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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Il caso Durante Juve-Udinese e ieri a Firenze

Altri cori razzisti

contro i napoletani

«Ora le sanzioni»

Un dossier dei tifosi «Campo bianconero da squalificare»

L’accusa Il gip Morello «Cosa accadrebbe se i giocatori partenopei lasciassero il campo?»

di SALVO SAPIO (IL MATTINO 21-01-2013)

Cori contro Napoli e i napoletani sabato nello stadio della Juventus. Replica ieri a Firenze. Nulla di nuovo nè di originale: la «solita» invocazione al Vesuvio per un’eruzione che possa «lavare» il Golfo. Nulla di nuovo rispetto alla stupidità di pochi che, però, nell’impianto bianconero vengono inopinatamente tollerati. «Verrebbe da chiedersi cosa sarebbe successo se ci fosse stata una reazione?» la domanda è di Tullio Morello, gip del tribunale di Napoli e «accusatore» dei tifosi della Juve che sventolarono sacchetti per i rifiuti durante lo scontro diretto. «In campo c’era un napoletano, Antonio Di Natale, cosa sarebbe successo se a sentire insulti contro la sua terra e la sua gente si fosse comportato come Boateng a Busto Arsizio? Spero che i giocatori napoletani e quelli del Napoli reagiscano prima o poi in maniera clamorosa rispetto a questa inciviltà che va avanti da troppo tempo senza che nessuno faccia nulla. Alcuni intonano i cori razzisti, lo stadio non si dissocia ma nessuno sanziona la società bianconera così come da regolamento. Si interviene in Lega Pro e in Serie A no. È davvero una cosa grave». Toni forti anche negli striscioni contro Marchisio esposti a Vinovo. «Gesto depecrabile ma non grave come il razzismo. Contro Marchisio si è innescata una dialettica sbagliata per le sue dichiarazioni, ma non c’è l’aggravante del razzismo. Immotivato e becero».

Ma perché i toni stanno salendo in maniera tanto volgare? «Perché c’è paura - spiega lo psichiatra Vincenzo Barretta - ma in questi episodi c’è un’evoluzione del sentimento di razzismo. Non c’è timore del diverso, del nero, dell’omosessuale o del meridionale. C’è il bisogno di veicolare la propria aggressività con un insulto razzista che è più pesante perché rivolto ad un’intera comunità. Chi usa questi cori per offendere ha un livello culturale molto basso perché crede, in questo modo, di screditare l’avversario. In maniera anonima, nascosti nella folla, si lanciano insulti senza sapere nemmeno cosa significano. Il pericolo è assuefarsi, sentire insulti razzisti senza avere un sussulto di amor proprio. Per questo è giusto sempre sottolinearli in modo negativo».

A documentare in maniera precisa quanto accaduto a Torino è il Movimento Neoborbonico: «Durante Juventus-Udinese - si legge in una nota inviata alla Lega calcio - al 40’ del primo tempo e al 32’ del secondo, sono partiti i soliti cori contro Napoli (pur non essendo presenti squadra e tifosi azzurri in quello stadio): “Vesuvio lavali col fuoco”. Premesso che il coro in questione è riferibile ad una città intera e non a squadra e tifosi; evidenzia i concetti di «mancata pulizia» e si augura la morte di diversi milioni di persone e, pertanto, non presenta connotazioni sportive o ironiche; presenta chiaramente contenuti riferibili ad “odio razziale” in quanto riferibile ad un’intera popolazione; non è stato in alcuno modo censurato dal resto dello stadio. Pertanto ai sensi della normativa vigente e in considerazione della reiterazione della stessa infrazione, lo stadio della società bianconera deve essere punito almeno con uno o due turni di squalifica».

Ieri a Firenze altri cori contro i Napoletani. «Sarebbe il caso di intervenire in maniera decisa - conclude Saverio Passaretti, presidente dei Napoli club - sono cose che fanno male al calcio. Bisogna isolare questi pochi stupidi e tenere bassi i toni. C’è una bella rivalità sportiva, è giusto che la Juventus ci tema. Ma certi limiti di civiltà non vanno superati».

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Bloooog! di FABRIZIO BOCCA (Repubblica.it 21-01-2013)

La violenza che uccide il calcio argentino:

bande ultras sparano e ricattano giocatori.

E sui social network l’urlo di dolore #bastadebarras

Violenza e razzismo nel calcio sono emergenze non solo in Italia – dove almeno incidenti e scontri tra tifoserie dentro gli stadi sono drasticamente diminuiti – ma nel mondo. In Argentina il derby di Rosario tra il Central e il Newell’s Old Boys non si è giocato, per decisione del Ministero degli Interni, dopo una serie di violenti scontri che hanno coinvolto non solo le due tifoserie, ma soprattutto gli ultras del Newell’s e la polizia. Un agente è stato gravemente ferito, colpito al collo da un proiettile di pistola. Le armi da fuoco non sono un’eccezione ma quasi la regola nel calcio argentino. Impressionanti le foto dei poliziotti che intervengono con i fucili a pompa spianati, come in un vero e proprio scontro a fuoco con dei criminali.

Meno di un anno fa un giovane tifoso dell’All Boys venne ucciso con un colpo di pistola in una autentica e spietata esecuzione di fronte all’ingresso dello stadio, per la retrocessione del River Plate venne semidistrutto lo stadio stesso. La violenza nel calcio è una vera e propria emergenza ancora totalmente irrisolta in molti paesi, ma in Argentina raggiunge picchi impressionati. Fino allo scorso anno erano state abolite le trasferte di tutti i tifosi, anche in Argentina è stato introdotto il sistema dei biglietti nominali (mentre non è passato il sistema biometrico con l’apposizione dell’impronta digitale) ma questo non ha sostanzialmente fatto diminuire gli incidenti. Si registrano giocatori aggrediti, dirigenti minacciati, allucinanti battaglie con la polizia. Solo nel 2012 si contano 8 morti per violenza nel calcio argentino ed esiste perfino un’associazione delle vittime della violenza nel calcio.

Gli ultras più violenti sono organizzati in autentiche bande, i famosi Barras Bravas, che ricattano, delinquono, commerciano in droga e i cui capi sono autentiche star del crimine, tanto da firmare spesso autografi all’ingresso dello stadio. Quella dei Barras Bravas – i cui capi si ritiene siano addirittura stipendiati in alcuni casi dagli stessi presidenti dei club per sostenere “adeguatamente” la squadra, di prendere soldi e percentuali direttamente dai giocatori, e di pretendere tangenti anche sugli affari di mercato, con conseguenti minacce e opere di convincimento dei giocatori stessi… – è un’attività criminale che può rendere molte migliaia di dollari al mese per ciascun componente. Non è raro trovare bande di Barras Bravas organizzate e ingaggiate anche per spedizioni durante cortei sindacali o per servizi di sicurezza di manifestazioni estremiste. A suo tempo Barras Bravas furono ingaggiati per intimorire e minacciare anche le madri dei desaparecidos sulla Plaza de Mayo a Buenos Aires. Barras Bravas sono stati assoldati anche per le campagne politiche di alcuni candidati.

Il fenomeno è molto sentito e letteralmente opprimente. Sui social network, in particolare su Twitter, si trovano gruppi di discussione. Uno dei più frequentati e usati è #bastadebarras. Basta ultras. Ma di certo non può bastare un hashtag per risolvere un problema di criminalità.

Calciatori Juve Stabia aggrediti,

ex direttore sportivo organizzò il raid

Nel marzo 2009 i giocatori furono picchiati e lasciati in mutande da un

gruppo di tifosi violenti al ritorno di una gara persa. Per gli investigatori

il manager avrebbe fatto da sponda col clan D’Alessandro per favorire gli

interessi economici della cosca stabiese nel giro di scommesse sportive

di VINCENZO IURILLO (ilFattoQuotidiano.it 21-01-2013)

Ad organizzare le minacce e l’aggressione di tre anni fa ai calciatori della Juve Stabia, picchiati e lasciati in mutande da un gruppo di tifosi violenti al ritorno di una gara persa a Pistoia, fu anche un ex dirigente della società di calcio che oggi milita in serie B. Si chiama Roberto Amodio, all’epoca ricopriva il ruolo di direttore sportivo, ed è accusato di essere l’organizzatore del raid insieme al capo ultrà Vincenzo Mirante e a Francesco Avallone, presentatosi ai calciatori come l’uomo del clan D’Alessandro incaricato di mortificarli per le brutte partite disputate.

L’episodio è descritto in un avviso di chiusura indagini notificato nel fine settimana dal pm di Napoli Pierpaolo Filippelli a una ventina di indagati. E’ un prosieguo di Golden Gol, l’inchiesta della Dda di Napoli sul calcio scommesse e sulle pressioni della camorra per truccare le partite, che è arrivata a lambire alcuni grossi nomi del pallone, come l’ex allenatore dell’Inter Hector Cuper.

Gli inquirenti riavvolgono il nastro al marzo 2009. La Juve Stabia arranca in serie C/1. E le frange peggiori del tifo organizzato eseguono una punizione esemplare per i calciatori al ritorno dalla trasferta di Pistoia, persa per 1-0. I calciatori vengono accerchiati, presi a pugni e calci, costretti a togliersi la tuta della squadra: “Siete indegni di indossarla” urlano gli scalmanati brandendo le cinghie. Secondo il pm, fu tutto orchestrato con la complicità di Amodio. E ci sarebbe la regia di Avallone e Amodio pure dietro il successivo, e più inquietante, atto intimidatorio contro i calciatori. Sulla panchina dello stadio “Romeo Menti”, quella riservata alla Juve Stabia, apparvero undici manifesti funebri coi nomi dei titolari, illuminati da altrettanti lumini cimiteriali.

Le informative degli uomini del nucleo investigativo dei Carabinieri di Torre Annunziata, diretti dal tenente colonnello Nicola Conforti e dal maggiore Alessandro Amadei, indicano Amodio come persona inserita nel clan D’Alessandro: avrebbe utilizzato il suo ruolo nella società sportiva (che è comunque estranea alle infiltrazioni camorristiche) per favorire gli interessi economici della cosca stabiese nel giro di scommesse sportive. In questo nuovo filone compaiono le accuse all’attuale presidente della Juve Stabia Franco Manniello, indagato per frode sportiva in relazione a una presunta mazzetta da 50.000 euro per corrompere il portiere e la punta del Sorrento in occasione del derby del 2009, e a tre dirigenti della società di scommesse Intralot, Maurizio Lopez, Antonio De Simone e Concetta Falcone, indagati per l’apertura dei centri scommesse nel vesuviano intestati ai prestanome del boss Vincenzo D’Alessandro.

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Il caso - La rivolta dei tifosi azzurri: "Ignorato il principio della ripetizione di comportamenti che sono stati riconosciuti come razzisti"

Cori contro Napoli, solo una sanzione alla Juve

La beffa . Nessun provvedimento contro la Fiorentina né per le offese né per i petardi allo stadio

Anmmanda da 10mila euro

il giudice sportivo: steward tempestivi nell'intervento

Salvo Sapio - Il Mattino - 22-01-2013

La fortuna della Juventus è avere steward solerti ed efficienti in grado di operare «concretamente con le forze dell’ordine a fini preventivi e di vigilanza». Nello stadio della Juventus vengono esposti striscioni agghiaccianti (come quello sulla strage di Superga), vengono mostrati sacchetti per la spazzatura ai tifosi del Napoli, vengono intonati cori razzisti (gli ultimi sabato scorso durante il match contro l’Udinese) ma per il giudice sportivo Gianpaolo Tosel è sufficiente che gli steward intervengano rapidamente e non vale il principio della reiterazione del comportamento razzista.

Ecco che ieri la Juventus è stata multata ancora una volta per 10mila euro (la stessa ammenda ricevuta per lo striscione su Superga) perché alcuni «suoi sostenitori – come si legge nella nota del giudice sportivo – al 44’ del primo tempo e al 31’ del secondo tempo, hanno indirizzato alla tifoseria di altra squadra un coro costituente espressione di discriminazione territoriale». In pratica razzismo (il coretto era «Vesuvio lavali con il fuoco») che però non era rivolto solo ad una tifoseria «di altra squadra» ma ad un intero popolo. E Tosel aggiunge che la sanzione è stata «attenuata per avere la Società concretamente operato con le forze dell’ordine». Nelle sentenze del giudice sportivo non c’è traccia di ammende a carico della Fiorentina per i cori intonati contro Napoli e i Napoletani; la società viola non è stata sanzionata neanche perché i propri sostenitori hanno «introdotto nell’impianto sportivo ed utilizzato nel proprio settore materiale pirotecnico di vario genere» sempre per il fatto che gli steward sono intervenuti tempestivamente.

Una decisione che comunque sa di beffa per i tifosi del Napoli che avevano stigmatizzato quanto accaduto sabato allo Juventus stadium. In particolare c’è la protesta del movimento neoborbonico che aveva inviato un vero e proprio dossier in Lega. «La multa del giudice Tosel punisce solo simbolicamente i cori razzisti ma conferma quanto da più parti sostenuto: che si tratta di razzismo, che qualcuno lo ha registrato e che (dopo le decine di multe simili) occorrerebbe passare alla squalifica dello stadio».

Che quella bianconera sia una tifoseria sotto controllo è comunque testimoniato dal fatto che nella scorsa settimana, dopo Parma-Juventus, siano stati già emessi 23 Daspo nei confronti di 23 persone che viaggiavano sui pullman intercettati dalla digos. Il tutto è stato possibile attraverso le identificazioni che sono avvenute attraverso riscontri fotografici. Questi tifosi, appartenenti al Nucleo e ai Viking, sono ritenuti i responsabili di quanto accaduto in uno degli storici ritrovi dei tifosi del Parma: il Bar Gianni. Il Daspo inflitto ha una durata di due anni, adesso si procederà anche in abito penale con le accuse di reato che sono danneggiamento aggravato e lesioni.

«Durante la partita contro l’Udinese – si legge ancora nella nota del movimento neoborbonico – sono partiti i soliti cori contro Napoli (pur non essendo presenti squadra e tifosi azzurri in quello stadio). Il coro in questione augura la morte di diversi milioni di persone e, pertanto, non presenta connotazioni sportive o ironiche. Pertanto ai sensi della normativa vigente (e applicata anche in casi recenti in Italia ed in Europa) e in considerazione della reiterazione della stessa infrazione, lo stadio della società bianconera deve essere punito almeno con uno o due turni di squalifica».

