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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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LA JUVE E LA COMUNICAZIONE

Ma a che serve questo silenzio?

di ANTONIO BARILLÀ (CorSport 25-11-2012)

(...)

Negli ultimi giorni non ci sono stati veleni - anzi, a voler essere pignoli, l'unica frecciata è stata di Agnelli all'Inter, con l'amnesia dei cinque scudetti di fila attribuiti solo a Torino e Juventus -

(...)

ma che bell'esempio di giornalismo fazioso.

quando moratti pronunciava quelle astruse teorie piangine su presunti disegni arbitrali questo inetto di un giornalista dov'era?

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La corsa contro il tempo del calcio italiano:

“La politica non dimentichi la legge sugli stadi…”

di GIOVANNI CAPUANO (Calcinfaccia 25-11-2012)

L’appello di Barbara Berlusconi sembra caduto nel vuoto. Tra primarie, candidature nate e morte nel giro di una notte e infinite discussioni sulla legge elettorale anche la legislatura del governo dei tecnici sta andando a concludersi. Manca qualcosa? Manca tutto per il mondo del calcio italiano. Manca la legge sugli stadi che giace lì in Senato e sembra non volersi muovere tanto da lasciar sospettare che manchi la volontà politica (oltre all’attenzione) di farle fare l’ultimo passetto, quello decisivo. Il presidente della Lega Maurizio Beretta sceglie A tempo di Sport su Radio 24 per un ultimo appello.

Presidente Beretta ha il timore che si arrivi alle elezioni senza averla approvata?

“Purtroppo il timore c’è anche se mi auguro, condividendo l’appello di Barbara Berlusconi, che ci possa essere un sussulto. In fondo basta mezza giornata di lavori in Senato per arrivare all’approvazione”

Sta mancando la volontà politica di approvarla?

“Il momento giusto non c’è mai stato perché abbiamo dovuto sempre fare un lavoro in salita contro ogni logica. A parole sembra che gli stadi li vogliano tutti, ma quando arriviamo al come fare per renderlo possibile abbiamo avuto fuggi fuggi incomprensibili. Penso che il testo attuale sia equilibrato e che consentirebbe di fare impianti all’altezza di quelli europei senza costare un euro al cittadino”

Lei ci crede ancora?

“A rischio di passare per ingenuo voglio ancora sperare che, poiché tecnicamente l’approvazione è possibile in pochissime ore di lavoro, si possa fare. Non è un tassello ma la pietra miliare che serve per proiettare il calcio italiano nel futuro”

Senza quali conseguenze per il calcio italiano?

“I dati dicono che nei Paesi in cui ci sono stadi di nuova generazione e di proprietà gli introiti rappresentano un terzo del fatturato. In Italia siamo a meno della metà. La verità è che se non si approva questa norma noi costruiamo un meccanismo che allarga il divario di risorse economiche e sportive tra le squadre italiane e quelle degli altri paesi”

Il che tradotto in soldoni significa condannarsi a un futuro di ridimensionamento tecnico e, di conseguenza, economico. Come se non bastasse la crisi…

“Mi chiedo e lo faccio in maniera serena: è quello che vogliamo? Vogliamo penalizzare le grandi squadre del calcio italiano per piccoli distinguo sui meccanismi tecnici della legge o vogliamo chiudere questa legislatura con una norma che consenta nei prossimi anni un percorso con i club impegnati a costruire condizioni di equilibrio economico? Mi auguro che si decida anche in zona Cesarini uno scatto vincente per tutto il sistema. Ricordo che le società di A trasferiscono cento milioni di euro alle altre serie…”

Basterà per svegliare i senatori già proiettati verso la campagna elettorale?

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Joined: 18-Jul-2006
335 messaggi

ma che bell'esempio di giornalismo fazioso.

quando moratti pronunciava quelle astruse teorie piangine su presunti disegni arbitrali questo inetto di un giornalista dov'era?

nel giusto posto ispiratogli dal suo presidente piangina: a c@g@re!

Modificato da alf24

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EL CHARCO

Ética para Luiz Adriano

por SANTIAGO SOLARI (EL PAÍS 26-11-2012)

Asumo que todos vieron ya el gol más famoso de la última jornada de la Champions League y que están al tanto del sacrificio al que sometimos luego a Luiz Adriano a modo de ejemplo y expiación. Que lo que hizo Luiz Adriano es desleal no admite muchas discusiones, al menos que usted quiera quedar eliminado en primera ronda de la Copa Kohlberg. Pero, puestos en puristas, tampoco pareció ético lo que hizo Morten Nordstrand cuando un minuto antes cayó al piso, quizá exagerando un contacto y buscando que amonestasen a su rival. Al ver al jugador danés tendido, el árbitro interrumpió el juego. Si fuera cierto que el jugador del FC Nordsjælland fingió o exageró su caída, presionando al árbitro para detener el partido sin que hubiese razones para ello, ¿por qué el Shakhtar Donetsk debía devolver el balón a su rival?

Esta hipótesis no cambia en nada la valoración sobre el comportamiento posterior de Luiz Adriano, que se aprovechó de la confianza de los defensas tras el intento de su compañero por devolver el balón para marcar el gol, pero agrega un elemento que nos ayuda a enmarcar su acción. Tal vez Luiz Adriano pensaba que era injusto devolverlo en un primer momento y decidió subsanarlo por su cuenta, con una deslealtad más evidente. Precisamente, para evitar las tentaciones de reestablecer el equilibrio de manera individual a través de la venganza en un deporte tan dinámico que hace imposible atender a cada minuto a las razones de cada quién, existe el reglamento como elemento igualador. A veces los jugadores, con buenas intenciones, torcemos el reglamento creyendo que ayudamos al fair play y solo generamos una mayor confusión, sin lograr con ello más justicia, sino todo lo contrario. Sucede a menudo cuando se tira el balón fuera por lesiones aparentes que luego conllevan la obligación implícita de devolver la pelota al equipo que tiró fuera el balón, muchas veces el mismo al que pertenece el jugador que fingió la lesión. ¿Dónde está el fair play cuando uno debe devolver una pelota a un equipo que solo pretendía perder tiempo? También sucede a veces cuando, como en este caso, con el balón en juego, el árbitro interrumpe el partido y en su reanudación con un balón a tierra alguien elige omitir la disputa. El reinicio con balón a tierra se disputa, precisamente, porque no siempre es posible determinar a quién hubiera favorecido la acción cuando esta se interrumpió, y tampoco parece muy práctico abrir un juicio sumario y tomar declaración a cada jugador antes de reiniciar.

Sin embargo, lo más delicado no es que se cometan injusticias partiendo de las buenas i ntenciones, sino percibir que muchas veces los jugadores se obligan a realizar acciones que aparentan fair play solo porque existe una enorme presión social.

En esta ética fashion, impuesta como una fotocopia de la estética, esta queda relegada solo a lo políticamente correcto. Es ahí donde el fair play deja de ser lo que pretende y se convierte en un producto de teletienda. Cómprelo en su comercio amigo y siéntase virtuoso sin esfuerzo.

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la Ġazzetta dello Sport 26-11-2012

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L'ECO DI BERGAMO 26-11-2012

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 26-11-2012)

Striscioni e silenzio: vergogna

a S. Siro, Bergamo e Lecce

Vergogna a S. Siro, Bergamo e Lecce. Purtroppo il calciatore Arcidiacono non si è reso conto di cosa ha fatto: quella scritta sulla maglietta, "Speziale innocente", ha trovato subito facili imitatori (idioti). E' successo a San Siro, con uno striscione messo dalla curva milanista, "Speziale e Micale innocenti. Onore ad Arcidiacono" (già punito dalla giustizia sportiva e daspato: fino alla prossima estate starà a casa, a riflettere). Altro striscione a Lecce: "Speziale innocente, adesso diffidateci tutti". Speriamo che qualcuno di questi pseudo-tifosi, magari con relativa tessera perché abbonati, sia scoperto dalle rispettive questure. A proposito, aspettiamo ancora che quella di Verona identifichi gli incivili che hanno offeso a Livorno la memoria di Morosini: sinora sono stati scoperti solo quattro. Come mai? Le immagini mandate da Livorno non bastano? Eppure non dovrebbe essere complicato scoprirli... Ultimo episodio della domenica, gli striscioni di Bergamo: i sostenitori dell'Atalanta se la sono presa con alcuni quotidiani (preso di mira soprattutto un giornalista della Ġazzetta), la polizia, i ladri, l'ex presidente Ruggeri, eccetera. Lo striscione non è mai stato rimosso durante. L'Atalanta ha fatto finta di niente: non una parola, non un comunicato. Il presidente Percassi dovrebbe vergognarsi: d'altronde era stato visto su un palco con un tifoso pluridaspato... Vediamo ora che farà la questura di Bergamo. Potrebbe essere materiale interessante da aggiungere all'inchiesta già avviata dalla magistratura bergamasca sui "rapporti proibiti" fra ultrà e società di calcio. E anche la procura Figc dovrebbe (potrebbe) intervenire: Palazzi, quando vuole, sa fare in fretta e a Bergamo c'erano sicuramente i suoi 007. Per finire, Roma: continua l'inchiesta della Digos sull'agguato al pub di Campo dè Fiori. Non ci sono state le aggravati razziste (anche se alcuni testimoni avrebbe sentito le grida "ebrei di ...") nei confronti dei due arrestati, ultrà della Roma pur non appartenenti a nessuna sigla (sportiva e politica). Restano da scoprire gli altri componenti del raid: ci sono laziali? Stranieri? Quanti erano? Ci sono state provocazioni inglesi come sostiene qualcuno? E si attende anche la decisione dell'Uefa per i cori razzisti allo stadio: la Lazio, come noto, aveva già pagato 40.000 euro di ammenda per l'andata con il Tottenham (cori razzisti anche ieri a Londra, da parte dei sostenitori del West Ham, nei confronti del club fondato dalla comunità ebraica: che dice ora il Times?).

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Chanting of indefensible kind brings

shame to West Ham supporters

by RON LEWIS (THE TIMES 26-11-2012)

West Ham United supporters disgraced the club yesterday by taunting Tottenham fans throughout the game with chants refering to the incidents in Rome last week when a group of Spurs supporters were attacked in a bar and one man seriously injured after being stabbed.

Visiting fans were heard to shout “Viva Lazio” throughout the game, exalting Tottenham’s opponents in their violence-marred Europa League fixture last Thursday. During the second half, after Spurs fans ridiculed the West Ham corner of the stadium with the chant “Can we play you every week?”, some visiting fans jeered back “Can we stab you every week?”

There were also reports that hissing sounds were heard from the away end, a vile reference to the gas chambers at concentration camps during the Second World War. Tottenham have a strong Jewish following and the offensive noise follows Lazio fans chanting “Juden Tottenham” during the 0-0 draw in Rome.

André Villas-Boas, the Spurs head coach, did hear some of the chants, but said he did not want to deflect from the performance of his side. “You know the animosity there is between Tottenham and West Ham. As long as it doesn’t reach stupidity, it’s a great, great rivalry of two London clubs,” he said. “It would be extremely unfair of me to mar the performance of the players, but a couple of situations are avoidable. But we can’t decipher the complete meaning of what they were saying.”

Sam Allardyce, his West Ham counterpart said he had not heard the chanting: “I don’t hear what the fans say or do when I’m concentrating on the game. They shouldn’t be doing things like that. If I didn’t hear it, I can’t condemn it.”

There was good news for Spurs over Sandro, the midfielder who was carried off on a stretcher after a blow to the stomach. Villas-Boas said that he would be fit for the home match against Liverpool on Wednesday evening.

Allardyce said his West Ham side face a tough challenge to find some form in the difficult series of matches ahead after saying they looked overawed as they failed to compete with a rampant Tottenham. West Ham are away to Manchester United on Wednesday and then face Chelsea and Liverpool in back-to-back fixtures.

“I’d like to be able to defend players, but we got shown up with some defensive frailties and our in-possession play wasn’t good enough,” Allardyce said. “We looked like we were overawed and I don’t know why, because Tottenham had lost three of their last four.”

The booking for Mark Noble means he will be suspended for the match at Old Trafford.

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Vorrei leggere, in Italia, editoriali contro le infamità perpetrate ai danni di Gianluca. E, per la cronaca, il caro F.Bianchi, prima di sparlare del Times, dovrebbe farsi un bell'esame di coscienza ed osservare lo stato dell'informazione italiana.

Modificato da Ghost Dog

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 26-11-2012)

La nuova strategia Juve

basta con le polemiche

Trascorre quasi mezz'ora tra la fine della partita sul campo e l'inizio delle parole in tv. E' una mezz'ora importante per la Juventus, penalizzata da un errore degli arbitri proprio una settimana dopo le furibonde polemiche innescate dall'Inter, e prontamente raccolte, sull'angosciante tema Calciopoli. E' importante perché nulla di ciò che viene detto dagli uomini bianconeri dopo la sconfitta col Milan è casuale, ma è certamente frutto di un pensiero, di una scelta, di una direttiva: quella di farla finita col gioco al massacro della contabilità dei soprusi subiti, e di sospendere lo sport tutto italiano del complottismo. Non è un caso, crediamo, neppure che abbiano parlato tutte le componenti del club: l'allenatore in seconda Alessio - che pure ha voluto marcare la differenza di questa nuova strategia di comunicazione ipotizzando gli sfaceli che sarebbero seguiti a un errore arbitrale a maglie inverite - il direttore generale Marotta, il capitano Buffon. La loro sintesi è stata esemplare, una lezione di buoni propositi da tenere bene a mente: abbiamo perso perché abbiamo giocato male, non siamo stati noi stessi, gli altri sono stati migliori.

Certo, in tanti lo pensano e qualcuno lo dice: la Juve, così, si è assicurata un credito per il futuro. Rinunciando alle polemiche di prassi dopo una partita persa 1-0 con un rigore che non c'era, costringerà gli altri a non protestare quando avrà dei vantaggi, togliendo argomenti a chi la accusa da sempre di essere la principale beneficiaria dell'eterna sudditanza psicologica degli arbitri. Ma sono pensieri o parole che oggi contano poco, di fronte all'evidenza di quanto visto a San Siro: la forza di ammettere le proprie debolezze di fronte alla tentazione di nasconderle dietro un alibi, pure a portata di mano. E soprattutto, lo sforzo di cambiare musica, aria, linguaggio, copione. Che sia oppurtunistico o meno, francamente, non interessa più di tanto. Nel calcio delle urla, è un sollievo che qualcuno scelga di abbassare la voce. Vedremo se e quanto durerà, e chi avrà il coraggio di seguire l'esempio.

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RAFFAELE CANTONE

«Soldi, potere, consenso

Ecco perché il calcio è il

gioco preferito dei clan»

Intervista al magistrato anticamorra, autore di un libro

sull’infiltrazione delle mafie nel mondo del football

«Il mito che col pallone si perda denaro è falso. Le cosche l’hanno capito»

«Maradona nella vasca dei Giuliano fu una legittimazione sociale enorme»

«Il problema non è che Lavezzi frequenti un boss ma chi fa da tramite»

«Sculli, Mauri, Signori. L’evoluzione della specie è il calciatore affarista»

di BORIS SOLLAZZO & MATTEO PATRONO (Pubblico 26-11-2012)

«Ho più problemi ora che parlo di calcio che quando facevo i superprocessi di Camorra ». Gioca con l’ironia Raffaele Cantone mentre manda giù un caffè mattutino al bar della Suprema Corte di Cassazione dove lavora come giudice all’ufficio del Massimario. Lui che da pm della Direzione distrettuale anti-mafia ha contribuito alla condanna definitiva dei boss casalesi nel processo Spartacus e indagando sui loro affari fuori dal casertano ha svelato il tentativo di scalata criminale a un club di serie A, ha dato alle stampe un libro sui pericolosi rapporti che intercorrono tra il calcio inteso come giocatori, club, tifosi, sistema, e la mafia intesa come mafia. Si intitola Football Clan. Perchè il calcio è diventato lo sport più amato dalle mafie (Rizzoli), sembra un romanzo e Cantone, 49 anni, abbonato in curva A ai tempi del Napoli di Krol prima di entrare in magistratura, l’ha scritto col giornalista dell’Espresso Giulio Di Feo. È un racconto scomodo e coraggioso su come a partire dagli anni ’80 il calcio sia diventato terreno fertile per gli interessi criminali di Camorra, Cosa Nostra, ’Ndrangheta, Basilischi, signori di Singapore. Un pezzo di società civile infiltrato e inquinato dalle cosche al pari della politica e dell’economia nazionale. Una torta troppo grande per non suscitare gli appetiti di lucro, potere e consenso della mafia postmoderna, un’agenzia di servizi in giacca e cravatta che ha scoperto nel calcio un partner ingenuo, bisognoso di soldi liquidi, sempre disposto a chiudere un occhio. Di questo ambiente colluso e connivente, Cantone consegna una radiografia da gelare il sangue ma anche una serie di proposte concrete per provare a disinfestarlo. «Perchè continuando a lasciarsi vampirizzare dalla mafia, il calcio rischia di perdere ogni credibilità e fare la fine dell ’ippica, una vecchia tradizione abbandonata da tutti». Parola di un appassionato che ogni gol del Napoli è un tuffo al cuore e una disquisizione tecnico-tattica col figlio adolescente.

Ecco cominciamo proprio dal Napoli. La settimana scorsa Ezequiel Lavezzi è tornato in città per testimoniare a un processo di Camorra e raccontare come lui, col boss Antonio Lo Russo, ci giocasse alla playstation senza sapere neanche chi fosse. Cosa ne pensa, da tifoso e da magistrato?

