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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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La linea del colore

che divide il football

La squalifica troppo morbida del razzista John Terry

fa arrabbiare i fratelli Ferdinand e spacca la Premier

I giocatori neri hanno boicottato la campagna «Kick it out» per protesta

Si fa largo l’idea di un sindacato black che spaventa la Federazione

di LUCA MANES (Pubblico 26-10-2012)

Le due settimane di lotta contro il razzismo nel calcio europeo non potevano coincidere con un momento più delicato, almeno in Inghilterra. Oltre Manica divampano le polemiche, ma sotto i riflettori non ci sono i tifosi – che pure ogni tanto ne combinano ancora di cotte e di crude – ma addirittura giocatori di alto profilo. Nel giro di pochi giorni si è creato addirittura il paradosso per cui Rio Ferdinand, difensore e storico leader del Manchester United, da sempre in prima fila nelle battaglie sociali del calcio inglese, si è rifiutato di indossare la maglietta della campagna «Let’s Kick Racism Out of Football». Mentre John Terry, capitano del Chelsea, appena squalificato per insulti razzisti al fratello di Ferdinad (Anton), è sceso in campo in Champions League con una fascia al braccio su cui c’era scritto «Uniti contro il razzismo». Andiamo con ordine e proviamo a dipanare una matassa che nel corso degli ultimi mesi è diventata intricatissima e si è arricchita di episodi clamorosi e inaspettati.

La nostra storia inizia giusto un anno fa, il 23 ottobre 2011. Al Loftus Road il Queen’s Park Rangers affronta il Chelsea nel derby del West End londinese. All’85° minuto John Terry ha uno scatto d’ira e rivolge un epiteto razzista ad Anton Ferdinand. Il difensore del QPR ha appena ricordato a Terry la sua scarsa fedeltà alla moglie, tradita tra le altre anche con la fidanzata dell’ex amico e compagno Wayne Bridge. All’inizio il caso sembra destinato a sgonfiarsi senza lasciare alcun strascico, ma ecco il primo colpo di scena. Qualcuno molto abile a leggere il labiale e che assiste al match per televisione, sporge denuncia convincendo anche un fin a quel punto titubante Anton a prendere posizione contro il rivale. Scoppia un putiferio, anche perché Terry è uno dei simboli del calcio inglese, nonché capitano della nazionale, allora ancora allenata da Fabio Capello. Il suo gesto, poi, giunge pochi giorni dopo gli insulti razzisti vomitati in faccia a più riprese a Patrice Evra da Luis Suarez del Liverpool, per cui l’uruguayano riceverà otto giornate di sospensione. Insomma, una delle piaghe ulceranti del passato pare fare di nuovo la sua comparsa, ma in campo e non sugli spalti.

Nel caso di John Terry la Federazione inglese (Fa) se la prende comoda, ma anche a seguito di «sollecitazioni governative» intima a Capello di togliere la fascia al forte centrale difensivo. Apriti cielo, Don Fabio non ci sta e se ne va sbattendo la porta. Nel frattempo viene concordata la data dell’udienza penale. Terry rischia una sanzione pecuniaria di circa 3mila euro – spiccioli, per uno come lui – ma la figuraccia planetaria sarebbe garantita. Si muovono gli avvocati e guarda caso viene stabilito che la sentenza sarà emessa dopo l’Europeo di Polonia e Ucraina, che quindi il villain del nostro racconto può disputare senza problemi. Una competizione per cui invece il nuovo manager dei Tre Leoni Roy Hodgson non convoca Rio Ferdinand (che ovviamente ha preso le parti del fratello). Ufficialmente perché non ce la fa più a reggere i ritmi di un torneo così impegnativo, in realtà perché Mister Roy voleva evitare risse da saloon negli spogliatoi tra i due contendenti.

Euro 2012 finisce con la solita eliminazione ai rigori nei quarti di finale. Giusto il tempo di un paio di tuffi nel mare di qualche località esotica ed ecco che arriva il tanto atteso giorno della sentenza. A sorpresa la corte dichiara Terry non colpevole, per la gioia di Ashley Cole, terzino sinistro nero del Chelsea che ha testimoniato sull’integrità morale del compagno di squadra. Così facendo si merita l’appellativo di choc ice (slang che signorilmente si può tradurre «amico dei bianchi»), come scrive uno dei follower di Rio Ferdinand su Twitter. Un commento pubblicamente lodato dal difensore dello United sul popolare social network. Nota bene, per il cinguettio di apprezzamento il buon Rio ha ricevuto una di multa di oltre 50mila euro dalla Fa perché ritenuto razzista. E qui ormai siamo ai confini del paradosso.

Il verdetto di innocenza lascia esterrefatta una buona fetta dell’opinione pubblica britannica. Terry capisce l’aria che tira e abbandona la nazionale. Chi lo sostituirà, Rio? Nemmeno per idea, come confessaHodgson durante un viaggio in metropolitana ad alcuni passeggeri. Roba da far invidia ai Monty Python.

Il 27 settembre finalmente arriva la decisione della Federazione: 300mila euro di multa e quattro giornate di squalifica, con la postilla che «Terry è sì colpevole, ma non razzista». Una farsa, nell’opinione di una decina di giocatori neri, che il fine settimana scorso puntano i piedi e decidono di non vestire le maglie della campagna «Kick it out». Tra questi, oltre al promotore dell’iniziativa Jason Roberts del Reading, i fratelli Ferdinand, tanto da portare Rio a litigare addirittura con il suo mentore Alex Ferguson. Va detto che in due decenni la campagna contro il razzismo di risultati ne ha prodotti, non fosse altro perché ancora negli anni Ottanta e all’inizio dei Novanta alcune tifoserie –tra cui quella del Chelsea –erano solite tirare banane ai giocatori neri e non contare i gol che questi realizzavano. Ora la questione razzismo è considerata una priorità, ma visto che «Kick it out» è finanziata dalla Premier League e dalla Fa, organismi dimostratisi fino troppo clementi con John Terry, l’azione di boicottaggio ci sta tutta.

Mentre monta la protesta, comincia a circolare pure una voce clamorosa che spaventa la Federazione: Rio sarebbe pronto a fondare un sindacato calciatori per soli neri che non si sentono più rappresentati dalla Professional Football Association (Pfa). Sempre via twitter, Ferdinand l’ha parzialmente smentita («non date fede a tutto ciò che leggete») ma la Pfa si è affrettata a stilare un nuovo piano in sei punti di lotta al razzismo che va dall’inasprimento delle pene disciplinari e velocizzazione dei procedimenti disciplinari all’obbligo di offrire le panchine anche agli allenatori di colore che, persino nella multiculturale Inghilterra, sono ancora pochissimi. L’altro ieri infine i fratelli Ferdinand hanno deciso di fare una dichiarazione congiunta per ricomporre la frattura con gli organizzatori di «Kick it out», ai quali hanno riconosciuto il lavoro importantissimo svolto sin qui in termini di educazione e consapevolezza del problema ma hanno anche ricordato che i tempi cambiano e organizzazioni come queste devono adeguare i propri strumenti di lotta. Nonostante il risentimento nei confronti della Federazione e del Sindacarto, loro si sono detti disposti ad aiutare «Kick it out» e infatti, in segno di pace, Rio Ferdinand ha deciso che domenica prima del calcio d’inizio di Chelsea- Manchester United stringerà la mano ad Ashley Cole, il difensore dei Blues che Anton Ferdinand si era invece rifiutato di salutare quando si erano rivisti in campo a settembre. Tutti i giocatori del Chelsea indosseranno per l’occasione la maglietta di «Kick it out». Tutti tranne il convitato di pietra John Terry, assente per squalifica da razzismo.

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 26-10-2012)

Agnelli suona la sveglia

Non vuole fare il presidente del calcio italiano, Andrea Agnelli: gli basta e avanza guidare il suo club, il più prestigioso e averlo fatto tornare al rango di sempre. Ma il suo discorso sintetico e vagamente drammatico sullo stato di salute del mondo in cui la sua Juventus opera, pone con definitiva chiarezza un problema: quello delle leadership a cui il calcio deve affidare le sue speranze di rilancio, che sarebbe meglio chiamare di sopravvivenza.

Lo scenario che fa uscire allo scoperto Agnelli, con la sua richiesta immediata di riforme, è davanti agli occhi di tutti, anche se chi è oggi ai posti di comando delle istituzioni (Federcalcio e Lega) è abitato per costume e opportunismo a chiudere gli occhi. Gli stadi desertificati e orrendi, un campionato gonfiato di squadre e di mediocrità, un calendario delirante che sfascia i campioni o costringe a rose insopportabili, una giustizia sportiva ingiusta, sommaria e fortemente sospetta di essere più un terreno di trattativa che di diritto.

Il declino del nostro calcio, aggravato dalla crisi economica, certo, è d'altra parte confermato da dati oggettivi non più discutibili, né occultabili: calano gli spettatori live, calano gli abbonamenti televisivi, scappano via i migliori giocatori (e quelli che restano lo fanno trattando la partenza il prossimo anno), i risultati nelle coppe europee sono da seconda, terza fascia continentale. DI fronte a questo panorama, Agnelli dice cose elementari: se il nostro mondo crolla, non basta più esserne i leader, essere la squadra che domina su un territorio di provincia. Non dice, ma sa bene, che tutto il circo del pallone italiano vive con la data di scadenza impressa dalle televisioni: 2015, quando si rinnoveranno, se si rinnoveranno, i contratti miliardari che lo hanno tenuto in vita, affidandogli un fiume di soldi dissipato da dirigenti incapaci di guardare al domani, e bravi solo ad arraffare tanta grazia senza alcuna strategia. Le televisioni che li hanno firmati non sono disposte a fare una seconda volta lo stesso errore, comprando a prezzi folli merce avariata.

Così come sarebbe ora di chiudere definitivamente il gigantesco equivoco della legge sugli stadi, invocata da qualcuno, forse più interessato ai palazzi da costruire insieme alle tribune, come soluzione di tutti i mali: proprio la Juve ha dimostrato che gli stadi si fanno anche con le leggi che già ci sono, rispettando per giunta i vincoli e sfuggendo alle speculazioni.

Adesso Agnelli esce allo scoperto, facendo fare un salto di qualità importante alla sua polemica con le istituzioni del calcio, federcalcio in particolare, con la quale è in battaglia da sempre. Ma fino ieri era una battaglia di interessi ristretti: la protezione del suo club da quelle che ritiene ingiustizie, le scorie dannate e velenose di calciopoli, la purificazione dal passato. L'appello di oggi, invece, è un appello per il futuro, un invito alla battaglia comune, con la Juventus disposta e pronta a mettersi alla testa di chi vuole cambiare. E' un messaggio potente, ma anche un implicito riconoscimento della debolezza insopportabile dei dirigenti attuali, immobili ad aspettare che tutto crolli: gli stadi, il pubblico, l'etica. Che qualcuno con la forza della Juventus suoni la sveglia può davvero cambiare lo scenario. Ora tocca agli altri grandi e piccoli club seguirla, mettendo da parte le rivalità sportive: per continuare a sfidarsi su un campo, è indispensabile che il campo esista ancora.

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Il problema di girarsi (la Repubblica SERA 26-10-2012)

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Il ritorno degli Agnelli:

''Riformeremo il calcio''

Litiga con la Figc ma vuole cambiarla da dentro. Stadi, diritti tv e giustizia sportiva: il programma di governo del numero uno della Juventus

di GIOVANNI CAPUANO (PANORAMA.IT 26-10-2012)

C'è stato un tempo in cui la Juventus, la famiglia Agnelli e il calcio italiano erano un tutt'uno indistinto. Cariche multiple ai vertici della Figc, potere decisionale e di lobby. La guida anche carismatica di tutto il movimento attraverso crisi e momenti di crescita. Poi sono arrivati altri gruppi di potere e molte vicende, le ultime addirittura così invasive da mettere ai margini la squadra più amata e odiata d'Italia.

Ora Andrea Agnelli ha raccolto l'ultimo e più importante testimone dai suoi illustri predecessori. Il discorso agli azionisti della Juventus nel giorno in cui la Famiglia ha staccato un simbolicamente staccato un assegno da oltre 48 milioni di euro per ripianare il buco di bilancio, assomiglia più al discorso programmatico di chi punta a ridisegnare il calcio italiano che al semplice rendiconto di un presidente di club.

Gli Agnelli sono tornati, viva gli Agnelli. E' (quasi) arrivato il momento di sotterrare l'ascia di guerra e di riprendere il posto da sempre occupato. Al comando. L'occasione delle prossime elezioni Figc è troppo ghiotta per non essere colta ed aver ritrovato la leadership sul campo era il tassello che mancava ad Andrea per consentirgli anche di gettare lo sguardo oltre il presente.

Qual è il modello che il numero uno della Juventus ha in testa? Certamente diverso da quello attuale: "Non sosteniamo un candidato, ma una riforma strutturale del calcio professionistico, che non può più vivere essendo trattato al pari del movimento di base". Spazio alla solidarietà e ai progetti di crescita, ma basta carità a pioggia. E non è un caso che nell'elenco delle cose da riformare ci sia il format dei campionati, la legge Melandri sui diritti tv ("Senza tornare alla contrattazione individuale, ma con una migliore applicazione dei principi da essa stabiliti"), gli stadi di proprietà, la tutela dei marchi e lo status dei giocatori professionisti.

"Vorremmo semplicemente che la locomotiva, perché di questo si tratta, fosse in grado di procedere al pari delle altre" dice convinto Andrea Agnelli e non è solo un problema di ranking Uefa che ci vede precipitare. No. "Il mondo del calcio si sta evolvendo, ma non aspetterà l’Italia: questa è una presunzione mortale" è lo slogan (non) elettorale.

Certo, poi c'è anche la giustizia sportiva che va riscritta nei suoi principi perché "non può trattare investimenti da milioni di euro come le dispute di un piccolo circolo sportivo". La Juventus prosegue nella sua battaglia contro la Figc, ma per la prima volta spunta la parola "dialogo" riferendosi ai vertici presenti e futuri della Federazione. Un discorso da candidato più che da presidente di club. Non accadrà perché Andrea Agnelli non ha in programma di trasferirsi in via Allegri.

Però da oggi gli Agnelli sono tornati al loro posto, al centro del sistema calcio. Sarà difficile non misurarsi con questo programma. Forse impossibile. " La Juventus non intende affondare come una pietra, ma il suo punto di galleggiamento sarà quello del calcio italiano, con cui vuole dialogare e trovare soluzioni. Con urgenza" è il messaggio. Abete o chi per lui prendano nota.

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Assemblea dei soci Il presidente bianconero: «Non più rinviabili le riforme di campionati, diritti tv e giustizia sportiva»

Dopo la Juve, Agnelli vuole rifondare il calcio

di ROBERTO PERRONE (CorSera 27-10-2012)

TORINO — «Fareste meglio a incominciare a nuotare / O affonderete come pietre / Perché i tempi stanno cambiando». Andrea Agnelli passa con disinvoltura dal Bob Dylan del terzo album (1964), profetico, di protesta, quasi grillesco, al monumentale Winston Churchill: «I problemi della vittoria sono più piacevoli di quelli della disfatta, ma certo non meno ardui». Insomma è un presidente di lotta e di governo, quello che si è presentato, ieri alle 10.30 al Lingotto, per l'annuale assemblea dei soci Juventus. Meno lotta e più governo. I tempi del muso duro con la Federcalcio (però la causa da 443 milioni va avanti) e con l'Inter (udienza sulla revoca dello scudetto 2006 il 14 giugno 2014 al Tnas) e quelli della dismissione con largo anticipo di Del Piero («Dirigente? Mai dire mai, ma la nostra squadra va bene e squadra che vince non si cambia»), sembrano alle spalle.

Si guarda avanti. «Il primo obiettivo era cambiare società e squadra. In 24 mesi, tappe bruciate». Scudetto, perdite dimezzate (da meno 95,4 nel 2010 a meno 48,7 milioni), ricavi aumentati (da 172 a 213 milioni), investimenti (stadio, area della Continassa) «ora l'impegno è promuovere i principali cambiamenti del calcio, come ha sempre fatto la Juve, che entra nel 90° anno di coinvolgimento della nostra famiglia». A proposito di Famiglia. Risposta a Della Valle sui giovani Agnelli «da cercare in discoteca»: «Una battuta anche riferita all'età. Io ci vado poco. L'ultima volta per la festa scudetto. Mi sono divertito tanto e auguro anche a lui di andarci presto per festeggiare qualcosa».

Il declino, combinazione, per Agnelli comincia nel 2006. «È comune, ma solo l'Italia ha avuto un tracollo strutturale così veloce. Non si può liquidare solo con la crisi economica. Dobbiamo rendere il nostro calcio più attraente». I punti da affrontare, Agnelli li aveva già indicati a più riprese: riforma dei campionati, riduzione delle società professionistiche («introduzione della seconda squadra, siamo l'unico paese che non la prevede: far crescere i giovani in casa costa meno ed è più sicuro»); riforma della legge (del 1981) sul professionismo; riforma della legge Melandri sui diritti tv «con una migliore applicazione dei principi stabiliti»; tutela del marchio; legge sugli impianti sportivi; riforma della giustizia sportiva «che non può trattare investimenti da milioni di euro come le dispute di un piccolo circolo sportivo».

Beppe Marotta ha risposto sul mercato. Berbatov. «Abbiamo fatto un favore alla Fiorentina, celando una loro lacuna. Ci hanno attaccato per coprirla». Giovinco (molto attaccato dai piccoli azionisti per il costo ritenuto esagerato, 11 milioni, e il beneficio, giudicato minimo): «Deve solo trovare continuità». E Conte? «Siamo felici di avere il migliore allenatore in circolazione e ce lo teniamo stretto» Agnelli dixit. Ormai non scappa di sicuro.

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AGNELLI

«Riformiamo il calcio»

Andrea agli azionisti: «Serve una grande riforma

o l’Italia sarà condannata alla marginalità mondiale»

Attacco alla giustizia federale «Club che fatturano milioni trattati come circoli sportivi. E da gente dopolavorista»

«La Juventus non intende affondare come una pietra ma vuole dialogare con il sistema e trovare soluzioni»

di ANTONIO BARILLÀ (CorSport 27-10-2012)

TORINO - Cambiare il calcio italiano. Non è un semplice slogan. Il presidente Andrea Agnelli invoca con forza una riforma per tornare a livelli di competitività smarriti. Ha cambiato la Juventus, società e squadra, restituendo vittorie che mancavano da anni ( «E' un percorso in continua evoluzione, ma in trenta mesi abbiamo bruciato le tappe» ), però «arriva un punto nel quale un club non può più crescere autonomamente: è necessario che sia tutto il sistema a progredire. Non si tratta di criticare il passato, ma di avere un dialogo costruttivo con le istituzioni» . Cita Winston Churchill, Albert Einstein e Bob Dylan, riepiloga gli investimenti bianconeri - stadio, museo, college - e srotola il progetto Continassa, rimarca la perdita dimezzata e il percorso di risanamento che prosegue, ma «adesso bisogna intervenire sul calcio italiano, posizionarlo a livello europeo».

BIVIO - Tutti insieme, nell'interesse comune: «Siamo a un bivio. Dopo i fasti degli ultimi trent'anni, viviamo un declino rapidissimo, un tracollo che non può essere spiegato solamente con la crisi economica. Ci chiedono quale candidato sosterremo alla guida della Lega o della Federazione: la Juve sostiene... una riforma strutturale del calcio professionistico, che non può più vivere essendo trattato al pari del movimento di base. Chi pensa il contrario condanna l'Italia alla marginalità europea e mondiale. Questo non significa interrompere i meccanismi di solidarietà o rinnegare le istituzioni: vorremmo semplicemente che la locomotiva fosse in grado di procedere al pari delle altre. I campionati di A e B rappresentano l'unico vero patrimonio sportivo ed economico del movimento: senza di essi il calcio continuerà ad essere lo sport più amato e praticato, ma sarà un fenomeno locale. L'Italia nel 1997 era prima nel ranking Uefa e seconda per numero di spettatori allo stadio e fatturato. Oggi siamo quarti: Inghilterra, Spagna e Germania si stanno distanziando e presto Francia e Portogallo li seguiranno».

PRESUNZIONE - I passi da compiere sono tanti: «Riforma dei campionati, del numero delle squadre professionistiche e del settore giovanile (l'ad Beppe Marotta si sofferma sull'importanza della squadra B, ndr). Serve una legge sugli stadi, una sulla tutela dei marchi, la riforma dello status di sportivo professionista regolato da una legge dell'81 quando avevamo vinto due mondiali e la Juve aveva una sola stella, una riforma in senso garantista della giustizia sportiva che non può trattare investimenti da milioni di euro come le dispute di un piccolo circolo sportivo. Inoltre, con tutto il rispetto per le persone, è sbagliato che siano dei dopolavoristi e non dei professionisti a giudicare situazioni in cui sono in gioco interessi multimilionari. Alcuni temi riguardano il governo, altri il Coni, altri la Federazione o la Lega: il nostro auspicio è che questa nostra volontà venga condivisa e che si possa intervenire con urgenza su tutti questi aspetti. Il mondo del calcio si sta evolvendo, ma non aspetterà l'Italia: questa è una presunzione mortale. I nostri tecnici e i nostri migliori talenti hanno nuovi palcoscenici su cui cimentarsi: dal Brasile alla Cina, dalla Russia al mondo arabo. Siamo tutti noi a doverci adeguare. La Juventus non intende affondare come una pietra, ma il suo punto di galleggiamento sarà quello del calcio italiano, con cui vuole dialogare e trovare soluzioni».

RICAVI - «In Italia i ricavi li abbiamo conseguiti - precisa Agnelli - I diritti tv locali sono tra i più alti d'Europa, i proventi da stadio ci sono. E' all'estero che si deve puntare, per rendere il nostro calcio più attraente, ottenere maggiori ricavi dai diritti tv anche fuori dai confini e, di conseguenza, aumentare il valore dei brand e della maglie».

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Il ruggito di Agnelli

«La cura Juve contro

i mali del nostro calcio»

Il presidente agli azionisti: «Sistema in declino rapidissimo». Le sue

ricette? Squadre B, diritti esteri, proventi tv in base alla classifica

La giustizia sportiva non può trattare questioni milionarie come dispute da circolo

A e B sono l'unico vero patrimonio sportivo ed economico del movimento

di MARCO IARIA (GaSport 27-10-2012)

Più che un discorso agli azionisti, un appello alle istituzioni, agli altri club e pure alla politica. Andrea Agnelli non ci gira attorno: «Dobbiamo cambiare il calcio italiano». Che sta subendo i contraccolpi della crisi, vero, ma che è soprattutto paralizzato da una visione miope, da egoismi e gelosie. Nel giorno dell'assemblea annuale, al Lingotto, il presidente della Juventus detta l'agenda ai nuovi governi sportivi in vista delle scadenze elettorali di Lega, Figc e Coni, anteponendo i contenuti a un toto-nomine figlio di «meccanismi di governance cervellotici e appartenenti a una cultura che i fatti hanno dimostrato essere una cultura della conservazione e del declino». Ecco il manifesto, dunque: «Riforma dei campionati, del numero delle squadre professionistiche e del settore giovanile. Riforma dello status del professionista sportivo, oggi regolato da una legge del 1981. Riforma della legge Melandri, senza tornare alla contrattazione individuale, ma con una migliore applicazione dei principi da essa stabiliti. Tutela dei marchi. Legge sugli impianti sportivi. Riforma complessiva della giustizia sportiva, che non può trattare investimenti da milioni di euro come le dispute di un piccolo circolo sportivo e non può affidarsi solo a dopolavoristi».

Compiti a casa La Juventus, per dirla col premier Monti, si sente di aver fatto i compiti a casa. L'unico esempio nazionale di stadio di proprietà ha dato i suoi primi frutti nel bilancio 2011-12, approvato con perdite dimezzate rispetto a un anno fa (da 95,4 a 48,7 milioni) e con ricavi in crescita del 24%, a 214 milioni (plusvalenze comprese); lo sviluppo immobiliare — teso a consolidare ulteriormente il patrimonio della società e a diversificare i ricavi (si pensi alla lottizzazione di appartamenti stile Arsenal) — decollerà con la riqualificazione della circostante area della Continassa per un investimento da 40 milioni. «Noi, però, — avverte Agnelli — possiamo arrivare fino a un certo punto, dopodiché è il sistema tutto che deve crescere. Il calcio italiano, dopo i fasti degli ultimi trent'anni, sta vivendo un declino rapidissimo, il suo modello di sviluppo è bloccato da alcuni fattori che riflettono molto fedelmente la crisi in cui versa il Paese. Dobbiamo riposizionarci a livello europeo».

Cosa serve? Innanzitutto va ripensata la struttura del calcio professionistico, «che non può più vivere essendo trattato al pari del movimento di base. Questo non significa interrompere i meccanismi di solidarietà o rinnegare le istituzioni: vorremmo semplicemente che la locomotiva fosse in grado di procedere al pari delle altre». Quando il presidente bianconero sottolinea che «i campionati di A e B rappresentano l'unico vero patrimonio sportivo ed economico del movimento», intende lanciare un avvertimento alla Lega Pro. Per la Juve gli attuali 111 club professionistici sono troppi: va ridotto il rischio retrocessione e aumentata la qualità del prodotto. E poi bisognerebbe assegnare una nuova mission alle categorie inferiori: fucina di talenti con le seconde squadre della A. «Siamo l'unica nazione a non averle — spiega l'a.d. Beppe Marotta —. Ogni anno siamo costretti a mandare in giro decine di giocatori dovendo pagare il premio di valorizzazione e senza poter mettere a disposizione il know-how dei nostri tecnici. In questo modo la mutualità da 100 milioni che giriamo al movimento non è redditizia». Le direttrici su cui intervenire sono molteplici e investono pure il Parlamento, dove sono impantanate le leggi sugli stadi e la tutela dei marchi e non v'è traccia di una revisione del professionismo sportivo. Ma è il mondo del calcio a doversi dare una mossa per recuperare posizioni nel ranking Uefa. «Focalizziamoci sulla vendita dei diritti esteri per recuperare il gap con la Premier — aggiunge Agnelli —. Finalmente il 5 in Lega parleremo di statuto e ripartizione delle risorse. La bozza della nuova governance è troppo debole? Conterà l'intraprendenza e la capacità della persona che dovrà portare avanti il programma. Va avviato un percorso credibile di 5-8 anni con l'obiettivo di incrementare i ricavi della Serie A». Quanto alla ripartizione collettiva dei proventi tv, le modifiche che ha in mente Agnelli riguardano una maggiore incidenza della componente meritocratica: più soldi in base alla classifica.

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Lotito non ha dubbi:

«Riformare il sistema

a livello legislativo»

Preziosi, presidente del Genoa: «Il problema della Lega

è che siamo 20 club disomogenei costretti a stare insieme»

di MATTEO BREGA (GaSport 27-10-2012)

«Bisogna mettere insieme una serie di tasselli strategici a cominciare dagli stadi, per cui la Juventus è l'unica società che ha avviato questo percorso virtuoso, ma nel contempo fare anche una riflessione sulla realtà del sistema professionistico». La prima risposta ad Agnelli arriva dal presidente della Figc, Giancarlo Abete.

Le reazioni Sulla linea del presidente juventino c'è quello laziale, Claudio Lotito. «C'è condivisione di idee con Andrea Agnelli. Il problema di dover fare le riforme è risolto grazie all'intervento del commissario ad acta che ha abolito il diritto di veto per le modifiche dello statuto federale. Quindi possiamo avviare una nuova stagione di riforme — ha detto il numero uno biancoceleste — a patto che gli interessi di parte vengano messi al servizio del sistema. Non dimentichiamoci che il calcio italiano è sempre stato gestito in forma corporativa. C'è da fare una rivisitazione complessiva a livello normativo e legislativo. L'accordo tra le leghe è stato un passo positivo, così come la ritrovata collaborazione con l'Aic». Sulla stessa linea anche Enrico Preziosi, presidente del Genoa: «Ci sono tante cose che non hanno più senso nel calcio di oggi, sono al fianco di Agnelli in questa battaglia. Lo snodo degli stadi è cruciale per introdurre anche in Italia la filosofia dell'intrattenimento. Va cambiata la giustizia sportiva così come la legge 91. Figc e Lega devono trovare un assetto diverso. Il problema della Lega è che siamo 20 club disomogenei costretti a stare insieme, è difficile che il Genoa ragioni come Chievo e Juventus allo stesso tempo. Oggi retrocedere in B comporta gravi danni, bisogna fare contratti diversificati a seconda delle categorie».

Internazionalizzare Sulle parole di Agnelli si è espresso anche Tommaso Ghirardi, presidente del Parma. «Mi fa piacere che l'input arrivi da una persona autorevole come lui — commenta — Dobbiamo essere più uniti in Lega, sgombrare il campo dalle tensioni ed evitare di prendere decisioni che vadano a discapito dei club più piccoli. Bisogna intraprendere una strada che porti maggiori introiti internazionalizzando il nostro prodotto, magari portando le nostre partite in Paesi emergenti come Cina, Emirati o India. E poi si deve pensare alla riduzione dei club pro', penso alla Lega Pro e a una B a 20 lasciando la A così com'è. Le squadre B? Le sostengo con il mio a.d. Leonardi, perché porterebbero più visibilità ai campionati a cui parteciperebbero e anche più risorse». Esponente dei piccoli club è Daniele Sebastiani, presidente del Pescara: «La colpa della crisi è di tutti: sono stati commessi degli errori in passato. Il calcio è l'unico settore in cui all'inizio ti dicono quanto ricaverai: se alla fine sballi, qualche colpa la devi pure avere. Se l'appello è stato fatto da Agnelli, vuol dire che ha coscienza dei problemi. Bisogna trovare alternative ai proventi dei diritti tv». Si parte il 5 novembre, Consiglio e Assemblea di Lega: sul tavolo i criteri per la ripartizione delle risorse 2012-15.

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Rivoluzione Agnelli

PARLA IL PRESIDENTE All’assemblea degli azionisti

«Calcio italiano in crisi

Dai campionati alla tv

ecco cosa c’è da rifare»

«Della Valle dice che siamo gente da discoteca?

Sì, per la festa scudetto. Lo auguro anche a lui»

ODIATI DA MEZZA ITALIA «Tanti non ci possono vedere, ma andiamo avanti. Per cambiare»

IL BILANCIO MIGLIORA Il rosso è passato da 95 a 49 milioni. M a il Real fattura più del doppio

di DOMENICO LATAGLIATA (il Giornale 27-10-2012)

Partendo da Winston Churchill («I problemi della vittoria sono più piacevoli di quelli della disfatta, ma non sono meno ardui ») e planando su Bob Dylan («Arriva il momento in cui devi cominciare a nuotare altrimenti affondi come una pietra, perché i tempi stanno cambiando»), Andrea Agnelli ha scelto l'assemblea degli azionisti della Juventus, tenutasi ieri a Lingotto, come sede per lanciare una sorta di programma elettorale. Di sicuro, si tratta di un invito forte alle istituzioni per far sì che il calcio italiano torni a essere competitivo. «Il punto di galleggiamento della Juventus sarà quello del calcio italiano, con cui vuole trovare soluzioni. Ci odia mezza Italia, è vero, ma noi faremo di tutto per affermarci».

La parola magica è allora “dialogo”. Perché se, come ha spiegato l'amministratore delegato Aldo Mazzia, «la causa danni contro la Figc va avanti di fronte al Tar e per la revoca dello scudetto 2006 è stata fissata per il 17 giugno 2014 un'udienza al Tnas», quel che serve è «una riforma strutturale del calcio professionistico - spiega Agnelli ­che non può essere trattato al pari del movimento di base: chi sostiene il contrario condanna l'Italia alla marginalità europea e mondiale ». Cambiare marcia diventa allora indispensabile mettendo mano, ora che Figc e Lega sono in scadenza, a riforme sostanziali: «Il problema non è chi sarà il presidente dell'una o dell'altra, ma fare sistema. Io candidato? Non ho bisogno di altre cariche, ma entro il 2015 dovremo capire se il nostro movimento potrà tornare ai vertici ». Affinché ciò accada, Agnelli ha elaborato una ricetta che va dalla riforma dei campionati (serie A a 18 squadre) alla riduzione dei club professionistici («111 sono troppi», ha sottoscritto Marotta), alla riforma dello status del professionista, alla tutela dei marchi, alla legge sugli impianti sportivi fino alla riforma complessiva della giusti­zia sportiva e alla vituperata Legge Meladri: «Non si può tornare alla contrattazione individuale - ha ammesso il presidente bianconero - ma si deve trovare una migliore applicazione dei principi da essa stabiliti». E' chiaro che l'attuale suddivisione (40% in parti uguali tra tutte le squadre, 30% sulla base dei risultati sportivi conseguiti e altrettanto secondo il bacino di utenza) non soddisfi i grandi club ed è su questo che si andrà a discutere. L'obiettivo è comunque aumentare i ricavi, spaventati dal dato oggettivo secondo cui il Real Madrid fattura più del doppio della Juventus, 514 contro 213: «Dobbiamo tutti insieme venderci meglio all' estero, perché in Italia più di così è difficile fare. Vogliamo un dialogo, perché alcuni temi che devono aiutare la nostra realtà riguardano il Coni, la Lega, la Figc e il Governo. La Juventus in quanto società privata ha già fatto molto e altro farà, ma oltre un certo limite non può spingersi».

E' chiaro poi che ognuno debba anche guardare in casa propria e lì la Juve spera di stare sempre meglio: il rosso dell'anno scorso (95,4 milioni) è stato pressoché dimezzato (48, 7) e nel prossimo esercizio dovrebbe scendere intorno ai 10, «il valore del nostro titolo in Borsa, rispetto all'ultimo collocamento, è aumentato del 40%» e l'ulteriore investimento immobiliare nell'area dello Juventus Stadium - che rimane senza nome, ma la società ha già incassato in anticipo i diritti del naming rights - ne fortifica finanze e prospettive. Colpisce la cifra di 3,6 milioni in commissioni per gli agenti dei giocatori. C'è infine spazio per difendere Giovinco dai numerosi attacchi dei presenti («l'abbiamo ripreso dal Parma per 11 milioni dopo averne incassati 4 dalla comproprietà»,ha puntualizzato Marotta) e per rispondere a Della Valle, secondo il quale ormai gli «Agnelli bisogna andarli a cercare in discoteca»: «L'ultima volta che ci sono andato era per la festa scudetto e mi sono divertito ­ha replicato Agnelli - . Mi auguro possa andarci presto anche lui».

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Sport. Il presidente Andrea Agnelli: «Il sistema-calcio va riformato»

Juventus, sì dei soci al bilancio

di GIACOMO D'ANGELO (Il Sole 24ORE 27-10-2012)

«La Juventus sostiene una riforma strutturale del calcio professionistico, che non può più vivere essendo trattato al pari del movimento di base. Chi sostiene il contrario condanna l'Italia alla marginalità europea e mondiale». Con questo affondo Andrea Agnelli, presidente della squadra campione d'Italia, ha aperto ieri l'assemblea degli azionisti della Juventus, che ha approvato il bilancio al 30 giugno 2012 e rinnovato il cda, nel quale sono confermati i vertici, con gli amministratori delegati Giuseppe Marotta e Aldo Mazzia. Entrano le quote rosa, l'avvocato Giulia Bongiorno e Assia Grazioli-Venier.