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L'avvocato L'analisi tecnica

Botti: «Sentenza sbagliata va squalificato il campo»

La protesta «Tanti precedenti e non solo recenti Bisogna punire i colpevoli»

sa. sa. -Il Mattino - 22-01-2013

«Ci sono tali contraddizioni nella sentenza del giudice sportivo da far pensare che si tratti soltanto di un contentino nei confronti di chi, giustamente, ha protestato». Claudio Botti avvocato, ex vicepresidente dei penalisti italiani, fondatore del Te Diegum, smonta «tecnicamente» l’interpretazione del giudice Gianpaolo Tosel. Ecco la sua intervista a Il Mattino:

C’era un vero e proprio dossier di alcuni tifosi napoletani. Il giudice sportivo si è limitato ad un’ammenda di 10mila euro contro la Juventus.

«Ripeto, solo un contentino. Il giudice riconosce che c’è stato “un coro costituente espressione di discriminazione territoriale”. Afferma cioè che ci sono state frasi razziste. Aggiunge poi che questi cori si sono sentiti “al 44’ del primo tempo e al 31’ del secondo tempo”, quindi sottolinea che c’è stata reiterazione nel corso della stessa partita. Su queste basi una lieve ammenda non ha senso, una piccola pena pecuniaria che non affronta la questione come si dovrebbe».

Cioè?

«Viene punita lievemente solo la società mentre i tifosi non vengono indotti ad un atteggiamento diverso. I supporter bianconeri non sono nuovi a questi comportamenti, solo in questa stagione sono stati evidenziati e sanzionati più volte. Eppure non si interviene in maniera netta: con la squalifica del campo anche per più turni».

Il giudice Tosel sostiene che la “società Juventus ha concretamente operato ai fini preventivi e di vigilanza”.

«E anche su questo il giudice sportivo si contraddice. Se afferma che i cori ci sono stati in due circostanze ammette lui stesso che l’intervento degli steward non ha impedito il ripetersi dell’episodio di razzismo».

Si è fatto un’idea di perché non si prendono provvedimenti più forti nei confronti della Juventus?

«È una storia che va avanti da trent’anni. Il giudice deve dare una sanzione esemplare e, invece, arrivano dei contentini. Pene che non puniscono i tifosi, impedendo loro di essere presenti allo stadio».

Il caso Boateng ha riaperto con forza il tema del razzismo nel mondo del calcio. Ma un giocatore offeso, magari un napoletano che sente insultata la sua terra, è giustificato nella reazione che ha avuto l’atleta del Milan?

«Per Boateng c’è stato un insulto diretto, una ragione che evidentemente l’ha spinto a reagire in maniera tanto plateale. Verrebbe da chiedersi, inoltre, se tanti giocatori napoletani che giocano altrove si sentano ancora legati alla propria terra, tanto da sentirsi offesi e reagire di fronte a questi cori».

Ed è possibile la denuncia da parte del singolo tifoso?

«Il problema è l’identificazione di chi insulta. Ma adesso c’è un dato: si ammette il razzismo reiterato e non si sanziona adeguatamente. È davvero grave».

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PRIMO PIANO

L'ex dg Juve spiega perchè non sale in politica. E sul calcio malato: chiedetene conto a Abete

Non mi candido per difendermi

Moggi: non voglio pensino che cerco solo l'immunità

di Luigi Chiarello - Italia Oggi -22-01-2012

«Non mi candido perché non voglio che qualcuno pensi che cerco l'immunità parlamentare. Il processo Calciopoli è prossimo e io voglio difendermi senza trucchi. E dimostrare la mia innocenza»: Luciano Moggi spiega così a ItaliaOggi la sua scelta di non «salire» in politica.

La decisione, annunciata nel week end a ridosso della presentazione delle liste, covava sottotraccia. Nonostante gli annunci del leader dei Riformisti Italiani, Stefania Craxi.

Più volte, la settimana scorsa, ItaliaOggi ha raggiunto l'ex direttore generale della Juventus. Ma, ogni volta, Moggi aveva rintuzzato, spiegando: «La decisione non è stata ancora presa. Prima di un passo formale, ogni dichiarazione sarebbe poco seria». Ora, Moggi una scelta l'ha fatta e ItaliaOggi lo ha stuzzicato per capirne le motivazioni. Alla politica, big Luciano non dice addio. E' più un arrivederci, che non trascura il «pallone» e le sue degenerazioni. Come il calcioscommesse: «Se il campionato è in queste condizioni», aggredito dalla criminalità organizzata, «dovete chiederlo a Abete, non a me. Io sono fuori», dice.

Domanda. Perché ha rinunciato a candidarsi sul filo di lana?

Risposta. Perché sono impegnato col processo Calciopoli. Si avvicina e io voglio dedicare tutte le mie energie a quella vicenda che ha coinvolto e poi distrutto le famiglie di arbitri e assistenti del tutto estranei alla vicenda. Una vicenda servita solo a favorire la candidatura politica di altri_ Ringrazio però Stefania Craxi, che mi ha dato l'opportunità di candidarmi.

D. Tutto qui?

R. Vede, c'era chi poteva immaginare che io volessi ricorrere all'immunità parlamentare. Una delle tante malignità con cui mi tocca convivere da tempo. Ma a me non interessa. Io voglio solo dimostrare la mia estraneità ai fatti, senza aver bisogno di niente.

D. Cercherà la prescrizione?

R. Non cerco scorciatoie, sono innocente e voglio dimostrarlo. Ma di questo non voglio parlare. I processi non si fanno sui giornali. Non voglio comportarmi come chi mi ha...

D. Resta il fatto che Stefania Craxi aveva lanciato la sua candidatura su tutto il territorio nazionale come simbolo della lotta al meccanismo del capro espiatorio. Lei è il Bettino Craxi del calcio?

R. Io mi voglio considerare solo Luciano Moggi. Niente di più, niente di meno. So solo che non ho fatto nulla e mi sto difendendo dalle accuse.

D. Anche Lei ha avuto il suo hotel Raphael. Però non è fuggito in Tunisia...

R. Io mi sono fermato ad affrontare il processo perché credo di poterlo affrontare con tanto lavoro e in tutta tranquillità. La tranquillità di chi non ha fatto nulla. C'è poi da dire che la vicenda Craxi era tutta politica; io vivo una cosa molto meno complessa.

D. Vignette ironiche e corsivi corrosivi sui giornali. L'allenatore della Roma, Zeman, la descrive come la cartina di tornasole del Paese. Molti giornalisti la dipingono come il male assoluto. Stefania Craxi la candidava contro il circo mediatico. Che ne pensa?

R. Qui c'è da mettere un punto: voi giornalisti mi fate sempre domande su Zeman e si finisce sempre in commedia. Che c'entra Zeman in questa storia qua? A Zeman fate domande su di me. A me su di lui. Lui può dare risposte perché ha poco da dire. Io non voglio dare alcuna risposta su di lui.

D. Cosa ne pensa della puntata sul calcioscommesse di Presa Diretta? Ha svelato uno scenario inquietante: la 'ndrangheta nel calcio. Giocatori costruiti a tavolino dalle cosche. Si è raccontato del giocatore Salvatore Aronica, definito vicino alla cosca Vitale di Palermo. E si è detto di come la Juve lo acquistò direttamente dal Bagheria e, tenendolo due anni in pancia (1996-1998, ndr) senza giocare quasi mai (una sola partita, ndr), il suo valore sia stato gonfiato.

R. Questa è la domanda che dovete fare a Giancarlo Abete, presidente della Federazione italiana giuoco calcio dal 2007 e confermato all'unanimità nel ruolo fino al 2017. Se il calcio italiano è in questa condizione, vuol dire che il capo ha funzionato poco. Io sono fuori dal calcio ormai e della situazione attuale ne risponde chi sta dentro. Se poi volessi rientrarci è un altro discorso...

D. Vuole rientrarci?

R. Adesso faccio l'opinionista. E mi sta bene così. Anche perché, se in questa veste io do un pronostico e sbaglio, dico vabbè_ ho sbagliato (ride). Se, invece, sbaglio ad acquistare un giocatore, beh_ la responsabilità è differente.

D. Avrei dovuto farLe una intervista da politico...

R. Eh, ma capiterà. Capiterà... (ride).

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Pulvirenti santo subito?

Giovanni Capuano - calcinfaccia - 22-01-2012

La polemica a distanza tra Andrea Agnelli e Pulvirenti su quanto accaduto in Lega al momento della rielezione a presidente di Beretta consente di testare quale clima attenda il calcio italiano nei prossimi mesi. O da una parte o dall’altra, sarà impossibile non schierarsi e gli eserciti sono già abbastanza ben delineati al primo incrocio. Basta fare la rassegna di come i quotidiani hanno presentato la risposta piccata di Pulvirenti ad Agnelli.

Il numero del Catania ha definito il comportamento del massimo dirigente juventino come quello di una “zitella isterica in crisi d’astinenza”. Provocazione forte, non c’è che dire, soprattutto perché in bocca a chi era appena stato nominato consigliere in Figc e, dunque, da oggi rappresentante degli interessi di tutto il calcio. Comprese le famiglie Agnelli, Moratti, Della Valle, De Laurentiis, Garrone e gli investitori Usa della Roma rimasti fuori.

Grandi nomi, grandi club, grandi bacini d’utenza e grande peso anche dentro il mondo dell’editoria italiana che, infatti, si è schierata compatta contro Pulvirenti. Commenti puntuti ovunque. Con Agnelli Tuttosport (ed era difficile pensare diversamente), La Stampa e il Corriere della Sera con tanto di richiamo ai doveri istituzionali del nuovo ruolo di Pulvirenti.

Durissima la giornalaccio rosa dello Sport con tanto di editoriale del suo direttore Monti: “Signori si nasce e, modestamente, Antonino Pulvirenti lo nacque”. Duro perché diretto anche al Pulvirenti extra-calcio (“… l’uomo che questa estate ha fatto scendere dai suoi aerei Wind Jet migliaia di italiani…”) e con richiami al suo assoluto disimpegno fin qui nella politica sportiva (“… Se è vero, come è vero, che venerdì scorso Pulvirenti si è materializzato improvvisamente in via Rosellini chiedendo dove si tenesse l’assemblea…”).

L’apparente incongruenza dell’epilogo della vicenda-Lega è evidente da subito. Però il fuoco di sbarramento su Pulvirenti, che fino a prova contraria ha polemizzato con lo stile di molti altri suoi colleghi in passato, è sospetto. E allora – nella logica degli schieramenti contrapposti – fa sorridere anche la posizione presa dal Corriere dello Sport in una lunga intervista allo stesso Pulvirenti.

L’incipit vale il pezzo: “Euforico, questo sì, ma sempre con i piedi ben piantati per terra. Misurato anche nella polemica a distanza con il presidente bianconero Agnelli, il massimo dirigente rossoazzurro e fresco consigliere federale non si lascia prendere la mano”. Ecco. Misurato e con i piedi ben piantati per terra no. Siamo solo all’inizio e il clima è già quello dello schieramento senza se e senza ma.

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L’OPINIONE

UN CLUB UN VOTO

IL PRINCIPIO VALE

ANCHE PER AGNELLI

Riceviamo questo intervento sulla diatriba Agnelli-Pulvirenti, dal dott. Ignazio Fonzo, procuratore aggiunto della Repubblica ad Agrigento. Il dott. Fonzo, però, interviene nella sua veste di esperto di sport, avendo fatto parte di vari organi di giustizia del calcio, e da osservatore dei fenomeni di questo mondo.

di IGNAZIO FONZO (LA SICILIA 22-01-2013)

Stupisce (ma in realtà non si poteva pretendere nulla di diverso da quotidiani ove la quota azionaria della famiglia Agnelli è ragguardevole) la reazione di autorevoli commentatori ad una battuta, forte ma provocata, del presidente del Catania Nino Pulvirenti all’indirizzo di Andrea Agnelli.

Ma dove sta la lesa maestà? Cosa ha detto, o peggio, fatto il povero Pulvirenti da meritare gli strali dell’establishment? In buona sostanza Pulvirenti ha replicato allo stizzito, questo è certo, Agnelli che ne contestava la legittimità ad essere votato, e quindi eletto, come consigliere federale Figc. Agnelli, e con lui altre cinque società, spingevano per altra soluzione, ovviamente - tranne il Milan - più favorevole alle grandi (la stessa Juve, l’Inter, la Roma e la Fiorentina; stupisce tuttavia che rivali storiche della Juve si siano schierate con quest’ultima, ma la politica a tutti i livelli è questa…).

Il colpo ad Agnelli non è riuscito per l’abilità del presidente della Lazio, Lotito, capace di coagulare intorno a sé la maggioranza delle società di serie A, 14 su 20. Agnelli si deve rassegnare, la democrazia (Churchill diceva che fosse il peggiore dei sistemi politici, ma non ne conosceva uno migliore, e perse le elezioni dopo aver vinto la guerra…) è questa, ed in Lega non vige un sistema censuario ovvero non è previsto che il voto delle cosiddette Grandi pesi più di altri.

Una società, un voto. Stop. Agnelli sa perfettamente che Pulvirenti non si è mai visto in dieci anni in Lega, perché il Calcio Catania è sempre stato presente, e lui lo sa, con l’allora Amministratore Delegato, Lo Monaco. Di contro la Juve è stata a lungo rappresentata da Luciano Moggi... E allora di che va cianciando quello che Moratti definì “ giovin signore” rifacendosi a Parini?

Ancora. Alcuni commentatori hanno scritto che Pulvirenti non sarebbe degno perché quest’estate avrebbe lasciato a terra i passeggeri di Wind Jet. Che c’entra? Qualcuno ha forse detto alla Juve che, invece di costruire lo stadio delle meraviglie, poteva evitare di mandare a casa gli operai di Termini Imerese, piuttosto che quelli di Pomigliano o di Menfi o del Lingotto? Qualcuno ha forse detto al giovane rampollo che gli Agnelli non si sono certo distinti per mecenatismo, ma piuttosto per essersi fatti gli affari loro sin dai tempi del bisnonno Giovanni e poi di Valletta? Ma di che va blaterando? Siamo stufi di questi piemontesi alla Aimone di Chevalley, che non può che soccombere dinanzi alle argomentazioni del Principe di Salina che rifiuta il seggio senatoriale. Bene, se così stanno le cose, lunga vita a Nino Pulvirenti!

