese”. Insomma, botte da orbi tra pesi massimi del pallone, introdotte da una massima di La Rochefoucauld, “l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù”. Tradotto: Sir Alex, non sarebbe stato meglio lasciare nell’ombra certe storie?

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Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 09-11-2013)

Enrico Letta prepara la sorpresa:

subito la legge sugli stadi

C’è in giro una gran voglia di legge sugli stadi. E di apparire al suo fianco. Dopo l’infausto epilogo di quella legata ai precedenti governi Berlusconi e Monti, che era stata fatta passare per la via «legislativa» (cioè attraverso le commissioni) per fare prima e che lì è rimasta per tre lunghi anni fino al suo decesso, si avverte ora un’aria nuova. Devono percepirla anche i parlamentari, che infatti si affollano a frotte al capezzale della risorgente legge. Primi, in ordine di tempo, gli onorevoli Nardella e Fossati del Pd. Nardella a suo tempo ha fatto diverse volte dentro e fuori dal Foro Italico per mettere a punto insieme al direttore generale di Coni Servizi Michele Uva (concupito attualmente anche dal Milan, lato BB)il testo di un disegno di legge condiviso. Poi al Coni ha preso ad andarci di menomain compenso la legge è diventata tutta sua, fin quando a depositarla presso la Camera, il 24 settembre, sono stati all’insegna delle larghe intese Pd, Pdl e Scelta Civica addirittura in ventidue, Vezzali, Coccia e Molea inclusi. Da allora, è tutto un succedersi di presentazioni e presentazioni delle presentazioni, l’ultima in ordine di tempo quella di martedì scorso a Roma, dove è stato spiegato che il disegno di legge («Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti e di complessi sportivi multifunzionali») destinato a passare per i due rami del Parlamento e non per la «legislativa », potrebbe diventare legge dello stato in poco meno di un anno. «Purché il Governo non voglia accelerare i tempi facendo propria la nostra proposta...» hanno aggiunto maliziosi (e forse bene informati)un paio di onorevoli.

In effetti, sta proprio per accadere qualcosa di simile, o meglio di quasi simile. In realtà, la cosiddetta legge sugli stadi il presidente del Consiglio Enrico Letta ce l’ha in testa dal primo giorno della sua legislatura, e più volte non ne ha fatto mistero. Letta, che ha buonissimi rapporti con Giovanni Malagò e Michele Uva, ha incontrato i due nei giorni scorsi, un summit poco pubblicizzato cui ha preso parte anche il ministro dello Sport Graziano Delrio. Ed è stato proprio in quella sede che Letta ha impresso una violenta accelerazione: la legge va fatta e va fatta subito. La strada? Dieci righe di testo all’interno della legge di stabilità che a breve vedrà la luce, che rimandino al più corposo testo integrale della vera e propria legge sugli stadi. Testo che pur ricalcandone molti passi non sarà esattamente quello di Nardella, che dunque potrà metterci sopra il cappello ma solo fino a un certo punto. A metterlo a punto, operazione in pratica quasi ultimata, saranno i tecnici del Governo e il Coni, e più precisamente Malagò e Uva. Un testo né troppo «stretto» da vincoli, né troppo «largo», così che l’incontentabile Lotito possa criticarlo ma senza esagerare.

Non vi aspettate conferme fino a mercoledì prossimo. E’ quello il giorno. Quando per la prima volta da premier Enrico Letta sarà ospite d’onore del Consiglio Nazionale del Coni. Occasione perfetta per il grande annuncio e, forse, per diverse altre cosa ancora che piaceranno allo sport italiano (che ne ha un gran bisogno) e gioveranno all’immagine di Malagò. Obiettivo comune, far diventare mercoledì 13 novembre una specie di data storica nel rapporto sportstato. Con la speranza che nei quattro giorni che mancano all’evento la politica, l’economia e la cronaca non costringano Letta a cambiare la sua agenda.

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Il caso Procedimento dopo il Marsiglia: «Accensione di fuochi artificiali e carente organizzazione»

Uefa: rischio-squalifica per il San Paolo

Decisione il 21 novembre. Ayew: «Sasso contro il bus? Sono scene viste in Africa»

di DARIO SARNATARO (IL MATTINO 09-11-2013)

L’Uefa ha aperto un procedimento disciplinare nei confronti del Napoli e del Marsiglia dopo la partita di mercoledì al San Paolo. Il «Control and Disciplinary Body» europeo si riunirà giovedì 21 novembre per decidere sul rapporto dei delegati alla partita di Napoli. Al club di De Laurentiis, che era in diffida e quindi rischierebbe di giocare a porte chiuse il match dell’11 dicembre contro l’Arsenal, sono stati contestati disturbo da parte del pubblico, accensione di fuochi artificiali, insufficiente organizzazione della partita e ritardato calcio di inizio; al club francese, accensione di fuochi artificiali e ritardato calcio di inizio. Un provvedimento disciplinare sarebbe una doccia fredda per il Napoli, che aveva intensamente lavorato per evitare disordini a Fuorigrotta proprio perché il San Paolo era diffidato. Intanto, il calciatore ghanese Jordan Ayew ha commentato sul sito internet del Marsiglia il lancio di una pietra che ha infranto un vetro del pullman mentre raggiungeva il San Paolo: «Ho l’abitudine a questo tipo di accoglienza quando gioco in Africa».

Intanto, circa 2500 tifosi azzurri si preparano a recarsi allo Juventus Stadium per la partitissima con i bianconeri. Polverizzati in poche ore lunedì scorso i 2170 biglietti messi a disposizione per gli ospiti, ci saranno altre poche centinaia di sostenitori del Napoli in altri settori. Sicuro il sold out, 41mila spettatori, e batterà un cuore azzurro nella tribuna ospiti (1087 dell’anello superiore e 1083 di quello inferiore). Parte dell’onda azzurra proverrà da Napoli e dalla Campania (per coloro che hanno la Tessera del tifoso), l’altra metà sarà composta dai tantissimi club Napoli del Nord. Su tutti gli 80 tesserati del Club Napoli Bologna di Maurizio Criscitelli, organizzatosi con pullman e auto, ma anche i club piemontesi di Ivrea, Cambiano, Vercelli, del neonato circolo di Torino e di quelli vicini di Aosta, Milano, Treviso e dei club svizzeri di Aarau e Ginevra.

È una gara ad alto rischio, anche di cori razzisti: la curva dello Juventus Stadium è stata chiusa con la condizionale lo scorso 28 ottobre (proprio a causa dei cori contro i napoletani: «discriminazione territoriale»), è recente anche l’aggressione ad alcuni tifosi, all’esterno dello stadio, prima della gara del primo aprile 2011, quando fu colpito anche il tifoso disabile Giovanni Graziano (querela ritirata ad aprile scorso dopo le scuse dell’aggressore).

Che pezzo! A protezione indiscriminata di una squadra (del cuore) ed a detrimento delle societa'/squadre avversarie. E comunque mercoledi' scorso al San Paolo non era successo niente...