Agnelli ha preso spunto dalla pesante perdita del bilancio, 48,7 milioni di euro, pur dimezzata rispetto all'esercizio precedente, per affermare che «bisogna cambiare il calcio italiano e posizionarlo a livello europeo. Stiamo vivendo un declino rapidissimo. C'è un tracollo strutturale che non può essere spiegato solamente con la crisi economica». L'Italia nel 1997 era prima nella classifica Uefa e seconda per numero di spettatori allo stadio e per fatturato. «Oggi siamo quarti: Inghilterra, Spagna e Germania si stanno distanziando e presto Francia e Portogallo li seguiranno».

Il presidente della Juventus ha chiesto una riforma dei campionati con la riduzione delle squadre di serie A e professionistiche. Un'ipotesi sarebbe la riduzione da 20 a 18 delle squadre di A e un sostanziale dimezzamento dei club professionistici rispetto ai 110-120 attuali (gli inglesi sono 80-90, i tedeschi e francesi 60). La Juve chiede che si possano utilizzare le seconde squadre in campionati sotto la serie A, per valorizzare i vivai, una riforma della legge Melandri sui diritti tv, «senza tornare alla contrattazione individuale, ma con una migliore applicazione dei principi da essa stabiliti». E una «riforma della giustizia sportiva, che non può trattare investimenti da milioni di euro come le dispute di un piccolo circolo sportivo».

Temi da affrontare già nelle elezioni dei prossimi mesi per il vertice di Figc e Coni e per la Lega. «Queste sono le tematiche su cui vorremmo confrontarci, non sulle liste di nomi da eleggere con meccanismi di governance cervellotici e appartenenti ad una cultura che i fatti hanno dimostrato essere una cultura della conservazione e del declino», ha detto Agnelli. Una chiara presa di distanza dal presidente della Figc, Giancarlo Abete, che non parla mai di programmi.

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Il manifesto anti-crisi di Agnelli

“Giustizia e tv, riforme subito”

Punge Della Valle: “Io in discoteca? Sì, per lo scudetto...”

di EMANUELE GAMBA (la Repubblica 27-10-2012)

«La Juventus non intende affondare come una pietra, ma il suo punto di galleggiamento sarà quello del calcio italiano, con cui vuole dialogare e trovare soluzioni. Con urgenza ». È così urgente, la voglia (anzi: il bisogno) di cambiare che Andrea Agnelli ne ha investito l’intera assemblea degli azionisti, diventata una specie di manifesto politico del calcio che verrà. D’altronde, i soci stavolta avevano contestazioni marginali da fare (il costo di Giovinco), così il presidente bianconero ha potuto calarsi totalmente nella parte del grande modernizzatore:

«Servono le riforme, e servono subito. Noi abbiamo fatto cambiamenti radicali, ma da soli non possiamo fare molto». Le soluzioni, per il momento, le accenna soltanto, ma è ben chiaro cosa riformare: «Sono sempre le solite cose: gli impianti, la giustizia sportiva che non può essere esercitata da dopolavoristi, la mutualità perché giriamo cento milioni a campionati non competitivi, la gestione dei diritti televisivi, le strategie commerciali». In una frase, «dobbiamo essere più attrattivi all’estero». In un concetto, «dobbiamo migliore il nostro prodotto, distribuirlo meglio, dargli maggiore visibilità». Perché il rischio è che rimanga invenduto come merce scaduta, fuori moda, nauseante: «Con l’ultimo contratto televisivo abbiamo venduto un prodotto che non è all’altezza delle cifre pagate». Quel contratto scadrà fra tre anni e il nuovo indirizzerà il futuro del calcio italiano: le prospettive sono nerissime. «Il 2015 sarà l’anno spartiacque, quello in cui si riscriverà la geografia delle risorse. C’è il rischio di un ulteriore passo indietro e a quel punto dovranno cambiare le aspettative. Non è un campionato europeo che definisce il valore reale di un movimento. Dobbiamo ragionare su un periodo di cinque-otto anni».

Sono parole che possono somigliare a una candidatura, in una fase che porta a elezioni (in Lega, in Federcalcio, al Coni). Agnelli non la nega, ma pospone la questione: «Sono già consigliere dell’Eca e della Lega, non mi mancano le cariche. Il dibattito non è sul chi, ma sul che cosa». Però è chiaro che si senta al centro della situazione e da lì manda messaggi, e frecciate, a tutti. A Delle Valle, che lo immagina spesso in discoteca: «L’ultima volta ci sono andato per festeggiare lo scudetto, mi sono divertito molto» (e sul caso Berbatov, Marotta dirà: «Abbiamo evitato una brutta figura alla Fiorentina »). A Del Piero: «Non ho mai chiuso le porte a nessuno, ma squadra che vince non si cambia ». Al mondo intero: «Gli antijuventini sono tanti e ci odiano».

Eppure è convinto di trovare sponde, alleati, collaborazione: «Credo che ci sia una buona condivisione dei problemi e delle azioni da intraprendere, anche se poi si va inevitabilmente dietro al pallone che rotola». Alla sua destra, Marotta annuisce. Invoca la necessità delle squadre B «perché siamo l’unico grande campionato a non averle e aiuterebbe anche a ridurre i costi. Adesso dobbiamo mandare ragazzi in Lega Pro senza poterli controllare e pagando premi di valorizzazione. Questo è assistenzialismo». E assicura che «nessun club italiano può più permettersi giocatori e stipendi di prima fascia. I nostri fatturati sono fermi da anni». In fondo, la sintesi di Agnelli è questa: «Il mondo del calcio si sta evolvendo ma non aspetterà l’Italia. I nostri tecnici e i nostri migliori talenti hanno ormai nuovi palcoscenici su cui cimentarsi: Brasile, Cina, Russia, mondo arabo». Cita persino Bob Dylan: «The Times They Are a-Changin’». I tempi stanno cambiando. «E noi cosa aspettiamo?».

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MONOLOGO SALVA-PALLONE

Komandante Agnelli

Il patron Juve invoca la rivoluzione: «Il nostro calcio sta crollando, obbligatorio

riformare campionati e legge sui diritti tv». E riapre lo scontro con i Della Valle

di TOMMASO LORENZINI (Libero 27-10-2012)

Tornare i primi sul campo, tornare a indirizzare il calcio italiano. Fin dalla sua investitura a numero uno del club di famiglia, Andrea Agnelli ha perseguito una politica a zero compromessi, posizioni forti e restituzione di quel forte senso di appartenenza ai colori bianco e nero che per l’intera vita ha respirato.

Nell’assemblea dei soci della Juve tenutasi ieri (alla presenza dei nuovi membri del cda, fra cui l’avvocato Giulia Bongiorno e Paolo Garimberti, ex presidente Rai ora alla guida del “J Museum”), il presidente non si è scostato di una virgola dalla propria linea, rinforzando la posizione della Signora, tenendo in mano uno scudetto finalmente scevro da ogni legame con Calciopoli. Oltre a snocciolare numeri e una critica fortissima al sistema calcio.

I CONTI Ma come sta la Juve? I conti dei campioni d’Italia, chiusi il 30 giugno 2012 e approvati ieri, hanno registrato un rosso da 48,7 milioni di euro. Per la società, l’esercizio corrente che si chiuderà a giugno 2013 dovrebbe far registrare ulteriori passi in avanti, come ha confermato l’ad Aldo Mazzia, osservando che la perdita è inferiore di quasi il 50% a quella dell’anno scorso, pari a 95,4 milioni. Un anno influenzato da tanti fattori: la mancata Champions, il rinnovamento della rosa (rispetto a tre anni fa sono cambiati 22 giocatori e rimasti solo Marchisio, Buffon, Chiellini e De Ceglie), incrementi di retribuzioni e ammortamenti, svalutazioni ed incentivi all’esodo di calciatori fuori dal progetto tecnico. Come Alex Del Piero, per il quale «un futuro da dirigente» non è al momento nei piani ma «io non ho mai chiuso le porte a nessuno».

La Juve è convinta di essere sulla strada giusta, tanto che Mazzia esclude «assolutamente un nuovo aumento di capitale». Il club ha registrato il tutto esaurito per gli abbonamenti(27.400) con un incasso lordo di 22,8 milioni, l’11,7% in più rispetto al 2011/12. Per il futuro la situazione dovrebbe migliorare grazie ai ricavi della Champions, un ulteriore incremento degli introiti dello stadio e dei diritti tv, mentre l’indebitamento - che nel bilancio appena chiuso era di oltre 127 milioni, compensato parzialmente dall’aumento di capitale di 120 milioni - dovrebbe raggiungere il picco per poi scendere e generare cassa.

«Il primo obiettivo era cambiare la società e la squadra: in 24 mesi abbiamo bruciato le tappe anche se lo scudetto vinto non ci deve far dimenticare il nostro mandato, vincere mantenendo un equilibrio finanziario che dia prospettive», ha esordito Agnelli rivolgendosi agli azionisti, ai quale ha ricordato che finalmente «è realtà lo Juventus Stadium, realizzato dopo 17 anni di gestazione», il cui fatturato - inclusi i tour e il museo - è arrivato a 34,6 milioni. Fra le novità, il nuovo sponsor di casa Fiat, il marchio Jeep, con un corrispettivo di 35 milioni di euro.

Ma Agnelli è andato oltre, sfruttando il palcoscenico interno per lanciare un duro messaggio, mettendosi in pole per un rinnovamento più esteso. «La Juve ha sempre promosso i principali cambiamenti nel mondo del calcio. Non intendiamo sottrarci a questa missione. Bisogna cambiare il calcio italiano e posizionarlo a livello europeo. Il mondo del calcio si sta evolvendo, ma non aspetterà l’Italia. Questa è una presunzione mortale».

È questo uno dei passaggi fondamentali del discorso, rivolto più lontano: ai vertici degli altri club, della Federcalcio, del Coni e della politica: «Dobbiamo chiederci che cosa sarà diventato il calcio italiano tra alcuni anni. Molte nazioni hanno vissuto un declino calcistico, ma nessuna ha avuto un crollo così veloce. Siamo in presenza di un tracollo strutturale che non può essere spiegato solamente con la crisi economica».

RICETTE Soluzioni? Agnelli suggerisce, resta sul generico ma fa capire che molto da mettere nero su bianco potrebbe già esserci: «Occorrono la riforma dei campionati, del numero delle squadre professionistiche e del settore giovanile, la riforma dello status del professionista sportivo, la riforma della legge Melandri. Altro punto fondamentale è la tutela dei marchi, è necessaria anche una legge sugli impianti sportivi e la riforma della giustizia sportiva che non può trattare investimenti da milioni di euro come le liti da piccolo circolo sportivo. La Juve non intende affondare, ma il suo punto di galleggiamento sarà quello del calcio italiano. Vogliamo dialogare con il sistema calcio italiano e trovare delle soluzioni. Con urgenza». Un invito esplicito a un nuovo tavolo della pace.

POLEMICHE Anche se c’è pure tempo per nuove polemiche, forse non in stile Avvocato, ma tuttavia pungenti. Bersaglio è ancora Diego Della Valle, che da Santoro, parlando della crisi italiana, aveva esclamato: «Della famiglia Agnelli è rimasto ben poco, sono rimasti dei ragazzi che non sono grandi lavoratori, ma è con loro che bisogna parlare. E per farlo bisogna andarli a cercare in qualche discoteca ». Risposta concisa: «L’ultima volta che sono andato in discoteca era per festeggiare lo scudetto. Auguro anche a lui di andarci per festeggiare qualcosa».

Mentre Beppe Marotta ha rigirato il dito nella piaga Berbatov: «Ma quale sgarbo, lui voleva il Fulham abbiamo evitato alla Fiorentina una figuraccia. Avevano allestito un’accoglienza all’aeroporto pur sapendo che non sarebbe mai arrivato. Ci hanno attaccato per giustificare una loro grossa lacuna ». Per poi virare sul caso Vidal, stavolta lanciando frecciate verso Milano: «Ci avevano offerto 30 milioni per Arturo, ma noi i campioni li teniamo». Insomma cambiano gli Agnelli, non cambia la Juve.

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Avviso ai naviganti

IL PRESIDENTE BIANCONERO

ALL’ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI

Ultimo stadio

Calcio italiano in crisi, Agnelli lancia l’allarme: “Siamo al bivio

Juve cambiata radicalmente e in fretta, ora tocca al sistema”

di GIANLUCA ODDENINO (LA STAMPA 27-10-2012)

Musica e poesia. È un modo strano per far suonare un campanello d’allarme, ma Andrea Agnelli ieri ha usato le arti più distanti dal pallone per avvisare il sistema calcio italiano. Ingaggiando, tra l’altro, il top player per eccellenza di quel campo. «Come diceva Bob Dylan, i tempi stavano cambiano e non hanno smesso - così il presidente bianconero ha citato in inglese la canzone “The times they are a changing” -. La Juve non intende affondare come una pietra, ma il suo punto di galleggiamento sarà quello del calcio italiano con cui vuole dialogare e trovare soluzioni. Con urgenza».

I tempi stanno cambiando e anche in fretta, considerando il divario mostrato dalle nostre squadre (Juve compresa) in Europa e gli affanni quotidiani di un mondo antico che sembra non voler evolvere mai. «Dobbiamo cambiare il calcio italiano e posizionarlo a livello europeo - sprona Andrea Agnelli durante l’assemblea degli azionisti - perché ci troviamo di fronte ad un bivio. Stiamo vivendo un declino rapidissimo che non accenna a diminuire, un tracollo strutturale che non può essere spiegato solo con la crisi economica». I mali sono sempre gli stessi, ma non è un caso che il numero uno juventino apra il «cahier de doleances» con la voce stadi. «Tra vent’anni la Juve avrà ancora milioni di tifosi - dice - e i colori bianconeri continueranno a colorare le sciarpe negli stadi. Ma quali stadi?».

L’esempio dello Juventus Stadium non è stato ancora seguito concretamente da alcun club in Italia, anche se i benefici sportivi ed economici sono sotto gli occhi di tutti. Dallo scudetto conquistato anche grazie alla forza di un impianto sempre pieno ed inviolato, fino alla crescita generale dei ricavi (da 172 a 231 milioni, +24%) e specifica in quelli da gare (da 11,6 a 31,8 milioni). Numeri che hanno permesso di dimezzare il passivo nel bilancio bianconero (ora è di 48,7 milioni) e lanciare la Juve in prima linea nella lotta per cambiare il calcio. «Abbiamo fatto dei cambiamenti radicali - analizza Andrea Agnelli per tornare a essere competitivi. E altri ne faremo, dalla squadra al progetto Continassa, però si può fare da soli fino a un certo punto. Senza un lavoro di sistema ci limitiamo: il mondo del calcio si sta evolvendo, ma non aspetterà l’Italia. Questa è una presunzione mortale: siamo tutti noi a doverci adeguare».

E la ricetta di Agnelli è pronta: «Bisogna riformare i campionati, lo status del professionista sportivo che risale al 1981, la legge Melandri, la giustizia sportiva, la legge sugli impianti sportivi e quella sulla tutela dei marchi. Questi sono temi che vanno su più tavoli, noi spingiamo le modifiche per rendere il calcio più competitivo: siamo la locomotiva che traina e giriamo 100 milioni a un sistema che non ci rende nulla».

La road map già tracciata, i toni da dirigente che vuole dialogare ai massimi livelli e il ritrovato respiro internazionale sembrano quasi voler lanciare lo stesso Agnelli nella competizione che porterà ai rinnovi di Lega e Figc. «Il dibattito ora è sul chi - dribbla -, ma prima parliamo di che cosa. Le problematiche sono condivise in Lega, quello che manca è dare la priorità: non c’è un vero documento di programmazione per il prossimo mandato. E per colmare il gap con le altre squadre europee ci vorranno dai 5 agli 8 anni: nel 1997 eravamo primi nel ranking Uefa e con stadi pieni, ora siamo quarti. Dobbiamo rendere il nostro calcio più attraente, partendo dagli impianti sportivi per poi vendere meglio il nostro prodotto all’estero». L’Italia del calcio, dunque, è letteralmente all’ultimo stadio ed è lo stesso Agnelli ad avvisare tutti quanti. «Il 2015 sarà l’anno spartiacque - prevede -: possono esserci meno soldi dai diritti tv, visto che oggi è stato pagato un prodotto che spesso non riusciamo ad offrire, e bisogna farsi trovare pronti. Oppure ci sarà un altro passo indietro e allora dovranno cambiare le prospettive».

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IL PALLONE MALATO L’ALLARME DEL PRESIDENTE DELLA JUVE

IN CASA BIANCONERA SONO STATI UFFICIALIZZATI GLI INGRESSI NEL

CDA DELL’AVVOCATO GIULIA BONGIORNO E DI PAOLO GARIMBERTI

AGNELLI VUOLE ROTTAMARE IL CALCIO

«Bisogna cambiare e posizionarci a livello europeo, tra poco ci supereranno Francia e Portogallo»

Bilancio in rosso La Juventus ha chiuso con una perdita di 48,7 milioni, la metà dell’anno scorso

di LUCA PASQUARETTA (Quotidiano Sportivo 27-10-2012)

CAMBIARE il calcio italiano. Andrea Agnelli ha fissato l’obiettivo, l’unica strada percorribile per riportare il football made in Italy a livello di quello spagnolo, inglese e tedesco. Sono mesi che ne parla. Ieri lo ha ribadito a chiare lettere a tutti gli azionisti della Juventus durante e dopo l’assemblea, che ha approvato il bilancio al 30 giugno 2012 chiuso con un passivo di 48,7 milioni, dimezzato rispetto all’anno prima, che sarà coperto con le riserve di sovrapprezzo azioni. Inoltre l’assemblea ha eletto il nuovo cda che resterà in carica per i prossimi 3 anni. Non c’erano per altri impegni l’avvocato Bongiorno e Paolo Garimberti. Presenti Maurizio Arrivabene e Assia Grazioli-Venier. Appassionato l’intervento di apertura del presidente Agnelli che ha citato Bob Dylan, Winston Churchill e Einstein. «Bisogna cambiare il calcio italiano e posizionarlo a livello europeo, dopo i fasti degli ultimi 30 anni stiamo avendo un declino, siamo in presenza di un tracollo strutturale — ha detto —. E’ necessaria una riforma strutturale del calcio professionistico che non può più vivere essendo considerato al pari di quello di base. Oggi inseguiamo Spagna, Inghilterra, Germania, presto Francia e Portogallo ci insidieranno». E ancora: «Non è un problema di candidato, ma di programma. Vanno riformati i campionati. Troppi 20 team. Sarebbe opportune avere le seconde squadre. C’è la legge 91 del 1981 sullo status del professionista sportivo che è obsoleta — ha continuato —. Va migliorata la legge Melandri, pur mantenendo la contrattazione collettiva dei diritti televisivi. C’è la giustizia sportiva, che non può trattare investimenti da milioni di euro come dispute di un piccolo circolo sportivo. Da soli i grandi club non ce la fanno. Serve l’aiuto di tutte le istituzioni. Noi abbiamo fatto il massimo con lo stadio di proprietà, il progetto Continassa, il museo e il college. Il Real Madrid fattura oltre 500 milioni, noi 213, la differenza è tutta lì, dobbiamo vendere meglio il calcio italiano all’estero». Il presidente ha evocato l’orgoglio gobbo, «ci sono tantissimi juventini che ci odiano, ma noi li combattiamo», ha elogiato Conte «è il miglior allenatore e ce lo teniamo stretto», poi ha tagliato corto su Buffon, «non c’è nessun problema, firmerà quando vuole». Gran finale su Del Piero. Per lui bastone e carota: «Gli abbiamo fatto un tributo. Con lui avevamo un accordo, sarebbe stato l’ultimo anno. Rimarrà sempre nei nostri cuori. Un futuro da dirigente? Non chiudo mai la porta a nessuno. La nostra squadra è completa e funziona. Come si dice: squadra che vince, non si cambia». Da queste parti funziona così.

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La sfida di Andrea

«La Juve spacca»

AGNELLI «Non ci sono molti indifferenti: o ci amano o...»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 27-10-2012)

TORINO. La più amata. E la più odiata. Indifferenti alla Juventus ce ne sono pochissimi. E al popolo juventino va benissimo così, tanto che la constatazione del presidente e tifoso Andrea Agnelli è tra il rassegnato e il compiaciuto: «Ricordiamoci che rappresentiamo la maggioranza dei tifosi italiani, ma che ci sono anche tanti che ci odiano. E ultimamente percepisco molto odio nei nostri confronti». Un azionista chiosa: «Meglio così, quando succede è perché stiamo vincendo e dominando». Lingotto, assemblea degli azionisti, una lunga mattinata di confronto nel condominio bianconero, l’occasione annuale per dire cose serie e tecniche sulla gestione e il bilancio della Società per Azioni F.C. Juventus o per aprire il flusso di coscienza sull’amore di una vita ed eventualmente sfogare (in modo conciso, 5 i minuti concessi) frustrazioni tipicamente tifose. «Monitorate le tv e i media, dicono falsità e cattiverie su di noi. Bisogna gestire meglio la comunicazione», si lamenta un azionista. E Andrea risponde: «Da quando sono presidente la nostra comunicazione non è mai stata docile, soprattutto su certi argomenti. Poi dobbiamo renderci conto che chi non tifa la Juventus, spesso la odia».

LA BATTUTA Sindrome di accerchiamento? Forse. E’ indubbio, tuttavia, che l’attenzione dedicata alla Juventus è sempre molto particolare. Sia quella dei media che quella degli avversari. In questo senso è coincidenza che si parli delle antipatie suscitate dalla Juventus nel giorno in cui riecheggiano le sparate di Diego Della Valle: «Della famiglia Agnelli è rimasto ben poco, sono rimasti dei ragazzi che non sono grandi lavoratori, ma è con loro che bisogna parlare. E per farlo bisogna andare in discoteca. Hanno succhiato tutto quello che potevano e ora dicono che questo è un Paese dove non si può lavorare». La risposta di Agnelli, sereno come quando constata l’odio nei confronti della Juventus, è una battuta calcisticamente acuminata: «Della Valle? La sua è stata una battuta riferita all’età. Personalmente in discoteca vado poco, l’ultima volta che ci sono andato però mi sono divertito molto: era la festa dello scudetto. Auguro anche a lui di andarci presto per festeggiare qualcosa». D’altra parte, anche se la lite fra i Della Valle e la famiglia Agnelli si svolge molti piani più su rispetto ai campi da calcio, da Jovetic a Berbatov non sono mai mancate variazioni juventine allo scambio di veleni. Quasi a dimostrare la teoria agnelliana, ampiamente e rapidamente condivisa on line, dove la frase sull’odio ha fatto furore fra i tifosi bianconeri che l’hanno inserita nei motti di sempre.

NUOVA MUSICA Insomma, l’antipatia non è un problema per il popolo juventino. E anche se fra le new entry del Consiglio d’Amministrazione c’è la biondissima Assia Grazioli-Venier che si presenta alla sua prima assemblea con tacco aggressivo e sorriso fuori ordinanza, è giovanissima, ha lavorato molto nella musica ed è un’esperta di nuovi media. In teoria una che potrebbe provare a rendere più simpatica la Juventus. Difficilmente glielo chiederanno, piuttosto si dovrà concentrare sullo sfruttamento dei canali che Internet e i suoi derivati stanno aprendo anche per le società di calcio.

IL FANTASMA E’ un’assemblea relativamente breve, merito (o colpa, a seconda dei punti di vista) dei 5 minuti tassativamente scanditi che hanno limitato ogni intervento, senza fare troppa differenza tra chi disturba e chi no. Questi ultimi ci rimangono molto male, qualche malizioso sfotte: beh, non volete la Juventus antipatica? E’ il tema del giorno. Agnelli sorride, l’anno scorso gli andò peggio con la questione Del Piero scoppiata proprio in seno all’assemblea. Il fantasma di Alex aleggia ancora negli stanzoni del Lingotto, ma Agnelli lo scaccia subito: «L’anno scorso in questa sede abbiamo tributato un applauso a uno dei più grandi giocatori che hanno indossato la maglia della Juve», dice a chi gli chiede se per Del Piero non si possa prospettare un futuro da dirigente: «Non ho mai chiuso le porte a nessuno, però la squadra dirigenziale è completa, funziona, lavora quotidianamente per ottenere obiettivi, cioè vincere sul campo. E siccome ha vinto, come si dice... Squadra che vince non si cambia».

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AGNELLI: «IL nostro calcio e’ in declino»

«Ma è allarme rosso sulle riforme»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 27-10-2012)

TORINO. Il calcio italiano è in declino e rischia un ridimensionamento ancora più pesante. Lo dicono anche Winston Churchill, Albert Einstein e Bob Dylan. Cioè... Non esattamente, ma nel discorso che apre l’assemblea dei soci e che si trasforma in un manifesto per il cambiamento del nostro pallone, Andrea Agnelli cita lo statista inglese, lo scienziato e il cantautore americano, perché - dice Einstein - «la vita è come andare in bicicletta, serve equilibrio» e così deve accadere nel calcio dove successi sportivi e bilanci sani dovranno essere concetti compatibili fra di loro. E anche perché «i tempi stanno cambiando - miagola Bob Dylan - e se non cominci a nuotare affonderai come una pietra», la fine che rischia di fare il calcio italiano, surclassato in Europa dal punto di vista economico, organizzativo e politico. Agnelli parte al contrattacco e lo fa dopo aver sistemato le cose alla Juventus (è qui che spunta Churchill: «I problemi della vittoria sono più piacevoli di quelli della disfatta, ma non sono meno ardui») ed essersi reso conto che rischia di essere uno sforzo inutile risanare e riportare al successo un club se il movimento in cui agisce rischia di collassargli addosso. Agnelli ha in mente le riforme: quella della giustizia sportiva, quella del formato dei campionati (e del numero delle squadre professionistiche) su tutte. Ma anche i problemi che il nostro calcio deve affrontare urgentemente come il calo del suo appeal e della sua credibilità all’estero, dove le nostre partite si vedono sempre meno e la nostra immagine si è molto deteriorata. «E’ tempo di agire. La Juventus, quella che oggi è la vostra Juventus, ha sempre promosso i cambiamenti principali del movimento calcistico italiano e internazionale. E’ una missione cui questa gestione non intende sottrarsi». Come? Impegno sempre maggiore in Lega e, magari, un ruolo in quel Consiglio Federale recentemente riformato proprio per... riformare.

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IL PRESIDENTE FIGC

Abete replica: «L’Italia vince

Sono le big che mancano...»

di STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 27-10-2012)

MILANO. Giancarlo Abete non vuole che la sua rielezione al vertice della Figc passi attraverso una spaccatura all’interno dell’assemblea che all’inizio del prossimo anno sarà chiamata a rinnovare il vertice. In caso contrario potrebbe riflettere sull’opportunità di un passo indietro. L’incertezza è alimentato dall’ascesa delle quotazioni di Carlo Tavecchio, il presidente della Lega Nazionale Dilettanti che gode di buoni appoggi all’interno dei club di Serie A. Intanto la massima divisione torna a occuparsi del flop delle nostre squadre in Europa League, mettendo all’ordine del giorno della prossima assemblea (5 novembre) la riforma dell’articolo 19.2 comma 3 dello Statuto-Regolamento della Lega che prevede la distribuzione di 2.5 milioni ogni anno in parti uguali tra le partecipanti all’ex Coppa Uefa. In risposta ad Agnelli, poi, Abete dice: «E’ proprio il volano di sviluppo dei grandi club, in Italia, che ha segnato il passo rispetto ai club di altri Paesi. Bisogna mettere insieme una serie di tasselli strategici . Il presidente Agnelli ha parlato di una riduzione del numero delle società anche in serie A. Questo è un problema che deve trovare condivisione all’interno della Lega. Quella è una sede di dibattito importante soprattutto in una fase di rinnovo istituzionale».

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Palazzo di vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 27-10-2012)

Servono una Lega unita

e larghe intese con la Figc

Giuste le tesi di Agnelli, che prenota un posto in Consiglio Federale

Lucida e impietosa. L'analisi di Andrea Agnelli sullo stato di salute del calcio italiano non è confutabile. Il «declino rapidissimo che non accenna a diminuire», il «tracollo strutturale che non può essere spiegato solo con la crisi economica» sono sotto gli occhi di tutti e non può bastare una Nazionale capace di restare a galla a rendere meno drammatica la situazione. Le figure rimediate dai club italiani in Europa sono lì a ricordarcelo.

Agnelli ha parlato da manager, prima ancora che da presidente. «Si candida a recitare un ruolo» ha osservato a taccuini chiusi il presidente della Federcalcio Giancarlo Abete e in questa considerazione non c'era il minimo intento polemico. Tra i due non è certo scoppiato l'amore, ma è un fatto che giovedì Agnelli fosse a Roma alla presentazione del «Bilancio sociale 2012» della Federcalcio e che ieri Abete abbia mostrato sincero apprezzamento per quello che a Torino è stato un vero e proprio intervento programmatico di politica sportiva.

Il Consiglio Federale

Anche se nessuno lo dice, perché le elezioni della federazione sono ancora lontane e prima ci sono i delicati passaggi assembleari delle Leghe e in quella di A i giochi sono ancora apertissimi, Agnelli ha prenotato di diritto un posto nel prossimo Consiglio federale. Nessuno più di lui ne ha attualmente i titoli: perché se la situazione è quella che è, per nulla allegra, è evidente che la Juventus di questa situazione rappresenta il «momento» virtuoso. Il modello cui ispirarsi per voltare pagina. Lo dicono l'operazione stadio, la rinnovata attenzione all'equilibrio di bilancio, l'impegno tornato a essere costante di una famiglia che ha fatto la storia del calcio italiano. L'elenco delle cose che non vanno, il cenno a quelle che si dovrebbero fare. Agnelli ha buttato giù la sua agenda. Proviamo ora a proporvi anche la nostra.

Le riforme

Quella del format dei campionati si trascina da millenni ed è diventata improcrastinabile. L'autoriduzione da cancellazione delle società di Lega Pro fin qui determinatasi è un semplice palliativo. In realtà, ci vorrebbe ben altra chirurgia: A a 18 squadre, B a 20 (e son troppe), Lega Pro a 60 (sarebbero meglio 40). Promozioni e retrocessioni contingentate al ribasso.

Mission

Dalla B in giù, dovrebbe essere quella di pensare soprattutto ai giovani, al di là del solito disco rotto sulla storia dei vivai (a proposito: legge Balotelli, dove sei finita?). Il nostro è un calcio assistenziale, dalla B alla Lega Pro: ci prosperano maturi giocatori a fine percorso che gonfiano i costi delle società e sono più vulnerabili a certe tentazioni. L'idea delle seconde squadre, fortemente contrastata da Macalli, meriterebbe invece una chance.

Gli stadi

E' uno scandalo che in 5 anni non si sia venuti a capo di una legge capace di coniugare una esigenza di riammodernamento con le legittime necessità di preservare il territorio da colate indiscriminate di cemento. Con la crisi che c'è, mettere in moto qualcosa che produce posti di lavoro e opportunità per le aziende dovrebbe far comodo a tutti. In un Paese normale.

Le leggi economiche

Melandri, legge 91, tutela dei marchi. Più che rivoluzioni, aggiustamenti. Esempio (ma ce ne sarebbero altri): la Melandri garantisce il 10% di mutualità dei diritti tv della A alle serie inferiori. Ma il 10% di 100 o di 200 sono cifre diverse e non si capisce perché la mutualità (assistenziale) debba crescere in misura esponenziale quando dovrebbe invece avere un tetto.

Come avrete capito, c'è solo da scegliere. Ma il processo non può avere un solo padre. Deve partire dalla Lega di A, che dovrebbe di fronte a queste sfide mostrarsi coesa (una parola!) a cominciare dall'individuazione di un presidente impegnato a tempo pieno su queste problematiche. E poi passare attraverso la Figc per un «gioco di squadra» che funzioni in casa, dentro al sistema calcio, e in trasferta, sui tavoli del Governo. Facile a dirsi, vero?

Ps. Nell'agenda non abbiamo inserito la giustizia sportiva. Non perché non ci sia bisogno, anche lì, di correzioni. Ma perché (etica a parte) coi problemi di crescita del calcio italiano, Agnelli ci perdoni, non c'entra niente.

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Le curve ultrà-razziste

SVASTICHE, SPACCIO, VIOLENZA. NON DI RADO TOLLERATE DALLE SOCIETÀ DI CALCIO

MEMORABILIA Delle Brigate veronesi tornate alla ribalta si ricorda lo striscione “Vesuvio pensaci tu”, cui i partenopei risposero “Giulietta è ‘na ȥoccola”

di LUCA PISAPIA (Il Fatto Quotidiano 27-10-2012)

“Pezzo di ɱerda, Morosini pezzo di ɱerda”. L’orrendo coro che i tifosi scaligeri hanno riservato durante Livorno-Verona alla memoria di Piermario Morosini, lo sfortunato calciatore deceduto a primavera con indosso la maglia amaranto del Livorno, è solo l’ultimo di una lunga serie di sintomi che certifica la malattia terminale del tifo e delle curve italiane. Rimanendo a Verona, questo non è certo il primo episodio vergognoso di cui si rende protagonista la nuova generazione di ultrà, nata dopo lo scioglimento della maggior parte dei gruppi organizzati nelle curve degli stadi italiani. Se già le dissolte Brigate Gialloblù si connotavano per l’appartenenza all’estrema destra e il razzismo – soprattutto nei confronti dei napoletani, con cori e striscioni tipo “Vesuvio pensaci tu”, cui i partenopei risposero con il memorabile “Giulietta è ‘na ȥoccola” – i loro eredi, quando l’allora presidente Mazzi era in procinto di acquistare il giocatore nero Ferrier, si presentarono con un manichino nero impiccato in curva sopra la scritta “Dagli lo stadio da pulire”. In egual modo pochi anni prima si comportarono a Udine per l’acquisto dell’israeliano Rosenthal. Tra svastiche e scritte sui muri come “Rosenthal nel forno”, la società friulana decise di fare retromarcia. Una rottura del contratto che anni dopo un tribunale considerò illegittima, obbligando l’Udinese a risarcire il giocatore. Ma i club sono spesso compiaciuti di essere ostaggio dei presunti ultrà, cui regalano biglietti e soggiorni per le trasferte, consentono il commercio di prodotti col marchio sociale e chiudono un occhio su quello di materiale contraffatto.

PER NON parlare dello spaccio, altro grande business del tifoso ‘duro e puro’ e causa di molti scazzi all’interno delle stesse curve. In cambio degli occhi chiusi su questi piccoli affari, le società ottengono il controllo delle curve, la possibilità di gestire le contestazioni a loro piacimento, e di allontanare i tifosi dissidenti con la linea societaria. Poi c’è la politica. I primi gruppi organizzati nascono negli anni della contestazione e si dividono tra opposte fazioni. Anche i gemellaggi tra le tifoserie seguono il credo politico, e negli anni Settanta e Ottanta gli scontri tra ultrà e gruppi extraparlamentari sono un’unica cosa. Con la nascita delle pay tv e la caduta del socialismo, comincia la barbarie: ovvero il riflusso, certificato dallo spostamento all’estrema destra di alcune storiche curve rosse. A Roma c’è la scomparsa dei Cucs (Commando Ultrà Curva Sud, di sinistra) e la presa del potere da parte di gruppetti che si dicono apolitici ma gravitano nella galassia dell’estrema destra capitolina. Caso analogo a Milano, dove la scomparsa di Fossa dei Leoni e Brigate Rossonere ha avvicinato nelle affinità elettive e politiche una curva tradizionalmente di sinistra come quella rossonera ai cugini interisti. E ora anche la Curva Sud milanista espone simboli che si rifanno a Forza Nuova o Terza Posizione. Dalla fine degli anni Ottanta poi, alla questione meridionale si è aggiunta quella etnica e razziale. Da “Milanisti ebrei, stessa razza stessa fine” (Curva Nord interista in un derby del 1986, poi anche un coro) a “Hitler: prima gli ebrei oggi i napoletani” (sempre interista, 1989). E a certificare la svolta a destra di Roma ecco che a “Squadra de negri, curva de ebrei” (Curva Nord della Lazio, 2001) risponde il “Lazio-Livorno: stessa iniziale, stesso forno” (Curva Sud della Roma 2006). Qui dovrebbe intervenire la legge. Invece nulla, nonostante l’articolo 62 delle Norme Organizzative Interne della Figc preveda la possibilità per l’arbitro, o per il responsabile dell’ordine pubblico allo stadio, di sospendere la partita in caso di cori o striscioni oltraggiosi.