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l'analisi

Ora chi restituirà le quattro

gare a Cannavaro e Grava?

di RAFFAELE AURIEMMA (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - NAPOLI 22-01-2013)

Ci tormenterà fino al termine del campionato il dubbio se l'1-1 di Firenze sarà stato un risultato accettabile oppure se il Napoli ha perso due punti sulla strada di un traguardo poco probabile. Sì, l'idea di centrare lo scudetto è un proposito affascinante, ma indipendente dal rendimento della squadra di Mazzarri, perché strettamente collegato al cammino della battistrada: se la Juventus non si concederà altre impronosticabili battute d'arresto, sarà del tutto inutile mantenere la media-punti attuale. Il Napoli viaggia a più di 2 per ogni singola partita, con una proiezione che va dai 76 ai 78 punti finali. Tanto quanto basterebbe per approdare in Champions eppure una quota insufficiente per pensare di strappare il tricolore dalle maglie della Juventus. Restano 17 partite per verificare se la Vecchia Signora sarà resa claudicante dalle esperienze supplementari in Coppa Italia ed in Europa. Nel frattempo, non deve passare sotto silenzio ciò che è accaduto al Napoli club nella scorsa settimana. La grande felicità di aver riavuto per mano della Corte Federale i due punti in classifica tampona l'amarezza per la disavventura capitata a Cannavaro e Grava. Chi li risarcirà? Chi lenirà il loro dolore di una condanna di sei mesi in primo grado e soltanto per aver interpretato nella maniera più corretta il ruolo di sportivi integerrimi? Ma soprattutto, chi restituirà loro le quattro partite seguite da spettatori in Curva B? Ecco l'assurdo di una giustizia sportiva che fa acqua da tutte le parti. La Corte Federale ha riconosciuto che Cannavaro e Grava non andavano squalificati, eppure sono stati costretti ad uno stop lungo un mese. E' inaccettabile, una condizione che necessita un risarcimento: i due calciatori del Napoli dovrebbero godere di un bonus di quattro partite, per altrettante giornate di squalifica per espulsione o somma di ammonizioni. Questo sì che sarebbe il volto corretto ed equo di una giustizia sportiva che prima condanna e poi se ne frega se, dopo, si accorge di aver commesso un errore. Ti abbiamo squalificato senza che lo meritassi? Peccato, noi abbiamo deciso leggendo le norme. E questa la possiamo reputare serietà e serenità di giudizio? No che non lo è, e nessuno si decide a mettere mano ad una riforma, pur se la totalità dei tesserati all'interno del mondo del calcio concordano sull'ingiustizia che si consuma di continuo, in nome della necessità di una fretta che non permette di produrre prove in tempi ristretti. Ma almeno si garantisca una tutela ai calciatori che hanno una carriera già tanto breve: congelare le squalifiche fino all'ultimo grado di giudizio. Ma è così difficile arrivare ad un correttivo tanto elementare?

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EL ACENTO (EL PAÍS 22-01-2013)

El fútbol es lo primero

Para un observador imparcial, la situación de la Comunidad Valenciana es como sigue: sus finanzas públicas presentan un déficit impagable, su sistema financiero está quebrado y servicios públicos como la sanidad o la educación están en la indigencia. Es fácil a toro pasado entender las causas de esta ruina. En la comunidad hay aeropuertos sin aviones y bibliotecas sin libros; inversiones en promociones inmobiliarias enterradas en una pesadilla de irracionalidad. Es el subproducto acabado de la incompetencia y la rapacidad de sus gestores públicos. Pues bien, esa comunidad que no paga a las farmacias y aplaza el dinero debido a las personas dependientes, tiene que hacer frente ahora a las deudas de sus clubes de fútbol. Nada menos que 118 millones de euros, créditos impagados del Valencia, el Elche y el Hércules, avalados por el Instituto Valenciano de Finanzas (IVF), gracias a la generosa mediación del expresidente de la Generalitat Francisco Camps. Dicho de otro modo, este lince económico y financiero, figurín del PP descabalgado por el escándalo Gürtel, ha conseguido que los ciudadanos de Valencia tengan que pagar los créditos que en su día pidieron el Valencia a Bankia, el Hércules a la CAM y el Elche a la CAM y al Banco de Valencia. El rastro de los créditos de los tres clubes contribuye a explicar la ruina de la banca valenciana, saqueada por una alianza non sancta de políticos, directivos incompetentes (pero espléndidamente pagados) y especuladores del ladrillo. Ni compromisos de déficit, ni calificación de riesgos, ni pamplinas; el fútbol es lo primero. U na vez más, un problema privado ha pasado a ser público. En el fútbol es muy corriente. Las autonomías, los Ayuntamientos y las diputaciones protegen a los clubes de fútbol mediante ayudas, contratos publicitarios o subvenciones bajo cuerda. La burbuja del fútbol se mantiene así, gracias a las retribuciones de la televisión y al dinero de los contribuyentes. Pero la cuestión es ¿por qué una Administración pública quebrada asume la deuda de tres clubes de fútbol? La ley debería prohibir los casos de conducta obscena de la Administración pública; este es uno de ellos.

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l’indagine

In Serie A non è italiano il 52,2% dei calciatori: solo l’Inghilterra tra i tornei maggiori è più

esterofila. Appena il 7,8% gioca nel club dove è cresciuto. La Juve vince in controtendenza

Passa lo straniero

di MARCO BIROLINI (Avvenire 22-01-2013)

La Juventus vince anche perché va controcorrente, puntando decisa sul made in Italy. In una Serie A sempre più esterofila, i bianconeri sono tra i pochi a credere che il “nocciolo duro” italiano sia ancora un valore aggiunto. La squadra di Conte domina con almeno sette-otto titolari nati dentro i confini. Contro l’Udinese sabato sono scesi in campo cinque stranieri, anche per le assenze di Chiellini e Pirlo. Ma i punti fermi "esotici" sono solo tre: Vidal, Vucinic e Lichtsteiner. Chi insegue è più multietnico: il Napoli domenica ha pareggiato a Firenze con otto "importati" (e con gol di Cavani), l’Inter si è presentato a Roma nella solita versione multinazionale, con Ranocchia unico italiano. La Fiorentina ne ha schierati otto, Zeman e Lazio si sono fermati a sette.

La legione straniera, del resto, conquista tutta l’Europa. Mai come quest’anno i club hanno attinto alla manodopera venuta da lontano. Secondo l’annuale “studio demografico” sul calcio continentale del CIES Football Observatory di Neuchatel, pubblicato ieri, il 36,1% dei giocatori (più di un terzo) non è cresciuto nella Lega dove gioca attualmente. «La percentuale non è mai stata così alta», sottolinea Raffaele Poli, direttore dell’Osservatorio. In sei tornei, la quota di stranieri è addirittura sopra il 50%. Tra questi c’è anche la Serie A, dove gli immigrati del pallone hanno ormai toccato il 52,2%. Una classifica che ci vede al 5° posto dietro Cipro (largamente primo con il 74,2% di stranieri), Inghilterra (55,1%), Portogallo (53,8%) e Belgio (53,2%).

La Juve si differenzia dal trend generale anche sotto un altro profilo: in prima squadra ci sono De Ceglie, Giovinco, Marchisio e Marrone, tutti sbocciati nel vivaio. Una "buona pratica" secondo i canoni imposti dal Fair Play finanziario, che però in pochi per il momento seguono. Dati alla mano, l’Italia è addirittura ultima in Europa nella valorizzazione dei talenti “a km zero”: solo il 7,8% gioca nella squadra dove è cresciuto. Un fenomeno peraltro diffuso in tutti i paesi Uefa: per il secondo anno consecutivo si è abbassata la quota media dei calciatori “autoctoni”, scesa al record negativo del 21,1%. L’austerity, insomma, c’è solo a parole: si continua a comprare a destra e a manca piuttosto che valorizzare quello che c’è in casa. Nel 2012 gli acquisti in Europa sono nel complesso diminuiti rispetto all’anno precedente, ma sono stati comunque superiori a quelli effettuati nel 2009 e nel 2010. Tra le leghe più “consumiste” c’è sempre la nostra Serie A che, seppur di poco (+1%), ha comunque incrementato il numero dei nuovi contratti sottoscritti. Soltanto Bulgaria, Romania e Cipro hanno comprato di più. Un vizio che trasforma in extra large le squadre italiane (27,5 giocatori in media, solo in Romania sono leggermente più abbondanti) e finisce indirettamente con l’invecchiarle. L’età media dei giocatori nei club italiani supera infatti i 27 anni: solo il campionato di Cipro è più anziano del nostro (28,29). In Spagna si scende a 26,58 anni, in Germania addirittura a 25,67.

La scelta di "puntare sui giovani", sbandierata a inizio stagione dai nostri club, si riduce nella maggior parte dei casi a un effimero slogan. Il Milan ci sta provando sul serio con El Shaarawy e Niang, la stessa Juve sta raccogliendo splendidi frutti con Pogba, strappato quasi gratis allo United (un milione d’indennizzo). Ma si tratta ancora di timide eccezioni, perché anche il Calciomercato invernale finisce con il privilegiare l’usato sicuro. Per rinforzare l’attacco, l’Inter ha scelto il 35enne Rocchi, e il Milan è ad un passo dal riprendersi Kakà, che di anni ne ha già 30.

Vero, comprare giovani in Italia costa. E c’è anche una norma paradossale che incoraggia l’import: la Covisoc impone un aumento di capitale ai club indebitati che vogliono fare shopping. Intervento considerato «non virtuoso» dal Fair Play Uefa, che però non è richiesto per acquisti all’estero. Anche per questo si preferisce scegliere nei supermercati altrui, magari spendendo di più e persino peggio.

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Detto dopo di TONY DAMASCELLI (il Giornale 22-01-2013)

CHI VUOLE I CONSIGLI DI CELLINO

Quattro mesi per decidere, sono la tempistica e la tempestività di un ufficio del catasto. Ma anche della giustizia sportiva di casa Italia. Ultime dal Palazzo e da Palazzi: il Procuratore Federale ha deferito alla Commissione Disciplinare Nazionale il presidente del Cagliari Massimo Cellino «per aver posto in vendita i biglietti della gara Cagliari-Roma del 23/9/12 nonostante lo stadio “Is Arenas” avesse il nulla osta solo per lo svolgimento delle gare a porte chiuse, nonché per aver fatto pubblicare sul sito della società l'invito ai suoi tifosi, titolari di biglietto e abbonamento, di recarsi allo stadio per assistere alla partita » .

Cellino è stato deferito anche per aver tentato di dedicare il settore della Curva Nord del nuovo stadio ad un noto gruppo ultras. Deferita anche la società a titolo di responsabilità diretta.

Il succitato Cellino Massimo è stato eletto, nominato, votato nuovo consigliere della Lega calcio. Stando al vocabolario Treccani della lingua italiana “consigliere” ha questi significati:

1) Chi consiglia, persona a cui si ricorre occasionalmente oppure abitualmente per consigli.

2) Membro di un consiglio come organo collegiale, quindi titolo e grado di taluni uffici pubblici o amministrazioni private.

3) In marina, aiutante del pilota che sulla nave aveva funzione analoga a quella che ha oggi l'ufficiale di rotta. Nelle galee, ufficiale che aveva in custodia le carte nautiche e la bussola e assisteva il capitano in circostanze difficili della navigazione.

Ognuno, compreso Palazzi, scelga la definizione più adatta.

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BISOGNA SAPER VINCERE

di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 22-01-2013)

L’ultimo panforte

dei Mezzaroma

VATTENE MAIALE. E giù calci alla portiera, bestemmie, sputi sulla macchina. Dentro, con le ruote sgonfie e l’umore in cantina, Massimo Mezzaroma, presidente del Siena, fantino disarcionato nel più triste dei Palii. Quello in cui i ruoli si ribaltano, le vittime sono i palazzinari e all’orizzonte cavalca la scena, in divisa da ultras, la vera razza cafona. Mentre il Monte dei Paschi fugge dalla squadra ultima in classifica, apprestandosi a ritirare logo e pecunia e l’odore della paura soffia sull’unico (bellissimo) stadio di Serie A immerso nel Medioevo, medita la fuga, annusando il contesto, anche Mezzaroma. Prolisso e indignato comunicato a suo nome sul sito societario. Sintesi nella coda. “Sono stato aggredito, Il Siena è in vendita”. L’aria che spira tra le contrade, a folate di orgogliosa marginalità, ha il suono dell’utopia: “Il potere ai senesi” e dell’illusione velleitaria. Mecenati locali non se ne scorgono e il rischio, concreto, è di tornare all’epica dei derby con il Poggibonsi. Al tempo dei presidenti di nome Nannini, “Il Danilo”, padre di Alessandro e Gianna. Uno che lanciato il Panforte nel mondo e messa in naftalina la maglia bianca e nera della giovinezza da calciatore, per quasi 20 anni, all’ombra di Piazza del Campo, tenne in piedi la baracca in terza categoria. Ora che Danilo osserva le nubi dal cielo sopra Belriguardo, i tifosi, quelli veri, rimpiangono l’ultimo vero capopopolo.

PAOLO DE LUCA, napoletano di sfrenata simpatia con inclinazioni alla rima baciata, alle albe vinose e all’impresa (fu la sua reggenza, allenatore Papadopulo, a far conoscere dal vivo Juventus e Inter dopo un secolo di magre). De Luca non c’è più e la fine sembra nota. Disimpegno dei forestieri romani, probabile retrocessione, ridimensionamento e, danno più grave per gli esteti, abbandono della magnifica sorella del Mezzaroma Massimo. Valentina. La sua vice di bionda chioma. Quella che sillaba logistica e non “loggistica” e al ticket con il fratello, già sperimentato nel volley, è abituata. Occhi azzurri, denti bianchissimi, rossetto incendiario, nata proprio nel giorno della festa pagana al trotto che della città toscana è la religione unica. Davanti alle sorprese, Valentina detta “mezzotatuaggio” per via di una certa proliferazione di segni sulla cute, non riesce a disegnare uno scenario alternativo. Per ascendenza familiare, l’erede di Pietro (il fratello di Gianni e Roberto che nel ’96, prima di una lite in famiglia, annunciò così ai due la tempesta: “Aho, ce ‘sta ‘na novità, semo falliti”) dovrebbe. Con i Mezzaroma come con i Caltagirone, parentele e prese di posizione sono confini labili, lampi nell’acqua. Marco, il fratello della signora Lotito, Cristina e cugino di Valentina, già coniugato Carfagna, sul mondo che girava intorno ai Mezzaroma’s sosteneva concetti coraggiosi: “Gioielloni, superbarche, festone, ignoranza e arroganza dei soldi. Questo è stato. Non me lo nascondo”. Cosa sarà domani, tra pantere, aquile e bruchi, allo stato, è materia incerta.

