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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Follia in finale di Coppa Sudamericana: "Minacciati con le pistole", la denuncia degli argentini del Tigre. Il San Paolo vince senza giocare gli ultimi 45'. Ma non finirà qui...

Giovedì, 13 dicembre 2012 - 18:35:00 [affariitaliani.it]

Follia alla finale di ritorno della Coppa Sudamericana, a San Paolo, rovinata dalla violenza in campo e fuori a meno di due anni dai mondiali in Brasile. Dopo lo 0-0 del match d'andata in casa del Tigre, il San Paolo ha chiuso sul 2-0 la prima frazione di gioco grazie alle reti di Lucas (alla sua gara di addio prima di trasferirsi al Psg) e Osvaldo. Ma nella ripresa gli argentini non si sono presentati in campo denunciando la mancanza delle condizioni di sicurezza e presunte aggressioni da parte di agenti e del personale addetto al campo. Inevitabile l'assegnazione della Coppa al San Paolo, anche se ora si profilano ricorsi e denunce penali da parte degli ospiti. Il difensore del Tigre Lucas Orban ha parlato di un'irruzione dei poliziotti nello spogliatoio con un agente che ha minacciato i giocatori con una pistola e altri che li avrebbero manganellati. Secondo il centrocampista Martin Galmarini "erano tutti armati". "Ci hanno aspettato all'ingresso degli spogliatoi e ci hanno minacciato con le armi in pugno", ha raccontato. La polizia militare brasiliana ha pero' negato che gli agenti fossero armati e ha sostenuto che al suo arrivo si stavano fronteggiando gli steward del San Paolo e i giocatori e i dirigenti del club argentino.

La gara si era infiammata nel finale del primo tempo con una rissa che aveva coinvolto gran parte dei giocatori, sedata solo dall'intervento degli steward e dei poliziotti. L'arbitro ha espulso Miranda e Gaston Diaz, ma negli spogliatoi gli animi non si sono calmati. Dopo il riposo, ritorno in campo per il San Paolo e per l'arbitro, non per il Tigre che non si e' presentato. Dopo una lunga attesa l'arbitro cileno Enrique Osses ha fischiato la fine e sugli spalti del Morumbi, davanti a 65mila spettatori, e' partita la festa paulista. La Copa Sudamericana potrebbe non essersi chiusa. Ora il Tigre intende presentare ricorso alla Conmebol, ma la finale di ritorno potrebbe avere un seguito anche uno strascico giudiziario. Su quanto accaduto all'intervallo negli spogliatoi, infatti, le versioni sono discordi. I brasiliani sostengono che i giocatori del Tigre abbiano aggredito gli steward paulisti mentre gli argentini riferiscono l'esatto contrario tra minacce, botte e addirittura armi da fuoco mostrate per incutere timore. Il clima si era fatto pesante gia' prima della partita con il pullman degli argentini preso di mira dai tifosi del San Paolo. Poi, dopo il primo tempo che si e' chiuso sul 2-0, e' successo di tutto e il club paulista ha anche denunciato la squadra ospite accusandola di aver distrutto gli spogliatoi, tanto che, dopo che il Tigre aveva lasciato la stadio, il club di casa ha fatto entrare le telecamere all'interno del Morumbi per documentare i danni, oltre alle macchie di sangue rimaste sulle pareti. "Sono dei nostri addetti alla sicurezza, gli argentini gli hanno tirato di tutto e hanno distrutto tutto", ha spiegato il dirigente del San Paolo, Joao Paulo de Jesus Lopes. Nella notte gli agenti hanno portato in questura alcuni dirigenti argentini e gli addetti alla sicurezza dello stadio. Intanto la stampa argentina parla di "scene vergognose", il Clarin scrive "e' uno scandalo", "Ole'" e la "Nacion" di "vittoria e festa paulista imbarazzante", aggiungendo che "ancora una volta e' arrivata la dimostrazione di come sia difficile giocare a San Paolo, cose simili erano gia' avvenute in Corinthians-Boca della Libertadores".

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Mi pare che...

La confusa idea di giustizia

del presidente Petrucci

di LUCIANO MOGGI (Libero 14-12-2012)

Un’immagine più emblematica di quell’unico spettatore friulano presente a Marassi per Samp-Udinese (partita di Serie A, ndt) non poteva esserci: è la dimostrazione di quanto poco si sia fatto per rendere meno povera l’attenzione alla Coppa Italia, attraente solo per semifinali e finale; gli orari notturni in questi giorni di gelo condizionano infatti i partecipanti, è grande la paura di infortuni muscolari (vedi Juve-Cagliari) al punto che le squadre fanno scendere in campo riserve e giovani all’esordio (esempio Siena-Torino). La conseguenza ovvia è la mancanza di pubblico e spettacolo. Non fa testo il pubblico dello Juventus Stadium, un tributo personale a Conte.

Ebbene, sino ad ora, sembra che nessuno abbia pensato ad eliminare almeno gran parte di questi problemi: cambiare ad esempio gli orari soprattutto nel periodo invernale, magari anche contro il volere delle tv, far giocare le grandi (o presunte), nel campo delle presunte piccole: pensate alla differenza di un Milan-Reggina giocata a Reggio Calabria.

E non sarebbe certamente male concedere alla vincitrice della Coppa Italia le prerogative della terza squadra classificata (accesso ai preliminari di Champions) considerando anche che le prime tre sono quasi sempre le squadre più forti. L’Uefa potrebbe non essere d’accordo (anzi, non lo sarà affatto) ma considerando che non viene incrementato il numero delle partecipanti, sempre 2+1, una piccola diatriba con l’Uefa, non guasterebbe, fermo restando che ne guadagnerebbe in immagine la Coppa Italia.

Parla e straparla Petrucci, come se volesse lasciare un testamento, all’atto del suo addio all’incarico. Commenti severi sono già giunti alle sue ultime esternazioni, il cui contenuto appare in bilico tra contraddittorietà da una parte e una sostanziale vacuità dall’altra, ridicolaggini secondo Xavier Jacobelli, conclusioni ad uso e consumo proprio, in contrasto con verità processuali acclarate, sullo sfondo la visione miope di sempre - il calcio fermo al 2006 - ma anche, udite udite, il dispregio dell’istituzione giudiziaria.

Non altrimenti si può definire la visione di Petrucci di una giustizia sportiva che ha fatto meglio della magistratura, perché quella ne sanzionò tanti e questa li ha assolti; non sembra venire alla mente del capo del Coni la verità più elementare, che la giustizia sportiva sbagliò non concedendo la possibilità alla difesa di portare le prove che sono emerse nel dibattimento ordinario e ora finalmente i giudici stanno restituendo i fatti alla loro verità.

Ed è veramente risibile che dopo aver esaltato la giustizia sportiva Petrucci le dia subito dopo un colpo da ko: deve essere infatti riformata, soprattutto per lo spazio che debbono avere le difese. Cosa significa? Che nell’affastellarsi di dichiarazioni il presidente del Coni non sa più quello che dice. O, riconoscendogli le attenuanti, ha perso un’occasione per stare zitto.

Ne ha detto grosse anche sullo scudetto 2006 (secondo lui sarebbe ormai vicenda chiusa, ed invece è del tutto aperta) e sul “tavolo della pace”, colossale fallimento, che però nella visione onirica di Petrucci sarebbe stato un successo, e avrebbe messo pace tra Juve e Inter. Niente di tutto questo. C’è da chiedersi in quale mondo viva adesso Petrucci, il presidente del Coni finalmente uscente.

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Fontana: «Via da Novara

Ma sono un uomo pulito»

«Ho rescisso con i piemontesi. A 38 anni cerco un’altra squadra»

Lo sfogo «Non ho voluto patteggiare. Meglio una condanna ingiusta che una pena scontata...»

di LUCA BALZAROTTI (Quotidiano Sportivo 14-12-2012)

LO CHIAMA «miracolo giudiziario». E, in effetti, mai il Tnas – l’organo di terzo grado della giustizia sportiva – aveva assolto un tesserato accusato di illecito sportivo fino alla sentenza di secondo grado. Jimmy Fontana, 38 anni, ha parato anche l’attacco della Procura. «Ho rescisso il contratto con il Novara, ma nutro solo gratitudine verso la società e il patron De Salvo», racconta l’ex portiere azzurro accusato di aver partecipato alla combine di Chievo-Novara di Coppa Italia.

Perché esce da Novara solo adesso?

«Volevo salutare da assolto: non è facile rinunciare a un contratto che scadeva nel 2015. Dopo questa vicenda ho deciso di voltare pagina: i presupposti per lavorare qui non ci sono più anche perché persone come il direttore sportivo Sensibile e mister Tesser sono andate via».

Si è mai sentito abbandonato?

«No, il club ha fatto una scelta che rispetto: cercar di tutelare la propria immagine con una difesa parallela a quella dei tesserati».

Pensa ancora da giocatore?

«Ho tempo fino al 30 gennaio per trovare una squadra: accetterò solo una soluzione tecnica interessante».

Magari al Torino?

«Ci sono poche possibilità: non ho mai nascosto il tifo per i granata nemmeno negli anni in cui ho dato tutto per la maglia azzurra».

Che idea si è fatto della giustizia sportiva?

«I giudici avevano fretta: il tempo per me e per l’avvocato Gatti era poco».

Non si sente vittima di un’ingiustizia?

«Sono stato sfortunato a essere processato subito. Prendiamo Mauri: si allena e gioca con la Lazio. Eppure siamo finiti insieme nel calderone».

Credeva nell’assoluzione?

«Dopo il secondo grado volevo fermarmi: ero deluso ma l’avvocato mi ha convinto. Però volevo evitare il patteggiamento. Meglio una condanna ingiusta di una pena scontata».

Gervasoni è un pentito credibile? Esistono le partite truccate?

«Fa il mio nome per sentito dire. Se dicessi che il calcioscommesse fosse una montatura dei magistrati direi una bugia. Ma attenti alle etichette: dalla vicenda ho imparato a non dare giudizi fino al terzo grado».

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LUNEDI’ LA SENTENZA

La società verso il -2

Si pensa già ai ricorsi

Dopo le decisioni della Disciplinare Corte federale e poi Tnas. Cannavaro e Grava: 6 mesi

di EDMONDO PINNA (Corsport 14-12-2012)

ROMA - Due punti che sembrano un macigno, che a Napoli e al Napoli pesano ma non spezzano. Sentenze lunedì, tanto che la probabilità sembra volgere alla certezza. E allora, tre giorni ancora per cercare di metabolizzare quello che sembra essere sempre più il verdetto della Commissione Disciplinare, che ratificherà il primo grado del processo al filone partenopeo del calcioscommesse. Un macigno, ed anche i sei mesi (possibili) per Cannavaro e Grava, invece dei nove proposti dal procuratore capo Palazzi, non strappano sorrisi ma rabbia dalle parti di Castel Volturno. Da qui ad allora, la partita di domenica notte contro il Bologna, il San Paolo che si prepara ad asciugare le lacrime. Se passa la “linea tariffario” (pene commisurate al Codice e alle recenti sentenze) sarà l’ultima di Cannavaro e Grava, le pene sono immediatamente esecutive dal momento della pubblicazione, arrivederci a presto, si augurano sotto il Vesuvio, ma potrebbe essere anche diverso.

DUE PUNTI - Il Napoli che cerca la scalata alla vetta della classifica, che battaglia con Juve e Inter per lo scudetto, dovrà rivedere i conti. Almeno adesso, in attesa che l’iter giudiziario segua il suo corso. Appello, scontato, alla Corte federale e poi al Tnas, dove tutti si sono rivolti ed in tanti hanno trovato soddisfazione. La corsa 2012-2013 si farà anche nelle aule dei tribunali sportivi. La linea tracciata dalla Disciplinare diversa da quella di Palazzi. Due punti contro uno, ecco la differenza fra lunedì scorso e oggi. A lunedì potrebbe essere un conto da fare e rifare, per cercare di far quadrare i conti. Due punti contro uno, ma anche sei mesi (contro i nove delle richieste della Procura) che potrebbero strappare un sorriso e invece non lo fanno, perché Cannavaro il capitano è uno dei tasselli che servono per il sogno, perchè Grava è il progetto che s’incarna, dalla C all’Europa.

REVISIONE - Sentenze con sorpresa il piatto forte di lunedì, ecco l’impressione prima ancora che il presidente Artico abbia rivisto e armonizzato le motivazioni che gli stanno arrivano e che gli arriveranno. I suoi uomini della Disciplinare, per pochi spicci, hanno chiuso il lavoro “matto e disperatissimo”, come sono abituati a fare ormai da tempo, ormai da due anni sulle scommesse. Sorprese, ecco l’indizio: stravolgere le richieste formulate dal Procuratore. Come se non bastasse già il fascicolo relativo al Napoli. Prendete Portogruaro-Crotone, ad esempio. S’immagina e si calcola: i calabresi potrebbero cavarsela senza macchia, se l’interpretazione dell’articolo 4 comma 5 ha ancora un valore. Vantaggi non ce ne sono e la società, pure nel caso, quell’illecito l’avrebbe ignorato, visto che il legale rappresentante della società (Ursino) è stato interrogato ma non deferito. E potrebbe farsi meno pensate anche la posizione di Agostinelli, il tecnico del Portogruaro (che invece, come società, potrebbe alal fine pagare il patteggiamento di Furlan). Se non c’è traccia dell’altro allenatore (Menichini), con chi avrebbe fatto l’azione illecita? Potrebbe spuntarla con un’omessa denuncia o con una squalifica a tempo, sulla base del precedente Santoruvo (6 turni per “illecito da campo”).

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Aspettando la sentenza Gianello, ecco cosa non va nel diritto sportivo

Calcio, la bufala della responsabilità

di VINCENZO M.SINISCALCHI (IL MATTINO 14-12-2012)

Non è facile comprendere in pieno quello che accade nel calcio allorché entra «in campo» la giustizia sportiva, con le sue norme di carattere autonomo. Tuttavia incomprensioni – più che giustificate - della opinione pubblica coincidono con le contestazioni che vengono mosse nelle discussioni che si svolgono innanzi al giudice sportivo sul filo di un richiamo a norme generali condivisibili. È quello che accade nella vicenda che riguarda l’addebito di responsabilità nei confronti di due giocatori del Napoli per «omessa denuncia» di un presunto tentativo di «combine» nello scorso campionato.

Lo stesso addebito dovrebbe avere in sede di giustizia sportiva una ricaduta con conseguente penalizzazione, della società del Calcio Napoli come esito della regola della cosiddetta «responsabilità oggettiva» della società conseguenza automatica della presunta condotta illecita dei calciatori.

Così riferita in estrema sintesi la questione che si agita da sempre nel campo delle regole del diritto sportivo, già può intravedersi anche per il giurista, oltre che per il buon senso generale, il ricorso a terminologie difficilmente accettabili nel campo del diritto perché implicano un rapporto di responsabilità di tesserati e di società sportive di appartenenza costruito in modo automatico, oggettivo per l’appunto, secondo uno schema in cui non si colloca nessuna norma del diritto penale o civile, e che finisce per neutralizzare ogni più elementare diritto di difesa. Va dato atto che si tratta di un ordinamento, precisamente quello sportivo, che è del tutto autonomo e diverso dagli ordinamenti dello Stato, trattandosi, in sostanza, di codici di disciplina, espressioni di un tipo di autonomia che non può essere in alcun modo assimilabile alle leggi statali.

Ma non è il tipo di autonomia dell’ordinamento sportivo che si vuole mettere in discussione. Quello che non convince, da sempre, è la esasperata forma di ipervalutazione della costruzione del tipo di responsabilità, sia del tesserato che delle società, introducendosi una forma di presunzione assoluta di responsabilità automatica. Per questo tipo di responsabilità, che viene definita oggettiva, non possono valere in alcun modo analisi delle condotte, ricostruzioni di prova che consentono, ad esempio, per il calciatore «avvicinato» negli spogliatoi dal compagno di dire che nemmeno lo ha preso sul serio in quella che non riusciva ad essere neanche una proposta vera e propria di «combine». Per questa responsabilità automatica oggettiva si può pensare all’assurdo di una penalizzazione della società di appartenenza che dovrebbe scontare non una vera e propria condotta omissiva del giocatore ma una sua comprensibile mancata presa in considerazione di quella che, ad esempio, poteva apparirgli una «bufala». Che la responsabilità oggettiva in sede disciplinare possa avere una sua giustificazione sul piano delle regole deontologiche può essere comprensibile, ma non si può accettare in alcun modo l’eccesso improprio di ricorso a questa forma di automatismo persecutorio. Ciò è ancora più evidente nel caso in cui la contestazione dell’illecito sportivo non nasce da una indagine autonoma ma ripete gli atti di indagine del processo penale ancorché si tratti di processo non concluso nemmeno nell’unica fase di verifica tipica del processo penale: quella del dibattimento.

Non è ragionevole, a mio avviso, sostenere che risponda di omessa denuncia anche chi non si è nemmeno reso conto che doveva denunciare qualcosa. Men che mai è ragionevole sostenere che una società debba rispondere di condotte di giocatori che in alcun modo si sono definite né sono state definite dalla giustizia ordinaria.

Debbo dire che la giustizia sportiva in molti casi ha contenuto nel principio di ragionevolezza gli eccessi di applicazione automatica della responsabilità oggettiva. Un ricordo: il primo processo derivato dalla inchiesta sul calcio-scommesse. C’era, come incolpato per il Calcio Napoli, il grande Italo Allodi. Venne penalizzato per un anno; poi la Caf lo prosciolse. Allodi pianse; era stata corretta una autentica «ingiustizia» sportiva. La responsabilità oggettiva calcistica si è sostenuto che è un «male necessario» perché è una sorta di «deterrente preventivo». È tempo che si esca da questa forma aberrante di giustificazione e si giunga a fare del processo sportivo, pur nella sua autonomia, uno strumento di intervento disciplinare non anomalo ma che eviti il più possibile, di ingenerare negli atleti, nelle società, nel pubblico l’idea che le leggi calcistiche non si debbano in alcun modo uniformare ai principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale. Ne va di mezzo la credibilità di quella che chiamiamo giustizia sportiva.

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Scommesse Il club partenopeo rischia il -2 in classifica, per Cannavaro e Grava possibili 6 mesi di stop. La società: fiduciosi che continuino la stagione

Caso Gianello, Bigon attacca: Napoli parte lesa

L’attesa Lunedì il verdetto della Commissione disciplinare presieduta da Artico

Il manager «Situazione diversa dalle altre: l’ex portiere non giocava più»

Il presidente Figc Abete: responsabilità oggettiva, si dovrà fare una riflessione

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 14-12-2012)

Tre giorni col fiato in gola in attesa di conoscere la sentenza di primo grado. Per sapere se, come pure è possibile, il collegio giudicante della Commissione Disciplinare presieduta da Sergio Artico userà la mano pesante con il Napoli. Con un verdetto, la penalizzazione di due punti, che potrebbe aumentare la condanna rispetto alla richiesta del capo della procura federale, Stefano Palazzi che nel proporre il -1 e i 100 mila euro di ammenda ha parlato del ruolo marginale di Gianello nello spogliatoio del Napoli.