ALLO STESSO modo, la legge 41 dell’aprile 2007, che proibisce di esporre negli stadi simboli politici, sembra abbia avuto effetto solo con le oramai introvabili falci e martello, o con l’icona del Che, dato che gli stadi sono domenicalmente invasi da celtiche e svastiche, per cui esisterebbe anche il reato di apologia di fascismo. Il problema non riguarda solamente il tifo dei club, ma anche della Nazionale, il cui tifo organizzato è nelle mani dei neonazisti di Ultras Italia: famosi per striscioni come “No alla nazionale multietnica” e per cori come “Non esistono negri italiani” o “Se saltelli muore Balotelli” (il cui copyright è delle curve di club, e il disco d’oro degli juventini che ne facevano il loro inno negli anni in cui Balotelli era interista). Ci si potrebbe chiedere perché la Figc almeno lì non intervenga, ma poi si scopre che è lo stesso capitano della Nazionale Buffon ad aver scelto il numero 88 (la famosa sigla neonazista per la doppia H di Heil Hitler) e a essersi presentato in televisione con la maglia con su scritto a pennarello lo slogan fascista “Boia chi molla”. Ed è sempre Buffon, in compagnia di Pirlo e De Rossi, che per festeggiare la vittoria ai Mondiali del 2006 sventolava un tricolore con una celtica in bella vista. Se le curve sono malate, in campo i giocatori non si sentono certo molto bene.

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Pace finita

«Sgarro» tra le curve

Gli ultrà di San Siro

tornano in guerra

Affronto ai cugini: milanisti allo stadio per Inter-Partizan

Rotta dopo trent’anni la tregua tra i tifosi delle due milanesi

di SALVATORE GARZILLO (Libero 27-10-2012)

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La pace è finita. Tra ultras di Inter e Milan la tregua è saltata. Colpa del gemellaggio stipulato tra Partizan Belgrado e rossoneri, e della presenza di alcuni milanisti nel terzo anello blu, che ospitava i supporters serbi arrivati in città per il match di Europa League.

Su Facebook sta girando una foto che ritrae lo striscione incriminato, quello su cui compare lo stemma della Curva sud accanto a quello del 40+, simbolo dei Grobari (che in lingua significa “becchini”). Troppo vicini quei loghi, troppo stretto il rapporto tra i gruppi per non risultare un affronto agli interisti.

Infatti, la cosa non è piaciuta per nulla ai nerazzurri, che giovedì sera hanno affidato a cori e striscioni la loro intenzione di risolvere la questione in maniera tutt’altro che pacifica: “Vi nascondete dietro ai serbi perché non avete il coraggio di presentarvi ai derby?”, oppure “In giro racconti del gemellaggio, anche se sai di rischiare il secondo linciaggio”. E via di questo passo, con riferimenti anche allo storico patto di non belligeranza risalente a trent’anni fa.

Anni ’70. Nascono i primi gruppi di ultras e la rivalità calcistica assume uno spessore diverso. I tifosi di Inter e Milan condividono il secondo anello arancio, come due coinquilini che mal si sopportano. La cosa non può funzionare né andare avanti a lungo, soprattutto perché durante i derby le scintille diventano fuoco. Ad aiutare la benedetta scissione ci pensano dei lavori di ristrutturazione allo stadio, che obbligano a una nuova disposizione delle parti: in Curva nord i nerazzurri, in quella sud i supporters del Milan. In realtà, le cose non cambiano poi molto. Per tutti i Settanta e l’inizio degli Ottanta, i due gruppi si scontrano senza esclusione di colpi, fino al 1983, anno del Mundialito per club che si disputa al Meazza. È in occasione di questa manifestazione (per altro vinta dalla Juventus), che le due fazioni stringono il famoso patto, relegando la rivalità a coreografie, striscioni e cori. Un passo importantissimo, visto che fino ad allora i contrasti si erano risolti a mani nude.

L’insofferenza tra le due squadre ha radici profonde, che vanno oltre i risultati, i gol, gli episodi da rivedere, arrivando ad aspetti sociali.

A voler dar retta alla cultura popolare, pare che secondo la tradizione il tifo per l’Inter fosse per i borghesi mentre quello per il Milan riservato alle classi popolari. I primi, infatti, chiamavano i rivali “casciavìt” (cac - ciaviti), in chiaro riferimento alle origini operaie; gli altri rispondevano con “baùscia”, termine che sopravvive al tempo e indica genericamente lo snob. Questo accadeva negli anni d’oro del calcio, quando allo stadio si andava con i bambini (si dice così quando si usa il “si stava meglio quando si stava peggio”, no?), ma negli ultimi vent’anni non possiamo sostenere che le cose siamo rimaste invariate. Sia per le appartenenze dei tifosi, con le influenze dei rispettivi presidenti, sia per la qualità delle schermaglie.

Inter-Partizan era considerata «una partita ad altissimo rischio» per via del ritorno in Italia della tifoseria serba, tenuta alla frontiera dopo l’occupazione dello stadio di Genova del 12 ottobre 2010. Si temevano scontri tra le tifoserie opposte, ma grazie a un impressionante dispiegamento di forze dell’ordine, tutti hanno preferito guardare la partita ai propri posti. Compresi i milanisti.

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CREMONA LUNEDI’ SARA’ INTERROGATO

Accuse alla Lazio

Erodiani chiede

la «protezione»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 27-10-2012)

La giustizia sportiva batte un primo colpo sui deferimenti (il secondo con Lazio, Genoa e Mauri non tarderà), mentre a Cremona il pm di Martino dalla prossima settimana inizierà una serie d'interrogatori. In particolare, toccherà a Massimo Erodiani (arrestato il primo giugno 2011) spiegare alcuni passaggi delicati su Lotito e la Lazio fatti durante l'audizione con Stefano Palazzi più un'altra decina di persone legate al filone Siena e alle dichiarazioni del pentito Carobbio. Sfileranno in Procura alcuni calciatori (da Mastronunzio al portiere Coppola; da Larrondo a Vitiello) ma potrebbe essere convocato anche il presidente Mezzaroma. Lunedì sarà Erodiani ad aprire le danze e dovrebbe esserci anche una richiesta formale di «protezione» dopo le minacce di morte ricevute.

Facebook e non solo Tutto probabilmente è legato alle accuse di Erodiani nei confronti della Lazio per due presunte combine con Siena (2007) e AlbinoLeffe (Coppa Italia 2010) e del presidente Lotito («sapeva degli accordi») davanti agli 007 federali. Accuse respinte in modo sdegnato dalla società biancoceleste che ha parlato di semplici «pettegolezzi», minacciando querele. Ma quelle rivelazioni hanno spinto alcune persone a contattare Erodiani su facebook minacciandolo di morte. Minacce poi continuate anche via posta e in altre modalità. Lunedì il pm di Martino vuole che quelle accuse contro Lotito e la Lazio siano messe a verbale anche davanti a lui. Gli investigatori sono convinti che Erodiani abbia molto da raccontare: finora si sarebbe limitato solo al minimo sindacale. Ecco perché il suo interrogatorio potrebbe essere importante, ma per l'avvocato Paolo D'Incecco potrebbe metterlo in una situazione di pericolo. Da qui la richiesta di protezione. Sarà accolta dalla Procura?

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L’ULTIMO CASO

Minaccia Uefa:

«Chiudiamo il San Paolo»

Multa ai tifosi, poi l’ultimatum in vista del ritorno contro il Dnipro. Partiti ieri i lavori allo stadio

di RINO CESARANO (CorSport 27-10-2012)

NAPOLI - Provvedi tu, provvedo io, nessuno provvede. E l’Uefa, al terzo ultimatum lasciato cadere nel vuoto sui lavori da effettuare al San Paolo, mette in azione la commissione disciplinare, segnalando peraltro anche la «condotta inappropriata» dei propri tifosi in occasione della sfida con l’AIK Solna del 20 settembre scorso. E ieri, il Napoli ha ricevuto notifica di una multa di 150mila euro oltre al divieto di vendere biglietti per cinque settori dello stadio (le due curve, i distinti, il settore ospiti e quello riservato ai disabili) in vista della gara di ritorno con il Dnpro dell’8 novembre se tali lavori non verranno comprovati con prove fotografiche entro il giorno 6.

Il ritardo non era dovuto a negligenza da parte del Napoli bensì dalle effettive competenze di manutenzione straordinaria dell’impianto che, invece, spettano al Comune. Non avendo presentato per tempo il progetto per i lavori richiesti (più bagni chimici, messa in sicurezza di varie zone dello stadio) l’Uefa è passata a vie di fatto con sanzione disciplinare e minaccia di chiusura di larga parte dell’impianto.

Ma ieri, finalmente, è stata trovata l’intesa tra calcio Napoli e Comune ed il progetto d’esecuzione prontamente inviato alla commissione con sede a Nyon. In pratica, il Napoli s’accolla l’onere della spesa ed il Comune s’impegna a stornare l’importo dalla somma dal fitto per la struttura. «Ce la faremo, non ci sono preoccupazioni circa la rapida attuazione dei lavori - ha affermato l’assessore allo sport, Giuseppina Tommasielli – D’intesa con il calcio Napoli è stato approntato un crono programma che verrà rispettato in pieno e di cui è già a conoscenza la commissione Uefa» .

Intanto oggi verrà presa una decisione anche in merito al ricorso in appello dopo la sanzione comminata dall’organismo disciplinare. Il Napoli punta ad una riduzione sensibile della multa (anche se pesa la condotta inappropriata dei propri tifosi) ma è sicuro di poter superare le prescrizioni imposte e poter contare sull’uso totale del San Paolo per la quarta gara di Europa League.

Infine, il 28 novembre scadrà il termine per presentare progetti relativi alla costruzione di un nuovo stadio a Napoli ed il 5 dicembre è programmato un consiglio comunale in cui si parlerà esclusivamente dell’impianto di Fuorigrotta e di come regolarsi eventualmente per una nuova struttura.

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Dichiarati inagibili 12 settori. Il Comune: «Lavori già iniziati, saranno rispettati i tempi»

Dall’Uefa maxi-multa di

150mila euro per il San Paolo

Le accuse «Sicurezza non rispettata, organizzazione insufficiente e comportamenti dei tifosi inappropriati»

di GIANLUCA VIGLIOTTI (IL MATTINO 27-10-2012)

Mano pesante della Commissione disciplinare e di controllo dell'Uefa sul Napoli per la condotta inappropriata dei suoi tifosi (fumogeni e scavalcamento settori), l'insufficiente organizzazione dello stadio ed il mancato rispetto delle direttive per la sicurezza negli stadi (occupazione scale e vie di fuga) in occasione della gara di Europa League disputata contro gli svedesi dell’Aik Solna lo scorso 20 settembre. L'organismo di controllo dell'Uefa ha inflitto una multa di 150mila euro alla società azzurra e ha vietato la vendita dei biglietti per 12 settori dello stadio San Paolo per la partita in programma il prossimo 8 novembre contro il Dnipro, se non saranno eseguiti gli interventi di adeguamento allo stadio così come ordinato dall’Uefa, che aveva in più occasioni intimato di effettuare alcuni lavori urgenti ed indifferibili per eliminare ogni tipo di pericolo derivante dall'eventuale distacco degli intonaci dello stadio.

Al momento l’Uefa ha inibito la vendita dei biglietti per la gara con il Dnipro per l’intero settore disabili e ospiti, nonché per una parte delle Curve (A e B lato superiore) e dei Distinti. La Commissione disciplinare e di controllo dell’Uefa ha stabilito inoltre che, in caso di mancata realizzazione di interventi «soddisfacenti o parzialmente soddisfacenti» entro la data del prossimo 6 novembre, può vietare che si disputino partite di competizioni Uefa allo Stadio San Paolo. Il Napoli, per evitare la sanzione, deve fornire all’Uefa una relazione tecnica giurata da parte di un'impresa che confermi, anche con il supporto di documentazioni fotografiche, l'effettiva esecuzione degli interventi e la conformità dei settori agli standard di sicurezza per gli spettatori. Consegnando la relazione, il divieto potrebbe essere sospeso per un periodo di prova di 5 anni. Intanto il Comune, al quale competono i lavori essendo gli stessi di straordinaria manutenzione, di concerto con la società azzurra, ha già stabilito un programma di esecuzione dei lavori. «Non ci sono preoccupazioni circa la rapida attuazione dei lavori», ha dichiarato l'assessore allo Sport Pina Tommasielli. Il Napoli ha tre giorni di tempo per ricorrere alla decisione della Commissione Uefa. Il 2 luglio l’ente calcistico aveva avvisato sull’urgenza di questi lavori: disponibile il club, che dal Comune (proprietario dello stadio) non aveva ricevuto risposte.

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IL CASO ENTRO IL 6 NOVEMBRE LO STADIO VA COMPLETATO IN VISTA DELLA GARA CASALINGA COL DNIPRO

Multa di 150.000 euro dall'Uefa,

San Paolo a rischio

I settori per ospiti e disabili pericolosi. Il sindaco: «Subito i lavori richiesti»

di GIANLUCA MONTI (GaSport 27-10-2012)

Evidentemente, quest'anno il Napoli in Europa sta incontrando molti problemi. Ieri, infatti, è arrivata dalla commissione disciplinare dell'Uefa una salatissima multa (150.000 euro) per inadempienze che riguardano il San Paolo. Un provvedimento disposto dai vertici di Nyon perché alcuni varchi di ingresso, il settore ospiti e il settore disabili risultano pericolosi per la caduta di pezzi di intonaco. L'Uefa ha disposto il divieto di vendita dei biglietti per la prossima partita di Europa League contro il Dnipro (8 novembre) per una parte di tutti i settori dello stadio, a eccezione della tribuna Posillipo e della tribuna autorità. La società azzurra ha tre giorni per presentare ricorso e, ovviamente, sembra intenzionata a farlo. Se, però, entro il 6 novembre non verranno effettuati i lavori necessari, l'Uefa potrebbe anche vietare la disputa delle gare europee al San Paolo.

Lavori al via Il club si sarebbe aspettato una più fattiva collaborazione da parte del Comune, cui aveva girato le tre lettere di sollecito ricevute dall'Uefa. Ieri mattina, comunque, i tecnici dell'assessorato allo sport e quelli della società si sono incontrati e hanno stilato una agenda dei lavori da mettere in atto in maniera tempestiva. Il crono-programma è stato già inviato all'Uefa: «All'inizio della prossima settimana cominceremo gli interventi — ha detto Napoli il sindaco De Magistris — Risolveremo la situazione per tempo». Il problema, come al solito, è di natura economica. I lavori (picconare gli intonaci pericolanti e ripristinarli ndr), infatti, sono di straordinaria manutenzione e spetterebbero all'ente proprietario, ma il Napoli ha espresso la disponibilità ad effettuarli a proprie spese, stornando magari i costi dal debito pregresso che la società ha con il Comune: 1,325 milioni. Col Dnipro si giocherà regolarmente a Fuorigrotta.

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Dopo il giovedì nero in Ucraina, altri guai per la società: multa di 150 mila euro

e la minaccia di sbarrare curve e distinti per la gara di ritorno contro il Dnipro

Allarme Napoli

L’Uefa chiude più di mezzo San Paolo

tra Comune e De Laurentiis è rottura

Mai effettuati i lavori, la società furiosa con il sindaco: “Li facciamo noi”

Insigne bocciato dal tecnico: “In B è un’altra cosa”. Lite giocatori-tifosi: rifiutate le maglie

di MARCO AZZI (la Repubblica - Napoli 27-10-2012)

ERRORI, omissioni, autolesionismo, colpi bassi e perfino una raffica di fuoco amico, col clamoroso voltafaccia dei tifosi al seguito, in Ucraina. Il Napoli ha iniziato a farsi del male da solo, nella notte buia di Dnepropetrovsk, e poi con il passare delle ore ha scoperto di trovarsi in un mare di guai: in campo e fuori, piovuti sul club azzurro con una simultaneità che rischia di ingigantirne la portata. Non c’è nulla di irreparabile, in effetti. La squadra potrà reagire subito e ritrovare il feeling col suo pubblico, già nella sfida di domani sera al San Paolo con il Chievo. E sono appellabili i deferimenti per il caso scommesse e la maxi stangata inflitta dell’Uefa, che intanto però ha messo a nudo le storie tese tra il Comune e la società, impegnati in una deprimente partita a scacchi sullo stadio. Il sindaco insiste per costruirne uno nuovo e si prepara a lanciare la gara, De Laurentiis chiede invece che sia rimesso a posto quello di Fuorigrotta, ma a spese dell’amministrazione (proprietaria dell’impianto). Di qui la paralisi: una brutta figura, questa volta a livello internazionale, per l’immagine della città. Simile a quella che si è andato a cercare in Europa League Walter Mazzarri, condannando i suoi giocatori a un’altra resa che poteva essere evitata, giovedì sera. L’eccesso di turnover comincia a far sorridere i nemici, mentre si indispettiscono gli amici. E stride, in un momento del genere, il prolungato esilio americano del presidente: il cui rientro da Los Angeles sta continuando a slittare. Il cinema ha la priorità, fino alla fine della prossima settimana.

La squadra — Ma intanto qualche cosa si è rotto. Due ko in sei giorni: dalla Juventus al Dnipro. In campionato si era arresa la squadra A, sabato scorso a Torino; in Europa League è andata ancora peggio per quella B, messa sotto in maniera poco logica nella trasferta dell’altro ieri notte, in Ucraina. Prima hanno tradito i titolari, poi è arrivato il turno delle seconde linee. Il bilancio, però, è in rosso soprattutto per Walter Mazzarri, nell’occhio del ciclone per una gestione del gruppo che è molto difficile condividere, concausa degli ultimi risultati negativi. Qualcosa ha smesso di colpo di funzionare nel modo giusto, per il Napoli, frastornato dalla sosta internazionale e dal turnover extralarge imposto dal suo tecnico, che ha finito per mettere nei guai il gruppo. In meno di una settimana è stato dilapidato un piccolo tesoro: di certezze, autostima e credibilità, anche se per fortuna degli azzurri i danni non sono irreparabili. Rimane infatti più che soddisfacente la classifica, con il secondo posto solitario, e in Coppa la qualificazione potrà essere comunque riconquistata nel girone di ritorno. A patto di uscire subito dal momento storto. Correre ai ripari toccherà all’allenatore, peraltro sicuro di non avere niente da rimproverarsi. «Non avevamo alternative, l’anno scorso per dare il massimo in Champions avevamo concluso la stagione al quinto posto: non è possibile mandare in campo sempre gli stessi calciatori». Nessuna autocritica, insomma. Dalla panchina è arrivata piuttosto una stoccata per Vargas (bocciato) e Insigne (rimandato). «Sapevo che giocare in Cile o in B era un’altra cosa». Chance fallita, per i due baby attaccanti.

I tifosi — Ma la colpa del ko in Ucraina non può ricadere soltanto sulle loro spalle. I pochi tifosi al seguito nella trasferta di Coppa se la sono presa infatti con tutti e hanno protestato in maniera clamorosa, rifiutando le magliette che Cavani e Pandev stavano per lanciare verso il settore ospiti: dopo la brutta figura con il Dnipro. I due attaccanti ci sono rimasti male e il tentativo di Cannavaro di fare da paciere è fallito. Nel mirino è finito il turnover di Mazzarri, che ha impedito ai 162 fedelissimi partiti da Napoli di vedere in campo la squadra migliore. Il gesto degli ultrà, però, sarebbe stato anche un segnale di insofferenza verso la società: accusata di non averne agevolato la trasferta.

La stangata — Ma adesso sono a rischio pure le prossime partite in casa. Il veleno di un venerdì nero è arrivato nella coda, con la stangata della Commissione Disciplinare dell’Uefa. Multa al Napoli (150 mila euro) per la condotta inappropriata dei suoi tifosi in occasione della sfida contro l’Aik Solna (svedesi aggrediti, prima e dopo il match), ma soprattutto per le condizioni del San Paolo: fatiscenti. Da Nyon è stata disposta la chiusura provvisoria dell’intero stadio, eccetto la tribuna Posillipo, per la gara dell’8 novembre con il Dnipro. Tra le pene accessorie una partita a porte chiuse (pena sospesa per 5 anni) e il divieto di vendita dei tagliandi, se i lavori non verranno finiti entro il 6 novembre: il termine ultimo di una vicenda cominciata addirittura a luglio.

Il retroscena — Il primo diktat dell’Uefa era stato ignorato, così come la successiva lettera ricevuta il 5 ottobre, dopo il sopralluogo degli ispettori internazionali al San Paolo alla fine di settembre. Di qui la punizione di ieri, che potrà essere cancellata solo correndo subito ai ripari. Il Comune, responsabile dei lavori, e il Napoli hanno concertato un piano di intervento, che in cas di attuazione avrebbe comunque l’ok dall’organismo europeo. L’assessore allo sport Tommasielli dice: «Ce la faremo». De Laurentiis da parte sua è pronto a intervenire, appena avrà la garanzia da palazzo San Giacomo che la somma anticipata verrà defalcata dal canone di affitto. Il 28 novembre, intanto, scade la manifestazione d’intenti per lo stadio; e il 5 dicembre seduta straordinaria del Consiglio. La telenovela continua. Che brutto venerdì.

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Palazzi passa al Napoli, possibile

una penalizzazione per gli azzurri

Tentato illecito Deferito Gianello per tentato illecito (contro

la Samp), Cannavaro e Grava per omessa denuncia

di ANDREA ARZILLI (CorSera 27-10-2012)

ROMA — Matteo Gianello, Paolo Cannavaro, Gianluca Grava e il Napoli: tutti deferiti dalla Procura federale in relazione al tentato illecito in Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010, prossimi imputati nel processo che si celebrerà tra fine novembre e inizio dicembre davanti alla Disciplinare. È il filone napoletano dell'inchiesta sul calcioscommesse, per il Napoli, una delle poche squadre con le credenziali da anti-Juve, è una tagliola sulla strada che porta allo scudetto, il destino di un'intera stagione può passare dall'eventuale penalizzazione. Il procuratore Palazzi potrebbe chiedere il -2 in relazione alla responsabilità oggettiva che il club è costretto ad accollarsi per l'illecito tentato e andato a vuoto dal suo ex terzo portiere Gianello, che provò a coinvolgere Grava e Cannavaro nella combine che da solo non poteva aggiustare. Ma che incassò solo due «no». Per questo Cannavaro e Grava sono stati rinviati a giudizio per omessa denuncia, per aver taciuto possono prendere 6 mesi di stop e anche di più visto che, all'epoca dei fatti, era in vigore il vecchio ordinamento e non esisteva una pena edittale per il reato in questione. Il calibro lo danno gli ultimi casi, come quelli di Conte e Portanova, che in terzo grado si sono visti ridurre a 4 mesi la pena. Entrambi i giocatori napoletani hanno querelato Gianello per diffamazione, hanno sostenuto negli interrogatori sia in sede ordinaria che in quella sportiva di non aver ricevuto nessuna proposta indecente o, comunque, di non averle dato alcun peso. La loro strategia è diretta al dibattimento e a bypassare la fase del rito abbreviato. A causa loro il Napoli rischia solo un'ammenda, la partita vera si gioca su Gianello, figura unica e di contorno, come i legali del club proveranno a sottolineare in sede di processo. A giugno l'ex portiere raccontò tutto alla Procura della Repubblica di Napoli e a luglio confermò davanti ai federali di Palazzi: ammise di aver tentato di aggiustare Samp-Napoli su imbeccata di «gente del Nord», dopo «zingari» e «Masiello-boys» altri taroccatori a scopo di lucro, la cui testa di ponte era l'ex Chievo Silvio Giusti, anche lui deferito per illecito. Di riscontri ce ne sono a sufficienza: dalle intercettazioni al racconto di Gaetano Vittoria, il poliziotto infiltrato per sorvegliare i rapporti tra il Napoli e i tifosi che entrò in confidenza con Gianello e ascoltò per primo il suo racconto. Ora l'ex portiere può incappare in una squalifica lunga, non meno di 3 anni, da smussare con collaborazione e patteggiamento. Sarebbe un'ultima parata in favore del Napoli che così potrebbe provare a uscirne con la sola ammenda.

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Ora Cannavaro e Grava

rischiano la squalifica

Il Napoli sul filo dei punti

I deferimenti della procura federale sul caso Gianello

Il club coinvolto per responsabilità oggettiva

di MONICA SCOZZAFAVA (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 27-10-2012)

NAPOLI - Sono stati notificati ieri mattina dalla Procura federale diretta da Stefano Palazzi i rinvii a giudizio per l’ex terzo portiere del NapoliMatteo Gianello e, per responsabilità oggettiva, della società partenopea.

Deferiti anche i calciatori Paolo Cannavaro e Gianluca Grava. Gianello aveva confessato ai pm della Procura della Repubblica campana e poi agli inquirenti federali, la tentata combine del match Sampdoria-Napoli (1-0 del 16 maggio 2010) in cui aveva provato a coinvolgere gli ex compagni Cannavaro e Grava, ora chiamati a difendersi dall'accusa di omessa denuncia.

I legali del capitano azzurro hanno già querelato Matteo Gianello per diffamazione. Gli eventuali provvedimenti, squalifica da due a quattro mesi per i difensori azzurri e rischio penalizzazione da uno a tre punti per il club, verrebbero scontati in questa stagione.

Più pesante la posizione di Gianello per il quale si ipotizza l’illecito sportivo e dunque la squalifica da uno a tre anni. L’avvocato di quest’ultimo, Eduardo Chiacchio spiega: «Saranno gli organi giudiziari a decidere le pene da combinare o potrebbero decidere per il proscioglimento dei deferiti. Cannavaro e Grava? Per le omesse denunce le sanzioni irrogate sono, come per il caso Conte, una pena di quattro mesi ma questo è un caso particolare, l’attività illecita era legata a una sconfitta del proprio club. In un mese, a fine novembre si può ipotizzare che arrivi la prima decisione». Per l’avvocato Chiacchio, nell’ipotesi peggiore, il Napoli rischia un solo punto di penalizzazione.

Molto duro il commento della società presieduta da Aurelio De Laurentiis, Mattia Grassani: «Questo deferimento è una beffa, siamo infastiditi e sdegnati, ma anche decisi a far valere le ragioni della società. Tra i vari scenari che ci eravamo prefigurati - ha spiegato Grassani all’agenzia Italpress - si è sicuramente verificato il peggiore. Di sicuro non ce l’aspettavamo: il deferimento per il comportamento di Gianello era ipotesi preventivabile, ma la responsabilità oggettiva per le omesse denunce contestate a Cannavaro e Grava era una fattispecie molto residuale. Dovremo affrontare tutte queste accuse, sono contestazioni assolutamente pesanti, serie e anche gravi, di conseguenza pericolose per il Napoli. Il deferimento è molto corposo e prima di individuare ulteriori strategie mi confronterò con la proprietà. Di sicuro, però, non lasceremo nulla al caso, non saremo passivi spettatori, non staremo a guardare e anzi reagiremo: al riguardo non e' esclusa anche una tutela extra sportiva di natura risarcitoria nei confronti di Gianello». Il Napoli, ufficialmente, non ha commentato le decisioni della procura federale.

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E ora si va

al processo

Deferiti anche Grava e Cannavaro

Il club rischia un punto di penalizzazione, 6 mesi per i difensori.

Palazzi salva l’ex Quagliarella: «Escluso da Gianello»

di ALBERTO ABBATE (CorSport 27-10-2012)

ROMA - Altro che Vesuvio, il vulcano è Palazzi. E s’è svegliato: eruzione di deferimenti sul Napoli. Lava incandescente colata dalla sfida con la Samp del 16 maggio 2010. Ora è solida, è roccia: per l’illecito dell’ex Matteo Gianello e le omesse denunce di Paolo Cannavaro e Gianluca Grava, quindi per responsabilità oggettiva, il club partenopeo rischia due-tre punti di penalizzazione. Eppure, proprio la “collaborazione fattiva” (art. 24 CGS) dell’ex terzo portiere potrebbe garantire al Napoli - vedi la Samp con Guberti o il Benevento con Poloni (6 tarocchi)- uno sconto (un punto), in caso di patteggiamento: «Ma noi non abbiamo alcuna intenzione di prendere in considerazione una simile ipotesi - giura Grassani, avvocato della società - perché ci sentiamo solo parte lesa in questa vicenda» . L’Uefa prevede l’esclusione dall’Europa in caso di condanna, anche a manifestazione in corso: la discrezionalità di Platini, però, sinora è sempre stata un’alleata.

GIANELLO - Ormai non ci dorme da mesi. Pallido, dimagrito, la voce rotta dal fumo e dal pianto. Matteo Gianello lo scorso 16 luglio aveva confermato a Palazzi la confessione resa il 15 giugno 2011 al pm Antonello Ardituro. Fallito il tentativo di ritrattare: «Ho deciso di dire tutta la verità» . È stato l’avvocato Eduardo Chiacchio a salvare Gianello e il Napoli da una condanna più pesante: la giustizia sportiva non crede a chi nega confessioni già rese e non concede il patteggiamento. Lo avrà invece il 35enne Gianello, che spera di diventare allenatore dei portieri nel Veneto, magari dopo aver scontato un anno di squalifica. L’ex terzo portiere, alla vigilia di Samp-Napoli, avrebbe offerto a Cannavaro e Grava di perdere, per favorire le vincite di due suoi amici scommettitori, Silvio Giusti (anche lui deferito, ma già radiato) e Michele Cossato. In Procura prima nega la proposta, poi una telefonata intercettata risveglia la memoria: «Cannavaro e Grava diedero con estrema decisione una risposta negativa e capii che erano risentiti» .

GRAVA E CANNAVARO - I due difensori negano, ieri però si son beccati l’omessa denuncia. E l’avvocato Malagnini non rigetta a priori un patteggiamento, l’odore di uno sconto da 6 a 4 mesi di stop: «Sussistono i presupposti, non ci sarebbe nessuna ammissione di colpa, ma piuttosto un elemento procedurale per evitare il processo. Cannavaro e Grava si ritengono innocenti ed estranei ai fatti, ma purtroppo Palazzi ha ritenuto le parole di Gianello credibili» . In realtà, strillano soprattutto le rivelazioni di Gaetano Vittoria, il poliziotto della squadra mobile di Napoli infiltrato, finto amico dell’ex portiere azzurro «per raccogliere informazioni - svela l’agente - di potenziale interesse investigativo nel settore delle scommesse clandestine e delle frodi sportive» . Addirittura Vittoria aveva denunciato tutto, in un’informativa di polizia giudiziaria, il 24 maggio 2010: «Su Samp-Napoli, Gianello mi disse che aveva personalmente contattato i difensori Grava e Paolo Cannavaro, oltre allo stesso Quagliarella, ricevendo da tutti un netto rifiuto» .

QUAGLIARELLA - Spifferi scottanti, eppure si salva l’attaccante della Juve. Palazzi utilizza addirittura 12 righe per giustificare il “non deferimento” di Quagliarella: «Non può non evidenziarsi, già dal contenuto delle dichiarazioni dell’Ufficiale di P.G, che il contatto di Gianello con la punta per l’alterazione del risultato non è altrettanto chiaro e perentorio come per gli altri due calciatori, tanto da riferirsi a un momento successivo alla gara e non precedente (l’aver dileggiato il compagno per non avere vinto il premio correlato alla segnatura). Gianello ha poi negato in Procura Federale di aver rivolto la proposta d’illecito al Quagliarella. Da ultimo vi è un riscontro che sembra escluderlo, in quanto Gianello non era convocato per la gara e non avrebbe potuto dileggiare il compagno dopo l’incontro» . Faceva caldo, Quagliarella scansa il cratere.

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Scandalo scommesse Deferiti Cannavaro e Grava

Pm Palazzi e Uefa,

doppia stangata al Napoli

Club nei guai per responsabilità oggettiva. Maximulta e ultimatum per il San Paolo

di JACOPO GRANZOTTO (il Giornale 27-10-2012)

Chi la fa l’aspetti. Il Napoli se ne frega dell’Europa? L’Europa si rifà con gli interessi. Tana per Mazzarri e De Laurentiis convinti italianisti. Il primo si inventa nove fenomeni e mezzo per uscire da un torneo, l’Europa League, che conta poco solo da queste parti. Il secondo appoggia la linea risparmiosa e rinnega le antiche convinzioni sugli orizzonti da allargare. La solita balla di maggio. E il ranking collassa di brutto. Grazie alle imprese dei nostri squadroni l’Italia di campanile sera scende di altre due posizioni rispetto alla media degli ultimi cinque anni: dalla quarta alla sesta. Francia e Portogallo incalzano in attesa del Benelux. Ma Cavani non si spreca, domenica c’è il Chievo.

Il Napoli scherza col fuoco. Dopo la caduta di stile in Ucraina ieri è stata un’altra giornataccia. Prima il deferimento del club e di Cannavaro e Grava per la vicenda calcioscommesse, poi la pesante multa di 150mila euro dell’Uefa con lo spettro della chiusura dello stadio per le partite di Europa League. Che tanto interessano poco (e a l’Uefa gli girano). L’ultimatum è chiaro: senza i lavori richiesti il Napoli perde la licenza Uefa. Infatti, per la prossima gara casalinga di Europa League (l’8 novembre contro il Dnipro), è stata vietata la vendita dei biglietti per 12 settori, disabili compresi. Sanzione che decadrebbe solo se il Napoli fornisse un rapporto dettagliato che confermi «che i lavori di riparazione sono stati effettuati e che le tribune soddisfino tutte le pertinenti norme di sicurezza degli spettatori». La commissione disciplinare, che ha fissato il termine per i lavori al 6 novembre, proporrà il divieto di giocare al San Paolo. Come se non bastasse, la Commissione disciplinare impone al Napoli di giocare una partita Uefa a porte chiuse, sanzione soggetta a un periodo di prova di 5 anni. Tranquilli. Il Comune di Napoli ha fatto sapere, tramite l’assessore Tommasielli, che non c’è problema, tutto sarà risolto con un «cronoprogramma » e lo stadio potrà essere agibile (e deserto) per l’Europa.

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Scommesse, Cannavaro rischia 4 mesi. San Paolo, multa dell’Uefa

Deferito il Napoli:

«Ma noi parte lesa»

di FRANCESCO DE LUCA (IL MATTINO 27-10-2012)

L’indignazione del Napoli arriva da uno studio legale di Bologna, quello dell’avvocato Mattia Grassani, da anni consulente del club di De Laurentiis. «Non c’entriamo niente: noi siamo parte lesa in questa storia». Il Napoli e due suoi giocatori, il capitano Paolo Cannavaro e la ”bandiera” Gianluca Grava (gioca in azzurro da quasi otto anni e si annuncia per lui un futuro da dirigente del settore giovanile), sono finiti sotto processo, sportivo s’intende.

Deferiti dal procuratore federale, Stefano Palazzi, magistrato napoletano, per responsabilità oggettiva (il club) e per omessa denuncia (i due giocatori) a causa del tentativo di illecito dell’ex portiere Matteo Gianello. Il Napoli perse la partita contro la Sampdoria a Marassi il 16 maggio 2010 e non per le pressioni di Gianello, presenza impalpabile nello spogliatoio di Castelvolturno: le motivazioni dei blucerchiati, a caccia della qualificazione-Champions, erano molto più elevate di quelle degli azzurri, ormai approdati al sesto posto e al preliminare di Europa League.