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La polemica

Insulti su Bari dopo il Sion

il sindaco farà denuncia

di GIANVITO RUTIGLIANO (la Repubblica - Bari 22-01-2013)

Bari città di mafia, dove non si rubano solo le partite, ma pure le auto. È questa la sostanza di un articolo pubblicato sul quotidiano online svizzero Blick.ch, all’indomani dell’amichevole dei biancorossi contro il Sion di Rino Gattuso giocata al campo di San Pio, “quartiere famoso per le rapine”. Un resoconto dell’incontro infarcito di allusioni alla criminalità, che sarebbe “di casa da quelle parti”. Le offese hanno talmente indignato i tifosi che lo sfogo dei supporter è finito sulla bacheca Facebook del sindaco Michele Emiliano, chiamato a reagire a nome di tutta la città. “La mamma dei cretini è sempre incinta - scrive il primo cittadino - anche in Svizzera. Convocherò in Comune il console per consegnargli una mia lettera di protesta da dare all'ambasciatore svizzero in Italia. Affiderò anche ai nostri legali il compito di denunciare per diffamazione il giornalista e la testata”.

“I giornalisti locali ci hanno consigliato di non lasciare niente nelle auto – racconta l'inviato Sandro Inguscio ai lettori elvetici – qui rompono i vetri anche per prendere il taccuino”. E ancora: “Hanno detto di parcheggiarle l’auto dietro i cancelli per evitare che ce le rubino”. Le critiche travolgono tutto, anche la tenuta del campo sintetico e l'arbitro (“vecchio e ubriaco”). Non mancano i retroscena sulle dichiarazioni al vetriolo di alcuni calciatori nel post partita, a partire da quella dell’idolo del giorno Gattuso: “Ci stanno prendendo in giro, conosco questo tipo di gente”. O Margairaz: “L’arbitro è italiano, dovevamo aspettarcelo”. Per completare il quadro, spunta il riferimento alle partite vendute: “Sui portali italiani si poteva anche scommettere”.

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IN SERIE B L’ALTRA POLEMICA

Gattuso dalla parte del Bari

«Non avrei mai potuto dire male della città e della gente del Sud»

di ANTONIO GUIDO (CorSport 24-01-2013)

BARI - Rino Gattuso e il Sion si dissociano da quanto riportato in un articolo della testata online Blick. «Come italiano, come meridionale e come professionista del calcio - ha dichiarato al sito ufficiale del Bari- non avrei mai potuto pensare e dire quanto mi è stato attribuito. Conosco il Sud e sono orgoglioso di esservi nato. Mi dispiace che la città di Bari e la società siano state fatte oggetto di queste ignobili accuse. A loro va solamente il nostro ringraziamento per il calore e la professionalità con cui ci hanno accolto. Spero in giornata di poter sentire anche il sindaco di Bari per chiarire la spiacevole situazione».

Il caso ha destato clamore, vale la pena ricordarlo: qualche giorno fa, il sito svizzero Blick.ch, dopo l’amichevole Bari-Sion, aveva pubblicato un articolo ingeneroso nei confronti della città pugliese. Ieri, sul proprio profilo Facebook, il sindaco di Bari Michele Emiliano ha postato la lettera che la testata elvetica ha inviato a lui e a Ugo Patroni Griffi, console onorario della Svizzera in Puglia: «Mi riferisco a quanto apparso sulla pagina del nostro collaboratore Sandro Inguscio - ha scritto Felix Bingesser, responsabile del giornale - e mi dispiace tanto che abbia discriminato la città di Bari, i suoi abitanti e la regione. Pertanto abbiamo cancellato l'articolo».

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LA BANCA AVREBBE OFFERTO ALL’IMMOBILIARISTA UNA QUOTA DEL 15% DELLA HOLDING

Roma, Unicredit bussa a Parnasi

La banca, che controlla il 40% di Neep, vuole così approfittare del business del nuovo stadio. Ma il finanziere dice no

di ROBERTO SOMMELLA (MF-Milano Finanza 22-01-2013)

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Grandi manovre sulla Roma. In assenza di scintille in campo, il gioco si sta facendo invece interessante intorno alla compagine societaria che controlla la squadra di calcio di Totti & C. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, Unicredit, che è ancora il dominus finanziario del team assieme agli americani guidati da James Pallotta, sta rafforzando il pressing affinché un imprenditore compri una quota della Neep Roma, la società veicolo che controlla il 78% del club e di cui l’istituto di Federico Ghizzoni detiene il 40% del capitale. Quella figura è stata individuata: si tratta di Luca Parnasi, l’immobiliarista sui cui terreni a Tor di Valle dovrebbe sorgere il nuovo Roma Stadium. Parnasi, che ha appena svolto nel weekend un sopralluogo nell’area con gli emissari dei padroni della Roma (ieri -0,39% in borsa) e Dan Meis, storico progettista di impianti sportivi, non ha ancora sciolto le riserve e ceduto alle avances di Paolo Fiorentino, presidente di Neep. Intanto vuole chiudere la partita sullo stadio (il cui progetto dovrebbe essere svelato non prima di agosto, dovrebbe costare almeno 250 milioni e dovrebbe diventare realtà nel 2017), poi si vedrà. E magari sarà un sì. Oggi per lui è più importante consolidarsi nella realtà romana dopo aver portato a casa un progetto immobiliare che fa sognare i tifosi romanisti da quando il Pupone era davvero tale, magari dotandosi anche di un quotidiano romano.

Tornando all’archistar, Dan Meis è rimasto impressionato dalla sua visita romana dopo una puntata in Umbria: l’idea di essere il primo ideatore di un impianto calcistico a Roma gli piace molto. Meis vive a Los Angeles e nella sua carriera ha già firmato molte strutture sportive: lo Staples Center, il palazzo che ospita le partite di basket Nba dei Lakers e dei Clippers, e lo stadio del football di Los Angeles sono suoi, come anche l’Emirates Stadium dell’Arsenal a Londra e la Saitama Super Arena. Ha in programma anche di costruire un impianto a Doha in Qatar per i Mondiali di calcio del 2022. Non confermate invece le voci secondo cui l’impianto potrebbe essere intitolato proprio a Unicredit (come l’Allianz a Monaco di Baviera), per legare in modo indissolubile il nome della squadra di calcio cara a Giulio Andreotti all’erede creditizio del Banco di Roma.

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Il caso L’Osservatorio: «Comportamenti riprovevoli». E Montervino della Salernitana rischia il Daspo

Il Viminale: punire i giocatori «violenti»

di ARIANNA RAVELLI (CorSera 22-01-2013)

MILANO — Calciatori che rischiano il Daspo, il provvedimento della polizia che tiene lontani dagli stadi, come teppisti qualsiasi. Calciatori che vengono ritenuti colpevoli degli scontri tra i tifosi per aver «creato un clima di tensione». Calciatori di cui si occupa niente meno che l'Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive del Viminale che per la prima volta ha chiesto alla giustizia sportiva una «decisa e pronta risposta» ai comportamenti «riprovevoli» di alcuni tesserati. Le partite sotto osservazione sono Aversa Normanna-Salernitana 0-1 (Lega Pro, seconda divisione) e Siena-Sampdoria 1-0.

Al centro del primo caso l'esultanza del giocatore della Salernitana Francesco Montervino: dopo aver segnato il gol decisivo per la vittoria della Salernitana di Claudio Lotito, il capitano dei granata è andato a esultare sotto la tribuna dei tifosi dell'Aversa — dice l'accusa — insultandoli e persino sputando. Circostanza smentita nettamente dall'interessato: «Mi scuso con l'Aversa, ma non ho insultato nessuno né avuto atteggiamenti violenti. Sono uscito dal campo dando la mano agli avversari. Il resto sono ricostruzioni fantasiose». Al contrario, il centrocampista ex Napoli agli amici ha detto di essere stato lui quello insultato dai tifosi. Non gli credono il direttore generale della Lega Pro Francesco Ghirelli («Bisogna punire duramente, un capitano non può permettersi di fare certe cose, non è pensabile, servono regole»), né tanto meno l'Osservatorio, secondo il quale il gesto di Montervino ha innescato gli incidenti tra tifosi (finiti con tre carabinieri contusi). Il giocatore, oltre alla squalifica della giustizia sportiva, rischia ora anche il Daspo (come recentemente successo a un calciatore del Cosenza che ha mostrato la maglia di Speziale, l'ultrà che ha ucciso l'ispettore Raciti).

Con lo stesso parametro è stata valutata la rissa alla fine di Siena-Sampdoria: «Gli scontri in campo tra giocatori hanno inevitabilmente creato un clima di tensione tra gli spettatori, alla presenza di molti giovani». Negli ultimi minuti, con il Siena in vantaggio, i giocatori della Samp si arrabbiano per un pallone di troppo lanciato in campo da qualcuno del Siena che fa perdere tempo. L'allenatore Iachini viene espulso, i giocatori si attaccano. In seguito, il presidente Mezzaroma denuncia di aver subito un'aggressione dai suoi stessi tifosi. Per l'Osservatorio quel che è successo in campo ha fatto da miccia: e quindi ora si spinge a chiedere «una decisa e pronta risposta della giustizia sportiva».

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La Juventus sanzionata per i cori razzisti nel match con l’Udinese

Insulti al Napoli, non basta una multa

di MAURIZIO DE GIOVANNI (IL MATTINO 22-01-2013)

Dobbiamo ringraziarlo, stavolta, il giudice sportivo Tosel. Lo dobbiamo ringraziare perché, se non altro, ha descritto qualcosa per cui, confessiamo, non riuscivamo a trovare una definizione precisa nella lingua italiana. Qualcuno ricorderà che sabato, in occasione dell’anticipo di campionato Juventus–Udinese, una gran parte dello stadio torinese, invece di seguire la partita e di gioire per la squillante vittoria della squadra di casa, non aveva trovato miglior passatempo che invocare il Vesuvio perché «lavasse col fuoco» gli abitanti alle proprie pendici. Senza significato, senza coerenza col momento sportivo, senza particolari motivazioni.

La cosa aveva sollevato l’indignazione degli stessi telecronisti neutrali, interdetti dalla violenza e dalla bestialità del coro, e soprattutto dal fatto che non si trattasse delle solite poche decine di imbecilli, ma di quasi tutti i settori dell’impianto. «Lavali col fuoco, o Vesuvio, lavali col fuoco». Il filmato ha fatto il giro della Rete, convogliando il malessere e il disagio di intellettuali e commentatori. A gran voce, in molti, hanno chiesto che la giustizia sportiva prendesse atto di questo malcostume, intervenendo con una sentenza esemplare che costringesse in futuro questi soggetti a riflettere prima di intonare i cori, se non altro per mero interesse. Invece ieri l’ineffabile Tosel, non nuovo all’esercizio incomprensibile della normativa, ha imposto alla Juventus un’ammenda di soli diecimila euro per «espressioni di discriminazione territoriale», sanzione peraltro attenuata dal fatto che «la società ha concretamente operato a fini preventivi e di vigilanza». Al di là della curiosità su che cosa siano queste misure preventive e a che cosa servano, visti i risultati, si rileva che l’entità dell’ammenda è inferiore a quella «normalmente» riservata allo scoppio di petardi, usanza esecrabile anche a Napoli.

Solo qualche settimana fa il mondo del calcio, e per fortuna non solo quello, si era sollevato contro i beceri scimmieschi muggiti di una quarantina di spettatori di un’amichevole a Busto Arsizio all’indirizzo di Boateng; il calciatore del Milan reagì, ricorderete, scagliando il pallone verso gli spalti e abbandonando il campo. Non credo che i pur gravissimi versi di Busto Arsizio siano di superiore gravità dei cori dello Juventus Stadium. Non credo che la «discriminazione territoriale» sia meno grave della «discriminazione razziale». Non credo che l’istigazione alla violenza, che la speranza di una catastrofe naturale sia confinabile dietro il superficiale riferimento a «pochi imbecilli». Non credo che il canto di questi pseudotifosi sia collocabile tra gli innocui sfottò tra tifoserie. Non credo che una sanzione in denaro, per giunta di poche migliaia di euro, sia adeguatamente preventiva di questo orribile atteggiamento. E per quanto ovvio affermo con forza che avrei la stessa, identica posizione se si fosse trattato di cori sentiti al San Paolo, e che in quel caso avrei immediatamente abbandonato lo stadio, a partita in corso, per non farci più ritorno fino a che fossero stati presi provvedimenti seri per impedirne la ripetizione: cosa che mi piacerebbe fosse stata fatta a Torino dalle persone perbene presenti.

Tosel ha perso un’altra importante occasione per mostrare al mondo che l’Italia, anche in un ambito effimero come il calcio, è un Paese unito e civile, che non ammette la violenza, nemmeno verbale, pur avendoci fornito la definizione semantica di un fenomeno talmente assurdo che non ha una parola per individuarlo. Meglio sarebbe stato se non lo avesse rilevato affatto, il fenomeno: avremmo potuto illuderci che non se n’era accorto.

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Presidenti, padroni e perdenti

Zamparini&Preziosi: ambizioni e modi smisurati, e ultimi in A

Maurizio, il friulano: i centri commerciali, le società comprate e

vendute come le aziende. E le dichiarazioni d’amore più false del mondo

Enrico, l’avellinese: gigante dei giocattoli è andato a caccia di squadre

come il massaio cerca il podere: per comandare qualcosa o qualcuno

di MARCO BUCCIANTINI (l'Unità 22-01-2013)

Se sul Siena non gravasse la penalizzazione, Palermo e Genoa sarebbero l’ultima e la penultima del campionato. Le peggiori. Due squadre che sono il riflesso dei loro padroni, Maurizio Zamparini ed Enrico Preziosi, presidenti in eterno distacco dalla realtà, e così le squadre, che frequentano da anni la Serie A con forze che non pareggiano le ambizioni. Se i due avessero da imparare dagli eventi contrari, come i bravi navigatori, questa stagione sarebbe la catarsi inevitabile, dopo anni di rotte senza approdo. Ma non servirà. Anzi - in A o in B - tutto ricomincerà, e torneranno a promettere con la facilità di chi è sicuro di mentire. L’uno disse, la scorsa primavera, annusando i soldi degli arabi: «Scudetto entro tre anni». L’altro lo aveva bruciato sul tempo, pochi mesi prima: «Quest’anno andiamo in Champions». Quando sognano, e illudono, non lesinano (quando fanno i conti invece stanno più attenti). Hanno l’impeto degli idealisti, e il frasario dei vaneggiatori. La foia è quella dei tifosi più avvinti, ma è una declinazione del carattere più che una vera passione: hanno sedotto e abbandonato città e curve, senza lacrime.