Una linea che, per la prima volta, ha affievolito il peso violento della responsabilità oggettiva sul groppone dei club. Ma che potrebbe anche non piacere ai componenti della Disciplinare. Sull’argomento responsabilità oggettiva prende posizione anche Giancarlo Abete, presidente Figc: «Una volta conclusi i procedimenti collegati alle scommesse, occorrerà fare una riflessione, come hanno detto il presidente Petrucci e Pagnozzi, sulla responsabilità oggettiva, in modo tale che ci sia anche la possibilità per la società di giocarsi una partita in relazione alle responsabilità effettive». Già, responsabilità effettiva. In effetti, proprio quello su cui insiste il Napoli nell’urlare la propria estraneità. E che, in ogni caso, apre spiragli in vista dei ricorsi in appello e all’arbitrato del Coni.

La camera di consiglio della disciplinare (oltre ad Artico, ci sono il vicario Franchini, Girardi, Perugini e Tobia) - se le ammissioni di Gianello saranno ritenute credibili, e a quanto pare sembra proprio di sì - sarebbe orientata a uno stop di sei mesi per Cannavaro e Grava (la richiesta è di 9 mesi), come da «tabella» in caso di omessa denuncia. L’aria che si respira non è delle migliori. E questo fa scattare la reazione del club azzurro, affidata a Riccardo Bigon che a RaiSport dice: «Il Napoli è parte lesa, questa è una vicenda molto pesante per noi ed è un caso assolutamente diverso rispetto a tutti gli altri». Il dirigente azzurro insiste: «Qui stiamo parlando di un calciatore come Gianello che era in scadenza, non ha mai fatto un minuto di gara, era all’ultima partita della sua vita a Napoli e non è inserito in alcuna organizzazione».

Bigon ripete quello che l’ad Chiavelli ha riferito al cospetto della Disciplinare dove ha invocato «equilibrio» nella decisione che verrà presa: «Abbiamo fiducia nella giustizia sportiva. Le penalizzazioni possono servire a rendere più forte un gruppo: quando ero alla Reggina, nel 2006, partimmo con un meno quindici e ci salvammo». Domenica con il Bologna potrebbe essere l’ultima gara di Paolo Cannavaro, se fosse fermato: «Ma noi siamo fiduciosi che sia il nostro capitano che Grava possano continuare la loro stagione». Un accenno a Vargas: «Il suo percorso di adattamento potrebbe continuare qua a Napoli».

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Napoli, la corsa diventa ad handicap

Scommesse, lunedì la sentenza: -2 in classifica e Cannavaro fuori 6 mesi

Come già nel caso Conte, rischia di essere sconfessato il lavoro di Palazzi. In attesa del Tnas...

di FULVIO BIANCHI & MATTEO PINCI (la Repubblica 14-12-2012)

Un altro schiaffo a Palazzi. Quando lunedì il giudice Artico firmerà la sentenza della Commissione Disciplinare sul processo al Napoli per il calcio scommesse, la Procura Federale subirà l´ennesimo duro colpo. Quello più forte: punendo con due punti di penalizzazione il Napoli (e riducendo da 9 a 6 mesi lo stop dei calciatori Cannavaro e Grava), il primo grado di giudizio della Federcalcio sconfesserà di fatto il lavoro del procuratore Palazzi, che ne aveva chiesto uno soltanto. Era già successo, con i "no" di Artico ai patteggiamenti favorevolissimi proposti per Conte, e Gianello. Ora, demolendo anche la richiesta per il Napoli che nascondeva il sapore del patteggiamento mascherato, la Disciplinare torna a ergersi quale unico organo capace di far rispettare le regole in un sistema sportivo permeato dagli interessi dei grandi club. Da tempo il Coni chiede, per bocca di Petrucci, «che venga riformata la responsabilità oggettiva», rimandando però a dopo i processi sportivi per garantire a tutti lo stesso metro. Ma la procura della Figc che non fatica a imporre le proprie regole e "tariffe" con le piccole (per l´Albinoleffe chiese il - 27 per le combine di giocatori che giocavano a perdere), cede al contrario all´imbarazzo della propria fragilità quando si trova a dover pesare le sanzioni per i "big", che si chiamino De Laurentiis o Conte. Vittima delle pressioni di una Lega di serie A forte di un ruolo che le consente di pesare in modo determinante sulla rielezione dei vertici federali. A cominciare dal presidente Abete, l´uomo che ha recentemente messo la firma sul rinnovo dell´incarico dello stesso Palazzi. Un groviglio in cui giudicati e giudicanti sono inevitabilmente vincolati gli uni agli altri, rendendo impossibile un giudizio sereno.

Ma le sentenze della Disciplinare, verranno curate in appello dalla Corte di Giustizia Federale: una giuria storicamente politica che, per questo, appare destinata a evitare ulteriori danni, confermando le sanzioni del primo grado. Un passaggio dovuto in vista del Tnas del Coni, per molti uno "scontificio" attraverso cui conciliare pene al ribasso. Non sorprenderebbe in questo senso una penalizzazione dimezzata per il club e una riduzione a 4 mesi di stop per i calciatori. A lungo si sono chieste pene afflittive per le squadre, ma cosa direbbero Torino e Samp, costrette a patteggiare per lo stesso trattamento? Il Napoli, come tutte le altre, sarà anche parte lesa, ma non fino a quando le regole non cambieranno. Ma la situazione rischia di creare il precedente per repliche nei nuovi processi di primavera. Quelli che dovranno chiudere - a livello sportivo - la pagina rimasta aperta su Mauri, la Lazio, il Genoa, Milanetto, forse anche Sculli.

Intanto il magma dello scandalo continua a muoversi: l´Interpol fatica a venirne a capo, gli indagati principe sono latitanti, le procure devono continuare a chiedere proroghe sui tempi dopo 24 mesi di indagini. Mentre giocatori coinvolti giocano regolarmente ogni domenica. E la giustizia sportiva li guarda impotente.

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Mezza Serie A al tavolo di mister X

Gli investigatori puntano sulla pista più importante dell'inchiesta. In arrivo «sviluppi clamorosi»?

di FRANCESCO CENITI (GaSport 14-12-2012)

«Alcune cose sono state scoperte, ma ci saranno altri fatti che porteranno a risposte, se possibile, ancora più clamorose». Così parlava due mesi fa Antonio Manganelli, capo della Polizia. Quelle frasi misero in preallarme le redazioni. Sembravano una «chiamata» precisa, ma poi nell'immediato non era accaduto nulla. Silenzio assoluto fino al 26 novembre quando Almir Gegic, latitante da 18 mesi e considerato il numero 2 degli «Zingari», si è costituito alle autorità. Prima di farlo il serbo aveva concesso un'intervista alla Ġazzetta, svelando l'esistenza di un mister X: «Tratta solo partite di Serie A, ha contatti con dirigenti, tecnici e giocatori. Vuole 600 mila euro e svela gli Over mezz'ora prima delle sfide combinate. Per noi erano troppi soldi». Ecco, gli «sviluppi clamorosi» accennati da Manganelli forse non erano riferiti all'arrivo di Gegic: perché inseguendo la persona che «sussurrava i tarocchi» in un albergo di Milano gli inquirenti avrebbero imboccato la pista più importante da quando è iniziata l'inchiesta.

Il meridionale Chi indaga ha in mano un identikit (fatto da Gegic), ma anche un nome e cognome. Prima di ascoltare il serbo la convinzione era che mister X fosse una persona sola. Negli ultimi giorni la linea è cambiata: sarebbero due, ma lavorerebbero insieme. Gli inquirenti hanno stretto il cerchio fino a individuare un sospetto: un sessantenne meridionale (calabrese o siciliano), noto negli ambienti calcistici. Gestirebbe le «informazioni» per poi rivenderle a gruppi di scommettitori che si rivolgevano a lui in modo sistematico. E gli investigatori sono convinti che la filiera porterebbe dritti a dirigenti importanti (anche presidenti), oltre ai giocatori: «Molta Serie A», svela chi sta seguendo il caso. Se a questo aggiungiamo il possibile legame con la cellula toscana, milanese e romana dedita alle puntate illegali, si capisce perché saremmo davvero vicini «agli sviluppi clamorosi» annunciati da Manganelli. Le prossime settimane saranno decisive. Poi toccherà al pm Roberto di Martino tirare le fila. Insomma, dopo le feste Cremona potrebbe ritornare a essere l'ombelico del mondo sul versante calcioscommesse.

Abete Un problema in più per la traballante giustizia sportiva che sta gestendo gli attuali processi con tempi e modi completamenti diversi (alimentando sospetti e critiche). Oramai il caos è totale e l'ultima puntata (il processo al Napoli) ha confermato questa tendenza con il procuratore Palazzi ancora una volta «sconfessato» dalla Disciplinare sul patteggiamento di Gianello e con i giudici che potrebbero andare oltre le richieste fatte dall'accusa. Sarà anche per questa ragione che Giancarlo Abete, presidente della Figc, ieri ha ricordato: «A bocce ferme, conclusi i processi, servirà una riflessione sulla responsabilità oggettiva che comunque è un caposaldo anche per Uefa e Fifa. Si tratta di completare questo iter poi lavoreremo alla riforma della giustizia sportiva».

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HOWLER Magazine | ISSUE.01 | Fall 2012

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Modificato da Ghost Dog

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x i mod: mi permetto di proporre di mettere un'immagine della sfinter come avatar di questa sezione del topic ossia " K A L C I O M A R C I O ".....!!!! penso che l'attinenza sia quantomeno appropriata....!!! grazie

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IL CASO

CARO FIGO: HO SBAGLIATO, ME NE SCUSO

di VITTORIO FELTRI (il Giornale 15-12-2012)

Nei giorni scorsi è divampata una polemica, che ha avuto vasta eco sui mass media, circa la spinosa questione dei gatti randagi che vivono in numerose colonie a Roma, tra le rovine imperiali. Se ne stanno lì da secoli, non disturbano nessuno e hanno fatto la gioia di generazioni e generazioni di gattare, sempre pronte a nutrirli con gli avanzi di cucina (un tempo) e con il cibo per i felini (ora) acquistabile in ogni supermercato. All’im­provviso la quieta esistenza di questi animali meravigliosi è stata turbata dall’iniziativa di alcuni personaggi, i quali sostengono che i gatti devono sloggiare, specialmente da piazza Ar­gentina, perché sarebbero portatori di chissà quali malattie. Cosa non ve­ra, ma a cui molti in buona fede han­no creduto, sollecitando le autorità cittadine a dare il via al repulisti. L’igiene, anzitutto. In nome della quale è partita una campagna degna di migliore causa.

Naturalmente non sono obiettivo. Quando si parla male dei mici, che amo morbosamente (lo riconosco) , perdo la testa. Mi è successo tante volte di perderla. In una circostanza, poi, oltre al senno ho perso anche la prudenza necessaria nel mio mestiere onde evitare errori clamorosi. La storia merita di essere raccontata. Nel 2008 un mio collaboratore assai addentro alle vicende calcistiche, mi riferì che ad Appiano Gentile (santuario dell’Inter) un gatto nero, solito ad acquattarsi lungo i bordi dei campi di allenamento, era stato volontariamente travolto con l’automobile da un famoso calciatore, Luis Figo, campionissimo portoghese, vincitore di tutto (scudetti in Spagna con il Barcellona e il Real Madrid e, in Italia, con i nerazzurri di Moratti).

Motivo: la bestiola, dato il colore del suo pelo, avrebbe portato sfiga. L’episodio, narratomi con particolari atroci che vi risparmio, mi colpì a tal punto da indurmi a scrivere un articolo di duro rimprovero per il presunto investitore. Presunto lo dico adesso, e più avanti spiego perché, ma all’epoca (dirigevo Libero) ero certo che si trattasse di Figo, in quanto chi mi aveva riferito del «delitto» era al di sopra di ogni sospetto. Insomma, nel ricostruire il fatto, non usai una sola espressione dubitativa, essendomi fidato ciecamente dell’informatore, di cui non faccio il nome per carità di patria. In altri termini, da gattolico praticante quale ero (e sono rimasto), mi scagliai contro il formidabile attaccante, autentica bandiera della rappresentativa del Portogallo, accusandolo di gatticidio, un’infamia.

Devo aggiungere, in omaggio alla verità, che in effetti gatticidio fu. Ma non volontario, bensì accidentale. E questo è ancora niente a confronto di ciò che sto per dirvi: al volante della vettura che travolse la sfortunata bestiola non c’era Luis Figo, contrariamente a quanto aveva asserito il mio confidente, bensì un ragazzotto che non si era avveduto della presenza felina. L’ho scoperto solo una settimana fa, quando, a cena con amici, uno dei commensali ha tirato fuori l’argomento e mi ha dimostrato che il calciatore, da me ingiustamente incriminato, era innocente poiché nella circostanza non si trovava ad Appiano Gentile. Non poteva esserci essendo impegnato con la nazionale del suo Paese.

M’è venuto un tuffo al cuore per due ragioni: un rinnovato dispiacere per il gatto stritolato dalle ruote e il dolore per aver attribuito a Figo ciò che questi non si era neppure sognato di fare. C’è di più. L’ex campione, ora dirigente dell’Inter, ha tre figli che adorano i micetti di ogni colore, nero compreso, con i quali, per colpa mia, probabilmente (magari soltanto per un minuto) non avrà fatto una bella figura.

Mi corre l’obbligo di fare ammenda. Ho una sola attenuante e la invoco: non tanto la fiducia che avevo nel collaboratore rivelatosi ingannatore, ma il mio desiderio di sfatare la balla dei gatti neri iettatori. Purtroppo, accade talora che una balla tiri l’altra. In questo caso la frottola ha danneggiato una persona perbene quale Luis Figo, al quale pertanto rivolgo pubblicamente le mie scuse nella speranza che le accetti.

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Le tappe della crescita Nick Hornby con la «Febbre a 90˚»

ha aperto la strada. La passione sportiva rinsalda i legami

Allo stadio con mio figlio

Qual è l'età giusta per la prima partita? Storie di padri e «complicità ritrovate»

di ROBERTO RIZZO (CorSera 15-12-2012)

Qual è l'età giusta per portare, per la prima volta, un bambino allo stadio? Da papà di un maschio di 6 anni e da tifoso interista è una delle tante domande che mi sono posto e mi pongo su mio figlio Riccardo. Nel progetto educativo di un padre tifoso rientra anche il naturale desiderio di trasmettere all'erede maschio la fede calcistica (per la mia amatissima primogenita Vittoria invece non ho questo genere di aspettative). Obiettivo tutt'altro che scontato: capita che il figlio non si appassioni al calcio oppure che si innamori della squadra sbagliata. Per dire, e se diventa milanista? Non ho appeso coccarde nerazzurre fuori dalla sala parto, mai regalato pigiamini a tema, fino ad oggi solo una maglietta che ora gli va pure piccola. Per il resto un blando lavaggio del cervello su ciò che è bene e ciò che è male: l'Inter è il bene, il resto il male. Avrei aspettato ancora un paio d'anni (8, l'età giusta?) per portare Riccardo a San Siro. Anche un'altra stagione, magari tarda primavera, clima mite, una tranquilla partita di fine campionato. Invece l'occasione si è presentata qualche settimana fa sotto forma di due biglietti omaggio per Inter-Cagliari in programma la domenica alle 15 (a 6 anni, d'inverno, non lo porterei mai di sera). Ho chiesto a Riccardo se voleva venire con me, lui ha accettato subito con entusiasmo e per «fare una cosa tra maschi».

Più che il primo bacio, per tutta la vita il tifoso ricorda la prima partita vista allo stadio. Ecco perché il tifoso-padre vive con una certa ansia da prestazione quest'altra prima volta: è uno di quei giorni che rimangono per sempre tra padre e figlio. In «Febbre a 90°», il più bel libro mai scritto sul tifo per una squadra di calcio, Nick Hornby racconta come, lui undicenne nell'Inghilterra del '68, a scuola unico della classe ad avere genitori separati, recuperò il rapporto con suo papà grazie all'Arsenal e all'andare insieme alla partita: «Il campo dell'Arsenal sarebbe diventato il nostro giardino». Antonio Nicaso, 48 anni, scrittore e docente al Middlebury College del Vermont, è uno dei massimi studiosi mondiali di mafie, autore di libri sull'argomento con il magistrato Nicola Gratteri. Nicaso è anche uno sfegatato tifoso del Milan: «Grazie al calcio io e mio figlio Massimo, 11 anni, ci siamo avvicinati parecchio, siamo diventati complici». Nicaso vive a Toronto, in Canada, dal 1990. Nel luglio del 2009 il Milan è andato negli Stati Uniti per una tournée estiva: «Ho portato Massimo allo stadio, quando sarebbe ricapitato? Di quella partita conserva ancora oggi il biglietto nel suo diario. Adesso, quando sono in giro per il mondo e gioca il Milan, mi fa la cronaca delle partite via email. Per lui il soccer era solo quello della Playstation ora è una passione. Il calcio fa sognare ed è bello vedere un ragazzo sognare con il padre».

Per Mario De Rosa, 41 anni, agente di commercio, il Napoli è una religione: «Mio figlio Francesco, tre anni, è ancora piccolino, ma ci sto già pensando. Vorrei iniziarlo l'anno prossimo». De Rosa, in attesa di Francesco, ha già iniziato il nipote Giovanni. «Aveva 4 anni e stava diventando milanista. Siccome mia sorella e mio cognato non sono tifosi, appena mi hanno dato il permesso ho sventato la minaccia. L'ho portato a vedere Napoli-Frosinone di Serie C. Era emozionato e confuso, ma è andata bene. Ha cambiato le sue simpatie calcistiche».

Gianluca Arcuri, architetto, 46 anni, tifoso della Juventus racconta: «La prima volta che ho portato mio figlio Matteo allo stadio era un Milan-Juve del 2008. Ricordo la sua fatica gioiosa nel percorrere la spirale infinita delle torri di San Siro. E la sua faccia nel momento in cui finalmente si è trovato sugli spalti, paralizzato con la bocca aperta per trenta lunghissimi secondi. In quell'istante ho capito che anche lui era stato conquistato dalla magia dello stadio, e che da quel momento in poi avremmo avuto per tutta la vita almeno una passione da condividere. Ho sempre pensato che avrei accettato senza problemi qualsiasi sua scelta politica, religiosa, sessuale, mentre mi avrebbe fatto soffrire una sua diversa fede calcistica, che ci avrebbe impedito quella condivisione unica. Per fortuna, siamo due juventini eterni e felici».

Inter-Cagliari è stata la prima volta anche di Maximilian Peter Fiani, 46 anni, partner responsabile della Corporate Finance di Kpmg, e dei suoi tre figli Alexander, 8 anni, Nicholas, 6, e Sebastian 3. «È stato Alexander a chiedermi di portarlo allo stadio. Lui e Nicholas sono inseparabili e non potevamo lasciare a casa il piccolo. Ero emozionato perché sapevo che stavamo vivendo un momento storico delle nostre rispettive vite. E ho provato le stesse sensazioni di quando, bambino, andavo a San Siro con mio padre in metropolitana».

Allo stadio Riccardo ha tifato con entusiasmo, ha seguito tutta la partita e mi ha spiegato che se in barriera metti anche due giocatori sdraiati per terra, come fanno lui e i suoi amici quando giocano a calcio, proteggi meglio il portiere. Inter-Cagliari è finita 2-2 e mio figlio mi ha chiesto quando torneremo a San Siro.