Cannavaro e Grava, che tardivamente hanno querelato Gianello per averli coinvolti («Proposi un accordo, ma loro rifiutarono») e per questo dovranno rispondere di omessa denuncia, rischiano una squalifica; per il Napoli potrebbe essere richiesta da Palazzi una penalizzazione, minima. Il processo comincerà tra un mese e la società è convinta di riuscire a dimostrare di essere parte lesa, non soltanto estranea a quanto è accaduto prima di quella partita, giocata quasi due anni e mezzo fa. Potrebbe mai essere giusto giudicare il Napoli e i suoi calciatori (e il discorso vale per altri club, altri allenatori e altri giocatori finiti nel tritacarne del Calcioscommesse) a distanza di tanto tempo? Potrebbe essere mai legittima una penalizzazione o una squalifica, seppure breve o patteggiata, dopo oltre due campionati? La risposta è, ovviamente, no.

La Federcalcio, dopo aver riconfermato il dottor Palazzi alla guida della Procura, si attrezzi affinché le indagini possano essere svolte in maniera celere a tutela di società che investono milioni di euro e non vengano colpiti tesserati che lavorano seriamente. Il Napoli di De Laurentiis è stato indicato come club virtuoso e non soltanto perché ha i conti in regola: domani sera a Fuorigrotta, in occasione della partita con il Chievo, verrà osservato un minuto di raccoglimento in memoria di Lino Romano, vittima innocente della camorra, e saranno accolti sugli spalti i giocatori del Quarto, la squadra antiracket. Questi sono segnali importanti. Tutto il resto è veleno e fango.

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L’ex terzo portiere tentò l’illecito contro la Samp nel maggio 2010: deferiti la società e i due difensori

Scommesse

Napoli, Cannavaro e Grava

processo per colpa di Gianello

Disciplinare Prima udienza a fine novembre: per il club chiesti due punti

Proposta Dai due azzurri nessuna denuncia: rischiano uno stop di 3mesi

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 27-10-2012)

Cambia il filone. Non la linea di Stefano Palazzi. Il procuratore federale non fa sconti neppure questa volta: ha deferito alla Disciplinare il capitano del Napoli Paolo Cannavaro e il difensore Gianluca Grava. Entrambi accusati di «omessa denuncia». Con loro il grande accusatore della tranche napoletana di calcioscommesse: Matteo Gianello, il «taroccatore» o meglio colui che avrebbe tentato la combine di Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010. Per lui c’è il deferimento per il «tentato illecito». Le sue confessioni, prima in sede di giustizia penale (il 15 giugno 2011 ai pm Antonello Ardituro e ai suoi colleghi De Simone e Ranieri, confermate poi in un altro interrogatorio a luglio) e poi dinnanzi agli 007 federali (il 16 luglio), mettono nei guai il Napoli deferito per responsabilità oggettiva proprio perché nel suo organico aveva Gianello, accusato della tentata combine. E che per questa accusa rischia una penalizzazione (con l’ipotesi di esclusione dall’Europa League). Palazzi potrebbe chiedere 2 punti di penalizzazione e, secondo indiscrezioni, proporre alla vigilia del processo - ovvero non prima del 20 novembre - al Napoli di patteggiare 1 punto di handicap. Per l’omessa denuncia addebitata a Cannavaro e Grava (che rischiano in teoria tre o quattro mesi di squalifica) la pena del club è un’ammenda.

Trema il Napoli, perché la Disciplinare raramente ribalta la linea della fiducia ai pentiti tenuta dalla Procura federale. E in questo momento, Gianello per Palazzi è uno «attendibile». L’ex terzo portiere del Napoli, ai margini dello spogliatoio, è un pentito che ha deciso di parlare alla Procura di Napoli, di fatto cucendo il canovaccio su cui si è mosso Palazzi in questa tranche di deferimenti. L’ossatura dell’accusa, fatta esclusivamente dalle rivelazioni di Gianello e dalle ammissioni di colpa che si danno forza l’una con l’altra dell’ex portiere, sbatte con le contro-accuse di Cannavaro e Grava che giurano di non aver mai ricevuto proposte dal loro compagno di squadra per truccare Sampdoria-Napoli.

Dalle carte federali emerge il riferimento al rapporto della Squadra Mobile. Perché Gianello era intercettato e pedinato da una poliziotto che in una relazione aveva riferito delle confidenze ricevute da portiere azzurro in un bar in relazione proprio a Sampdoria-Napoli. Eppure le stesse carte che hanno portato ai deferimenti alla Disciplinare del Napoli, di Cannavaro e di Grava hanno spinto il procuratore aggiunto Giovanni Melillo ad archiviare l’indagine penale. Fatto salvo, s’intende, per il rinvio a giudizio di Gianello e di Silvio Giusti, accusati di associazione finalizzata alla frode sportiva, perché legati alla cricca delle scommesse. Al Napoli e ai suoi tesserati, infatti, a fine maggio scorso non è stato contestato nessun reato. E così è stata disposta l’archiviazione, dopo aver passato al setaccio anche altre gare sospette: due del torneo 2009-2010 (Napoli-Parma 2-3 e appunto Sampdoria-Napoli 1-0), e la terzultima del campionato del torneo 2010-2011, Lecce-Napoli 2-1.

La Procura di Napoli rileva presunte irregolarità solo in occasione della gara di Marassi del 16 maggio 2010. In pratica, Gianello avrebbe proposto a Cannavaro e Grava di perdere, per favorire le vincite dei suoi amici scommettitori, Giusti e Cossato. In Procura il portiere nega la proposta, ma poi cambia idea. Ma per la giustizia sportiva tanto basta per il deferimento dei due atleti. La cui versione difensiva non ha convinto Stefano Palazzi.

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Il retroscena In 80 pagine la richiesta di rinvio a giudizio presentata da Palazzi per i tesserati sul match di Genova

Matteo e l’ossessione delle puntate: comprerò una casa

La rivelazione ai pm «Arrivavamo a puntare 40mila euro a settimana»

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 27-10-2012)

Era uno scommettitore, in un giro più grande di lui, amici che puntavano fino a 40mila euro a settimana. Scommetteva, Matteo Gianello, perché «il suo stipendio non sarebbe stato sufficiente a comprare abitazioni per la madre e per i componenti della sua famiglia». Scommetteva e chiedeva informazioni su partite di serie B e serie C1. Nelle sue telefonate, nella montagna di intercettazioni e verbali, non tira in ballo solo Cannavaro e Grava ma anche Mascara, nome in codice Dentino, e Quagliarella. Le partite erano indicate con il nome della città e la cifra da scommettere sono nascoste dall’età di una donna. Oppure con riferimento a un hotel. «Te lo prenoto a 5 stelle o 10 stelle?», dice Silvio Giusti a Gianello. Nella carte della Procura ritorna anche Napoli-Inter dove Gianello, la sera del 15 maggio del 2011, è impegnato in un giro vorticoso di telefonate dalla tribuna. Una persino due minuti prima dell’inizio della gara.

Nell’informativa del poliziotto, allegata alla richiesta di deferimento, c’è la chiave della tentata combine. C’è il racconto di un Gianello proccupato alla vigilia di Samp-Napoli per la pressione di «gente del Nord» interessata ad alterare il risultato. Gianello si confida all’agente infiltrato e racconta delle richieste degli amici di intercedere con Cannavaro, Grava e Quagliarella.

Il 15 maggio 2011 Gianello va in Procura. Scagiona Quagliarella. E tira in ballo Cannavaro e Grava: «Mi rivolsi a loro e a nessun altro. Escludo che fossero presenti Santacroce e De Sanctis. Con estrema decisione mi diedero risposta negativa e dalle loro facce capii anche il loro risentimento». A quel punto, dice, non ebbe il coraggio di andare avanti. Conferma questa versione nell’audizione in Procura federale. Grava replica: «Nego tutto, non capisco perché ha fatto i nostri nomi». Quagliarella fa lo stesso: «Mai avuto rapporti stretti con lui». Aveva un premio speciale, quella stagione legato al raggiungimento di quota 12 gol: «A fine gara ero talmente arrabbiato per non aver segnato da non aver risposto al telefono neppure a mio padre». Successivamente al match, l’ex portiere, parlando con Giusti, dileggiò l’attaccante per non aver vinto neanche il premio in denaro (previsto dal contratto al 12esimo gol stagionale) che avrebbe incassato se avesse segnato contro i doriani. Cannavaro prima dai pm, il 7 luglio del 2011, poi dinnanzi agli 007 federali, un anno dopo, ribadisce: «Mai proposto né direttamente né indirettamente di alterare il risultato della gara. Se l’avesse fatto l’avrei denunciato». Anche Mazzarri conferma di «aver preparato Samp-Napoli nel modo consueto». Anche De Sanctis va in soccorso dei due difensori azzurri: «Nessuno mi ha mai riferito di aver avuto una simile proposta».

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Le reazioni L’avvocato Grassani in contatto con il presidente, ancora impegnato negli Stati Uniti

I legali di De Laurentiis furiosi

«Assurdo, la società è parte lesa»

Cannavaro Il pensiero del capitano «Ho già querelato Gianello, non temo squalifiche»

La linea del club «Noi danneggiati da un ex tesserato. La responsabilità oggettiva presenta evidenti e gravi limiti»

di ROBERTO VENTRE (IL MATTINO 27-10-2012)

«Anche nella più negativa delle prospettazioni il Napoli è parte lesa in quanto completamente estraneo», la posizione ufficiale del Napoli, in merito al deferimento per responsabilità oggettiva, è affidata esclusivamente alle parole dell’avvocato Mattia Grassani, il legale del club azzurro. Nessun comunicato di De Laurentiis e dei dirigenti. «Il deferimento ci coglie di sorpresa. Tanto tuonò che piovve. Nel senso che purtroppo lo scenario più nefasto che si potesse verificare si è verificato e ci sono stati deferimenti nei confronti di Gianello, che poteva essere prevedibile, e anche di Cannavaro e Grava. La società è chiamata a rispondere dell’operato di tutti e tre i tesserati e non lascerà nulla al caso per dimostrare le proprie ragioni. Il provvedimento è appena incardinato. È ovvio che la responsabilità oggettiva opera in automatico e il Napoli in sede di difesa rappresenterà anche i limiti della responsabilità oggettiva stessa perchè non può esserci sempre una ricaduta in capo al club del comportamento dei propri tesserati. In questo momento non si possono fare ipotesi di cosa eventualmente rischierebbe il Napoli».

Cannavaro e Grava si sono allenati e hanno evitato di rilasciare dichiarazioni. Però il deferimento era nell’aria da giorni e in un certo senso anche la cattiva notizia attesa. Paolo Cannavaro è difeso dall’avvocato Ruggiero Malagnini. «Questa è una materia nella quale è difficile fare previsioni perchè la giustizia sportiva delle volte sfugge alla logica giuridica perchè s’inverte l’onere della prova. In quella ordinaria chi dice una cosa la deve dimostrare, in quella sportiva chi è il destinatario delle accuse deve provare a smentirla». L’avvocato Malagnini poi entra nel merito. «Nel mese di luglio è stata fatta una denuncia querela nei confronti di Gianello quando davanti alla giustizia sportiva ha confermato la sua condotta accusatoria nei confronti di Cannavaro e Grava. Loro smentiscono totalmente di essere stati contattati dal portiere negli spogliatoi nel tentativo di alterare il regolare svolgimento della gara. In sede d’interrogatorio Cannavaro ha già dichiarato che non solo lo avrebbe redarguito pesantemente ma anche denunciato». Il legale di Cannavaro spiega la linea difensiva. «Quando la commissione disciplinare fisserà l’udienza potremo chiedere gli atti ufficiali. La nostra linea difensiva è già tracciata nel momento in cui abbiamo fatto la querela, insisteremo sulla nostra posizione di assoluta innocenza e di non aver avuto questo tipo di sollecitazione da Gianello che dovrà rispondere al giudice ordinario». Grava è difeso dall’avvocato Luisa Delle Donne, la linea difensiva sarà identica a quella di Paolo Cannavaro.

Gianello è difeso dall’avvocato Chiacchio. «Gianello ha confessato le proprie responsabilità dinanzi alla Procura della Repubblica di Napoli confermando la deposizione già resa dinanzi alla Procura federale. Ha già espiato le proprie colpe interrompendo anticipatamente la propria carriera di calciatore ed oggi vede compromesso il suo sogno di praticare l’attività di allenatore dei portieri». Ancora da definire la linea difensiva. «È certo che Gianello sarà squalificato, dovremo confrontarci per definire la linea difensiva. Ci incontreremo nei prossimi giorni. Il processo dinanzi alla Commissione Disciplinare ritengo verrà celebrato nell’arco di un mese. Nel momento in cui viene notificata la convocazione dell’udienza dibattimentale potremo avere accesso a tutti gli atti del processo, a quel punto con una visione globale della situazione del voluminosissimo carteggio del fascicolo potremo stabilire le mosse da fare».

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L’intervista

«Meno 2 punti? La Disciplinare

può respingere la richiesta»

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 27-10-2012)

Paolo Rodella, tra i più importanti esperti di diritto sportivo del nostro Paese, da dodici anni assiste club e tesserati coinvolti nei vari scandali-scommesse che puntualmente e ripetutamente travolgono il nostro calcio.

Avvocato, cosa rischia il Napoli?

«Per l’omessa denuncia di Cannavaro e Grava niente altro che una ammenda».

Poi c’è la vicenda di Gianello.

«Lì il caso si complica. Si tratta di un illecito e la giustizia sportiva si orienta negli ultimi tempi verso la penalizzazione».

Due punti?

«Anche uno. Dipende dalla gravità dell’episodio».

Nel caso del Napoli si tratterebbe solo di un maldestro tentativo di combine non andata neppure in porto.

«La brutta notizia per i tifosi del Napoli che tra il tentativo di illecito e l’illecito consumato non c’è alcuna differenza secondo l’ordinamento sportivo. Si tratta pur sempre di illecito. Nella fattispecie si parla di ”consumazione anticipata”: l’alterazione reale del risultato è una aggravante, ovvio, ma basta solo accertare il tentativo di un tesserato di combinare il match per essere puniti».

Due punti non sono tanti?

«Certo. Ma la richiesta della Procura federale non è detto che venga accolta dalla Disciplinare».

In generale, lei consiglia il patteggiamento?

«No, sarà il collega Mattia Grassani a scegliere la via giusta. Dipende dalle carte e dalla gravità delle accuse. Da dimostrare in quella sede. Penso al Frosinone, per esempio: io difendevo Santoruvo, accusato di un tentativo di illecito nella gara col Grosseto, e il club chiede e ottiene di patteggiare un punto di penalizzazione. Io vado a processo e la sentenza proscioglie Santoruvo. In pratica il Frosinone è stato punito per un illecito che non c’è stato».

Ma la penalizzazione in classifica rischia di far perdere al Napoli l’Europa League?

«Chi lo ha detto? Non è così. L’orientamento dell’Uefa, negli ultimi tempi, è tutt’altro che radicale. Non c’è un’applicazione burocratica: l’organismo europeo valuta caso per caso, analizza le accuse e le motivazioni della eventuale condanna».

Ma la responsabilità oggettiva non va rivista?

«Ha bisogno di una rivisitazione, soprattutto sotto l’aspetto della gradualità delle sanzioni. Ma è un caposaldo della giustizia sportiva: un modo per dire ai club di vigilare continuamente sull’operato dei propri tesserati».

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Deferito il Napoli. Ora la Lazio

In attesa dei provvedimenti per il club di Lotito e per il Genoa la società di De Laurentiis andrà a processo per responsabilità

oggettiva per il presunto illecito sportivo dell’ex portiere Gianello e le omesse denunce di Paolo Cannavaro e Gianluca Grava

di DANIELE GALLI (IL ROMANISTA 27-10-2012)

In attesa di Lazio e Genoa, i cui deferimenti sono previsti entro Natale, è il Napoli il primo imputato eccellente dello scandalo del calcioscommesse. Il club di De Laurentiis, che ieri ha ricevuto anche una mazzata dalla Uefa - 150 mila euro di multa per il San Paolo non a norma, con la relativa chiusura di qualche settore - è stato deferito dalla Procura federale per responsabilità oggettiva per il presunto illecito sportivo dell’ex portiere Matteo Gianello e le omesse denunce di Paolo Cannavaro e Gianluca Grava. Si parla di uno o due punti di penalizzazione in campionato e sanzioni dalla Uefa, che non accetta nelle sue competizioni club coinvolti in combine. Cannavaro potrebbe andare incontro a una squalifica di 4 mesi.

Palazzi è stato di parola. Appena una settimana fa aveva spiegato la ragione dei ritardi nei deferimenti. «D’accordo con la Figc - aveva detto il capo degli 007 - in agosto abbiamo dato la precedenza ai processi dove c’erano in ballo possibili retrocessioni. Questo non vuol dire che ci siamo dimenticati degli altri casi. Siamo umani, dobbiamo studiare gli atti e preparare gli incartamenti, ma state sicuri che procederemo come abbiamo sempre fatto. I deferimenti del Napoli già nella prossima settimana? Vedremo, non posso confermare. Mauri e la Lazio entro Natale? Non esistono date sicure, ma nulla ci vieta di farli durante i campionati. È già accaduto». Ed è riaccaduto. È probabile, se non addirittura certo, che la tabella di marcia sia a questo punto rispettata. Quindi dopo il Napoli dovrebbe essere la volta della Lazio. La differenza sta nel numero di partite contestate. Per il Napoli è una, quella con la Samp del 16 maggio 2010. Per la Lazio sono due: Genoa e Lecce.

Gianello, e con lui il suo amico Silvio Giusti, all’epoca tecnico di base, sono accusati - si legge nel provvedimento - di «avere posto in essere atti diretti ad alterare lo svolgimento ed il risultato della gara al fine di effettuare scommesse sul risultato sicuro di vittoria della Sampdoria, offrendo il secondo del denaro per la realizzazione dell’illecito e contattando il primo i compagni di squadra Paolo Cannavaro e Gianluca Grava, dai quali riceveva un rifiuto». Cannavaro e Grava, stando sempre all’atto di deferimento, hanno invece «violato il dovere di informare senza indugio la Procura Federale, omettendo di denunciare i fatti riguardanti la gara (. . . ), in particolare la proposta formulata dal suo compagno di squadra Gianello».

Per l’avvocato dell’ex portiere del Napoli, Edoardo Chiacchio, il processo si terrà entro un mese. «Senza parlare dei casi specifici - ha detto a Radio Kiss Kiss Napoli - le sanzioni irrogate per omessa denuncia, e ci rifacciamo ai casi di Portanova e Conte passati fino all’ultimo ordine di giudizio, sono di 4 mesi di sospensione. Il Napoli cosa rischia? Analizzando i casi precedenti, ad esempio quello del Benevento, si potrebbe pensare a una penalizzazione di un solo punto. I tempi? Il primo processo sarà celebrato presumibilmente entro un mese con le prime sanzioni». Poi, salvo sorprese, toccherà alla Lazio.

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Napoli verso la penalità

Guai per Cannavaro

Società a processo per il tentato illecito ammesso da Gianello

Il difensore è deferito con Grava per una omessa denuncia

Un punto in meno è la pena possibile, ma i legali dicono «no» al patteggiamento

di MAURIZIO GALDI (GaSport 27-10-2012)

Tutto secondo le previsioni: Matteo Gianello (ex terzo portiere del Napoli) è stato deferito per l'illecito sportivo (in realtà tentato) di Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010. Un illecito nato per la volontà di avere la sicurezza di scommettere sulla vittoria dei doriani. Coni lui deferito con la stessa accusa anche Silvio Giusti (ex calciatore) e che dalle intercettazioni emerge come la persona che avrebbe spinto Gianello a coinvolgere i suoi compagni. E Gianello ai magistrati (e confermato a Palazzi) ha detto di aver parlato della possibile combine a Paolo Cannavaro e Gianluca Grava. I due, secondo Gianello, avrebbero subito respinto qualsiasi discorso. I due, del resto, hanno sempre negato questa circostanza e in seguito hanno anche querelato Gianello. Comunque al momento il Procuratore federale Stefano Palazzi non gli ha creduto e li ha deferiti per omessa denuncia. Il Napoli deve rispondere di responsabilità oggettiva sia per la posizione di Gianello che per quella di Cannavaro e Grava.

Cosa rischiano Non ci sono abbreviazioni di termini e quindi la Disciplinare potrebbe riunirsi non prima di tre settimane. Matteo Gianello ha ammesso la sua responsabilità e potrebbe avvalersi della possibilità di patteggiare, sia attraverso l'articolo 23 che il 24 (collaborazione). Questo potrebbe ridurre al massimo in un anno e mezzo la sua squalifica. Cannavaro e Grava per omessa denuncia rischiano fino a sei mesi di squalifica e difficilmente sceglieranno la strada del patteggiamento continuando, anche attraverso il loro legale Luciano Malagnini, a professare la «totale estraneità» ai fatti. Il Napoli rischia una penalizzazione piccola (un punto e il precedente Sampdoria-Guberti ne è una dimostrazione) per la posizione di Gianello e un'ammenda per quella di Cannavaro e Grava se venissero ritenuti colpevoli di omessa denuncia. Anche l'avvocato Mattia Grassani per il Napoli non pensa al patteggiamento: in questo caso al minimo (un punto) si arriverà solo alla fine dei tre gradi di giudizio.

Altri deferimenti Legati al filone delle indagini penali della Procura di Napoli ci sono anche i deferimenti che riguardano la partita Portogruaro-Crotone. Di illecito in questo caso sono accusati di illecito Claudio Furlan, Andrea Agostinelli e David Dei; mentre Giusti e Gianfranco Parlato di aver scommesso. Il Portogruaro è accusato di responsabilità oggettiva e il Crotone di responsabilità presunta. Altri deferimenti riguardano Federico Cossato, Marco Zamboni e Dario Passoni per responsabilità oggettiva le società Avesa, Spal (non più iscritta) e AlbinoLeffe.

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Napoli, incubo penalizzazione

Cannavaro e Grava deferiti

Omessa denuncia per l’illecito tentato da Gianello con la Samp. San Paolo, stangata dell’Uefa

di MATTEO PINCI (la Repubblica 27-10-2012)

L’ombra del calcio scommesse torna sulla corsa scudetto. Dopo Antonio Conte toccherà al Napoli presentarsi davanti agli organi della giustizia sportiva: 12 tesserati e 6 club sono stati raggiunti ieri dai deferimenti firmati dal procuratore federale Stefano Palazzi, in merito al filone campano sullo scandalo scommesse: tra questi, i due giocatori azzurri Paolo Cannavaro e Gianluca Grava, ma anche l’ex portiere Matteo Gianello, che confessando ai pm partenopei il tentativo di alterare (su pressione dell’ex giocatore del Chievo Silvio Giusti) la gara Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010 inaugurò di fatto l’inchiesta napoletana. Annunciando, anche, di aver proposto la combine ai due compagni, che pur opponendo «secco rifiuto», dovranno difendersi dall’accusa di omessa denuncia. Inevitabile il doppio rinvio a giudizio per responsabilità oggettiva anche del Napoli. Uno tsunami, cui si aggiunge al culmine di una giornata da dimenticare, la sanzione Uefa con multa di 150 mila euro a causa delle condizioni del San Paolo, e la minaccia di chiudere alcuni settori dello stadio già dal prossimo match europeo, l’8 novembre contro il Dnipro, se non verranno fatti lavori di adeguamento per tempo.

Ma a scurire l’orizzonte è soprattutto il processo al calcio scommesse: 30-40 giorni per un procedimento che rischia di pesare anche sulla corsa al titolo. Il Napoli, a causa del tentato illecito del suo ex giocatore, rischia una penalizzazione in classifica fino a 3 punti (tanti ne chiederà Palazzi). «Nessun patteggiamento verrà preso in considerazione», annuncia l’avvocato della società, Grassani: scartata dunque l’ipotesi che in estate consentì alla Samp, patteggiando per l’illecito di Guberti, di cavarsela con la sanzione di un solo punto. Cannavaro e Grava rischiano invece almeno 6 mesi di stop, minimo edittale riconosciuto sin qui dal giudice Artico. Tra i deferiti non compare Fabio Quagliarella. Lo stesso Gianello confidò al poliziotto-amico Gaetano Vittoria di aver tentato invano di coinvolgere l’ex azzurro ora alla Juve. Un contatto che però Palazzi giudica «non chiaro e perentorio per l’alterazione del risultato come per gli altri due calciatori, tanto da riferirsi a un momento successivo alla gara». Le prime conseguenze, forse, del flop estivo delle accuse a Bonucci e Pepe, Di Vaio e Portanova. Meglio, devono aver pensato in via Po, evitare ulteriori figuracce. Il prossimo passo di Palazzi, i deferimenti di Mauri, Lazio e Genoa: «Entro Natale», forse decisamente prima.

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La Procura federale sul tentativo di combine del portiere: Samp-Napoli del 2010

Il club deferito per Gianello

ora rischia da uno a tre punti

“Che beffa, ci difenderemo”

Processo sportivo anche per Cannavaro e Grava, accusati di omessa denuncia: potrebbero essere squalificati. Archiviata la posizione di Quagliarella

di DARIO DEL PORTO (la Repubblica - Napoli 27-10-2012)

L’INCHIESTA della Procura si era chiusa alla fine di maggio, con l’avviso di garanzia a Matteo Gianello per il presunto tentativo di “combine” di Sampdoria-Napoli (1-0), ultima del campionato 2009-2010. L’indagine della giustizia sportiva è giunta invece a conclusione solo ieri, a stagione calcistica iniziata da un pezzo, con l’esito più temuto dai tifosi del Napoli eppure ampiamente annunciato: il deferimento disposto dal procuratore federale Stefano Palazzi non solo di Gianello, ex terzo portiere, che ha confessato in sede penale e sportiva di aver proposto un “aggiustamento” dell’incontro, ma anche del club per responsabilità oggettiva, e di due calciatori per omessa denuncia: il capitano Paolo Cannavaro e la “bandiera” Gianluca Grava, che secondo il racconto di Gianello avrebbero seccamente rifiutato l’offerta di pilotare la gara, non sono mai stati indagati dalla giustizia penale ma dovranno ora essere giudicati in sede sportiva. Il procuratore federale non ha deferito invece Fabio Quagliarella, ritenendo che il presunto contatto tra Gianello e l’attaccante stabiese (oggi alla Juventus) non fosse «altrettanto chiaro e perentorio come per gli altri due calciatori».

Comincia adesso, dunque, una partita che rischia di incidere pesantemente sulla squadra. La posizione più chiara è quella di Gianello: l’atleta di Bovolone, attualmente svincolato, ha confessato e si prepara a patteggiare. Se la caverà con una brevissima squalifica. Tutt’altro discorso invece per il Napoli, che rischia alcuni punti di penalizzazione, presumibilmente da uno a tre, e i suoi due giocatori, che rischiano una squalifica fino a sei mesi. Sanzioni che, se comminate, si sconterebbero durante il campionato in corso. Tutto ruota attorno alla credibilità del racconto di Gianello. In sede penale, il pool della Procura (pm Antonello Ardituro, Stefano Capuano, Danilo De Simone, Vincenzo Ranieri con il procuratore aggiunto Giovanni Melillo) ha contestato l’ipotesi di frode solo nei confronti dell’ex portiere, e dell’ex calciatore del Chievo Silvio Giusti (anche lui ora deferito) e solo per Sampdoria-Napoli, chiedendo invece l’archiviazione, poi accolta dal giudice, per le altre gare finite sotto inchiesta: Napoli-Parma 2-3 del 10 aprile 2010, (quella con il boss Antonio Lo Russo a bordo campo) Lecce-Napoli 2-1 e Brescia- Catania 1-2 dell’8 maggio 2011, Napoli-Inter 1-1 e Catania-Roma 21 del 15 maggio 2011 e Palermo- Chievo 1-3 del 22 maggio 2011.

Cannavaro e Grava hanno sempre contestato energicamente la ricostruzione dell’ex compagno di squadra, negando di aver ricevuto proposte di “combine”, neppure in tono scherzoso. Entrambi hanno anche querelato Gianello e la loro difesa non prende in alcuna considerazione l’ipotesi di un patteggiamento. Afferma l’avvocato Ruggero Malagnini, legale di Cannavaro: «Gianello ha detto cose non vere, ha fatto dei nomi, poi ha detto che scherzava. Questo atteggiamento non è credibile». La società è deferita per responsabilità oggettiva sia con riferimento alla presunta omessa denuncia di Cannavaro e Grava, sia per l’illecito ammesso da Gianello. Nel primo caso, un’eventuale sanzione potrebbe limitarsi a un’ammenda. Nel secondo, invece, il rischio è la penalizzazione. Anche il Napoli non sembra avere alcuna intenzione di patteggiare. «Questo deferimento è una beffa, siano infastiditi e sdegnati, ma anche decisi a far valere le ragioni del club», commenta l’avvocato Mattia Grassani, legale del Napoli. E aggiunge: «Sono contestazioni pesanti, serie e anche gravi, di conseguenza pericolose per il Napoli. Di sicuro, non staremo a guardare e reagiremo», forse anche con una richiesta di risarcimento del danno contro Gianello. Se la commissione disciplinare dovesse ritenere «fattiva» la collaborazione dell’ex terzo portiere, la penalizzazione del Napoli potrebbe limitarsi a un solo punto. Ma la Procura federale potrebbe chiedere fino a tre punti. Sarà una partita in tre tempi: commissione disciplinare, corte di giustizia, Tnas. Entro un mese l’inizio del processo.

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“Ti pare che mi può

bastare lo stipendio?”

Gianello inguaia Napoli

Il club a processo per la sfida con la Sampdoria del 2010

DEFERITO CANNAVARO Il difensore rischia fino a 6 mesi per omessa denuncia, la società 2 punti in meno

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 27-10-2012)

Il portiere che manda a processo il Napoli, oggi, è senza lavoro, ma all’epoca dei fatti era la riserva della riserva della truppa Mazzarri. Matteo Gianello, secondo la procura della Federcalcio, provò a corrompere Paolo Cannavaro e Gianluca Grava, su mandato dell’amico Silvio Giusti e con l’obiettivo di truccare la sfida del 16 maggio del 2010 fra i partenopei e la Sampdoria a Marassi.

Gianello, ieri, è stato deferito per illecito sportivo, Paolo Cannavaro e il compagno di difesa Grava per non aver denunciato la proposta indecente e il Napoli per responsabilità oggettiva per entrambe le accuse: entro novembre verrà celebrato il processo di primo grado davanti ai giudici della

Disciplinare e il pm del pallone Stefano Palazzi potrebbe richiedere due punti di penalizzazione per il club e una squalifica fino a sei mesi per i due giocatori ancora in attività. Napoli trema, aspetta e legge le carte di un processo sportivo che nasce da una confidenza, quella che il terzo portiere dell’epoca fece ad un poliziotto amico. «Qualche giorno prima della partita di Genova, ultima partita di campionato, eravamo insieme in un bar e - racconta il 6 ottobre di due anni fa Gaetano Vittoria, agli inquirenti della procura della Repubblica di Napoli - Gianello si offrì di pagare la consumazione anche per me. Alle mie rimostranze (“Matteo paghi sempre tu e non è giusto, anche se il mio stipendio non è come il tuo”), Gianello mi disse che voleva festeggiare, mi prese da parte e, prima con grande circospezione, poi con maggiori particolari, mi fece il seguente racconto: Gaetano, mi disse, ma davvero credi che mi possa bastare il mio stipendio? Ho appena comprato una casa a mia madre ed un’altra a mia fratello e, ora, devo comprarne una per me. E, dopo questa premessa, mi confidò che da tempo era in contatto con gente di su in grado di conoscere anzitempo i risultati delle partite. Mi disse anche che le scommesse sugli incontri - così il poliziotto della Squadra Mobile ai pm - secondo lui avvengono a Londra in modo da sfuggire ai controlli...». Gianello, prima ai magistrati e, poi, agli uomini di Palazzi, ha confermato tutto quanto svelato dall’amico poliziotto precisando come «mi rivolsi a Cannavaro e Grava e come questi mi diedero immediatamente e con estrema decisione una risposta negativa. Anzi, dall’espressione del loro volto così l’ex portiere nel suo verbale - compresi che erano visibilmente risentiti per la proposta ricevuta. Non ricordo con precisione la somma messa a disposizione da Giusti, ma sicuramente si trattava di decine di migliaia di euro per ogni giocatore che fosse stato disponibile...».

Cannavaro e Grava, adesso, rischiano lo stop. Entrambi hanno negato alcun tipo di contatto con Gianello prima della sfida con la Sampdoria ed entrambi hanno querelato l’ex compagno. La partita di Marassi, per gli inquirenti, non fu truccata (vinse la Sampdoria per 1 a 0): il Napoli si sente parte lesa, il patteggiamento, annunciato, di Gianello, potrebbe alleggerirne la posizione.

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Napoli, odore di guai

Club e giocatori deferiti per calcioscommesse

Il match con la Sampdoria e la sospetta combine. Processo a Grava,

Cannavaro e Gianello. Società a rischio penalizzazione: da 1 a 3 punti

di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 27-10-2012)

ERA UN’INCHIESTA FIGLIA DELLA LENTEZZA, CON I DEFERIMENTI EMESSI IERI DALLA PROCURA FEDERALE IL FILONE NAPOLETANO DI SCOMMESSOPOLI ORA PORTA NOMI E COGNOMI. Tutto secondo previsioni: Paolo Cannavaro e Gianluca Grava deferiti per omessa denuncia, l’ex portiere Matteo Gianello nelle vesti di “pentito” per l’illecito in Sampdoria-Napoli 1-0 del 16 maggio 2010. Ma soprattutto il Napoli, rinviato a giudizio per responsabilità oggettiva con un rischio di penalizzazione che varia da 1 a 3 punti. «Eravamo convinti dell’archiviazione - ha detto a Sky l’avvocato del Napoli, Mattia Grassani - ma si vede che Palazzi la pensa diversamente. Cannavaro e Grava hanno già querelato Gianello, che li ha infamati, quindi la nostra linea difensiva è già chiara». Lontana al momento l’ipotesi del patteggiamento, per i due giocatori il rischio è «una sanzione dai 6 mesi più un ammenda di 30mila euro. Cosa rischia il Napoli? Il problema - aggiunge Grassani - sarà se verranno confermate le diffamazioni di Gianello, ma noi riteniamo di non aver mai ricevuto certe sollecitazioni. Andiamo avanti e speriamo bene».

I fatti sono noti, da quando l’agente di polizia e confidente di Gianello, Gaetano Vittoria, rivelò alla magistratura i “segreti” dell’ex terzo portiere azzurro relativi a quel match. Messo alle strette dai pm, Gianello ammise il tentato malaffare perché «pressato dalla “gente del nord”». Silvio Giusti, Michele e Federico Cossato, Gianfranco Parlato. Tutti volti conosciuti dell’inchiesta cremonese, referenti che raccoglievano informazioni su risultati ritenuti sicuri.