Questa storia, lo confesso, la trovo molto inquietante. Ed emblematica. Per un tifoso normale, avvicinare Lavezzi ed entrare in confidenza con lui o farsi una foto con Marek Hamsik come successo al boss degli Scissionisti Domenico Pagano, è proibitivo, praticamente impossibile. Qui invece, per loro, sembra facilissimo. Come si crea questa osmosi? Chi fa da tramite? Nel caso di Lavezzi a metterli in contatto sarebbe stato Marco Iorio, un imprenditore di successo che aveva pizzerie in tutta Italia e aveva capito che il calcio poteva aprirgli le strade dei salotti buoni, che la sola presenza teorica di un calciatore in società con lui (Fabio Cannavaro, ndr), dava un’apparenza diversa alla sua società e all ’intera città. Poi si è scoperto che riciclava denaro per la Camorra e le sue fortune erano legate al barone dell’usura, Bruno Potenza, detto o’ Chiacchierone. Io credo pure alla buona fede di Lavezzi, è argentino, cosa sa della camorra? Magari per lui Lo Russo è un ragazzo un po’ gradasso ma simpatico, che piace alle donne e ha tanti soldi in tasca e belle macchine, proprio come lui. Uno che ha una serie di interessi simili, non si pone il problema di che fa per vivere Lo Russo.

In fondo lo faceva già Maradona, 20 anni prima di lui. Cosa è cambiato da allora?

Frequentando la casa dei Giuliano, facendosi fotografare nella loro celebre vasca a forma di conchiglia, Maradona opera una legittimazione incredibile della Camorra in una città che lo ama alla follia. Non si fa ricevere in una casa lussuosa di Posillipo o a Capri. No, va a Forcella, che all’epoca aveva ancora i tubi innocenti del terremoto, un quartiere degradato con una casa principescamente arredata. Magari i Giuliano erano simpatici e Luigino Giuliano componeva belle poesie e belle canzoni, e per questo piacevano a Maradona, però lui per loro rappresentava una legittimazione sociale enorme. E parliamo di uno che, da pentito, ha confessato di essersi inventato il totonero. E quale legittimazione maggiore poteva esserci per il creatore di quel gioco e di quel sistema che la conoscenza col grande Diego? Manifestare di avere rapporti così ad alto livello era per tutti una garanzia. L’orga - nizzazione mafiosa rispetto alla società civile è ancora più affamata e bisognosa di immagini e simboli, e lui glieli diede. Aver portato Maradona a Forcella ha un effetto clamoroso sul prestigio criminale ed economico del clan. Lo Russo aveva interesse a incontrare Lavezzi per gli stessi motivi.

Ha mai creduto alle rivelazioni dei pentiti sullo scudetto dell’88 venduto alla Camorra per non far saltare il banco del totonero?

Io sono abituato a ragionare sui fatti e certe dichiarazioni non sono suffragate dai fatti, molti di quei pentiti hanno parlato di voci che hanno sentito, nessuno è stato mai in grado di raccontare episodi specifici che potessero dimostrarlo. Da tifoso posso anche ammettere di aver notato delle stranezze, ma invito tutti ad essere molto attenti, perché dar credito a certe voci alimenta il mito. Naturalmente i rapporti di Maradona con certi ambienti possono suffragare certe dicerie, anche perché senza Diego consenziente non si poteva certo perdere uno scudetto. Il pibe piuttosto è l’emblema dell’effetto sanante del successo. Se porti risultati, ti si perdona tutto, un po’ come avvenne per il primo calcioscommesse e poi per Calciopoli, sgonfiati dalle vittorie ai mondiali del 1982 e del 2006. Di fronte a un grande calciatore si può chiudere un occhio. Anzi, tutti e due. Pensate all’associazione «Te Diegum», ancora in piedi: gioca sulla sacralità del Te Deum, e ad essa nell’epoca d’oro partecipava il meglio della classe dirigente partenopea. Era un’associazione nata con un assunto molto semplice: Maradona non si discute, si ama. E «Te Diegum» oggi sostiene che Maradona può venire a Napoli quando vuole, che nessuno se ne frega nulla della storia dell’evasione fiscale. Questo meccanismo mi sembra difficile riscontrarlo in altri campi: è come se i vizi privati di un politico venissero perdonati perché è un vincente. Oddio, forse è successo, ma in modo diverso.

Lei si è occupato in prima persona della scalata dei Casalesi alla Lazio. Una vicenda che comincia con uno sconosciuto industriale di Mondragone, Giuseppe Diana, che propone a Lotito di sponsorizzare la squadra in Europa pagando in contanti.

Non voglio difendere Lotito, ma almeno in questo caso si trovava in una situazione molto complessa, doveva fronteggiare una serie di problemi dovuti alla gestione Cragnotti che aveva affidato merchandising e organizzazione delle trasferte agli ultras: c’era un gruppo di tifosi che lo faceva di mestiere e con interessi economici consistenti. Tanto che per il cambio di rotta Lotito subisce contestazioni e minacce da parte di una tifoseria legata all ’estrema destra e ambienti criminali tipici di un certo milieu romano. Lotito capisce che c’è qualcosa che non torna in quella proposta: Diana distribuisce gas e solo nella provincia di Caserta. Perché spendere un milione di euro per far pubblicità a un prodotto che è pure in via di estinzione sul mercato a causa del metano? La risposta, francamente, sembra solo una. E così deve essere sembrato anche al presidente della Lazio. Che rifiutò ma non denunciò nulla.

E il ruolo di Long John Chinaglia, il volto della fantomatica industria farmaceutica ungherese dietro cui si nascondevano i casalesi per riciclare i loro proventi illeciti nascosti all’estero?

Credo che Chinaglia sia stato più ingenuo che disonesto. Ricordo ancora uno strano commercialista che tentò di acquistare il Napoli di Ferlaino con dei Cct falsi, poi fu scoperto e la cosa saltó. La verità è che quando entri in questi mondi, esistono meccanismi di sostanziale autofinanziamento: ti rivolgi alle banche, hai un brand particolarmente forte da mettere sul mercato e loro ti finanziano e vai avanti. Certe squadre sono materiale finanziabile e garantiscono rapporti con una serie di mondi che per i più bravi possono portare a un autofinanziamento. Se sei Moratti, certo, non ne hai bisogno, se sei Berlusconi hai bisogno d’altro. Peró è un falso mito che col calcio si perdano soldi. E le mafie lo hanno capito.

Nel vostro libro, c’è un calciatore che è un po’ il simbolo di questa commistione tra calcio e criminalità. L’ex attaccante di Lazio e Genoa, Giuseppe Sculli, nipote del boss calabrese Giuseppe Morabito.

Sculli è paradigmatico di molte cose a partire da una giustizia sportiva che, anche e soprattutto non per colpa sua, funziona male. L’indagine legata a Crotone-Messina è illuminante. Lì si parlava di capicolli per addomesticare alcuni risultati del campionato di serie B. Le prove della frode sportiva sono arrivate solo dopo gli accertamenti penali, quando l’effetto deterrente della squalifica era scomparso perché nel frattempo il calciatore aveva visto la sua carriera impennarsi. Ma anche le vicende successive dimostrano che lui si muove con una logica che dovrebbe inquietare. Prendiamo Genoa-Siena, la gara della scorsa stagione interrotta per volontà degli ultras che costringono i giocatori a sfilarsi le maglie. Sculli si copre la bocca, è l’unico a comunicare con un mondo di una tifoseria complicata. Anche là ci sono soggetti particolari, coinvolti in traffico di droga e altri eventi criminali. Dimostra per lo meno di muoversi con un certo agio in certi ambienti. Ancora, Sculli è coinvolto nelle indagini sull’ultimo calcioscommesse. Che lo vedono allacciare e gestire rapporti anche a Roma, in un giro che comprende ex esponenti della Banda della Magliana. Il che fa pensare che lui sia un elemento che può far da riferimento per certi interessi un po’ovunque, che abbia sponde in tutti i posti in cui gioca. La sua carriera avrebbe avuto un senso diverso con una condanna più severa e tempistica ai tempi dei capicolli. Forse persino a lui, se possibile, avrebbe fatto bene per migliorare.

È un discorso che vale anche per il laziale Mauri, che continua a giocare da mesi nonostante su di lui gravino accuse pesantissime per le scommesse?

In questi casi io ravviso un’enorme ipocrisia, soprattutto nelle società e nei tifosi. Non mi pare che lo considerino un esempio negativo: l’una lo fa capitano, gli altri lo elogiano e lo amano. Si fa finta di non vedere, si giustifica tutto, in nome del tifo e di contratti che sono troppo onerosi per far questioni di principio.

Mauri, Signori, Sculli. Sono i gattopardi del calcio, il terzo livello del pallone?

Il calcio è uno strano ambiente, se ci entri non ne esci più, diventando allenatore, direttore sportivo, osservatore. Ora scopriamo che l’evoluzione in peggio della specie è che puoi rimanerci anche facendo l’affarista. Chi poteva avere il background per entrare in certi mondi, per raccogliere certe voci determinanti nelle scommesse, su chi non si è allenato bene in settimana, chi si è infortunato, chi è indisciplinato o non visto dall’allenatore o chi non prende gli stipendi da un po’, se non un ex calciatore? Il punto è che tutto è collegato a un mondo delle scommesse che non siamo abituati a fronteggiare e finiamo per accontentarci dello stereotipo del calciatore ingenuo e sprovveduto. Invece andrebbero vietati alcuni tipi di scommesse facilmente condizionabili, tutte quelle dalla Lega Pro in giù. Sono criminogene, perché entrano in un mondo in cui gli interessi economici sono ridotti all’osso. Qui spesso i calciatori rischiano di non essere pagati. E se sulle loro partite puoi scommettere somme ingenti, realizzando filotti milionari, allora puoi comprarti mezza squadra senza problemi. Servono interventi legislativi che presuppongono un coraggio che purtroppo faccio fatica a pensare verrà trovato.

Eppure nel vostro libro offrite alcune soluzioni per cambiare le cose.

Sono tante le cose che devono cambiare a partire dalla giustizia sportiva. Possiamo continuare a considerarla pari a qualsiasi altra giustizia privata pari a quella dei probiviri di un circolo del tennis o di un club qualsiasi? Qui parliamo di un mondo che muove milioni di euro ma dove le frodi sportive hanno profili penali assolutamente sottovalutati. Perché non creare gruppi specializzati come successo, ad esempio, per i Nas? Li abbiamo inventati noi per fermare i furti e i traffici di oggetti archeologici, ce li hanno copiati in tutto il mondo e ora perché non usarli per il calcio? È necessario migliorare il coordinamento europeo, creare un’uniformità legale internazionale in materia: abbiamo capito che le scommesse non hanno confini, che attraverso le puntate in rete il denaro viene ripulito e trasferito all’estero senza lasciare traccia e con l’avallo dello Stato che si fa complice delle cosche. È ora di prendere misure impopolari e poco spendibili a livello elettorale ma assolutamente necessarie. Altrimenti faremo la fine dei cavalli.

Modificato da Ghost Dog

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Pubblico 26-11-2012

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CALCIOSCOMMESSE

Gegic oggi in Italia per costituirsi:

sarà interrogato mercoledì

Il capo del clan degli “zingari” è ritenuto coinvolto in almeno metà delle gare sotto inchiesta

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 26-11-2012)

MILANO - E’ il giorno di Almir Gegic. Il capo degli zingari, colui che è stato coinvolto in molte delle partite combinate della vicenda del calcio scommesse, è atteso oggi pomeriggio alle 18 all’aeroporto di Malpensa. Prenderà un volo da Belgrado e, dopo quasi un anno e mezzo di latitanza, si costituirà alle autorità italiane. I legali che lo assistono hanno comunicato ai magistrati di Cremona, il gip Salvini e il pm Di Martino, lo sbarco del loro assistito già da qualche giorno, ma dal Palazzo di giustizia della città sul Po non filtrano commenti e non arrivano conferme. In passato, in più occasioni, sia Gegic che Ilievski, l’altra mente degli zingari, avevano mostrato la loro volontà di “arrendersi”, salvo poi recedere dal loro intento all’ultimo momento. Stavolta non dovrebbero esserci sorprese perché l’arrivo di Gegic è stato pianificato in ogni dettaglio dall’avvocato Kresimir Krsnik, legale di Zagabria con un passato da militare nella guerra tra Croazia e Serbia e difensore (insieme a Marcello Cecchini) di tre membri del gruppo degli zingari (Saka, Ribic e Lalic). L’ex centrocampista del Bellinzona da tempo non riusciva più a vivere da latitante e, consigliato dall’avvocato Roberto Brunelli, ha preso la sua decisione conscio che dovrà pagare il suo debito con la giustizia italiana. Lo stesso faranno Ilievski, atteso tra una settimana, massimo dieci giorni, e Suljic, l’ultimo degli zingari che non si è ancora costituito.

QUARANTA GARE - Pur in ritardo di un anno e mezzo rispetto alla prima ordinanza di custodia cautelare in carcere, dunque, per Gegic si spalancheranno le porte della casa circondariale di Cremona. L’interrogatorio di garanzia è previsto per mercoledì di fronte al gip Salvini, ma nei giorni successivi verrà ascoltato anche da Di Martino. Nelle oltre 90 gare che la Procura di Cremona sta passando sotto la lente d’ingrandimento, quasi la metà vedono coinvolto Gegic. Numeri che fanno capire quando il serbo sia ritenuto figura chiave nello scandalo del calcio scommesse. Resta solo da capire quale sarà il suo atteggiamento: se collaborerà in maniera fattiva aggiungendo nuovi particolari e altri incontri “scottanti” o se limiterà il suo coinvolgimento nella vicenda al semplice acquisto di informazioni da parte di giocatori infedeli (Gervasoni e Carobbio). Interessati anche i magistrati di Bari visto che gli zingari hanno operato pure in Puglia.

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L’inchiesta di Cremona

Scommesse, si costituisce lo zingaro

art.non firmato (IL MATTINO 26-11-2012)

Da mesi aveva annunciato che sarebbe tornato, stanco della latitanza. Ora dovrebbe essere la volta buona: Almir Gegig, ex calciatore serbo nei confronti del quale nel giugno del 2011 era stata emessa dal gip di Cremona un’ordinanza di custodia cautelare per la vicenda del calcioscommesse, ha deciso e andrà a Cremona, dove, mercoledì o giovedì sarà interrogato dal gip Guido Salvini e poi dal procuratore Roberto di Martino. Di cose Gegic ne ha da raccontare parecchie: ex calciatore, anche della formazione svizzera del Chiasso, è ritenuto uno tra i capi del gruppo degli Zingari, incaricato di pagare i calciatori italiani che si vendevano le partite. Il serbo ha preso la decisione di tornare per la serenità della sua famiglia (ha una figlia di quattro anni) e se, come promesso, racconterà tutto quello che sa, probabilmente la lista degli indagati nel registro della Procura di Cremona è destinato ad allungarsi (sono ben oltre cento), in un’inchiesta che ha visto arresti clamorosi come quelli dell’ex capitano dell’Atalanta, Cristiano Doni e della Lazio, Stefano Mauri, e il coinvolgimento del tecnico della Juventus, Antonio Conte.

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CALCIOSCOMMESSE POSSIBILE SVOLTA NELL'INCHIESTA

Gegic è atteso stasera a Cremona

Il serbo latitante dal primo giugno 2011

di FRANCESCO CENITI (GaSport 26-11-2012)

È atteso nel tardo pomeriggio (o al massimo domani) da Belgrado l'arrivo in Italia di Almir Gegic, ex calciatore che ha deciso di costituirsi dopo quasi un anno e mezzo di latitanza: già nel primo giugno del 2011 nei suoi confronti c'era una richiesta di arresto della Procura di Cremona per l'inchiesta sul calcioscommesse. Gegic è ritenuto uno dei personaggi di spicco del gruppo degli slavi che negli ultimi anni avvicinavano i calciatori italiani offrendo denaro in cambio di «informazioni»: in pratica li pagavano per alterare il risultato e puntare a colpo sicuro cifre importanti. In particolare la «collaborazione» era stretta con Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio, entrambi arrestati lo scorso 19 dicembre e diventati poi collaboratori di giustizia. Nei mesi scorsi l'ex calciatore, che aveva giocato in Svizzera nel Chiasso ma anche con il Vicenza a inizio carriera, aveva manifestato l'intenzione di venire in Italia e di raccontare ciò che sa sul sistema del calcioscommesse. Sarà interrogato mercoledì o giovedì dal gip di Cremona Guido Salvini. E l'arrivo di Gegic potrebbe non essere il solo: anche l'altro latitante Ilievski (considerato il vero capo della banda) potrebbe costituirsi nelle prossime settimane. Sono oltre 100 i calciatori indagati a Cremona dal pm Roberto di Martino.

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Wesley Sneijder and Fernando Llorente left to

sit and suffer as clubs put high price on loyalty

by GABRIELE MARCOTTI (THE TIMES 26-11-2012)

When it comes to football, loyalty means different things to different people. And the step between stardom and anonymity can be tiny.

Wesley Sneijder and Fernando Llorente have a fair few things in common. At 28 and 27 respectively, they are at the peak of their careers. They are proven world-class superstars.

Three years ago, Sneijder led Inter Milan to a treble of the Champions League, Serie A and Coppa Italia, and carried Holland to the World Cup final. He has won league titles in Holland, Spain and Italy, already scored more goals than any midfielder for the Dutch national side and is likely to retire as one of their most capped players.

Fernando Llorente’s 6ft 5in frame and knack for goals make him one of the most coveted target men in Europe. He scored 48 times in the past two seasons and was part of the Spain squad that won the World Cup and the European Championship.

The other thing they have in common is that neither is likely to play much any time soon, not because they are unfit (Sneijder was injured, but he’s OK now) but because their clubs are strong-arming them.

Llorente has been on the market for the past few transfer windows after refusing to extend his contract that expires in June. He’s been linked with a dozen clubs, from Real Madrid to Tottenham Hotspur, with Juventus looking the most convincing suitors. Athletic Bilbao refuse to sell for less than his release clause, £29 million.

Other clubs — knowing that the Basque side could lose him for nothing in June — offered less, thinking Athletic would rather get something for him now than nothing at the end of the season. But Josu Urrutia, the club president, would not budge, and perhaps it is not surprising.