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«Più soldi dalle tv»

La controproposta dei club a Infront

Intesa in Lega: rinnovo fino al 2021 solo a determinati

risultati, minimo più alto. Si punta a crescere all’estero

di MARCO IARIA (GaSport 09-11-2013)

Deve essere messo tutto nero su bianco, ma la linea d’azione trova adesso un largo consenso: la Lega è pronta a respingere la proposta di Infront per il rinnovo del mandato di advisor sui diritti tv e a presentare una controproposta con modifiche per nulla marginali. Insomma, le sette sorelle hanno fatto breccia. Sin dalla lettera inviata a fine agosto Fiorentina, Inter, Juventus, Roma, Sampdoria, Sassuolo e Verona hanno messo in discussione un percorso che pareva spianato. Altro che decisioni repentine, mariunioni tecniche, confronti con i broadcaster, consapevolezza di ciò che il mercato può offrire.

Distinguo Nel frattempo, si è scoperto che un esponente della maggioranza come Urbano Cairo, conoscitore dei media, ritiene che la Serie A valga di più del miliardo attuale, soprattutto se si sfrutta a dovere l’estero. Ma si è pure constatato che Adriano Galliani, sulla cui vicinanza a Marco Bogarelli si sono spesi fiumi di inchiostro, vede come una iattura la creazione di un canale della Lega, vale a dire una delle armi sventolate inizialmente da Infront per uscire dalla tenaglia del duopolio Sky-Mediaset. La Lega, in definitiva, si è confer mata il regno dell’insondabile, dove le alleanze nascono e muoiono senza nemmeno accorgersi. Fatto sta che la proposta di Infront (mandato fino al 2021, con minimo garantito da 900 milioni per il triennio 2015-18 e 930 per il 2018-21) non convince parecchi presidenti. E se la prospettiva del canale autonomo era stata già ridimensionata all’ipotesi di un semplice studio di fattibilità, la riunione informale di ieri tra i club ha messo in evidenza altre certezze: niente rinnovo fino al 2021 bensì la formula del 3+3 (cioè prolungamento del mandato a Infront a determinati risultati, oppure diritto di recesso se quegli stessi risultati non vengono raggiunti); innalzamento dell’asticella del minimo oltre cui scattano le commissioni per l’advisor.

Scenario E' sul quantum che va trovata un’intesa. Per questo il presidente Beretta ha convocato un altro incontro informale per giovedì, prima dell’assemblea del 18. I club devono mettersi d’accordo sul minimo da chiedere a Infront: qualcuno vorrebbe 950 milioni, altri si spingono al miliardo e oltre, ma c’è pure chi si accontenta di 900. E poi le commissioni. Attualmente Infront percepisce 35-40 milioni sul miliardo di ricavi con un sistema a scaglioni. Le società vorrebbero ribattere con una percentuale fissa (2,53%) oltre una determinata soglia, oppure separando il lavoro domestico da quello internazionale, in modo da risparmiare una decina di milioni a stagione. E a quali condizioni scatterebbe il rinnovo? La Roma si è spinta in là: in presenza di 1,3 miliardi di ricavi annui. L’obiettivo di una grossa fetta di club è quello comunque di incentivare Infront a incrementare gli introiti: se adesso la A incassa un miliardo, l’idea è di portare a casa un centinaio di milioni in più, e visti i chiari di luna delle pay tv le aspettative si concentrano sull’estero. Questo è il punto di vista, non ancora omogeneo, delle società. Infront potrà dire di no. A quel punto si aprirà un negoziato dagli esiti imprevedibili.

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Che pezzo! A protezione indiscriminata di una squadra (del cuore) ed a detrimento delle societa'/squadre avversarie. E comunque mercoledi' scorso al San Paolo non era successo niente...

Cosa vuoi che sia successo. A Napoli lanciare sassi contro i vetri dei pullman delle squadre avversarie è un modo come un altro per fare un poco di goliardia.

Questa pratica potrebbe essere forse classificata come qualche tipo di discriminazione?

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Cosa vuoi che sia successo. A Napoli lanciare sassi contro i vetri dei pullman delle squadre avversarie è un modo come un altro per fare un poco di goliardia.

Questa pratica potrebbe essere forse classificata come qualche tipo di discriminazione?

Quando ci sono scontri ed agguati di quel genere s'offre la comunita' (non si capisce come riescano a farla franca con un dispiegamento di forze dell'ordine cosi' massivo) e soffre la civilta' (non solo a Napoli...). Il commento del ghanese Ayew dice abbastanza: «Ho l’abitudine a questo tipo di accoglienza quando gioco in Africa».

Ma fa specie, nel caso della denuncia UEFA, l'accusa di insufficiente organizzazione rivolta contro la SSC Napoli dell'immaginifico De Laurentiis (solo chiacchiere e istintivo).

Altra perla dalla Grazietta dello Sport di oggi

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Dovrebbe bastare per la squalifica, perche' fumogeni e artifici pirotecnici in genere sono vietatissimi (difficile da spiegare dove sono quasi piu' orgogliosi del "pallone di Maradona" che dello stesso Maradona).

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“Quella maglietta del Milan

che mi salvò la vita”

L’inaspettato terreno comune incontrato da Quirico: dalla Libia al

Kenya, dal Congo alla Siria ribelli, jihadisti e profughi sfoggiano

i colori delle squadre europee. Come i migranti che sfidano il mare

PASSIONE CHE AFFRATELLA Le strisce rosse e nere creano solidarietà dove aleggia il pericolo di morte imminente

BARCELLONA SUPERSTAR In Africa e Medio Oriente conquista il record del tifo. Perché? «Perché vince»

IL MASSACRO DI ALEPPO Ragazzi-guerriglieri-tifosi uccisi con le divise della Liga, della Premier o della Serie A

IL PRIGIONIERO Costretto alla livrea stracciata del Real Madrid. «Ma a casa mia ne avevo una della Juventus»

di DOMENICO QUIRICO (LA STAMPA 10-11-2013)

Gli eserciti delle guerre che ho attraversato, dove mi sono sporcato le scarpe nel disordine della vita, non hanno divise: in Somalia Mali Libia Congo, ribelli, guerriglieri, fanatici, banditi non devono distinguersi, devono semmai confondersi. A dividerli, quelli che hanno la forza e la possibilità di sopravvivere, e gli altri, i poveri altri, bastano il kalashnikov, il machete, la pistola. Non c’è colore in quell’eterno presente che è l’inferno. Eppure, anche lì, la guerra ha il suo lato teatrale. Con procellosa contraddizione i moderni lanzichenecchi, i rivoluzionari in nome di Allah amano indossare le maglie delle squadre di calcio europee. Ecco: un motivo in più per cui tutte le cose umane danno una mano alla ragione e l’altra all’assurdo. Questi tribolanti da ogni parte, messi a far siepe sotto l’ammanto di una storia scellerata, nascondono un cuore tifoso, sono una Curva universale. Sono pronti a morire per Dio o per un signore della guerra, odiano l’Occidente, sanno che con il destino l’impazienza non serve, ma vanno in battaglia o in strada con devozione di vestali portandosi sulla schiena le sillabe di Ibrahimovic, Messi o Kaka.