Sampdoria-Napoli era uno di questi, ultima giornata di campionato, ai blucerchiati servivano i tre punti per andare in Champions. Dall’ordinanza sportiva, emerge quindi la terza banda da affiancare agli “zingari” e ai “singaporiani”: la banda del Nord. Avevano canali avanzati come il servizio di messatggistica WhatsApp, e frasi criptiche come «l’incrocio» (inteso per «pareggio»), e per scommettere si chiedeva la prenotazione di un albergo le cui «stelle» stavano ad indicare l’entità della giocata. E ancora «feste per indicare gare sulle quali scommettere o età di donne per il risultato». Oltre a Sampdoria-Napoli, il deferimento è scattato per Portogruaro-Crotone 2-3 del 2010 (deferiti per illecito Claudio Furlan, David Dei e l’allora tecnico Andrea Agostinelli), ma ci sono una sfilza di altre partite archiviate dall’indagine penale.

Tornando al Napoli, di mezzo rischiava di finirci anche Fabio Quagliarella, che Gianello e Giusti prendono in giro al telefono parlando del premio per la dodicesima rete che l’attuale juventino non segnerà mai. «Voglio specificare che io - dice Gianello in procura federale - ho contattato solo Paolo Cannavaro e Grava. Non ho mai invece rivolto alcuna richiesta o sfottò a Quagliarella in relazione a tali fatti».

Più che le parole di Gianello, la Procura federale ritiene che il contatto «non è altrettanto chiaro e perentorio come per gli altri due calciatori, tanto da riferirsi a un momento successivo alla gara e non procedente». Nel loro interrogatorio, sia Grava che Cannavaro ripetono invece la stessa storia: «Non escludo che durante la settimana Gianello possa aver fatto a me e ad altri miei compagni battute circa il fatto che “eravamo già in vacanza”, ma intendo precisare che a considerazioni del genere non avrei dato alcuna importanza vista la serietà che mi contraddistingue».

La scorsa estate venne ascoltato anche Walter Mazzarri: «Preparai la gara in modo ancora più attento proprio perché avevamo già acquisito il risultato finale in classifica», le parole del tecnico. «Grava mi ha detto che gli avete chiesto di Sampdoria-Napoli, gara che secondo meè al di sopra di ogni sospetto - dice invece il portiere partenopeo Morgan De Sanctis in un’audizione segretissima al Parco dei Principi -ma posso solo dire che Cannavaro e Grava non mi hanno mai riferito di aver avuto una simile proposta». Entro una quindicina di giorni la commissione Disciplinare dovrebbe fissare una data, il processo potrebbe svolgersi a ridosso della pausa invernale di dicembre. Per il Napoli non una gran giornata, visto che dopo il deferimento ha bussato alla porta anche Nyon, da dove la Commissione Disciplinare della Uefa ha inflitto al club di De Laurentiis una multa di 150mila euro per inadempienze riguardanti lo stadio San Paolo, decidendo anche la chiusura di alcuni settori nel caso non vengano effettuati lavori tempestivi.

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SCOMMESSOPOLI

I sogni scudetto del Napoli finiscono in aula

Deferiti Cannavaro e Grava: rischiano 4 mesi di squalifica. Per la società in arrivo una penalizzazione

di GIAMPIERO DE CHIARA (Libero 27-10-2012)

Quattro mesi di squalifica per Cannavaro e Grava per omessa denuncia e un punto, o al massimo due, di penalizzazione per il Napoli da scontare in questo campionato. Questo è quello che rischiano (alla luce dei precedenti casi legati alle scommesse clandestine) i due calciatori e la società partenopea, dopo i deferimenti annunciati ieri dalla procura federale delle Federcalcio. La sentenza dovrebbe arrivare a fine novembre.

DEFERIMENTI ANNUNCIATI

Il procuratore federale Stefano Palazzi aveva annunciato il coinvolgimento dei campani la scorsa settimana e, puntualmente, sono arrivati i deferimenti. Le accuse di illecito sportivo (Napoli coinvolto per responsabilità oggettiva), tentato da un ex tesserato azzurro (Gianello) e di omessa denuncia della possibile frode (per Cannavaro e Grava), riguardano la gara Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010. Partita vinta dai blucerchiati per 1 a 0, con un gol di Pazzini. Ed è proprio la testimonianza di Matteo Gianello (terzo portiere nella gestione tecnica di Reja e nel primo anno di Mazzarri) a «inguaiare» la società partenopea e i due ex compagni di squadra. Le sue dichiarazioni, rese un anno e mezzo fa alla procura di Napoli nell’ambito dell’inchiesta sul calcioscommesse, sono l’asse portante ora dell’accusa della procura della Federcalcio. Gianello ha raccontato che sperava di coinvolgere i suoi ex compagni in una «combine». All’ex portiere è sempre piaciuto scommettere. Voleva puntare dei soldi sulla sfida tra la Sampdoria e la sua squadra. L’illecito non si realizzò, ma l’omessa denuncia (Gianello chiese aiuto, «ma i miei compagni si rifiutarono») è comunque un reato per la giustizia sportiva. Le richieste dell’accusa sono, per Cannavaro e Grava, una squalifica e, per il Napoli, una penalizzazione di punti nella classifica di campionato di quest’anno.

Nella città partenopea i tifosi sono preoccupati, ma non troppo. Il loro pensiero è concentrato sulla debacle in Europa League, giovedì sera in Ucraina, e sulla prossima sfida di campionato al San Paolo, domenica sera nel posticipo contro il Chievo. La notizia dei deferimenti, infatti, è stata accolta senza sorpresa. Però è subito partito il toto-condanne. «Per le omesse denunce, come per il caso Conte, è prevista una pena di quattro mesi», spiega Eduardo Chiacchio, legale difensore di Matteo Gianello. L’avvocato tira fuori anche il precedente giudiziario per far capire cosa rischia il Napoli: «Analizzando i casi precedenti, ad esempio quello del Benevento, si potrebbe pensare ad una penalizzazione di un solo punto». Seriamente preoccupato, invece, è Mattia Grassani, l’avvocato della società di De Laurentiis. «Tra i vari scenari che ci eravamo prefigurati si è verificato il peggiore. Sono contestazioni assolutamente pesanti, serie e anche gravi, di conseguenza pericolose per il Napoli». Più ottimista il legale di Cannavaro e Grava, Ruggero Malagnini. «I miei assistiti hanno già querelato Gianello. Entrambi si ritengono estranei ai fatti. L’assunzione di responsabilità è da escludere», precisa puntigliosamente. Anche se poi il patteggiamento non viene escluso: «Potrebbero sussistere i presupposti per chiederlo e non sarebbe assolutamente un’ammissione di colpa, ma piuttosto un modo per evitare il processo». A spiegare bene il perché il Napoli rischia così pochi punti di penalizzazione, rispetto per esempio all’Atalanta che ne avuti sei, è l’esperto di diritto sportivo Paco D’Onofrio: «Si sta parlando di un illecito che poi non si è concretizzato. Una situazione ben diversa da quella di altre società che sono state coinvolte in illeciti messi in pratica».

LA MULTA DELLA UEFA

E le brutte notizie per il Napoli non sono finite. Sempre ieri la commissione disciplinare dell’Uefa ha inflitto 150 mila euro di multa al club di De Laurentiis, per inadempienze («organizzazione inadeguata »), dello stadio San Paolo. Il controllo ha portato alla proibizione di vendita dei biglietti per la prossima partita di Europa League, in programma l’8 novembre, di 13 settori, compreso quello riservato ai disabili. E se la commissione dovesse valutare insoddisfacenti i lavori di ristrutturazione, da eseguire entro il 6 novembre, potrebbe decidere di impedire lo svolgimento delle partite europee al San Paolo.

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Presunta combine nella partita con la Samp: a processo per omessa

denuncia Cannavaro e Grava che rischiano fino a sei mesi di stop

Calcioscommese Il Napoli deferito

rischia due punti di penalizzazione

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 27-10-2012)

E’ L’ENNESIMA brutta storia di scommesse e avidità ad inguaiare l’ex terzo portiere del Napoli, Matteo Gianello, deferito per illecito sportivo relativo a Samp-Napoli del maggio 2010. Con lui, andranno a processo Paolo Cannavaro foto) e Gianluca Grava, accusati di omessa denuncia. Il Napoli è stato deferito per responsabilità oggettiva e dovrà rispondere delle imputazioni ai tre tesserati. Gianello, reo confesso, probabilmente patteggerà la pena e avrà uno sconto per la collaborazione (il processo entro un mese). Grava e Cannavaro rischiano fino a sei mesi di stop, mentre per il Napoli il procuratore Palazzi chiederà almeno due punti di penalizzazione.

«Gaetano, vuoi proprio sapere come vanno le cose? Davvero credi che mi possa bastare il mio stipendio? Ho appena comprato una casa a mia madre e mio fratello e ora devo comprarne una per me..». Così Matteo Gianello si confida con l’amico poliziotto della squadra mobile, gruppo Tifosi, Giochi e Scommesse, Gaetano Vittoria che poi lo denuncerà. Gianello gli racconta che è in contatto con «‘gente di su’ in grado di conoscere anzitempo i risultati delle partite, per averne alterato l’esito... » e che questo avviene a volte: «per accordo diretto dei dirigenti dei club, i quali pattuirebbero i risultati degli incontri già all’atto del trasferimento dei giocatori, come una sorta di parziale contropartita..». Le scommesse «avvengono a Londra, in modo da sfuggire ai controlli» dei Monopoli di Stato. Gianello nel suo interrogatorio ha raccontato ai magistrati che «Cannavaro e Grava diedero immediatamente e con estrema decisione una risposta negativa, dall’espressione del loto volto compresi che erano visibilmente risentiti per la proposta ricevuta», ma non denunciarono il fatto e per questo saranno processati per omessa denuncia.

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Gianello inguaia il Napoli

Cannavaro e Grava deferiti da Palazzi

Il club rischia fino a 3 punti di penalità

Il portiere li aveva cercati per truccare la gara con la Samp.

L’avvocato Grassani: «Credevo nell’archiviazione»

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 27-10-2012)

ROMA. «Io ho contattato soltanto Cannavaro e Grava ». Sette parole ripetute da Matteo Gianello alla procura federale il 16 luglio e che ieri hanno portato il pm federale Stefano Palazzi ai deferimenti del filone napoletano. Tutto secondo previsioni: Paolo Cannavaro e Gianluca Grava rinviati a giudizio per omessa denuncia, il Napoli per responsabilità oggettiva e un rischio che varia da 1 a 3 punti di penalizzazione. Tutto per il tentato illecito del suo ex portiere Gianello (per lui illecito e rischio di 3 anni e mezzo di stop, con possibilità di patteggiare) nella gara Sampdoria-Napoli 1-0 del 16 maggio 2010. «Eravamo convinti dell’archiviazione - ha detto a Sky l’avvocato del Napoli, Mattia Grassani - ma si vede che Palazzi la pensa diversamente. Cannavaro e Grava hanno già querelato Gianello, che li ha infamati, quindi la nostra linea difensiva è già chiara». Chissà, forse il legale avrà un altro coniglio dal cilindro dopo aver salvato il Grosseto dalla retrocessione. Dunque il club di De Laurentiis sembra intenzionato a restare al fianco dei suoi due giocatori, che rischiano almeno 6 mesi di stop. In tre gradi di giudizio tutto è possibile e al Tnas il caso- Portanova insegna che lo sconto è dietro l’angolo.

BANDA Dalle 132 pagine del deferimento notificato ieri emerge l’esistenza di una vera “banda del Nord”: Silvio Giusti , ma anche Parlato e i fratelli Cossato . Pressavano i giocatori, dialogavano su wazzup e usavano frasi criptiche come «l’incrocio» (pareggio) o «stelle» (entità della giocata), oppure «feste per indicare gare sulle quali scommettere o età di donne per il risultato». Il deferimento di ieri riguarda anche la gara Portogruaro-Crotone 2-3 del 2010 (deferiti per illecito Furlan , Dei e Agostinelli ), ma c’è una sfilza di altre partite archiviate dall’indagine penale. Tra cui strappa la risata un’intercettazione tra Giusti e Gianello prima di Catania-Cagliari: «Ho conosciuto due fighe di Catania - dice Gianello al telefono - una di 21 e l’altra di 31...». La risposta di Giusti: «Quella di 31, sai che mi piacciono un po’ più mature». Un’inchiesta, quella sportiva, conclusa già a luglio con diversi interrogatori in via Po.

DIFESA A Cannavaro e Grava non è bastato ripetere all’unanimità: «Non escludo che durante la settimana Gianello possa aver fatto a me e ad altri miei compagni battute circa il fatto che “eravamo già in vacanza”, ma a considerazioni del genere non avrei dato alcuna importanza vista la serietà che mi contraddistingue». Mentre Walter Mazzarri allontanò ogni sospetto dicendo: «Preparai la gara in modo ancora più attento proprio perché avevamo già acquisito il risultato finale in classifica». In bilico c’era invece Fabio Quagliarella , a causa di un’intercettazione in cui Gianello e Giusti lo sfottono per non aver raggiunto il premio per il 12° gol: «Non ho mai rivolto alcuna richiesta o sfottò a Quagliarella in relazione a tali fatti», ha detto Gianello a Palazzi. Ma il procuratore federale comunque ribadisce come il fatto «non è altrettanto chiaro e perentorio come per gli altri due calciatori, tanto da riferirsi a un momento successivo alla gara e non precedente». Entro quindici giorni verrà fissata la data del processo, che dovrebbe svolgersi a dicembre.

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DAMIANO TOMMASI

«Sfruttati, raccomandati

e soli: i calciatori sono così»

«La gente li considera robot ma sono essere umani. Il sindacato è la loro tutela»

di GABRIELLA GREISON (Pubblico 27-10-2012)

Sono pochi quelli che guardano fuori. Nel calcio, è difficile trovarli. Non ne hanno voglia, oppure non gli interessa. Ma uno come Damiano Tommasi, non solo è capace, è pure educato nel farlo. Per questo è stato scelto per succedere a Sergio Campana alla guida dell’Assocalciatori. Dopo 16 anni da giocatore tra Verona, Roma, la Spagna e la Cina, ora le sue giornate le passa dietro una scrivania, e parla solo di lavoro. Perché anche quello del calciatore è un lavoro, e lui è lì a difendere la categoria. «Perché il calcio non è solo gioco e passione, è anche una professione, seria, che ha bisogno come le altre di essere tutelata e rispettata».

Dunque, come bisogna inquadrare il lavoro di un calciatore?

C’è la Legge 91 che lo regolamenta. Ogni federazione sportiva inquadra i propri lavoratori, con regolamenti indipendenti. Quella del calciatore è un’attività professionistica, se si tiene in considerazione la serie A, la serie B, fino alla Lega Pro. Altrimenti, vengono chiamati dilettanti. I contratti dei calciatori professionisti sono tutti a tempo determinato, e non possono essere superiori a 5 anni. Ma lo stipendio del calciatore è determinato da tanti fattori.

Parliamo dell’articolo 18 e articolo 8: esiste il licenziamento di un calciatore?

È difficile parlare di questi articoli, nel mio settore. Perché, per quel che riguarda l’articolo 8, non ci sono deroghe ai contratti dei calciatori: voglio dire, non esistono contratti diversi, da quelli nazionali, e che valgono per tutti; una società non può imporre un tipo diverso di contratto a questo o a quel calciatore. E non esiste neanche il licenziamento. Anche se qualcuno vorrebbe introdurlo.

Ma voi, come Aic, quale battaglia cavalcate?

Noi vogliamo tutelare il calciatore, come lavoratore. Poi, da una parte ci sono le società, che tirano da una parte, e dall’altra gli agenti o i procuratori. A questo proposito, è necessario capire meglio le trattative e le tassazioni dello stipendio di un calciatore, come avvengono. La tassazione è diversa, a seconda di quanto vale un giocatore, e la sostituta d’imposta viene trattenuta alla fonte: insomma, dipende da quanto uno guadagna.

Qual è lo stipendio minimo per un calciatore professionista?

Lo stipendio minimo è 20 o 25 mila euro all’anno. Nella Lega Pro, ci sono ragazzi che giocano quasi tutti su queste cifre. È il minimo contrattuale. Mentre nelle categorie inferiori, tutto è diverso. Nella categoria dilettanti ci sono milioni di giovani che giocano a calcio per passione e divertimento.

Cosa fa il sindacato da lei presieduto?

Tiene d’occhio, e protegge, i calciatori: perché innanzitutto sono essere umani, anche se molte volte vengono visti come robot o semplici oggetti di scambio. Dopo la Legge 91, di cui ho già detto,un altro passo importante nel nostro settore è arrivato nell’88 e successivamente nel 2003, portando all’attuale struttura del calcio italiano con 132 squadre professionistiche suddivise in serie A, B, e Lega Pro 1ª divisione, e Lega Pro 2ª divisione. Attualmente quasi tremila calciatori professionisti sono riconosciuti dalla legge come veri e propri lavoratori subordinati e possono vantare moltissime tutele grazie al sindacato dell’Aic.

Quali sono le recenti conquiste del suo sindacato?

La conquista più recente, è il fondo pensione: cioè una parte di stipendio viene messo da parte, per averne in futuro, visto che il lavoro del calciatore ha un tempo di vita molto breve, rispetto a tutti gli altri lavoratori.

Esistono situazioni di precariato, o di stage, o di praticantato, nel calcio?

Sì, esistono. In Lega Pro, ne esistono tanti, purtroppo di casi come questi. Ma la nostra associazione cerca di modificare il regolamento attuale, affinché queste situazioni vadano diminuendo. Il fatto è che c’è una tegola, contro cui ci scontriamo: l’obbligo di far scendere in campo un certo numero di giocatori giovani: perché costano meno, e perché fanno guadagnare di più le società. E così, entrano in campo dei giocatori solo perché hanno l’età giusta, ma questo non corrisponde ai reali meriti. Quindi, non gioca chi merita, ma chi conviene che entri in campo. Per ora, è quasi un obbligomaspero di contribuire al cambiamento di questo che possiamo chiamare sfruttamento.

E le raccomandazioni, esistono?

Certo, e si vedono pure! Sono sotto gli occhi di tutti, e quando un giocatore è raccomandato, anche in serie A o in Nazionale, al massimo può arrivare allo spogliatoio: poi, però, è il campo a decidere. E da lì non si scappa. Perché se uno è scarso, si vede. Il campo non dice mai bugie.

Lei ha sostituito Sergio Campana, che ha deciso nel maggio del 2011 di lasciare il posto ad un giovane. È un gesto che passa per essere rivoluzionario, in un mondo dove nessuno lascia la poltrona ad una faccia nuova. Soprattutto nel calcio.

È stato un grande gesto. E spero di avere la possibilità di dimostrare qualcosa con il mio lavoro. Dall’estate scorsa, sono stato rieletto, perché Campana aveva lasciato prima che finisse il suo mandato, e quindi ho davanti un quadriennio intenso. Ma non mi spaventa il lavoro, sono uno che se c’è da rimboccarsi le maniche, è il primo. Mi piacerebbe che quello che è successo a me, fosse da esempio per molti altri: c’è la necessità di un rinnovamento, e di aver più coraggio per puntare sui giovani: sono molto meno sprovveduti di quello che si vuol far credere.

Dunque, concludendo: si sente di avere un ruolo importante nel calcio?

Sì, posso essere d’aiuto a tanti ragazzi che non sanno nemmeno che esiste una normativa che li tuteli. Poi, nel calcio, non bisogna dimenticare che ci sono anche grandi persone, che grazie alla notorietà che solo il nostro sport sa dare, riescono a cambiare le cose. Basti pensare a quelli che si sono buttati in politica: l’ultimo è stato Kaladze, vicepremier in Georgia, prima di lui: Weah, Shevchenko, Rivera.

Alla domanda sul perché, i calciatori entrati in politica hanno indossato tutti la maglia del Milan, Damiano Tommasi risponde: «Mah». Mah.

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Calcioscommesse, il silenzio di

Cannavaro: stizzito ma sereno

La squadra difende il capitano e Grava, deferiti

per la proposta di combine avanzata da Gianello

Il procuratore Fedele: «Il processo dimostrerà che Paolo non c’entra. Mai contattato dal portiere»

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 28-10-2012)

Paolo Cannavaro è sempre lo stesso, ha il tono felpato quando parla con i compagni di squadra e si stiracchia spesso e volentieri fingendo quasi sempre distacco. Ma da venerdì pomeriggio non è più tanto sorridente. L’occhio segue ogni movimento di chi gli sta intorno, la mente intercetta ogni parola, la memoria archivia tutto. La vicenda del deferimento non gli è andata giù. Ha letto ogni giornale, ha ascoltato ogni notiziario sportivo. Al capitano del Napoli non piace l’idea che gli 007 federali del superprocuratore Palazzi non gli abbiano creduto. Che, quel pomeriggio del 6 luglio in cui si è presentato per l’audizione nell’ufficio di via Po rivendicando la sua totale estraneità alla ricostruzione dei fatti resa dal «pentito» Matteo Gianello. «Non mi ha mai detto nulla, non l’ho mai sentito propormi di truccare Sampdoria—Napoli, neppure per scherzo».

Nulla da fare. Era convinto, Cannavaro junior, che guardandolo negli occhi, ascoltando la sua versione, gli uomini della Procura federale avrebbe deciso di archiviare la sua posizione. «Se l’avessi sentito dire quella frase, l’avrei denunciato». Gianello, lo scommettitore, va creduto. Più del capitano azzurro. No, Paolo Cannavaro non vive ore da sorriso stampato in faccia. Lui che del Napoli è il capitano ma anche il simbolo della squadra. Il ragazzo della Loggetta tornato a indossare la maglia azzurra in serie B, lasciando il Parma e il posto da titolare. Il leader della riscossa. Ed è per questo che per Paolo la partita di questa sera ha un valore ancor più importante per il difensore: l’anima del Napoli indosserà la fascia nella serata più significativa. A testa alta. Così come ha fatto anche Gigi Buffon, dopo essere stato travolto dalla polemiche prima della partenza per gli Europei in Ucraina e Polonia. Lo hanno chiamato in tanti, in queste ore, per dargli conforto, per dirgli di non prendersela perché tanto il deferimento è una formalità e non avrà nulla da temere in fase di dibattimento in Disciplinare. Ma la mannaia della squalifica che incombe gli dà enorme fastidio. Ci pensa l’inseparabile compagno Sasà Aronica a regalargli una smorfia, un sorriso. Il gruppo è compatto e dinnanzi ai deferimenti di Grava e Cannavaro diventa di cemento armato. Il manager dei due difensori, Gaetano Fedele descrive «Gianluca e Paolo molto stizziti ma sereni perché la giustizia sportiva ristabilirà la verità».

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Il caso La decisione dopo la multa di 150 mila euro inflitta al club

Disordini sugli spalti:

arrivano agenti in borghese

Stasera in curva steward «assistiti» da poliziotti

di MONICA SCOZZAFAVA (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 28-10-2012)

NAPOLI - La stangata della commissione Uefa, centocinquantamila euro di multa, per la condotta non regolamentare dei tifosi del Napoli in occasione della prima gara casalinga di Europa league contro l’Aik, ha sollecitato il questore Luigi Merolla a chiedere maggiore presenza di steward sugli spalti anche durante le gare di campionato. Nel consueto tavolo tecnico di ieri mattina, il club ha convenuto - in ossequianza del decreto Pisanu - sulla necessità di controlli più incisivi soprattutto nelle due curve. La multa, pesante, inflitta al calcio Napoli è scaturita dal lancio di fumogeni e da disordini nell’occupazione di scale ed ingressi vietati proprio in quei settori. Le intemperanze dei tifosi delle curve, però, non possono essere tenute a bada solo dagli steward. Ragazzi preparati a questo tipo di compito con un corso di formazione,ma che non possono essere un deterrente efficace contro atteggiamenti a volte eccessivamente inappropriati. Più opportuna, invece, la presenza di personale specializzato. Il questore Merolla ha così garantito a partire dalla gara di stasera contro il Chievo la presenza sugli spalti più «disordinati » di agenti della Digos in borghese, così da supportare il lavoro degli steward.

L’Uefa ha anche imposto lavori urgenti in alcuni settori del San Paolo (fatiscenti) pena l’impraticabilità degli stessi per la prossima gara casalinga di Europa League contro il Dnipro. Tra le pene accessorie, da Nyon arrivano input poco incoraggianti: gara a porte chiuse ed il divieto di vendita dei tagliandi se i lavori di messa in sicurezza non saranno ultimati entro il sei di novembre, cioè due giorni primna della gara contro gli ucraini.

La società ha dato immediatamente avvio ai lavori, che in realtà spetterebbero al Comune. Anzi si è irritata con i vertici di Palazzo San Giacomo perchè si tratta di interventi che dovevano essere stati già effettuati. Sicuramente l’allarme Uefa rientrerà nei tempi previsti.

Quanto, invece, alla disposizione del questore di affidare agli steward e ai poliziotti il controllo più incisvo di particolari settori dello stadio, c’è da registrare la polemica delle associazioni sindacali di polizia. Il Coisp in una nota, sottolinea: «La polizia non è un tampone alle emergenze».

___

Il caso Dopo il diktat dell’Uefa che ha multato il club azzurro e disposto la chiusura di 12 settori per il Dnipro

Per il San Paolo pronti 130mila euro

Il Comune: «Ci sono i fondi per realizzare i lavori, sarà tutto ok l’8 novembre»

Il contratto L’assessore Tommasielli «Scaleremo questa cifra dal credito vantato con il Napoli»

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 28-10-2012)

I lavori di queste ore non trasformeranno il San Paolo in uno stadio-gioiello ma serviranno a togliere da dosso all’impianto di Fuorigrotta la mannaia della chiusura minacciata dalla Uefa. «Conosciamo da diversi giorni le loro prescrizioni. Non abbiamo mai perso tempo. Né lo stiamo facendo adesso». L’assessore comunale Pina Tommasielli assicura, intanto, che non ci sono rischi per gli spettatori allo stadio. Guai, dunque, a parlare di operazione sicurezza. «Altrimenti io e il sindaco avremmo chiuso l’impianto senza preoccuparci delle conseguenze per il Napoli. Perché la salute delle persone viene prima di ogni altra cosa: il San Paolo è uno stadio sicuro».

Il San Paolo è alle prese con problemi cronici: appena tre mesi fa, a metà luglio, era stata la Prefettura a prescrivere urgenti lavori per la sicurezza dell’impianto. Mancavano pochi giorni all’amichevole col Bayer Leverkusen e si scoprì che mancavano il collaudo per la staticità e un sistema anti-incendio certificato. Un intervento in extremis evitò l’annullamento della partita.

Da due giorni gli operai della ditta scelta dall’amministrazione comunale e dal club sono al lavoro per la rimozione degli intonaci pericolanti e per la sistemazione dei bagni chimici. Non deve essere stato un bel report quello degli ispettori Uefa sul San Paolo. «Non abbiamo mai preso sotto gamba le loro relazioni, anche lo scorso anno per ospitare la Champions, il Comune è dovuto intervenire per sistemare le aree della struttura non in linea con le direttive europee. Noi non ci siamo mai tirati indietro e non lo stiamo facendo neanche adesso».

Le opere non sono in ritardo. Pochi giorni, assicura la responsabile allo sport della giunta de Magistris, e il Comune invierà alla Uefa le foto e la relazioni sui lavori svolti. «Sono sicurissima che la prossima gara europea al San Paolo si svolgerà regolarmente e non avremo altri ostacoli», dice ancora Tommasielli. Gli interventi di sicurezza nello stadio riguardano soprattutto la spicconatura di alcuni settori dello stadio (quello ospiti e quello destinato ai disabili) e la sistemazione di bagni che gli ispettori Uefa hanno trovato chiusi a chiave. A che punto siamo? «Buono. Ci fermiamo oggi perché c’è la partita. Ma già stasera i tifosi avranno a disposizione tutti i bagni dello stadio». I lavori - bagni chimici e intonaci - andranno ultimati entro la fine della settimana e la competenza spetta, ovvio, al Comune.

Il Napoli, secondo gli accordi, non si è accollato la spesa. «Abbiamo deciso di non far scalare la cifra di lavori da quello che è il credito che il Comune vanta nei confronti della società di De Laurentiis - spiega ancora l’assessore Tommasielli - Si spenderanno 130mila euro, al massimo saranno 140mila euro: li preleveremo noi dal fondo di riserva del Comune».

La soluzione trovata fa sì che sia direttamente il Napoli a dirigere i lavori in corso di esecuzione all’interno del San Paolo. Una corsa contro il tempo, perché altrimenti ci sarebbe il rischio di una partita in Europa League, quella con il Dnipro l’8 novembre, con una capienza ridotta. Il punto è legato più che altro all’immagine: difficile ipotizzare il tutto esaurito per la sfida con gli ucraini, ma sarebbe uno smacco enorme per il Comune e il club ricevere dall’Uefa la conferma della multa da 150mila euro e il divieto di vendita dei biglietti per alcuni settori.

Resta il problema di fondo: la necessità di intervenire sul San Paolo per migliorarlo.

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Il pallone di Luciano

Allegri respira, però i guai restano

E senza fantasia non si va lontano

di LUCIANO MOGGI (Libero 28-10-2012)

C’è voluto il sesto gol in campionato del solito El Shaarawy per battere il Genoa di Delneri e per far respirare un Milan volenteroso ma povero di fantasia, perdipiù con Zapata e De Jong apparsi inadeguati in ruoli in passato occupati da fuoriclasse. I rossoneri facevano molto affidamento sul recupero a tempo pieno di Pato. Invece il Papero è stato prudente, non è ancora nella forma giusta per rischiare e il suo contributo è stato scarso, come quello di un Emanuelson che dovrebbe portare qualità senza le trovate di un Boateng sempre più ai margini (non solo per l’infortunio). Ed è questo il vero problema del Milan e di Allegri: chi inventa?

A Torino intanto buon sangue non mente. Nel discorso di Agnelli tutto l’orgoglio della Juve e della famiglia. Idee chiarissime, quelle di Andrea, la soddisfazione per i risultati raggiunti in due anni molto intensi, le felici prospettive interne (dimezzato il deficit) quelle tutt’altro che rassicuranti del calcio italiano, di qui il severo monito: o si rinnova o è Caporetto.

Il ranking stagionale già ci penalizza, può avvenire di peggio, siamo sesti dietro Francia e Ucraina, che incombono nella classifica pluriennale Uefa. Se il declino continua, si rischia un altro posto Champions. La Juve avanti con uno stadio proprio, tutti gli altri indietro e cadenti. Indifferibile la riforma dei campionati, le correzioni alla legge Melandri sui diritti tv, la revisione della giustizia sportiva.

L’attacco sul punto è senza attenuanti, «non si possono trattare investimenti da milioni di euro come le dispute di un piccolo circolo sportivo» e noi ci permettiamo di aggiungere i diritti violati delle difese, gli errori marchiani coperti dalla necessità di fare in fretta, nella realtà per seguire il sentimento popolare (obbrobrio giuridico mai visto altrove), la soppressione di gradi di giudizio. Anche i ritardi d’inchiesta per far scattare le prescrizioni ad uso di intoccabili, e l’ostinata chiusura davanti a nuove prove, i casi di accanimento, quasi in forma di vendetta privata e la sparizione di strani accordi su revisioni di radiazioni già di avanzata durata.

Equilibri e rivincite

Il calcio italiano vuole dimenticare le coppe, l’Inter no, perché il risultato le ha sorriso, ma le fatiche sono state tante. Alla Juve ha fatto rabbia e preoccupazione il pari con i danesi, risentita la reazione di Buffon: resta la sensazione che l’avversario sia stato sottovalutato. C’è da mantenere ora il trend in campionato, a Catania. Etnei imbattuti in casa, ma reduci dalla sconfitta a San Siro con l’Inter. Avversario spigoloso, Maran, allenatore al debutto in A: buono l’avvio, squadra ben allestita e con forte colonia argentina.

Curioso nell’Inter (a Bologna), la squadra vola senza Sneijder. Stramaccioni non ne è mai stato entusiasta, e potrebbe non richiamarlo subito in campo. I nerazzurri vogliono mantenere la posizione rispetto a chi sta davanti ma sognano di rosicchiare anche qualche punto, improbabile se mirato al Napoli, che li precede di una posizione.

Partenopei in posticipo con il Chievo e la voglia di cancellare il Dnipro con i titolarissimi in campo. Clivensi risorti con Corini, una vittoria ed un pareggio, e con il Napoli l’hanno spesso spuntata. Ma i precedenti servono solo agli statistici. La Lazio a Firenze con nessuna voglia di fermarsi, identico obiettivo dei viola, ancora al di sotto in classifica delle loro ambizioni. Per Montella una partita-svolta, così come per la Roma con l’Udinese nel secondo posticipo.

Precisazioni

Con il 3-0 a tavolino sul Cagliari sub judice, Zeman può solo pensare a vincere con l’Udinese, che dal suo canto sta accentuando i suoi alti e bassi. La sconfitta in E-League non può dipendere solo dall’assenza di Di Natale: se si mandano via i migliori, lo scotto bisogna pagarlo, nonostante il buon Guidolin. In più, i friulani non hanno ancora vinto fuori casa. Il momento non sembra dei più propizi, salvo follie di giornata della Roma. La malmessa Samp, tre ko di fila, tenta di disfarsi del Cagliari, miracolato da due successi consecutivi. Ferrara in emergenza, ma un’altra battuta d’arresto sarebbe pericolosa. Il Toro torna in casa, arriva il Parma, che fuori non ha mai vinto. Non escludo un pari come per Pescara-Atalanta.

Per la precisione, l’arbitro Rocchi non fu designato nella passata giornata di campionato perché chiamato dall’UEFA a dirigere la gara di Champions, il martedì a Barcellona e non, come ha scritto un quotidiano, perché il PG dell’Appello di Napoli aveva chiesto la sua condanna. Lo troviamo infatti a dirigere, in questa nona giornata, la gara Samp-Cagliari.

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GLI ULTRÀ E LA DOPPIA MORALE DELLA CURVA

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 28-10-2012)

Il caporale Tiziano Chierotti era soltanto un alpino, soldato italiano. Non un ultras. Non un fighter, non un drugo, uno da fossa dei leoni, un irriducibile. Uno di loro. È morto in Afghanistan, non durante una rissa tra gaglioffi nel Bronx degli stadi italiani. Dunque non va onorato come ha saputo fare il manipolo di Livorno che, al momento della commemorazione prima del fischio di inizio della partita con il Cesena, ha scelto di voltare le spalle alla memoria del defunto. L’aggettivo patriota si conserva tale e quale in inglese, francese, spagnolo, tedesco. Forse le facce di spalle di Livorno non lo sanno, frequentano altri testi e altri centri di informazioni più sociali. Roba simile accade a Verona o a Roma, laddove la ciurma ha un colore ideologico e politico, si fa per dire, opposto, nazifascista, per distinguersi dai triglioni comunisti. Massì offendiamo i morti, i martiri delle foibe, i rivali caduti sul campo, vomitiamo contro tutto, rottamiamo la vita, quella degli altri ovviamente. Tutto questo che cosa possa c’entrare con il gioco del football pochi lo sanno e molti lo spiegano.

In verità lo stadio e l’evento calcistico sono diventati una buona occasione per i soliti miserabili i quali, per coordinarsi meglio, spesso assumono sostanze necessarie all’uopo, tanto è un gioco, tanto è un segnale di libertà contro l’oppressione. In altri settori, diversi dalle curve,l’aria non è affatto sopraffina e di alta società, dunque il territorio ormai è inquinato oltre ogni logica e limite di accettazione.Non c’è Daspo che tenga,non ci sono tornelli e squalifiche che possano fermare questa tendenza all’offesa, all’insulto, all’aggressione, verbale e fisica.