A former spiky defensive midfielder, he spent his entire life at the club and was later elected to the top spot. He bleeds Basque and Bilbao and was not going to let anyone bully the club into discounts. Indeed, he played a similar game of chicken with Bayern Munich over the club’s other prized asset, Javi Martínez, the defensive midfielder, and the Germans eventually paid his entire get-out clause, all £32.3 million, in the summer.

As Santiago Segurola, the Spanish journalist, writes, Urrutia was the kind of Bilbao born and bred home-town hero type who “never took more than five minutes to sign a new contract”.

Whether he regards Llorente as a traitor is debatable, but it’s fairly obvious that’s the sentiment among many Bilbao fans. Indeed, in a recent away match at the Bernabéu, he was actually applauded by the Real supporters, while his own fans watched with indifference. Either way, he has not started a league match this season, officially because the side are building without him since he will be leaving, unofficially, perhaps, to teach him — and future contract rebels — a lesson.

Sneijder is a slightly different case, one caught in a perfect storm where nothing goes his way. In the autumn of 2010, he signed a five-year deal that pays him about £200,000 a week. But in the summer Inter made deep cuts to their payroll as part of their rebuilding effort. Even before that, they quietly shopped him around Europe — he was linked to Manchester United for a while — only to find that his enormous wages scared off prospective buyers.

This season, he was injured in September and the team went on a winning run without him. Perhaps it is a coincidence, but now Inter want him to take a pay cut in exchange for a longer deal. Instead of the £20 million over two seasons they will owe him from 2013 to 2015, they want to sign him up through 2017 for £30 million. Understandably, he is balking at that offer.

And so, Marco Branca, the Inter director of football, told reporters that Sneijder would not play until he accepted. Just to reinforce the point, he made sure his words were carried on the Inter website.

“We’ve been negotiating with him for a while and we need to modify his contract,” Branca said. “We want to give him time to think about it and so we won’t be using him for the time being.” In other words: take a pay cut — which, among other things, will make it easier for us to sell you — or sit on your backside. In the latter case, it is bound to have an impact on his international career as well.

You are only going to have so much sympathy for a guy like Sneijder, who makes £200,000 a week, or Llorente, who will not be making much less than that when he signs his next deal. But it does make you wonder when two guys who are arguably in the top ten in the world in their respective positions are being prevented from playing as much as they should (or at all, in Sneijder’s case) for non-footballing reasons.

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Il fatto è che al lunedì non si

parla altro che di quel rigore

di GIAMPIERO MUGHINI (tiscali: socialnews 26-11-2012)

Torno a parlare di calcio perché al lunedì mattina le dieci persone che ho incontrato nell'andare a comprare i giornali, solo di quello mi hanno parlato e interrogato. Se sì o no c'era il rigore a favore del Milan che ha determinato il Milan-Juve 1-0 di domenica sera. Me ne ha scritto proprio adesso un mio amico juventino che vive non lontano da Milano. Che il rigore non ci fosse minimamente mi pare talmente ovvio, persino superfluo da commentare. Che la Juve avesse contratto con il Milan un debito d'onore dopo che quel pallone calciato da Muntari era entrato nella porta bianconera di un metro abbondante e l'arbitro aveva invece detto di no, mi pare altrettanto superfluo da commentare tanto era evidente. E difatti ho risposto via mail al mio amico juventino che i debiti d'onore si pagano e che la Juve ieri sera lo ha pagato. Semplice semplice. Più semplice di così.

E invece non è semplice affatto, perché la linea divisoria tra juventini e anti-juventini in Italia è più netta e minacciosa di quanto non lo fosse la linea divisoria tra neri a bianchi nell'Africa del Sud ai tempi dell'apartheid. Impressionante un mio amico milanista che mi mandava sms in continuazione durante la partita, a lui non passava per la testa di dire che quel rigore non c'era proprio per niente. Accecato dallo spirito di fazione continuava a ripetermi che il Milan stava surclassando i bianconeri. Che cosa non si fa e si dice per amore calcistico. Esemplari erano poi i giudizi dei commentatori di Sky, anche loro attentissimi a non molestare l'antiuventinità, ovvero i due terzi dell'audience televisiva. Quell'errore fosse stato fatto a favore della Juve, già avremmo sentito per strada i cori di cortei rabbiosi e minaccianti.

Sono anzi arcisicuro che nei secoli si continuerà a parlare del gol (validissimo) di Muntari e invece il meno possibile della topica arbitrale di ieri sera. Che poi il Milan sia stato un ottimo Milan - sopratutto in difesa e nel chiudere i varchi, tanto che il portentoso El Sharaawy ha giocato una buona parte della gara da terzino, e questo attesta che formidabile giocatore moderno sia, e questo in particolare nel primo tempo, è fuori di dubbio. Che la Juve sia stata prima mediocre e poi prevedibile, è fuori di dubbio. Solo che senza quel rigoretto caduto dal cielo, la partita finiva 0-0. Né più né meno. Mica voglio togliere nulla al Milan, una delle squadre e delle società che hanno fatto la storia del calcio non solo italiano, però finiva 0-0. Mi dite di no, che sto sbagliando, che il Milan ha tirato cento volte in porta, che Buffon ha smanacciato palle a destra e a manca? No, non è stato così. E' successo che abbiamo pagato il debito di gioco. Mi direte che ha vinto chi ha giocato meglio. Può darsi. Solo che la vittoria ai punti non esiste nel calcio. In quasi tutti gli sport sì. Nel calcio no.

Vinca il migliore, certo, questo non può non essere l'augurio di chi ama il calcio, formidabile specchio della nostra identità e della nostra vita consociata. E difatti tutto quello che riguarda il calcio viene ampliato a dismisura dalla sua risonanza massmediatica. Talvolta troppo. Come nel caso di quei delinquenti di diritto comune, non so se tifosi della Lazio o della Roma o di tutt'e due le squadre romane, i quali hanno aggredito a Campo dei Fiori un gruppo di tifosi inglesi che si stavano bevendo una birra in un pub. E siccome la squadra inglese amata da quei tifosi è una squadra che ha un forte marchio ebreo, sono stati in molti a lanciare la parola d'ordine che Roma è divenuta pericolosa per gli ebrei quanto lo è la Tel Aviv su cui piovono i razzi di Hamas. E volevano dire che l'antisemitismo sta montando e va diffondendosi in Italia. Una panzana incredibile. Di guai ne abbiamo tanti in Italia, ma per fortuna non abbiamo una diffusione sistematica e accanita dall'antisemitismo e della sua cultura, e a differenza di quel che è stato di tanti Paesi europei del Novecento: dalla Francia di inizio secolo all'Austria, dalla Polonia a buona parte dell'Urss all'Ucraina. I figuri armati di mazze che hanno fatto irruzione nel pub romano sono dei delinquenti di diritto comune. Dei delinquenti e basta. L'antisemitismo non c'entra. Quelli sono degli animaloidi che non sanno dire neppure ai né bai. Non confondiamo le cose, non confondiamo le acque.

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CALCIO SENZA FRONTIERE

Il pallone cinese copia quello italiano

Ingaggi milionari e partite taroccate

di CESARE MALNATI (L'ECO DI BERGAMO 26-11-2012)

Il ct della Nazionale cinese, Antonio Camacho, per 18 anni leggendario terzino sinistro del Real Madrid d’Emilio Butragueno e Hugo Sanchez, ha un diavolo per capello. Da quando a Canton è arrivato quel piacione di Marcello Lippi, sei mesi fa, in Cina non si vive più. Ora poi che il toscanaccio, alla guida del Guangzhou Evergrande, ha centrato l’accoppiata: scudetto e coppa. Al culmine dell’estasi, il presidente della federazione, Wei Di, ha individuato in Lippi «l’ideale condottiero» della Nazionale, come se lui, Camacho, ingaggiato nell’agosto 2011, neppure esistesse. Senza contare la non trascurabile questione dei soldi. Lo spagnolo prende 4 milioni e credeva d’aver fatto un affare, visto che in Giappone Zaccheroni, detentore della Coppa d’Asia, ne guadagna meno di due. Invece il ben vestito signorino col sigaro s’è aggiudicato 10 milioni all’anno.

Milioni, milioni. Altro che la nostra crisi! Assecondando il suo inarrestabile boom (apparente, se è vero che l’indice borsistico ha ceduto il 50 per cento dai massimi), la Cina della Super League fa sfoggio di generosità. Volete sapere chi è il terzo calciatore più pagato del mondo, dopo Samuel Eto’o in Russia e Zlatan Ibrahimovic a Parigi? Né Leo Messi, né Cristiano Ronaldo. Dario Conca, a Canton. Chi? Sì, un centrocampista argentino di 169 cm per 58 kg, ex Fluminense di Rio comprato dal Guangzhou per 8 milioni e stipendiato in ragione di 900 mila euro mensili per due anni e mezzo. Complimenti al suo procuratore. Battuto al fotofinish Didier Drogba (che almeno è un campionissimo). L’ivoriano ha chiuso un contrattone di 10 e mezzo con lo Shangai Shenua per vivere nella più popolosa città del mondo (30 milioni d’abitanti) e classificarsi undicesimo in campionato. Il bello è che l’incontentabile Didier s’è già stufato e ha chiesto di tornare in Europa: respinto con perdite. La sua clausola rescissoria ammonta a 40 milioni. Sempre per soggiornare a Shangai, s’accontenta di 11 milioni in due anni Nicolas Anelka, già centravanti di Paris St. Germain, Arsenal, Real Madrid, Chelsea, che ora si fa chiamare Abdul-Salam essendosi convertito all’Islam. Il Guanagzhou ha risposto elargendo 5 milioni al Borussia Dortmund per l’attaccante argentino naturalizzato paraguayano Lucas Barrios. A Dalian, terzo porto del Paese sul Mar Giallo con 6 milioni d’abitanti, sono sbarcati non certo a costo zero il brasiliano ex Gremio Rochembach e l’ex Barcellona Seydou Keita. Il prossimo colpo potrebbe essere Kakà, sponsorizzato dal datore di lavoro di Lippi, il magnate Xu Jiayin.

La calciomania impazza, nell’eterno confronto perdente con Corea del Sud e Giappone. Però attenzione. A fine 2010, sessanta calciatori arrestati e 4 arbitri condannati a 22 anni totali di carcere. Fra questi ultimi, Lu Jun, direttore di gara ai Mondiali 2002. Il partito unico non scherza. Decine di gare taroccate. E nel mazzo alcune amichevoli: significa che c’entravano le scommesse. Nessuna sorpresa. È risaputo che il betting in Asia raccoglie fiumi di denaro. Ora lo Stato vuol rilanciare Pechino, una municipalità di 16 mila chilometri quadri (più della metà del Belgio). Dopo lo scudetto del 2009, la squadra che rappresenta la Capitale - allenatore il portoghese Jaime Pacheco - è rimasta al palo. Con quella cascata di yen, Juve-Napoli a Pechino per la Supercoppa italiana, l’estate scorsa, non è stata certo un caso.

Modificato da Ghost Dog

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Brazil is not ready for the World Cup.

But then why should it be?

by GEORGE CAULKIN (THE TIMES 26-11-2012)

Brazil is ready; it has always been ready. Brazil and football are ready like a weapon, cocked and primed to assault the senses, a riot of colour, a rocket crash of noise, on the beaches, on the land, on the stricken, bleached grass. Rio de Janeiro is one of those footballing cities that engulfs you, even before you see it; the Maracanã, la jogo bonito, the men of myth, the breakers and sand.

No, of course Brazil is not ready; how can it be? Its national stadium may hold memories, but they’re cowering among cranes and bricklayers. The weather is sticky, crime is rife — 90 police officers have been murdered in São Paulo this year — hotel rooms are scarce, there is poverty, corruption, airport nightmares and delay. And, what’s more, the most successful national team on the planet have no coach.

There is a third option; how the hell should I know if Brazil is ready for the World Cup? Why should it be, anyway? It’s 19 months away. If you require clichés, you’ve had them. You want an instant expert? Thank you, Google; I’ll chuck in a few words of Portuguese. I’ve been here for only 48 hours and five of those were spent trying to remember the combination code on my suitcase lock. So you tell me if Brazil is ready. I wasn’t.

I can’t tell you much, but I can tell you that when I was asked at short notice if I fancied Rio, my brain conjured reasons for my mouth to get out of it; out of the comfort zone, into the frying pan. Pathetic, really. But I can also tell you that arriving here at midnight, with Christ the Redeemer lit up on the hill and Barry Manilow cooing on the taxi radio, brought a chuckle to my soul. Brazil!

I can tell you that east brings enormous expanses of white sand and tat-hawkers, seething surf, sarongs, palm trees, thongs to make the eye water, games of bat and ball and all variations, stretching to the horizon. I’ve jogged the length of Copacabana and back, collapsed at a beach bar to slurp water hacked from a green coconut, ticked off a lifetime ambition and almost wept with pleasure.

Look west and you’ll see concrete, hotels and urban sprawl, a glimpse of the notorious favelas that grip the hillsides with a baby’s hunger. There are wide boys and militia men, promenading ladies, buses and cars, kids juggling limes for pennies at traffic lights, exhaust fumes and rubble. Look up and frigatebirds soar, effortlessly. When you see a sign saying “do not feed the wild animals”, it probably means monkeys.

I can tell you from bitter experience that while the girl from Ipanema may well, as the song says, be tall and tan and young and lovely, she may not, in fact, be a girl at all. Tip: always check the hands. I can further tell you that after three glasses of caipirinha, Brazil’s delicious, perilous, sugar-laden loopy-juice, size of hands will not be your immediate focus. Focusing will be.

After four caipirinhas you will come to a sozzled understanding of why black vultures circle on the thermal currents above the city. They are not lost or incongruous; just patient. And waiting for your legs to buckle, which they surely will. After five, I can tell you this: youremybestmate ... hic. Hungover? Try the acarajé (croquettes with shrimp sauce) at the Hippie Fair or sweet mangoes that samba across the tongue.

If I see the bloke who suggested I walk up Sugarloaf rather than board the cable car, I can tell you he’ll be stared at rather fiercely; a bit like I was — drowning in my own sweat — by the locals doing it the opposite way. In this instance, the price of severe dehydration was a couple of quid for nectar-like fruit juice and breath-robbing views that make your calves wobble.

A taxi to the Maracanã made watching the Brazilian Grand Prix redundant; aside from when the driver screeched to a crawl to parp his horn at pretty women (not rare), I was a terrified participant. The stadium — due to be completed by February — is surrounded by corrugated hoardings, but the structure is in place, as is a new metro station, while the iconic statue of Hilderaldo Luis Bellini, Brazil’s first World Cup-winning captain, guards the entrance.

From there, to Vasco da Gama’s São Januário ground, the third biggest in Rio. On the walls outside, handprints of former players are marked in black and white paint (the club’s colours), adjacent to pavement bars, heaps of rubbish and pineapples sold from the back of vans. Inside, a bronze likeness of Romário, arms aloft, stands behind one of the goals (now a politician, the former striker has been a prominent critic of World Cup preparations).

A little later that evening, Vasco draw 1-1 with Flamengo in the Estádio Olímpico João Havelange, which, with the Maracanã closed, hosts some derby matches. The sights and sounds were as you might predict, but not everything is. Their average league attendance this season, which is almost over, is only 8,986. In the first division, Corinthians attract the largest crowds, with an average of 24,888. Fervour, yes. Numbers, no.

Brazil may have overtaken the United Kingdom this year to become the world’s sixth-biggest economy and football is like a second skin, but the two things do not appear to be related; more people watch professional matches in China. Attendances have fallen by 8 per cent this season, even though the average ticket price is R$23 (about £7).

In these circumstances, with safety and comfort pressing issues, it is just as well that so many new stadiums are being built; strange as it may seem, the domestic game in Brazil is in need of reinvention.

The same applies to infrastructure — approximately £7 billion is being invested — and while the football side is on course, there are doubts that airport-capacity improvements, for instance, will be completed on time.

But there I go again; instant expert. And it is probably just as well to be cynical about cynicism. In spite of all the paranoia about crime and the contrasts in wealth, South Africa hosted the 2010 tournament well. Poland and Ukraine were great for the European Championship. How many people thought the Olympic Games would be flummoxed by London? There are scares, things get done, events happen, we move on to the next one.

The Soccerex Convention began in Rio yesterday (tagline “Setting Football’s Agenda”), with updates galore, from Fifa, Brazil’s organising committee and mingling and networking by the great, the good and the vaguely perplexed (that’ll be me). The FA is represented in force. Everybody has their own definition of “ready” and, it turns out, I have mine.

Sundown on the beach, two nets, a ball being kicked. Ready.

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FIFA Member Del Nero Targeted in Brazil Police Probe

by REUTERS (The New York Times.com | Published: November 26, 2012 at 2:51 PM ET)

(Additional reporting by Pedro Fonseca and Rodrigo Viga Gaier in Rio de Janeiro; Editing by Todd Benson)

SAO PAULO (Reuters) - Police briefly detained one of Brazilian football's most powerful men on Monday after searching his home in what they said was an investigation into criminal organisations practising extortion, corruption and financial crimes.

Marco Polo del Nero, vice-president of the Brazilian Football Confederation (CBF) and a member of FIFA's executive committee, was questioned as part a massive police operation in which authorities served 87 search warrants and made 33 arrests in six Brazilian states.

Police did not say if Del Nero would be the subject of any criminal charges, and declined to provide any details on his questioning. But the pre-dawn raid of his home in Sao Paulo was an embarrassment to senior FIFA officials, many of whom are in Brazil this week for a Soccerex trade fair and Saturday's Confederations Cup draw.

The incident also cast an unwanted spotlight on the CBF, which under its previous president Ricardo Teixeira was involved in several corruption and bribery scandals. Teixeira resigned in March after more than two decades on the job, citing health issues.

Del Nero, a 71-year old lawyer who represents South America on FIFA's powerful executive committee, denied any wrongdoing. In an interview with the local news agency UOL Esporte, he said he was questioned for about 20 minutes about personal affairs that are unrelated to his soccer activities.