Tripoli, l’ultimo giorno della gazzarra e del mangia mangia gheddafiano, già la sua caserma è rovina, sottosopra come un campo lavorato: un gruppo di miliziani e mercenari del dittatore cadente mi afferra e mi trascina nel suo covo. Sotto le mimetiche lerce, con addosso l’usura della sconfitta ormai vicina, spuntano, metafisiche, irridenti, maglie del Chelsea, dell’Arsenal, del Real.

Attorno al pick-up in cui hanno appena sospeso la mia esecuzione, tra gli altri che perfidi sudano fiele, serpeggia qua e là un ragazzo dalla pelle più scura, un mercenario della legione africana del Colonnello. Ha seguito la sequenza dell’uccisione del mio autista, il viso ricamato con tutti i punti interrogativi della curiosità. Sotto il giubbotto che gli serve per tenere i caricatori del mitra vedo una maglia che conosco, bianca con le strisce rosse e nere, la maglia della mia squadra, il Milan. In quella traversata del male è come un segno di casa, un appello a sperare. Per tentare di comunicare con quelli che possono essere, ancora, i miei assassini, ho dunque un oggetto comune, il simbolo di una passione che, incredibilmente, ci affratella. Gli faccio un segno, lo tento: «Hai una bella maglia...».

Il ragazzo mi guarda e poi, svelto, inizia a spogliarsi della cartucciera, si leva la maglia e me la porge: «Ti piace? E’ tua…». Allo stadio embrionale l’estremo è nascosto in ognuno di noi.

Presto non potremo, noi occidentali, raccontare più molte delle guerre del mondo, ci sarà vietato attraversare spazi interi, incrudeliti del pianeta: è l’era dei fanatismi, delle fedi assolute fino all’omicidio, del jihad senza speranza. Siamo il Nemico, disprezzato e temuto nello stesso tempo, l’Altro da uccidere e a cui non si ha più voglia di raccontare chi si è, cosa si vuole, si sogna, l’ideologia per cui ci si batte. Fino alla morte. Non più la lotta del preferibile contro il detestabile ma del Bene contro il Male. Il solo segno di comunicazione con i fantasmi e i fantocci di queste rozze e balorde dogmatiche sembra esser rimasto il football, la mediocre religione del gol della vittoria, di un pallone.

Colpa, ancora una volta, di Al Jazera, il Grande fratello delle rivoluzioni e dei fanatismi arabi, che regala ai popoli slogan ribelli, bugie: e le partite dei campionati europei più importati, Inghilterra Spagna Italia. Dalla Mauritania alla Siria un mondo che vive con la televisione perennemente accesa conosce tutti gli eroi e le comparse degli stadi europei.

Bamako, quest’anno: sento raffiche di angoscia, la guerra è a due passi, la metà del Mali è nelle mani di Al Qaida, si aspettano i francesi per superare il Niger, riconquistare Timbuctu, Gao, Kidal. Qui hanno dimenticato i nomi delle cose, ma non di Messi e di Ronaldo. Attorno alla grande moschea nel mercato vedo solo occhi acidi e granulosi, gli stranieri sono scomparsi, la miseria li smunge da anni peggio dell’anticristo. Solo le bancarelle che vendono maglie di calciatori fanno affari. Tra le altre fitte di nomi noti di oggi e di ieri, anche la maglia del terzino del e di ieri, anche la maglia del terzino del Milan Abate. Forse è difficile trovarla persino in Italia.

Ancora in Mali, durante la guerra, in un villaggio di prima linea, casupole sgangherate e pittoresche , un luogo dove nascono e muoiono un sole di brace e una luna smorta sopra un languido deserto. Il cannone romba vicino, i combattenti sembrano i cospiratori di Conrad cupi, il viso cenerognolo e misterioso. È mercoledì, giorno di coppe, in tutto il mondo. Un popolo di soldati e miliziani si riunisce in religioso silenzio, deposto il kalashnikov, attorno a uno dei pochi televisori, sistemato nella strada principale: per seguire non le notizie della guerra, ma Barcellona-Milan. Son l’unico bianco, e sono l’unico che tifa per la squadra italiana. Ogni gol del Barcellona mette quel popolo tifoso come un formicaio in scompiglio.

Sì, forse il calcio porta anche le altre ebbrezze che ha la vita altrove, il tifo come l’odio è un legame altrettanto forte: esige obbedienza. Il Barcellona è la squadra che tutto questo mondo di afflitti adora, anche chi non sa che cosa siano la Spagna, il Camp Nou, la cantera delle meraviglie, tutto questo catechismo di stereotipi e di astrazioni che nutrono il tifo? Perché? Perché vince… mi hanno risposto. In fondo, in questi luoghi di afflizione e di delusione, questa è una ideologia rivoluzionaria.

Ho visto le maglie del Barcellona anche a Dadaab, nel Kenya del Nord, la più grande città di rifugiati del mondo, assurta a simbolo della miseria angariata. La terra lì è gialla e dura come una crosta che se lo mangia il verde e ti fa venire l’arsura solo a vederla. Una vita senza libertà, come una malattia, come perdere la salute, un po’ più in là dell’ultima capanna di fango e di sacchi di plastica la normalità sparisce nel buio. A fianco, la città con l’aria condizionata e i televisori al plasma, e il filo spinato, dei soccorritori, degli umanitari da 5000 dollari al mese, che hanno per i rifugiati l’affetto per un animale nella gabbia del quale si entra guardinghi. Gli uni e gli altri hanno un solo legame, il football e i suoi eroi. Qui la Premier League vien subito dopo la speranza del Paradiso.

In Siria, ad Aleppo ho visto rivoluzionari adolescenti con le maglie del calcio ramingare verso la prima linea, la stanchezza dell’anima negli occhi. Sulle macerie dei palazzi del quartiere di Salaheddin regnava un silenzio splendido e struggente, per un attimo ne ho visti alcuni uccisi, e quelle maglie eran l’unica chiazza di colore tra le macerie: soldati, ragazzi, carne viva. Un gruppo di combattenti di Al Qaida, le funebri galabie nere, li guardava con l’assurdo sussiego dei massacratori.

Non so se i calciatori hanno la consapevolezza di esser gli ultimi, nel mondo, a possedere il segreto di una magia straordinaria, commuovere, donare emozioni che cacciano ad ognuno il diavolo in corpo, ovunque, anche laddove l’uomo lotta per uccidere l’altro e spesso non gli è rimasta alcuna fede se non la sopravvivenza. Dove ti chiedi: può mai accendersi un sorriso in un luogo simile? È il gusto di cenere di una gioventù sciupata che si lascia sbigottire, come i loro coetanei dall’altra parte del mare, da un gol una veronica una parata gagliarda, gente che sa fiutare la gioia e la speranza anche nelle regioni più sterili. Ma il calcio sembra una di quelle parole che pronunciate con apparente indifferenza acquista a un tratto come un senso cabalistico.

Sono stato prigioniero in una città che si chiama Al Qusser, i miei carcerieri avevano catturato anche un soldato nemico, gli avevano preso l’uniforme, gli scarponi, il giubbotto antiproiettile. L’avevano rivestito con una maglia stracciata del Real Madrid. Aveva tutto grande, la testa riccia, la fronte, il naso carnoso, i palmi delle mani. Lo usavano come schiavo: puliva accudiva le pecore ogni tanto lo picchiavano. «Lo vedi quello? Quando non ci servirà più lo sgozzeremo» mi aveva annunciato, con pedagogia malvagia, il capo dei miei carcerieri con gli occhi che gli si ficcavano addosso come chiodi.