Non si tratta più di quattro idioti sbevazzati che non hanno altro da fare. No, il calcio ha deciso di farsi del male dentro e fuori, la sua corruzione passa anche attraverso questi fenomeni, la complicità dei tesserati, i calciatori su tutti, con la parte peggiore del tifo, è un fenomeno particolarmente italiano e ne sono conferma uno, dieci, cento episodi, dalla resa dei calciatori genoani con la consegna delle maglie, alla sospensione di un derby romano per imposizione degli ultras, ai fenomeni di criminalità che hanno colpito alcuni calciatori del Napoli o della Juventus. La stampa è stata omertosa in molti casi, non si ha notizia di dibattiti televisivi aspri sull’argomento così come ce ne sono stati, invece, su calciopoli, si ha paura di individuare, di riconoscere, di condannare e anche le forze dell’ordine hanno la loro parte di responsabilità. Le scene miserabili di Livorno, dopo i cori schifosi degli ultrà di Verona (con la revoca della tessera del tifoso per i denunciati) non hanno provocato nessuna reazione da parte dei calciatori e dell’arbitro né prima, né durante la partita che andava interrotta per provvedere all’evacuazione del manipolo.

Meglio, invece, parlare dell’arbitro, meglio discutere del calcio di rigore. Mazzarri, come Zeman, si sono lamentati per gli insulti razzisti ricevuti a Torino ma, forse, nei loro domicili si cantano, nei confronti degli avversari,le canzoni dello Zecchino d’oro?

Tengono tutti famiglia, pronti a denunciare un mondo abitato soltanto da prostitute fatta eccezione la loro madre e la loro sorella. Difficile uscire dal bordello contemporaneo fino a quando i calciatori continueranno a essere complici degli ultras, di Livorno, di Verona, di Milano, di Torino, di dovunque. È la verità e nessuno avrà il coraggio di confessarla davanti alle telecamere, dopo un rigore non fischiato o un gol annullato. Il loro, si sa, è «un meraviglioso pubblico». Il caporale Tiziano Chierotti, e gli altri ragazzi italiani morti per la patria o per il calcio, ringraziano con affetto.

Post scriptum : Il Grosseto ha messo fuori rosa e in preavviso di licenziamento quattro calciatori coinvolti alle 5 e 30 del mattino in un grave incidente stradale; alcuni di essi erano ubriachi. Ultras sempre.

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Calcio & Business

LE SQUADRE EUROPEE QUOTATE

La sorpresa. Il trend delle azioni delle società del pallone

nel medio periodo è legato più ai fondamentali che ai goal fatti

Alla Lazio lo scudetto di Borsa

Titolo italiano con il miglior corso in 5 anni, Besiktas primo in area Uefa

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24ORE 28-10-2012)

Goal e rating non sono così incompatibili come sembrerebbe a prima vista. A dispetto di quanti ritengono che le società di calcio dovrebbero restare fuori dalle Borse – come il presidente della Roma, James Pallotta – il confronto tra l'andamento degli indici azionari e il rendimento dei club europei quotati mette in luce come questi ultimi siano spesso capaci di proteggere bene il proprio valore dalle ondate ribassiste.

L'analisi di PwC e Sole 24 Ore sulle squadre di calcio presenti in Borsa negli ultimi cinque anni, su un arco temporale che abbraccia le difficili stagioni successive al fallimento di Lehman Brothers (settembre 2008), permette di giungere a queste conclusioni. E di confutare altri luoghi comuni, come il fatto che il "prezzo" delle azioni delle società di calcio sia eccessivamente volatile e che, in genere, gli investimenti nelle aziende calcistiche abbiano scarse chance di redditività. A leggere i numeri, infatti, le cose appaiono diversamente e comunque più complesse. A partire proprio dall'Italia. Se l'Ftse Mib fra il 31 ottobre 2007 e il 28 settembre 2012 ha ceduto il 18%, le azioni di Juventus, Roma e Lazio hanno perso solo il 5,5 per cento. Percentuali che scendono se guardiamo all'ultimo triennio, in cui Piazza Affari è arretrata del 12,2% e il valore dei tre club tricolori solo del 3,7. Una "tenuta" tutt'altro che rara nel panorama del Vecchio Continente. Le quattro squadre turche quotate – Besiktas, Fenerbace, Galatasaray e Trabzonspor – nell'ultimo quinquennio hanno addirittura guadagnato terreno (+10,3%), superando la performance del mercato di riferimento (l'Ise 100 fermo a +2,9%). In Olanda l'Ajax ha saputo fare meglio dell'indice Aex, perdendo il 3,6% contro il 10,2, e in Germania il Borussia Dortmund ha dribblato il "rosso" del Dax (-2,1%) registrando un rendimento positivo (+8,3%).

Certo, non sempre i club calcistici si sono rivelati così rapidi nell'uscire dalle secche finanziarie. Nel Regno Unito Arsenal, Tottenham e Celtic hanno perso l'8,3%, il 5,1% in più dell'indice Ftse 100. E molto peggio è andata ai club portoghesi e danesi. Benfica, Porto e Sporting Lisbona hanno lasciato in Borsa il 33,4% del proprio valore (mentre l'indice Psi 20 faceva segnare una flessione del 17%) e lo stesso risultato hanno ottenuto i cinque team danesi (Broendby, Aalborg, Silkeborg, Agf e Fc Copenhagen) quotati all'Omx Copenhagen 20 che hanno bruciato un terzo del prezzo che avevano alla fine del 2007.

«Come si vede – sottolinea Emanuele Grasso, partner PwC – il quadro finanziario dei club di calcio si presenta diversificato, segno che l'andamento del titolo in Borsa nel medio-lungo periodo risponde più ai fondamentali economici dell'azienda ovvero del sistema paese di riferimento, che ai goal segnati o subiti in campo».

Basta osservare la classifica del rendimento delle ultime cinque stagioni per rendersi conto che, al netto di un flottante spesso minimo, in quanto le proprietà tendono a conservare ampie quote di maggioranza, in non pochi casi i club dimostrano una "solidità" tale da giustificare investimenti non dettati, o non dettati solo, dalla passione sportiva, ma da prospettive di redditività.

Fra l'autunno 2007 e l'autunno 2012 la palma del club titolare della migliore performance è stato il Besiktas (+15,1%). Al secondo posto di questa graduatoria si è piazzato l'Arsenal (+13,8%), mentre il terzo gradino del podio è occupato da un'altra compagine turca, il Trabzonspor (+9,6%). La vitalità del calcio turco che si inserisce nel flusso di un'economia in grande espansione è confermata dalla crescita del Fenerbahce (+9,4%) che ha fatto persino meglio del Borussia Dortmund (+8,3%).

Il club tedesco qualche anno fa navigava in pessime acque, ma è riuscito nell'impresa di risanarsi e di vincere le ultime due edizioni della Bundesliga, realizzando nel triennio 2010-2012 il rendimento in assoluto più alto, con azioni che si sono apprezzate di oltre il 40 per cento. Tra i club europei che hanno fatto bene c'è anche la Lazio (+7,4%), mentre Roma e Juventus hanno rallentato (rispettivamente -8,4% e -15,7%).

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Mark Clattenburg accused of racial slur

during Chelsea v Manchester United

• Chelsea make formal complaint over 'inappropriate language'

• Mikel John Obi one of the players at centre of storm

• Referee promises to co-operate fully with investigation

by DAVID HYTNER (The Guardian 29-10-2012)

have made a formal complaint to the football authorities about the referee Mark Clattenburg, whose handling of their 3-2 home defeat to Manchester United caused such controversy, alleging that he directed "inappropriate language" towards two of their players, with club officials briefing that one part of the allegation concerns language of a racist nature.

The west London club released a statement at eight o'clock, which brought a fresh twist to a tumultuous day. They did not reveal the identity of the players, although one of them is understood to have been the Nigeria international Mikel John Obi, a player that Sir Alex Ferguson, the United manager, felt had been lucky to avoid a red card from Clattenburg, in a game in which two Chelsea players, Branislav Ivanovic and Fernando Torres, did receive them.

Roberto Di Matteo, the Chelsea manager, was furious at Clattenburg's decisions, in particular the one to give Torres a second yellow card for diving while the assistant referee allowed Javier Hernández's winning goal to stand, despite him having come back from an offside position. Di Matteo went to see Clattenburg after the match, flanked by some of his backroom staff, and he was aware at the time of the grievances of his players. Mikel is understood to have visited Clattenburg in his room.

"We have a lodged a complaint to the Premier League match delegate with regards to inappropriate language used by the referee and directed at two of our players in two separate incidents during today's match," said a Chelsea spokesman. "The match delegate will pass the complaint to the Football Association. We will make no further comment at this time."

Clattenburg was not reachable for comment after Chelsea's allegations but a statement from Professional Game Match Officials said it "is aware of the allegations and they are being treated with the utmost seriousness. Mark will co-operate fully and welcomes the opportunity for the facts to be established. No further comment will be made until matter has been properly investigated."

It is understood that the other Chelsea player who felt he was the victim of offensive language from Clattenburg was white, with reports suggesting it was the Spaniard Juan Mata. Chelsea are fully aware of the severity of the allegation, particularly in the wake of the John Terry-Anton Ferdinand racist slur saga.

Terry did not play here, as he served the second part of his four-match domestic ban from the FA for the racist abuse of Ferdinand, the QPR defender, but Rio Ferdinand did play for United. He was the subject of cat-calls, his every touch booed and, after Hernández's winner, he struck a defiant celebratory pose that appeared to enrage the crowd, leading to missiles being thrown.

This was after Chelsea had chosen to support the Kick It Out anti-racism campaign and Terry mentioned his club's "pride" at backing the campaign in his programme notes. Terry wore an anti-racism badge for the day. All of the Chelsea players wore Kick It Out T-shirts in the warm-up; the United winger, Ashley Young, was the only player who did not. It was unclear whether he was making a statement. There were ironic cheers from the United supporters when the on-pitch announcer read out the anti-discrimination message and, over 90 frenetic minutes, there was also rancour between the benches, Ferguson clashing with Di Matteo and members of the Chelsea staff after Torres's red card and at full-time.

Rio Ferdinand shook hands beforehand with Ashley Cole, who had given evidence in support of Terry at the Chelsea captain's magistrates court trial for abusing Anton. It felt as though a line had attempted to be drawn under one of the modern game's most destructive episodes, only for another controversy to erupt.

Clattenburg was miked up throughout the game and he could be heard by his assistants and the fourth official. Their conversations would not have been recorded but they could, in theory, be in a position to assist any inquiry.

Di Matteo was furious at his post-match press conference, although he ocused only on Clattenburg's decisions in relation to the match. "Yes, I have been in to see him," he said. "Surely, when he's going to watch the images he's going to realise that he made big mistakes.

"We are massively disappointed that these key decisions were wrong. It always seems to be in favour of the opposition. That's a massive disadvantage for us. I thought at 2-2, we looked like the team that were probably going to win the game. You don't want the referees to be a big influence in the game, you let the two teams play each other and play a good game, that's what everybody loves to watch."

___

Chelsea say that players were

abused by referee Mark Clattenburg

by MATTH HUGHES (THE TIMES 29-10-2012)

Chelsea have accused Mark Clattenburg, the referee, of racially abusing John Obi Mikel during their 3-2 defeat by Manchester United yesterday.

In a formal complaint submitted to the Premier League, the club allege that Clattenburg used “inappropriate language” to two Chelsea players during the match at Stamford Bridge, in which he angered home fans by sending off Branislav Ivanovic and Fernando Torres, as well as allowing a late winner from Javier Hernández that appeared to have been scored from an offside position.

Roberto Di Matteo accused Clattenburg of ruining the game and costing Chelsea points after they had fought back from 2-0 down, but the manager’s complaints were soon overshadowed by a serious allegation from the club.

In their complaint to the Premier League it is believed that Chelsea have made allegations about two separate incidents, alleged abuse of a racist nature from Clattenburg towards Mikel and other aggressive language directed towards a white player.

Mikel, the Nigeria midfielder, was booked for dissent in the second half, shortly after Hernández’s late winner.

“We have lodged a complaint to the Premier League match delegate with regards to inappropriate language used by the referee and directed at two of our players in two separate incidents in today’s match,” a Chelsea statement read.

“The match delegate will pass the complaint to the Football Association. We will make no further comment at this time.”

Mikel is understood to have gone to confront Clattenburg about the incident in his dressing room after the final whistle, as did Di Matteo. The Italian did not address the issue in his post-match press conference, but lent support to his player.

Clattenburg could not be contacted for comment last night, but the Premier League confirmed that it was aware of the allegations. The referee’s official report of the match is due to be submitted to the FA by lunchtime today, as is that of the Premier League match delegate containing the detail of Chelsea’s allegations.

A statement from Professional Game Match Officials read: “PGMO is aware of the allegations and they are being treated with the utmost seriousness. Mark will co-operate fully and welcomes the opportunity for the facts to be established. No further comment will be made until this matter has been properly investigated.”

It was unclear last night whether there were any other witnesses to Clattenburg’s alleged abuse of Mikel and the other Chelsea player, but the dialogue is likely to have been heard by the other members of his officiating team. All four officials wear microphones to facilitate smooth communication during the match and as a result Michael McDonagh and Simon Long, the assistant referees, and Michael Jones, the fourth official, could emerge as key witnesses if an investigation is launched. Those conversations are not recorded.

Clattenburg, 44, is a referee with international experience and viewed as one of this country’s top referees, who has been on the Premier League list since 2004 after spending ten years working his way up from the non-League ranks.

But his decision-making during the match was criticised by Di Matteo, who was particularly angry at the dismissal of Torres for a second booking after the Spain striker appeared to have been tripped by Jonny Evans.

“Surely when he’s going to watch the images again he’s going to realise that he made big mistakes,” Di Matteo said.

“I think it’s quite obvious, in the eyes of everybody, that the second yellow for Fernando wasn’t one. It was a foul for us, and he probably should have booked Evans. And the decisive goal was an offside goal. It’s a shame that game like this has to be decided in that manner by officials.

“We are massively disappointed that these key decisions were wrong. It always seems to be in favour of the opposition. That’s a massive disadvantage for us. I thought at 2-2 we looked like the team that were probably going to win the game. So it’s a shame, because it was a good game of football with two good teams and the officials ruined it.”

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Poisonous potential of latest race

abuse row can’t be underestimated

by TONY EVANS (THE TIMES 29-10-2012)

The last thing that football needed was more allegations about racial abuse. To see them directed at a referee is truly shocking.

The suggestion that Mark Clattenburg made inappropriate comments of a racial nature came at the end of a day when the official’s performance was under the most critical of scrutiny. That is one thing. Now it is his personality, his reputation, that is in the most malign of spotlights.

Chelsea, more than most clubs, must realise the gravity of accusations of this nature, which makes the claims even more breathtaking. For the past year, Stamford Bridge has been overshadowed by a row centred on race. This is a club who know how painful a case like this can be.

John Terry received unstinting support from most Chelsea fans and even yesterday Rio Ferdinand was being booed in West London for the crime of being the brother of the man referred to as a “f****** black c***”. It was unsavoury but it felt like the worst was over. Ferdinand shook hands with Ashley Cole, wore a Kick It Out T-shirt and it was easy to imagine that a more sensible discourse on race in football was about to begin.

Instead, a new controversy with the potential to be even more destructive erupted. Its poisonous potential cannot be underestimated.

The FA must learn from the mistakes it made in the Terry and Luis Suárez cases. It must act swiftly and with compete transparency.

John Obi Mikel and Roberto Di Matteo went to the referee’s room after the game yesterday and made the complaint. The match delegate was made aware almost immediately and his report will go to the FA today.

There are, at least, witnesses in this case.

The referee, his assistants and the fourth official communicate by a radio link and hear everything the others say. It is unthinkable that if any wrongdoing had taken place, the other three in the group would have missed it.

Unfortunately, the officials’ conversations with each other and the players is not recorded. Perhaps these dialogues should be documented in the future. The suspicion is that referees would prove to be on the receiving end of the abuse more often than not.

The other three officials at least provide the starting point for a full investigation. This should help to kick-start an organisation that can be leaden-footed to a laughable degree.

The ruling body cannot take the Keystone Cops approach to this case. In the Terry case, Cole was interviewed by Adam Sanhaie, who took notes. Unlike Terry, he was not recorded. These notes were omitted from the FA’s disclosure of documents, only to reappear just before the commission began its deliberations.

Why the FA never filmed and recorded the interview — and others in the investigation — is anyone’s guess. Instead, it gave the conspiracy theorists a momentum that could have been denied them by using the most basic of recording tools.

There was similar confusion in the 115-page Suárez report. Instead of keeping clear coherent lines of thought, the verdict confused the issue with “balance of probabilities” value judgments on Patrice Evra’s evidence relating to the number of times the Liverpool player used the word “negro”. The case was open and shut. Damien Comolli, at the time the most senior official at Anfield, told the referee within minutes that Suárez had used the term. Comolli’s evidence — and that of Dirk Kuyt — was enough to satisfy the FA’s burden of proof.

Three paragraphs would have settled it. Instead, the world was presented with a short, ugly novella that had something in it for everyone with an axe to grind. There are Liverpool fans who can recite the report’s inconsistencies as if they were a catechism.

This is a case the FA cannot afford to get wrong. There must be no fudges or confusion. The potential for damage to the sport is massive. The FA must get this one right. They have had enough practice, after all.

Too many people have been talking

pants over the spectre of racism

by GABRIELE MARCOTTI (THE TIMES 29-10-2012)

It is rather remarkable the way racist abuse from Serbian fans at an under-21 game can merge with the verdict in the John Terry case and a bunch of footballers not wearing “Kick It Out” T-shirts to create some kind of giant “racism is bad” and “we must do more” narrative that offers no practical solutions and even less clear thinking. So let’s try and and do a bit of the latter to arrive at some of the former.

But, first, a personal plea. The next time you hear somebody suggest that clearly Uefa does not take racism seriously because they fined Nicklas Bendtner far more for exposing his sponsored underpants at Euro 2012 than they’ve ever fined an individual FA for their fans’ racist abuse, please tell them that they’re either ignorant or in bad faith. Because, frankly, only stupidity or malevolence can account for such foolish — but, sadly, frequent — arguments. Bendtner was fined more because he was the actual perpetrator of the infraction.

He chose to put on the underpants and he knew that it was against the rules. Neither the Serbian FA nor the Spanish FA nor any other FA that has been sanctioned was actually out there racially abusing players.

Their fans were the ones dishing out the racist abuse and Uefa punishes FAs as proxy for sanctioning fans. The idea is that this will somehow make FAs do a better job of controlling their supporters. Which, of course — whether it’s racial abuse or hooliganism — is about as effective as fining the parents or employer or pub landlord for the actions of an adult criminal.

It’s in the interest of Uefa to eradicate visible racism. Not just because it’s the “right” thing to do, but because overt racism is bad for business in 2012: no sponsor wants to be associated with it.

With that in mind, are there steps Uefa can take other than the kneejerk solutions advocated by some, such as adding a bunch of zeros to the end of fines inflicted on FAs or banning countries such as Serbia ad infinitum?

The answer is “yes”. You can’t force people not to have racist thoughts but you can certainly stop them from airing them in a football stadium. The issue is one of policing and stewarding and Uefa’s problem is that it is not the police: different laws exist in different countries and, let’s face it, different police forces have varying degrees of enthusiasm when it comes to going after folks who make monkey noises. But there are ways around it.

Uefa could make it a prerequisite that every nation that wishes to enter its competitions must legally adhere to certain requirements within the ground. These might include stiffer identity checks on fans in the stadium and the power to remove (and, where applicable, prosecute) anyone who engages in such abuse.

Uefa could deploy its monitors within the ground, armed with video cameras and recording equipment. When they spot something, they advise the police and stewards on duty, who then deal with the issue. If it takes a while, the match is suspended until it is dealt with. If they still can’t or won’t do it, the match is called off, you play behind closed doors the next day and you issue stiff punishments, such as fines or points deductions.

It’s a big ask to get a nation effectively to hand partial sovereignty of its football ground over to Uefa for 90 minutes. It requires support from politicians and high-level diplomacy. But, hey, if, as a country, you’re too proud to do this, then there’s an easy solution: don’t play in Uefa competitions.

Expensive? It certainly wouldn’t be cheap. But neither would it be outrageous: you’re talking about a few dozen trained observers and some equipment per match. Relative to the size of TV rights contracts — especially with Uefa’s new centralised deal — it’s not that much.

The point of this system is that it shifts the responsibility where it belongs: on the individuals dishing out the abuse. It’s a more labour-intensive way of policing and demands more from local law enforcement. But the resources are there to pay for it.

To be fair to Uefa, it is looking to stiffen up controls and better define in-ground jurisdictions at Euro 2016. If it succeeds in France and is then rolled out across the continent, it will prove a far more effective tool than fines and bans. And it’s a far more constructive solution than the smug, meaningless “Uefa Must Get Tough” headlines rolled out in the past few weeks.

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ARBITRI

LA DOMENICA

DEGLI ERRORI

di MARIO SCONCERTI (CorSera 29-10-2012)

Nella pessima domenica degli arbitri il primo errore sarebbe mettere tutti gli sbagli sullo stesso piano. A Torino c'è stata un'ammonizione data e una evitata che hanno forse cambiato la partita; a Firenze un gol regolare annullato per un fuorigioco inesistente, errori pesanti, forse determinanti, ma banali come il male di vivere. Nel giro di un campionato di solito vanno e vengono. La grande stranezza è capitata a Catania perché lì era stata presa subito la decisione giusta. È questo il paradosso: sono stati necessari 45 secondi di discussioni altamente tecnologiche tra i sei arbitri per arrivare a una decisione che annullava quella esatta presa all'inizio. Non vedere un fuorigioco, un fallo, può capitare. Ma discutere in sei per cambiare una decisione giusta, è grottesco. Si dice, mettiamo la moviola in campo. Va bene, facciamolo, ma ricordiamoci che la moviola non decide, mostra. Le decisioni toccherebbero ancora agli arbitri. E ogni azione ha il suo contrario, ogni azione è quasi sempre soltanto un'opinione. Come se ne esce allora? Non credo se ne possa uscire. Bisogna accettare, a volte fidarsi, quasi sempre incrociare le dita. Ma qui è diverso. È il teatrino stesso degli arbitri a Catania che segnala una buona fede di fondo. Troppo sciocco per essere crimine. Pensate a una piccola folla di ladri: può mettersi mai a discutere la strategia del furto al microfono e davanti a tutte le televisioni? Perché questo è accaduto, una decisione normale trasformata in errore straordinario in diretta tv. No, questi non sono ladri, sono solo modesti gestori di un evento più grande di loro. Fanno grossi danni, hanno certamente sudditanze, ma sono incapaci di responsabilità illegali. Discutono tra loro davanti al mondo perché vogliono fuggire, non passare all'incasso. Questi sono errori scemi di arbitri modesti. Eppure in serie A arriva un arbitro ogni 15 mila tesserati, una selezione formidabile. Questo è il grande male, se sono innocenti e modesti nonostante la selezione. Naturalmente ognuno ha diritto di pensare anche alla malafede, gli esempi recenti ci hanno autorizzato. Ed è comunque sempre consolante pensare di avere qualcuno contro. Ma un arbitro per essere corrotto deve prima di tutto essere un grande arbitro. Un arbitro corrotto avrebbe fischiato subito il fuorigioco inesistente di Catania. Il problema è che abbiamo aumentato gli arbitri pensando che sarebbero aumentate le certezze. Stanno invece aumentando le opinioni. Ed è questo che non sopportiamo: chi pensa diversamente da noi.

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Gervasoni sbaglia perché dà spazio alla protesta

Rete regolare, poi la confusione totale

di PAOLO CASARIN (CorSera 29-10-2012

La giornata ha messo in discussione il ruolo arbitrale, l'efficacia dell'esperimento dei sei ufficiali di gara, il grado di tolleranza (in centimetri) relativa agli errori degli assistenti nei fuorigioco per finire al numero dei tesserati che possono entrare sul terreno e che talvolta si uniscono alle discussioni tra calciatori e arbitri.

Parliamo di Catania-Juve affidata a Gervasoni: il gol di Bergessio si concretizza dopo un tiro di Spolli verso Buffon, con deviazione intermedia di Lodi sul palo bianconero e gol di Bergessio sempre in gioco. Gol regolare con esultanza. A questo punto, ai bordi del campo, si apre una lunga discussione tra alcuni bianconeri e l'assistente Maggiani subito raggiunto dall'arbitro Gervasoni. I dubbi, sulla posizione di Bergessio crescono e allora Gervasoni si rivolge a Rizzoli, arbitro di quella porta, per la sentenza finale: gol cancellato. Dall'arbitro unico all'assemblea arbitrale con quaranta secondi di parole: è calata la qualità e cresciuta la confusione. Una confusione tecnica che può far fallire l'esperimento: di sicuro si è già frantumata la personalità dell'arbitro centrale. Sul gol di Vidal, posizione di Bendtner in fuorigioco di centimetri e gol concesso. Gli errori di centimetri degli assistenti sul fuorigioco debbono essere accettati, anche per l'incertezza della misurazione tv.

In un campionato sono centinaia le valutazioni di fuorigioco incerte per qualche centimetro; per ovviare bisognerebbe cambiare l'attuale definizione del fuorigioco che sembra scritta proprio per mettere in difficoltà gli assistenti. Ma è logico che il naso sporgente di un calciatore, oltre il profilo dell'avversario, lo metta fuori dal gioco? Questo non è stato il caso capitato all'assistente Iannello in Fiorentina-Lazio: ha annullato un gol di Mauri in posizione regolare per molti centimetri. Troppi. Partita che si incattivisce con Ledesma ed Hernanes espulsi da Bergonzi. In Napoli-Chievo, la trattenuta di Campagnaro su Pellissier in area è trascurata da Celi; in Roma-Udinese un contrasto molto più lieve fra Castan e Pereyra ha trovato l'arbitro Massa e l'arbitro di porta Cervellera concordi nell'assegnare il rigore molto dubbio. Giornataccia.

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Corriere dello Sport 29-10-2012

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Ma non si può

sbagliare così

Gervasoni choc: convalida e poi annulla la rete (buona) di Bergessio

dopo un colloquio tra Rizzoli e Maggiani. E il gol della Juve era irregolare

di EDMONDO PINNA (CorSport 29-10-2012)

ROMA - Quarantaquattro secondi e novantaquattro decimi. Per perpretare uno scandalo. Per mandare in scena qualcosa che non s’era mai visto su un campo di calcio. Un assistente (Maggiani) che parla con un arbitro d’area (Rizzoli) per decidere se è o non è fuorigioco (e non era, mai), con l’arbitro centrale (Gervasoni) che assiste, come stesse al cinema, al colloquio fra i due. L’arbitro di Mantova Gervasoni (quello di un famoso Inter-Parma, con un rigore per un presunto fallo di mano di Couto che ancora se lo ricordano) e i suoi colleghi hanno impiegato molto meno per convalidare un gol, quello della Juve, nato da un fuorigioco di Bendtner. Due episodi che fanno da spartiacque in una partita piena di errori, dall’inizio alla fine. Con alcune coincidenze - figlie di designazioni sbagliate - sinistre... Il presidente dell’Aia Nicchi, alla Rai, ha scaricato la patata bollente su Braschi: «Si è trattato di un errore. Cosa è successo? Lo spiegherà il designatore, studieranno gli errori per non ripeterli». Braschi, prima, aveva già sentenziato: «C’è stato un errore, lo sbaglio è dell’assistente Maggiani, non è un fuorigioco di millimetri. Gli errori, però, fanno parte del gioco. Ora devo parlare con chi di dovere».

CHE SCENA! - Capitolo uno: sullo 0-0, il Catania va in gol con Bergessio e il gol era buono. Bergessio è sempre in posizione regolare, sia sul cross di Marchese, sia sulla deviazione di Spolli che sulla successiva sporcatura (se c’è) di Lodi. Il motivo? Semplice, Asamoah è sempre appiccicato al rossazzurro e copre la sua destra. Un ex guardalinee di fama mondiale, che ora è ai piani alti dell’Aia, ci spiegò un giorno, con un pezzo di carta e una matita, quanto è facile fissare un fuorigioco: tutto quello che sta a destra, se ha la maglia di chi attacca, è off side. Se ha la maglia di chi difende, non lo è. Per carità, non voleva essere una lezione sui massimi sistemi arbitrali. Però, se ci pensate, è proprio così... Allora, gol buono l’arbitro convalida, il guardalinee Maggiani pure poi... Poi succede l’imponderabile. Proviamo a ricostruire: la panchina della Juve protesta, all’assistente internazionale viene il dubbio ed è la cosa peggiore che può succedere. Nella mente non trova più quel fotogramma, chiede a Rizzoli (arbitro d’area per la terza volta con la Juve. I precedenti fanno rabbrividire: era a Pechino e a Udine...) quanti tocchi ci siano stati, due la risposta, ancora conciliabolo. Per un disastro.

FUORIGIOCO - E’ lo stesso Maggiani (ahilui) che fa convalidare il gol della Juve: ma quando Vucinic serve Bendtner, quest’ultimo è in fuorigioco di mezza figura rispetto a Rolin. Stupisce, fra l’altro, perché Bendtner è in primo piano e, teoricamente, sarebbe stato più logico l’errore contrario (cioè, vedere lui in fuorigioco mentre era tenuto in gioco da chi era dietro di lui). Bendtner tira, Andujar respinge, Vidal segna. Patatrac.

ALTRI SCEMPI - Dopo 10’ minuti, Bonucci stende Bergessio cercando la “protezione” del pallone. Lichtsteiner affossa, con le braccia sulle spalle, Gomez: poteva starci il rigore (siamo nell’area controllata da Rizzoli). Trattenute reciproche Legrottaglie-Chiellini in area Catania, certo che il rossazzurro rischia. Maggiani ferma Bendtner lanciato verso Andujar: non era off side, c’era Legrottaglie. Dopo lo 0-1, manata di Spolli a Pogba: poteva starci il cartellino rosso e il rigore per la Juve. Da chiara occasione da gol il fallo di Legrottaglie su Giovinco lanciato a rete.

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BRASCHI HA AFFOSSATO

UNA BUONA RIFORMA

di FRANCO ORDINE (il Giornale 29-10-2012)

È stata come una scintilla. Una scintilla capace di appiccare il fuoco e mentre ha ripreso a bruciare il campionato nel rogo sono finiti anche la Juve e la legittimità del suo primato, a pochi giorni dalla sfida-clou con l’Inter. Sarà complicato, molto complicato, disinnescare le polemiche sabato notte.

La scintilla in Catania-Juve è rappresentata da quel conciliabolo a tre, una sorta di grande summit, tra arbitro (Gervasoni), arbitro di porta (Rizzoli) e assistente (Maggiani), che ha provocato il primo sfondone (gol di Bergessio regolarissimo, annullato) della domenica bestiale degli arbitri seguito dal secondo, forse più veniale dal punto di vista tecnico: il gol di Vidal «macchiato» dal fuorigioco di Bendtner. A Firenze si è verificato l’altro sesquipedale errore, commesso dall’assistente di Bergonzi, Iannello, che ha tolto alla Lazio il gol buono di Mauri, emulo del collega Nicoletti, assistente di Mazzoleni in Milan-Genoa (via libera ad Abate sul gol rossonero di El Shaarawy). A questo punto solo l’intervento della protezione civile (qui intesa come Abete, il presidente federale), può mettere in salvo la strana coppia di designatori, Braschi in panchina e Nicchi in tribuna. La loro sbrindellata gestione ha mandato in tilt una recentissima riforma, decisa dal calcio italiano nella speranza, vana purtroppo, di limitare le sviste: e cioè la presenza dell’arbitro di porta. Dalle nostre parti, invece che un provvidenziale aiutino, è diventato l’ennesimo handicap. Gervasoni, arbitro mediocre, inadatto a dirigere Catania-Juventus, si è lasciato condizionare dalla personalità del suo «addizionale», così chiamano l’arbitro di porta questi dannati, Rizzoli che è il numero uno della categoria.

Lo sciagurato, Rizzoli, ha insinuato il dubbio di un tocco in più, Maggiani, l’assistente, si è lasciato convincere ed ha spinto Gervasoni a fare marcia indietro. «Capisco Pulvirenti, c’è stato un errore, lo sbaglio è di Maggiani, uno solitamente bravo ed esperto» l’intervento di Braschi, a stretto giro di lancio di agenzia. Ha tenuto al riparo il fischietto più famoso (forse sotto sotto già designato per la sfida di Torino) indicando al pubblico ludibrio l’assistente Maggiani che si può lasciare a casa senza contraccolpi. È il trionfo dell’ipocrisia pratica e utilitaria, come la definì ai tempi Indro Montanelli.

Rizzoli ha una carriera colma di alti e bassi. A Udine si fece prendere a parolacce da Totti, altre volte è risultato intransigente: è stato a volte don Rodrigo e a volte don Abbondio. A Catania è andato oltre il suo compito (intervenendo su un fuorigioco), a San Siro, durante il derby, non aiutò Valeri sul gol, validissimo, tolto a Montolivo. Anche a Firenze l’arbitro Bergonzi ha avuto bisogno dell’assistenza di quarto uomo o arbitro di porta per ammonire (primo giallo) Ledesma, dopo il fallo di mano dell’argentino avvenuto sotto i suoi occhi. Ma si può? Ecco allora che questo secondo episodio può confermare l’anomalia tutta italiana, cioè il pessimo utilizzo della risorsa dell’arbitro di porta. Conseguenza di un assortimento sbagliato delle squadre designate da Braschi (e Nicchi). Già perché un arbitro come Gervasoni, al quinto anno di serie A, non può che pendere dalla labbra del suo collega più esperto. E invece c’è bisogno di un designatore che riesca a disciplinare bene i compiti: l’arbitro è quello che decide, gli altri possono e devono collaborare ma senza trasformarsi in arbitri di sostegno. Magari col rischio di provocare errori che finiscono con l’incendiare il campionato.

P.S. : Per fortuna di noi tutti in questo calcio pieno di veleni e di sospetti, è arrivato anche un gentiluomo cui bisognerebbe fare un monumento. Pektovic, tecnico della Lazio, invece di lanciare strali contro i sei arbitri ha ammesso: «La Fiorentina ha meritato comunque di vincere». Dategli un premio, per favore.

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La scossa Mazzarri non tradisce mai

di FRANCESCO DE LUCA (IL MATTINO 29-10-2012)

Nella giornata in cui la Juve ha rafforzato il primato esclusivamente in virtù di un clamoroso omaggio arbitrale, il Napoli ha tenuto il passo grazie a un colpo d’artista di Hamsik. Sacrificato a Torino su Pirlo, lo slovacco ha nuovamente avuto ampia libertà di movimento e ha affondato il Chievo all’inizio del secondo tempo, con un movimento e un tiro di sinistro degni di un campione. E lui sicuramente lo è.

Il Napoli ha vinto ma ha rischiato il gol del pari contro i veronesi, rimasti in dieci per il rosso a Vacek ed etichettati come bestia nera dopo alcune negative esperienze del passato. Massima tensione, fino alla fine: fa parte del Dna di questa squadra che sa vincere e soffrire. Mazzarri ha saputo resettare il Napoli dopo la trasferta in Ucraina, attirando da consumato psicologo l’attenzione su se stesso, con una scoppiettante conferenza prepartita. Servono anche questi sottili accorgimenti.

L’allenatore ha dovuto ridisegnare in extremis l’attacco rinunciando alla stella delle stelle. Cavani, colpito da dolori muscolari, è stato invitato dai medici a non rischiare in vista della trasferta a Bergamo e così in campo è tornato Insigne, a 56 giorni dall’ultima partita da titolare in campionato. Il ragazzo si è dato da fare, correndo sulle fasce e proponendo servizi per Pandev e Maggio, non incisivi. Il giovane Lorenzo ha qualità evidenti, anche se dovrebbe migliorare in altruismo poiché l’età lo spinge a cercare spesso la soluzione individuale.