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L’inchiesta Un arresto, l’indagine potrebbe allargarsi ad «eccellenti»

Videosorveglianza allo stadio

San Paolo, ecco chi boicottava

Ritrovate le apparecchiature rubate

e spuntano intrecci e manovre di ditte

di TITTI BENEDUCE (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 15-12-2012)

NAPOLI — Per ora ci sono due ordinanze di custodia cautelare per ricettazione: presto però l'inchiesta sul sabotaggio dell'impianto di videosorveglianza dello stadio San Paolo potrebbe allargarsi e coinvolgere dirigenti del Comune e del Calcio Napoli. Una parte delle attrezzature elettroniche rubate nei mesi scorsi nella sede dell'azienda che aveva realizzato il nuovo, sofisticato impianto è stata recuperata dagli agenti della Digos, coordinati dal vicequestore Filippo Bonfiglio: era stata messa in vendita su Ebay. Due le persone che ce le avevano: Vincenzo Fasano, che è stato arrestato, e Giovanni R., che è irreperibile. Nei loro confronti il gip Luigi Giordano ha emesso un'ordinanza di custodia cautelare, accogliendo la richiesta del pool di pm che indagano sullo stadio (Antonello Ardituro, Stefano Capuano, Danilo De Simone e Vincenzo Ranieri, coordinati dall'aggiunto Giovanni Melillo). Il furto delle apparecchiature — macchine fotografiche, videocamere e obiettivi — è avvenuto a Cercola, nella sede del centro assistenza Canon per il Sud Italia. Ma non è stato un furto qualunque, ipotizzano gli inquirenti: o meglio, i ladri non avevano solo l'obiettivo di impadronirsi di marteriale che valeva 350.000 euro. L'obiettivo principale era boicottare il titolare del centro assistenza Canon, l'ingegner Stefano Nasti, che si era aggiudicato l'appalto per il nuovo impianto di videosorveglianza. Un impianto modernissimo, sofisticato, rispondente in tutto e per tutto alle esigenze prospettate dalla Digos. Un impianto costosissimo, che se fosse entrato in funzione avrebbe consentito di vedere da grande distanza i volti dei facinorosi e di comparare senza difficoltà i fotogrammi con le fotografie. Un impianto che però è stato danneggiato a più riprese: qualcuno, che sapeva benissimo come muoversi all'interno del San Paolo, ha tagliato con mano esperta i cavi dei «totem»; da circa un anno, dunque, l'impianto non funziona. L'attenzione degli inquirenti si sofferma soprattutto sulla ditta che — senza essersi aggiudicata alcun appalto — ha curato per anni la manutenzione dell'impianto di sorveglianza pur senza possederne i requisiti. I titolari, padre e figlio, quando si è deciso di realizzare un impianto più moderno hanno cercato in tutti i modi di accaparrarsi l'affare, chiedendo (e ottenendo) l'appoggio di un dirigente comunale e di uno del Calcio Napoli. Hanno anche tentato di avvicinare Nasti, che però si è rifiutato di associarsi con loro. Uno scenario preoccupante, come sottolinea il gip nella misura; ma preoccupante è anche, più in generale, la gestione dello stadio: il San Paolo è «un luogo ben lontano dall'essere gestito nel rispetto di regole e forme. Si ricorderanno alcuni episodi eclatanti, come la presenza del boss Antonio Lo Russo a bordo campo durante un Napoli — Parma, l'assoluta illiceità della gestione delle curve da parte dei tifosi organizzati, le difficoltà di una regolare e disciplinata vendita di biglietti per le partite europee e così via». Per il gip, a ciò si deve aggiungere «una irregolarità gestionale con riferimento alle imprese deputate alla manutenzione» nonchè «la generale anomalia del rapporto contrattuale e della sua esecuzione fra il Comune di Napoli ed il Napoli Calcio, vicenda che trova il suo luogo di compensazione nelle periodiche transazioni in ordine al pagamento del fitto dello stadio da parte del Napoli Calcio».

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San Paolo, l’inchiesta L’impianto di videosorveglianza smontato

e rivenduto su eBay: preso uno dei ricettatori, latitante il socio

Stadio colabrodo,

guerra per gli appalti

Indagini sui sabotaggi mirati contro l’imprenditore che gestisce le telecamere

La pista Sotto la lente della Procura l’azienda che ha guidato fino al 2010 il sistema dei controlli

di LEANDRO DEL GAUDIO (IL MATTINO 15-12-2012)

C’è un giudice del Tribunale di Napoli che non ha dubbi: «Il San Paolo è un luogo ben lontano dall’essere gestito nel rispetto di regole e forme, come insegnano la storia del boss Antonio Lo Russo a bordo campo durante la partita Parma-Napoli, ma anche quanto avviene nelle curve per opera del tifo organizzato e la difficoltà di una regolare e disciplinata vendita di biglietti per le partite europee».

Che storia è questa? Cosa spinge il gip Luigi Giordano a puntare l’indice sulla gestione dello stadio cittadino? Si parte dall’arresto di Vincenzo Fasano, accusato di ricettazione di sofisticate apparecchiature di ripresa e si scopre uno sfondo di continui atti di sabotaggio all’interno del San Paolo e a danno di un imprenditore che aveva vinto un regolare appalto per piazzare un nuovo sistema di videosorveglianza nella struttura di Fuorigrotta. Partiamo dal dato di cronaca: agli arresti finisce il 45enne Fasano (latitante il suo presunto socio), sotto accusa per ricettazione di alcune telecamere rubate da uno studio di un ingegnere di Cercola (centro assistenza della Canon Italia), a sua volta titolare di un importante appalto per la videosorveglianza dello stadio.

È da questo arresto, che la Digos del primo dirigente Filippo Bonfiglio risale a una possibile (anche se al momento non accertata) pressione contro un imprenditore che dal 2010 gestisce il «grande fratello» interno agli spalti. Si chiama Stefano Nasti, la sua denuncia è decisiva per instradare i pm sull’ipotesi di sabataggi mirati, su una possibile guerra sporca per accaparrarsi appalti e zone d’influenza nello stadio partenopeo. Stando a quanto emerso finora, qualcuno le ha provato tutte per impedirgli di dotare il San Paolo di un sistema di controllo all’altezza delle esigenze, per spegnere la luce su episodi di violenza, traffici illegali di biglietti, ma anche di sostanze stupefacenti. Fatto sta che da quando nel 2010 Nasti subentra a una precedente ditta, subisce una serie di danni mirati: prima qualcuno, per ben due volte, taglia i cavi della nuova videosorveglianza del San Paolo, poi Nasti subisce il furto di apparecchi per 350mila euro nei suoi uffici di Cercola. Nasti non ci sta e denuncia tutto, a partire da un’offerta «indiretta e ambigua» del vecchio monopolista della videosorveglianza al San Paolo, che gli aveva proposto di raggiungere un accordo privato per non essere del tutto estromesso dall’affare videosorveglianza. È così che l’attenzione della Procura si focalizza su Nicola Liscio, fino al 2010 monopolista del «grande fratello» interno al San Paolo: ha potuto gestire per anni gli impianti di videosorveglianza - si legge negli atti di indagine -, grazie a contatti con dirigenti del Comune ora più che mai sotto osservazione. Non risulta indagato in questa storia di presunti sabotaggi o delle telecamere rubate - è bene chiarirlo -, ma alcune sue intercettazioni ricorrono nell’ordine di arresto a carico di Fasano. È così che, parlando con un consulente del Calcio Napoli, Liscio si mostrava preoccupato per la mancanza di documentazione richiesta dal Comune: «Vogliono sapere se noi siamo idonei per lavorare con loro. Vogliono tutte le certificazioni e non le teniamo». Quindi chiarisce di quali certificati non sono in possesso: «Vogliono il Durc (documento unico di regolarità contributiva, ndr) non lo teniamo... niente... nominativo corso... non teniamo niente noi... corso... nomina del medico... pure il medico... visite mediche... corso di formazione... non teniamo niente qua noi... il corso addetto primo soccorso... corso di formazione». Poi il gip si sofferma negli atti di sabotaggio subiti da Nasti: il primo risale al 26 ottobre del 2011, dopo circa un mese dalla consegna formale dell’impianto da parte dell’ingegner Stefano Nasti al Comune di Napoli. Il secondo episodio è avvenuto invece l’11 gennaio 2012, ossia dopo circa 20 giorni dallo stanziamento da parte del Comune della somma di 4,2 milioni di euro destinata alla realizzazione di un impianto di videosorveglianza digitale a copertura della curve A e B dello stadio San Paolo. Indagini coordinate dall’aggiunto Giovanni Melillo e dai pm Antonello Ardituro, Danilo De Simone, Stefano Capuano e Vincenzo Ranieri, quanto basta per immaginare approfondimenti su contratti e contiguità tra imprenditori, pubblici ufficiali e il sottobosco di affari milionari che ruota attorno alla passione azzurra.

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Il caso

Sviluppi nell’inchiesta Digos: arrestati due ricettatori per il furto di un’apparecchiatura fotografica

San Paolo, sospetti di sabotaggio

del sistema di videosorveglianza

L’accusa del gip “Impianto non gestito nel pieno rispetto delle regole”

Accertamenti sulla vecchia ditta che gestiva la rete di telecamere

di IRENE DE ARCANGELIS (la Repubblica - Napoli 15-12-2012)

La macchina fotografica rubata finisce su Ebay. È solo un pezzo di un grosso bottino. Il commerciante che ha subito il furto ha infatti ricevuto un danno di 350 mila euro e non è assicurato. Ma non si tratta di una storia di ladruncoli qualsiasi, perché la vittima è anche l’imprenditore che ha ideato e vinto la gara per la videosorveglianza allo stadio San Paolo. Ha proposto un sistema digitale di ultima generazione al servizio delle forze dell’ordine per combattere le violenze connesse al mondo del calcio. Così quella macchina fotografica su Ebay permette di risalire ai due ricettatori della merce rubata, ma soprattutto apre un vasto fronte di indagine sul San Paolo e sulle persone coinvolte — imprenditori, pubblici amministratori e anche collaboratori della società Calcio Napoli — nella gestione della sicurezza dell’impianto. Vicenda che, peraltro, riguarda anche alcuni danneggiamenti causati alle apparecchiature del nuovo sistema di videosorveglianza.

Ieri la chiusura della prima tranche dell’inchiesta grazie all’accurato lavoro di poliziotti della Digos diretti dal vicequestore Filippo Bonfiglio. Il gip Luigi Giordano ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari per due ricettatori. Si tratta di Vincenzo Fasano, 55 anni, e di un’altra persona al momento introvabile. Scrive il gip: «Si tratta di una situazione caratterizzata da irregolarità formali e gestionali. Lo stadio San Paolo è un luogo ben lontano dall’essere gestito nel rispetto delle regole. Si ricorderanno episodi eclatanti, come la presenza del boss Antonio Lo Russo a bordo campo, l’assoluta illiceità della gestione delle curve da parte dei tifosi organizzati, la difficoltà di una regolare e disciplinata vendita di biglietti per le partite europee».

Stagione calcistica 2010-2011: entra in funzione il nuovo sistema di videosorveglianza. Si chiama Kimera, l’ha ideato l’ingegner Stefano Nasti. È all’avanguardia, le foto digitali ad altissima definizione consentono le comparazioni fisiognomiche di chi viene ripreso. Proprio quello di cui avevano bisogno le forze dell’ordine. Un progetto scelto perché quello precedente, analogico, è obsoleto. Nel dicembre 2011, prima dell’incontro di calcio Napoli-Roma, l’ingegnere denuncia i danni subiti da uno dei totem piazzati all’interno dello stadio, contenitori delle apparecchiature base del sistema. Meno di un mese dopo nuovo episodio di danneggiamento, stavolta è un caso grave, si blocca la sala regia. Dunque viene ripristinato il vecchio sistema di videosorveglianza. Ma contestualmente l’imprenditore subisce due furti nella sede della sua attività a Cercola con un grave danno economico. Poi scopre che una macchina fotografica che gli è stata rubata è finita in vendita su Ebay e avverte la polizia. In breve si risale ai due ricettatori, ma intanto gli accertamenti della Digos propongono alla Procura — con pieno accoglimento del gip — un quadro pieno di ombre e nebbie sulla gestione dello stadio. A cominciare dai rapporti della vecchia ditta che gestiva la videosorveglianza. Senza documentazione necessaria all’appalto ma con «un ruolo pressoché monopolistico nella gestione del sistema di videosorveglianza al San Paolo». Grazie anche e soprattutto ai rapporti con un dirigente del Comune e l’intermediazione di un collaboratore della società Calcio Napoli.

Modificato da Ghost Dog

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La storia La «Copa Sudamericana», tra armi, botte e minacce, crea problemi al Paese che ospiterà i Mondiali

Dopo le pistole,

il Brasile finisce sotto processo

di FEDERICO PISTONE (CorSera 15-12-2012)

Per assegnare i trofei spesso non bastano 90 minuti. In Brasile tagliano corto: in tre quarti d'ora il Sao Paulo si è preso la Copa Sudamericana, equivalente alla nostra Europa League (la Champions vale la Libertadores, per intenderci). Un dettaglio: gli avversari argentini del Tigre, sotto di due gol, non si sono presentati alla ripresa perché, giurano, minacciati e malmenati dalla polizia brasiliana negli spogliatoi del Morumbi: «Ci hanno puntato le pistole addosso», ha detto l'allenatore Gorosito e tre giocatori sono stati medicati per ferite.

La federcalcio sudamericana ha garantito che «indagherà per chiarire la situazione e applicare eventuali sanzioni». «Tutta scena, solo manifesta inferiorità», rispondono i brasiliani, ricacciando le accuse che fanno barcollare la credibilità dei prossimi campionati del mondo in patria e rievocando eventi storici vagamente analoghi. Come quando, il 3 settembre 1989, il Cile tentò la scorciatoia per Italia 90 proprio ai danni del Brasile, in vantaggio al Maracanà con Careca. Il portiere cileno Roberto Rojas finge di essere stato colpito da un petardo e, portandosi le mani in faccia, fa scattare una piccola lama nascosta nei guantoni e giù sangue. Compagni e staff sanitario completano l'opera, cospargendolo di sugo di pomodoro. Per il Brasile si prospetta la sconfitta a tavolino poi la messinscena viene smascherata, Rojas squalificato a vita e la nazionale per 8 anni.

Il calcio sudamericano è ricco di episodi. A partire dalla «battaglia di Santiago» del 2 giugno 1962 tra Cile e Italia: i padroni di casa, imbufaliti con la stampa italiana per le ingenerose descrizioni della realtà cilena, vincono 2-0 grazie all'arbitro inglese Aston che lascia picchiare la squadra di Toro (Maschio finisce col naso rotto) ed espelle pure due azzurri. Nel settembre 1964 l'Inter gioca la finale d'andata della Coppa Intercontinentale all'Avellaneda di Buenos Aires contro l'Independiente. Mazzola ricorda: «Del nostro pullman non restò un vetro integro. E i due poliziotti che ci scortavano cominciarono a sparare dicendo: qui più ne ammazzi più fai carriera». Stesso copione l'anno successivo, con Peirò centrato sotto l'occhio con una fionda durante gli inni. Il 22 ottobre 1969 tocca al Milan: nel ritorno dell'Intercontinentale in Argentina con l'Estudiantes, viene accolto da caffè bollente gettato dagli spalti e da un tiro incrociato di pallonate da parte degli avversari all'ingresso in campo. Poi solo botte: un pugno di Poletti spacca naso e zigomo a Combin, considerato un «disertore». Per il franco-argentino alla fine anche l'arresto: «Deve compiere il suo dovere di militare in Argentina».

Prima, in giugno, Honduras e Salvador erano entrate addirittura in guerra per motivi... calcistici legati alla qualificazione ai Mondiali del Messico 70. Nel '94 il difensore colombiano Escobar è «giustiziato» a Medellin per l'autogol che provoca l'eliminazione dal mondiale italiano.

Le violenze non si sono mai fermate, soprattutto in Brasile e Argentina: nella Pasqua 2003 un tifoso del Newell's viene sgozzato da un ultrà del River Plate. Nel luglio 2002 a Porto Alegre scoppia una guerra civile, con diversi morti, per un rigore fatto ribattere al Gremio e la conseguente eliminazione dalla Libertadores. Nel febbraio 2009, ancora al Morumbì, bombe e 60 feriti durante Sao Paulo-Corinthians. Il Brasile ha un anno e mezzo per dimostrare di essere il posto giusto dove giocare un Mondiale.

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Vallette

Il borgo si ribella ai tifosi-vandali

“Rifiuti e disagi a ogni partita”

Protesta attorno allo Juve Stadium. La Circoscrizione chiede più controlli

SUMMIT CON CLUB E VIGILI La Cinque invoca più attenzione alla pulizia e nuovi bagni pubblici

10 euro È il costo del parcheggio attorno allo stadio durante le partite, nelle aree controllate dagli steward. Nel territorio di Venaria invece il prezzo è di 8 euro

di PAOLO COCCORESE (LA STAMPA 15-12-2012)

A ogni partita, il copione è sempre lo stesso. Nello Juventus Stadium novanta minuti di passione. Fuori, nelle strade circostanti, un quartiere costretto a convivere con i disagi dovuti all’invasione di migliaia di tifosi. Auto e pullman parcheggiati in modo selvaggio. Cortili e giardinetti trasformati in toilette. Marciapiedi e muretti invasi dall’immondizia. Alle Vallette si moltiplicano le lamentale dei residenti che abitano a ridosso del nuovo stadio. E domani pomeriggio si gioca Juventus-Atalanta.

I parcheggi

Partita di campionato o sfida di Coppa, il problema dei parcheggi fuorilegge è sempre lo stesso. Sono numerosi i tifosi che, pur di evitare di pagare la sosta nelle aree riservate - e per evitare lunghe camminate -, abbandonano l’auto negli spazi vietati. Le aree più apprezzate? I prati all’inglese del parco della Cascina Maletta, i marciapiedi verso viale dei Mughetti, i cortili e gli accessi carrai dei palazzi delle Vallette. Ma il «premio del migliore in campo» va agli autisti dei bus di tifosi che ogni volta, in barba al codice della strada, parcheggiano i loro bestioni in corso Grosseto. Non nel controviale, ma oltre lo spartitraffico nella carreggiata centrale, moltiplicando il rischio di incidenti.

Toilette e rifiuti

Altra forma di maleducazione, ma altrettanto fastidiosa per i residenti, è dovuta all’assenza di bagni pubblici intorno allo stadio. Scesi dai pullman, i tifosi fanno i loro bisogni lungo i cancelli dei condomini, agli angoli dei marciapiedi, dietro gli alberi. Un carosello che si ripete in corso Molise e in corso Grosseto. «Uno spettacolo indecoroso - dicono alcuni residenti -. Ogni settimana si sfiora la rissa. I tifosi fanno quello che vogliono e, se li richiami, ti insultano».

Poi, c’è il problema dei rifiuti. Per chi abita in corso Grosseto, in via Druento, corso Molise è quasi normale trovare le cartacce e la fila di bottiglie di vetro lungo i marciapiedi. Scene da quartieri della movida, anche se le Vallette non sono San Salvario. Amiat assicura dei servizi di pulizia aggiuntivi dopo ogni partita, ma spesso non si riesce a ripulire le strade limitrofe allo Stadium.