"I'm totally at ease. This is a personal matter that I cannot discuss publicly...It will not affect anything," Del Nero said in the interview.

Del Nero also heads the Paulista Football Federation, the organisation that oversees professional soccer in Sao Paulo state, and is a member of the organising committee for the 2014 World Cup, which Brazil will host.

The Paulista Football Federation issued a short statement saying the investigation was unrelated to Del Nero's activities as its president.

Authorities said the raids were aimed at breaking up two gangs they believe were using information uncovered in police investigations to blackmail politicians, judges and other important figures.

The investigation, which began in 2009, uncovered a "major network of espionage made up of people selling privileged information," federal police said in a statement.

Asked about the Del Nero case, FIFA secretary general Jerome Valcke cautioned against jumping to conclusions. But he also suggested that FIFA could conduct its own inquiry.

"We have an ethics committee with the freedom to investigate any member of FIFA but we can't just accuse people," Valcke told reporters at the Soccerex fair in Rio de Janeiro. "We are all innocent until proven guilty."

Del Nero has taken on a greater role in Brazilian soccer following Teixeira's resignation earlier this year. On Friday, Del Nero was involved in the CBF's surprise decision to fire Mano Menezes as coach of Brazil's national team.

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Scommesse

Il ritorno di Gegic

Ora l'inchiesta cerca una svolta

di CLAUDIO DEL FRATE (CorSera 27-11-2012)

MILANO — Lui è l'uomo che sventolava le banconote da 500 euro davanti al volto del capitano dell'Ascoli Vittorio Micolucci; lui è l'uomo che minacciava di fare male fisico al compagno di squadra Matteo Gritti restio a truccare i risultati delle partite. Lui è Almir Gegic, calciatore giramondo con passaporto slovacco che ieri sera alle 20 è sceso da una scaletta del volo Alitalia proveniente da Belgrado e giunto a Malpensa. Ad attenderlo ha trovato i poliziotti della Mobile di Cremona, perché Gegic, detto «lo zingaro» è colpito da un'ordinanza di custodia cautelare per l'inchiesta sul calcio scommesse. Con la fine della latitanza dello zingaro lo scandalo delle partite truccate è a una svolta: chiunque ha deciso di collaborare con i magistrati, prima o poi ha messo Gegic al centro delle combine e sono una quarantina gli incontri dove l'ex calciatore fa la sua comparsa, dalla serie A italiana fino a tornei minori di campionati esteri: adesso resta da capire se l'ex calciatore deciderà di confermare le accuse che gli sono state rivolte, nel qual caso l'inchiesta segnerà un gol decisivo. «Se è tornato, di sicuro non farà scena muta» afferma l'avvocato Roberto Brunelli, difensore nominato nelle ore precedenti lo sbarco in Italia. E pensare che nel giugno del 2011 quando i primi arresti partiti da Cremona fecero tremare il mondo del pallone Almir Gegic era sconosciuto ai più: giocatore del Chiasso, serie B svizzera, dopo qualche stagione in Turchia era ritenuto une dei tanti che arrotondavano l'ingaggio scommettendo sulle partite e talvolta aggiustandole. Ma col passare dei mesi il suo ruolo esce in primo piano. Carlo Gervasoni, ex giocatore di Mantova, Piacenza e AlbinoLeffe lo indica come la «fonte» che gli fornisce dritte su partite di serie A decise a tavolino, tra cui Lazio-Genoa e Lecce-Lazio; è in pratica con Gegic che l'inchiesta entra nel campo della massima serie. I pm di Cremona scoprono, guarda caso, che i tabulati dei telefonini collocano lo «zingaro» nei pressi del ritiro della Lazio o negli hotel dove alloggiano i giocatori proprio nell'immediata vigilia dei match chiacchierati. Con lui c'è sempre Hiristian Ilievskj, lo «sfregiato», l'altro inafferrabile di questa inchiesta. Insieme fanno una coppia fissa. Hiristian è il duro, Almir è l'uomo del dialogo, parla l'italiano e traduce per conto del compare. Curiosamente, in diversi di questi colloqui si presenta col nome di «Palmiro». Poi arriva Andrea Masiello, difensore del Bari, quello della goffa autorete nel derby col Lecce che si libera la coscienza, racconta una sua versione del malaffare e indica nuovamente in Gegic e negli zingari gli emissari del giro grosso. Insomma, la palla di neve si trasforma in valanga e altri dieci giocatori mettono a verbale il nome dell'ex centrocampista del Chiasso. Il quale, nel periodo immediatamente successivo allo scandalo pare farsi un baffo dell'ordine di cattura: continua a vivere e a giocare in Canton Ticino, sfugge alle manette anche perché la Confederazione Elvetica non considera reato passibile di arresto la frode sportiva, va e viene dalla sua casa. Nell'unica circostanza in cui viene interrogato per rogatoria ammette di essere uno scommettitore, ammette di conoscere una serie di coindagati ma si attribuisce un ruolo di semplice «fattorino» di denaro, non certo di uomo che partecipa alle trattative.

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SCANDALO, LA SVOLTA

Scommesse, Gegic in Italia

Si è costituito l’uomo

considerato la mente degli «zingari»

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 27-11-2012)

Almir Gegic è arrivato ieri sera all'aeroporto di Malpensa e si è costituto alle autorità italiane dopo quasi un anno e mezzo di latitanza. Anche il volo AZ7077 partito da Belgrado e operato da Alitalia e Jat Airways, ironia della sorte, è arrivato... in ritardo, un'ora e mezzo dopo l'orario previsto. Alle 19,30 l'ex centrocampista del Bellinzona ha trovato ad attenderlo gli uomini della Squadra Mobile di Cremona e dello Sco che, dopo le operazioni di routine in aeroporto, lo hanno condotto alla casa circondariale di Cremona. Dribblate le telecamere che aspettavano di inquadrare il latitante più famoso di questa brutta vicenda del calcio scommesse: scortato dalle forze dell'ordine, è stato trasportato all'esterno senza avere contatti con i giornalisti.

ECCO LA VERITA' - Giovedì (e non domani, come inizialmente era stato ipotizzato) Gegic sarà interrogato dal gip Salvini per la convalida dell'arresto e chiarirà il suo ruolo nella vicenda. Le partite nelle quali è ipotizzato il suo coinvolgimento sono molte (sembra oltre una quarantina) e il faccia a faccia con il giudice per le indagini preliminari si preannuncia lungo. Probabile che sia addirittura diviso in due puntate, fermo restando che anche il pm Di Martino in un secondo momento vorrà chiedergli dei chiarimenti e degli approfondimenti. Gli inquirenti, in base alle indagini svolte finora, ritengono il serbo una figura centrale dello scandalo del calcio scommesse, la mente degli zingari, mentre lui finora ha fatto sapere di aver solo acquistato informazioni dai calciatori infedeli, Gervasoni e Carobbio, e di aver fatto delle puntate. Di fatto l'inchiesta portata avanti dalla procura di Cremona potrebbe arricchirsi di nuovi particolari se Gegic deciderà di collaborare. Nel faccia a faccia davanti al gip Salvini avrà al suo fianco il suo nuovo avvocato, Roberto Brunelli, che conoscerà giovedì dopo qualche contatto telefonico attraverso il legale croato Kresimir Krsnik, difensore (insieme a Marcello Cecchini) di tre membri del gruppo degli zingari (Saka, Ribic e Lalic). Dopo Gegic, entro una dieci giorni, si costituiranno anche Ilievski e Suljic, con il primo molto atteso per il ruolo cardine avuto all'interno del gruppo degli zingari. Anche Ilievski è difeso dall'avvocato Brunelli e anche lui potrebbe contribuire a chiarire qualche aspetto rimasto finora nebuloso.

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Gegic si è consegnato

«Le partite di A sono in vendita

E c'è un mister X a manovrare...»

L'ultima intervista: «In Italia accade di tutto

Una tv mi ha offerto soldi per parlare di Conte»

di FABIO BIANCHI & FRANCESCO CENITI (GaSport 27-11-2012)

Sul secondo passo, arriva anche la nebbia. Come fosse l'ultimo fedele guardiano del suo rifugio. Ci finiamo dentro dopo aver attraversato mezza Serbia. E boschi fitti con l'arcobaleno delle foglie d'autunno. E colline ornate di antichi monasteri. I paesaggi dello stupendo film di Milcho Manchewski, «Prima della pioggia». Non c'è più la guerra, anzi qui non c'è mai stata. «Ci hanno protetto i turchi», sussurra Almir Gegic. E' il latitante principe di Scommessopoli, insieme con Hristiyan Ilievski. Ce lo dice mentre in città echeggia la preghiera del muezzin. Siamo nella regione del Sangiaccato: 4 ore e passa d'auto da Belgrado, 20 chilometri dal Kossovo, 70 dalla Bosnia, 40 dal Montenegro. Antico crocevia di carovane per l'Oriente, dominata pure dagli italiani durante la Seconda guerra mondiale. E' un'enclave mussulmana in Serbia. «Anch'io lo sono». Sorride: «Non siamo tutti terroristi, come io non sono uno zingaro. Anche se non ho nulla contro di loro». Nell'inchiesta, si sa, è quello il suo soprannome.

Non è vita Gegic ci accoglie nel suo rifugio per l'ultima intervista prima di consegnarsi ai magistrati. Ieri. Rewind. Ci sediamo in un bar. «Non è vita questa. Mi nascondo da troppo tempo. L'errore più grave che ho commesso è stato quello di non costituirmi subito. Io volevo farlo, in verità. Ma una volta mi hanno detto di aspettare. Poi mi è stato consigliato dagli avvocati di non farlo. Poi è passato il tempo. Non ce la facevo più. Sono fuori dalla Serbia da 15 anni. Ho vissuto in cinque Paesi diversi, parlo sette lingue. Non mi ci trovo più qui: non ci sono prospettive. Il peggio è che sto distruggendo la vita di mia moglie e soprattutto di mia figlia. Aveva tutto in Svizzera, poteva frequentare un bella scuola e costruirsi un avvenire. Ora chissà se mi faranno tornare a Chiasso. Vivevamo in Svizzera ma era come se fossimo in Italia. Ci sentiamo italiani. Qui le voci arrivano distorte: mi vedono come un mafioso. Ma non ho mai truccato personalmente partite o minacciato qualcuno. Forse le mafie in questa storia sì. Compravo informazioni per scommettere e basta. Sono pronto a pagare. A dire tutto quello che so. Le scommesse sono una brutta malattia. Ho smesso. Per tenerla a bada faccio qualche schedina da 10 euro. Guardo le partite in poltrona. Stop».

Mister X Ci spostiamo al ristorante. Ci raggiungono la moglie e la figlia, 5 anni. Foto di gruppo. Sorrisi, comunque. Adesso, Almir spera di rivederle presto. «Non so che mi succederà, ma sono pronto». Un giorno Bellavista ha detto alla Ġazzetta che se avesse parlato, fermavano i campionati. Non l'ha mai fatto. Ora che lei dirà tutto, Gegic, ci sarà il cortocircuito? «No. I magistrati sono stati davvero bravi. Hanno scovato tutte le gare combinate. Almeno, quelle su cui ho scommesso io. Perché le cordate erano tante, mica vendevamo informazioni solo a me e Hristiyan (Ilievski, ndr.). E comunque, è giusto che se ci sono cose che posso aggiungere, le dica ai magistrati». Sì, giusto. Ma insistendo qualcosa di nuovo salta fuori. Salta fuori un mister X che potrebbe anche aprire un nuovo, importante, fronte dell'inchiesta. «Io e Hristiyan abbiamo incontrato un paio di volte un signore sulla sessantina, alto meno di 1,80, un po' sovrappeso. Quasi pelato, ma senza capelli non perché si rade come me. Ce l'ha presentato Bellavista. Aveva più di 10 telefonini. Davvero. Li tirava fuori da tutte le tasche. Usciva spesso a rispondere. Un lavoro. Ci siamo visti all'hotel Tocqueville, quello nel centro di Milano dove vanno i calciatori. Non ricordo il nome, ma se vedo la sua foto lo riconosco di sicuro. Voleva venderci gare combinate di Serie A. Dove erano coinvolte squadre del Sud: Catania, Palermo, Lecce, Napoli, eccetera. Ci diceva: "Andate sul sicuro con me". Ma voleva 600 mila euro per le informazioni. Ci siamo messi a ridere. Troppi».

Siena sì, Conte no Gegic in canna non ha solo mister X. Escono altri dettagli importanti. Come questo: «Carobbio ci ha detto che nello spogliatoio del Siena scommettevano quasi tutti». Ma l'ex di Vicenza, Chiasso e, da ultimo, Rancate, di una cosa è sicuro: non sa nulla a proposito di Antonio Conte, al tempo tecnico dei toscani. «Una tv mi ha persino offerto 5 mila euro per un'intervista se parlavo anche di Conte. Come se le conoscessi. Ho rifiutato. Non ho nulla da dire su di lui: mai visto, mai sentito, mai provato a contattarlo, ma soprattutto non ho bisogno di soldi per parlare di quello che so».

I Cossato, Erodiani e i falsi E allora proviamo ad affondare. Mauri e la Lazio? «Non l'ho mai incontrato. Lo ha fatto Hristiyan? Può darsi, lo dirà al magistrato. Perché anche lui si consegnerà. Io giocavo in quel periodo nel Chiasso, dovevo allenarmi. Hristiyan aveva molti altri contatti, si muoveva anche senza di me. Ho letto di Zamperini: ecco di quel filone so poco come di quello barese. Certo, ero a conoscenza che Masiello e altri erano avvicinabili. E non escludo la presenza di una banda ungherese: il mercato delle scommesse attira molte persone che vogliono fare affari e diversi calciatori non si fanno scrupoli a piazzare le informazioni su più tavoli. Chiedete a Gervasoni». Chiediamo a lui. «Cosa mi diceva sugli altri gruppi? Mi ha parlato spesso di due fratelli di Verona. Sì, i Cossato. Mi diceva che scommettevano e chiedevano le partite fatte. E poi avevano un loro giro. E comunque Gervasoni spesso ci portava da altri giocatori. Ha fatto così con Micolucci, mi ha presentato anche Bertani. Ma lui gestiva bene il tutto, sapeva dove bussare. Non come Erodiani». Già, negli atti c'è l'incontro in autostrada con tre falsi giocatori e poi il bluff su Inter-Lecce. Gegic ci dà questa versione: «Questo Erodiani lo conosciamo tramite Bellavista. Ci dice che aveva un portiere in mano (Paoloni, ndr.), e sapeva da alcuni giocatori dei risultati sicuri in A. Hristiyan gli dice che vuole conoscere questi calciatori. In autostrada da un pulmino scendono tre tipi e li spaccia per Vives, Corvia e Ferrario. Almeno così mi pare. Comunque tre del Lecce. A casa guardiamo le foto su internet e Hristiyan scuote il capo: "Non solo loro, ci vuole fregare". Così quando ci dice che Genoa-Lecce sarà un pari con Over non mettiamo un euro. Il bello è che quella gara finisce 2-2. Erodiani allora rilancia per Inter-Lecce e assicura un 1 con Over 3,5 (almeno 4 gol di scarto, ndr.). Ci mette in contatto con un finto Corvia su Internet. Hristiyan non è uno sprovveduto, sapeva persino che tatuaggi aveva Corvia. Quando gli chiede di mostrarli, l'altro non sa che fare. Era l'ennesima bufala, poi ho letto che quel tizio era Paoloni. Noi da Inter-Lecce siamo stati alla larga. Altri hanno preso la batosta. Non mi meraviglia: le scommesse sono una malattia. Molti calciatori iniziano per scherzo, hanno soldi da spendere. Poi è come una droga. E allora chiedi in giro ai tuoi colleghi, cerchi di sapere quale gara è sicura. In Italia da sempre le ultime partite sono un mercato. Prima delle scommesse erano solo favori sportivi: quest'anno serve a me, poi magari a te. L'arrivo delle scommesse ha destabilizzato tutto. Ci sono presidenti che così mettono a posto i conti. Il problema vero è la criminalità, quella tosta. In Asia si possono puntare cifre incredibili, senza controllo. Vi spiego...».

Il fogliettino Gegic ci chiede in prestito un bloc notes, poi incomincia a scriverci dei numeri. «A Singapore sulle gare italiane di Serie A è possibile puntare sul live (durante la partita, ndr.) anche 15 mila euro alla volta. Ogni clic vale 15 mila euro. In venti minuti si possono mettere un sacco di soldi. E la quota di un Over se non ci sono gol, si alza. Ecco perché spesso nelle intercettazioni si raccomanda di restare 0-0 il più a lungo possibile. Per farlo bisogna coinvolgere molti giocatori. Ma se alle spalle di tutto c'è qualcuno disposto a mettere sul tavolo 10 milioni su una gara, secondo voi non farà di tutto per avere la certezza di quel risultato? Le scommesse sportive sono una piaga mondiale. Non so come si possano fermare. Vietarle credo sia impossibile. Chi ferma l'Asia? Bisogna blindare i giocatori, i dirigenti, gli arbitri. Dipende tutto da loro».

L'interrogatorio svizzero Si torna sulla sua latitanza. Che a quanto pare, è stata all'acqua di rose. «Andavo e venivo dall'Italia e alla dogana nessuno mi fermava. E sì che tutti mi conoscevano. Un volta un gendarme mi ha detto: "Ma non c'è un mandato su di te?". E io: "Penso di sì". Siamo andati a bere un caffè. Un'altra volta, quando ero già ricercato, sono partito dalla Serbia in auto con la mia famiglia e ho attraversato l'Italia, via Trieste, per andare a Chiasso. Mi si è rotto il cambio e ho chiamato i soccorsi. Nel frattempo si è fermata la polizia. Mi son detto: ci siamo. Ero quasi sollevato. Invece manco mi hanno chiesto i documenti. All'inizio della storia invece, un anno e mezzo fa, in Svizzera non sono stati teneri con me. Mi hanno prelevato da casa di mattina presto, spaventando la mia famiglia. Mi hanno interrogato a lungo, hanno chiuso il mio conto e quello dove mettevo via i soldi di mia figlia. Mi hanno accusato di riciclaggio. Ma quale riciclaggio. Sul conto avevo 12 mila euro e nell'altro ce n'erano meno. Al Chiasso ne guadagnavo 5 mila al mese puliti, avevo i pranzi pagati. Potevo mettere via qualcosa e scommettere massimo 5-10 mila euro? I soldi per le informazioni li metteva Ilievski. E se pensavano che riciclassi e girassi con 2-3 milioni nell'auto, perché non mi hanno mai fermato prima?».