Quanto accaduto a Catania (e davvero stavolta al Cibali s’è visto qualcosa di clamoroso) è grave per la credibilità del calcio italiano. La Juve ha vinto con un gol irregolare di Vidal, perché era in fuorigioco Bendtner, dopo l’annullamento di una regolare rete del Catania, segnata da Bergessio. Il presidente del club siciliano, Pulvirenti, ha rivelato che sono stati i bianconeri a spingere l’arbitro a cambiare idea, dopo 50 secondi di discussioni e incertezze. C’è stato anche il contributo del cosiddetto «addizionale», Rizzoli, che è stato più arbitro dell’arbitro Gervasoni e ha sussurrato al guardalinee Maggiani che Bergessio era in fuorigioco, facendo cambiare la prima corretta decisione. Rizzoli è lo stesso «addizionale» che sollecitò Mazzoleni a fischiare il rigore contro il Napoli nella sfida di Supercoppa a Pechino. Coincidenza preoccupante.

Quella sudditanza psicologica verso la Juve, evocata dai presidenti già quarant’anni fa, resiste a dispetto del braccio di ferro cominciato tra la famiglia Agnelli e la Federcalcio quando è stata annunciata da Torino una maxi-causa per risarcimento danni dopo Calciopoli. Pochi giorni fa il giovane e potente presidente ha anticipato un piano per la riforma del calcio. Non ha fatto riferimento al settore arbitrale, che non si è evidentemente riscattato dopo lo scandalo del 2006. Si dice: ora sbagliano ma in buonafede. Ciò non assolve gli arbitri e coloro che li governano. Non bastano le scuse del designatore Braschi a Pulvirenti. Da Catania a Firenze, da Torino a Roma vi è stata una clamorosa catena di errori, senza dimenticare le proteste del Chievo per un rigore negato da Celi nel finale al San Paolo.

Da anni il Palazzo del calcio è squassato da polemiche e tensioni. Non c’è una guida forte in Lega e la Federcalcio non riesce ad imporsi su presidenti che pensano ai loro interessi e si accorgono dei problemi del movimento soltanto quando si prospetta un danno per le loro tasche. Agnelli ha ragione, il calcio va rifondato. C’è bisogno di aria fresca, di pulizia. E soprattutto di non vedere più scene come quelle dei due gol di Catania. Ci sono squadre, a cominciare da Napoli e Inter, che vorrebbero giocare alla pari e da ieri sono sempre più perplesse, preoccupate, avvilite.

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L’esperto Arbitro d’area contestato

Paparesta: «Dopo Pechino

sbagliato designare Rizzoli»

Gli errori In Supercoppa il rigore contro il Napoli ieri ha annullato l’1-0 catanese

di GIANLUCA AGATA (IL MATTINO 29-10-2012)

L’ex arbitro internazionale Gianluca Paparesta, opinionista televisivo, ha sollevato dubbi sulla designazione di Rizzoli quale arbitro addizionale prima che cominciasse Catania-Juventus. Alla fine i fatti gli hanno dato ragione. «Magra consolazione. Fortuna che l’ho detto prima che cominciasse l’incontro, nel prepartita di Premium. Poi il suo operato ha confermato le mie convinzioni. Tre partite della Juve, su nove di campionato, e un match di Supercoppa sono troppe, anche perché sia in occasione dell’incontro di Pechino che ad Udine si era reso protagonista di evidenti intromissioni».

Cioè?

«Rizzoli prevarica il ruolo che dovrebbe avere l’addizionale rispetto all’arbitro centrale. La figura dell’addizionale deve essere di supporto, serve a dare maggiore sicurezza e certezza rispetto alla realizzazione del gol, al pallone che entra o meno, così come essere da prevenzione alle trattenute in area o ad altri episodi particolari che si verificano in quella zona di campo. In questo caso è intervenuto addirittura su un fuorigioco. La sua era una posizione infelice rispetto a quella dell’assistente che non ha segnalato alcunché».

Sembra che cinque arbitri facciano più confusione che chiarezza.

«C’è confusione perché ci sono alcuni arbitri centrali che tendono a scaricarsi delle responsabilità utilizzando eccessivamente il giudizio dell’addizionale. Altri che per nome o carisma si intromettono nelle decisioni dell’arbitro centrale. Altri ancora che vogliono far carriera e tendono a non segnalare per non sbagliare».

Anche nelle designazioni degli addizionali c’è qualcosa da rivedere?

«Non è pensabile che, come avvenuto a Catania, ci siano due arbitri di porta che hanno così tanta differenza tra di loro in fatto di esperienza, partite dirette, livello di carriera raggiunta. Da un lato uno come Rizzoli, dall’altro un giovane che non arbitra nemmeno in serie A, Giancola. È come se la direzione fosse diversa da un’area rispetto ad un’altra. In Europa non funziona così».

Una giornata che lascia un po’ di tristezza.

«Sì, perché se pensiamo al non addetto ai lavori che guardando Catania-Juve vede annullare un gol chiaramente regolare, allora non è bello e ci tocca commentare episodi che sono davvero spiacevoli».

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OMICIDIO DI MASSA

di STEFANO ROMITA (IL ROMANISTA 29-10-2012)

Doveva piovere, diluviare. E così è stato. C’era da attenderselo. Era previsto. Programmato. Ma che in questa domenica piovessero così tante cazzate arbitrali non era proprio immaginabile. Che ci scrosciasse addosso come cascata del Niagara anche tutta l’incapacità arbitrale del mondo non era proprio pensabile. Era acqua mista a scorrettezze e sputi degli avversari, a giocatori che non uscivano dal campo anche se richiamati in panchina, a malafede bianconera e assenza di polso di uomini pagati e messi in campo per dirigere una gara, non il suo risultato finale. Dare un rigore inesistente a qualche minuto dalla fine e non concedere che tre minuti di recupero sono cose che fanno male al calcio. Siamo in mano a fischietti mediocri che non meritano la serie A e forse neanche la B. E grazie ai loro errori e alle loro distrazioni in tutte le gare di ieri, e non solo all’Olimpico, migliaia di tifosi si sono messi a letto furiosi. Lo avrò senza dubbio fatto anche io, ieri notte, lasciando la mia bile strisciare da sotto le coperte e girare per la città in cerca di Davide Massa. Ma lui se n’era già tornato ad Imperia. Col suo fischietto in bocca. E se Agnelli vuole cambiare il calcio... a noi che la cosa ci fa ridere, ci vien da cambiare molto di più. A cominciare da un quarto uomo che, messo sul prato, non deve cercare intorno a sè la quarta donna, ma le scorrettezze e gli episodi irregolari.

In pochi minuti, dopo essere stata riacciuffata da una fortunatissima Udinese, e colpevole anche di molti sciocchi errori al centro del campo, la miglior Roma della stagione fin qui disputata, è stata messa in ginocchio.

Solo errori arbitrali? Ho visto solo quello ieri sera? Solo il mio piangermi addosso nonostante da romanista ormai anziano sia abituato alle ingiustizie del fato e degli arbitraggi? Certamente no. Ho visto che se rimbalza un pallone addosso a Di Natale mentre è di schiena, la palla gli entra dentro. Ho visto anche che Zeman ha grande difficoltà a trovare i centrocampisti giusti per i novanta minuti. E ho visto ancora una volta che abbiamo un grande portiere. E che con matematica precisione ogni volta che si fa uscire Totti, la Roma sbanda, non sa più che fare, si affida al caso e allo "stellone" che algebricamente giunge invece sui piedi degli avversari. Strano che un uomo navigato e capace come Zeman non abbia ancora marchiata a fuoco sulla pelle questa banale e scontata rivelazione. Non è un segreto di Fatima. Non è un mistero che professori e scienziati non sanno spiegarsi. E’ una cosa che a Roma sanno tutti. Pure i laziali.

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I VERTICI ARBITRALI ANCHE NICCHI, PRESIDENTE DELL’AIA, NON SI NASCONDE: «GOL REGOLARE, MA EVITIAMO POLEMICHE INUTILI»

Braschi: «Complotto? No, errore grave»

Il designatore si scusa: «Capisco il Catania, svista commessa da uno dei più bravi»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 29-10-2012)

Ci hanno messo la faccia, chiedendo scusa. Stefano Braschi e Marcello Nicchi, rispettivamente designatore degli arbitri di A e presidente dell'Aia, non hanno lasciato passare molte ore per far conoscere il loro pensiero. Gesto apprezzabile, considerando l'afonia che spesso distingue il pianeta arbitri (e non certo per colpa dei fischietti). Ieri, comunque, l'errore dell'assistente Maggiani è stato così clamoroso da costringere i vertici a lavare i panni sporchi in pubblico. Una domenica segnata da altre sviste, ma Braschi e Nicchi si sono concentrati sul fuorigioco inesistente costato il gol del vantaggio al Catania. Tra l'altro sette giorni era stato penalizzato anche contro l'Inter: rigore negato sull'uno a zero, quantomeno «sfortunata» la squadra siciliana quando incontra le grandi del campionato...

Giustificazioni Partiamo da Braschi. Il designatore non si è nascosto parlando anche alla Rai (Domenica sportiva) e Sky. «Capisco Pulvirenti, sul gol annullato al Catania contro la Juve c'è un errore. Lo sbaglio è dell'assistente Maggiani, uno solitamente bravo ed esperto con oltre 200 partite di A. Però a Catania non ha capito bene la dinamica dell'azione. E sgombriamo il campo dagli equivoci: non c'entra nulla il colloquio con Rizzoli perché il giudice di porta non ha compiti sul fuorigioco e neppure le proteste della Juve. I primi ad essere dispiaciuti siamo noi. Le sviste fanno parte del gioco, la perfezione non è umana. Possono sbagliare l'arbitro e i suoi collaboratori così come capita a un calciatore che tira fuori un rigore, a un portiere o a un allenatore. Quello di Catania, comunque, non è un fuorigioco per millimetri, l'errore dell'assistente c'è. Siamo dispiaciuti». Braschi aggiunge: «Finora gli arbitri e i loro collaboratori avevano fatto bene, ma ogni tanto capita anche a noi di non prendere la decisione giusta: chi parte dal presupposto che non possiamo sbagliare è in torto. Complotto e sudditanza psicologica? No, chi fa calcio sa che è impossibile che tutte le giornate siano prive di errori. Ma sarebbe stupido e puerile nascondersi dietro a uno sbaglio. Analizzerò e capire bene perché sia successo, ma prima ne devo parlare, con grande tranquillità, con chi di dovere ».

Nicchi Nel pomeriggio (prima dei posticipi) aveva parlato anche il presidente dall'associazione arbitri, Marcello Nicchi: «Gli arbitri non sono in mezzo ad una bufera, stanno facendo molto bene e a volte sbagliano. Riconosciamo i nostri errori serenamente, non c'è alcuna macchinazione. Garantiamo la massima serenità in ogni momento e il miglior servizio possibile per il mondo del calcio. Studieremo quello che è successo a Catania per capire i fatti con esattezza, oggi (ieri, ndr) c'è stato un errore e lo abbiamo capito senza metterci troppo tempo... Però gli arbitri dirigono 12 mila partite, dobbiamo restare tutti sereni e con i toni bassi. In questo paese c'è bisogno di serenità e di non trasformare il gioco del calcio in polemiche o qualcosa di diverso».

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ilCaso di ALESSANDRO DE CALÒ (GaSport 29-10-2012)

ARBITRI, STRAFALCIONI, SUDDITANZE

MENO DANNI CON L'INSTANT REPLAY

Il sindaco di Londra, Boris Johnson, non si è lamentato pubblicamente per la sconfitta del Chelsea nel match clou di ieri con lo United, deciso da un gol in sospetto fuorigioco di Hernandez, dopo che l'arbitro aveva ridotto la squadra di Di Matteo in nove. Usi e costumi diversi, la sostanza non cambia. Gli arbitri sbagliano e gli errori, inevitabilmente, condizionano i campionati. Complotti? Sudditanze psicologiche? Quello che è successo ieri a Catania, più che darci risposte certe su questo fronte, fa crescere il sospetto che sei arbitri per una sola partita siano troppi. La questione non è soltanto economica, anche se in tempi di crisi ha qualche importanza. E' una questione pratica. Sei persone sono un'assemblea condominiale. Il fattore umano, così moltiplicato, può accendere un circolo virtuoso. Ma il rischio è che tenda a far crescere, in modo esponenziale anche le sviste e gli errori. Qualcuno ha cronometrato il tempo trascorso tra il gol di Bergessio alla Juve e il verdetto definitivo dell'arbitro Gervasoni: 44 secondi. Ci sarebbe stato il tempo per rivedere l'azione all'instant replay e decidere su immagini certe, piuttosto che consumare lunghi attimi nelle consultazioni all'interno del condominio arbitrale per arrivare a una decisione sbagliata. Anche la Lazio protesta ad alta voce per due decisioni con la Fiorentina. E pure la Roma di Zeman ha qualcosa da dire. Siamo alla punta dell'iceberg. E' stata una domenica nera per gli arbitri. Tutti possono sbagliare, succede. E' tempo di elezioni per i vecchi colletti bianchi: sentono che per ciascuno di loro qualcosa può cambiare. Dicono che alla fine dell'anno torti e favori si equivalgono. Anche questo alimenta i veleni. Oggi la Juve poteva perdere. Chi la sfida (Napoli, Inter, Lazio) è in credito. Sudditanze psicologiche? Non risultano. Ma forse saremmo tutti più sereni se, nel dubbio, anziché aiutare Juve e Inter una volta tanto gli arbitri decidessero a favore di una piccola, come il Catania.

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IL PUNTO di GIANNI MURA (la Repubblica 29-10-2012)

ERRORI PESANTI

SOLITI SOSPETTI

NULLA DI NUOVO

Otto giornate che filano via lisce, poi arrivano Catania-Juve e Fiorentina- Lazio e tocca parlare di arbitraggi, soprattutto di quelli. Ne avrei fatto volentieri a meno chi invita ad abbassare i toni contribuisce ad alzarli, quindi vediamo di stare calmi. In Chelsea-Manchester United, sfida di vertice, gli errori arbitrali non sono mancati, ed è finita lì. Qui, che si rigiochi già domani, e mercoledì, e giovedì, può raffreddare le polemiche. Non sarebbe male, perché sabato c’è Juve-Inter. Fin qui, complessivamente, gli arbitri erano rimasti fuori da gravi critiche. Ieri a Catania e a Firenze gli errori sono stati pesanti. Non dirò che hanno deciso il risultato perché non ho le certezze di Marotta e di Pulvirenti. Che gli arbitri possano sbagliare è scontato, è ovvio. Poi si tratta di vedere come, e quando. Marotta ammette che il gol di Bergessio era regolare ma dice che la Juve avrebbe certamente vinto. Può darsi. Si era al 25’ pt. Ma la Juve poteva anche perdere, o pareggiare. Nemmeno parlerei di morte del calcio, come ha fatto Pulvirenti, né pretenderei pubbliche scuse alla città, come ha fatto il sindaco di Catania. Che forse avrebbe da pensare a cose più importanti di un fuorigioco.

Pulvirenti, però, lo capisco. Già con l’Inter aveva di che dolersi (rigore di Guarin su Gomes). Con la Juve ha visto un gol regolare di Bergessio annullato su iniziativa della panchina juventina. Non di Alessio, in piedi ammutolito, ma di alcuni giocatori, segnatamente Pepe. L’arbitro e il guardalinee Maggiani (che ha grande esperienza) avevano convalidato. Da casa si è avuta la stessa impressione di Pulvirenti, che non è una bella impressione.

CONCILIABOLO INACCETTABILE

Un arbitro di carattere (quindi non Gervasoni) avrebbe ammonito Pepe. Da anni, invano, dico che bisogna saper stare in campo, ma anche in panchina. Che poi sia stato Rizzoli (lui pure ha grande esperienza) a dire l’ultima parola aumenta la confusione. E i sospetti, specie in chi li coltiva e li considera il sale del nostro calcio, mai così di basso livello in Europa, forse perché in Europa si bada più al gioco che alla dietrologia. Forse.

Poi, solo Juve, tanto più col Catania in 10. Non era una bella Juve e il Catania faceva il suo. Nessuna gran parata di Buffon, ma la sensazione era di una squadra-molla, pronta a scattare. Dopo il gol di Vidal, con fuorigioco di Bendtner non facile da vedere, la Juve ha avuto molte occasioni. Ci sono stati anche errori contro la Juve: una manata di Spolli a Pogba era da rigore ed espulsione. Chi guarda il calcio senza bandierine sa che non si può prevedere come sarebbe finita col gol di Bergessio convalidato. Si può dire che sarebbe stata un’altra partita e che non vorrei essere l’arbitro di Juve-Inter. Il resto lo stanno dicendo sul web juventini e antijuventini. I neutrali fanno notare che gli errori sono sempre a danno delle più piccole. Sempre o quasi. La Fiorentina, che non aveva avuto un rigore sul campo del più piccolo Chievo, è piccola di fronte alla classifica della Lazio, ma non può lamentarsi di Bergonzi. Sospetta posizione di Jovetic sul gol di Ljajic, rigore e gol (regolare) di Mauri non concessi. La Lazio ha regalato il primo tempo, poi s’è svegliata. Anche troppo (espulsi Ledesma ed Hernanes). Gli errori a caldo (a Firenze, ma anche il fuorigioco di Abate, sabato) non sono graditi, ma possono essere capiti. Quelli che arrivano dopo quasi un minuto di conciliaboli sono meno graditi e meno capiti.

La Juve mantiene il vantaggio sul Napoli (1-0 al Chievo) e sull’Inter (convincente 3-1 a Bologna, Cambiasso su tutti). Bloccata la Lazio, non ne approfitta la Roma: da 2-0 a 2-3 con l’Udinese. Non solare il rigore decisivo, ma una squadra matura sa gestire le partite, e la Roma è splendida, a sprazzi. Matura no.

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«Questo calcio» che fa bene al padrone

di MARCO BUCCIANTINI (l'Unità 29-10-2012)

TRE GIORNI FA ANDREA AGNELLI SI È MESSO IN MOSTRA CON UNA BANALE E AMMALIANTE USCITA: «QUESTO CALCIO È DA CAMBIARE, DOBBIAMO POSIZIONARLO A LIVELLO EUROPEO». Scherzando, si potrebbe dire che «questo calcio» non potrebbe essere per lui, per la Juventus, migliore di così: suddito e un po’ servile. Quello che succede in italia non si ripeterebbe con gli standard europei (e infatti in Champions i bianconeri faticano): qui il padronato ha ancora qualcosa da accampare, chissà perché.

Gli arbitri si divorano la nona giornata di campionato, che ritrova un minimo sindacale di Milan, afferrato per i capelli dall’unico giocatore spensierato e in grado di ostentare tutto il suo talento: El Shaarawy. In questo commento tecnico “rappreso”, merita un accenno l’Inter, sempre vincente da quando Stramaccioni ha deciso di difendere con tre centrali e l’infortunio di Sneijder ha semplificato le scelte tecniche e tattiche in attacco.

Qualche parola in più d’encomio per il Parma e il Cagliari. Donadoni è un tecnico preparato e duttile, di grande onestà e di maniere pacate: sarebbero qualità, queste, che varrebbero una bella reputazione ovunque. In «questo calcio» invece scivolano via, per far posto all’arroganza, l’ostentazione, la superbia. Nel Cagliari è successa una cosa apparentemente strana, ma umanamente spiegabile: due tecnici senza curriculum ma con una radicata conoscenza dell’ambiente (Pulga) e dei calciatori (Lopez, ex compagno di quasi tutti i giocatori in organico), sono riusciti a condividere le responsabilità, accrescendo il protagonismo di tutti (ed ecco i gol di Nenè, Nainggolan, Dessena). Per farlo, è tornata utile anche la rinuncia a Cossu e Pinilla, i giocatori più forti e per questo “accentratori”. Ritrovati i punti per svelenire Cellino, adesso bisognerà coinvolgere proprio Cossu e Pinilla, perché a masticare solo pane duro si stancano i denti.

Gli arbitri, allora. e i guardalinee, i giudici di linea, i quarti uomini, i designatori: tutti. Perché un errore come quello di Catania è sistemico, e ancora più grave, odioso, pericoloso. È la conferma di una predisposizione storica. Come tale, agisce. Il Catania segna, festeggia, il gol è regolare, e viene assegnato. Poi il ripensamento, fomentato dalle proteste della panchina della Juventus, davanti alla quale il guardalinee maggiani è costretto a transitare, mentre corre verso il centro del campo, come si conviene dopo una rete. Questo è successo, tutti hanno visto. Altri discorsi - come quello del designatore Stefano Braschi, che attribuisce a Maggiani un’iniziativa propria - sono penosi, perché sfacciatamente contrari alla realtà dei fatti. «Questo calcio» - questo paese - è servile prima ancora che servo: i potenti, chi comanda, chi muove le cose, i soldi, le carriere, non ha bisogno di ordinare. Riceve i favori, gli ossequi, la riverenza (che è concetto più angosciante del «rispetto»). Gli arbitri assorbono la sudditanza psicologica che è di un popolo intero. La juventus incarna lo stereotipo del potente: fuori e dentro il campo. Vorrebbe «cambiare il calcio» ma si muove e parla come fa la società di riferimento, la Fiat di Marchionne: la propria esigenza è regola, le esigenze altrui - le resistenze - sono lacciuoli che imbrigliano le magnifiche sorti progressive. Quale impeto di cambiamento pervade un dirigente che pochi mesi fa ha chiesto 450 milioni di euro ai vertici del calcio come risarcimento di calciopoli?

Gli unici a dover essere risarciti di quei fatti dolorosi sono i rivali di gioco e gli appassionati, ingannati da un sistema criminale di gestione delle partite. Un retaggio che non permette di accettare più gli errori per quello che sono: sbagli umani. Così è stato a Firenze, dove le decisioni premiano chi si sentiva in credito, seguitando il circolo vizioso del lamento. Ma a Catania è stato altro, di più, di peggio.

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la Repubblica - Firenze (30-10-2012)

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Chiede il riscatto per pagare le prostitute

Finge rapimento: arrestato ex calciatore del Brescia

di MARIANNA BAROLI (Libero 30-10-2012)

Donne e calcio. Accoppiata vincente, fruttuosa per qualcuno, ma non per tutti.

Non di certo per i genitori di Savio Nsereko che, per colpa del vizietto del figlioletto “calciatore” si sono ritrovati con 25mila euro in meno e il loro “bambino” rinchiuso in un carcere thailandese.

In pochi ricorderanno Savio Nsereko, ugandese di origine, ma tedesco di passaporto e nazionalità. Una carriera rapida come una meteora nelle giovanili del Brescia, vinse il premio come miglior giocatore durante l’Europeo Under 19 del 2008. Il colpo più grosso della sua carriera venne con la cessione al West Ham per 6 milioni di euro circa.

Classe 89, la stella nascente in terra inglese non combinò nulla di buono. Di lì una serie di trasferimenti, tre anni di peregrinazioni, nessun gol all’attivo. Un destino da star spentosi in un attimo. Complice il vizietto? Forse.

Dopo anni di silenzio il nome del giovane è tornato infatti alla ribalta a causa di un arresto, il suo, a Pattaya, in Thailandia. Il giovane aveva infatti inscenato il suo sequestro per estorcere soldi ai genitori. Soldi che, però, finivano puntualmente nelle tasche di due prostitute. Un vizietto troppo costoso quello del 23enne che ha mandato la testa dell’ex giocatore definitivamente nel pallone.

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Erodiani tira in ballo Lotito

I giocatori erano comparse

di ANDREA ARZILLI & CLAUDIO DEL FRATE (CorSera 30-10-2012)

CREMONA — È il solito Massimo Erodiani: l'allibratore di Pescara fa affermazioni che fanno fare un salto sulla sedia a chi ascolta ma poi precisa di parlare per sentito dire. È successo anche ieri davanti al pm di Cremona Roberto Di Martino, quando Erodiani ha di nuovo chiamato in causa il presidente della Lazio Claudio Lotito. «Mi risulta che abbia gestito direttamente la combine della partita di Coppa Italia Lazio-Albinoleffe» mette a verbale il bookmaker di Pescara, già arrestato nella prima tranche dell'inchiesta. Ma invitato a precisare i contorni dell'affermazione la prende più alla larga: dice di avere saputo nell'ambiente degli scommettitori che il medico Mario Pirani (altro indagato a Cremona) avrebbe a sua volta appreso della combine «organizzata» dal presidente biancazzurro. Quest'ultimo avrebbe agito però per interposta persona, mandando avanti l'ex presidente dell'Ancona Ermanno Pieroni. Tutto è finito a verbale, nel corso di una deposizione fiume durata 7 ore e che proseguirà il 16 novembre. Erodiani, assistito dagli avvocati Giancarlo de Marco e Paolo D'Incecco, ha poi rivelato un grottesco particolare su un altro presunto tarocco, quello su Inter-Lecce del 2011 (1-0 per i nerazzurri). L'ex portiere della cremonese Marco Paoloni aveva assicurato che la partita sarebbe finita con un over; piuttosto scettici Erodiani e alcuni «zingari» avevano chiesto a Paoloni di incontrarsi con i giocatori del Lecce. Incontro avvenuto al casello autostradale di Termoli. «Paoloni ci presentò Corvia, Vives e Rosati che ci rassicurarono sull'esito della partita ma la domenica scoprimmo che quelli con Paoloni non erano affatto giocatori del Lecce». Erano in realtà tre «comparse» raccattate chissà dove ma che recitarono la parte a dovere: gli zingari pagarono infatti 200 mila euro, salvo poi pretenderne la restituzione.

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CALCIOSCOMMESSE: L’INTERROGATORIO DI ERODIANI

«Lotito ha gestito la combine»

Al pm per sei ore ha ribadito le accuse su Lazio-Albinoleffe ripercorrendo poi la beffa Inter-Lecce

di ALBERTO ABBATE (CorSport 30-10-2012)

ROMA - Manager del tarocco, accusa bomba. A Cremona, Erodiani rincara la dose: «Lotito non solo sapeva, ma ha gestito le combine» . Dopo le confessioni a Palazzi su Lazio-Albinoleffe di Coppa Italia del 25 novembre 2010, il tabaccaio di Pescara si scatena per oltre sei ore davanti al pm Di Martino. Ribadisce gli spifferi origliati, voci di terza mano che - secondo Erodiani - sarebbero state diffuse dal dentista Pirani: «Nell’ambito degli scommettitori si dice che Lotito ha gestito la combine della Lazio, non direttamente. Si era avvalso dell’ex presidente dell’Ancona Ermanno Pieroni» . Verbale secretato, ma Erodiani ripete il motivetto del 16 luglio a via Po. Poi svela lo scambio di sms nei giorni precedenti a Lazio-Genoa con Ilievski.

CHI E’ - Un cervello della manipolazione delle partite, così gli inquirenti descrivono il 38enne di Guadiagrele, proprietario di una tabaccheria a San Giovanni Teatino e gestore - per interposta persona - di due sale scommesse, a Pescara e ad Ancona. Erodiani sarebbe stato, secondo le indagini, uno dei promotori dell’associazione a delinquere, che organizzava il sistema e gestiva i rapporti con gli Zingari: «Il primo incontro con loro fu in occasione di Taranto-Benevento» , ha confessato ieri.

INTER-LECCE - La beffa di Paoloni. Erodiani racconta pure come il portiere ingannò gli Zingari su Inter-Lecce, tentata combine: «Paoloni si presentò al casello di Termoli con Rosati, Corvia e Vives e ottenne i 200mila euro» . Gli Zingari ne avrebbero poi chiesto la restituzione tramite Erodiani, che avrebbe trattenuto 25mila euro per la “mediazione”.

SIENA-LAZIO - Minacce biancocelesti su Facebook. Le ha denunciate, Erodiani. Ma - non senza timore - approfondirà il discorso Lazio. Verrà riascoltato il 16 novembre. E, forse, ci sarà pure un terzo appuntamento. Ieri s’è solo accennato a Siena-Lazio (2-1) del 27 maggio 2007, una partita (prescritta) già finita sotto la lente delle procure di Cremona e Napoli per una denuncia di estorsione fatta da Paolo Negro, autore del gol della permanenza toscana in serie A. Secondo le indagini, Negro fece un cenno ad alcuni suoi ex compagni. Erodiani avrebbe dichiarato “de relato” che il patron della Lazio, venuto a conoscenza della cosa, avrebbe voluto cacciare due laziali “traditori”. Lotito è pronto - attesa una chiamata a Cremona - a smentire ogni accusa. Detesta i magnager.

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Calcioscommesse Nell’interrogatorio del procuratore Di Martino ribadisce le voci raccolte su Lazio-Albinoleffe di Coppa Italia

Erodiani tira in ballo Lotito e

conferma le accuse fatte a Palazzi

di GABRIELE MORONI (Quotidiano Sportivo 30-10-2012)

La frase fa sussultare il procuratore di Cremona Roberto di Martino e quelli che lo stanno ascoltando. Parlando della presunta combine per Lazio-Albinoleffe di Coppa Italia del 25 novembre 2010, Massimo Erodiani dice che era «gestita» dal presidente biancoceleste Claudio Lotito. Alla ripresa, dopo mezz’ora, il massiccio Erodiani, gestore di un’agenzia di scommesse e di una tabaccheria a Pescara, precisa e puntualizza. Le sue dichiarazioni non si discostano di molto da quelle al procuratore federale Palazzi, che hanno provocato la sua chiamata a Cremona. L’accusa a Lotito rimane, ma non per conoscenza diretta. Erodiani racconta infatti di avere raccolto voci secondo cui Marco Pirani (il dentista di Sirolo, con lui nella prima tranche dell’inchiesta cremonese sul calcioscommesse) avrebbe parlato dell’azione di una sorta di braccio operativo di Lotito: l’ex presidente dell’Ancona Calcio Ermanno Pieroni. Questi sarebbe stato impiegato per evitare che il presidente laziale si esponesse in prima persona nel tentativo di taroccamento della partita. Nei giorni che precedono la partita Erodiani ha 123 contatti telefonici con lo “zingaro” Hrityian Ilievski che poi passa il telefono ad Almir Gegic.

In oltre sei ore di audizione Erodiani (assistito dai difensori Paolo D’Incecco, Giancarlo De Marco e Michela Soldi) fa anche il gustoso racconto di come Marco Paoloni, ex portiere di Cremonese e e Benevento, riuscì a beffare, anche se solo momentaneamente, la temibile organizzazione degli scommettitori “zingari” guidati da Gegic e Ilievski, conosciuti da Erodiani in occasione di un Taranto-Benevento. Paoloni millantò di poter garantire un Over per Inter-Lecce del campionato 2010-2011. Il portiere s’incontrò con gli “zingari” al casello di Termoli. Era accompagnato da tre uomini che presentò come i giocatori del Lecce Corvia, Rosati e Vives. Si trattava in realtà di “comparse” arruolate per l’occasione da Paoloni che ricevette dagli “zingari” 200mila euro. La partita si risolse invece con la vittoria dell’Inter per 1-0 e con la squadra salentina che sul campo si impegnò alla morte. Fu allora che gli “zingari” si resero conto del raggiro e della sceneggiata dei falsi calciatori. Furiosi, pretesero la restituzione della somma, iniziarono con le minacce e incaricarono Erodiani del recupero. Il tabaccaio riebbe da Paoloni i 200mila euro, ma ne rese solo 175mila, trattenendo 25mila euro per sé a titolo di compenso e rimborso spese.

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CALCIOSCOMMESSE TENTATO ILLECITO SAMP-NAPOLI

Gianello, Cannavaro

e Grava: a dicembre

c'è la Disciplinare

Il legale dell'ex terzo portiere: «Tutto

nasce da un'informativa della Polizia»

di MAURIZIO GALDI (GaSport 30-10-2012)

Dovremo aspettare i primi di dicembre per la riunione della Disciplinare sul deferimento di Matteo Gianello e del Napoli per il tentativo di illecito in Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010. I titoli dei vari giornali sono sempre stati: «Gianello inguaia il Napoli» ma in realtà il principale accusatore, e colui che ha fatto scattare l'inchiesta penale, non è l'ex terzo portiere del Napoli, ma un poliziotto, un poliziotto speciale che era incaricato di seguire i calciatori del Napoli. È lui che otto giorni dopo la partita, il 24 maggio 2010, fa avere un'informativa ai pm del pool «reati da stadio» della Procura di Napoli coordinato dall'aggiunto Giovanni Melillo. Gianello sarà sentito solo un anno dopo.

Cannavaro e Grava «Dall'esame degli atti e anche dal deferimento della Procura federale — spiega Eduardo Chiacchio avvocato di Gianello — emerge chiaramente che i nomi dei due difensori del Napoli sono già citati nell'informativa del 24 maggio». Insomma Gianello non fa altro che dover confermare quanto i magistrati già sapevano. «In un lunghissimo interrogatorio davanti ai pm, Gianello ammette la sua responsabilità nel tentativo di illecito, ma esclude il coinvolgimento di altri compagni». Nell'interrogatorio esclude di averne parlato ad altri ma deve ammettere di averlo detto a Cannavaro e Grava, ma che loro «diedero immediatamente e con estrema decisione una risposta negativa».

Cosa rischiano Matteo Gianello si dovrebbe avvalere del patteggiamento e della collaborazione, cercherà di contenere entro i 18 mesi la squalifica. Cannavaro e Grava andranno avanti a negare la loro responsabilità, alla luce dei precedenti il rischio è uno stop di 4 mesi. Il Napoli deve rispondere di quattro responsabilità oggettive: per illecito di Gianello, per scommesse di Gianello e per le due omesse denunce. Rischia una piccola penalizzazione e un'ammenda.

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Tensione Dopo l’abbaglio sul gol del Catania le polemiche non si placano

Caso arbitri

lotta continua

Agnelli: «Siamo stati assediati, ma abbiamo ammesso l'errore»

L'affondo di Pulvirenti «Siano loro a chiedere la ripetizione della gara»

Facebook, il giallo di Maggiani «bianconero»

di PAOLO TOMASELLI (CorSera 30-10-2012)

MILANO — Non ci sono più le bufere di una volta. Adesso ci sono di mezzo anche le pagine facebook e gli assistenti di porta ingombranti. È la modernità, ma i progressi non si vedono. E la domenica terribile degli arbitri, in cui il gol annullato al Catania contro la Juve è solo l'esempio «più grave di una pluralità di errori» (copyright Giancarlo Abete, presidente Figc) ha lasciato spazio a un lunedì peggiore.

Luca Maggiani, 44 anni di La Spezia, assistente internazionale dal 2004, in A da dodici anni, è l'uomo che ha annullato il gol valido di Bergessio sullo 0-0 contro la Juve, dopo un conciliabolo durato 44 secondi, con l'arbitro Gervasoni e (via audio) con il giudice di porta Rizzoli. «Sono sereno, molto sereno — dice Maggiani all'agenzia Ansa — perché può capitare di sbagliare e capiterà ancora».

Ma la vicenda non finisce qui, perché in mattinata nel corso di «Radio Anch'io sport» su Rai 1, il presidente del Catania attacca: «Sulla pagina facebook di Maggiani c'è lo stemma della Juventus. Tutti possono tifare per la squadra che vogliono, ma dopo quello che è successo ieri ditemi voi cosa dobbiamo pensare. Sono sconcertato, però non credo che dietro ci sia un complotto, almeno così mi auguro. Ma la sudditanza psicologica è evidente. Cosa sarebbe successo a squadre invertite? I giocatori della panchina del Catania sarebbero stati espulsi. Agnelli chieda di ripetere la partita, tanto loro sono sicuri di vincere. Lui dice di voler riformare il calcio, inizi dalle cose più semplici. E servirebbe anche una punizione severa per i giocatori della Juve».