Mi girava attorno, questo condannato a morte, lo sguardo mesto di chi si è lasciato già dietro la vita. «Sei italiano tu… Conosco una cosa del tuo Paese, la Juventus. Avevo la maglia quando ero laggiù, a casa mia, in pace…».

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Ravanelli si difende: Doping all'Ajaccio? Solo integratori

L'ex bianconero: «Sono amareggiato per le accuse. A capo dello staff che si

occupa dell'alimentazione c'è Fabrizio Angelini, che lavora anche per la Roma»

art.non firmato (TUTTOSPORT.com 08-11-2013)

"Non sono arrabbiato, ma allibito e amareggiato. Si sono voluti far passare integratori alimentari, che si comprano in qualsiasi supermercato, per sostanze dopanti, mettendo tutto in un unico calderone. Mi sono già informato con il mio avvocato su come difendere la mia immagine da queste accuse infamanti". Fabrizio Ravanelli, raggiunto al telefono da Sky Sport, risponde così a Cedric Hengbart, giocatore dell'Ajaccio, club francese che, di recente, ha esonerato l'ex juventino. Hengbart ha sostenuto che Ravanelli, coadiuvato dal preparatore atletico Gianpiero Ventrone, insisteva perché i giocatori prendessero sostanze come creatina, proteine, amminoacidi e omega-3. "Mi sembrava di essere dopato. Ma io sono stato tra i pochi a rifiutarmi. A 33 anni e con 10 anni di carriera alle spalle non vado a prendermi certi prodotti", avrebbe detto. "Sono stati riportati fatti assolutamente inventati. Il calciatore non ha mai parlato di sostanze dopanti, si trattava solo di integratori", ha replicato Ravanelli. "Nell'Ajaccio c'è uno staff medico, uno tecnico e uno che si occupa all'alimentazione, le cose sono ben distinte - ha spiegato ancora l'ex attaccante -. A capo dello staff che si occupa dell'alimentazione c'è Fabrizio Angelini, che lavora anche per la Roma. In Francia ci sono controlli severi".

Ravanelli ha accennato alla partita contro il Rennes, dello scorso settembre, al termine della quale tutti i giocatori scesi in campo furono sottoposti a dei controlli: "Hanno preso dei campioni a tutti e non è risultato niente. Non capisco come siano potute uscire queste voci. Sono allibito". Dietro le parole di Hengbart, allora ci potrebbe essere una rivalsa? "L'ho messo fuori squadra appena arrivato, perché non rientrava nei miei piani. Lui avrebbe potuto prendere anche 50 chili di prodotti, ma con me non avrebbe giocato mai. Però non penso a ripicche personali, io appartenevo a una squadra corsa e sono italiano, non capisco il motivo di un tale accanimento. Sono davvero amareggiato".

Ed a Roma confermano strategicamente, dimenticandosi di accennare al tal Fabrizio Angelini.

Crescenzi: «Ma quale doping, solo integratori»

Parla il terzino dell’Ajaccio: «Ravanelli non ci ha mai obbligati a prendere niente»

di VALERIA META (IL ROMANISTA 10-11-2013)

È un posto soggetto a tempeste, Ajaccio, e infatti non è mica un caso che abbia dato i natali a Napoleone. Se n’è accorto anche Alessandro Crescenzi, ventiduenne terzino di proprietà della Roma, che dopo tre ottime stagioni in Serie B ha scelto la Ligue1 per fare esperienza e ha finito per trovarsi in mezzo alla bufera mediatica suscitata dalle dichiarazioni di Hengbard, che ha accusato il tecnico Ravanelli di somministrare troppi integratori («mi sembrava di doparmi, anche se doping non era») alla squadra. «Quando ho letto quello che è uscito in Italia, sono rimasto di stucco - esordisce Crescenzi -. In tutto quello che è stato detto e scritto non c’è alcun fondo di verità. Personalmente posso dire che a noi giocatori non è stata data alcuna sostanza dopante, solo integratori alimentari che tutti gli sportivi possono prendere. Ho letto che siamo stati obbligati a prendere sostanze dopanti e non è assolutamente vero perché, ripeto, si trattava di semplici integratori».

A far scoppiare il caso, però, sono bastati i nomi dei soggetti coinvolti. Oltre a Ravanelli (alla prima esperienza in una squadra professionistica, dopo due stagioni alla guida dei ’99 della Juventus), sul banco degli imputati è finito anche Giampiero Ventrone, preparatore storico di Marcello Lippi nella Juve processata per abuso di farmaci nel 1998, oggi nello staff dell’ex attaccante. «Era facile montare un caso quando di mezzo c’erano Ravanelli e Ventrone, legati a quella Juve lì - continua Crescenzi -. Sono davvero dispiaciuto. Il mister e lo staff sono persone splendide e non lo dico per dire. Non si meritano queste chiacchiere ».

È vero che hanno fatto il controllo antidoping a tutti e 11 dopo una partita?

Sì è vero, dopo quella con il Rennes. A noi e anche ai nostri avversari, e nessuno è risultato positivo.

Ti era mai capitato prima?

No, mai.

Gli integratori quando si prendono?

Dipende, a volte prima e a volte dopo l’allenamento, ma per la maggior parte dopo.

Gli stessi per tutti o sono personalizzati?

Gli stessi per tutti.

Da quando giochi a calcio, hai mai notato differenze fra gli allenatori nell’uso di integratori?

Nessuna differenza. Tutte le squadre fanno uso di integratori e io non ho mai incontrato un allenatore che li proibisse o uno che ne consigliasse più degli altri. Il calcio è un’attività agonistica importante e molto fisica. Gli integratori servono appunto a reintegrare le sostanze che si perdono allenandosi e giocando, non per migliorare le prestazioni.

Qualcuno vi ha mai obbligati?

No, certo che no. Gli integratori vengono consigliati, non prescritti. Mi viene quasi da ridere, assolutamente nessun obbligo.

È vero che qualcuno all’Ajaccio ha preferito non prenderli?

Sì, un compagno. Quello che poi ha rilasciato l’intervista a Canal Plus ripresa anche in Italia.

Ravanelli l’ha presa male?

Sicuramente non ci è rimasto bene. Però davvero lui è una persona d’oro, lo dico in assoluta sincerità.

Secondo te questa storia ha influito sull’esonero?

Questo non lo so. È una decisione che ha preso la società.

E adesso che aria tira ad Ajaccio?

Personalmente sto molto bene. Finora ho giocato sempre e sono soddisfatto di aver scelto un’esperienza all’estero, era giusto venire a vedere che succede fuori dall’Italia.

Com’è la Roma vista da lontano?

Eh, quest’anno è proprio tanta roba...