Sono qui Dopo tanti propositi, si è fermato da solo. «Dovrebbe costituirsi anche Hristiyan: è stanco come me. Magari avrà la faccia da delinquente, per via della cicatrice, ma non lo è. La storia che minacciavamo la gente è una cazzata. Ora che torno spero si chiarisca tutto. Voglio mettermi alle spalle questa vicenda. Con la giustizia non avevo mai avuto problemi». Su questo, è facile credergli: ci chiedeva consigli su come comportarsi e aveva paura di andare da solo all'aeroporto di Belgrado ed essere arrestato. Invece alla dogana c'erano le carte lasciapassare. E la nebbia si è dissolta.

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Calcioscommesse Gegic si è costituito:

sarà interrogato giovedì, in tanti tremano

di GABRIELE MORONI (Quotidiano Sportivo 27-11-2012)

È comparso il latitante eccellente, il convitato di pietra dell’inchiesta cremonese sul calcioscommesse. Almir Gegic è sbarcato attorno alle otto di ieri sera a Malpensa con un volo decollato da Belgrado con due ore di ritardo. Gegic, ritenuto con Hristiyan Ilievski l’uomo di punta del gruppo degli “zingari”, è stato preso in consegna sotto bordo da personale dello Sco e della squadra mobile di Cremona e condotto nella casa circondariale della città lombarda. Giovedì l’interrogatorio di garanzia davanti a gip Guido Salvini.

Gegic, 32 anni, serbo con passaporto anche slovacco, ha alle spalle un passato di centrocampista che lo ha visto militare anche nel Vicenza per poi chiudere nel Canton Ticino. E’ coinvolto in almeno una quarantina delle oltre novanta partite sotto la lente d’ingrandimento degli inquirenti. Nella sua fluviale cantata Carlo Gervasoni lo indica come onnipresente “dominus” delle combine.

L’ex portiere del Bellinzona Gritti ricorda le pesanti minacce per convincerlo a importare il sistema nella Confederazione. Vittorio Micolucci rievoca l’incontro su una Mercedes ad Ascoli, Gegic al volante e Ilievski che sventola mazzette da 500 euro. Lo “zingaro” viene evocato anche da personaggi minori e pienamente confessi come Conteh e Joelson. Giovedì finalmente si saprà la verità, ma sono in molti a temere colpi di scena.

Modificato da Ghost Dog

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LUCESCU

«IL MIO CALCIO

ILLUMINATO»

In campo dà spettacolo, utilizza strutture fantascientifiche,

ha già quasi vinto il campionato e messo sotto il Chelsea,

tutti vogliono le sue star. Mircea ci guida tra i segreti dello

Shakhtar: «Troppo facile spendere 100 milioni per i migliori.

Noi li prendiamo giovani, li cresciamo e i risultati li vedete...»

Sulla Juventus Brava, è la strada giusta. Il Milan invece più che a costruire bada al look

Sull'Italia Da voi un allenatore può creare. Però dovete rispettare di più l'Europa

Sui brasiliani Prima era dura, ora vogliono venire loro. Ci provai pure con Neymar

Col nostro gioco dinamico abbiamo cancellato Lobanovski

Modello Shakhtar in Italia? Si poteva fare, ma me li vendevano tutti

di GIULIO DI FEO (EXTRATIME 27-11-2012)

Rewind. Lucescu, come ci è finito lei allo Shakhtar?

«Hanno iniziato a cercarmi al Galatasaray. Ne sapevo poco, incontrai un loro rappresentante a Bucarest. Il presidente doveva mandarmi un aereo, ma c'era maltempo e non se ne fece niente. Vinsi il campionato, andai al Besiktas, lo rivinsi e buttai fuori in coppa la Dinamo Kiev. Lo Shakhtar mi invitò di nuovo, venni qui e al presidente dissi ancora no: volevo giocarmi la Champions. Akhmetov poi venne a Istanbul: altro no. Mi fa: "Hai vinto due campionati di fila, non te ne fanno vincere un altro". Andammo a +11, ci successe di tutto e capii che aveva ragione. Mi invitò di nuovo, e gli promisi: riparliamone. Finì la stagione, me ne andai qualche giorno in Italia e lui mandò pure lì un aereo. Arrivai a Donetsk e mi presentò a tutti come nuovo allenatore. Che potevo fare?».

Cos'ha portato a Donetsk?

«Esperienza, fiducia, e la convinzione che si poteva vincere. Arrivo io, e per 2 anni vinciamo il campionato contro la Dinamo Kiev. E non era facile, il loro presidente era pure presidente della federazione…».

Dietro lo Shakhtar c'è un'idea mica da ridere. Come l'ha impiantata?

«Ho dato un gioco a quelli che avevo, e ho costruito dietro una squadra di giovani».

Già, ma i brasiliani?

«All'epoca il Barcellona prendeva i migliori. Io dissi al presidente che non potevamo permetterci quelli già formati: qui non vengono, e se vengono è per soldi. Quindi decidemmo di prenderli giovani, di talento, ed educarli fino ad avere giocatori completi. Si dice che ne puoi prendere uno, due, dopo il terzo fanno gruppo a sé. È vero, fanno gruppo, vivono la loro cultura, ed è giusto. L'abilità sta nel rispettarli e fare in modo che si integrino».

All'inizio non era facile prenderli…

«Difficilissimo. Qui c'era solo Brandao ma non si adattava. Così prendemmo Matuzalem: giovane, formato, di "nome". Con lui è stato più facile convincere gli altri, ora in Brasile tutti parlano dello Shakhtar e sono loro a voler venire. Ci ho provato pure con Neymar, a 16 anni. Devi lavorare per farli diventare professionisti per l'Europa, lì sono molto "allegri"».

Oltre loro, il segreto qual è?

«Ci sono 2 modi per fare la squadra: coi soldi, se non hai tempo, o coi giovani. Nel secondo caso il gruppo te lo ritrovi per 10 anni, basta cambiarne un paio per volta. Il segreto è questo: chi comanda ha una filosofia, trova un allenatore che ha la stessa filosofia e la trasmette ai giocatori. Se tutti pensano nella stessa direzione, arrivano anche i risultati».

Ci definisce in principi la sua filosofia?

«Primo: educazione. A ogni livello: fisica, culturale, igienica. Secondo: atteggiamento. Chi è negativo non può stare con me, giochi o no devi essere positivo, qui non ci sono stelle o divi. Terzo: disciplina. Non multo mai i giocatori, ma ci parlo. Una volta, due, tre, poi non lascio che la mela marcia danneggi gli altri. Quarto: selezione. Ho l'ultima parola sul mercato, li cerco di carattere, intelligente, responsabile. Poi la preparazione. Tanti allenano per esercizi, io per principi. In campo tutti devono esprimersi allo stesso modo».

Tutto ciò come si riflette sul gioco?

«Il mio Brescia dava spettacolo. In Turchia avevo il miglior attacco. Alla Dinamo Bucarest (1988-89, ndr) facemmo 130 gol e questo Shakhtar se vuole può farne serenamente 100. Io alleno i sincronismi e l'organizzazione, e creo varietà di gioco. I miei ragazzi sono obbligati a pensare tante varianti, scelgono loro la migliore. Quando sono arrivato qui, Lobanovski era il vincente e tutti giocavano come lui: marcature a uomo e libero. Poi hanno visto lo Shakhtar che vince con un sistema dinamico, e hanno cambiato. Non sono schiavo dei moduli, in carriera li ho usati tutti».

E poi?

«E poi il risultato. Ma non me ne faccio nulla di successi che oggi arrivano e domani no. Voglio una base sicura, poi il risultato viene da sé. Certo, puoi fare come i grandi allenatori oggi: spendi 100 milioni e compri i 4-5 più forti. Ma così è facile. Il difficile è educare i giocatori, far capire loro dove sbagliano, caricarli. E nel frattempo penso al futuro. Se uno parte, ho già il sostituto pronto in casa, che per 1-2 anni ha lavorato per essere pronto».

L'età media in panchina si è abbassata parecchio, come le vede le nuove leve?

«Sono fortunati, hanno la possibilità di osservare, studiare. Prima era tutto segreto, io non potevo vedere altri allenare o leggere. Sono stato molto esigente coi miei tecnici, volevo sapere il perché di tutto. Ora i giovani sono focalizzati sulla tattica, ma hanno un po' dimenticato le basi, la tecnica».

Pure lei sorprende: cambia spesso ruolo ai giocatori, per esempio...

«Se uno sta bene e capisce i principi che la squadra applica, può giocare ovunque. L'importante è che faccia quello che serve, perciò li alleno tutti in varie situazioni. Ha presente Mkhitaryan? Qualche gara fa l'ho messo terzino sinistro. Con i giovani poi serve pazienza. All'Inter arretrai Pirlo, contro la Juve tentò un dribbling in più nel nuovo ruolo, Inzaghi gli tolse palla e andò in porta. E io la partita dopo lo riproposi lì».

Altro rewind: si ricorda di quando arrivò a Pisa?

«Era il 1990, avevo vinto campionato e coppa con la Dinamo. Anconetani venne a vedermi in Romania, e promisi che sarei andato da lui».

Che calcio trovò?

«Le racconto questa. Dopo Pisa ero del Porto: andai lì con mia moglie, Pinto da Costa mi mise per due giorni in un appartamento in segreto, firmai. Poi stracciai l'accordo e decisi di rimanere da voi, a Brescia. Ero innamorato dell'Italia, l'unico Paese dove ogni squadra giocava un calcio diverso. Non c'era la federazione che ne imponeva uno, come in Spagna o in Francia. L'allenatore poteva creare, se aveva libertà di farlo. Ecco, quella spesso non c'era: i presidenti vivevano di calcio e ti facevano pressioni per far giocare l'uno o l'altro, per venderli. E qui mi resi conto di un'altra cosa…»

Cioè?

«Il campionato migliore in Italia era la B, il campionato degli allenatori. La A era il campionato dei presidenti, chi ha più soldi vince. La B italiana produce allenatori, quelli bravi devono andare lì».

Da noi poteva nascere qualcosa tipo Shakhtar?

«Come no, ma me li vendevano tutti. Portai il Brescia in A e Corioni ne diede via quattro. Lo stesso a Pisa, così era impossibile. Mi mancava questo tipo di rapporto tra presidente e allenatore. In Italia un allenatore non può essere protagonista, ha bisogno di tempo e titoli per essere stimato. I presidenti cercano di svicolare e cambiare tecnico per essere loro i protagonisti. Sono gelosi».

Un po' però il cuore a Brescia l'ha lasciato…

«Forse ci sono rimasto troppo ma mi sono innamorato della gente, della città. "Quanto sono stato stupido a lasciarti andare", mi dice Corioni. E certo: con me i giocatori li vendeva sempre…».

A livello internazionale l'Italia arranca: dove ci siamo fermati?

«Innanzitutto, avete snobbato un po' l'Europa. Per esempio, quando ho visto il Napoli che ha giocato in casa del Dnipro con le riserve ho detto: "Impossibile". Puoi cambiarne un paio ma non mezza squadra, così dai l'impressione che non ti interessa. L'Europa ti guarda, qui spesso sbagliate. I mezzi per risalire ci sono. Però vincere e piazzarsi bene non dev'essere un traguardo, ma una tappa per l'Europa».

Esempi da seguire?

«La Juventus: stadio di proprietà, serietà, atleti educati secondo lo spirito del club. Non gente che viene così, per un anno o due: li prendono giovani, crescono con la squadra, le danno tutto. Anche l'Inter ha preso questa via. Il Milan invece è rimasto col suo modo di pensare: li prende a fine contratto, di nome, pensa molto all'immagine e poco a costruire. Come fai a costruire con gente di 34-35 anni? Non saranno mai parte della tua anima».

La Juve viene qui la prossima settimana…

«La rispetto molto, ho seguito il processo che l'ha riportata in alto, fino ad avere di nuovo una squadra capace di lottare e vincere anche in Europa. E non lo fa solo coi giovani: guardate che motivazioni hanno gente come Pirlo o Buffon…»

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Detto dopo di TONY DAMASCELLI (il Giornale 27-11-2012)

STRISCIONE DI UN PAESE DI IENE

Stavolta nessun buuh, nessun coro razzista o nazista ma un semplice, gentile striscione steso dai soliti noti: «Felix 36 km di volo e muro rotto, ma mai spettacolare come il volo di Pessotto». È rimasto in evidenza, mostrato con orgoglio, San Siro, detta la Scala del calcio sa offrire lancio di motorini e messaggi ignobili, nessuno ne scrive, nessuno ne parla, meglio dedicarsi ai rigori, ai gol fantasma, alle ripartenze, alle conferme, alle diagonali.

No. Quello striscione è il segnale di un Paese che non torna indietro, è alla deriva, ha scelto di essere tale perché quando si deridono i morti, come è accaduto a Verona, quando si insulta la disperazione di un suicida mancato, quando il devi morire è un canto di guerra, non ci sono più spiegazioni, non ci sono più alibi.

È la fotografia dell’essere e dell’esistere, è il fotogramma di un momento che la fa franca sempre, in piazza e negli stadi, ultima discarica di repressioni e depressioni.

Questa è la lezione che arriva puntualmente dalle nostre partite di football, oltre il berciare di noi giornalisti e dei sedicenti addetti ai lavori. Non è necessaria la prova tivvù per smascherare i miserabili che hanno confezionato il lenzuolo.

Sono ragazzi, si dirà, trattasi di una provocazione goliardica, del resto non hanno tirato in ballo la razza o il colore della pelle, quelli sì argomenti in esclusiva per i pistolotti sui fogli quotidiani, invece stavolta si sono semplicemente limitati a prendere in giro la vita agra di un altro ragazzo che aveva deciso di farla finita e, per fortuna sua, continua a vivere, non con l’ecstasy o l’erba ma con il lavoro. Salvato da altri uomini non certo dalle iene che vanno allo stadio e che oggi, domani e dopo, sono orgogliosi di riferirlo ai loro compari di gang.

Silenzio da tutti i fronti, al massimo una multa, le scuse previo comunicato.

Tanto le porte degli stadi restano aperte per i miserabili che si presenteranno puntuali con un nuovo striscione, un nuovo urlo. È il nostro, il vostro meraviglioso pubblico.

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CORTE DEI CONTI

De Santis, Bertini e Mazzei ricusano

il giudice membro pure della Figc

di EDMONDO PINNA (CorSport 27-11-2012)

ROMA - Gli ex arbitri De Santis e Bertini e l’ex designatore Mazzei, hanno chiesto la ricusazione del giudice (presidente del collegio della Corte dei Conti che ha condannato gli arbitri condannati per Calciopoli ad un maxi risarcimento danni) Ivan De Musso. I legali Paolo Gallinelli e Roberto Ficcardi, hanno depositato ieri l’istanza, tre giorni prima dell’udienza di giovedì. Ricusazione, fra l’altro perchè «il dott. Ivan De Musso, che è chiamato a giudicare sulla ammissibilità della proposta istanza di correzione, risulta essere membro componente della Corte di Giustizia federale presso la Figc; tale duplice veste di Giudice della corte dei Conti e di componente di un organismo di giustizia domestica quale la Corte federale della Figc si pongono in palese ed evidente conflitto al punto da configurare l’ipotesi prevista dall’art. 51, comma 5 c.p.c.» (“Astensione del giudice”).

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• CALCIOPOLI / IL LIBRO

Pagine illuminanti sulla ... verità oscurata

GUIDO VACIAGO - Tuttosport - 27-11-2012

SI INTITOLA "30 sul campo" e racconta l'altra verità su Calciopoli, quella che autorizza a sostenere la tesi del titolo L'ha scritto Maurilio Prioreschi, l'avvocato difensore di Luciano Moggi, che ha raccontato in quasi quattrocento pagine la vicenda processuale nei suoi risvolti tecnici, ma senza trascurare l'aspetto umana E' un volume di storia scritto con la cura di una bella inchiesta giornalistica, in cui la narrazione è puntualmente sorretta dalla documentazione originale del processo (atti, deposizioni in aula e le intercettazioni dimenticate e trovate proprio da gruppo di legali al lavoro per Moggi). Un libro che parte con la più chiara deli, dichiarazioni di intenti: "Poteva e doveva essere tutta un'altra storia, quella dello scandalo del mondo del pallone chiamato Calciopoli. Poteva esserci un'altra verità. Quella che vi sveleremo in queste pagine, appgvgiandoci a documenti, fatti e persone realmente esistiti, è la storia di un travisamento della realtà fatto passare per verità. Un 'Grande Imbroglio"nel senso più letterale del termine.... Insomma, la storia che non si trova nell'inchiesta di Narducci e Beatrice, è tutta nelle pagine di Prioreschi, una voce sicuramente di parte, ma sempre estremamente lucido e drammaticamente preciso nella dimostrazione delle sue tesi. Così che '30 sul campo" (da oggi in libreria) diventa una fondamentale enciclopedia per chi conosce la materia e un testo illuminante per chi vuole capirne di più. E proprio a chi non ha potuto (o voluto...) scoprire l'altra verità che ne andrebbe consigliata la lettura. Perché di verità non ne esiste mai solo una.