Sono imprenditori capaci e geniali che hanno avuto l’urgenza del calcio come un massaio ha bisogno del suo podere: per comandare qualcosa e qualcuno. Hanno peregrinato in cerca della terra. L’avellinese Enrico Preziosi - che le cronache ricordano come fuggiasco da casa in età scolare - si prese il Saronno, in serie D, e lo elevò allo spareggio per la serie B. Ma la terra del vicino è sempre più vasta: così ecco il Como, altra scalata, dalla Serie C1 alla Serie A, dove si guardò intorno, ammirato e invidioso: provò a prendersi il Napoli, poi la Sampdoria e siccome Genova gli era piaciuta, si prese il Genoa. La fuga dalla Lombardia però fu poco limpida, il Como fallì e per quei fatti Preziosi ha patteggiato una pena a 23 mesi (indultati) per bancarotta fraudolenta. Non è l’unica voce della fedina penale: risalendo una busta con 250 mila euro trovata addosso a un dirigente del Venezia, dopo la partita di Marassi che aveva garantito il ritorno in Serie A dei rossoblù, s’imbastì un processo per frode sportiva, nella più insulsa delle partite, la prima (il Genoa) contro l’ultimissima (il Venezia): quattro mesi a Preziosi e grifoni retrocessi d’ufficio. Siccome - per motivi intuibili - Preziosi risiede a Lugano, per senso di ospitalità si è comprato una delle squadre del Ticino, con poche soddisfazioni: il Football club Lugano vivacchia nella Serie B svizzera.

Anche il friulano Zamparini è un presidente professionista: prima a Pordenone, poi a Venezia (società fusa con quella confinante di Mestre), quindi a Palermo. La sua indubbia ricchezza - come quella di Preziosi - ha fatto la differenza nelle categorie inferiori. Nel 1997 il Venezia è tornato in Serie A, partendo da lontano. Più rapidamente è tornato in C2, dopo la cessione («Non mi facevano costruire lo stadio», la giustificazione, e annesso all’impianto c’era un discreto centro commerciale) e l’inevitabile fallimento dei veneti.

Fare e disfare, Zamparini fa questo di mestiere: dopo aver venduto ai francesi l’azienda da lui fondata (l’EmmeZeta, come le sue iniziali: c’è sempre il tocco del narcisista), con quei soldi ha creato (e rilevato) aziende per avviarle alla grande distribuzione, e rivenderle al massimo ricavo. Adesso è proprietario di alcuni centri commerciali in Sicilia, l’ultimo è stato inaugurato a Palermo, nel marzo scorso: lo chiamano, modestamente, Zampacenter. Anche l’altro ha griffato i suoi affari, e Giochi Preziosi (con tutte le derivazioni, tutti i marchi) è fra i leader mondiali nel settore dei giocattoli. Ma a Genova non si divertono, e le squadre non si costruiscono come si montano i pezzi del Lego. Due anni fa comprò Veloso, Frey, Rufinha, Boateng, Zè Eduardo: si esaltò. Fu l’inizio della fine. Con Veloso credeva di aver colto il regista per arrivare in Champions, e invece ha trovato un genero, perché il bel portoghese adesso gioca in Russia, però prima di partire ha sposato la figlia di Preziosi. La squadra non è debole ma è fragile, tenera in mediana, e un po’ monotona negli attaccanti. Soprattutto, è sdentata per sbranare i punti salvezza. Come il Palermo, che ha più soluzioni, ma non riesce a resistere agli avversari: la difesa è scadente, gli esterni approssimativi.

Ma loro, i padroni, non lo sanno. Entrambi tendono a circondare di profezia le azioni. Quando EmmeZeta scese alla conquista della Sicilia, si portò appresso Ezio Glerean, un tipo strano, colto e curioso, che piegava la realtà alla sua fantasia: a Cittadella vinceva e divertiva, aveva seguito e buona stampa. Si fece prendere la mano, assicurando di giocare con il 3-3-4, in sostanza due ali d’attacco affiancavano il centravanti, e dietro loro il trequartista governava la manovra. Cose che si fanno, ma lui ciarlava di «uomo in più» come se avesse inventato il calcio, insomma roba mai vista, ispirò anche Paolo Sorrentino per un suo film (L’uomo in più, appunto). A Palermo durò una giornata di campionato, una sola. Perché Zampa fa così: chiama gli allenatori con la solennità di un battesimo, li incensa, li esalta e ogni volta dice: «Lo cercavo da anni, con lui progetteremo il futuro». Dichiarazioni d’amore di un fedifrago incallito, a cui nessuno crede ma al quale è impossibile resistere (anche perché paga bene). Affida loro squadre sempre inferiori agli obiettivi, bisticcia in pre-campionato per questioni tattiche, arando il campo per seminare poi discordia. E quando (puntuale come le tasse) la realtà presenta il conto, arriva l’esonero. E la realtà - quando è davvero brutta - mica aspetta. Pioli allenò solo in ritiro: nemmeno esordì in campionato. Sannino invece ha avuto ben tre partite a disposizione per deludere irrimediabilmente il capo.

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ZIBÌ E LA MADONNA

NERA CON GLI ULTRÀ

Migliaia di hooligan al santuario di Czestochowa inneggiano contro il governo

per le misure anti violenza. E il federpresidente Boniek propone una sanatoria

di STEFAN BIELANSKI (EXTRATIME 22-01-2013)

A Czestochowa sorge uno dei più importanti santuari non solo della Polonia ma, dai tempi di Giovanni Paolo II, anche di tutto il mondo cattolico. Qui viene conservata, dalla metà del Quattrocento, l’icona della Madonna Nera, che ha acquisito particolare significato nelle lotte contro gli invasori: nel Seicento il santuario resistette all’assedio dei protestanti svedesi, nell’Ottocento all’occupazione russa, durante la II Guerra Mondiale a quella nazista come ai sovietici nel corso della guerra fredda. Per tutto questo, la Madonna Nera per i polacchi è una sorta di regina spirituale del Paese. Meta di ricorrenti pellegrinaggi per l’Assunzione, recentemente il santuario ha ospitato un altro genere di pellegrini: gli ultrà che da oltre un anno hanno ingaggiato un duello col primo ministro Donald Tusk - peraltro gran tifoso e lui stesso praticante - che sta provando a dare un giro di vite per sconfiggere la violenza nel calcio. Questo ha avvicinato gli hooligan polacchi ai partiti di opposizione e alle organizzazioni della destra nazionalista. A Czestochowa fra tifosi normali e ultrà erano migliaia, nonostante più della pace che ispira il luogo qualcuno ha preferito evocare lo scontro violento, e in effetti era stridente il contrasto fra l’intento della manifestazione religiosa e gli slogan contro il governo che ha adottato la linea dura.

La scommessa proibita

A complicare la situazione ci si èmesso il nuovo presidente della Federcalcio Zibi Boniek, che con un pizzico di propagandismo ha fatto proposte non troppo gradite al governo. Tra queste, l'idea di cancellare il divieto alle trasferte organizzate e le penalizzazioni inflitte a molti club per l’indisciplina dei loro sostenitori. Un’idea che è sicuramente piaciuta a tifosi e società, manon tanto al ministro dello sport, la signora Joanna Mucha. Sullo sfondo c’è una polemica fra il governo e Boniek, accusato di fare pubblicità a un bookmaker mentre in Polonia le scommesse sono vietate in base a una legge voluta proprio da Tusk. E anche se Boniek ha correttamente fatto notare che è tutto legale, perché fa da testimonial in Italia da cittadino italiano che paga lì le tasse, la stampa polacca ha messo in rilievo questo fatto, ritenendolo quantomeno inopportuno da parte del presidente federale.

NO U FC: 4 SCARPONI

SPAVENTANO IL DRAGONE

Un club di amatori nazionalisti (FC sta per Fuck China)

imbarazza Hanoi col potente vicino per un confine conteso

di ANDREA LUCHETTA (EXTRATIME 22-01-2013)

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La missione della «No U FC» di Hanoi, capitale del Vietnam, ruota tutta intorno al nome. «FC» sta per Football Club, ma secondo i più maliziosi si sposa alla perfezione con «Fuck China». Vasto programma per una squadretta amatoriale. Malgrado l’affinità politica, i rapporti fra Cina e Vietnam sono all’insegna di un pessimo sangue ben radicato nella storia. L’ascesa della «No U FC» s’inquadra nel contesto dell’ultimo contenzioso. Il Mar Cinese Meridionale celerebbe giacimenti di petrolio secondi solo all’Arabia e riserve di gas pari a quelle delQatar. Fossero anche esagerazioni, la presenza di idrocarburi è accertata, mentre un terzo delle rotte commerciali di tutto il globo incrocia per quelle acque. Vietnam, Filippine, Brunei e Malesia hanno avanzato rivendicazioni a vario titolo, contando sul tacito supporto degli Stati Uniti. Pechino, più semplicemente, ha tracciato una linea a forma di U in base a cui incasserebbe tutta la posta. Una soluzione che non va molto a genio ai nazional-pallonari della «No U FC».

Minacce e licenziamenti

«Abbiamo creato la squadra perché in Vietnam sono vietate le manifestazioni anticinesi - spiega a Extra Time un giocatore che chiede di restare anonimo-. Avevamo bisogno di restare in contatto. La domenica pomeriggio giochiamo fra noi, durante la settimana organizziamo un’amichevole. Siamo più di un centinaio, fra i 14 e i 58 anni, e abbiamo pure dei tifosi ». Liberi di cantare i propri slogan? «Beh, è difficile. . . La polizia ci segue. A ogni partita vediamo degli sconosciuti. I più giovani sono minacciati di espulsione dalla scuola o dall’università. Le forze di sicurezza fanno pressione su genitori e insegnanti». L’agenzia Reuters riferisce anche di numerosi licenziamenti subiti dai giocatori, abituati a entrare e uscire di prigione come il più incallito degli spacciatori. Il paradosso è tutto qui: i compagni di Hanoi si trovano fra il martello e l’incudine, ingolositi dalle ricchezze sottomarine ma preoccupati di non irritare Pechino. Nel 2011 il Vietnam ha investito 1, 8 miliardi di euro per la difesa; la Cina 107, e il varo della sua primaportaerei, a settembre, ha ribadito l’ovvio. Ma soprattutto Hanoi dipende economicamente da Pechino. Per dirla col ricercatore Le Hong Hiep, «se la Cina dovesse interrompere il commercio, il danno per il Vietnam sarebbe immenso».

Il monito di Pechino

C’è ancora una ragione che spinge Hanoi a controllare la «No U FC». Memore della parabola di molti Paesi del blocco comunista, il governo teme che le rivendicazioni nazionaliste gettino il seme per una dissidenza più strutturata. Ecco quindi che un gruppo di attivisti scarponi si trasforma in una minaccia. Il Global Times, il tabloid più ortodosso di Pechino, irride i dissidenti in pantaloncini. «Almeno hanno scelto accuratamente il punto debole della Cina: il calcio». La chiusa dell’articolo tocca una corda sensibile per la nomenklatura vietnamita: «Hanoi deve gestire in modo appropriato le emozioni nazionaliste a casa sua. Altrimenti potrebbe scoprire che una fortissima pressione interna costituisce un pericolo ben più imminente di un conflitto con la Cina».

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Golden Gol 2 Chiuse le indagini preliminari su scommesse e partite truccate. Intrecci tra calcio e camorra

Juve Stabia, presidente nei guai

Avvisi per 20 persone, ci sono anche Manniello e due giocatori

di TITTI BENEDUCE (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - NAPOLI 22-01-2013)

NAPOLI — La Procura si avvia a chiedere il rinvio a giudizio per i venti indagati nell'ambito dell'operazione Golden Gol 2, che fece luce sugli interessi del clan D'Alessandro negli ambienti del calcio e sulla compravendita di alcuni incontri di serie minori. Il procuratore aggiunto Rosario Cantelmo e i sostituti Pierpaolo Filippelli e Claudio Siragusa ha infatti firmato gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari: tra gli indagati, oltre a dirigenti ed ex dirigenti della Juve Stabia, tra i quali il presidente Franco Manniello, figurano anche i calciatori Vitangelo Spadavecchia e Cristian Biancone, accusati di avere accettato 50.000 euro per truccare la partita Sorrento — Juve Stabia del 5 aprile 2009. Tra gli episodi ricostruiti dal pm c'è l'aggressione ai calciatori della Juve Stabia che, sconfitti per 1 a 0 a Pistoia, nel marzo del 2009 furono «circondati da decine di sedicenti tifosi, taluni dei quali travisati, e fatti oggetto di schiaffi, sputi, insulti e colpi di cinghia». La Procura accusa dell'episodio l'ex direttore generale della Juve Stabia, Roberto Amodio, accusato anche di far parte del clan camorristico dei D'Alessandro, e i capi ultrà Francesco Avallone e Vincenzo Mirante. Questi ultimi due, su disposizione di Amodio, avrebbero costretto i giocatori «contro la loro volontà a togliersi di dosso la maglia e le tute con i colori della squadra, rimanendo taluni degli stessi in mutande; ciò al duplice scopo di infliggere ai calciatori una pesante umiliazione e di minacciare gli stessi di ulteriori e più gravi rappresaglie in caso di nuove sconfitte». Ad Amodio e Avallone è contestato anche un altro gravissimo episodio di minaccia: «I giocatori venivano minacciati di morte mediante lumini cimiteriali collocati sulla panchina della squadra ed attraverso manifesti mortuari riportanti i nomi di ciascuno dei tesserati». I calciatori furono inoltre costretti «ad effettuare l'allenamento senza indossare le maglie e le tute con i colori della squadra». A Maurizio Lopez, Antonio De Simone e Concetta Falcone viene invece contestato di essersi prestati a fare da prestanome del clan D'Alessandro, del quale sono accusati di far parte, intestandosi agenzie di scommesse Intralot. Furono le intercettazioni a rivelare gli accordi per la compravendita della partita. In una telefonata, Biancone prospetta a Francesco Avallone la possibilità di truccare una gara con la complicità di tre giocatori. La partita è Sorrento-Juve Stabia: il Sorrento perderà uno a zero nonostante l'avversaria sia l'ultima in classifica. Il portiere Vitangelo Spadavecchia scommise 20.000 euro sulla sconfitta della propria squadra. Dopo l'incontro, i giornali locali scrissero di una «papera» di Spadavecchia dalla quale era scaturito il goal partita.