La Juve e la municipale

Nei mesi scorsi c’è stata una riunione richiesta dalla Circoscrizione 5 con i dirigenti della Juve e i vigili. «Alla società abbiamo chiesto di inviare una comunicazione ai club per chiedere di parcheggiare nelle aree riservate e non in corso Grosseto», dice Rocco Florio, coordinatore alla Viabilità. Lungo corso Scirea e via Traves è stata risistemata l’area di sosta destinata ai bus. Mentre ai vigili sono stati richiesti maggiori controlli. Ancora da risolvere gli altri problemi.

«Chiederemo più attenzione per la pulizia, mentre la Juve potrebbe aiutarci installando dei bagni anche fuori dallo stadio», dice il presidente della Cinque, Paola Bragantini. Ipotesi, quest’ultima, di difficile realizzazione, dal momento che la competenza del club si limita all’area dell’impianto. Mentre Pasquale Valente, consigliere provinciale Pd, è più inflessibile: «Spostando alcuni steward, in collegamento con le forze dell’ordine, si aumenterebbero i controlli. In questo modo si eviterebbero le scene maleducate che a ogni partita si verificano lungo corso Grosseto».

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IL CONSIGLIO FEDERALE

Abete si candida

e probabilmente

correrà da solo

Gravina-Macalli sfida in Lega Pro. E Abodi contende a Beretta la guida della Lega di A

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 15-12-2012)

Il prossimo 14 gennaio Giancarlo Abete sarà ai nastri di partenza nella corsa per la presidenza federale. «Ho dato la mia disponibilità» , ha detto in conferenza stampa. L’ultimo Consiglio Federale è stata l’occasione per comunicare a tutte le componenti che a questo punto ritiene di poter concorrere per una poltrona che occupa ormai dall’aprile del 2007. Il quadro delle candidature si va chiarendo anche perché nel giro di un mese il calcio provvederà a rinnovare gli incarichi. Ieri, come previsto, Andrea Abodi ha ufficializzato le dimissioni: «Più che un atto dovuto, un atto di rispetto e di responsabilità verso le società e le relative proprietà con le quali ho compiuto un percorso che ha dato nuova dignità alla Lega Serie B». Anche lui si è detto disponibile a «emigrare» al vertice della Lega di A se l'assemblea (fissata per il 20 dicembre) gli darà quattordici voti (l'altro candidato è Maurizio Beretta).

Lega Pro e Dilettanti provvederanno a eleggere i presidenti lunedì prossimo. Nella Lega Pro Gabriele Gravina contenderà la poltrona al leader uscente, Mario Macalli. Nella Dilettanti, invece, Carlo Tavecchio ha la sicurezza della rielezione visto che non vi sono altri candidati. Le maggiori preoccupazioni riguardano la Lega di A perché a via Rosellini per essere eletti è necessaria una maggioranza qualiticata (14 voti). Non è detto che uno dei due contendenti riesca a ottenerli. Ma dato che il 14 gennaio, con l'assemblea federale decade il vecchio Consiglio, si potrebbe creare una situazione imbarazzante. Abete ha fatto sapere che in caso di proroga dell'attuale presidente, Milano non potrebbe invocare analoga proroga per il Consiglio Federale. Conclusione, non avrebbe consiglieri con diritto di voto (al massimo il presidente in prorogatio potrebbe essere invitato come uditore, cosa già accaduta in passato). Senza intoppi verso la presidenza della Figc dovrebbe veleggiare anche Abete, candidato prevedibilmente unico. Quindici giorni prima, cioè il prossimo 30 dicembre, Abete dovrà presentare il programma e le firme. Una componente dovrà provvedere alla designazione (gli allenatori si sono dichiarati disponibili). Ai colleghi del Cf, Abete ha spiegato che ha deciso di compiere il passo perché ha verificato che la sua candidatura viene considerata super partes.

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IL CONSIGLIO FEDERALE

Abete attacca: «Anomalo

il Tnas in questo ruolo»

Botta e risposta con Malagò sulla giustizia sportiva

Lega: Abodi «a disposizione»

di MARCO IARIA & VALERIO PICCIONI (GaSport 15-12-2012)

Giustizia sportiva e assemblea elettiva nel «piatto» del Consiglio federale del calcio tenuto ieri a un mese esatto dalle votazioni.

Abodi c'è Giancarlo Abete parla ancora di «disponibilità alla riconferma, perché la candidatura spetta a una componente». Componenti che stanno per eleggere i loro delegati. Ieri Andrea Abodi ha formalizzato le dimissioni dalla Lega di B («Più che un atto dovuto, un atto di rispetto e di responsabilità verso le società») senza dichiarare l'intenzione di correre per la A il 20 dicembre a Milano ma mettendosi «a disposizione». I sondaggi lo danno a quota 10-12 (servono i sì di 14 club), con Juve, Inter e Roma grandi sponsor e una nutrita pattuglia di incerte, dal Napoli al Chievo. Comunque, per entrare in Consiglio federale, la Lega deve tirar fuori un presidente prima del 14 gennaio.

Sassolini Ieri Abete si è tolto qualche sassolino per rispondere a Giovanni Malagò, candidato alla presidenza del Coni, che ha parlato del caso Napoli a Radio Manà Manà Sport: «Non entro nel merito, ma qui la giustizia sportiva fa 50 pesi e 50 misure». E sulla responsabilità oggettiva: «Ragiono da dirigente: se un atleta a mia insaputa fa qualcosa che non deve fare e mi ritrovo penalizzato, io sono una vittima e oltre al danno ho la beffa». «Ma la responsabilità oggettiva — risponde Abete — è una normativa internazionale! La riforma della giustizia sportiva? Si è deciso di spostarla al 30 giugno per fare un'ulteriore riflessione. Lo so io e lo sa Malagò: abbiamo votato insieme in Giunta Coni».

Tnas «anomalo» Poi Abete parte all'attacco del Tnas, il Tribunale Arbitrale, lo «scontificio». «Tre gradi di giudizio non ce li ha nemmeno il Paese: la Cassazione interviene solo sulla legittimità. È davvero anomalo il fatto che la Figc, per i primi due gradi, ha un ruolo asettico, poi diventa parte in causa». Cioè: caro Coni, non torniamo indietro sul passaggio da tre a due gradi di giudizio. Infine ieri è stato firmato l'atto costitutivo del Fondo di solidarietà per calciatori, allenatori e preparatori atletici, tra Aic, Lega di B e Lega Pro. Sostituisce il Fondo di garanzia.

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Lega di serie A Elezioni il 20 dicembre. E Abete si ricandida per la Federcalcio

Juventus, Inter e Roma spingono Abodi

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 15-12-2012)

La linea del traguardo è fissata al 14 gennaio, quando la Figc eleggerà il nuovo consiglio federale (Abete è pronto a ricandidarsi). Entro quella data la Lega di serie A, ha spiegato il presidente della Figc Abete, «deve eleggere il proprio presidente, altrimenti verrebbe meno la titolarità alla presenza con diritto di voto nel nuovo consiglio».

Le elezioni del nuovo numero uno della Confindustria del calcio sono fissate per il prossimo 20 dicembre e, sul ring, sale Andrea Abodi, ormai ex presidente della Lega di B, che proprio ieri ha ufficializzato le sue dimissioni, al termine di un percorso assai positivo che, scrive Abodi, «ha dato nuova dignità alla Lega di B, valorizzando la reputazione e il rispetto». Abodi è l’uomo nuovo del calcio italiano. Intraprendente, abile nella comunicazione e nella diplomazia, pur non rinunciando a parlar chiaro quando ce n’è stato bisogno, come nello scottante caso dello scudetto 2006: Abodi fu tra i pochi a sostenere che il Consiglio federale doveva assumersi la responsabilità di una decisione chiara. Abodi però non si è candidato e spiega: «Nello sport non ci si candida ma si viene candidati. Qualcuno lo dica, io sto al mio posto: è un fatto di serietà». Dalla sua parte, una decina di club (il quorum è di 14 voti), tra cui le big Juve, Roma e Inter. Per la riconferma di Beretta, vi sarebbe invece un fronte guidato dal presidente della Lazio Lotito, mentre il Milan spingerebbe per Ezio Maria Simonelli, presidente del collegio dei revisori della Lega di A.

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ABETE SI RICANDIDA IN FIGC

Abodi, addio alla B

Corre per la Lega A

di STEFANO CARINA (TUTTOSPORT 15-12-2012)

ROMA. Tempo di elezioni. Anche il calcio è al bivio: si inizia lunedì con la Lega dilettanti e la Lega Pro. Sarà poi il turno delle leghe di serie A (giovedì, 20 dicembre) e B (alle urne il 28 ma potrebbe slittare) per arrivare al nuovo anno, quando in ballo ci sarà la presidenza della Figc. E se per la lega dilettanti non ci sono dubbi che sarà Tavecchio ad essere confermato (è candidato unico), più difficile decifrare le scalate alla Lega di A (e, di riflesso, di B) e alla Federazione.

DIMISSIONI Partiamo dalla Lega di A. Rassegnando le dimissioni durante il Consiglio Federale tenutosi ieri a Roma, l’ormai ex presidente della Lega di B, Abodi ha confermato la sua candidatura (anzi, il fatto «di mettersi a disposizione») a sostituire Beretta: «Io non mi candido perché nello sport eventualmente si viene candidati, quindi sto al mio posto. Credo sia un fatto di serietà. Certo, non mi dispiacerebbe se qualcuno dovesse fare il mio nome, però una cosa è candidarsi e una cosa è restare a disposizione». Sostenuto da Juventus, Roma e Inter, Abodi è certamente l’opzione che al momento raccoglie i consensi maggiori, potendo contare su una decina di voti (il quorum richiesto alla terza votazione è di 14). Non però l’unica, visto che il Milan ha lanciato la candidatura di Ezio Maria Simonelli, presidente del collegio dei revisori della Lega e il presidente della Lazio, Lotito, è un convinto sostenitore della riconferma di Beretta (che sta portando avanti una strategia “dilatoria”). L’unica certezza è che «il 14 gennaio decade il vecchio Consiglio federale - ha spiegato Abete - e senza una rilegittimazione entro questa data è evidente che non sarà possibile sedere nel nuovo Consiglio federale». Tradotto: entro il 14 bisognerà eleggere il nuovo presidente di Lega. Pena l’esclusione dal consiglio federale.

RICANDIDATURA Ma ieri è stato anche il giorno della «disponibilità a ricandidarsi alla guida della Figc per il quadriennio 2013-16», proprio da parte del presidente Abete: «La disponibilità è ufficiale, la candidatura invece si manifesta come tale nel momento in cui c’è il sostegno delle firme di almeno una delle componenti, come previsto dallo statuto». Qualora arrivasse la conferma lunedì di Macalli (che deve guardarsi da Gravina) alla Lega Pro - storicamente al fianco di Abete - ecco che la disponibilità si tramuterà in candidatura. Se già non lo è ora.

BOTTA E RISPOSTA E un messaggio, Abete, l’ha riservato anche a Giovanni Malagò, candidato al Coni e critico nei confronti della giustizia sportiva («fa 50 pesi e 50 misure») e della responsabilità oggettiva («bisogna fare una profonda analisi»): «La responsabilità oggettiva? è un istituto che esiste nella normativa internazionale di Fifa e Uefa, non solo nell’ambito del calcio italiano. Poi la riforma della giustizia sportiva è già stata varata anche se procrastinata a livello di applicazione al 30 giugno 2013 e Malagò questi principi li conosce perfettamente perché li ha votati in Giunta Coni».

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In arrivo il -2:

giù le mani dal Napoli

Dalle storture della “responsabilità oggettiva” alla sentenza di lunedì

della Disciplinare: perché la società non andrebbe condannata

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 15-12-2012)

L’umore di De Laurentiis sembra sia nerissimo. L’uomo è fumantino ma nel caso in questione ha tutto il diritto di avere più di un nervo per capello. Dopodomani il Napoli potrebbe ritrovarsi con due punti in meno in classifica (Palazzi ne ha chiesto solo uno). Di solito una pena accompagna un reato, soprattutto accompagna una mascalzonata. Ma nel caso in questione non c’è reato, a meno che non si creda ancora a quel reperto archeologico, la responsabilità oggettiva, che se non accantonato andrebbe quantomeno riformato, adeguato al nuovo che avanza e non ripiegato sul vecchio che non arretra.

Due punti perché un terzo portiere (Gianello) che ha visto la porta del San Paolo più in fotografia che dal vivo, essendo stato avvicinato da un maneggione delle scommesse ha provato a convincere i compagni a sistemare un risultato (Samp-Napoli, finita con la sconfitta della squadra di Mazzarri, 1-0) “rimbalzando” su Paolo Cannavaro (e su Grava) che avrebbe potuto completare l’opera denunciando l’approccio e il compagno (ma si sa, negli spogliatoi, l’omertà resiste). E il Napoli? Ha perso sul campo (quindi ha perso già tre punti e alla fine il saldo sarebbe meno cinque), probabilmente non era al corrente di queste manovre di corridoio. Mazzarri che con la Samp non avrebbe accettato di perdere neanche a calcio-balilla visto che la sua uscita da quel club non era stata proprio indolore, può ritrovarsi obbligato a leccarsi le stesse ferite per una seconda volta: riaperte con un bisturi dopo essere state cauterizzate. Domanda: ma che strana giustizia è questa?

RIFORMA - Al Coni e in Federazione quando si parla di riforma della responsabilità oggettiva saltano su come se fossero stati morsi dalla tarantola. «Sacro principio, non si tocca». Oppure: «Architrave del diritto sportivo». In un paese in cui le architravi le segano facendo venire giù la casa dello studente all’Aquila in occasione del terremoto, quella della responsabilità oggettiva, almeno in questa salsa, sembra un muretto divisorio in cartongesso, di quelli che viene giù il terrazzo se provi a inchiodare un quadro. Di cosa è oggettivamente responsabile il Napoli? Di aver perduto una partita? Del fatto che suoi giocatori non hanno accolto l’invito ad «aggiustarla»? Delle debolezze di un terzo portiere che se avesse parato per quanto ha inguaiato la sua vecchia squadra ora il Napoli avrebbe già lo scudetto cucito sulle maglie? Una giustizia così, sinceramente, fatica a esistere anche nel Ruanda dove pure Tutsi e Hutu non sono andati per il sottile. La speranza è che sino a dopodomani la Disciplinare ci ripensi. Ma dovrebbe trattarsi di una speranza infondata: la giustizia sportiva è bravissima a dire il tutto e il contrario di tutto nel giro di un paio di gradi di giudizio; la certezza del diritto è sostituita dall’incertezza delle interpretazioni personali. Dunque, ci sarà un altro giudice, probabilmente a Roma e non a Berlino, che riformerà una sentenza più che ingiusta, totalmente priva di buon senso.

OGGETTIVITA’ - Cerchiamo di essere oggettivi. La legge ordinaria prevede un reato chiamato “frode sportiva”. Sino a quando non esisteva, il diritto sportivo poteva fare quello che riteneva più giusto. Fermo restando che la giustizia di “settore” deve avere un senso etico, è evidente che non può essere totalmente slegata dal reato (o dal tentativo di reato) da punire. In un tribunale normale, la società Napoli non ci andrebbe mai e se qualcuno dovesse decidere di portarla, verrebbe clamorosamente sconfitto nel suo «teorema» accusatorio. Forse, nella ridefinizione della responsabilità oggettiva, i «legislatori» sportivi dovrebbero prendere atto che il quadro di riferimento giuridico è cambiato. Come è cambiata anche la ratio del reato. Quel codice sportivo era stato costruito per impedire le «combine» che puntavano a un vantaggio in classifica. Oggi il problema è un altro: grandi gruppi criminali che organizzano in tutto il mondo un vorticoso giro di scommesse. La classifica non c’entra più, c’entra il guadagno. Ci può essere una saldatura di interessi, ma spesso ci si muove alle spalle dei club. A meno che non si chieda alle società di organizzare agenzie di spionaggio modello Cia, è evidente che molto sfuggirà al loro controllo. Sono temi che meriterebbero qualche riflessione ma il mondo del calcio tende a distrarsi.

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TRA CONI E FIGC

Malagò: Così si rischia di falsare il campionato

Abete: Siamo uniformati alle norme internazionali

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 15-12-2012)

Cambiare la responsabilità oggettiva. Ad aprire il fronte provvede Giovanni Malagò, candidato alla presidenza del Coni (in contrapposizione a Raffaele Pagnozzi). Ma evidentemente qualcosa si è messo in moto nel mondo dello sport. Anche Giancarlo Abete, presidente federale, con grande cautela ammette «che vanno definite le attenuanti per fare in modo che le società virtuose, come accade nei fatti violenti, non vengano trattate come quelle non virtuose». Malagò non ha usato mezzi termini parlando a Radio Manà Manà: «Nella giustizia sportiva esistono cinquanta pesi e cinquanta misure». E ancora: «Emergono elementi inaccettabili, siamo alla fine del girone di andata e viene fuori che due giocatori saranno squalificati e che per il Napoli si prevedono due punti di penalizzazione. Così si falsa il campionato». Quindi un riferimento diretto alla situazione del Napoli: «Se un calciatore a mia insaputa fa qualcosa che non deve fare io mi ritrovo anche penalizzato. Ma io sono la vittima e oltre al danno devo subire anche la beffa». Conclusione: «Sulla responsabilità oggettiva bisogna fare una profonda analisi».

Giancarlo Abete risponde a Malagò ricordandogli che «sulla riforma della giustizia sportiva ha lavorato una commissione che è giunta anche a delle conclusioni ma abbiamo deciso di rinviare tutto a giugno 2013 perché essendo aperte molte vicende, un approfondimento ulteriore era necessario. Ma queste cose Malagò le sa perfettamente perché anche lui come me siede nella giunta del Coni». Poi c’è la questione della responsabilità oggettiva. Sottolinea Abete: «Noi ci uniformiamo a un sistema normativo internazionale e questa fattispecie esiste sia a livello Uefa che a livello Fifa. E’ vero che la questione delle scommesse ha avuto una accelerazione tale che ci ha impedito di introdurre attenuanti a favore dei club virtuosi come avviene nella violenza». Una lacuna, evidentemente, da colmare.

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L’attesa

Tutto il Napoli in ansia per Cannavaro

Domani con il Bologna forse l’ultima del capitano, martedì la sentenza

Gianello cambia versione: una “capriola” che potrebbe favorire il club azzurro

di PASQUALE TINA (la Repubblica - Napoli 15-12-2012)

L’adrenalina della vigilia si accompagna a una sensazione strana che Paolo Cannavaro mai aveva provato. Per la prima volta dovrà preoccuparsi non solo dell’avversario — il Bologna domani — ma anche della sentenza della Disciplinare che potrebbe interrompere bruscamente la stagione. Leader della difesa ma anche un simbolo del Napoli, titolo legittimato da quei pochi centimetri quadrati di stoffa che sono in bella vista sul braccio.

Nessuno gli ha regalato la fascia, l’ha conquistata con sudore e sacrificio. Per un napoletano, del resto, è sempre più difficile imporsi e Cannavaro ci è riuscito superando pure l’ostilità del pubblico che ad un certo punto era diventata insostenibile. Quel pallone lanciato nei Distinti per frustazione, durante Napoli-Torino del 17 maggio 2009, sembrava l’epilogo di un’avventura voluta fortemente dal trentunenne della Loggetta, emigrante di ritorno dopo la cessione al Parma per motivi di bilancio quando era ancora un talento di belle speranze. La sua determinazione ha avuto la meglio e neanche le nubi sul rinnovo del contratto nell’estate 2010 hanno scalfito la voglia di Napoli. Ma stavolta è diverso. L’esito di questa vicenda esula dalla sua volontà. Prima – però – c’è il Bologna. Sarà regolarmente al suo posto con la professionalità di sempre. Al centro tecnico di Castel Volturno il sorriso non gli è mai mancato. Ha la tranquillità di chi non ha fatto nulla e ha dispensato serenità ai compagni.