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Avvocato Moggi: Calciopoli, enciclopedia di ingiustizie

Guido Vaciago - Tuttosport.com - 27-11-2012

Esce oggi in libreria “30 sul campo: l’altra verità su Calciopoli” (Baldini&Castoldi), volume scritto da Maurilio Prioreschi, l’avvocato dell'ex dirigente bianconero, che in quasi 400 pagine ha raccontato la vicenda processuale, arricchendola di retroscena e una ricchissima documentazione

TORINO - Esce oggi in libreria “30 sul campo: l’altra verità su Calciopoli” (Baldini&Castoldi), volume scritto da Maurilio Prioreschi, l’avvocato di Luciano Moggi, che in quasi 400 pagine ha raccontato la vicenda processuale, arricchendola di retroscena e una ricchissima documentazione. Ne è uscito un libro fedele al suo titolo nell’esporre quello che l’inchiesta ufficiale non ha esposto: un’altra verità, scritta da chi è dichiaratamente di parte, ma forse è riuscito a dare una visione di quei fatti più completa.

Avvocato Prioreschi, quali sono state le sensazioni provate scrivendo questo libro che le ha permesso di rivivere in modo analitico tutta Calciopoli?

“Mi sono reso conto di aver talmente metabolizzato questi fatti che mi è bastato mettermi al computer e scrivere. E’ venuto tutto o quasi di getto. Ho dovuto ricontrollare carte e dati solo per i capitoli più tecnici, il resto è venuto a galla in modo naturale”.

Lei e il pool di avvocati e consulenti che hanno lavorato al processo, avete il merito di aver scoperto l’altra verità di Calciopoli, quella “oscurata”. Riscrivendo questa storia è stata più la soddisfazione per l’indubbia importanza del vostro lavoro o ha prevalso la rabbia per il risultato finale?

“La soddisfazione per aver fatto emergere fatti che altrimenti non sarebbero mai stati scoperti è sicuramente grande. Ma lo è di più la rabbia di non aver visto questa verità trionfare in sede processuale”.

A posteriore, rivivendo il processo nelle pagine del suo libro, ci sono errori che avrebbe voluto evitare?

“Errori magari no... Diciamo che in tanti hanno creduto nella personalità della giudice Casoria, pensando che sarebbe riuscita a imporre una decisione che forse sarebbe stata quella giusta, mentre alla fine – almeno così si intuisce fra le righe della sua sentenza – si capisce che è capitolata rispetto alle due giudici a latere”.

Molti degli avvocati difensori hanno giudicato nel motivazioni della sentenza suicide. Concorda?

“Effettivamente sembrano motivazioni scritte per far annullare la sentenza in appello. Tuttavia bisogna essere prudenti. L’8 novembre di un anno fa, noi tutti ci aspettavamo un altro tipo di sentenza. Per primo, forse, il pubblico ministero”.

Possiamo definire Calciopoli un caso di ingiustizia all’italiana?

“Di processi ne ha fatti tanti e di situazioni anomale ne ho viste parecchie, ma tutto quello che ho visto in questa vicenda supera di gran lunga tutta la mia passata esperienza. Per quantità e qualità potremmo definire Calciopoli un’enciclopedia di ingiustizie e anomalie”.

Qual è il fatto più clamoroso di Calciopoli?

“Sarebbe facile rispondere l’accantonamento, giusto per usare un termine soft, delle intercettazioni. Ma invece dico il caso del video sul sorteggio che viene pubblicizzato come la prova del fatto che il sorteggio degli arbitri fosse truccato, viene prodotto come prova, poi a dibattimento in corso viene ritirato e sostituito con una sequenza fotografica, per altro taroccata. E’ la prima volta che vedo una prova entrare e uscire da un processo. Leggo che forse ricomparirà nel processo d’appello di Giraudo... vedremo”.

Consiglierebbe questo libro a un non juventino?

“Bisognerebbe avvicinarsi a questo libro senza prevenzione né nei confronti della vicenda di Calciopoli e neppure nei miei. Sono sicuramente e dichiaratamente di parte, ma tutto quello che affermo nel libro è documentato e documentabile. Chi lo dovesse leggere con spirito oggettivo avrebbe modo di scoprire tante cose di quanto accadde nel 2006 e la più importante di tutte è che furono fatti figli e figliastri”.

Qual è la speranza che affida a questo libro?

“Innanzitutto che fatti come quelli raccontati non si verifichino più e le modalità con cui sono state svolge quelle indagini non venga più applicata. Buona parte dell’opinione pubblica ha cambiato idea su Calciopoli, rivisitando alcune delle verità iniziali. Noi, ovviamente, speriamo di ribaltare il giudizio di primo grado in appello, ma la sentenza di archiviazione con cui il procuratore federale Stefano Palazzi ha riscritto, pur senza conseguenze, la storia sportiva di Calciopoli rappresenta già una grande rivincita”.

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Il caso Il divieto di accedere alle manifestazioni sportive serve per combattere la violenza negli stadi

Il Daspo? Rischia di essere un autogol

Parla un ultrà «Per aggirare la regola basta cambiare una vocale nel proprio cognome. Io ho anche la tessera del tifoso»

di NADIA FERRIGO (Quotidiano Sportivo 27-11-2012)

IL DASPO NON FUNZIONA. Tra circolari e interpretazioni che cambiano da regione a regione la normativa nata nel 1989, per contrastare la violenza negli stadi, è così confusa che per aggirarla possono bastare quattro euro e un cambio di vocale. Può bastare far acquistare il biglietto da un amico e, con un sovrapprezzo, cambiarlo alla biglietteria dello stadio prima dell’inizio della partita storpiando una vocale del cognome, lasciando inalterato il codice fiscale e sfuggendo così alla black list che dovrebbe tenere lontani gli ultrà violenti. Fabio M., ultrà del Torino, nel 2006 è stato condannato per aver acceso un lacrimogeno sugli spalti. Nel 2010 la misura gli è stata revocata per poi essere rinnovata quest’anno a campionato iniziato. «Forse perché sono uno dei capi ultrà – racconta –. Almeno credo, perché non mi è mai stato notificato nulla».

Già, può succedere che i tifosi siano inseriti nella black list senza saperlo. Basta un provvedimento del ministero, dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive o di una Questura e senza che i club siano informati. Con effetti paradossali. A Fabio il Torino non ha mai revocato la tessera del tifoso. Può quindi seguire la squadra in trasferta, ma c’è un modo per farlo anche nelle partite casalinghe. «Un amico mi compra il tagliando e io chiedo alla biglietteria di cambiare il nome. Per non avere guai mi basta cambiare una vocale del cognome. Racconto di aver lasciato i documenti in macchina. Non mi creano problemi».

Lo stesso capita con gli steward all’ingresso. «Entro con il biglietto, il cambio nome, i documenti e la tessera del tifoso, chi deve controllare non ci capisce più niente e mi fa passare». Per chi da anni critica il Daspo come gli avvocati degli ultrà, è un’altra falla. «È una legge fatta male e interpretata peggio - spiega l’avvocato romano Lorenzo Contucci, uno dei massimi esperti in reati da stadio - Con un’interpretazione letterale della legge che comporta la reiterazione del provvedimento, chi ha acceso un fumogeno a diciotto anni rischia di non poter mai più andare allo stadio». «La smania di creare un sistema sempre più repressivo ha creato una normativa paradossale – commenta l’avvocato del foro di Torino Andrea Voltolini - ad esempio ci si può trovare inseriti in black list senza nemmeno un avviso di avvio del procedimento amministrativo».

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l'opinione

NO ARBITRI, NON VA

L’ERRORE DI MILANO

E’ LA CONFERMA

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 27-11-2012)

Troppi arbitri, tanta confusione. L’ultimo episodio, domenica sera, a San Siro. A farne le spese la Juventus, a beneficiarne il Milan. Ma se dal punto di vista dei tifosi la cosa è più o meno accettabile a seconda dell’identità del carnefice e di quella della vittima, la questione che riguarda tutti (a cominciare dalla Federazione che ha fortemente voluto questa sperimentazione e dalla Lega che l’ha accettata forse con meno entusiasmo) è il modello di sistema arbitrale più efficace dal punto di vista delle certezze e delle garanzie. Il sistema in via di sperimentazione non sembra soddisfare le esigenze. Questo giornale lo ha scritto e lo ha ribadito: la proliferazione arbitrale non migliora le prestazioni di chi va in campo o di chi resta ai bordi del campo. Troppi occhi ma nessuno in grado di offrire certezze assolute.

Troppe personalità che si sovrappongono e si elidono finendo per produrre scelte sbagliate. Troppe le controindicazioni, pochissimi i benefici. E il fatto che gli errori si ripetano con tanta puntualità, dimostra che sull’affidabilità del sistema non un passo in avanti è stato compiuto, al limite qualcuno indietro. Ad esempio, sarebbe interessante capire in qualche misura questa abbondanza di arbitri incentivi la fuga dalle responsabilità (”decido io, decidi tu, non decide nessuno, decide il caso”). L’impressione è che un contributo in tal senso lo abbia vigorosamente offerto: l’arbitro in campo sembra lasciare volentieri l’incombenza della scelta a quello ai bordi del campo. Si parlano molto, si parlano troppo e tanto comunicare finisce per abbassare il livello di attenzione. Sul terreno di gioco, contemporaneamente alla partita, si svolge una assemblea permanente a cui tutti partecipano: l’arbitro, i collaboratori d’area, i guardalinee, il quarto uomo. Un vero e proprio concerto in cui, alla fine (a volte prima della fine) qualcuno “stecca” clamorosamente lasciando sul campo una vittima intontita. Il problema non è chi ci guadagna; il problema è che alla fine qualcosa perdono tutti. Non ci sono mandati ma vittime inconsapevoli di prestazioni inadeguate, di protagonismi debordanti, di atteggiamenti pilateschi utili per salvare la carriera arbitrale ma non la regolarità del gioco. Platini sostiene che quattro occhi vedono meglio di due. A volte anche peggio soprattutto se ogni pupilla punta a ritagliarsi uno spazio, a conquistare il proprio quarto d’ora di notorietà. No, la strada per migliorare la qualità degli arbitraggi non è questa. Non è con una verniciatina, una mano di bianco, che si risolve la questione. Ci vogliono interventi più decisi, più radicali e quello degli arbitri d’area è, invece, superficiale e autolesionistico. Una mano di bianco che non occulta le crepe. La strada è più complessa riguarda l’uso dei mezzi tecnologici ma anche l’organizzazione arbitrale, chi li sceglie, chi li forma, chi li promuove.

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il retroscena

Le «immagini» di Rizzoli e quelle viste alla tv

L'arbitro al designatore: «Il rigore? Scelta mia»

«In campo tutto faceva pensare al tocco di braccio. La moviola spesso non dà certezze»

Apprezzato il fair play bianconero che ha evitato proteste plateali in campo e fuori

di FRANCESCO CENITI (GaSport 27-11-2012)

Nicola Rizzoli ha trascorso un lunedì tranquillo. Il rigore fischiato contro la Juventus è stata una sua scelta e lo ha spiegato senza problemi a Stefano Braschi. Per i vertici arbitrali quello di San Siro è un episodio difficile da valutare e non può essere considerato un vero errore. «Ci sono due verità parallele: quella che accade in campo, con la sua velocità, i suoni e tutto il resto. Poi c'è la tv che scompone le immagini, le rallenta, le deforma e spesso non riesce a dare certezze. Come è accaduto alle moviole su Isla. Siamo sicuri che il pallone non tocchi mai il braccio nonostante la traiettoria verso il basso?». E' la domanda retorica che rimbalza dalle parti dell'Aia.

Errori e orrori Dinnanzi a topiche evidenti Nicchi e Braschi hanno sempre chiesto scusa non negando l'evidenza. Il giudizio su l'episodio di Milano è differente: Rizzoli si è preso due secondi per riflettere e valutare i dati in suo possesso. Nei suoi occhi aveva le braccia larghe di Isla, la deviazione di Nocerino e il pallone che picchia sullo juventino e scende verso il basso. Fatti che facevano propendere verso una sola direzione: rigore. E lo ha fischiato senza aspettare una eventuale indicazione (che non è arrivata) del giudice di porta De Marco. L'arbitro centrale quando è sicuro deve andare per la sua strada. Proprio questa sicurezza ha permesso a Rizzoli di restare tranquillo, convinto di aver preso la decisione corretta. E anche quando si è messo davanti alla tv e ha rivisto le immagini ha commentato: «In campo era da fischiare, la realtà televisiva altera le percezioni e non ci sono neppure tutte queste certezze...», ha commentato con gli amici. Della serie: perché non accettare una decisione simile? Cosa possibile quando l'errore non è un orrore. E in campo i giocatori della Juve hanno «aiutato» Rizzoli evitando sceneggiate o contestazioni plateali. Un comportamento apprezzato e che merita più di una sottolineatura.

Lode alla Juve Sia Nicchi, sia Braschi sono rimasti colpiti in modo positivo per la maturità dimostrata dai bianconeri. Apprezzate soprattutto le parole di Buffon. Anche Rizzoli lo ha rimarcato con il designatore: «Le proteste sono state molto civili e questo mi ha permesso di continuare ad arbitrare (molto bene, ndr) con la massima concentrazione». La speranza è che non sia un caso isolato: solo con questi esempi si potranno evitare nuovi veleni. Anche perché gli arbitri di prima fascia sono 5-6: bisogna tutelarli altrimenti i prossimi big match saranno diretti da Braschi o Collina...

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Il pallone di Luciano

Per la serie «l’avevamo detto»:

Rizzoli era l’arbitro sbagliato

di LUCIANO MOGGI (Libero 27-11-2012)

Libero in edicola domenica 25, prima di Milan-Juve, così titolava sulla designazione arbitrale: «Rizzoli non è adatto, Braschi se l’è cercata» spiegando poi il perché, elencando gli errori, commessi dall’arbitro in veste di giudice di porta, tutti recenti e tutti a favorire (involontariamente) la Juventus. Così continuava l’articolo: «Il primo ad essere imbarazzato sarà l’arbitro stesso, scendere in campo con l’aureola di “juventino”può portarlo a decisioni opposte rispetto alle precedenti, in caso di incertezza». Questo è quello che pensavamo prima dell’incontro, questo è quello che poi si è verificato, che è sotto gli occhi di tutti, compresa l’incertezza che ha tradito Rizzoli, impaurito di favorire ancora la Juve, finendo per favorire il Milan.

Errore psicologico

E non occorreva certamente la lampada di Aladino per capire ed entrare nella psiche di un atleta (perché l’arbitro è un giudice ma anche un atleta) che entra in campo condizionato, può fare tutto e il contrario di tutto per dimostrare inconsciamente di non essere quello (Juventino) che tanti pensano. E così è stato. E non serve che Casarin giustifichi l’arbitro motivando che Braschi aveva deciso Rizzoli per far dimenticare una pessima prestazione di Tagliavento in un precedente Milan-Juve, lui è stato un grande arbitro, sa perfettamente cosa significa giudicare con serenità, altrimenti dovremmo pensare che si è dimenticato di tutto, siamo piuttosto propensi a credere che lo faccia per salvare la baracca. E non serve neppure che Sconcerti dica che probabilmente il rigore non c’era ma non si può parlare di errore. Di cosa si dovrebbe parlare sig. Sconcerti? Fermo restando che è difficile capire queste situazioni per chi non ha frequentato il campo, noi ci schieriamo a favore di Rizzoli e contro il designatore che in questo caso ha mancato quantomeno di buon senso, gli errori arbitrali ci saranno sempre e in buona fede, ma questo, caro Braschi, te lo sei cercato.

Scorrendo i giornali si può notare come la Ġazzetta si sia ancora superata. Nella prima pagina, l’inesistenza del rigore non le appartiene, furbescamente si limita a riportare la leale dichiarazione di Allegri, «il rigore non c’era». La solita scelta parziale o meglio di indirizzo perché la missione della rosea (Monti dixit) è di indirizzare. E indirizzare può stare tranquillamente per condizionare, l’opinione pubblica naturalmente. Meglio il Corriere dello Sport, titolo senza fronzoli «non era rigore», e sottotitolo in linea, «penalty inesistente» e solo in più la dichiarazione dell’allenatore del Milan. Scelta gustosa e ironica quella di Tuttosport, «Galliani mettila sul tuo cellulare», riferimento al tormentone di nove mesi fa dell’ad rossonero sul gol di Muntari. La Stampa nel suo primo resoconto è stata più realista del re, rigore solo “dubbio”, mentre il Giornale, a firma del suo articolista di fede rossonera, non ce l’ha fatta ad edulcorare, “rigore donato” e poi una disquisizione utile per Galliani, che discettava su Sky di ignorare il confine tra l’ascella e il braccio. C’è anche una premessa dello stesso articolista, dalla quale dissentiamo, «Si può sbagliare anche contro la Juve, è questa la morale che viene fuori da San Siro».

Rigore decisivo

E no, cari signori, se andate alle nostre impressioni della vigilia, la morale è un’altra, tutta colpa di Braschi e del Palazzo. Avevamo giudicata sbagliata psicologicamente la designazione di Rizzoli, avevamo messo in risalto la situazione di grande imbarazzo nella quale si sarebbe trovato l’arbitro, incappato in più occasioni negli ultimi tempi a prendere o suggerire scelte a favore della Juve e avevamo avvertito, nel dubbio deciderà a favore del Milan. Detto, scritto, prontamente avvenuto. Le situazioni bisogna saperle leggere, dovevano essere lette con attenzione da Braschi e da Nicchi, la conclusione è che Rizzoli è finito nella trappola delle scelte condizionate e la Juve ha subito un danno pesante per la sua classifica. La squadra non ha mostrato il piglio di sempre, se vogliamo anche giocando male , comunque il risultato dice che la Juve ha perso solo per quel rigore. Ed hanno ragione Marotta e Alessio quando chiedono cosa sarebbe successo a parti invertite. Il popolo bianconero si augurerà che almeno non si parli più di favoritismi alla Juve, ma dubitiamo che ciò avvenga. I corsi e ricorsi dicono il contrario, ricordate quello che il presidente Carraro disse al designatore Bergamo in occasione di Inter-Juve del 2004, arbitrata da Rodomonti «per carità che non si favorisca la Juve» che significa conviene danneggiarla.