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Lega Pro: Nocerina minacciata dai propri ultras, il derby farsa dura 20'

I rossoneri non volevano scendere in campo con la Salernitana per le minacce dei propri tifosi, ai quali era stato vietato l'accesso all'Arechi per motivi di ordine pubblico. La partita è cominciata, ma gli ospiti hanno effettuato i tre cambi e, dopo cinque infortuni, l'arbitro ha fischiato la fine. Si va verso il 3-0 a tavolino per i padroni di casa, mentre i giocatori della Nocerina rischiano l'illecito sportivo

SALERNO - Era cominciata male, ed è finita peggio, la domenica del derby di Lega Pro tra Salernitana e Nocerina, in programma allo stadio Arechi di Salerno. La partita, che era iniziata con 38' di ritardo, si è conclusa dopo soli 20': gli ospiti, che avevano effettuato subito le tre sostituzioni a disposizione tra i fischi del pubblico, hanno accusato cinque infortuni e sono rimasti in campo in sei, costringendo l'arbitro allo stop. La Salernitana dovrebbe così ottenere la vittoria a tavolino per 3-0, mentre i giocatori della Nocerina rischiano l'accusa di illecito sportivo e, di conseguenza, pesanti squalifiche.

La partita, in programma alle 12.30, era cominciata dopo le 13. Le squadre sono erano scese in campo agli ordini del direttore di gara Sacchi di Macerata. Sugli spalti dell'Arechi solo tifosi della Salernitana, dopo il divieto disposto dal prefetto per gli ospiti. Proprio per questo motivo la partita era stata a lungo in dubbio: i giocatori della Nocerina in un primo momento si erano infatti rifiutati di scendere dal proprio pullman, regolarmente parcheggiato all'interno del perimetro dello stadio. I giocatori rossoneri sostenevano di essere stati minacciati dalla propria tifoseria, contrariata per non aver potuto raggiungere Salerno, in seguito al divieto di accesso allo stadio per i tifosi ospiti disposto dal prefetto. Poi gli stessi calciatori della Nocerina, dopo le rassicurazioni del questore di Salerno, Antonio De Iesu, avevano accettato di scendere in campo, ma la partita si è trasformata subito in una
farsa. C'è stata anche tensione all'uscita dalla stadio tra i tifosi della Salernitana per la restituzione dei soldi spesi per il biglietto.

LEGAPRO SI COSTITUIRA' PARTE CIVILE - "I fatti verificatisi nella partita Salernitana-Nocerina hanno recato un danno gravissimo al calcio e alla Lega Pro, ci costituiremo parte civile in tutti i procedimenti penali che verranno aperti e procederemo per risarcimento danni". E' quanto si legge in una nota della LegaPro. "I delinquenti che hanno fatto minacce e chi ha fatto sceneggiate in campo, ci auguriamo che vengano sanzionati come meritano. Da parte nostra - si legge ancora nel comunicato - non arretreremo di un centimetro nel conquistare un calcio normale".

I DIRIGENTI DELLA NOCERINA HANNO RASSEGNATO LE DIMISSIONI - Durante i pochi minuti di gioco lo stadio Arechi di Salerno è stato sorvolato da un aereo ultraleggero che mostrava uno striscione con la scritta "Rispetto per Nocera e per gli ultras". "Brutta pagina di sport". Commenta così il questore di Salerno Antonio De Iesu quanto accaduto oggi all'Arechi. Il Questore era presente per coordinare il dispiegamento delle forze dell' ordine impegnate nella sicurezza del derby. "La società rossonera era intenzionata a disputare la partita mentre erano proprio i giocatori che si rifiutavano di scendere sul terreno di gioco - ha aggiunto - Nel frattempo, abbiamo acquisito filmati e testimonianze di quanto accaduto (le minacce alla squadra ndr) ed avvieremo le opportune indagini". Negli spogliatoi, infine, si è presentato soltanto Pavarese, direttore generale della Nocerina. "La squadra prosegue il proprio silenzio stampa - ha affermato -. Tutti i dirigenti della Nocerina hanno rassegnato le proprie dimissioni".

(10 novembre 2013)

PUHA! :angry:

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Che casino! Lega Pro, Ministero e Prefettura l'hanno combinata grossa. In Lega Pro quest'anno non ci sono retrocessioni dunque meno pathos anche se la Nocerina è ultima ad un punto.

Hanno voluto la tessera del tifoso per le partite fuori casa, tutti schedati, biglietti nominativi e poi si vieta la trasferta. Manco nella Corea del Nord.

Massa di incapaci hanno sortito l'effetto opposto. 500 uomini delle FF.OO. mobilitati per una partita a rischio, di che? bastava che uno sgarrasse e galera per 6 mesi effettivi altro che Daspo. Stanno distruggendo il calcio, questa volta sto coi tifosi e bene hanno fatto i calciatori della Nocerina a rimanere in sei, e, non ci metto la mano sul fuoco,ho l'impressione che il ritardato inizio di 40 minuti sia stato causato proprio dagli accordi per questa farsa.

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Il racconto di un pentito di Scampia: raccoglievamo le giocate anche in centro

“Galoppini e puntate fino a 100 mila euro

così i clan gestiscono le scommesse”

di DARIO DEL PORTO (la Repubblica - Napoli 11-11-2013)

Un esercito di «galoppini» sguinzagliato nelle strade per raccogliere le giocate porta a porta. Funziona così l’affare delle scommesse clandestine gestito dalla camorra di Scampia. «Le puntate andavano dai mille sino ai centomila euro, non c’era limite», racconta ai magistrati del pool antimafia il pentito Armando De Rosa, lo stesso collaboratore di giustizia che ha rivelato agli inquirenti di un torneo di calcio fra i clan di Secondigliano organizzato all’inizio degli anni Duemila «in un campo di fronte alle Case Celesti». In un verbale del 25 marzo scorso, De Rosa ricorda che un suo parente «aveva messo su un banco di scommesse clandestine». L’attività era strutturata come e meglio delle reti autorizzate. «Avevamo una serie di galoppini, una ventina almeno, che raccoglieva i soldi per noi. Ci chiamavano sui cellulari e ci segnalavano che avevano raccolto la puntata».

Non esistevano steccati di alcun tipo. Le giocate potevano arrivare «da qualsiasi scommettitore, da qualsiasi zona di Napoli. Anche da normali cittadini, non solo camorristi». Per distinguere la provenienza della puntata, bastava guardarne l’ammontare: «Si comprendeva che si trattava di affiliati dall’importo della giocata. Dai ventimila euro in su, si capiva che erano camorristi». Sostiene De Rosa che i «galoppini» della sua organizzazione «coprivano la zona del Terzo Mondo, Scampia 167, Secondigliano, Arzano, Mugnano, ma ci chiamavano anche da Fuorigrotta e dal centro di Napoli, Giugliano, Casoria, Afragola». Ai «galoppini» andava una percentuale del 10 per cento sulle giocate. In un primo tempo, De Rosa dice di aver ricevuto l’incarico di «fare le quote: significa che consegnavo ai galoppini, su un semplice foglio A4, le quote di riferimento. Per ogni evento era indicato quanto venivano pagate. Il riferimento era quello delle giocate lecite, noi le maggioravamo del dieci per cento». Poi il futuro pentito decise di scalare le gerarchie malavitose. «Capii subito che avrei potuto guadagnare più dei 500 euro a settimana che percepivo, in quanto conoscevo molte persone, sia camorristi che normali cittadini, imprenditori, benestanti. Il giro d’affari grosso era sui camorristi e i capi piazza che io conoscevo».