La gente, nel frattempo, ha già emesso il suo verdetto di assoluzione e il coro «Un capitano, c’è solo un capitano», ascoltato lunedì sera al termine della proiezione del film di De Laurentiis, è stato un segnale inequivocabile da parte di chi si è schierato incondizionatamente al fianco della bandiera azzurra. Il San Paolo si vestirà a festa per tributargli l’ovazione che merita: sarà l’osservato speciale. Lo spogliatoio non ha dubbi. «Cannavaro e Grava sono innocenti. Mi auguro che la verità possa venire a galla», urla Britos. «Siamo più uniti che mai. Siamo arrabbiati ma allo stesso tempo avvertiamo un pizzico di paura perché non vogliamo perdere due giocatori importanti – ha spiegato l’uruguaiano a radio Marte – in una stagione in cui vogliamo essere protagonisti. Siamo alla pari di Inter e Juve». Ma senza il capitano diventa tutto più difficile. Il fischio d’inizio di Valeri domani sera scioglierà comunque il grumo di tensione accumulato in questi giorni. Cannavaro comanderà le operazioni con l’obiettivo di cancellare le amnesie sui calci piazzati mostrate contro i nerazzuri («Abbiamo dormito un po’ troppo in occasione della rete di Guarin», ha ammesso Britos) per rilanciare la rincorsa in classifica che la penalizzazione potrebbe rallentare.

Al termine della partita, infatti, si tornerà con il fiato sospeso e bisognerà aspettare ancora. La sentenza slitterà a martedì. La Disciplinare si pronuncerà sulle richieste di Palazzi: -1 al Napoli in classifica (per casi analoghi la Commissione ha sempre comminato il -2) e 9 mesi di squalifica ai due giocatori per l’omessa denuncia. «Persino 9 secondi sono troppi, quando uno ha la coscienza a posto», ha tuonato il procuratore di entrambi, Gaetano Fedele. La battaglia giudiziaria, dunque, sarà lunga e davanti alla Corte di giustizia federale un assist involontario potrebbe arrivare proprio da Gianello. L’ex portiere – in caso di condanna in primo grado – proverebbe a ribaltare la sua posizione processuale. Negherebbe di aver commesso un illecito cercando di ritagliarsi un ruolo diverso: avrebbe soltanto coadiuvato le intenzioni di Silvio Giusti, suo principale interlocutore telefonico e organizzatore della combine, mai realizzata, relativa a Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010. Il tentativo è ottenere una condanna per la violazione dell’articolo 1 del Codice di Giustizia Sportiva (principi di lealtà, correttezza e probità) e non più per l’articolo 6. L’ipotesi salverebbe sia il club dalla penalizzazione sia i giocatori dalla squalifica. Altrimenti bisognerà correre ai ripari sul mercato, considerando che Aronica è vicinissimo al Palermo. Silvestre e Benatia sono le piste da seguire qualora l’emergenza nel reparto arretrato diventi conclamata. Al momento la priorità si chiama sempre Paolo Cannavaro.

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Martedì arriva il -2 per le scommesse

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 15-12-2012)

ROMA. Le carte sono già a Torino, sul tavolo del presidente della Commissione Disciplinare Sergio Artico. All’interno è contenuta la sentenza di primo grado del filone napoletano del Calcioscommesse: Napoli -2 punti, Cannavaro e Grava 6 mesi di stop. Alla fine sembra aver prevalso la linea dura contro il club, mentre a Gianello dovrebbe venir confermata quasi in toto la richiesta di Palazzi con leggero abbassamento a 3 anni di squalifica. Ballano anche le posizioni di Portogruaro e Crotone e di altri tesserati: Agostinelli, Dei, Giusti e Zamboni. Sentenza e motivazioni dovrebbero uscire martedì. Da quel momento ci saranno 4 giorni di tempo per presentare ricorsi con la palla che passa alla Corte di Giustizia per le date d’appello: tra Natale e Capodanno (27 o 28 dicembre), oppure ai primi del 2013.

E A BARI Da Bari, intanto, la settimana prossima sarà comunicata agli indagati la chiusura delle indagini col dispositivo 415 bis per la notifica del reato.

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Il convegno Silenzio sul processo

«Bilanci perfetti», elogi

dal vice di Palazzi al club

Mensitieri: «Corretta l’impostazione data da De Laurentiis»

di ANGELO ROSSI (IL MATTINO 15-12-2012)

I colleghi lo interrogavano con lo sguardo, lui non s’è mai scomposto. Ha sorriso a tutti senza lasciarsi andare. L’avvocato Alfredo Mensitieri, procuratore federale vicario della Federcalcio, è intervenuto ieri mattina presso il Tribunale di Napoli al convegno organizzato dall’associazione “Azzurra lex” sul tema “I controlli e le sanzioni sulle società di calcio”. Impegnato per conto della Figc sul fronte della prevenzione e della repressione a proposito dei controlli economici e di gestione delle società di calcio («È difficilissimo combattere il doping finanziario, esistono sotterfugi e violazioni di ogni genere. Se pure riusciamo a buttare fuori i lestofanti, questi rientrano dalla finestra»), Mensitieri ha speso parole di elogio per il club azzurro. «De Laurentiis sta facendo benissimo, la sua politica legata al fair play è corretta. Vedrete che alla lunga avrà ragione, perché i bilanci sani sono l’unica garanzia di futuro per i club. I tifosi vogliono i grandi campioni? Certo, se il Napoli prende De Rossi può vincere lo scudetto, ma non si può pretendere di spendere più di quello che è nelle casse societarie».

Mensitieri non ha smentito né confermato la data nella quale verrà comunicata la decisione della Commissione disciplinare: lunedì prossimo, al massimo martedì. Il Napoli rischia uno o due punti di penalizzazione, Cannavaro e Grava dai sei ai nove mesi. Tutto dipenderà da come i giudici valuteranno la posizione di Gianello per il quale è stato rifiutato il patteggiamento di 16 mesi. È stato chiesto dal suo avvocato Chiacchio che l’ex azzurro venisse giudicato ai sensi dell’art. 1, cioè della slealtà sportiva, fatto questo che, se accertato, avvantaggerebbe il Napoli perché non sarebbe prevista alcuna penalizzazione ma solo una forte ammenda.

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SCOMMESSE IL SEMINARIO «CALCIO E LEGALITÀ», IERI A SAN PIO, HA VISTO TRA I

PROTAGONISTI IL PM CHE STA CONDUCENDO L’INCHIESTA DELLA PROCURA DI BARI

Angelillis urla: «Pene più severe»

E Ghirelli (Lega Pro) ammette: «Sì, il calcio italiano è sotto attacco. Ma ne usciremo»

di GIOVANNI LONGO & FABRIZIO NITTI (LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO - Bari 15-12-2012)

BARI. «Pene più alte e dure, confische dei patrimoni derivanti dalle scommesse, prevenzione». Questa la ricetta del pm Ciro Angelillis per provare a stoppare un fenomeno, quello del calcioscommesse, che ha assunto dimensioni planetarie, come lo stesso magistrato ha sottolineato. L’occasione è data dal seminario «Calcio e legalità» organizzato dall’Asd Sporting Santo Spirito di Primo Scapellato e Michele Danza e Rubio Di Ronzo nel palazzetto dello sport di San Pio, quartiere «difficile» alla periferia Nord di Bari. «Ripartire da qui, da San Pio, da questo incontro ». Il magistrato barese, centrocampista della Nazionale italiana magistrati, non poteva mancare all’appuntamento, considerato che attorno a lui e a procuratore Antonio Laudati ruota una fetta cospicua e consistente delle indagini sullo scandalo scommesse che ha sconvolto l’Italia del pallone. Fra i relatori anche Francesco Ghirelli direttore generale della Lega Pro e Chiara Gremiti Sambaldi, avvocato esperto nel contrasto ai fenomeni abusivi di raccolta delle scommesse.

Spalti gremiti, tanti ragazzi, ospiti di riguardo. Marco Guida (magistrato gip al tribunale di Bari, della giunta distrettuale dell’Anm) e Massimiliano Sisto (giornalista) a moderare il dibattito che ha registrato anche gli interventi del sindaco di Bari Michele Emiliano, di Fabio Ricci (responsabile area giochi e scommesse Snai), Antonio Bartolomucci (giornalista sportivo), Antonio Di Gennaro (applauditissimo l’ex calciatore del Bari e della Nazionale, oggi opinionista Sky). Le conclusioni sono state affidate al consigliere del Csm Roberto Rossi.

Angelillis ha più volte sottolineato quello che a suo giudizio è il paradosso tra il funzionamento della giustizia sportiva e della giustizia ordinaria. «Le dichiarazioni di un tesserato possono bastare per far aprire un procedimento sportivo che si può concludere con una sospensione, quelle rese al pm devono ovviamente essere riscontrate». Il paradosso è che i calciatori «temono di più la procura federale che quella ordinaria». Per questo occorre intervenire sulla disciplina del reato di frode sportiva, «introducendo pene più severe, visto che al momento si viene sanzionati come fosse una ingiuria, mentre dovrebbe essere punita come un reato di prima fascia, ad esempio estorsione o rapina».

Un effetto deterrente che sarebbe ancora più potenziato se «si intervenisse prevedendo la confisca dei beni». Il problema è che la norma interviene solo se c’è una promessa o dazione di denaro o altra utilità con la finalità di alterare il risultato di una gara: «La legge invece non punisce ad esempio i giocatori che si mettono d’accordo sul risultato per poi scommettere ». Angelillis ha anche sottolineato quella che ha definito la «psicosi della combine» che «raffredda la passione del gioco più bello del mondo». Il modello? «Il calcio inglese» che insegna ai ragazzi «la cultura della sconfitta che da noi manca».

«Siamo sotto attacco, il calcio è sotto attacco – ha chiosato Girelli, anni fa dirigente di spicco del Bari -. Ma dobbiamo uscire. Il fenomeno, comunque, non è solo italiano… Ma con forza, voglia e determinazione bisognerà venirne fuori».

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Palazzo di Vetro

RUGGIERO PALOMBO

Federcalcio e Leghe

ma non potevate pensarci un po' prima?

Giancarlo Abete esce bene dalla zuffa a distanza con il candidato Coni Giovanni Malagò che sceglie Radio Manà Manà per un attacco alzo zero nei confronti del calcio italiano. E anche sul Tnas che ha stufato, il presidente della Federcalcio ha buone ragioni. Il resto, se lo lasci dire, è sconfortante: le elezioni Figc sono fissate per il 14 gennaio, il 29 dicembre scadono i termini per candidarsi attraverso la «promozione» di una delle sei componenti e Abete, che non vede l'ora di tornare ad occupare la poltronissima, è ancora lì che aspetta di vedere che succede e intanto incassa un silenzio assordante nel Consiglio federale di ieri, all'atto di ufficializzare la propria disponibilità.

Lunedì tocca a Lega Pro, dove nel match Macalli-Gravina cominciano a volare gli stracci e dove lo sfidante recupera posizioni (ma basterà?), e a Lega Dilettanti, dove Tavecchio corre solo e aspettando Abete ha una gran voglia di farsi candidare alla presidenza federale. Il peggio, tanto per cambiare, si sta consumando presso la Lega di Serie A, quella dell'intramontabile e ineffabile Beretta, che sceglie la data di giovedì 20 dicembre per l'assemblea elettiva senza curarsi del fatto che a Nyon, quello stesso giorno, ci sono i sorteggi delle coppe europee per Juventus, Milan, Inter, Napoli e Lazio. Per Agnelli & C., un appuntamento Uefa importante. Ma a Beretta, dimissionario da quasi due anni, cose cosa sembrano non interessare. Come anche (ma non è vero) le elezioni, che per ora riguardano Abodi, candidato senza candidarsi e dimissionario dalla B che così almeno per un po' è pure lei senza padrone, e Simonelli, il revisore dei conti caro a Galliani. Che col suo Milan è per la prima volta nella storia degli ultimi vent'anni di Lega «avversario» della Juventus, sponsor di Abodi insieme, anche questo un inedito, all'Inter. Abodi ritiene di avere «undici voti certi», Beretta gliene attribuisce soltanto 8, il problema è che per essere eletti ne servono 14. Galliani dice di non andare alla guerra santa, intanto ci manda Lotito che fa per tre e lavora per lo 0-0 tra Abodi e Simonelli così da far rispuntare il suo (solo suo) amato Beretta. Ma a tutto questo casino, non si poteva porre rimedio prima?

Abete, Agabio, Aracu, Barelli, Bianchi, Binaghi, Bolognini, Buglione, Buonfiglio, Casasco, Chi-menti, Dallari, Di Mauro, Di Rocco, Falcinelli, Felicita, Fraccari, Giomi, Leoni, Magri, Matteoli, Miglietta, Obrist, Pancalli, Park, Pellicone, Petrucci, Purromuto, Rava', Rizzoli, Scarso, Scarzella, Sciannimanico, Sesti, Zamblera, Zanella più Iaconianni e Sciannimanico che hanno mandato la giustificazione. Citati in ordine alfabetico, fanno 36 (più 2) presidenti. Lunedì sera gran tavolata con il candidato Coni Lello Pagnozzi che, con l'intento di non dare nell'occhio o più probabilmente con finalità opposte, li ha riuniti in un noto albergo della capitale dove fino a qualche minuto prima si era consumato il processo calcistico del Napoli. Oggetto della serata conviviale, le elezioni del 19 febbraio e l'importanza di restare fedeli alle dichiarazioni di voto quando esse intervengano (per la serie: niente scherzi, please). Con l'eccezione di Binaghi (Feder-tennis) che ne ha parlato malissimo suscitando il malcelato disappunto di qualche altro presidente, anche per il convitato di pietra Malagò sono state spese parole generose, ma il traino effettuato da Petrucci («Qui al di là della simpatia si deve stabilire chi merita davvero di essere il nuovo numero uno dello sport italiano») ha finito ovviamente per convogliare un diffuso consenso nei confronti del padrone di casa. «Stimo Pagnozzi e so benissimo quello che dovrò fare» richiesto sul finire di una dichiarazione, così si è espresso quello tra i presidenti indicato come il più vicino a Malagò. Talché il convivio è stato ribattezzato subito come «cena delle beffe». Chi il beffato, lo scopriremo in seguito.

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L’intervista Squadra verso la penalizzazione in classifica, ma ci sono ombre sulla decisione della Disciplinare

«La responsabilità oggettiva

non deve essere automatica»

di FRANCESCO DE LUCA (IL MATTINO 16-12-2012)

«La responsabilità oggettiva non esiste solo nell’ordinamento sportivo, ma non è una responsabilità automatica: andrebbe accertata caso per caso». Tullio Morello, gip presso il tribunale di Napoli, interviene sul caso che riguarda il Napoli, avviato verso una penalizzazione di 2 punti per il caso Gianello.

In quali casi, fuori dall’ordinamento sportivo, esiste la responsabilità oggettiva?

«È stata esclusa dal settore penale, ma nel diritto civile ne esistono diverse ipotesi: da quella dei genitori per i danni dei figli minori non emancipati a quella dei proprietari per i danni causati dagli animali».

Una società calcistica è sempre responsabile dei comportamenti dei suoi tesserati?

«Se i suoi tifosi lanciano oggetti allo stadio, lo è. Se un suo allenatore, come nel caso di Mandorlini del Verona, insulta tifosi di altre squadre, lo è. Se piazza tre stelle sui seggiolini dello stadio, come nel caso della Juve, contrariamente a quanto asserisce la Figc sul numero degli scudetti vinti, lo è. Ma nel caso del comportamento di un tesserato che tenta, a volte riuscendovi, di alterare l’esito di una partita è un’aberrazione inacettabile».

Perché?

«La società è vittima di quel comportamento e bisognerebbe accertare, per ogni signolo caso, se merita un rimprovero o un provvedimento. Recentemente i dirigenti di un club hanno subito un processo per aver spiato un proprio tesserato nei confronti del quale non avevano fiducia (l’Inter e Vieri, ndr): se questo tesserato avesse tentato di alterare l’esito di una partita, avremmo avuto il paradosso di una società condannata a titolo di reponsabilità oggettiva per tale sua condotta e condannata anche per violazione della privacy del giocatore».

Palazzi mira a “graduare” le sanzioni.

«Evidentemente si è reso conto dell’anomalia della vicenda. Perché Gianello era all’ultimo giorno di contratto e aveva un peso pari a quello di un magazziniere, con tutto il rispetto per chi esercita questo lavoro».

Sarebbe logico condannare una società tre anni e mezzo dopo?

«Si falserebbe un campionato con un provvedimento adottato dopo quattro stagioni: un conto è essere prima al corrente di una penalizzazione, un altro saperlo durante. Questo è un mondo senza regole e senza credibilità: quelle regole vanno riscritte da chi è realmente super partes».

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La Ġazzetta Sportiva 16-12-2012

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Quotidiano Sportivo 16-12-2012

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Doping, dove finisce lo sport

Alessandro Donati, ex allenatore dell'atletica nazionale, racconta in un libro gli scandali e gli affari internazionali del doping.

di GIAN PAOLO ORMEZZANO (FamigliaCristiana.it 15-12-2012)

Prima a Roma e poi a Torino è stato presentato fra la quasi indifferenza del nostro establishment sportivo il libro di Alessandro Donati, Lo sport del doping. Alla presentazione torinese c’era anche Raffaele Guariniello, il pm delle molte inchieste pure sullo sport. I locali quelli del Gruppo Abele di don Ciotti, che ha sponsorizzato il libro prima col suo sodalizio ideologico e non solo con Donati poi come, appunto, Edizioni Gruppo Abele (sono 300 pagine a 16 euro assai bene spesi).

Il libro in un certo senso liofilizza e offre anche Campioni senza valore, la precedente opera di Donati in pratica fatta scomparire dalle librerie con forti repenti acquisti, mirati acciocché sparisse e dunque desse poco disturbo. Donati è ora in pensione, è stato a lungo funzionario del Coni e allenatore nazionale di atletica, e anche per questo libro, aggiornato al caso Armstrong, aspetta querele che non arriveranno.

Il libro è un grande romanzo dell’illecito chimico, in Italia ma anche nel mondo, ed è preciso, documentato, angosciante. Porta le cifre terribili dell’affaire doping: per stare all’Italia, un consumo di farmaci e sostanze per 425 milioni annui di euro, il che vuol dire 371 milioni di dosi attribuibili a 169.000 praticanti vari sport e a 69.000 adepti del body building nelle troppe palestre ad hoc. Se si pensa che appena il 4,5% dei controlli antidoping sui tesserati praticanti lo sport ha fatto emergere ultimamente una qualche positività, e soprattutto che questa positività scende a un risibilissimo 0,70 per quel che riguarda i controlli su atleti di alto livello, si deve accettare la tremenda tesi di Donati: e cioè doping affare ormai di Stato, di Stati, con interessi economici altissimi e ramificatissimi e trasversali appartenenti al grande mondo degli affari.