L’inchiesta Violenze ultrà e combine nel 2009

«Juve Stabia, il ds era portavoce della camorra»

I pm: Amodio chiese ai giocatori di spogliarsi su ordine dei boss

Le accuse Dal patto coi D’Alessandro alla frode sportiva organizzata dall’attuale presidente

di LEANDRO DEL GAUDIO (IL MATTINO 22-01-2013)

Via la tuta, via la maglia, l’ordine è di rimanere in mutande, senza portare addosso quei colori macchiati da pesanti sconfitte sul campo. Una punizione firmata clan D’Alessandro e imposta ad alcuni giocatori della Juve Stabia addirittura dall’ex direttore generale della squadra. E non c’è solo quel raid nel bus societario. No, qui la storia della punizione del boss tifoso è lunga e amara. Tanto che in alcune sedute di allenamento, il clan impose un arredo cimiteriale sulle panchine del club, con tanto di manifesti mortuari dedicati ai singoli calciatori e macabri lumi sempre accesi a ricordare i propositi di vendetta del boss. Calcio e camorra, c’è un punto fermo nell’inchiesta della Dda di Napoli, che chiama in causa dirigenti ed ex posizioni di vertice della società stabiese: ci sono venti avvisi di chiusa inchiesta (l’atto che in genere precede una richiesta di processo) notificati, tra gli altri, anche a Roberto Amodio, ex direttore generale Juve Stabia, ritenuto responsabile di aver imposto un diktat criminale negli spogliatoi della squadra che dirigeva.

Per lui accuse di violenza privata aggravata dal metodo mafioso, ma anche la presunta adesione alla logica firmata clan D’Alessandro. Inchiesta a una svolta, un’ipotesi di frode sportiva viene invece contestata all’attuale presidente stabiese Francesco Manniello, ritenuto responsabile di frode sportiva, tra i presunti registi dell’ormai famigerata combine di Juve Stabia Sorrento (1-0) del cinque aprile del 2009, vicenda per la quale sono indagati anche i calciatori Cristian Biancone e Vitangelo Spadavecchia.

Uno spaccato complesso, a leggere le conclusioni dell’inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo e dal pm Pierpaolo Filippelli, che punta ad accertare la longa manus dei D’Alessandro, per anni rappresentata dal presunto reggente Paolo Carolei, nel sistema negli affari societari e per l’affaire calcioscommesse. Si parte dall’ex dirigente Intralot Maurizio Lopez, per il quale il gip ha di recente respinto l’arresto: difeso dal penalista Alberto Tortolano, l’ex manager è atteso domani dinanzi al Tribunale del Riesame di Napoli, dove la Procura di Napoli punta ad ottenere arresti e sequestri. Diversi i punti battuti in questi anni dai carabinieri del nucleo investigativo del Gruppo di Torre Annunziata agli ordini del comandante Alessandro Amadei. Scommesse, puntate clandestine, riciclaggio, gogna pubblica firmata camorra, quali sono i punti che chiamano in causa i manager stabiesi? Siamo tra il 29 e il 30 marzo del 2009, dopo l’ennesima sconfitta della Juve Stabia, il clan impone una rappresaglia contro alcuni giocatori di ritorno da una trasferta. Bus fermato, assalto di tifosi travisati, schiaffi, sputi e colpi di cinghia. Poi l’ordine: giocatori in mutande, per aver disonorato la squadra che faceva capo ai D’Alessandro e l’obbligo di allenarsi con lumicini funebri e manifesti mortuari piazzati sulle panchine del campo. Un’azione ideata e organizzata anche dal dirigente Roberto Amodio - scrivono gli inquirenti - per il quale la Procura domani chiederà l’arresto al Riesame, dopo aver incassato un primo rigetto da parte del gip. Assieme al presidente Manniello, invece Amodio deve difendersi per la combine del 5 aprile del 2009 (Juve Stabia-Sorrento, 1-0): 50mila euro a Biancone e Spadavecchia, per truccare il match di Lega pro e far lievitare gli incassi nel circuito delle scommesse legali.

Il patron Manniello: sono tranquillo

e chiedo di essere interrogato subito

La doppia guida Franco Manniello è uno dei due presidenti

del club, l’altro è l’imprenditore alberghiero Franco Giglio

di GAETANO D’ONOFRIO (IL MATTINO 22-01-2013)

Castellammare di Stabia. La notizia del presunto coinvolgimento del patron della Juve Stabia, Franco Manniello, nella vicenda legata al filone Golden Gol 2 ha lasciato l’intera città nello stupore. Increduli i tifosi: «Cadiamo dalle nuvole – dicono -. Non crediamo possibile una simile vicenda, conosciamo bene l’integrità del nostro presidente, anche se ovviamente comprendiamo lo sgomento e la delusione che in queste ore starà caratterizzando il suo umore. Timore del peggio? Ovviamente c’è preoccupazione. Purtroppo sembra sempre che in questa città, quando si riesce a fare qualcosa di buono, di bello, debba esserci qualcosa o qualcuno a tarparci le ali».

Manniello, dal canto suo, prima di chiudersi a riccio, isolandosi totalmente, ha avuto modo di lanciare un segnale forte: «Chiederò di essere interrogato, voglio essere ascoltato quanto prima». Con lui, nel filone, anche l’ormai ex dirigente Roberto Amodio, sul quale ci sarebbero accuse ben più gravi. In attesa di sviluppi, di capire realmente la vicenda, i tifosi sono con la società, e potrebbero preparare qualche iniziativa di solidarietà fin dalla prossima gara interna, lunedì sera al Menti contro il Brescia: «Essere indagati non vuol dire essere colpevoli – spiegano i tifosi dell’associazione Stabia 1907 -, siamo tutti con Manniello, sappiamo che è una persona seria, troppo intelligente ed esperta per aver commesso certi errori».

«Conosco Franco da tempo – solidarietà anche dal mondo dello spettacolo con l’attore Gaetano Amato - e credo che a lui la città debba tanto. Nessuno avrebbe mai creduto sul serio di portare la serie B a Castellammare, lui l’ha fatto e ci è riuscito. Spero davvero possa risolversi tutto nel migliore dei modi». E il ds Di Somma tranquillizza tifosi: «Il mercato andrà avanti». Quasi chiusa la trattativa per Verdi del Torino.

L’ex manager

Dal mercato alla squalifica per tre anni

di GIOACCHINO DI MAIO (IL MATTINO 22-01-2013)

CASTELLAMMARE DI STABIA. C’è anche l’ex ds della Juve Stabia Roberto Amodio al centro dell’indagine della Dda. Attualmente squalificato per 3 anni nell’ambito del primo filone dell’inchiesta “Golden Gol” con l’accusa di esser stato tra gli artefici della combine del match che lo vede nuovamente dinanzi ai riflettori, il 53enne ex difensore centrale spera di poter tornare ben presto a far parte di quel calcio che da sempre ritiene il suo mondo. Cresciuto tra le fila delle giovanili del Napoli, Amodio ha disputato il primo campionato da professionista con la maglia del Messina in C2 nella stagione 1980-1981 prima di tornare a vestire la maglia azzurra con la quale debutta in serie A l’anno successivo collezionando in tutto 19 presenze prima di passare nell’estate 1983 alla Cavese in serie B. Distintosi tra i migliori del torneo cadetto, torna dopo appena un campionato in A, stavolta all’Avellino. Con i biancoverdi gioca 6 tornei collezionando 176 presenze e 2 reti. Dopo due esperienze in chiaroscuro in terra di Puglia con i colori di Lecce e Taranto, abbraccia la squadra della propria città nell’estate del 1993. Il 32enne Amodio entra ben presto nei cuori dei tifosi ergendosi a colonna della retroguardia di una Juve Stabia che sfiora per 2 volte la B perdendo due atroci finali playoff contro Salernitana e Savoia. Spareggi che Amodio ricorda anche per lo schiaffo ricevuto da un tifoso al ritorno della semifinale di andata persa 3-2 a Giulianova nel 1999, anno della sconfitta contro gli oplontini. Dopo una breve parentesi nuovamente ad Avellino, lascia il calcio giocato nel 2000 indossando per ultima la casacca della Turris. Appese le scarpette al chiodo, Amodio accetta l’incarico di ds del Sorrento al fianco del presidente Franco Giglio, con il quale sposa la causa stabiese nell’estate 2008. Divenuto successivamente amministratore delegato della Juve Stabia, si è dimesso il 10 ottobre 2011 in seguito all’inchiesta “Golden Gol”. Attualmente è fuori dai giochi perché squalificato sino al 2014.

Minacce e combine

Juve Stabia nel caos

La Dda accusa di corruzione il presidente Manniello

«Derby comprato e giocatori picchiati dalla camorra»

di FRANCESCO CENITI, MAURIZIO GALDI & GIAMPAOLO ESPOSITO (GaSport 22-01-2013)

Camorra, scommesse, combine. C’è di tutto nei 20 avvisi di chiusura indagine firmati da Pierpaolo Filippelli, pm della Dda di Napoli. L’inchiesta era partita nel 2009 e aveva portato all’arresto di diverse persone, compreso il calciatore Cristian Biancone del Sorrento accusato di aver assecondato le richieste del clan D’Alessandro di Castellammare e favorito la vittoria nel derby della Juve Stabia (1-0, aprile 2009). Ora dagli atti emergono ricostruzioni incredibili: giocatori minacciati e costretti a restare in mutande e il coinvolgimento del presidente gialloblù Franco Manniello. Per i magistrati sarebbe stato lui a mettere i 50 mila euro per la combine. La situazione sarà vagliata dalla Procura federale che aveva già deferito Manniello per le presunte aggressioni ai suoi calciatori dopo il k.o. di Pistoia del marzo 2009. La squadra rischia un deferimento per responsabilità diretta (e quindi la retrocessione).

Indagini Il lavoro dei magistrati è stato meticoloso e la Ġazzetta ne aveva parlato nella prima puntata della Gomorra del calcio. Il clan D’Alessandro, per l’accusa, aveva messo le mani su alcune ricevitorie della zona, utilizzate per ripulire il denaro e far cassa con le scommesse. Ecco il perché della combine grazie al coinvolgimento di Biancone che aveva poi «arruolato » il portiere Spadavecchia (indagato a Napoli e Bari per il calcioscommesse). Il derby fu deciso da un gol rocambolesco, dopo una papera proprio di Spadavecchia. Sulla gara la camorra lucrò grazie a numerose scommesse illegali. Per la Dda era l’inizio di un percorso poi interrotto dalle indagini. Nel mirino era già finito anche il d.g. della Juve Stabia (Roberto Amodio, accusato di essere colluso col clan). A livello sportivo la squadra era stata punita con un -3. Negli atti, però, ci sono nuovi episodi. Come l’aggressione subita dai giocatori dopo Pistoia con «schiaffi, sputi, insulti e colpi di cinghia». Per la Dda la criminalità, grazie agli affiliati e capi ultrà Francesco Avallone e Vincenzo Mirante, avrebbe costretto i giocatori «contro volontà a togliersi maglia e tute, rimanendo in mutande, con il doppio scopo di infliggere loro una pesante umiliazione eminacciandoli di più gravi rappresaglie in caso di nuove sconfitte». Contestata ad Amodio e Avallone ancheminacce di morte «mediante lumini cimiteriali collocati sulla panchina e attraverso manifesti mortuari riportanti i nomi dei tesserati». I calciatori furono inoltre costretti «a fare l’allenamento senza indossare maglie e tute».

Reazioni I tifosi della Juve Stabia si stringono intorno a squadra e presidente: organizzata una «panolada» per la gara di lunedì col Brescia. Così Manniello: «Chiederò di essere sentito al più presto dai magistrati per chiarire la mia posizione». Il dirigente è dimissionario da dicembre per protesta dopo il deferimento deciso da Palazzi per il dopo Pistoia.

Il caso

“La camorra influenzava lo Stabia”

così i calciatori finirono in mutande

di DARIO DEL PORTO (la Repubblica 22-01-2013)

La camorra nel pallone. La potente cosca dei D’Alessandro esercitava la sua «diretta influenza criminale » sulla Juve Stabia, almeno durante la travagliata stagione 2008-2009, quando la squadra della città di Castellammare militava in terza serie e i suoi giocatori, dopo una sconfitta a Pistoia, furono umiliati, schiaffeggiati, colpiti con cinghie e costretti a togliersi le divise sociali così da restare in mutande a bordo del bus che li stava riportando a casa, poi minacciati di morte con luci da cimitero sulla panchina e i nomi stampati su manifesti a lutto.

Altri calciatori, purtroppo, sono stati obbligati dagli ultrà a svestire la maglia: a Genova, addirittura in serie A, qualche giorno fa ad Aversa. Ma nella ricostruzione della Procura di Napoli, quelle imposte agli atleti della Juve Stabia erano minacce di camorra. Ispirate dall’allora direttore generale, poi amministratore unico del club, Roberto Amodio. E attuate da esponenti dell’organizzazione malavitosa che, attraverso il dirigente, controllava la società. Ne condizionava le scelte tecniche. Incideva sulle strategie economiche, occupandosi di individuare gli sponsor. Incassava denaro con le scommesse illegali.

Sulla partita successiva alla trasferta di Pistoia, disputata contro il Sorrento il 5 aprile 2009, grava il sospetto di un’offerta di 50 mila euro per “comprare” il successo della Juve Stabia. In quella vicenda è adesso coinvolto, oltre ad Amodio e ai calciatori Cristian Biancone e Vitangelo Spadavecchia, anche Francesco Manniello, oggi uno dei due presidenti della Juve Stabia (l’altro è Francesco Giglio, estraneo all’inchiesta) all’epoca socio del club. Su questa gara la squadra ha scontato la penalizzazione (sei punti, poi ridotti a 3) nello scorso torneo di serie B. A dicembre la società è stata invece deferita per non aver tutelato i calciatori dalle minacce e sarà assistita dall’avvocato Edoardo Chiacchio, reduce dal successo nella vicenda Gianello.