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UN PAESE DOVE LA PIAZZA COMANDA SEMPRE

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 11-11-2013)

Perché stupirsi della vicenda di Salerno? Perché allarmarsi per il comportamento dei calciatori della Nocerina? In questo nostro bel paese la piazza decide, non il popolo che è sovrano, ma la piazza dei ribelli, degli hooligans, degli indignati, ma soltanto nel weekend, degli antagonisti, dei no tav, degli ultras che essendo “oltre”, per etimo, non vogliono, non possono e non debbono essere al di qua. È il calcio che si è offerto ai tifosi delinquenti, al nostro meraviglioso pubblico che se ne fotte dei divieti, delle tessere di riconoscimento, dei tornelli, delle videocamere. Che sugli spalti di Juve-Napoli intona: «Noi cantiamo quello che vogliamo» (dove «quello» è parola diversa). È il football che permette ai tifosi di sospendere il derby di Roma, che obbliga i calciatori del Genoa a consegnare ai curvaioli le maglie di gioco, consenziente il signor Preziosi, presidente del club; è il football che urla contro i neri provocando sdegno ma può liberamente esporre striscioni contro chi ha tentato un suicidio e non trova rimprovero e censure. È il Paese che permette ai manifestanti di imbrattare i muri, di frantumare vetrine, di incendiare cassonetti e di tornare a piede libero, secondo le ultimenotizie di tribunale, perché nulla di serio è accaduto. È l'Italia degli assenteisti, dei pianisti in Parlamento, degli evasori pluriennali ma scoperti soltanto oggi, dei dirigenti, supervisori delle compagnie assicurative, corrotti dalle stesse agenzie che loro stessi dovrebbero controllare, degli scafisti, non soltanto quei bastardi che scaricano vite disgraziate, maquelli in giacca e cravatta che speculano, usurai autorizzati, sui nostri conti correnti bancari, dunque la nostra esistenza. È una deriva quotidiana che non ha limiti e che nel calcio sta esplodendo e viene illustrata non soltanto dal malaffare delle scommesse clandestine ma dal comportamento pubblico dei suoi attori, screanzati, campioni fasulli, viziati e, per la maggior parte, ignoranti, avendo frequentato più discoteche che dizionari della lingua italiana. Quelli della Nocerina non hanno avuto il coraggio di sporgere denuncia nei confronti dei ricattatori perché il calcio e i suoi protagonisti, vivono sotto schiaffo, dei procuratori e degli ultras. Sono questi a dirigere il gioco, sono questi a permettere di scavalcare il muro della decenza. L'isola si è attaccata al continente, lo scandalo è tossico, dovunque, comunque. Forse ce lo meritiamo. L'Italia del vaffa day che altro propone? Quali sono i suoi punti di riferimento? Quali i suoi nuovi valori mentre la nave è piegata sul fianco? Dunque che nessuno strilli contro il football del sud o del centro o del nord. È l'Italia nostra, dove cresce la misantropia, l'avversione a chiunque e a qualunque cosa, dove la potenza è stata sostituita dalla prepotenza, dove il dialogo è stato annientato dall'insulto, l'elettore è idiota, il manifestante è intelligente, la democrazia è finta, l'agoracrazia è genuina. I modelli cui ispirarsi, nello sport, nella politica, nella comunicazione radiotelevisiva, nel giornalismo, sono spesso violenti nella loro dialettica, riconosciuti e riconoscibili, per questo si esaltano, si autocelebrano, perchè incantano gli astanti, spesso li ricattano. «Non sempre la violenza è sinonimo di malvagità. Ciò che è malvagio è l'infatuazione della violenza». Queste parole non sono di papa Bergoglio e nemmeno di un democristiano di giornata. Le ha scritte, nel suo libro Light my fire, il profeta maledetto, della libertà, musicale, artistica, esistenziale: Jim Morrison. Infatuati della violenza.

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La Procura indaga

Cremona, allarme. Scandalo infinito

«Incontri di A e B ancora truccati»

di GIOVANNI BIANCONI (CorSera 11-11-2013)

Lo scandalo del calcioscommesse non è finito, anzi. C’è la possibilità che alcuni incontri vengano tuttora truccati, come se niente fosse accaduto finora. È l’allarme lanciato dalla Procura di Cremona, che chiede altro tempo per indagare. Del resto, comunicano i pubblici ministeri, con l’ultima informativa del Servizio centrale operativo della polizia sono stati denunciati «numerosi nuovi indagati, ed è stata evidenziata la manipolazione di numerose altre partite, alcune delle quali riferibili all’ultimo campionato». Conclusione: «L’attività di manipolazione è ancora in corso». Forse perché chi scommetteva sui risultati combinati nello scorso torneo non è stato fermato, ed è ipotizzabile che continui a farlo. Ma non è questa l’unica novità contenuta nella richiesta di proroga trasmessa al giudice dell’indagine preliminare, che nei giorni scorsi l’ha notificata agli inquisiti. La Procura avverte che «sono avvenute recentemente delle ulteriori nuove iscrizioni» nel registro degli indagati. Inoltre «sono stati identificati alcuni personaggi che tenevano contatti tra il sodalizio (cioè la banda degli scommettitori già individuata, ndr) e dirigenti e tecnici delle squadre di serie A, e che pretendevano per le loro prestazioni somme nell’ordine di centinaia di migliaia di euro a partita». Il giro di soldi intorno ai risultati combinati, insomma, continuerebbe ad essere ingente e particolarmente attivo, anche nella massima serie. Dall’ultima informativa dello Sco sarebbe emersa l’identità del famoso «mister X», anello di collegamento tra scommettitori e tesserati dei campionati di serie A e B, per il quale «sono in corso di accertamento i legami con riferimento alla manipolazione delle partite»; e continua l’esame dei tabulati telefonici, definiti dai pm «fondamentali». Bisogna attendere gli esiti della rogatoria in Svizzera «che riguarda in particolare la posizione di Mauri», anche perché nei confronti dell’ex capitano della Lazio attualmente sotto squalifica, «sono emersi ulteriori indizi, costituiti da ulteriori collegamenti con indagati di grande spessore, recentemente iscritti». Infine la Procura confessa una sorta di desiderio: «Ci sono ancora quattro latitanti, tra i quali il capo dell’organizzazione Tan Seet Eng, nonché Hrystian Ilievski , che potrebbe costituirsi». Lo zingaro è un «personaggio chiave del procedimento», e una sua eventuale collaborazione sarebbe decisiva. Altrimenti, par di capire, non sarà semplice fermare lo scandalo.