Doping dovunque di tutti. Inesistenti o omertosi i controlli sul calcio, difficili quelli dell’atletica che pure si dice meglio disposta a offrirsi a essi che altri sport, quasi impossibili altrove. Doping che ha armi di offesa assai più sofisticate di quelle della difesa. Guariniello ha accettato e preso in mano la patata bollente. Ha detto di alcune inchieste, di come l’Italia abbia una legge di Stato antidoping fra le migliori del mondo ma stenti a metterla in pratica, ha parlato di muri altissimi da abbattere o valicare, ha invocato una procura generale speciale anche per l’Europa, dove le rogatorie internazionali fanno ridere quelli chiamati a rispondere e dove le leggi cambiano di Paese in Paese, spesso proteggendo i dopati o presunti tali.

Ha rivelato che in certi Paesi esteri – e senza scendere al quarto mondo - l’Italia sembra addirittura un paradiso della legalità ricercata o comunque della lotta per la legalità. Non si è arreso, in questa Italiazza della ottima teoria e della pessima pratica, perché lui non si arrende mai, lo prova la sua esemplare vicenda umana di magistrato, ma è sembrato stanco e anche ironicamente timoroso di battersi contro mulini a vento sovralimentati dal soffio di troppi interessi e aiutati dal vuoto di troppe istituzioni. Sotto accusa anche l’antidoping dei Giochi olimpici invernali di Torino 2006, con appena un’atleta russa trovata positiva.

Donati espertissimo nello specifico dello sport è andato oltre, ha parlato di doping non solo protetto, ma cercato e aiutato (perché dà medaglie, risultati, cariche, poteri) ad alto livello. Altro che volontà politica di combatterlo. Ha persino esteso il suo dire, il suo denunciare parlando di come e quanto la dipendenza da doping predispone a quella da droga, di come ormai i fenomeni siano correlati, mescolati, dipendenti. Di come l’ormone introduca alla droga, introduca alla cocaina. Si è parlato di adulti che stanno sbiellando, di ragazzini che rischiano la salute per sempre.

Lui come Guariniello ha chiesto uno sport ludico, niente classifiche e gare sino ai 12 anni, tanta educazione scolastica e famigliare, la lotta contro il mito orrendo del risultato a tutti i costi. Secondo i due, che rischiano splendidamente di essere le due figure preminenti in una lotta che si può ancora fare, che si deve sempre fare per dignità umana individuale oltre che per allarme cosmico, la battaglia è persino in atto, e sembrano chiedere di non essere lasciati troppo soli.

Al sottoscritto, che ha condotto il dibattito, il ”regalo” di concordare che lo sport del suo primo amore giornalistico, il ciclismo, è stato inquisito di più perché più esposto e più ingenuo e più disposto al masochismo, ma che la bestia è dovunque. Grazie.

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Ecco il libro del sexy ricatto a politici e calciatori

Lea Di Leo, i dettagli di quelle serate di gruppo e “il senatore a cui le donne non bastano mai”

“Il giocatore è un vero macho, si spoglia ma poi non riesce a far nulla con me”

di ALESSANDRA ZINITI (la Repubblica 17-12-2012)

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MARSALA — «C’è crisi in Italia, giusto? Eppure ministri e senatori esclamano nei letti caldissimi frasi del tipo: “Io ho soldi per mantenere tutte le donne che voglio”». Un albergo a un paio d’ore di strada da Roma. A colazione. Lea Di Leo, la bionda pornostar regina dell’899, è con due amiche e “colleghe” dopo aver passato una notte con un senatore. «La mattina dopo incontrammo molti parlamentari che facevano colazione in quello stesso albergo e ci salutavano: evidentemente molti di loro guardano gli 899». Quello che aveva passato la notte con lei e con la sexystar Valentina «si era presentato con macchinone e autista. Credo fosse il suo compleanno visto che ci aveva ingaggiato per festeggiare un evento particolare. È uno molto potente e altrettanto trasgressivo: ci offre parecchi soldi per tenergli compagnia durante la notte, con champagne a fiumi. È attorniato da tre ragazze. Gli domando come mai gli piace fare sesso con più donne e lui mi risponde che le donne non gli bastano mai, che vorrebbe averne molte e le manterrebbe tutte. In fondo alla stanza un televisore, anche lui, come Berlusconi, appassionato di 899 a volume alto...».

Eccolo il libro dello scandalo. Ecco le bozze mai pubblicate dei racconti a luci rosse di Lea Di Leo, “nome d’arte di Sonia Faccio, nata alle ore 15 di un mercoledì pomeriggio, il 5 gennaio di più di 30 anni fa a Castelfranco Veneto”, come si legge nell’introduzione di quell’autobiografia mancata sequestrata dagli investigatori della Guardia di finanza di Marsala negli uffici della Imart, la piccola casa editrice siciliana il cui titolare, Giuseppe Aleci (ora a giudizio insieme al direttore editoriale Gaspare Richichi), aveva pensato di realizzare più soldi ricattando i “protagonisti” delle memorie della pornostar, piuttosto che facendo arrivare in edicola o in libreria il volume. Quelle bozze, che da mesi in tanti cercano e che Repubblica ha letto, insieme alle mail ricattatorie inviate dalla casa editrice ai circa 30 vip coinvolti, sono la prova del reato contestato ai due imputati del processo che si è aperto davanti al tribunale di Marsala e nel quale, a partire da gennaio, dovranno sfilare in qualità di parti offese tanti nomi noti del mondo del calcio (da Ambrosini a Reginaldo, da Borriello a Toni, da Bojinov a Inzaghi, da Iaquinta a Galante, da Coco a Bressan), attori come Roberto Farnesi e Matteo Branciamore, l’interprete di Marco ne “I Cesaroni”, i cantanti Gianluca Grignani e Fabri Fibra, il rugbista Dennis Dallan, il giornalista Amedeo Goria, ma anche l’ex viceministro per l’Economia Mario Baldassarri che però ha sempre smentito di conoscere la Di Leo. Lo ha fatto pubblicamente e anche davanti ai magistrati della procura di Marsala che, nei mesi scorsi, hanno convocato tutti i vip che hanno, chi più chi meno, ammesso i rapporti. Sesso sì, ma vittime di estorsione no. Tutti, tranne Branciamore, hanno infatti negato di aver aderito alla richiesta di denaro arrivata via mail: “Gentile signore, le chiediamo la liberatoria perché il suo nome compare nell’autobiografia di Lea Di Leo che sta per essere pubblicata dalla nostra casa editrice. Il libro è già in stampa. Se lei non autorizza la citazione, le spese per ristampare il volume vanno dai 20 ai 40mila euro”.

Ma, di liberatorie, gli editori non ne hanno raccolte neanche una. Anche perché gli incontri raccontati da Lea non sono proprio una lettura per educande. Barista, stripteaser, reginetta dell’899, Lea comincia la sua carriera di pornostar pescando clienti tra i calciatori assidui frequentatori dei locali più in, dall’Havana di Treviso al Pineta di Milano Marittima. Lea le racconta nei dettagli quelle “serate di gruppo”. Uno dei calciatori più noti “è un superdotato, una vera e propria opera d’arte... e con lui un altro supersposatissimo, un macho deciso che mi scaraventa in bagno. Fa il gasato, si spoglia, ma non tutto il suo corpo è altrettanto, come dire, pieno di energia scattante... quella volta gli suggerii di lasciar perdere”.

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L’intervista

“Io, minacciata di morte

ma ho detto solo la verità”

La pornostar: conservo gli sms dei miei amanti

«Mi secca che in tanti ora fingano addirittura di non conoscermi.

Comunque i nomi non li avevo scritti»

di ALESSANDRA ZINITI (la Repubblica 17-12-2012)

MARSALA — «Questo libro era il sogno della mia vita. E invece che felicità e opportunità mi sono tirata dietro solo disgrazie. Mi sono arrivate minacce di morte, continuo a trovarmi gente che mi insegue in macchina. E poi questo processo, questa storia dei ricatti. Io chiedo scusa a tutti, ne va per prima della mia credibilità, non avrei mai voluto che venissero fuori i nomi dei miei clienti, nelle bozze del mio libro non c’erano i nomi, ma solo delle situazioni. I nomi me li hanno estorti quelli della casa editrice con la scusa di chiedere una liberatoria alle persone a cui mi riferivo e io non ho capito che cosa avevano in mente di fare».

Tornata a casa sua dopo la deposizione pubblica nell’aula del tribunale di , Lea di Leo, insiste: anche lei, così come i tanti vip che hanno avuto rapporti con lei, è una vittima. Ma una cosa proprio non le va giù: che adesso in tanti dicano di non conoscerla.

Lea, lei descrive nei dettagli più piccanti le sue notti con questi personaggi. Eppure in tanti negano di avere avuto rapporti con lei.

«Peggio per loro. Io capisco che magari alcuni hanno mogli, fidanzate, però non voglio passare per quello che non sono. Io dico la verità. Chi nega? Ambrosini? Il senatore Baldassarri? Io conservo gli sms di tutti con i giorni e i luoghi degli appuntamenti. E tornerò a Marsala per ascoltare le loro testimonianze davanti al giudice. Voglio vedere chi dirà di non avermi frequentato. L’unico che ha detto il vero è Gianluca Grignani: era uno del suo staff a venire con me. I giudici mi hanno creduto, tanto è vero che io in questo processo sono solo una testimone, non sono accusata di niente. E ripeto, mi dispiace per la privacy di tutti loro, ma non è stata colpa mia. La verità è che questo libro fa paura a tanti, e non solo ai miei clienti».

E a chi altri? Chi dovrebbe temere e che cosa dalla pubblicazione di questo libro?

«Quelli che governano l’inferno dell’899, ad esempio. Io ho passato cinque anni d’inferno in questo business governato anche da politici. E quelli sono stati anni orribili, mi sono beccata anche l’epatite B in un rapporto non protetto con un famoso cantante. So che è stato lui perché in quel periodo andavo solo con quattro persone: un calciatore, un politico e due cantanti e uno di loro ci ha scritto su anche una canzone su “le ragazze che ti fanno venire l’epatite B”. Peccato che è andata al contrario. E io pensavo di morire e pensavo a quante persone potevo averla attaccata».

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Scommessopoli: è l’ora del Napoli

di CRISTIANO NOVAZIO & ANDREA CATTANEO (SPORT&LEGGE 16-12-2012)

Siamo giunti all’ennesimo filone di quel lungo corpo di indagini divenuto ormai famoso con il nome di Scommessopoli. L’inchiesta originaria è stata divisa in differenti tronconi per questioni di urgenza, relative alla formazione dei calendari dei campionati, in quanto la prima parte riguardava club la cui posizione in classifica, se modificata in seguito al processo sportivo, avrebbe portato a retrocessioni e promozioni conseguenti e per i quali non si poteva procedere in corso di campionato.

Ora il caso Napoli è al centro dell’attenzione. Come tutti sanno, il Procuratore Federale della FIGC Palazzi ha emesso le sue richieste di condanna, che sono state presentate alla Commissione Disciplinare.Questa sezione di indagini ruota principalmente intorno alla figura del calciatore Matteo Gianello, all’epoca dei fatti terzo portiere del Napoli: secondo la ricostruzione effettuata dalla Procura di Napoli, e ripresa da Palazzi, questi avrebbe cercato di “aggiustare” il risultato di alcune gare del campionato 2010/2011.

E’ necessario ricordare che una condotta di tale tipo, se accertata, configura un reato ai sensi della legge 401/89. Dal punto di vista sportivo, invece, tale comportamento costituisce una violazione dell’art. 7 comma 1 del codice di giustizia sportiva (denominato illecito sportivo) e ciò indipendentemente dall’effettivo raggiungimento dello scopo, ovvero l’alterazione del normale svolgimento della gara e del suo risultato finale. Il conseguimento del fine illecito costituisce una circostanza aggravante che comporta un aumento di pena.

Tornando ai fatti, per quanto riguarda la partita Sampdoria – Napoli del 16 maggio 2010, la testimonianza di Gianello ha comportato il coinvolgimento nell’inchiesta di altri due tesserati, giocatori titolari della compagine partenopea, e della società stessa per responsabilità oggettiva. Infatti, nell’interrogatorio dinnanzi alla Procura, Gianello avrebbe ammesso di essersi rivolto a Cannavaro, capitano della squadra, e Grava allo scopo di accordarsi per perdere la gara, con la promessa di una ricompensa in denaro. Questi rifiutarono immediatamente di collaborare alla combine, ma non denunciarono il compagno.

In proposito, occorre ricordare che l’omessa denuncia di un illecito sportivo, anche solo tentato, di cui un tesserato sia venuto anche casualmente a conoscenza, rappresenta una condotta sanzionabile a livello sportivo. I tesserati, di fronte a simili episodi, hanno infatti l’obbligo di informare senza indugio la Procura Federale(art. 7 comma 7 codice di giustizia sportiva).

L’omessa denuncia ha poi come detto effetti sulla società sportiva, che può essere sottoposta a sanzioni disciplinari di varia natura a titolo di responsabilità oggettiva per il comportamento dei propri tesserati (art. 4 comma 2 codice di giustizia sportiva).

Nel procedimento attualmente pendente in Commissione Disciplinare, il Procuratore Federale Palazzi ha richiesto la pena di 3 anni e 3 mesi di squalifica per Gianello; per ciò che concerne Grava e Cannavaro, è stata richiesta una squalifica di 9 mesi, mentre per il Napoli una penalizzazione di un punto da scontare nell’attuale campionato e un’ammenda di 100mila euro.

La difesa dei calciatori coinvolti da Gianello ha puntato a sottolineare la presunta inattendibilità di quest’ultimo. In attesa di conoscere gli intendimenti della Disciplinare sul punto, si può osservare che l’organo di primo grado ha per il momento respinto la richiesta di patteggiamento per Gianello. La Procura, infatti, aveva ritenuto che il tesserato Gianello poteva essere ammesso al beneficio del patteggiamento – previsto dall’art. 24 del codice di giustizia sportiva – per il suo comportamento collaborativo, ritenendo congrua la sanzione di un anno e 4 mesi. Di diverso avviso invece la Disciplinare, secondo cui“l’istanza di patteggiamento non può essere accolta in quanto non emergono elementi di collaborazione fattiva tali da consentire l’applicazione dell’articolo 24″.

A giorni è previsto il verdetto della Commissione Disciplinare che avrà l’arduo compito di valutare nel suo complesso l’attendibilità del calciatore Gianello ed assumere di conseguenza la decisione nei confronti degli altri tesserati chiamati in causa e della società partenopea. Staremo a vedere!

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OGGI LA SENTENZA

Due punti e sei mesi

per Cannavaro e Grava

Attesa per la Disciplinare

di EDMONDO PINNA (CorSport 17-12-2012)

ROMA - Due punti, sei mesi più sei mesi. E’ la sintesi della sentenza della Disciplinare sul caso-Gianello, l’ex terzo portiere del Napoli che rivelò di aver chiesto - pentendosene subito dopo - a Cannavaro e Grava se fosse possibile pilotare Samp-Napoli del 16 maggio 2010, finita 1-0 per i blucerchiati. I due giocatori partenopei diedero immediatamente un secco rifiuto («diedero immediatamente e con estrema decisione una risposta negativa» secondo il verbale dell’interrogatorio di Gianello alla Procura di Napoli) e, forse perché fu proprio una cosa da spogliatoio («Quasi una battuta sotto doccia» ha ricordato Gianello) che il capitano del Napoli e Grava non ricordarono di denunciare la cosa alla Procura federale. Da qui l’accusa di omessa denuncia. E allora, il Napoli pagherà con due punti di penalizzazione (uno non era possibile, secondo i giudici, visto che Toro e Samp avevano patteggiato, per identica incolpazione, un punto), i due giocatori con sei mesi e non con i nove richiesti dal Procuratore Palazzi. Che questa mattina sarà, insieme ad altri alti giudici federali (come il vice di Artico, Franchini, e il presidente della Corte di giustizia federale, Mastrandrea) e non, al convegno «Diritto e Procedura nel calcio italiano ed internazionale», organizzato dall’Associazione Forense Emilio Conte in collaborazione con il Centro Studi di Diritto, Economia ed Etica dello Sport. Una sentenza, attesa per oggi (al massimo domani), che dovrebbe vedere anche il Crotone libero dall’accusa di illecito presunto e Agostinelli che dovrebbe veder mutato il capo d’accusa (non più illecito), mente il Portogruaro sarebbe “incastrato” dal patteggiamento di Furlan.

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Il caso Attesi i verdetti della Commissione per il club, il capitano e Grava coinvolti nella vicenda dell’ex portiere Gianello

Disciplinare, entro domani la sentenza: rischio -2 in classifica

Il tecnico juventino Conte «Sono serio e resto in silenzio al contrario di altri...»

Il calore Cannavaro accolto con calore: potrebbe avere giocato l’ultima gara

di ANGELO ROSSI (IL MATTINO 17-12-2012)

La vigilia, almeno in apparenza, è stata uguale a tante altre. Stesse abitudini, stesse manie, quelle che quasi sempre sfociano in gesti di pura scaramanzia. Paolo Cannavaro s’è sforzato di apparire il più tranquillo possibile. Sorrisi dispensati allo staff tecnico, parole d’incoraggiamento per i compagni di squadra ma a se stessi non si mente: il capitano ha la guerra dentro, un mix di timore e speranza che stanno scandendo le ultime ore prima dell’atteso verdetto. La sentenza è prevista per oggi, al massimo rischia di slittare a domani. La Commissione disciplinare si pronuncerà sulle richieste avanzate dal procuratore federale Palazzi sul caso Gianello: un punto di penalizzazione per il Napoli, nove mesi di squalifica per Cannavaro e Grava. Ma potrebbe esserci una sentenza “in peius” per la squadra: ovvero due punti per non derogare a una sorta di “par condicio” rispetto ad altri casi analoghi trattati in passato ma sei mesi per i due difensori. E quindi quasi certamente quella di ieri sera con il Bologna è stata l’ultima partita di Cannavaro prima dello stop forzato.

Mazzarri ha “confessato” Paolino in questi giorni. Lunghe chiacchierate all’interno dello spogliatoio e sottobraccio in mezzo al campo di Castelvolturno, prima che iniziassero gli allenamenti. Tutti hanno preso posizione a favore di Cannavaro, alcuni compagni lo hanno fatto pubblicamente. Con la tranquillità che gli viene riconosciuta, almeno fuori dal campo, il ragazzo della Loggetta ha ascoltato, ringraziato, cercato di trasmettere calma e non tensione, quella che invece l’accompagna in questi giorni, ombra fedele e assai poco gradita.

Il San Paolo lo ha accolto con un caloroso applauso, partito dal settore distinti, lui ha alzato la mano, un saluto fugace: testa bassa e sotto con scatti e allunghi, tra Cavani e Hamsik, per lucidare i muscoli. Il messaggio di beneficenza letto con l’altro capitano Portanuova, al rientro dalla squalifica, ha anticipato di qualche attimo l’inizio della gara.

Della vicenda che riguarda il Napoli, Cannavaro e Grava non ha voluto parlare Conte, tornato nove giorni fa sulla panchina della Juve dopo una squalifica per omessa denuncia, ridotta a 4 mesi dal Tribunale nazionale dello sport. Ha detto: «Non conosco la situazione del Napoli e da persona seria non giudico. Peraltro, arrivo da una situazione in cui tanti altri sono stati poco seri».