Intanto i pm Pierpaolo Filippelli e Claudio Siragusa, titolari del fascicolo con il procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, hanno chiuso con 20 indagati le indagini dei carabinieri di Torre Annunziata diretti dal maggiore Alessandro Amadei. Amodio, da oltre un anno è fuori dalla società, è accusato di concorso in associazione camorristica e violenza privata aggravata dalla finalità mafiosa. Il gip ha rigettato la richiesta di arresto, la Procura si è rivolta al Riesame. Per concorso in associazione camorristica è indagato anche l’ex dirigente della società di scommesse Intralot Maurizio Lopez (difeso dall’avvocato Alberto Tortolano) mentre nei confronti di Manniello è ipotizzato solo il reato di frode sportiva per il caso di Juve-Stabia Sorrento e non c’è richiesta di arresto. L’imprenditore esclude categoricamente di aver mai tentato di pilotare i risultati. Sulle minacce ai giocatori ricorda: ero a Milano e non ero presidente.

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Mali and me: Mohamed Sissoko

seeks boost for war-torn country

by RORY SMITH (THE TIMES 22-01-2013)

Mohamed Sissoko does not want to talk about politics. He does not want to talk about war. He wants to talk about the Africa Cup of Nations, and his return to international duty with Mali for the first time in three years, and his time at Liverpool and Juventus and his season thus far with Paris Saint-Germain.

But he does. He does talk about politics, and he does talk about war. Every question leads back there, to the plight of his homeland, ravaged by the conflict between Government forces — supported by France and Britain — and rebels linked to al-Qaeda. Every subject is linked to the thought of the hundreds of thousands in the north of the country fleeing their homes in the hope of finding shelter at makeshift camps as militants sweep across the land, bringing with them terror and fear, murder and torture, and blood.

Sissoko does not want to talk about politics, and war. He does not want to think about politics, and war, and air raids, and bombs, and grief, but he has no choice. Like all of his team-mates, he cannot think of anything else.

“We know that we have to try to focus on being ready to play our games, because we are here and we want to do the best we can,” he says, in confident, French-accented English. “We try not to think about the situation in Mali. We talk a lot as a squad about how we must not think about it, but it is very hard not to.

“There are two players in the squad who are from Timbuktu [in rebel-held territory] and we have made sure to talk to them, to let them know that we are with them, that they have our support. Their families, at least, are in [the capital, Government-held] Bamako, so they are safe. That is good.

“We do not know the exact situation at home, because we only know what we see on the news about what is happening every day, but we know that the image the world has of Mali at the moment is very bad.

“But that is what we, as players, can do for our country. We can demonstrate to people all around the world that Mali is not a country that should have that image. It is not a place where we are always fighting. We can try and change that picture.”

It is striking how often such issues intersect with the life of an African footballer, quite how many players feel it is their job not just to cast their homeland in a positive light, but to offer a glimmer of hope to a suffering people.

“That is not pressure for us,” says Sissoko. “It is motivation. We want what all Malians want, and that is a country that can live in peace. When you see that all of your country, all of your people, has a problem, that they are living through all of these things, you want more than anything else to be the best for them. The situation is very bad. Maybe the Cup of Nations can be a good dream.”

That, perhaps, explains why this biennial competition — it has been played in successive Januaries to accommodate CAF’s decision to stage it in odd-numbered years — which is such a bane to European clubs, furious at the prospect of losing players in the middle of the season, is of such import to those who take part, even those, such as Sissoko, who were born elsewhere.

“Whenever a player wants to go to the Cup of Nations, their club does not accept it happily,” he says. “I do not think people in Europe understand quite how much it matters to us. It is a strong competition, one that if you can win means everything not just to you, but to your supporters, your family and your country.”

For Mali, that is not a desperately unrealistic prospect. Without Sissoko, they managed a creditable third place in last year’s edition, missing out on a place in the final to Ivory Coast. With the experienced midfielder restored, after that three-year absence, to a team that also features Seydou Keita, the Barcelona player, Samba Diakité, of Queens Park Rangers, and Modibo Maïga, of West Ham, they have good reason to be confident of bettering that performance.

“We did well last year, and we have basically the same squad, only now the players have more experience,” Sissoko says. His presence will be a boost, too, surely?

“I have had a lot of injuries in the last few years,” Sissoko adds. “I did not want to play for my country if I was not 100 per cent fit, so I concentrated on getting over the injuries with my club. But I have spoken a lot with the coach [Patrice Carteron, the former Sunderland defender] about the fact that I wanted to play for Mali.

“This year has been difficult in Paris. We have many players of a very high level but the most important thing for anyone is that they play, and I have not played as much as I would like. I am really happy for the guys from Paris, but we will see. The most important thing now is Mali.”

Once again, Sissoko cannot stop his mind wandering. He cannot stop thinking about politics. He cannot stop talking about war. “When we win a normal game, even a friendly, all the people there are so happy,” he says. “If we won the Cup of Nations, it would be a real party. We just want to win our games, to bring a bit of happiness to the people.”

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IL PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA ARBITRI HA INCONTRATO LE TANTISSIME “GIACCHETTE NERE” DELLA NOSTRA REGIONE

MANO TESA AGLI

ARBITRI LOMBARDI

Il monito di Nicchi: «Noi offriamo un servizio

E’ ora che finisca la caccia al direttore di gara»

L’obiettivo «La sezione di Milano deve riacquistare il blasone che merita»

La rivoluzione culturale parte da Milano: 400 tra arbitri, assistenti e osservatori

Il razzismo è la vergogna dell’umanità: ma le gare non dobbiamo sospenderle noi

Lavoriamo con le scuole: vorrei che le gare Esordienti fossero dirette da sedicenni

di LUCA BALZAROTTI (Quotidiano Sportivo 23-01-2013)

«Lo Bello non potrebbe più dirigere una partita, Rivera non riuscirebbe a giocare. Il calcio è cambiato, ma i nostri arbitri sono ancora i migliori al mondo». Marcello Nicchi è un ciclone. Il presidente dell’Associazione italiana arbitri (Aia) arriva in leggero ritardo nella sede del Comitato regionale della Lombardia. «Milano è Milano», si lascia scappare l’ex fischietto di Arezzo con un dialetto lombardo dal sapore toscano. «Il traffico…». Stringe la mano a Felice Belloli, presidente del Comitato lombardo fresco di riconferma, difende la categoria e attacca: «Sono qui perché ho il difetto di rispettare le promesse». Cioè la visita a Luca Sarsano, 29 anni, il più giovane presidente dell’Aia, da giugno alla guida della sezione di Milano. «Voglio vedere quanto vale questo ragazzo, non mi pronuncio sulla sua valutazione: gli dico solo “coraggio”».

Ha una buona rosa?

«La sezione di Milano deve riacquistare il blasone che merita: il materiale non manca. La Lombardia è la regione dove si fa calcio dai vertici ai dilettanti. Abbiamo 4.500 arbitri di cui 400 a Milano tra assistenti, direttori di gara internazionali, giovani e osservatori. Da qui deve partire una rivoluzione culturale: la stagione della caccia all’arbitro deve finire perché noi offriamo un servizio».

Nella sua rivoluzione culturale rientra un aiuto della classe arbitrale al razzismo?

«Il razzismo è la più grande vergogna dell’umanità, ma non dirò mai a un mio arbitro di assumersi la responsabilità di sospendere una partita. C’è un regolamento chiarissimo: il potere di interrompere un incontro spetta alla forza pubblica che è presente in tutte le categorie, dalla seria A fino alla Terza Categoria. Quando mancano vigili urbani, polizia o carabinieri è il dirigente della squadra ospitante che ha una delega come garante dell’ordine pubblico».

A Busto Arsizio con Boateng, però, non è andata così…

«Quel giorno era giusto dare un segnale per sensibilizzare tutti».

È possibile immaginare una gara di Lega Pro o di Eccellenza con arbitri addizionali come in serie A?

«Da qui a cinque anni la risposta è no. Ci sono problemi legati agli organici e soprattutto ai costi delle trasferte dei direttori di gara: aggiungere il quinto e il sesto uomo incide sui bilanci».

I giovani sognano ancora di diventare arbitri con tutto quello che si sentono dire?

«Stiamo lavorando con le scuole. C’è un accordo con il Miur che prevede la presenza di nostri dirigenti nelle classi: il 90% delle future leve arriva dalle scuole. Mi piacerebbe che le partite degli Esordienti fossero dirette da ragazzi di 16 anni che hanno frequentato il corso per diventare arbitri in cambio di un rimborso spese di 20 euro».

I ragazzi hanno modelli da seguire? L’era dei Lo Bello ma anche dei Collina è finita…

«Ci sono Tagliavento, Rocchi e tanti giovani arbitri che stanno dimostrando il loro valore: non eravamo i migliori arbitri a livello internazionale, noi siamo i migliori. Tutto il mondo chiede i nostri fischietti come dirigenti: Trefoloni sta lavorando in Kazakistan, Collina in Ucraina, Rosetti in Russia. Quando ci sono gli spareggi nei campionati europei chiamano gli arbitri italiani».

Però ci sono errori come Ronaldo-Iuliano, il gol fantasma di Muntari, la rete in fuorigioco di Vidal in Juve-Inter.

«Vero, e vi garantisco che continueremo a sbagliare. Ma che lavoriamo mentre tutti pensano solo a criticare. Quando sento dibattiti su fuorigioco di centimetri o rimesse laterali invertite mi viene da ridere. Mi preoccupo solo di errori grossolani. Mi preoccupo e lavoro per capire l’errore: nel gol fantasma di Muntari l’assistente era concentrato sulla linea del fuorigioco in occasione del primo tiro e non ha fatto in tempo a spostare la visuale sulla linea di porta quando c’è stata la ribattuta».

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FRANCE football | MARDI 22 JANVIER 2013

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ilCaso

LEGA DI A CONTRO NORME ANTI-DEBITI

PER TOGLIERE I LACCI AL MERCATO

di CARLO LAUDISA (GaSport 23-01-2013)

Nell’agenda della Lega di serie A c’è un’urgenza: il nodo Co.vi.soc. Questione di necessità in vista del mercato estivo e dei possibili paletti legati all’indebitamento della maggior parte dei club della massima serie. Al momento nel mirino dell’organo di controllo federale ci sono Inter, Juventus, Milan, Genoa, Sampdoria e Chievo. Ma la mannaia delle restrizioni presto potrebbe determinare altri stop.

Per le attuali norme serve un aumento di capitale a ogni acquisto che gravi sull’indebitamento oltre la soglia di un terzo del capitale sociale. E la prossima verifica degli ispettori sarà sui conti al 31 nmarzo, con efficacia sulle contrattazioni estive. Perciò il Milan fatica a chiudere per Salamon con il Brescia, mentre l’Inter insiste per il prestito con l’Atalanta per Schelotto. Oppure la Juve ripiega su Gabbiadini a costo zero (almeno a bilancio). Solo alcuni esempi per confermare la paralisi dei trasferimenti interni, mentre soprattutto le grandi si vedono obbligate a privilegiare le piste straniere. Sì, perché a livello internazionale basta una semplice fidejussione (cioè una garanzia bancaria) per legittimare il transfer della Fifa. La differenza è notevole ed è un chiaro freno per l’economia nostrana, con ricadute a cascata. Non è difficile comprendere, infatti, come un blocco di scambi in serie A toglie risorse ai club medio-piccoli che in genere reinvestono i guadagni con acquisti di giovani talenti dalle categorie inferiori.

Stoppato questo ciclo virtuoso, le lamentele sono generali. E l’argomento il 4 febbraio sarà al vaglio del nuovo consiglio di Lega di A, deciso a porre la questione all’attenzione del consiglio federale.

Ed è singolare che in questa battaglia di principio siano coinvolti i grandi club ora aventiniani. Inter, Juventus, Roma e Sampdoria hanno rinunciato ad un posto in consiglio di Lega per protestare contro la rielezione di Maurizio Beretta. E ora dall’esterno seguiranno con interesse le evoluzioni di questa vicenda. E se fosse il primo passo per un disgelo nei rapporti? Aumentare il capitale significa immettere denari senza ritorno. E quando si tocca il portafoglio tutti i presidenti si sentono un po’ più uguali.

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IL RAZZISMO NON È

UGUALE PER TUTTI

di GUIDO BOFFO (LA STAMPA 23-01-2013)

Il razzismo non è uguale per tutti. Se sei un giocatore del Milan, ti chiami Boateng e una decina di beceri curvaioli della Pro Patria ti prende di mira, ogni reazione è sacrosanta, nobile, sottoscrivibile. L’ha sottoscritta ad esempio il giudice sportivo della serie A, Tosel, nella sentenza con cui lo scorso 15 gennaio sollevava i rossoneri da ogni responsabilità per il fatto di aver abbandonato il campo di Busto Arsizio. «...gli essenziali valori che informano lo sport e la civile convivenza escludono che possa acquisire rilevanza disciplinare un gesto di solidarietà verso un uomo vittima di beceri insulti esclusivamente per il colore della sua pelle». Il colore della pelle di Fabiano Ribeiro, attaccante del Casale, non è diverso da quello di Boateng, gli insulti che un avversario della Pro Patria gli ha vomitato addosso sabato scorso erano altrettanto beceri, la reazione dei compagni una fotocopia dell’originale rossonero: anche loro non hanno concluso la partita. Dopotutto, i grandi campioni non devono essere un modello? E Boateng non è stato convocato dall’Onu, nientemeno? Ma gli essenziali valori che informano lo sport in serie A evidentemente non sono gli stessi del torneo Berretti.

Qui se l’arbitro non sente e i suoi assistenti non vedono, il giudice sportivo della Lega Pro, da cui quel campionato dipende, scrive un saggio dell’assurdo. La solidarietà del Casale diventa una colpa, per cui 0-3 a tavolino e un punto di penalizzazione in classifica, la frustrazione di Ribeiro una giornata di squalifica per fallo di reazione. E l’avversario presunto razzista? Neppure un rimprovero, contro di lui ci sono solo testimonianze di parte, non vale il legittimo sospetto che le lacrime di Ribeiro e la reazione scandalizzata della squadra tradissero un’offesa, e non una diabolica messinscena. Il giocatore della pro Patria, di nome Paganini e speriamo che non ripeta, a questo punto non avrà più dubbi: un «negro di m.» al momento giusto, lontano dalle orecchie indiscrete dell’arbitro, può essere un ottimo metodo per liberarsi di un avversario suscettibile, oltre che di colore. E se quelli suscettibili sono undici, anziché uno solo, capita addirittura di vincere la partita a tavolino, di passare per eroe, uno che conosce le leggi non scritte e omertose del calcio, valide a ogni latitudine prima che il Milan le violasse in un’amichevole da nulla, non in una semifinale di Champions League.