SCOMMESSE, DI MARTINO RILANCIA

Il pm torna all’attacco sul processo Last Bet: chiesta un’altra

proroga delle indagini su Stefano Mauri e altri 40 indagati

La novità è che risulterebbero manipolate «numerose

altre partite riferibili anche all’ultimo campionato» di A

di ALBERTO ABBATE (Il Messaggero 11-11-2013)

Non lascia, raddoppia. Il pm Di Martino non molla affatto la presa su Mauri e rilancia l’inchiesta Last Bet. Chiesta un’altra proroga delle indagini per il centrocampista brianzolo e altri 40 indagati: «È in corso una rogatoria in Svizzera che riguarda in particolare la posizione del laziale», si legge nella richiesta al gip Salvini. Non solo: «Contro Mauri sono emersi ulteriori indizi, rispetto all’originaria richiesta di misura, costituiti da ulteriori collegamenti con indagati di grande spessore recentemente iscritti». Tutti accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa sportiva: «Sono stati identificati alcuni personaggi che tenevano i contatti tra sodalizio, dirigenti e tecnici di Serie A». La vera novità è che, a scandalo esploso e in corso, sarebbero addirittura state «manipolate numerose altre partite riferibili anche all’ultimo campionato». Un fenomeno, insomma, troppo radicato per placarsi in un flash. Bisognerà scavarci ancora a fondo per pulire tutto il marcio: sequestrati oltre 200 computer, tablet e smartphone di 111 calciatori ed ex calciatori indagati, verranno aperte e sbobinate chat e conversazioni: fissata al prossimo 10 dicembre l’udienza per l’incidente probatorio chiesto al gip Salvini dal procuratore Di Martino. Verranno analizzati tutti gli apparecchi da esperti informatici, affiancati dai consulenti di parte. Scoperchiato il vaso di Pandora.

ANCORA SIENA

Nuovo zoom su Albinoleffe-Siena (1-0, 29 maggio 2011), Siena-Novara (2-2, 30 aprile 2011) e su quell’ormai famosa riunione tecnica di Antonio Conte, allora allenatore toscano, già giudicate nei tre gradi dalla giustizia sportiva. A luglio è stato interrogato a Cremona, il portiere Coppola, rientrato dalla squalifica sportiva lo scorso 8 dicembre. Avrebbe arricchito l’inchiesta Last Bet. Strano, ma vero, proprio colui che aveva fornito un assist dalla porta a due personaggi di spicco: «Conte e Mezzaroma sono innocenti». Senza impallidire, nonostante il Superpentito Carobbio lo avesse indicato come teste chiave per affossare il Siena: «Coppola entrò negli spogliatoi sbiancato in volto, rappresentandoci che poco prima era stato avvicinato da una persona vicina al presidente Mezzaroma, che gli aveva chiesto se c’era la possibilità di perdere la partita. Fummo tutti d’accordo, società, squadra e allenatore di lasciare il risultato all’Albinoleffe». Coppola aveva smentito tutto in Procura Federale: «Non è vero nulla, non ci fu niente», aveva giurato dopo un’ora d’interrogatorio a via Po, spianando la strada alle difese di Mezzaroma e Conte. Non avrebbe infierito dal punto di vista penale, ma avrebbe coinvolto altri “pesci grossi”.

NUOVO INCIDENTE PROBATORIO

Circa 350 avvisi di convocazione per il prossimo 10 dicembre. Fra gli indagati, oltre Mauri, ci sono appunto ancora Conte, Mezzaroma, ma anche Vieri, Signori e Bettarini. Secondo il pm Di Martino, il nuovo incidente probatorio «potrebbe contenere elementi di grande rilievo per le indagini, in particolare documentanti rapporti tra gli indagati diretti a concludere accordi per la manipolazione delle partite di calcio». Si cercano conferme e nomi nuovi nelle rubriche telefoniche, ma anche spostamenti di denaro, movimenti bancari. I periti avranno 19 parole chiave per dare un calcio alle scommesse.

Sullo sfondo la riapertura

dei processi sportivi

di ALBERTO ABBATE (Il Messaggero 11-11-2013)

Non arrivano ancora le motivazioni della sentenza di secondo grado, Mauri non può rivolgersi al Tnas: «Così si allungano i tempi perché il collegio arbitrale non può riunirsi», dice uno spazientito avvocato Melandri. Che spera in uno “sconto” dello stop a 5-6 mesi per veder tornare in campo a febbraio il suo assistito: «Nel caso di Conte la motivazione della Corte di Giustizia ci ha messo quattro giorni ad arrivare dal momento del dispositivo». Mauri come il tecnico della Juve, gli esempi sono calzanti perché - il primo solo in parte - già giudicati dalla giustizia sportiva: cosa succederebbe se dovessero materializzarsi nuovi elementi da Cremona? Per carità, è solo un’ipotesi, ma teoricamente (ne bis in idem) Palazzi potrebbe fare ricorso per revocazione del processo sportivo. Riaprire tutto: lo farebbe davvero? Si voleva pulire il calcio in fretta e furia dalle fondamenta, lo aveva urlato in tutte le lingue, il presidente Abete. Qui, se le indagini in corso dovessero sfoderare nuovi colpi di scena, si rischierebbe davvero la figuraccia. Si è voltata pagina, ma il libro-calcio rimane sporco.

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Qatar the new force in world football

by RORY SMITH (THE TIMES 11-11-2013)

The name of their state-owned airline adorns the shirts of Barcelona, the most prestigious advertising space in football. Their sovereign wealth fund has lavished millions, enticing Zlatan Ibrahimovic, Edinson Cavani, Thiago Silva and a host of the world’s best players to Paris Saint-Germain. It is thought that their World Cup bid, spearheaded by the son of the Emir himself, will cost some £138 billion.

These are the three prongs of Qatar’s campaign to conquer the beautiful game. Each has entailed investment on a scarcely imaginable scale. For all that each has attracted a frenzy of controversy, a deluge of headlines and a tidal wave of criticism, they have done as they were designed to do. They have brought a tiny emirate, made fat on natural gas, to the world’s attention.

There is a fourth front, though, one that lacks the glamour of the Nou Camp, the allure of Paris and the hubristic ambition of the World Cup bid. It centres on a nondescript town of only 20,000 people in Belgium, nine miles or so from the German border. In sleepy Eupen lies the most surprising outpost of Qatar’s multibillion-dollar assault on football.

The stories of KAS Eupen, a cash-strapped Belgian second division side, and Qatar dovetailed last summer when Luciano D’Onofrio, one of Belgium’s most powerful agents, approached the team with a proposal. In exchange for control of the club for ten years, he found a group of investors who would secure their future.

That group was the Aspire Zone Foundation, set up in 2006 as part of a plan hatched by Sheikh Hamad bin-Khalifa al-Thani, the Emir of Qatar, to secure his state’s future. Qatar’s gas reserves will run out eventually. The Emir sees sport as a way of ensuring that Qatar has an international profile when that happens.

The cornerstone of that policy would be the state-of-the-art Aspire academy, established at a cost of £2 million and catering for more than 60 disciplines, from fencing to equestrianism. At its heart, though, stands football. Its facilities have been used by Manchester United and Bayern Munich as a winter retreat, but its day job is as a hot-house for talent, drawn from across the world.

Every year, Josep Colomer, Aspire’s technical director, and his team of scouts watch almost 600,000 young prospects. He has been shot at in Ghana and evaded kidnap in Nigeria. They concentrate on Africa, Asia and those parts of Latin America not already saturated with scouts. Every year, they spend some £8 million on scouting. Every year, they select only 25 players. That lucky handful spend four years at Aspire’s satellite academy at Dakar, in Senegal, before being sent to Doha, to Aspire central, to fine-tune their talent. It is an impressive system and results have been encouraging: in last year’s Milk Cup youth tournament, Aspire’s students dismantled Manchester United 5-1 in the final.