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L'IMBOSCATA

Se arbitrano in sei

l’errore fa scalpore

di ANDREA BOSCO (TUTTOSPORT 27-11-2012)

ESCLUDO che Beppe Marotta si metta sulla schermata del cellulare il rigore - inventato - assegnato al Milan per una respinta di costola di Isla, così come aveva fatto Adriano Galliani per il gol non assegnato a Muntari lo scorso anno. Le due azioni hanno un peso specifico diverso, ma sempre di errori arbitrali si tratta.. Tuttavia: complessivamente il Milan ha interpretato meglio la partita e la sua vittoria sancita da un episodio fasullo non è immeritata. Resta una considerazione: gli arbitri sbagliano. A volte condizionando le gare. E’ sempre accaduto. Oggi la cosa fa più scalpore. Perché di arbitri ce ne sono sei. E perché ogni errore viene dalle moviole ingigantito. Gli arbitri sbagliano: a volte perché sono tecnicamente scadenti. Altre perché sono sfortunati. Altre ancora perché non sono sereni. L’introduzione massiccia della tecnologia (nel caso del non rigore di Isla, così come in quello del gol valido di Muntari la moviola istantanea avrebbe sanato due ingiustizie) forse risolverebbe qualche problema, ma snaturerebbe il senso filosofico del calcio. Resta un dato che nessuno - in buona fede - può disconoscere : la canea mediatica non si è ( come avvenuto per altri episodi ) innescata. La Juventus non ha protestato e le parole di Alessio nel dopo gara sono state civili. Allegri ha onestamente ammesso quanto era impossibile negare. Non sarebbe male che l’intero circo prendesse da loro esempio. Non accadrà. Il campionato abbisogna certamente di arbitri migliori. Ma anche di dirigenti e addetti ai lavori migliori. Al netto di questo, la Juventus ha giocato male. Praticamente non ha tirato in porta, riproponendo l’assodata sterilità dei suoi attaccanti. Forse l’immane,splendido dispendio di energie spremuto in Champion’s ha influito. Forse qualche cambio in più avrebbe potuto essere una panacea. La Juve ancora prima in classifica dovrà fare i conti con se stessa : i numeri dicono che ha già perso due volte, che i suoi più convincenti punteros sono i centrocampisti, che la mancanza di Conte in panchina pesa maledettamente. Non so quanto vere siano le voci su malumori e gelosie nello spogliatoio dei campioni d’Italia. Dovessero avere qualche fondamento, sarà meglio che Conte spazzi via ogni equivoco già a gennaio. Un bomber di ruolo certamente servirà. Ma forse, chissà, anche un reset per quanti dovessero avere dimenticato chi erano un anno fa. E dove, grazie a Conte ,sono arrivati. Ci sono solo tre fuoriclasse in questa squadra: uno in porta, uno a centrocampo, il terzo in panchina. Anzi : per altre due settimane ancora in un box oscurato. E’ bene che tutti ne prendano atto alla svelta.

Modificato da Ghost Dog

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Perché i tifosi della Juventus 'odiano' la giornalaccio rosa dello Sport? La risposta è in prima pagina

Pubblicato il 27 nov 2012 da Stefano Capasso

http://www.calcioblog.it/galleria/foto-i-titolo-pro-inter-e-milan-e-contro-la-juve-della-giornalaccio rosa-dello-sport/1

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Molti tifosi della Juventus da tempo si lamentano della linea editoriale della giornalaccio rosa dello Sport. La rosea è il quotidiano sportivo più venduto in Italia e da oltre 100 anni ‘racconta’ lo sport italiano e mondiale ai suoi lettori. Dopo Calciopoli si è però rotto quasi del tutto il feeling con i tifosi della Juventus, e questo probabilmente ha contribuito al calo di vendite e lettori (fonte: Audipress) registrato in questi ultimi anni. Certamente non un segnale positivo per un giornale che vorrebbe continuare ad essere il punto di riferimento per gli appassionati di sport, calcio in testa, sostenendo ovviamente di essere imparziale.

Probabilmente molti juventini arrabbiati si dimenticano che la ‘giornalaccio rosa dello Sport’ è, e resterà sempre, un giornale di Milano inevitabilmente legato alla città ed alle sue squadre. Per questo non può e non deve stupire l’assenza di riferimenti evidenti in prima pagina sul rigore assegnato al Milan nella sfida contro la Juventus per un inesistente fallo di mano diIsla. Ieri, infatti, il quotidiano diretto da Andrea Monti ha preferito omaggiare i rossoneri titolando: “Svolta Milan, allarme Juve“.

L’unico accenno all’episodio del rigore era riportato nelle parole dello sportivo Massimiliano Allegri (Fair Play Allegri: ‘Non c’era’) che a fine a partita non si è nascosto dietro un dito, sottolineando l’abbaglio di De Marco e Rizzoli senza giri di parole. Gli errori degli arbitri sono tutti o quasi comprensibili, ma stupisce come l’episodio venga accantonato senza starci tanto a pensare. Atteggiamento diametralmente opposto a quello dimostrato in altre occasioni, anche in questa stagione, quando invece è stata la Juventus a vincere con l’aiuto di una svista arbitrale.

Le prime pagine della giornalaccio rosa

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Non può che tornare alla mente Catania - Juventus, decisa da un gol di Vidal viziato da un fuorigioco di Bendtner di una 20ina di centimetri, dopo l’ingiusto annullamento di una rete diBergessio nel primo tempo. Il giorno successivo alla partita la giornalaccio rosa titolò a tutta pagina: ‘Juve, che veleni!‘, con con un occhiello che spiegava perfettamente cosa era successo al Massimino (’Negato un gol al Catania, la capolista vince con una rete irregolare‘). Niente di falso per carità, si trattava di due errori oggettivi, come si poteva notare anche dai due fermo immagine degli episodi, riproposti sempre in prima pagina e cerchiati in rosso.

Quello che probabilmente fa arrabbiare tanti juventini è non vedere la stessa indignazione quando invece accade che siano Milan o Inter a venire favorite da un errore arbitrale, per quanto questo sia nell’ordine naturale delle cose. Facciamo un paio di esempi per entrambe le milanesi.

Milan - Genoa del 27 Ottobre scorso, vinta 1-0 dai rossoneri con un gol di El Shaarawyviziato dalla posizione irregolare di Abate che gli servì l’assist. I redattori della giornalaccio rosa quel giorno non trovarono lo spazio o il modo di inserire il fermo immagine di Abate in fuorigioco a due metri dal guardalinee, né di raccontare quanto accaduto con un’esaustiva spiegazione. Iltitolone era tutto per El Shaarawy che segnando e regalando i tre punti al Milan si era potuto godere ‘il compleanno più bello della sua vita‘.

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La stessa cosa è successa il giorno dopo in Inter - Catania, vinta 2-0 dai nerazzurri con qualche affanno. Il risultato finale venne condizionato da un calcio rigore non fischiato ai siciliani al 30esimo del secondo tempo, sul punteggio di 1-0 per i padroni di casa, per un fallo evidente di Guarin su Gomez. In questo caso il titolo e la foto erano solo per Cassano, (’Tant’Antonio, Cassano-gol è il trascinatore‘). Niente fermo immagine con il fallo cerchiato in rosso o didascalie sull’episodio.

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Le foto degli episodi incriminati invece non sono mancati dopo l’imbarazzante errore dell’arbitro Giacomelli nel finale di Inter - Cagliari che mandò su tutte le furie Moratti, e neanche dopo il disastro del sestetto arbitrale in Juventus - Inter, nonostante la meritata vittoria dei nerazzurri.

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Questa strana tendenza a dimenticare alcuni episodi ed a sottolinearne altri è indicativa di quanto spiegato sopra; la giornalaccio rosa dello Sport è un giornale di Milano, e nei fatti ha un occhio di riguardo per Inter e Milan che vengono di conseguenza protette o coccolate a seconda dei casi. Un giornale di ‘parte’, esattamente come Tuttosport, spesso deriso i suoi titoloni esagerati sul calciomercato della Juventus, sparati il più delle volte a caso per cercare di persuadere qualche tifoso bianconero credulone a comprare il giornale.

E’ impossibile credere davvero che possano esistere giornalisti sportivi che seguono il calcio senza avere una squadra del cuore e per questo sarebbe sciocco contestare le opinioni personali. Discorso diverso è quando ci si dimentica ‘casualmente’ di riportare alcuni fatti, salvo poi diventare particolarmente precisi e puntigliosi in altre occasioni.

Per cui cari juventini basta indignarsi; la giornalaccio rosa dello Sport è il giornale delle milanesi, non c’è nulla di male. Basta prenderne atto e farsi una bella risata quando la Rosea viene definita, chissà poi perché, un quotidiano “super partes“. E’ una precisa linea editoriale, non certamente un reato.

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A year on from Gary Speed’s death

and sport still has its demons to fight

by OLIVER KAY (THE TIMES 27-11-2012)

Has it really been a year? The calendar confirms that it has — that it was 12 months today that British football was plunged into shock and then into mourning by the news, still barely believable now, that Gary Speed had been found dead at his home.

Speed was one of those football men who seemed to have it all: the respect and reverence of his peers, the love of his family, money in the bank, an illustrious playing career behind him and, at 42, a highly promising managerial career opening up in front of him. Yet at 7am on November 27 last year his wife, Louise, found him hanging, lifeless, in the garage of the family home, a ligature around his neck.

Let us be clear about this. This was not football’s tragedy. Speed was not public property. The immense sense of grief felt by the football community cannot begin to compare with that suffered by his nearest and dearest, who lost a husband, lost a father, lost a son, lost a brother, lost a friend.

But the football community’s sense of loss was genuine. Few figures within the game were as universally well regarded as the man who played for Leeds United, Everton, Newcastle United, Bolton Wanderers and Sheffield United and won an outfield record-breaking 85 caps for Wales, whom he latterly managed.

In the outpouring that followed Speed’s death, Gordon Taylor, the chief executive of the Professional Footballers’ Association, said that he had “never known of such grief and loss”, adding that “a light has gone out in the football world”.

Even now there is no clear explanation for what happened with Speed. The coroner at the inquest into his death recorded a narrative verdict, stating that there was not enough evidence to prove that the former Wales captain intended to take his life. There was no relevant medical history and no apparent motive. The coroner raised the possibility that putting a ligature around his neck might have been “some sort of dramatic gesture — not normally in Mr Speed’s nature, but nonetheless a possibility”.

We will never know what was going through Speed’s mind on that fateful night, but it has become clear that, for all the talk from team-mates of him being “the life and soul of the party”, “everybody’s friend”, he was suffering. And, while a light has gone out in the football world, eyes have been opened to the darkness, the solitude and the helplessness that can engulf its players.There was never a hint that Speed had suffered with depression, but this was a wake-up call to a sport that had ignored such issues.

In the past, players suffering from the illness had been seen as isolated cases — and often denigrated; when Stan Collymore, once the most expensive player in English football, had stress-related issues diagnosed in 1999, John Gregory, the Aston Villa manager, replied: “Stress? Stress is the 29-year-old at Rochdale with three months left on his contract, a wife, three kids and a mortgage. That’s stress. I can only imagine what someone in that position would make of this.”

Within days of Speed’s death, the PFA had been flooded with inquiries, some of them anonymous, from members who felt that they needed someone to talk to. The Sporting Chance clinic, with which the PFA has a successful partnership, had ten fresh inquiries from footballers in that first week.

The PFA has increased the support it offers to its members not just with regards to addiction, which is Sporting Chance’s speciality, but depression. The union confirmed last night that its existing support network will be extended to include its backing for the One Retreat project, which will create places of refuge for footballers struggling with stress, anxiety and related mental health issues.

The project is the brainchild of Darren Eadie, the former Norwich City and Leicester City winger, with help from, among others, Cédric Anselin, a former team-mate at Carrow Road.

Eadie has suffered with depression since the end of his career. Anselin, who suffered severe financial problems at the end of his playing career, has admitted to having been on the verge of taking his life when his wife found him with a rope around his neck.

“I’m building a team of former players who have suffered with various issues — panic attacks, anxiety, depression,” Eadie said. “It’s not to give advice. It’s to listen and to direct them to the people they need to speak to.

“People have certain views of footballers. People might ask how a footballer can be depressed. It doesn’t work like that. Depression doesn’t discriminate on how rich you are or how successful you are or what race you are. It’s a chemical imbalance and footballers, with the life we have, are vulnerable to it. There are some very good highs, but essentially there are a lot more lows than highs.

“It’s such a broad spectrum of people who are in need of help. There are young lads coming through who are under huge pressure to make it, there are players who are at the peak of their career and there are players who are at the end of their careers and struggling to adjust to being a normal member of society.

“Sometimes these are players who have been taken into academies at the age of 8, lived their whole life in the bubble of the football environment and are then, when their career is over, sent into society. Sometimes, through no fault of their own, they have no idea what society is.”

Speed was one of those, blessed with what seemed a sense of assurance and confidence in any company, who knew what society was.

He was a great player and, by consensus, a great bloke — classy, stylish, redoubtable, unbreakable. Robbie Savage, one of his best friends, called him “perfect”. And yet something was wrong. Somehow this fantastically successful man lost, tragically and avoidably, what looked to the rest of us like a perfect life. It still does not seem real. It is to those closest to him, his very nearest and very dearest, that reality bites unforgivingly every day.

• The PFA threw its support last night behind the One Retreat project, which plans to provide residential facilities and specialist support for players who are suffering from depression, anxiety or other mental health issues. “Although we are already delivering a series of effective initiatives through a network of providers, we feel this bold new project will reach out to those facing difficulties and offer further levels of support, especially in times of change or transition,” Gordon Taylor, the chief executive, said.

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Gold vows to root out West Ham racists

by GARY JACOB (THE TIMES 27-11-2012)

David Gold, the co-owner of West Ham United, condemned a minority of his club’s fans last night for their racist chanting at White Hart Lane on Sunday.

The FA launched an investigation after West Ham fans appeared to mock both the gassing of Jews in the Holocaust and the knife attack on Tottenham Hotspur supporters in Rome during the 3-1 defeat. The East London club reacted by banning a season ticket-holder who was one of two fans cautioned by police after being arrested on suspicion of racist abuse at the game.

Gold, 76, recalled his childhood growing up in the East End, an area that was a notorious breeding ground for anti-Semitism, and thought that those days of fear and abuse were long behind him. He said that he did not hear the chanting on Sunday but promised to ban anyone found guilty of abuse. Gold is one of two Jewish directors at the club.

“If I had [heard it], then I’m sure I would have been mortified,” Gold said. “I am very proud of my Jewish heritage and have always been made to feel welcome at West Ham since I started watching them as a young boy back in the 1950s. That wasn’t always the case growing up in the East End and I know first hand how difficult dealing with prejudice can be, which is why I feel so passionately about promoting inclusion in society today.

“We have made a clear stance towards any kind of discriminatory behaviour — it will simply not be tolerated. If we can identify any individuals that have acted inappropriately, they will be banned by the club. We believe we have some of the best supporters in the country and will not let a minority of fans, no matter how small, affect the reputation of our great club.”

Yossi Benayoun, a Jewish West Ham player, said that he was disappointed at his own fans, although it is not thought that he was present at the stadium. West Ham supporters sang “Can we stab you every week?” on several occasions and there were reported chants about Adolf Hitler. “I have a great relationship with the West Ham supporters from my first spell at the club and again now I am on loan [from Chelsea],” Benayoun said. “This why I was very disappointed to hear some of the songs yesterday. It was embarrassing.”

The police have launched an investigation after a complaint by the Society of Black Lawyers and have asked media organisations for images and videos that could help their task. The FA could warn or heavily fine West Ham if charged and found guilty. They have written to both clubs for their observations and to ascertain what preventative measures were taken, such as warning fans beforehand.

“There is no place for anti-Semitism or any form of discrimination in football,” the FA said.

Tottenham will submit video evidence, which is thought to include photographs and videos of fans doing Nazi-style salutes. “We are compiling a full report for the FA and shall be submitting this with all our evidence including relevant CCTV footage,” Tottenham said in a statement.

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¿Y dónde están los futbolistas homosexuales?

por JULIO MUÑOZ GIJÓN (EL HUFFINGTON POST 27-11-2012)

Era 1981. Justin Fashanu fue fichado por el Nottingam Forest por un millón de euros. Es el primer futbolista de color por el que se paga un millón de libras. Lo pide Brian Clough, polémico y exitoso entrenador a quién muchos ven en José Mourinho. Corrían rumores de que Fashanu era homosexual y Clough contó en sus memorias un diálogo con él.

"¿A dónde vas si quieres una rebanada de pan?", le pregunté. "Al panadero, supongo". "¿A dónde vas si quieres una pata de cordero?" "Al carnicero." "Entonces, ¿por qué sigues yendo a ese maldito club de maricones?"

A la homosexualidad le quedan cada vez menos tabúes, pero el fútbol es definitivamente uno de ellos. Fashanu es el único futbolista de nivel que ha confesado su condición y la estadística dice que hay muchos más.

Últimamente están los casos del norteamericano David Testo y del sueco Anton Hysen, pero en ligas menores.

Como un verano, el tema vuelve a los medios con cierta frecuencia. La última vez fue con el caso de Jonathan De Falco, un futbolista belga de tercera división que ha dado el salto al porno gay después de abandonar su carrera deportiva.

"Si la gente se hubiera enterado de que soy homosexual, hubiera tenido problemas. El mundo del futbol aún no está preparado para los jugadores abiertamente gais".

En España, la revista Zero, llegó a filtrar hace unos años que llevaría a un jugador de primera división en portada saliendo del armario. Según El Mundo, esa portada llegó incluso a existir pero el club del jugador le llegó a amenazar con apartarlo de la plantilla. Hoy, la revista ha abandonado el papel y ha servido de declaración a directores de cine, jueces, políticos... pero no ha habido futbolista.