Dietro il rigore formale del giudice di Lega Pro, dietro i limiti dell’ordinamento sportivo, dietro la massima del «così fan tutti», dietro tutto questo sospettiamo una verità piuttosto banale. Il calcio non può permettersi partite interrotte ad ogni alito di razzismo, sarebbe la fine dei calendari. Può strizzare l’occhio al «beau geste» indolore del Milan, ma i ragazzi della Berretti sono un’altra categoria, un'altra storia, il sintomo inequivocabile di un virus che dilaga. Loro sì, un pericolo per la tenuta del sistema. Chi distinguerà tra vittime e furbetti? Chi deciderà se l’abbandono di una squadra sia un gesto di dignità o opportunismo? I garantisti hanno una risposta: nessuno sarà in grado di farlo, addio certezza del risultato (e del diritto). E avrebbero anche ragione se il calcio avesse applicato una sola delle regole che in questi anni si è dato in materia di razzismo. Ad esempio provocando la sospensione delle partite per i tanti cori ignobili intonati dalle nostre curve. Purtroppo gli arbitri sordi non dirigono solo il Casale.

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Il caso Maxi-squalifica per il mediano della Salernitana, capolista in

Seconda divisione. La società annuncia ricorso contro il provvedimento

«Sputi ai tifosi di Aversa»:

sei gare a Montervino

Daspo in arrivo per il giocatore. E in dicembre lo ha già ricevuto il suo compagno Ginestra

Il giudice «Comportamento deprecabile e ingiustificato che ha causato gravi conseguenze allo stadio

di EUGENIO MAROTTA (IL MATTINO 23-01-2013)

Salerno. Un’autentica mazzata. L’esultanza dopo il gol vittoria sul campo dell’Aversa Normanna costa 6 giornate di squalifica al capitano della Salernitana, Francesco Montervino. Domenica scorsa il centrocampista granata, ex capitano del Napoli, era stato poi espulso per doppia ammonizione ad inizio ripresa. Ieri pomeriggio, il giudice sportivo ha usato il pugno di ferro contro di lui e la mano pesante contro la capolista Salernitana (15mila euro euro di multa al club per lancio di oggetti in campo e per i tafferugli scoppiati durante l’intervallo).

Montervino, messo a segno il gol che ha sbloccato il risultato al 39’, si era fiondato verso la parte centrale della tribuna del campo dell’Aversa, mostrando il petto ad un gruppetto di tifosi che, evidentemente, lo avevano “beccato” dall’inizio del match così come aveva poi ammesso anche l’allenatore della Salernitana, Perrone, a fine partita. Il giudice sportivo, Pasquale Marino, però, parla di ben altro comportamento da parte del capitano granata, sulla base degli atti in suo possesso (il referto del commissario di campo). «Aggrappato alla rete - si legge – Rivolgeva, con volgare gestualità, frasi ingiuriose verso i tifosi, sputando più volte verso gli stessi». Non solo. Secondo il giudice sportivo, il comportamento del capitano sarebbe alla base dei tafferugli che si sono consumati durante l’intervallo nello spicchio dell’impianto tra la tribuna (dove c’erano quasi mille salernitani) e la curva occupata dagli ultrà dell’Aversa che ha causato «il ferimento di tre carabinieri». Ed ancora. «Tale comportamento provocava la reazione dei tifosi locali e l’ulteriore reazione dei tifosi ospiti con conseguenti incidenti». Un atteggiamento che il giudice sportivo definisce «deprecabile e del tutto ingiustificato, di particolare gravità per le conseguenze che ne sono derivate».

Adesso Montervino rischia anche una mazzata sul piano della giustizia ordinaria. Lunedì l’Osservatorio del Viminale ha puntato l’indice contro il capitano granata, sollecitando gli organi competenti a valutare se ci fossero le condizioni per il Daspo (il divieto di accesso alle manifestazioni sportive). Non sarebbe la prima volta quest’anno che un giocatore della Salernitana venga colto da un provvedimento del genere. A quanto pare, infatti, Ciro Ginestra ha subito la stessa sorte dopo la testata rifilata al centrocampista della Vigor Lamezia, Giuffrida, al termine del match esterno contro la formazione calabrese. Per lui un anno di Daspo con deroghe ogni qual volta scende in campo.

La Salernitana, dal canto suo, promette battaglia. Montervino ha incassato la solidarietà di tutto l’entourage granata e prima ancora di tutti i compagni di squadra. Il legale del club di Lotito e Mezzaroma, GianMichele Gentile, ha già annunciato ricorso a cui ha fatto seguito una nota del club sul proprio sito internet. «Chiederemo di dimezzare la squalifica – ammette Gentile, legale di fiducia anche della Lazio – oltre ad una riduzione dell’ammenda. Non credo sia possibile scendere al di sotto delle tre giornate». La strategia difensiva si baserà sulla raccolta delle immagini, sul passato di Montervino (mai squalificato per fatti del genere) e anche sulla cronologia degli incidenti e dei fermi avvenuti in momenti successivi e precedenti al gesto del capitano.

IL CASO GIOCATORI MINACCIATI DALLA CAMORRA E PRESIDENTE ACCUSATO DI COMBINE

Caos Juve Stabia-Sorrento:

Palazzi può rifare il processo

di FRANCESCO CENITI & MAURIZIO GALDI (GaSport 23-01-2013)

Martedì 29 la Disciplinare (presidente Claudio Franchini) ha all’ordine del giorno: «R. Amodio, F. Manniello, Juve Stabia (collusione in comportamento violento tifoseria organizzata) ». La Procura federale aveva già avuto parte delmateriale della Dda di Napoli, in particolare del sostituto Pierpaolo Filippelli, su quanto accadeva a Castellammare di Stabia e di come venivano trattati i calciatori. In particolare la Disciplinare doveva esaminare il deferimento relativo ai fatti avvenuti dopo Pistoiese-Juve Stabia. Nella prima documentazione in mano a Palazzi le dichiarazioni di alcuni calciatori. Con la chiusura delle indagini di lunedì il caso si è ulteriormente chiarito. Per i magistrati sono Amodio, e due capi tifosi i responsabili «mediante gravi minacce, anche implicite, contro l'incolumità personale di Marco Capparella, Antonio Gaeta, Giuseppe Rinaldi, Enrico Amore, Donovan Maury, Fabrizio Mineo, Raffaele Ametrano, Matteo Gritti, Thiago Barbosa Soares, Alessandro Radi eMassimo Rastelli, che nella circostanza venivano circondati da decine di sedicenti "tifosi"».

La posizione di Manniello Il presidente della Juve Stabia Francesco Manniello si dice sereno e di poter chiarire tutto: «Mi dichiaro, inoltre, fin da subito a completa disposizione degli inquirenti per chiarire la mia posizione di totale estraneità alla vicenda in oggetto». Ma alla luce di quanto emerge dalle carte della Direzione distrettuale antimafia (Dda) ci sarebbe dietro la combine di Sorrento-Juve Stabia un pagamento di 50 mila euro e dietro questo pagamento ci sarebbe proprio l’attuale presidente. Il Procuratore federale Palazzi — che ha già deferito la Juve Stabia per quella vicenda — potrebbe invocare la «revocazione» per sopraggiunte novità giudiziarie e chiedere sanzioni più pesanti. In caso di colpevolezza provata di Manniello la Juve Stabia rischia addirittura la retrocessione come è avvenuto per il Lecce. In questa ottica è probabile che la Disciplinare il 29 possa rinviare l’esame del deferimento.

IL PM BLOCCA I GIOCATORI INDAGATI

Caso contratti fittizi

Sequestrati i due lodi

contrari al Catanzaro

di FRANCESCO CENITI (GaSport 23-01-2013)

«L’inchiesta penale non è rilevante...» scriveva il Collegio arbitrale nella sentenza che dava ragione a sei ex calciatori del Catanzaro indagati (con altri 7 compagni) dal pm Domenico Guarascio per tentata truffa e formazione di credito simulato. Ieri il magistrato ha ristabilito un principio generale: le legge è uguale per tutti, giocatori di calcio compresi. In questa ottica ha ordinato il sequestro (eseguito dalla Finanza nella sede di Firenze della Lega Pro) degli atti e dei documenti relativi ai due lodi arbitrali in questione. Il provvedimento riguarda anche tutte le istanze presentate al collegio da parte dei calciatori coinvolti nell’inchiesta sui presunti contratti fittizi. La Procura ha compiuto questo passo per evitare che i calciatori possano ottenere «l’adempimento dei titoli negoziali fraudolenti, così irrimediabilmente aggravando e conclamando gli effetti delle condotte delittuose contestate». Accolte in pieno le tesi di Sabrina Rondinelli, avvocato del Catanzaro. I due lodi sequestrati si erano svolti a settembre e a dicembre: il collegio aveva disposto il pagamento delle differenze retributive per circa 240 mila euro. Le somme versate dal Catanzaro (per evitare penalizzazioni) erano state sequestrate.

L’inchiesta ruota intorno a presunti contratti fittizi relativi alla stagione 2009-2010 quando, secondo l’accusa, l’Fc Catanzaro era già in una situazione tale da fare presagire il fallimento, ma nonostante questo furono depositati in Lega contratti multipli per circa 800 mila euro (l’ipotesi è che sia l’emersione degli stipendi in nero). La vicenda è monitorata dalla Federazione che in un comunicato ha fatto capire di essere dalla parte del Catanzaro: «La Lega Pro ha prestato e presta la collaborazione necessaria all’autorità inquirente e adotterà tutte le iniziative opportune a tutela delle società associate. L’intervento della Procura preclude ai calciatori indagati di poter ottenere, tramite i ricorsi al Collegio, l’adempimento di obbligazioni derivanti da contratti che la Procura ipotizza fraudolenti».

Derby truccato, il 15 maggio

Semeraro davanti al giudice

Citazione diretta anche per Quarta e Di Lorenzo

di GABRIELLA DE MATTEIS (la Repubblica - Bari 23-01-2013)

La prima udienza è fissata per il 15 maggio. Approderà così, per la prima volta, in un’aula di Tribunale, una delle indagini della procura di Bari che ha travolto il mondo del calcio pugliese. L’ex presidente del Lecce Pierandrea Semeraro, l’imprenditore Carlo Quarta e Marcello Di Lorenzo sono destinatari di una citazione diretta a giudizio. Affronteranno il processo, con l’accusa di frode sportiva. Il caso al centro dell’inchiesta e ora di un dibattimento è quello per il derby Bari-Lecce di serie A del 15 maggio del 2011. Derby che sarebbe stato truccato. La società salentina, accusa il pubblico ministero Ciro Angelillis, avrebbe pagato 230mila euro per assicurarsi la vittoria e con i tre punti anche la matematica permanenza nella massima serie.

L’inchiesta si basa anche sulle dichiarazioni dell’ex difensore del Bari Andrea Masiello. Fu lui a raccontare agli investigatori della combine. Il calciatore, nell’ottobre scorso, ha patteggiato la pena, chiudendo la sua storia giudiziaria con una condanna a un anno e 10 mesi. E hanno scelto di patteggiare anche Gianni Carella e Fabio Giacobbe, baresi e amici di Masiello. Scommettevano e quindi avrebbero contribuito a truccare le partite. Non solo il derby contro il Lecce, ma anche altre tre partite: Palermo-Bari, Bari-Sampdoria e Bologna-Bari. Carella e Giacobbe, accusati con Masiello di associazione per delinquere, sono stati condannati a un anno e cinque mesi.

Un solo episodio invece viene contestato all’ex numero uno dell’Unione Sportiva Lecce Semeraro, all’imprenditore Quarta e a Di Lorenzo, amico dell’ex difensore del Bari Masiello. Per truccare il derby, hanno ricostruito i carabinieri, furono versati ai baresi circa 230.000 euro, pagati in diverse tranche. La prima parte, che ammontava a 50.000 euro, sarebbe stata versata durante un incontro all’hotel Tiziano di Lecce. Le altre parti della cifra pattuita sarebbero state consegnate da Carlo Quarta a Carella durante incontri avvenuti in una stazione di servizio sulla tangenziale di Bari; e da Quarta a Masiello in una località del nord Italia dove l'ex calciatore biancorosso (poi passato all'Atalanta) viveva all'epoca dei fatti.

Sarà il Tribunale monocratico a pronunciarsi sulle accuse, formalizzate dalla procura con il decreto di citazione diretta a giudizio. Per il momento c’è la pronuncia della giustizia sportiva, alla quale la società giallorossa si era rivolta, senza successo, dopo la decisione di far retrocedere il Lecce in Lega Pro. «Dopo che Masiello e Carella si legge nelle 42 pagine della sentenza d’appello - maturarono l’idea di offrire al Lecce la disponibilità a tradire la causa della lealtà e dell’onore sportivo, (...) Carella non ebbe esitazioni nell’individuare in Quarta l’ideale tramite con il Lecce consapevole degli stretti rapporti con Semeraro. Partì, così, già dal 12 maggio 2011 il sistema dei rapporti triangolari tra Carella, Quarta e Semeraro».

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IL PUNTO DI VISTA

La Lega dei 180' in 80 giorni

A.PAS. - Tuttosport -23-01-2013

JULES VERNE, tra il match di andata e quello di ritorno, avrebbe potuto approfittarne per effettuare il suo fortunato giro del mondo, pur con i mezzi di trasporto di 150 anni fa. Inter e Roma, per ovvi motivi, non potranno emulare il grande scrittore, ma di sicuro avranno anche loro 80 giorni (e più) per stabilire quale delle due squadre sarà la finalista di coppa Italia. E tutto questo non solo non è bello, ma nemmeno troppo regolare. La Lega Calcio, proprio nel giorno in cui spacciava per cambiamento epocale il rinnovo della presidenza a Beretta e l'elezione alla vice-presidenza a Galliani, ha certificato questo teatro dell'assurdo. Una coincidenza temporale non casuale, perché così, ormai da troppo tempo, va il mondo del calcio: nessun rispetto per le regole, per la logica, per la regolarità delle competizioni. Solo e soltanto compromessi, per non dover mai decidere davvero. Ah, dimenticavamo: arrivederci al 17 aprile...

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