The issue, though, was what would come next. Aspire needed a way to give its students their first step in professional football. And that is what brought Qatar’s gas billions to the door of a tiny club in the Belgian second division.

“Aspire was looking for its first year of graduating players to have the chance to play at a club in Europe,” Christoph Henkel, Eupen’s chief executive, says. “This was perfect, because it is in the heart of Europe, because Belgium is very open to non-EU players, because many of the players speak French, so acclimatising is easier, and because there are good opportunities in Belgium.”

The fans, Henkel admits, were sceptical at first but they are slowly being won over; despite defeat at home to St-Truiden on Friday, Eupen are in the thick of the promotion race.

Given that there are 11 different nationalities in their squad and the vast majority of players are teenagers, that is testament to the work of Tintin Marquez, the manager, and Colomer, who oversees Eupen as well as Aspire.

That should be no surprise: Colomer earned his spurs at Clairefontaine and La Masia. If anyone knows youth development, it is the man who created Lionel Messi.

The only question that lingers is quite what is in all of this for Qatar. Henkel will not reveal how much the Eupen element of the project has cost, but he admits that the plan is for self-sustainability “within a few years”.

Each set of graduates will have a couple of years in Belgium before, hopefully, moving on to brighter horizons (though he denies that they are little more than a feeder club for PSG). The money from their sales will then be injected back into the club, while a whole new crop of graduating players will be placed in Eupen’s squad from Aspire.

That makes sense, of course, but does not explain the vast initial investment in the system. The suspicion is that Aspire, at least originally, was seen as a way of ensuring a steady supply of talent to the Qatar national side. Young prospects could be taken to Doha to train, naturalised, and go on to represent the state at — for example, off the top of the head — the 2022 World Cup.

That idea — denied by all concerned — foundered in 2004, when Fifa blocked Qatar’s attempt to naturalise Ailton, Dede and Leandro, three Brazilians. The conclusion is that Aspire then had to find another function, and Eupen represents the pinnacle of their plan B.

Henkel dismisses that suggestion. “I think the profit is in the image,” he says. “It benefits Qatar to do this work with African countries and African children. It is a kind of help from Qatar to Africa.”

It is a nice thought, though it does raise the question of why Qatar remains so quiet about this aspect of their conquest of football, when Barcelona, PSG and the World Cup are promoted so loudly. For now, though, nobody is complaining in Eupen, Qatar’s least likely embassy in their growing empire.

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Clubs to cash in on BT mega deal

by MATT DICKINSON (THE TIMES 11-11-2013)

Earnings from the Champions League could climb by more than £15 million per season for English clubs after BT’s staggering £897 million purchase of rights to Europe’s top club competition. Elite English teams will benefit lucratively from the remarkable deal, in which the telecoms company will broadcast all European club football from 2015 for three seasons.

BT’s stunning offer was more than twice the £400 million paid at present over three years by Sky and ITV for the Champions League and Europa League. The vast increase will directly benefit the English clubs, while raising fresh questions about the gap between rich and poor in football.

Manchester United made €35.5 million from Champions League prize money and television income last year, but that could increase by 50 per cent when the new deal kicks in. The majority of Champions League income for clubs derives from the “market pool” in which TV revenue from a country is split among teams from that nation.

The increase would not be a transformative amount for the richest clubs, given United’s revenues of£363 million, but it would increase the stakes for finishing in the top four, and the advantage of Champions League clubs over domestic rivals.

As well as delighting the top clubs — and the players and agents who will benefit from more money sloshing around the game — the new deal will please the Premier League, which can anticipate fierce competition for the next round of domestic rights.

The sums keep increasing, with a record £5.5 billion deal over the next three years kicking in only this season, and there is no reason to expect any drop-off given that Sky will fight harder than ever to protect its UK dominance now that BT has landed this blow by paying so much for European football. Sky has sought to play down its disappointment by pointing out that its Champions League coverage accounted for less than 3 per cent of its viewership, compared with 18 per cent for the Premier League. The bidding war shows football’s continued value in driving other business, with the fight now over broadband delivery rather than pay-TV.

What it means for consumers remains to be seen. ITV at present broadcasts 18 live games per season in the Champions League. BT has committed only to showing each British side on a free-to-air basis at least once and is also expected to change its policy of free BT Sport for its broadband customers now that it has a huge new deal to finance.

BT, which screens 38 Premier League matches each season compared with Sky’s 116, said it would make cost for viewers “more affordable than currently”. A Sky statement said that BT’s offer of £299 million per year for European football was “far in excess” of its own valuation.

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La strategia Prima in classifica ma è senza introiti per il nome sulla maglia

La scommessa sullo sponsor:

meglio niente che poco

di LUCA VALDISERRI (Corriere della Sera - Roma 12-11-2013)

È un’occasione perduta più per la Roma, che in bilancio segna «zero» alla voce main sponsor, o per chi non ha speso una cifra «di mercato» per legarsi alla squadra prima in classifica, unica ancora imbattuta tra le 20 di serie A?

La risposta, banale ma veritiera, è: doppia sconfitta. La Roma perde soldi, le aziende visibilità. Fino alla stagione scorsa, i giallorossi erano legati al marchio Wind: un triennale (5 milioni, 5,5 e 6 per il 2012-2013) legato anche agli ottimi rapporti tra la famiglia Sensi e Naguib Sawiris, il magnate egiziano delle telecomunicazioni che, quando Rosella Sensi ha dovuto passare la mano, era stato indicato come uno dei possibili nuovi presidenti. Ci sono stati contatti, tra Wind e la Roma, anche per un accordo annuale fino al 2014: peccato che l’offerta (3,5 milioni) fosse circa un terzo del valore di mercato stimato dalla proprietà statunitense. Meglio poco che niente? L’idea di Pallotta è che la maglia non si «svenda». Sarebbe un precedente pericoloso. Così si è scelto di pubblicizzare la fondazione Roma Cares, per altro non ancora operativa. Male che vada il nome servirà per maglie da collezione, visto che la Roma non ha neppure lo sponsor tecnico. O meglio, ha un accordo importante e innovativo con la Nike che partirà, però, solo dalla prossima stagione. La marca con il baffo non poteva produrre in breve tempo le maglie per la vendita ai tifosi. Ci ha pensato la Asics, ma, per motivi di contratto il marchio non appare sulle casacche, peraltro molto belle e gradite dai tifosi-clienti. Lo sponsor tecnico precedente era Kappa, con cui la Roma ha un contenzioso per la rottura dell’accordo da 7 milioni l’anno.

L’Inter riceve 13,2 milioni da Pirelli, la Juve 13 da Jeep e il Milan 12 da Fly Emirates (fonte: SportEconomy). Il prezzo di un buon giocatore sul mercato o due stipendi da top player. La Roma, per ora, ne fa a meno. Sperando che, in un futuro vicino, la scommessa sul valore della maglia sia vincente.

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