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L’altra stangata per gli azzurri

e 6 mesi a Cannavaro e Grava

Oggi il verdetto della Disciplinare per il caso Gianello: per lui 3 anni e 3 mesi di stop

di MAURIZIO GALDI & VALERIO PICCIONI (GaSport 17-12-2012)

Due giorni da incubo per i tifosi del Napoli (e per dirigenti e legali che prepareranno presto l’appello alla Corte di giustizia federale e al Tnas). Dopo la sconfitta contro il Bologna, oggi, molto probabilmente nel pomeriggio, la Disciplinare renderà ufficiale la decisione: due punti di penalizzazione al Napoli e sei mesi ciascuno di squalifica per Paolo Cannavaro e Gianluca Grava sulla presunta combine di Samp-Napoli. Già ieri sera il presidente SergioArtico da Torino ha provveduto a far recapitare alla segreteria il testo definitivo.

Lo schiaffo Anche se l’impianto accusatorio è quello del Procuratore federale, in verità l’«operato» di Palazzi è messo in discussione dalla Disciplinare. Una richiesta (il «solo punto di penalizzazione» per il Napoli) che non ha basi giuridiche. È vero che nel tempo la responsabilità oggettiva si è modificata, main questo caso e nello stesso procedimento, Palazzi ha usato due pesi e due misure per il Napoli e il Portogruaro (certo quest’ultimo non milita in SerieA) e la Disciplinare ha dovuto porre rimedio: due punti di penalizzazione a entrambe le società. Ridimensionata la squalifica di Cannavaro e Grava: se la base di partenza è sempre stata di sei mesi (e Palazzi ha largheggiato al ribasso di recente in diversi casi) non si capiva il perché dei nove mesi, senza che ci fossero aggravanti particolari. L’avvocato Luciano Malagnini ha un compito gravoso sia in appello sia davanti al Tnas per ridurre la squalifica soprattutto del capitano, uomo chiave della difesa del Napoli.

Gianello Secondo la Disciplinare l’ex terzo portiere del Napoli è reo confesso,manon ha fornito nessuna collaborazione e «il non aver negato» (come sottolineava Palazzi) non può essere ritenuta una collaborazione: le intercettazioni e il verbale del poliziotto al seguito del Napoli lo incastravano ed era impossibile negare. Tre anni e tre mesi per lui dopo che il patteggiamento è saltato. In appello il suo legale Eduardo Chiacchio tornerà a giocare la carta dell’articolo 1 del codice di giustizia sportiva (slealtà sportiva) nel tentativo di contenere i danni anche per il Napoli (che finalmente si apra un fronte comune con l’avvocato Mattia Grassani?). La derubricazione invocata da Chiacchio per Gianello è stata invece accolta per Andrea Agostinelli e David Dei: per entrambi la richiesta era di tre anni,ma alla fine per loro si tratta solo di slealtà sportiva con pena notevolmente ridotta. Confermati i tre anni e nove mesi per Giusti che si andranno a sommare quelli che aveva avuto in un precedente procedimento e soprattutto su di lui dovrebbe sempre pendere una radiazione per il fallimento della Lucchese.

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l'Unità 17-12-2012

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CORRIERE DELLA SERA 18-12-2012

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Ecco le sentenze, Napoli -2

Oggi la Disciplinare conferma:

Cannavaro e Grava 6 mesi.

Appello a gennaio

Tre anni e tre mesi per Gianello. Salvo il Crotone

Per Agostinelli e Dei derubricato l’illecito. Avranno solo un mese

di EDMONDO PINNA (CorSport 18-12-2012)

ROMA - Questa mattina la Disciplinare ufficializzerà i verdetti, pronti già da ieri. Nessuna sorpresa rispetto alle anticipazioni: il Napoli paga con meno due punti in classifica, Cannavaro e Grava con sei mesi di squalifica. E se per Gianello, l’ex terzo portiere partenopeo che confessò di aver tentato nello spogliatoio i suoi due ex compagni di squadra con la proposta per Samp-Napoli del maggio 2010, i giudici di primo grado hanno avallato le richieste formulate da Palazzi, per il resto il Procuratore federale vede sconfessato il suo credo. Il Crotone, che rischiava di prendere un punto per un’omessa denuncia che onestamente faceva acqua da tutte le parti, esce pulito dal processo. Agostinelli e Dei, coinvolti con l’accusa di illecito in Portogruaro-Crotone, vengono invece “derubricati” all’articolo uno e rimarranno fermi solo un mese (invece dei tre anni proposti dal capo degli 007).

RINVIO - Oggi e non ieri. Questione, per certi versi, di opportunità. Ieri Artico, che ha ricevuto nei giorni scorsi le relazioni dei suoi uomini (il vice Franchini e poi Giraldi, Perugini e Tobia) era il “garante" dell'Assemblea della Lega Nazionale Dilettanti, riunita in conclave a Fiumicino. E far uscire le sentenze di primo grado quando era già calata la sera (cioè, finiti i lavori che hanno impegnato la segreteria della disciplinare) avrebbe significato “bruciare" un giorno alle difese. Per le quali il presidente Artico ha sempre nutrito, da signore del foro, grande rispetto. Tutto rinviato di ventiquattro ore, allora, prima dell'ora di pranzo ci sarà il nero sul bianco.

CONFERMA - Il Napoli sta già studiando le carte per l'appello alla Corte di Giustizia federale. Due giorni da oggi per il deposito (più altri due nel caso vengano chiesti gli atti), il processo d'appello potrebbe svolgersi nella seconda settimana di gennaio. Il club partenopeo dovrà cercare di limare il più possibile i due punti che gli saranno inflitti dalla Disciplinare per omessa denuncia nella vicenda che ha visto coinvolti Gianello, Cannavaro e Grava. L'ex terzo portiere cercò una sponda per Samp-Napoli, i due difensori rifiutarono sdegnati l'ipotesi di combine. Senza denunciarla, però, ed ecco che pagheranno con sei mesi di stop. Praticamente, campionato finito. In attesa degli appelli, che i loro legali (Malagnini e Delle Donne) stanno già studiando. Due punti per il Napoli e non uno come chiesto inizialmente dal Procuratore Palazzi. I precedenti - recenti - in materia non permettevano molti voli pindarici. Due punti avevano preso Toro e Samp, salvo poi patteggiare e scendere a uno.

SORPRESA - Sconfessate le richieste di Palazzi anche per quanto riguarda Portogruaro-Crotone. La società rossoblù (seguita dagli avvocati Chiacchio, Cozzone e Rosita Gervasio), come avevamo anticipato, sarà prosciolta dall'accusa di illecito presunto. Un'assoluzione che era già nelle carte stesse (mancava il legale rappresentate della società - Ursino - che pure la Procura aveva ascoltato). Anche dall'altra parte qualcuno potrà brindare. Non il Portogruaro, legato a doppio filo dal patteggiamento di Furlan (il club avrà due punti e 10mila di multa), ma l'ex tecnico Andrea Agostinelli, difeso dagli avvocati Marsico e Scognamillo, e David Dei, seguito dai legali Monica Fiorillo e Annalisa Roseti. Per loro, un mese di stop, in ossequio all'articolo uno.

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IL TEMPO 18-12-2012

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CANNAVARO OUT 6 MESI

Disciplinare:

oggi i verdetti

Agli azzurri -2

art.non firmato (GaSport 18-12-2012)

Il presidente della Disciplinare Sergio Artico ieri ha presieduto la verifica poteri all'assemblea della Lega Dilettanti, ma la sentenza della sua Commissione sulla vicenda del Napoli era già alla segreteria. Probabilmente una scelta «tecnica», non certo dettata da ripensamenti o correzioni in corsa, ha fatto slittare a oggi (tra le 10.30 e le 12, assicurano in Federcalcio) la pubblicazione ufficiale del comunicato sul sito federale. Confermate le anticipazioni di questi giorni: 2 punti di penalizzazione al Napoli e al Portogruaro, proscioglimento per il Crotone. Per i tesserati, confermata la richiesta di Palazzi per Matteo Gianello (tre anni e tre mesi), confermata anche quella a Silvio Giusti (tre anni e nove mesi anche se dobbiamo rettificare che a suo carico non era stata chiesta la preclusione per la vicenda del fallimento Lucchese). La Disciplinare ha deciso anche di ridurre da nove a sei i mesi di squalifica per Paolo Cannavaro e Gianluca Grava, mentre è stato derubricato a slealtà la posizione di Andrea Agostinelli e David Dei.

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L'ansia della vigilia

Dal campo a casa

il giorno più lungo

di Cannavaro

Il capitano attende di sapere il suo destino

tra l'affetto dei compagni, familiari e tifosi

Il procuratore Fedele cerca di consolarlo. In ansia anche il fratello Fabio

di GIANLUCA MONTI (GaSport - Campania 18-12-2012)

Ore di attesa, di trepidazione. Paolo Cannavaro, al pari di Gianluca Grava, attende di conoscere il suo destino: la squalifica di 9 mesi chiesta dal procuratore federale Palazzi è una scure che pende sulla sua testa. Da giorni ormai si vocifera che la Disciplinare abbia optato per uno stop di sei mesi per l'omessa denuncia in merito alla proposta di combine formulata ai due giocatori azzurri dall'allora compagno di squadra Matteo Gianello in relazione a Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010.

Giorni difficili Ma come ha vissuto Cannavaro la vigilia della sentenza? Campo, ristorante e poi casa. Una giornata solo apparentemente normale, cominciata pensando agli errori commessi contro il Bologna che sono costati una inopinata sconfitta agli azzurri e proseguita poi da D'Angelo al Vomero per il pranzo di Natale. Il capitano è arrivato accompagnato in auto dall'inseparabile Salvatore Aronica. Con loro c'era anche Insigne, seduto però sul sedile posteriore e quindi poco visibile agli appena 30 tifosi che aspettavano i giocatori all'ingresso del locale. Il coro è partito immediatamente: «C'è solo un capitano», hanno urlato tutti. Qualcuno si è avvicinato al finestrino di Cannavaro per gridargli: «Non ha fatto nulla, stai tranquillo». Difficile riuscirci per davvero, nonostante la solidarietà di tutti i compagni, dell'allenatore e della società con in testa il presidente De Laurentiis (non a caso sul sito ufficiale è stata pubblicata una foto dei due durante il pranzo di ieri).

Speranza Ci sono pochi margini di speranza per evitare la squalifica, almeno in primo grado: «Purtroppo credo si vada verso il -2 per il Napoli ed i sei mesi di squalifica a Cannavaro e Grava – ammette Enrico Fedele, che insieme al figlio Gaetano cura gli interesse dei due azzurri —. Eppure, se Gianello fosse stato credibile, allora perché non accettare il suo patteggiamento? Così, il fondamento dell'accusa viene a cadere». Continui i contatti tra il capitano e l'avvocato Malagnini: «Se Paolo dovesse ricevere la squalifica ci opporremo con tutte le nostre forze», dice quest'ultimo. Il telefonino di Cannavaro è incandescente: sms ne stanno arrivando in quantità, anche dal fratello Fabio. La moglie Cristina, invece, è l'unica in grado di regalargli davvero un sorriso mentre i tre figli lo tengono impegnato «costringendolo» a pensare ad altro. Certo, ieri sia lui che Grava non avevano la faccia dei giorni migliori. Addirittura, per Gianluca c'è il rischio di chiudere la carriera in anticipo. Grava che dalla C è arrivato in Champions League con il Napoli si aspettava un altro epilogo. Ora aspetta una sentenza.

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CALCIOSCOMMESSE

Oggi la sentenza sul Napoli.

6 mesi a Cannavaro e 2 punti in classifica

di NICOLA SELLITTI (Pubblico 18-12-2012)

Napoli, una settimana da incubo. Sconfitta contro il Bologna e squalifica, che sarà resa ufficiale oggi dalla Commissione disciplinare della Figc, nel filone napoletano sullo scandalo scommesse. Non più un punto di penalizzazione, come richiesto dal procuratore federale Stefano Palazzi, ma due, per responsabilità oggettiva sulla tentata combine di Sampdoria-Napoli 1-0 del 16 maggio 2010. E sei mesi di sospensione dall’attività agonistica per Paolo Cannavaro e Gianluca Grava, per omessa denuncia. Queste le anticipazioni sulla sentenza che filtrano dalla Disciplinare, fin qui sempre affidabili al pari degli sconti garantiti poi tra Appello e Tnas. A nulla sono valse le parole del presidente del club partenopeo Aurelio De Laurentiis sull’innocenza della società azzurra. Pena confermata invece per Matteo Gianello, testimone chiave del processo e attore principale nell’illecito di Samp–Napoli. La gara clou dello scandalo. Con l’ex portiere che ammetteva in un interrogatorio, su richiesta del suo complice, l’ex centrocampista Silvio Giusti, e di altre persone, di aver preso contatto con Cannavaro e Grava, promettendo loro decine di migliaia di euro se avessero contribuito a truccare la gara tra doriani e napoletani. La Sampdoria si giocava un posto per la qualificazione alla Champions League, il Napoli aveva già chiuso il suo campionato. Sia Cannavaro che Grava respinsero subito l’offerta. Ascoltati come testimoni, entrambi hanno negato di aver ricevuto la proposta illecita.

Dunque, la Commissione disciplinare ha rivisto le richieste di pena del procuratore Palazzi, nonostante sia confermato l’impianto accusatorio. Un punto solo di penalizzazione per il Napoli non era proporzionale con i due punti di penalità – a parità d’imputazione - richiesti sia per il Portogruaro (Portogruaro–Crotone 2-3 del 29 maggio 2011 è l’altra gara sotto indagine del nuovo fascicolo su Scommessopoli) sia per Sampdoria e Torino, nell ’ambito del primo filone sull’inchiesta. Ridimensionata la squalifica di Cannavaro e Grava. Poco fondata la richiesta di tre mesi in più (sinora chiesti sempre sei mesi nei casi di omessa denuncia), senza particolari aggravanti per i due difensori del Napoli. Tre anni e tre mesi di reclusione per Matteo Gianello, ex portiere azzurro. Secondo la disciplinare, Gianello non avrebbe fornito nessuna collaborazione. E il non aver negato l’illecito sportivo, come aveva sottolineato il procuratore Palazzi, favorevole al patteggiamento, non poteva essere considerata una collaborazione. Le intercettazioni, soprattutto il verbale redatto dall’ispettore di Polizia infiltrato, Gaetano Vittoria, divenuto confidente di Gianello, hanno incastrato l’ex portiere del Napoli. L’obiettivo dei legali di Gianello per l’Appello alla Corte di giustizia federale (eventualmente per il Tnas) sarebbe trasformare l’accusa di illecito in slealtà sportiva - articolo 1 del codice di giustizia sportiva - per alleggerire anche la posizione del Napoli. Confermati infine tre anni e nove mesi per Silvio Giusti, ex compagno di squadra di Gianello nel Chievo Verona nel 1996/1997, che assieme all’ex portiere aveva provato a truccare Samp-Napoli.

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L’INTERVISTA

Gianni Petrucci

«SOGNO SEMPRE UN CALCIO NORMALE»

Il presidente del Coni sta per lasciare il Foro Italico dopo 14 anni al vertice

«L’oro di Baldini soddisfazione unica. La politica non ha mai interferito»

«SONO CRESCIUTE TANTE DISCIPLINE. ROMA HA DUE GRANDI CLUB E MI FA PIACERE CHE GLI STRANIERI INVESTANO DA NOI. ADESSO TORNO AL BASKET»

di VINCENZO CERRACCHIO & CARLO SANTI (Il Messaggero 17-12-2012)

Presidente Petrucci, durante i suoi 14 anni da numero 1 del Coni il calcio, il nostro primo sport, ha dovuto vivere due scandali importanti. Con strascichi che Lei ha combattuto istituendo il tavolo della pace. Con quali risultati?

«Ha avuto successo. Non si potevano pretendere baci e abbracci ma si sono parlate persone che non lo facevano da anni. Sono ottimista».

Cosa è rimasto di calciopoli?

«Il mondo del calcio ha una tale forza interiore che riesce a superare tutto. Sono stati fatti dei processi che la giustizia ordinaria non ha ancora completamente chiuso. Il calcio non assolve tutti».

La giustizia sportiva deve essere rivista: lo ha affermato anche lei.

«Il prossimo quadriennio il Coni e le Federazioni dovranno rivisitare la giustizia sportiva. Del resto ci sono vicende come le scommesse che prima non erano ipotizzabili».

C’è la questione della responsabilità oggettiva. Da più parti si chiede che venga cancellata. Qual è il suo pensiero?

«Non si può cambiare questa norma. Potranno essere studiate delle attenuanti ma tutto questo dovrà avvenire dopo la chiusura dei processi in corso».

Per il futuro che calcio si aspetta?

«Un calcio più normale».

Intanto entrano investitori stranieri: la Roma è diventata americana.È un bene?

«Se gli stranieri investono qui, nel nostro calcio, sono contento. Pallotta l’ho conosciuto in ottobre a Milano ma credo che la Roma sia in buone mani, con dirigenti capaci come Baldini, Fenucci e Sabatini».

Sull’altra sponda romana, quella della Lazio, c’è Lotito.

«Di Lotito oggi non posso che parlare bene anche se in passato ho avuto qualche frizione con lui. Gli darei un bel voto. Lui è una bella novità del calcio italiano. Ha idee e lascerà un segno».

Spesso sentiamo presidenti che vorrebbero cambiare le regole per il semplice motivo che loro mettono i soldi sul piatto e vogliono comandare. Scelta da condividere?

«Non amo questo tipo di pensiero. Non serve pagare per scrivere le regole. Per questo auspico Leghe forti ma propositive, nel calcio ma anche nel basket».

Il calcio, ma non solo, chiede la legge sugli stadi. Quanto sarà importante?

«Sarà fondamentale per lo sport. Servirà non solo a rinnovare gli impianti, stadi e palazzetti, ma anche a riportare i tifosi sugli spalti. Guardate cosa accade a Torino con lo stadio della Juventus. Certo, la tv ti dà tutto, ma vivere l’evento allo stadio ha un altro sapore».

Roma ha l’Olimpico. Se le due squadre di calcio avessero un loro impianto, che fine farebbe?

«Alla Roma e alla Lazio ho detto che l’Olimpico è a loro disposizione, da gestire con la Coni Servizi. Ma auspico che tutte e due le società abbiamo il loro stadio. In ogni caso, il nostro impianto continuerebbe ad autofinanziarsi: c’è il rugby e ci sono tantissimi concerti, una richiesta continua».

Presidente, in questi quattordici anni qual è stato il successo che le è rimasto nel cuore?

«L’oro olimpico di Stefano Baldini ad Atene 2004 nella maratona».

Perché proprio quello?

«Perché è indimenticabile. Lo scenario, che è il tempio dell’atletica, la maratona, l’ultima gara dell’Olimpiade, il nostro inno suonato durante la cerimonia di chiusura nello stadio e noi italiani attori. Mi sono sentito importante anch’io».

C’è una cosa che non rifarebbe durante la sua presidenza?

«Sono stato troppo irruente in alcune dichiarazioni. Prima ero più moderato».

Baldini l’ha resa felice. Chi, invece, l’ha rattristata?

«Mi ha infastidito molto il doping».

A Londra, pochi mesi fa, c’è stato il caso di Alex Schwazer.