Joaquín Sorribas, jugador del Huesca y psicopedagogo, habló del tema en una entrevista.

"La figura del futbolista está más asociada a un fuerte y viril guerrero que lucha y muere por los colores, que se bate y se reta con cada contrario. Cosa que un homosexual puede hacer igual o mejor, pero quizás estaría demasiado expuesto a que cualquier error o que un mal día fuera una losa demasiado pesada".

Sin embargo, la universidad de Staffordshire hizo una encuesta entre aficionados, jugadores y árbitros y reveló que la mayoría pensaba que los clubs y los agentes presionan para que ese dato no salga nunca, bajo ningún concepto.

Hay quien piensa que las posibilidades publicitarias para el primer futbolista que se reconozca homosexual serán infinitas, pero la realidad dice que los clubs piensan que su activo se devaluaría en venta de camisetas e imagen y los agentes que será mucho más difícil conseguir un traspaso millonario si su representado es homosexual.

Parece que el tabú de lo gay en el fútbol no es una cuestión de homofobia sino de simple beneficio económico.

Sorprendentemente existe un mundial de fútbol gay, que organiza la Asociación de Futbol Gay Lésbico con equipos de los cinco continentes, pero desde luego no con representación de todos los países. En España solo hay un club, está en Barcelona y se llaman Panteres Grogues, Panteras Amarillas.

"Reconocemos que los torneos paralelos son una solución forzada, pero hoy en día suponen una salida".

Últimamente, la FIFA sancionó al italiano Antonio Cassano con 18.250 dólares por estas declaraciones en la pasada Eurocopa.

"Yo solo espero que no haya 'maricas' en el equipo nacional, pero si las hay, es su problema".

La historia de Justin Fashanu, que protagonizó un histórico titular en The Sun "£1M Soccer Star: I'm GAY" acabó trágicamente. Fue apartado de su equipo, tuvo problemas para encontrar nuevos y acabó marchándose a Estados Unidos. Allí, un joven de 17 años le acusó de violación. La investigación ni siquiera comenzó porque rápidamente se vio que era un montaje.

Sin embargo Justin se ahorcó en su habitación dejando una nota.

"Me he dado cuenta de que ya he sido condenado como culpable. No quiero ser más una vergüenza para mis amigos y familia".

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Homosexual players need a gay hero, says Lindegaard

by JAMES DUCKER (THE TIMES 28-11-2012)

Racism may be the hot topic of debate in football, but Anders Lindegaard believes that another form of discrimination is demanding to be addressed.

The Manchester United goalkeeper has condemned the “primitive” and “intolerant” attitude towards homosexuality in the sport and explained why he believes that the footballing world needs a “gay hero” in a bid to thrust the subject into the public consciousness.

Lindegaard is heterosexual, but in an articulate and impassioned blog for Betfair, the online betting firm, the Dane took up the fight for gay footballers. He fears that they are too “afraid” to admit their sexual orientation amid concerns about the abuse they might invite from fans.

Since Justin Fashanu, the former Nottingham Forest player, came out as homosexual in 1990 and was immediately subjected to taunts from supporters and his fellow professionals, no other top-flight footballer has followed in his footsteps.

Meanwhile, Steve Davies, the cricketer and Gareth Thomas, the former Wales rugby player, have done so.

“As a footballer I think first and foremost that a homosexual colleague is afraid of the reception he could get from the fans,” Lindegaard wrote. “My impression is that the players would not have a problem accepting a homosexual.

“Homosexuality in football is a taboo subject. The atmosphere on the pitch and in the stands is tough. The mechanisms are primitive, and it is often expressed through a classic stereotype that a real man should be brave, strong and aggressive. And it is not the image that a football fan associates with a gay person.

“The problem for me is that a lot of football fans are stuck in a time of intolerance that does not deserve to be compared with modern society’s development in the last decades.”

A recent report by the House of Commons committee stated that “homophobia may now be a bigger problem in football than other forms of discrimination”, with 25 per cent of fans believing football is homophobic compared with 10 per cent who think that the sport is racist.

Lindegaard added: “To turn a blind eye only indicates that one is not recognising that there is a problem. Of course there is a problem if young homosexuals, who love football, have to quit the sport because they feel excluded.

“Any discrimination towards people is and should be totally unacceptable, whether it is about skin colour, religion, sexuality etc. Homosexuals are in need of a hero. They are in need of someone who dares to stand up for their sexuality.”

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Striscioni non autorizzati

Gli 007 scrivono a Palazzi

Filmati al setaccio per identificare i responsabili: rischio Daspo

Mistero su come siano stati introdotti. E su alcuni «magazzini»

di ROBERTO BELINGHIERI (L'ECO DI BERGAMO 27-11-2012)

Il caso

Ai tornelli non li hanno trovati. E di striscioni abusivi non è emersa traccia nemmeno durante i controlli cui lo stadio è sottoposto qualche ora prima della partita, a cancelli chiusi. In gergo tecnico si chiama bonifica. Niente, niente striscioni. Eppure, in curva Pisani domenica sono comparsi otto striscioni non autorizzati preventivamente, secondo le regole. Non sarebbero dovuti essere dentro lo stadio, eppure c’erano.

Quindi, quel che Atalanta e Digos stanno cercando di capire è come siano potuti entrare. Entrano da sempre, gli striscioni «proibiti». Ma da quando al Comunale è stato installato il prefiltraggio, scaraventarli all’interno nottetempo è molto più difficile. Per non dire impossibile. Così come è arduo pensare che gli ultrà abbiano accesso privilegiato allo stadio. I riflettori potrebbero essere presto puntati su alcuni «magazzini» che risultano lucchettati (chi ha le chiavi?), sotto la Nord. Ma quand’anche fosse lì il deposito, il giallo resta. Perché l’ultima partita interna s’è giocata domenica 11, e i fatti cui fanno riferimento i tifosi risalgono al 20 e 21 novembre. Quindi è evidente che sono stati preparati nell’immediata vigilia del match, con conseguente introduzione allo stadio. Attraverso quale varco è la domanda cui le indagini della Digos cercheranno di dare una risposta.

Così come la Digos cercherà di dare un nome a chi ha materialmente appeso gli striscioni, visionando le registrazioni delle telecamere interne. Impresa difficile: avevano tutti il volto nascosto. In caso di identificazione il Daspo sarebbe la conseguenza inevitabile. Perché un dato è certo: nessuno di quegli striscioni è arrivato al Comunale seguendo la via delle autorizzazioni previste dalle norme. E nessuno di questi è iscritto al fantomatico «Albo degli striscioni » di recente invenzione. L’unico di marca atalantina che appare sul sito del Viminale lo vedete qui: un innocuo «Bg» nerazzurro. Stop. E sul capitolo «rimozione», un dato: l’unico striscione sparito (a parte quello che riproduceva la testata della giornalaccio rosa dello Sport, comparso per una manciata di minuti nel cuore della curva durante la protesta simbolica d’inizio partita) attaccava la polizia per la vicenda videopoker. Ma a quanto pare è stata una scelta della curva, «bisognosa» di spazio per stendere la scritta «dedicata» ad Alessandro Ruggeri. E gli altri? Polizia e carabinieri non sono presenti dentro lo stadio, dove l’ordine è gestito dagli steward. Ma è inimmaginabile che pochi steward affrontino decine di ultrà per staccare uno striscione. Nessuno s’arrischierebbe a dare quell’ordine, che infatti non è partito.

Quindi, striscioni abusivi. Quindi, giudice sportivo in allerta. Siccome la serie A ha giocato ieri sera e gioca anche stasera, le decisioni del giudice arriveranno domani. Multa certa, anche perché domenica sono stati esplosi alcuni petardi.

Ma non è tutto: domenica, come in ogni partita interna, erano presenti gli «007» della procura federale. Dagli ambienti della Figc filtra la notizia che una relazione su questi striscioni è già stata depositata sul tavolo del procuratore Palazzi il quale ha aperto un fascicolo senza attendere le decisioni del giudice sportivo.

Con quali rischi per la società, al momento è difficile dirlo. Alla fine la vittima - oltre le persone insultate dagli striscioni - sarà la stessa di sempre: il portafogli dell’Atalanta. A quanto pare, ha l’anestesia.

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IL COMMENTO di ROBERTO BELINGHIERI (L'ECO DI BERGAMO 27-11-2012)

Le regole, il ricatto e i volti coperti

Due sono le forzature viste domenica. Nel nome dell’Atalanta e della presunta necessità di difenderla, si prevaricano le regole. Striscioni abusivi appesi come se piovesse, chissenefrega delle autorizzazioni, degli albi, dei controlli. Tutto aggirato. Si chiamano ultras, e il loro codice non prevede la legge. Come certi quartieri malavitosi in cui non comanda la legalità, e la legge non è quella scritta: è quella del più forte.

Le regole, allo stadio, valgono per tutti. Ma la curva sembra Livigno: entri lì e cambia tutto. Ed eccoci alla seconda sconfitta della legge. Di fronte all’ovvia necessità di rimuovere i tanti striscioni non autorizzati, viene opposta l’obiezione dei «motivi di ordine pubblico». Tradotto: se andiamo là e proviamo a levarli, scoppia il finimondo e qualcuno si fa male. Quindi gli striscioni restano lì: sono il male minore. Ragionamento comprensibile. È ovvio che la polizia non intervenga in curva. Ma così, vince chi con le regole accende la stufa, perché tanto poi impone il ricatto della violenza. Ma d’altro canto chi ha senso civico non può tollerare che ciò che per tutti è norma, per altri sia carta straccia.

E c’è un dato ulteriore da rilevare. C’è uno strisciante integralismo - talvolta squadrismo - che si fa largo negli ambienti del tifo. Un’onda che prende di mira chiunque non imbracci la bandiera nerazzurra a prescindere, chiunque osi discutere, muovere critiche, incrinare il clima di consenso unanime che deve avvolgere questa Atalanta. Di volta in volta cambiano gli obiettivi, non i metodi. E non parliamo solo degli striscioni appesi da ultrà dal volto coperto. Parliamo dell’insistente attacco, portato con la facile scappatoia dell’anonimato garantito da Internet, a chi viene individuato come nemico. Nascosti sotto la metaforica sciarpa di un qualsiasi nickname si sobillano campagne e si sparano insulti, si teorizzano strampalati complotti, si alzano i toni. E si scaldano le teste. Ci vorrebbe un pompiere, ogni tanto, ma la sua sirena non si sente mai. Attenti, però: certi cervelli sono come il fuoco. Non ci si scherza.

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L’attacco ultrà Il questore: invitati a togliere

le scritte, ma non potevamo fare la guerra.

Bengala e fumogeni: l’Atalanta brilla per le multe

Quegli striscioni intoccabili

Fortunato Finolli «Stiamo già cercando di identificare gli autori, non guarderemo in faccia nessuno»

La Digos «Tanto materiale viene introdotto in modo fraudolento, non c’è nulla di autorizzato»

di ARMANDO DI LANDRO (Corriere della Sera - Bergamo 27-11-2012)

Non sono autorizzati eppure allo stadio entrano. E quando entrano nessuno riesce a farli rimuovere, nemmeno la polizia. Sugli striscioni della Curva Nord contro i giornalisti - in particolare contro un collega della giornalaccio rosa dello Sport -, ma anche su fumogeni e bengala che puntualmente hanno libero accesso agli spalti, l'Atalanta resta in assoluto silenzio. Eppure è l'unica che paga e rischia di pagare, anche questa volta.

L'ultimo caso è quello delle offese alla stampa e ai poliziotti: l'arbitro dovrebbe aver visto quanto accadeva in curva e già oggi il giudice sportivo potrebbe esprimersi sanzionando la società. Il sito dell'osservatorio del Viminale parla chiaro: bengala e fumogeni non sono ammessi e l'unico striscione atalantino autorizzato è un grande rettangolo nerazzurro con dentro la scritta «BG», in bianco. Il resto è abusivo, quindi vietato. L'Atalanta lo sa bene. Nella stagione 2011/2012 è salita sul terzo gradino del podio, in serie A, per multe ricevute: 128 mila euro. E quest'anno le sanzioni sono già state sei. Eppure allo stadio entra di tutto, incluse scritte che vanno dall'«infamia», al «senza onore», fino allo «sfigato» (contro Ruggeri junior) o a giudizi categorici contro i poliziotti che giocano ai videopoker. Perché, se è vero che a volte anche un papà che porta un bimbo allo stadio, viene perquisito? La Digos ieri ha puntualizzato: «Sia chiaro che non c'è nulla di autorizzato e nulla che passa sotto i nostri occhi. Ci sono materiali e striscioni che entrano allo stadio di nascosto, in modo fraudolento».

Sul motivo per cui domenica alcune scritte non sono state rimosse si è invece espresso il questore Fortunato Finolli: «C'è stato un contatto tra gli uomini della polizia e i tifosi, per convincerli a togliere quelle parole offensive. Ma non hanno voluto saperne. A quel punto davvero non era il caso di andare a fare la guerra, con lacrimogeni o altro. C'era la sicurezza di tutti da preservare. Ma questo non vuol dire che il nostro compito è esaurito: stiamo già cercando di identificare gli autori di certe scritte e i soggetti che le hanno introdotte allo stadio. E non guarderemo in faccia nessuno».

Gli striscioni hanno comunque colpito buona parte del pubblico. «Sì, ero allo stadio in occasione di Atalanta-Genoa, come mi capita quasi sempre quando si gioca in casa — commenta ad esempio il sindaco Franco Tentorio, dal Dna nerazzurro —. Quelle scritte sono state notate da tutti, eccome. Si è trattato di una presenza molto invasiva, sia contro la giornalaccio rosa dello Sport, sia contro Alessandro Ruggeri. Continuo a ritenere che qualsiasi attacco di questo tipo, davvero poco elegante, sia un errore».

Il clima è teso, ancora influenzato dall'onda lunga della chiusura delle indagini sul tifo violento, ma anche dal botta e risposta tra l'ex presidente Ruggeri e Antonio Percassi. «Ecco, credo che anche quel passaggio, ovvero la polemica ai vertici della società, non abbia giovato — sostiene il sindaco Tentorio —. A tutte le parti del mondo Atalanta lancio un appello alla calma».

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L'ALTRA LEGGE DELLA CURVA

di FABIO FINAZZI (Corriere della Sera - Bergamo 27-11-2012)

A Bergamo, in materia di calcio e dintorni, vigono ormai con tutta evidenza due leggi. C'è la legge dello Stato, che impone rigorosi controlli per chi entra allo stadio. Si tratta del ben noto e detestato rituale del tornello: prima si sta tutti pazientemente in coda, biglietto elettronico alla mano. Poi, arrivati finalmente all'agognata soglia dello stadio, scattano le perquisizioni che (giustamente) non guardano in faccia a nessuno. Neppure all'insospettabile padre di famiglia con figlioletti al seguito.

Ben venga, uno pensa, il piccolo supplizio, se serve a garantire a tutti lo spettacolo in sicurezza. Peccato che poi ci sia l'altra legge, quella della curva. Dove inspiegabilmente entrano ogni domenica vietatissimi bengala, fumogeni e quant'altro. Come dimostra il bollettino settimanale delle multe appioppate all'Atalanta. Per non dire degli striscioni. In questo Paese dove la linea dura anti-violenza (verbale o fisica che sia) vige a intermittenza come le luci sull'albero di Natale, a un certo punto si decretò: entrano solo quelli autorizzati dall'Osservatorio del Viminale. Perfino eccessivo: certi sfottò giocati sul filo dell'ironia a volte strappano un sorriso. Ma non c'era nulla di ironico in quelli comparsi domenica in occasione di Atalanta-Genoa. Il tono era pesante e intimidatorio nei confronti in particolare della stampa. Agli ultrà sono andati di traverso i resoconti dell'inchiesta che li riguarda, le interviste all'ex presidente Ruggeri e il dibattito che ne è seguito.

Intendiamoci, non saranno certo due striscioni (ma anche dieci, venti, quanti vi pare) a condizionare il lavoro dei giornalisti. Ci vuol altro. Ma quando si scende sul personale la questione si fa un pò più pesante. È un metodo da cosca già sperimentato in passato: me la piglio con il singolo cronista, nome e cognome, seguono scritte e insulti sotto casa, quando non una testata in faccia. Questa volta nel mirino è finito un collega della giornalaccio rosa (a lui la piena solidarietà del Corriere). La prossima ci finirà qualcun altro.

La questione è molto semplice, e va ben oltre la categoria dei giornalisti. Perché la santabarbara della Curva prosegue senza che nessuno batta ciglio? Perché se quegli striscioni sono vietati non sono stati rimossi? Un cronista del Corriere, tra il primo e il secondo tempo, ha girato tempestivamente la domanda al questore, presente domenica in tribuna. Senza esiti apprezzabili.

Quanto all'Atalanta, da queste colonne abbiamo invocato in tempi non sospetti nette parole di condanna. È arrivata soltanto, in occasione della conferenza stampa di replica a Ruggeri, una generica (e scontata) presa di distanza dalla violenza. Per il resto Percassi è sembrato più che altro preoccupato di difendere la festa della Dea, piena di bambini e buoni sentimenti. Ma proprio questo è il punto: i piccoletti con la maglia di Denis che vedono il presidente dell'Atalanta duettare sul palco con il capo degli ultrà (sottoposto a 33 procedimenti penali) come minimo cresceranno con le idee un pò confuse. E qualcuno diventerà da grande un soldatino reclutato nell'esercito del Bocia.

Ecco perché serviva (serve) un messaggio forte e chiaro dalla dirigenza nerazzurra. Ecco perché due leggi sono troppe. Ne basta una e va fatta rispettare con rigore dalle forze dell'ordine. Lo si deve non ai giornalisti, ma ai baby-tifosi atalantini. E ai loro pacifici papà che ogni domenica si mettono pazientemente in coda ai tornelli.

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