«Ripeto che di Schwazer voglio salvare l’aspetto umano. Quella è stata la giornata più brutta da presidente del Coni. Eravamo lì per vincere una medaglia e quella notizia ci ha gelati».

Il ciclismo è sempre nel mirino degli illeciti di doping. Sarà sempre così?

«Devo dare atto al presidente Di Rocco che si è impegnato per cambiare la mentalità. I suoi provvedimenti, come quello di non dare la maglia azzurra a chi si è macchiato di reati doping, sono positivi».

Quali sono le discipline che sono cresciute di più?

«Oltre al calcio, basket, volley ma anche il rugby capace di riempire l’Olimpico. E poi il nuoto: ci ha dato tutto insieme alla pallanuoto e ai tuffi. Non dimentico poi la ginnastica».

Il nuoto in piscina a Londra non ha fatto però troppo bene.

«Ma dobbiamo fare un monumento ai risultati straordinari ottenuti da tutti, da Fioravanti a Rosolino, dalla Filippi alla Pellegrini. E la pallanuoto che ci ha riportato a successi storici».

All’appello manca l’atletica. Da anni il movimento sembra fermo.È d’accordo?

«L’atletica è la disciplina più difficile anche se adesso qualche risveglio comincio a vederlo, come il successo agli Europei di corsa campestre. L’atletica è sport universale ed emergere è complicato. Un bronzo in questa disciplina vale un oro nelle altre».

Non crede che il pugilato sia un po’ fermo?

«No. Basta guardare i risultati alle Olimpiadi. Nel mondo non ci sono più campioni come Muhammad Ali, Tyson, Monzon, Benvenuti. E ci sono troppe sigle. Ma noi abbiamo ragazzi bravi come Cammarelle, Russo, Picardi: E Falcinelli, il presidente, ha dato un grande impulso».

Lei ha scelto, direttamente o consigliando, diversi allenatori per la nazionali. Soddisfatto dei suoi tecnici?

«Sono sempre stato fortunato. Sono felice di aver chiamato Ettore Messina, Boscia Tanjevic e oggi Simone Pianigiani al basket, merito di Dino Meneghin, che è un coach che mi tengo stretto. E, credetemi, il futuro è del basket».

Parla così perché tra poco tornerà ad essere il presidente della Federazione?

«Lo dico perché è uno sport entusiasmante, che riempie i palazzetti. L’Italia tornerà a vincere con la nazionale».

L’anno prossimo ci sono gli Europei. Avremo i tre americani?

«Me lo auguro. Intanto ho la fortuna di avere Pianigiani».

Lei vede rosa, non sarà eccesso di ottimismo?

«Ci sono molti giocatori emergenti. Il simbolo è Datome e devo dire che quest’anno la sorpresa del campionato, insieme ad altre, potrebbe essere Roma. Claudio Toti ha costruito una squadra eccellente investendo in una città importante e difficile come la Capitale».

Nel suo programma elettorale ha inserito un punto per lo studio. Ci può spiegare meglio?

«Ho in mente incentivi per i giocatori se si impegnano dello studio e oltre. Il caso di Stendardo è emblematico».

Torniamo agli allenatori. Al calcio c’è Cesare Prandelli. Scommessa vinta?

«Merito di Abete. Prandelli è bravissimo e nelle sue uscite pubbliche è sempre dentro le cose in modo intelligente».

Presidente, il modello Coni nel mondo è ancora valido?

«Io, che sono spesso in giro nel mondo, mi accorgo che gli altri ci stimano. Certo anche noi abbiamo bisogno di qualche aggiustamento».

Lei lascia la sua poltrona. Il futuro come sarà?

«Credo nella continuità e ritengo Raffaele Pagnozzi capace di fare il presidente perché con me lo ha sempre fatto. Poi, la straordinaria scelta di chiamare Luca Pancalli segretario è vincente. Se abbiamo avuto conferma del finanziamento il merito è di Pagnozzi».

Durante i suoi mandati quanto la politica ha cercato di interferire?

«Con me non è mai entrata. La politica serve per varare le leggi a cui poi noi dobbiamo adeguarci».

Ma Lei dalla politica è stato tentato?

«Me lo hanno chiesto e mi ha fatto piacere ma la mia risposta è sempre stata negativa. Mi piace molto, troppo, il mondo dello sport e non ho voglia di lasciarlo. Poi sono sindaco di San Felice Circeo».

Quanto le è dispiaciuto aver dovuto rinunciare alla corsa per le Olimpiadi del 2020 con Roma?

«Durante un viaggio in Polonia lo scorso giugno con il premier Mario Monti, che a febbraio aveva detto no, ho capito. All’inizio ero amareggiato ma la situazione del Paese era difficile. Me ne sono fatto una ragione».

Alle ultime Olimpiadi di Londra abbiamo vinto 28 medaglie. Se le dicono che abbiamo conquistato podi in discipline non di primissimo piano, cosa risponde?

«Che tutte le medaglie sono uguali, e questo vale per tutti i Paesi. Sono contento che a Londra si sia allargata la forbice. Siamo ai primi posti del medagliere anche per la varietà».

Presidente, è confermata la data delle elezioni del Coni?

«Confermatissima: si voterà il 19 febbraio. Abbiamo già preso la delibera e nei tempi dovuti dirameremo l’ordine del giorno».

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II caso

Lello Pagnozzi verso la presidenza al posto di Gianni Petrucci. Si riapre il dibattito sull'immobilità delle nomine

Coni, si gioca sempre la partita delle vecchie glorie

Pensione Gianni Petrucci, ex Federcalcio, 67 anni, presidente uscente del Coni. È salito ai vertici nel 1999

DI SERGIO RIZZO - Corriere Economia -17-12-2012

Se, come sembra, andremo a votare a febbraio, la scelta del nuovo Parlamento precederà di qualche giorno altre elezioni: seppure non così decisive per le sorti dell'Italia, comunque fondamentali in un Paese di sportivi. Parliamo della presidenza del Coni, che attraverso la controllata Coni servizi gestisce 411 milioni di euro pubblici, ed è l'unico ente che in tempo di vacche così magre si vedrà aumentare nel 2013 il budget: più tre milioni.

L'attuale presidente Gianni Petrucci, 67 anni, è rimasto in carica tanto a lungo da ritrovarsi pensionato. Ex Federcalcio, ex manager-meteora della Roma di Giuseppe Ciarrapico, è salito ai vertici del Coni nel 1999 direttamente dalla Federazione basket. Al cui timone, una volta lasciata la presidenza del Comitato olimpico, dovrebbe ora tornare. Perché in una società gerontocratica come la nostra, dove nessuno molla mai e i posti di comando sono riservati preferibilmente ai pensionati, funziona così. E ancor di più in un mondo finora impenetrabile e autoreferenziale, condito da conflitti d'interessi a testata multipla e intrecci con la politica, come quello delle alte gerarchie sportive.

Inutile dunque meravigliarsi, tanto più scorrendo l'elenco dei presidenti delle varie federazioni. Dove ci sono casi di longevità ancora più strepitosa, come quello di Matteo Pellicone, 77 anni, al nono mandato da presidente della Federazione arti marziali, al cui vertice si è insediato nel 1981: mentre al governo si alternavano Arnaldo Forlani e Giovanni Spadolini, la politica era scossa dalla pubblicazione delle liste della P2 e a Miami ci lasciava le penne Bob Marley.

E siccome l'altra regola tipicamente italiana è il cumulo degli incarichi, ecco che stando al Codice civile Petrucci potrebbe mantenere ancora per un anno e mezzo (scade con il bilancio 2013) pure la presidenza di Coni servizi, che gli dà diritto a 184.500 euro lordi l'anno, da sommare ovviamente ai 176.321 euro dell'indennità di presidente del Coni, e alla pensione (immaginiamo più che dignitosa). La busta paga da sindaco di San Felice Circeo, dove Petrucci è stato eletto alle ultime amministrative, almeno quella è invece congelata.

Chi dovrebbe prendere il suo posto alla testa del Comitato olimpico, un anno esatto dopo lo scorno della mancata candidatura di Roma ai Giochi del 2020? Si sono candidati Giovanni Malagò, presidente del circolo Canottieri Aniene nonché patron della Samocar (la concessionaria romana di Ferrari e Maserati) e Simone Gambino, ex presidente della Federazione cricket. Qualcuno ha fatto circolare anche il nome della campionessa olimpica di scherma Valentina Vezzali.

Ma l'identikit del prossimo presidente è già tracciato, come in ogni successione dinastica che si rispetti. Si tratta di Raffaele (Lello) Pagnozzi, classe 1948, attuale segretario generale del Coni. Lo è dal 1993. È rimasto in carica così a lungo da ritrovarsi anch'egli pensionato. Non solo: da quando Coni servizi è stata costituita, lui ne è l'amministratore delegato. Guida in tandem con Petrucci un consiglio di amministrazione costruito con il bilancino della politica più stantìa.

Con loro, oltre al settantaduenne Romolo Rizzoli, da vent'anni presidente delle Federazione bocce, ci sono Claudio Gallo, in quota Lega Nord, e Riccardo Andriani, ex amministratore delle società immobiliari di Alleanza nazionale, un passato nel Fronte della gioventù. Nel collegio sindacale non poteva quindi mancare l'onnipresente Antonio Mastrapasqua, designato presidente dell'Inps dal governo di Silvio Berlusconi.

Incalzato dal nostro Daniele Dallera, il quale gli ha ricordato sul Corriere che c'è chi ha bollato la sua scalata alla presidenza come «il vecchio che avanza», Pagnozzi non ha fatto una piega: «Siamo un esempio di innovazione. La rottamazione mal si concilia con il Coni». Sarà. Ma è indubbio che al Comitato olimpico, come in certi partiti politici di casa nostra, bisognerebbe spalancare le finestre. C'è bisogno almeno di ricambiare l'aria. O no?

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BISOGNA SAPER VINCERE di MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 18-12-2012)

Bergonzi, il fischietto

che fa infuriare gli spalti

MAURO BERGONZI non vede, non sente, ma parla. Con fischi e cartellini, petto in fuori e ruota da pavone a spasso nei verdi pascoli del suo microcosmo. È arbitro internazionale, il ligure Bergonzi. Poliglotta. Traduce e sanziona un diffusissimo “fuck you” in Europa League. Conosce le nascoste sfumature della romanità. Il mimo di Francesco Totti che ufficialmente tace: “Altrimenti mi squalificano”, ma a Verona allargando braccia in ondulante movimento si è fatto capire. Il profilo egizio della sfinge di Boemia, Zdenek Zeman che agli aforismi ricamati con la stampa all’ epoca di Foggia: “Lei può fare la domanda, tanto io non le rispondo” ha preferito saltare in toto le telecamere del dopo gara. Il sorriso straniato di Daniele De Rossi che un giorno, quando le partite le iniziava dal principio, davanti a un Bergonzi più dialettico del 42enne di oggi, confessò di avere imitato la mano di Diego Maradona in un lontano Roma-Messina. Anche quella volta, Bergonzi non si era accorto di nulla. Ma di fronte all’assalto dei siciliani e all’imbarazzo con ammissione di De Rossi annullò un gol già convalidato e magnanimo concesse: “Non ti ammonisco”.

LE COSE cambiano. I tempi e le circostanze personali, incattiviscono. In carriera, Bergonzi ha fatto più di qualche cazzata. La prima, sezionata dall’impietoso grande fratello della moviola domenicale, avvenne a poche ore da un personale choc. Nelle stanze arbitrali atte a concedere il lasciapassare per superare Chiasso, gli fu preferito il collega Rocchi. Ingiustizia che l’anima rivoluzionaria di Bergonzi (magliette di Jim Morrison, curiosa tricologia tra il Travolta di Grease e Mal dei Primitives a cui somiglia non poco) trascinò in campo in occasione di Napoli-Juventus. Bergonzi fischiò due rigori al Napoli. Polverone mediatico con squalifica poi dimezzata dell’attaccante trattato da simulatore, Zalayeta e un’unica vittima, Bergonzi che nell’aula di Calciopoli, la raccontò così: “Fui sospeso per tre turni e dopo non ho più arbitrato la Juve per tre anni”. Verona è niente. L’ammonizione del diffidato Castan, un dettaglio. Il rigore su Totti un incidente di percorso. Solo una tempesta, neanche perfetta, per l’assicuratore di professione naufrago. Un giorno in Udinese-Lazio vide una squadra fermarsi e l’altra proseguire fino a fare gol. Ci si giocava l’accesso in Champions League. Miliardi. Era piovuto un fischio dagli spalti, ma come sempre, non era stato lui. In seguito diluviarono denunce e richieste di risarcimento milionarie. Il signor Bonaventura era già lontano. Di nero vestito. Libero di far danni. All’anagrafe, Bergonzi Mauro.

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Parola d’ordine di GABRIELE ROMAGNOLI (la Repubblica 18-12-2012)

Questo gol è dedicato a Gabriele Bordoni

Daniele Portanova

Il difensore & il difensore

anatomia del primo gol

dedicato a un avvocato

Il calciatore del Bologna e il suo legale sono una coppia tipo quelle composta da un pugile alla deriva e un agente tignoso: da film di Eastwood. Sanguigni, romani dentro, ultrà fuori, laziali. Una simpatia per Di Canio e anche per la destra

Dice che venerdì scorso Daniele Portanova «c’aveva il gatto». Mancavano quarantotto ore al suo rientro in campo dopo quattro mesi di squalifica, stava seduto davanti al suo legale Gabriele Bordoni e “fremeva”. Dice che «c’aveva lo sguardo da gara». Gli ha detto, il difensore del difensore: «Secondo me deve essere più preoccupato Cavani di te che te di lui». Due sere dopo, al San Paolo di Napoli, si è avverata la profezia. A volte succede. Quel che non era mai successo è che un calciatore dedicasse il gol della vittoria al suo avvocato (va bene, forse qualche juventino lucidamaniglie l’avrà fatto a suo tempo con l’Avvocato). Ma questi due sono una strana coppia, tipo quelle composta da un pugile alla deriva e un agente tignoso su cui fa un film Clint Eastwood e si riserva una parte per sé, digrignando i denti alla fine di ogni battuta.

Bordoni lo era stato davvero un boxeur, peso forma 74 chili. Oggi la bilancia ne registra appena 54. Venti li ha lasciati in studio e in tribunale, caso dopo caso. Quello per cui conosce Portanova è una vicenda di passi per invalidi utilizzati sulle auto dei calciatori del Bologna per entrare nel centro cittadino. Il capitano va da Bordoni e si prendono subito. Tutti e due sono, a dir poco, laziali. Per anni l’avvocato ha viaggiato tutte le domeniche tranne una per vedere la sua squadra. Poi è arrivata la dirigenza Lotito, ha fatto fuori Di Canio e lui non ha più messo piede in uno stadio dove giocava la Lazio. Che la simpatia per Di Canio sia anche una simpatia per la destra va da sé e per entrambi. Ma non ne parlano mai. Bordoni è stato con il Fronte della Gioventù e sarebbe ancora di quella parte «se quella parte ci fosse ancora». Oggi va più d’accordo con quelli che vent’anni fa erano i nemici, gli estremisti di sinistra, “i cinesi”, «almeno si sa su che cosa si litiga». Sanguigni, romani dentro, ultrà fuori, il difensore & il difensore fanno squadra. La partita diventa molto più grossa quando l’accusa per Portanova diventa quella di ilecito sportivo. Bordoni si toglie la tuta e sale sul ring. Combatte a colpi di ricorsi. Le pensa tutte e tutte le fa. Se il tribunale lo avesse ammesso avrebbe perfino chiamato a testimoniare Gianni Morandi, presidente onorario del Bologna, per affermare che il giorno della presunta combine Portanova era ubriaco. Prende sei mesi di squalifica. Li fa ridurre a quattro. Tenta un ricorso al Tar per disparità di trattamento con l’allenatore della Juve Conte, stessa pena, ma che avendo una data prefissata come limite può rientrare con una giornata d’anticipo. Se l’avesse vinta Portanova tornerebbe contro la loro Lazio. Va bene lo stesso: legge e ordine. E onore. Portanova alla Lazio aveva segnato, ma senza esultare. La curva non aveva capito. Va bene lo stesso. Capirà la prossima volta.

Portanova rivoleva il campo. Bordoni rivoleva Portanova in campo. Hanno passato domeniche a seguire le partite in tribuna. Mancava solo giocassero alla playstation.

«Avvocato, quanto manca all’alba? ».

«Sempre di meno. Poi c’è l’alta corte di giustizia, si sa mai, magari finisce anche prima».

Non finiva più.

La fascia di capitano passava a Diamanti. Il ricorso tornava al mittente. Il Bologna scendeva in classifica. Tornava Conte. Poi, finalmente, l’alba. Quarantott’ore all’alba in notturna, sotto i riflettori del San Paolo, davanti al Napoli ancora carico di illusioni. Cavani, chi è costui? C’ha forse il gatto?

Lo sguardo da gara? Quattro mesi di fame? Quando il Bologna si è ritrovato in aeroporto Portanova aveva la fascia da capitano nel bagaglio. Bordoni era ancora in studio, a dimagrire su un altro caso, con la stessa tigna, ma il cuore per una volta altrove. Alle tre del pomeriggio ha chiuso la porta ed è salito in auto, giacché «incompatibile a cose chiuse che si trovino in aria o in acqua». Ha guidato verso Napoli rispettando i limiti di velocità. Legge e ordine. Portanova è stato condannato, ha scontato, è tornato un uomo libero di giocare. Funziona così. Non si discutono le sentenze, non si discutono le conseguenze. La sera prima la Lazio aveva battuto l’Inter, che aveva battuto il Napoli. La giornata prima il Bologna aveva pareggiato con la Lazio. Se nel calcio esistesse la proprietà transitiva, il risultato impossibile non lo sarebbe stato più. Ma il bello del calcio, di quello che amano Bordoni e Portanova, è che a sovvertire l’ordine costituito non provvede la matematica, ma una rivoluzione senza regole. La partita è in pari, Diamanti sulla palla per il calcio di punizione, il difensore Portanova va in area. Il difensore del difensore pensa: “Se adesso vanno tutti su Gilardino quello salta di testa e...”. C’aveva il gatto, lo sguardo da gara, ha visto l’impossibile e, oplà, l’ha realizzato. A volte, il disordine è legge.

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CALCIOPOLI

Dondarini querela Narducci

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 18-12-2012)

TORINO. Arbitri alla riscossa. Nella Calciopoli degli assolti c’è chi sta contrattaccando l’inchiesta e chi l’ha condotta. E’ il caso di Paolo Dondarini che ha querelato il pm Giuseppe Narducci per diffamazione. Alla base della denuncia è il libro che il magistrato ha scritto proprio sulla sua inchiesta sul calcio, “Calciopoli, la vera storia”. «L’ho acquistato giovedì scorso», racconta Dondarini: «E a pagina 55 ho trovato un grave errore che danneggia la mia immagine. C’è scritto che il Gup mi ha condannato nel primo grado dell’abbreviato per reato associativo e aggiunge che la condanna è legata a sei frodi, cioè sei partite che vengono elencate. Insomma aggiunge quattro frodi alle uniche due per le quali sono stato condannato in primo grado e assolto in appello e mi imputa pure il reato di associazione a delinquere per il quale non sono mai stato condannato». Dondarini ha chiesto alla magistratura il sequestro cautelativo del libro in attesa di discutere la querela.

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