I bianconeri entrano in silenzio stampa e oggi Alessio non parlerà alla vigilia della sfida contro il Bologna. Ma Andrea Agnelli interviene per abbassare la temperatura attorno alla sua squadra, imbattuta in campionato da 48 partite: «La Juventus ha dato una testimonianza di assoluta professionalità, ha riconosciuto subito l'errore arbitrale — spiega il presidente bianconero —. Ciò che fa riflettere è l'atteggiamento che abbiamo ricevuto prima, durante e dopo la partita, un duro accanimento contro i dirigenti che hanno dovuto lasciare la tribuna insultati già prima del fatto. Ritrovarsi già domenica sera nelle trasmissioni televisive e ieri in uno stato di quasi assedio lo trovo assolutamente anormale e atipico».

Il caso Maggiani non aiuta la causa juventina. L'associazione italiana arbitri interviene in difesa dell'assistente: «La notizia secondo cui sarebbe titolare di un profilo personale o di una pagina sul social network Facebook è destituita di ogni fondamento». Ma il giallo non è risolto: lo stemma della Juve sparisce frettolosamente, ma risalendo a chi ha creato la pagina si arriva alla società «Raggio Verde» (che si occupa di giardinaggio), amministrata da Alessio Rossi (che ha registrato il dominio presso il provider) e dallo stesso Luca Maggiani. Pulvirenti insiste: «Se il sito non è suo, l'assistente denunci il fatto».

Si attendono sviluppi, ma stasera si torna in campo. E Rizzoli resta in Sicilia per dirigere Palermo-Milan. È lui che domenica ha insinuato il dubbio fatale a Maggiani, vedendo un tocco supplementare di un giocatore del Catania che avrebbe in quel caso messo in fuorigioco Bergessio. Il lungo conciliabolo ha ingigantito l'errore, creando un precedente pericoloso: «Potevano passare anche trenta minuti se non sei convinto di quello che fai — è la posizione del presidente dell'Aia, Marcello Nicchi — . Ma pensare che protestare serva ai fini del risultato è la sciocchezza più grande. L'arbitro non si fa influenzare da nessuno».

È chiaro però che il giudice di porta, utile in molti casi, rischia di creare confusione: si è visto nel rigore dato all'Udinese contro la Roma o nell'espulsione di Sansone del Torino. Anche la Lazio ha diritto di lamentarsi per il gol annullato a Mauri, mentre il Chievo reclama un rigore contro il Napoli: secondo un «dossier» preparato da panorama.it sarebbe proprio la squadra di Mazzarri (assieme all'Inter) quella che fin qui teoricamente ha guadagnato più punti dagli errori arbitrali. Ma la Juve fa più notizia, perché è prima, perché il caso di Catania è una novità (anche se il giorno prima si era verificato durante Padova-Bari) e anche per altri motivi: «Pulvirenti avrebbe dovuto chiudere Rizzoli dentro lo spogliatoio...» chiosa un certo Luciano Moggi. Se il passato sembra non passare mai, non è colpa della Juve. Ma nemmeno dei suoi avversari.

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L'ASSEMBLEA ARBITRALE

NON VA BENE

di PAOLO CASARIN (CorSera 30-10-2012)

Dall'arbitro centrale con potere globale all'assemblea arbitrale, ovvero dalla piena responsabilità alla fuga da ogni responsabilità specifica. Con Catania-Juve può finire un esperimento, lodevole perché vorrebbe innalzare i limiti umani di ogni essere giudicante e in movimento sul campo, ma affrontato con superficialità. Per esempio è mancato lo studio delle funzioni specifiche e del rapporto tra arbitro centrale e arbitro di supporto, fermo dietro alla porta. È necessario rivisitare la formazione degli arbitri che stanno al centro, dotati di quote imponenti di presunzione, necessaria perché una volta soli nella decisione, ma ora costretti ad accettare l'intrusione del collega in grado di vedere meglio (perché fermo) i fatti d'area. Perché Rizzoli è riuscito a fare breccia sull'autonomia e sulla presunzione di svariati colleghi? Per la sua credibilità di arbitro centrale che finisce per ridurre a comprimario l'arbitro che «dipende» da lui. In Roma-Udinese, dopo un contatto marginale tra Pereira e Castan, in area giallorossa, il giovane arbitro Massa, alla faccia della sudditanza, ha pensato al rigore, ma ha aspettato un cenno anche dal giovane collega di fondo Cervellera. Due uomini incerti, ma solidali perché entrambi alle prime armi hanno finito per adottare assieme una decisione coraggiosa: nessuno ha avuto la forza di correggersi. Massa avrebbe aspettato prima di liberare il coraggio del fischio e, probabilmente, non concesso il penalty su suggerimento di Rizzoli, esperto e fermo? Bisogna studiare a fondo questo passaggio di quote di potere tra arbitri, stabilire le priorità tecniche, avere un arbitro centrale che non perda il suo primato e fare delle designazioni equilibrate (e non prevaricanti) degli arbitri di porta. Per spiegare il concetto di fermo, più volte usato a proposito dell'arbitro di fondo, ricordo che un grande maestro straniero mi disse: «Quando ti avvicini all'area fermati: vedrai meglio i contatti decisivi». Vale anche oggi, in campo e dal fondo.

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Arbitri, Rizzoli vede solo bianconero

di RAFFAELE AURIEMMA (Corriere del Mezzogiorno 30-10-2012)

Ma il sistema arbitrale è pulito, come ripetono di continuo i dirigenti dello sport, oppure è condizionato, come sostengono convinti i tifosi e i dirigenti delle squadre con piccoli bacini di utenza? La cultura del sospetto sarebbe peggio dei delitti perpetrati sul tanto malandato (eppur ricco) pallone nostrano, ecco perché sarebbe giusto mettere da parte l'idea della malafede per accreditare sempre di più la teoria della sudditanza psicologica. O "qualcosa in più" della stessa, come ha denunciato urbi et orbi il presidente etneo Pulvirenti. E' quel "qualcosa in più" che alimenta il sospetto di una terza via tra l'essere un arbitro truffaldino (e Calciopoli qualcosa ci ha insegnato) oppure soltanto timoroso di fronte a un potere più grande. E i dirigenti che comandano i fischietti, cosa fanno? Si appellano e si aggrappano all'errore che appartiene all'uomo, quanto all'arbitro ed al calciatore. Perché se è vero che chi dirige una partita può sbagliare al pari di un giocatore, questa bandiera bianca che sventolano Braschi e Nicchi diventa il paravento per difendere l'indifendibile. Sì, l'indifendibile. Se un giocatore sbaglia, rifilando un pugno ad un suo avversario, viene punito ex post attraverso la prova tv e allora perché non può succedere altrettanto con certi evidenti ed incomprensibili errori arbitrali? Perchè non si utilizza la moviola in campo? Nessuno sa spiegarlo eppure ogni cittadino italiano pensa che i vertici dell'Aia non vogliono l'occhio meccanico, altrimenti finirebbe il potere dei club potenti nei confronti degli arbitri da condizionare. Non è un pensiero folle, è soltanto lo specchio della realtà. Valido fino a quando non si verificherà una rivoluzione copernicana attraverso due decisioni fondamentali: 1) introdurre la moviola in campo, 2) sottrarre gli arbitri dalla giurisdizione della Figc per diventare una vera e propria professione. Soltanto così, soltanto con l'indipendenza e la terzietà dei direttori di gara, il calcio potrà tornare a essere un gioco con delle regole da applicare realmente. Altrimenti ognuno avrà il diritto di sospettare che Rizzoli sia stato designato quest'anno già 3 volte come arbitro d'area per la Juventus (Juve-Napoli di Supercoppa, Udinese-Juventus e Catania-Juventus) solo al fine di favorire i bianconeri con un rigore indicato a Mazzoleni, con l'espulsione inesistente del portiere Brkic e domenica con il clamoroso caso di annullamento al Catania di un gol già convalidato da arbitro ed assistente di linea. Perchè di fronte a questi clamorosi errori, il designatore Braschi continua a mandare Rizzoli sui campi dove gioca Madama? Hanno ragione i dirigenti dell'Aia: un arbitro può sbagliare, ma se commette tanti errori deve essere punito e fermato. Rizzoli, invece, dall'11 agosto continua a essere designato e a imporre la sua supremazia su chi fischia o sbandiera. Cosa deve insegnarci questa condotta di Braschi che commentando Catania-Juve ha accusato l'assistente Maggiani e non lo stesso Rizzoli che aveva indotto in errore l'assistente preso di mira? Le conclusioni le stanno traendo tifosi e presidenti di piccoli club costretti a subire da sempre ingiustizie inaccettabili per un paese democratico. E democraticamente, uno sciopero oppure la scissione delle squadre vessate dagli errori arbitrali potrebbe diventare lo strumento di pressione giusto per avere un calcio finalmente rispettoso di chi lo finanzia: i tifosi.

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MOVIOLA, FISCHI E FIASCHI

Sbagliato il paragone tra gli episodi di Catania e Firenze

di ANTONIO MONTANARO (Corriere Fiorentino 30-10-2012)

Non tutti gli errori sono uguali. Cesare Pavese—per esempio—scriveva che «alcuni puzzano di fogna e altri odorano di bucato». Ora, paragonare l’arbitro Bergonzi (quello di Fiorentina-Lazio) a una lavandaia di Grassina è senz’altro una forzatura. Ma mettere sullo stesso piano gli sbagli arbitrali del Cibali e quelli del Franchi — come hanno tentato di fare molti commentatori ieri mattina — se non è una (inaccettabile) chiamata di correo, poco ci manca.

Le differenze invece ci sono, eccome. Innanzitutto nessuna delle agenzie di bookmakers inglesi si è sognata di pagare altri risultati oltre alla vittoria viola, così come è accaduto per Catania-Juventus (la Paddy Power ha rimborsato anche chi ha giocato il pari e la vittoria dei padroni di casa ritenendo il risultato finale «ingiusto»). Poi la decisione (sbagliata) sul gol di Bergessio, Gervasoni l’ha presa dopo un goffo consulto durato 45 secondi sotto le pressioni della panchina bianconera (Pulvirenti si è infuriato soprattutto per questo atteggiamento, quanto meno anti sportivo). Al Franchi, dopo la rete annullata a Mauri, nessuno si è lasciato andare in corse contro il guardalinee, né in proteste rumorose. Infine, le scelte degli arbitri di Catania sono state unidirezionali (gol regolare annullato, gol irregolare convalidato, sempre a vantaggio della Juve), mentre a Firenze oltre a un rigore non concesso e al gol annullato alla Lazio, c’era un altro penalty per la Fiorentina per fallo su Jovetic. Insomma, un conto è una giornata storta che danneggia entrambe le squadre (e guasta il sapore della vittoria) altro è un atteggiamento ripetuto per 90 minuti che favorisce una sola squadra (guarda caso con la maglia a strisce bianche e nere). Sia chiaro, i sentimenti anti juventini non c’entrano nulla. Anzi, la battuta di Andrea Della Valle sullo scudetto del 1982 che «ci sentiamo sul petto e che presto festeggeremo in discoteca» fa bene al rapporto tra la proprietà e la tifoseria, ma rischia perfino di portare acqua al mulino degli Agnelli quando reclamano i «30 scudetti sul campo» e gridano all’assedio contro la Juventus.

Adv ha voluto rispondere così all’ennesima provocazione dello juventino Marotta sul caso Berbatov. Dente per dente. O colpo su colpo, come si dice. Il patron del club che fa del fair play una bandiera e che assegna—a ragione—il cartellino viola anche a chi (Klose) qualche anno ha provocato l’esclusione dalla Champions con un gol in netto fuorigioco, se l’è potuto permettere. Perché è vero che quel pomeriggio di maggio di 30 anni fa brucia ancora, ma nel calcio più che i ricordi contano i progetti. E con Montella, Jovetic e compagni i tifosi viola finalmente hanno ripreso a divertirsi e —soprattutto—a sognare che prima o poi quel terzo scudetto possa davvero arrivare. Sul campo.

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Corriere dello Sport 30-10-2012

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No ai 6 arbitri

sì alla moviola

Se l’esperimento diventasse regola, la «sestina arbitrale» andrebbe allargata a tutto il professionismo

con costi elevati. La Figc frena, la Lega con Beretta apre alla tecnologia: «Auspicabile un supporto»

L’impiego degli assistenti d’area nella sola Serie A è costato un milione e mezzo

L’ampliamento a serie B e Lega Pro peserebbe troppo E non sono molti gli arbitri di qualità

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 30-10-2012)

ROMA - Rizzoli e Maggiani potrebbero aver “ucciso” quasi nella culla l’esperimento dei sei arbitri, soprattutto dei due d’area. Ieri, Giancarlo Abete, come capita spesso quando le vicende sono scottanti, ha evitato di affrontare la questione arbitrale nel corso del Cf. Ciò non ha impedito che se ne parlasse. Soprattutto non ha impedito che emergessero umori, malumori e chiare insoddisfazioni. Per via Allegri questa resta una “stagione sperimentale”. Si deciderà alla fine. Ma ieri Giancarlo Abete non era affatto felice per quello che era accaduto al Massimino. Lui di tutto ha bisogno meno che di nuove polemiche sulla Juve e con la Juve. Con Nicchi si ritrova a gestire la vicenda spinosa della riforma del Consiglio Federale con l’Aia che dovrebbe avere un consigliere, ma senza diritto di voto. E illustrando la proposta del commissario ad acta, Napolitano, chi era presente ai lavori non ha mancato di notare una certa irritazione nel momento in cui il presidente dell’Aia ha provato a criticare la riforma: “Io illustro solo la proposta del commissario” , ha tagliato corto Abete. Il fatto è che con il passare delle giornate di campionato, la gestione dei sei arbitri diventa sempre più complicata: troppi “galli” in campo che non garantiscono certezze assolute. In questo contesto cresce il partito dei “Favorevoli alla Tecnologia”. Claudio Lotito, presidente della Lazio, si è schierato apertamente. Ma è solo la punta dell’iceberg.

PERPLESSITA’ - L’Italia è stata lestissima a lanciarsi sulla sperimentazione. E la Federazione in questo senso ha forzato la mano perché la Lega ha tentennato non poco prima di chiedere (o dare il suo assenso) la sperimentazione. Può aver giocato un ruolo in questa scelta il fatto che Abete sia, a livello Uefa, il vice di Michel Platini, grande sostenitore della moltiplicazione degli arbitri e grande oppositore della tecnologia. Eppure anni fa, quando l’idea fece capolino a Nyon, a via Allegri si sottolineava l’alto costo economico della soluzione. Solo la sperimentazione in serie A è costata un milione e mezzo di euro. E’ evidente che se si dovesse passare dall’esperimento a un sistema arbitrale ufficiale, organizzato e disciplinato, bisognerebbe coinvolgere tutto il calcio professionistico, quindi anche serie B e Lega Pro. Risultato: una moltiplicazione almeno per tre di quei costi. Per un calcio in crisi finanziaria, si tratterebbe di cifre non sopportabili. Ma quella economica non è l’unica controindicazione.

ORGANICI -Per avviare la sperimentazione, cioè per coprire con sei arbitri dieci partite, Nicchi ha dovuto solo ritoccare gli organici. Ma se il sistema dovesse essere esteso a tutte le categoria professionistiche, è evidente che bisognerebbe provvedere a un robusto ampliamento degli organici. E qui nascono i problemi. Gli errori dimostrano che la qualità non è altissima. Un dato veniva sottolineato ieri in via Allegri: tutti gli errori hanno riguardato la segnalazione del fuorigioco; tutti gli errori si sono verificati dalla parte in cui operava il guardalinee che non può certo giustificarsi dicendo di essere rimasto impallato da qualche giocatore entrato nel suo campo visivo improvvisamente. Conseguenza: la regola presenta qualche problema; la “scuola” non sta producendo grandi professionisti. Un aumento consistente degli organici finirebbe per peggiorare la qualità non per migliorarla. Si faticherebbe ad avere nei ranghi gente sullo stesso livello.

CONFLITTI - Poi c’è la questione del conflitto di personalità. Troppi galli nel pollaio: l’arbitro che cammina sulla linea di fondo vuole il suo quarto d’ora di notorietà. Con tutto quel che ne consegue: dibattiti in campo e anche nello spogliatoio, vere e proprie assemblee. La moviola resta sullo sfondo. Dice Abete: «Se dovessi dire che sono favorevole alla moviola sarebbe come dire di essere favorevole a qualcosa che è difficile che si applichi nei prossimi anni visto che non è nell’agenda dell’International Board» . Non è un sì, non è un no, ma è una presa d’atto perché probabilmente si discute su soluzioni (due arbitri in più e occhio di falco) dal tempo e dalle situazioni superate. Ma il discorso non è chiuso. Lo fa capire Maurizio Beretta, presidente della Lega: «Abbiamo sempre detto che laddove esistono tecnologie utilizzabili sarebbe auspicabile avere il massimo di supporto».

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MA IO STO CON

GLI “ADDITIONAL”

di EDMONDO PINNA (CorSport 30-10-2012)

Oggi è come essere dentro Fort Apache. Però, la scelta di avere gli arbitri d’area, o additional, va difesa, anche al di là degli errori di Catania. Un singolo episodio, fosse pure attribuito ad una delle novità che hanno permesso alla Federcalcio italiana di essere elogiata in tutto il Mondo (quella degli arbitri addizionali, primi ad averli introdotti nel massimo campionato), non può cancellare quanto di buono hanno fatto, fanno e faranno. Quattro occhi (due in più per ogni area) permettono di vedere un gol fantasma (Ciampi in Juve-Parma alla prima giornata, e citiamo solo il primo); di evitare “mattanze” nelle aree di rigore in occasione dei calci da fermo (sono aumentati i rigori come primo effetto deterrente, scommettiamo che fra un po’ caleranno?); di controllare un episodio da un terzo punto di vista, per una visione “3D”. Certo, essendo umani, sono fallibili. Ma la tanto sbandierata tecnologia (non sul fuorigioco, comunque) non è da meno, se l’Ifab ha fissato il limite di tolleranza concessa alla Gol Line Tecnology a 3 cm. Cioè, se un pallone entra di 2,5 cm in porta può non esserci certezza del gol. Non è poco, per la perfezione...

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Perché è inutile giocare contro la Juve

e la Premier non è il mondo ideale

di JACK O’MALLEY (IL FOGLIO 30-10-2012)

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“Se da una parte riconosco l’errore dei giudici di campo, dall’altra dico che comunque la Juventus avrebbe vinto”. E ancora: “Nessuno può escludere che noi non potessimo ribaltare il risultato”. Portando il ragionamento di Beppe Marotta alle estreme conseguenze si arriva alla seguente conclusione: meglio non giocare, risparmiarsi la fatica di correre dietro al pallone, che tanto nessuno può escludere che se la Juventus va in svantaggio possa poi recuperare nel corso della partita e tornare a casa con i tre punti. Insomma: ci si metta d’accordo su un sistema per misurare la forza delle squadre a prescindere dalle prestazioni, e si assegni lo scudetto immediatamente, senza indugiare oltre. Forse questa è la cosa più surreale sentita in una giornata di serie A dove di cose surreali ne sono successe parecchie fra gol annullati e concessi a caso, e il ritorno di vecchie parole tipo “sudditanza”. Subito tutti a dire che è una patologia italiana, roba che nei paesi seri nemmeno se la sognano, ma per caso avete visto la Premier League? Comincio a trovare insopportabile persino io il luogo sempre più comune secondo cui l’Inghilterra è il paese ideale per il calcio. Là sì che non ci si lamenta per gli errori arbitrali, scrivevano i saggi commentatori sportivi sui giornali italiani ieri. Là c’è vera cultura sportiva, le sconfitte vengono accettate con un sorriso. Devono essersi confusi con il rugby: qua non si beve nessuna birra insieme dopo le partite. Dopo gli orrori arbitrali di Chelsea-Manchester United il direttore generale della squadra londinese è andato nello spogliatoio del direttore di gara a chiedere spiegazioni, e la società ha presentato un esposto alla federazione. Poco prima qualche tifoso dei Blues aveva pensato bene di lanciare un seggiolino in campo e spezzare un ginocchio a uno steward sugli spalti per protestare dopo il gol in fuorigioco dei Red Devils. Certo, da noi non è la regola: l’arbitro di quella partita in serie A sarebbe tra i migliori ogni domenica. Sicuro.

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Detto dopo di TONY DAMASCELLI (il Giornale 30-10-2012)

Rigiochiamo pure tutta la A

In Premier chi sbaglia paga

Massì, ha ragione Nino Pulvirenti, rigiochiamola, Catania-Juventus e, per la proprietà transitiva, tutte le altre partite di football dove un arbitro e i suoi due, tre, quattro, non si sa più quanti, colleghi hanno commesso errori decisivi per il risultato. Massì, ricominciamo tutto daccapo, partendo dal pareggio del Catania a Roma, sembra con due gol segnati in evidente fuorigioco, senza consulto interfonico tra arbitro e assistenti. E' questo quello che ci meritiamo, un calcio che sei anni fa aveva mandato all'inferno i dannati e salvato le anime candide e oneste, un calcio che se sbaglia lo fa soltanto a favore delle grandi, mentre all'estero non è così. Chiedete a quelli che affrontano Real Madrid e Barcellona, o agli avversari del Manchester United. Chiedetelo a quelli del Chelsea che hanno deciso di mettere per iscritto, mica chiacchiere e distintivi, la denuncia nei confronti di Clattenburg l'arbitro responsabile, non tanto della sconfitta della squadra di Di Matteo contro quella di Ferguson, ma di avere rivolto frasi ingiuriose, di contenuto razzista nei confronti di Mata e Obi Mikel.

Carta canta mentre qui è la caccia a facebook, è la corsa al chiagne e fotte , Della Valle junior ne è l'ultimo esempio, dopo i lamenti di Agnelli jr e di De Laurentiis e la lista è sempre aperta a nuove iscrizioni. Giochiamo male e ci comportiamo peggio, la normalizzazione degli arbitri è giunta al termine. La cultura del tutti uguali, dunque tutti bravi e belli, palestrati e brillantinati, è risultata una formuletta alla quale hanno abboccato i soliti idioti. Mancano uomini di personalità, Nicchi e Braschi, come i loro predecessori hanno allestito una squadra di professionisti senza potere vero sul campo se non quello dei cartellini. Basta controllare le reazioni dei calciatori a qualunque decisione venga presa dal'arbitro e dai suoi assistenti, basta metterla a confronto con il comportamento che, invece, hanno, devono avere, i tesserati della premier league quando un arbitro interviene: sono loro ad andare, quasi sull'attenti, dinanzi al direttore di gara, per ascoltare i motivi dell'intervento e accettare la sanzione. E' un principio civile di disciplina e di gerarchia, un principio che è saltato in aria anche nel cosiddetto Paese Italia.

Ovviamente sono discorsi sull'acqua, stasera si rigioca, domani il Catania va a Udine e Guidolin dopo la vittoria di Roma ha detto qualche parola sfuggita ai più presi dall'affanno zemaniano: «Quella di mercoledì sarà una partita per noi molto ma molto delicata e difficile e per motivi che so». Pulvirenti incontrerà il suo collega Pozzo il quale avrebbe voglia di rigiocarsi non una partita soltanto. Almeno dieci campionati.

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Bufera sugli arbitri, lite tra Agnelli e Moratti. Pulvirenti: rigiochiamo

Scudetto, il Napoli può farcela senza aiuti

di MASSIMO CORCIONE (IL MATTINO 30-10-2012)

Aiuto, salvate il calcio. Il grido d’allarme si leva da Catania a Torino, ma il nemico dov’è? Si nasconde sotto quello strato di polvere che avvolge il pallone: polvere di polemiche, di resistenze disperate a ogni forma di novità. Tutto cambia affinché nulla cambi, disse il Principe di Salina che di calcio se ne intendeva poco, ma sapeva benissimo come va la vita. Quarantacinque secondi per sbagliare sono un’infinità.

Di fatto è stata autorizzata un’assemblea tra i sei arbitri presenti in campo per evitare il ricorso alla tecnologia, a strumenti che siano più obiettivi di un «mi sembra che» oppure «mi è parso di vedere». Abbiamo moltiplicato le opinioni, senza che mai arrivi una certezza. Il risultato s’è appena visto: il caos possibile. Il calcio dicono di volerlo cambiare tutti: da De Laurentiis, l’uomo nuovo che dopo otto anni ancora non capisce come ci si possa opporre alle novità, ad Agnelli il giovane, ai veterani Moratti e Galliani, a Lotito e agli americani della Roma. I conservatori sono quelli che fanno le regole. Il problema non è italiano, ma le reazioni altrove sono sempre diverse: in Inghilterra hanno avviato subito un’indagine per la direzione di gara assolutamente disgraziata di Chelsea-Manchester United. La differenza la fanno il dopo, i sospetti, perfino le repliche degli errori in altre partite.

Il campionato non resterà indifferente ai veleni, ne uscirà sicuramente condizionato, l’antidoto non può essere rappresentato da accuse violente e difese arrangiate, ma dallo spettacolo. Di quello c’è bisogno per riempire gli stadi, per recuperare l’entusiasmo perduto, per rivedere occhi felici e non più iniettati di sangue com’è capitato di vedere domenica, dall’ora di pranzo a notte fonda. C’è una squadra in testa, la Juventus, che in Italia è stata battuta solo dal Napoli, nella finale di coppa Italia.

Quella sera, all’Olimpico romano, somigliò tanto a un’ipotesi di staffetta rafforzata (al di là delle contingenze) anche a Pechino. E Juventus e Napoli sono ai primi due posti della classifica, segno di una continuità che ha perso per strada il Milan e sta recuperando l’Inter. La gerarchia è questa, a stabilire le posizioni finali saranno la forza della squadra, la concentrazione, o la capacità di non lasciarsi distrarre da altre storie. Arbitraggi compresi.

Al Napoli non manca nulla per annullare la distanza che oggi la divide dalla Juventus. Un attacco con Cavani e Pandev in Europa vorrebbero averlo in tanti; Insigne è un talento che Mazzarri sta curando come un gioiello da esibire nelle grande occasioni, quando la luce deve splendere fino ad abbagliare; il centrocampo delle guardie svizzere è una barriera a prova di sicurezza; la difesa solo fuori d’Italia sopporta crisi d’identità. Ma non ditelo a Mazzarri che vorrebbe viaggiare sempre nell’ombra, fino a piazzare il colpo decisivo e poi godersi l’effetto che fa essere trattato da trionfatore. Non ha bisogno di assemblee per decidere; anche se con grandissima sofferenza, lo fa benissimo da solo. Almeno lui, il calcio lo aiuta con i fatti.

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L’opinionista

Cesari: «Arbitri scadenti

e sudditi dei grandi club»

Il coraggio «Dovevano avere la forza di espellere

l’intera panchina della Juve per proteste»

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 30-10-2012)

Il profilo abbronzato di Graziano Cesari, ex arbitro internazionale e ora commentatore sui canali Mediaset appare senza sorriso. «In Catania-Juve abbiamo assistito al fallimento dei sei arbitri: la partita del Cibali segna la parola fine a una cosa che non stava in piedi, che non era logica».

Graziani, eppure la task force di cervelli arbitrali sembrava la soluzione alle sviste e agli errori.

«Non è così. Perché gli arbitri sono delle star e quando non ricoprono il ruolo più importante, quello con il fischietto in bocca, si sentono sviliti, declassati e demoralizzati. E sbagliano ancor di più. Spingendo gli altri, magari più giovani e con meno personalità a sbagliare con loro».

Eppure Maggiani ci aveva visto giusto?

«Già, ma perché ha ritenuto necessario dover chiedere consiglio a Rizzoli quando lui, è solo lui, era quello deputato a decidere sulla posizione di fuorigioco? E poi, cosa c’entra Rizzoli che è un giudice di linea e che se non ricordo male dovrebbe solo dire se la palla ha varcato la linea di porta oppure no? Quel conciliabolo tra arbitri a Catania è stata una pagina nera».

Cosa fare?

«Questi arbitri sono sudditi probabilmente delle grandi squadre e del clamore che c’è attorno alle grandi squadre. Sono anche scarsi tecnicamente, divorati dall’ansia e dalla pressione».

C’è una soluzione?

«Se si vuole andare avanti con i sei arbitri, si chiamino come giudici di porta assistenti giovani, magari i migliori fischietti della Lega Pro che hanno occhio, bravura e non la presunzione di voler mettere la bocca su ogni cosa».

Non è stata una domenica felice a Catania.

«Quello che mi preoccupa non è l’errore arbitrale, la svista, ma al contrario trovo allarmante l’abdicare di diversi fischietti innanzi alla funzione più specifica e qualificante dell’arbitraggio stesso: la capacità di assumere decisioni».

Maggiani non ne ha azzeccata una.

«Verrà sospeso. Ha sbagliato su due off side facilissimi: ma l’errore sul gol della Juve gli poteva essere risparmiato. Mi chiedo: tra il primo e il secondo tempo sarà successo l’impossibile nello spogliatoio del Cibali. Non era più sereno. Sarebbe stato meglio che il quarto uomo avesse preso il suo posto nella ripresa perché non era più idoneo».

L’immagine peggiore è parsa la protesta plateale dei giocatori della Juve.

«È vero, uno schiaffo per tutti. Quella corsa di 15 metri per fermare l’assistente che puntava il centrocampo per convalidare il gol è stato un gesto scorretto. Un arbitro autoritario avrebbe cacciato via tutti. Ho visto allenatori espulsi per molto meno. Come Cosmi, proprio nella gara con la Juve. Ma anche Pioli e Guidolin sono stati mandati via per essere usciti fuori dall’area tecnica per pochi centimetri».

Alla fine, non è che la stessa Juve a rischiare di pagare il prezzo più alto?

«Non è un caso, infatti, che il club bianconero dichiari il proprio imbarazzo per questa situazione».

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Antidoto ai veleni:

moviola in campo

Replay immediato per

il fuorigioco, condotta

violenta e il gol fantasma

Proposta per evitare altri casi Catania-Juve:

gli arbitri non sarebbero più gli ultimi a sapere

di PAOLO CONDÒ (GaSport 30-10-2012)

Mentre l'arbitro Gervasoni febbrilmente discute col guardalinee Maggiani la dinamica che ha portato al gol di Bergessio, i giocatori della Juve, che stanno assediando a gran voce Maggiani, non possono avere certezze. Ma pochi secondi dopo la decisione di annullare - esattamente 19 in base ai calcoli di Sky, che manda il primo replay un minuto e 3 secondi dopo il gol - la verità comincia a diffondersi nello stadio Massimino. I giocatori in panchina la apprendono dai giornalisti che curano il bordocampo, e ovviamente ne informano subito i compagni: a urla furiose i catanesi, con cenni discreti gli juventini. In tribuna c'è chi si è portato dietro il tablet, sa tutto in tempo reale, e la consapevolezza dell'errore si allarga fra la gente a macchia d'olio. Sarebbe divertente conoscere i dati delle celle telefoniche che coprono lo stadio, perché fra chiamate e sms per un paio di minuti il traffico avrà toccato un picco mostruoso. E' certamente ragionevole pensare che cinque minuti dopo il gol di Bergessio l'intero stadio conosca la verità. L'intero stadio tranne sei persone, l'arbitro Gervasoni e i suoi assistenti: il problema è che sono state quelle sei persone a prendere la decisione.

I tempi cambiano Beh, è surreale. Come ha scritto ieri su questo giornale Alessandro de Calò, per risolvere ogni dubbio con l'instant replay sarebbe bastato il tempo in cui l'«assemblea condominiale» dei sei arbitri ha partorito la decisione sbagliata. Può darsi che il Collina dei bei tempi sarebbe riuscito a rimontare l'errore, dirigendo bene da lì sino al 90' malgrado l'ambiente inferocito. Gervasoni e per il molto di sua competenza Maggiani non ci hanno nemmeno provato, travolti dal peso di uno strafalcione che almeno all'intervallo, ma probabilmente anche prima, è stato loro comunicato. Questa domenica è stata perpetrata una grave ingiustizia ai danni del Catania. Ma ogni domenica sono tutti gli arbitri e i segnalinee a patire l'ingiustizia altrettanto grave di essere le uniche persone all'interno dello stadio prive di un supporto tecnologico che possa aiutarle a capire cos'è successo. Tutti quelli che non decidono, entro pochi secondi sanno; quelli che decidono, invece, devono farlo al buio. E non è vero che è stato sempre così. Un tempo gli spettatori avevano la certezza di ciò che era successo non allo stadio ma a casa dopo le 22, quando Carlo Sassi alla Domenica Sportiva chiedeva all'operatore Heron Vitaletti di azionare la moviola. Lo spettacolo sportivo si è molto evoluto nel tempo; difficile capire perché solo gli arbitri debbano restare all'età della pietra.

Quattro verità Nella nona di campionato la moviola in campo avrebbe ristabilito oltre ogni ragionevole dubbio quattro verità andate perdute: il gol di El Shaarawy era da annullare per fuorigioco di Abate, il gol di Bergessio era regolare, il gol di Vidal andava annullato per fuorigioco di Bendtner, il gol di Mauri era regolare. Si dice che spesso nemmeno la moviola risolva un dubbio, ed è vero per quanto riguarda i falli da contatto. Infatti noi pensiamo che l'instant replay vada introdotto esclusivamente in tre casi: fuorigioco, gol/non gol e condotta violenta. Nove volte su dieci il replay rivela chiaramente la posizione di un giocatore, e comunque aiuta a capire se la palla ha passato la linea di porta. Per quanto riguarda i fallacci non visti, ma così chiari da fare scattare la prova tv, giustizia vorrebbe che il provvedimento venisse preso subito. In alternativa, si potrebbe mutuare il regolamento del tennis: come lì la possibilità di ricorrere all'occhio di falco ha totalmente svelenito il clima, così una squadra che — diciamo — due volte a gara potesse chiedere il replay di un'azione conclusa non avrebbe poi ragioni per recriminare. E magari è proprio questo che non piace.

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Tanto è un gioco di LUIGI GARLANDO (GaSport 30-10-2012)

Via il fuorigioco?

Ma non è più calcio

Crea problemi, però la norma

protegge il talento e argina i muscoli

Basta moviole millimetriche, polemiche gastro-corrosive, bandierine selvagge, mogli o fidanzate che chiedono lumi sulla regola. Si abolisce il fuorigioco e buonanotte ai suonatori. Via il dente, via il dolore. In contingenze febbrili, tipo questa post-Cibali, la tentazione della soluzione radicale sorge spontanea. E mica solo i khomeinisti del Bar Sport. Un paio di anni fa, marzo 2010, si sparse la voce che lo stesso Joseph Blatter, gran ayatollah della Fifa, avesse intenzione di abolire il fuorigioco e per questo avesse chiesto informazioni all'omologo dell'hockey su prato che nel 1998 aveva proceduto al passo. Le regole si dimostrano imperfette? L'occhio umano inaffidabile? Le tecnologie pericolose? Non si riesce a mettere a punto un sistema di polizia per arrestare i palloni fuorigioco? Estinguiamo il reato. Semplice.

La sola ipotesi crea d'istinto un'ebbrezza di libertà, come l'austerity negli anni Settanta che consentiva di salire sulla tangenziale milanese con i pattini a rotelle. Un senso di liberazione anche tattica. Gli attaccanti potrebbero bivaccare in area, i difensori sarebbero costretti a pedinarli, le squadre diventerebbero necessariamente lunghe e in quei nuovi spazi aperti il pallone potrebbe rotolare molto più libero e lo spettacolo ci sguazzerebbe. Mai più linee difensive che salgono fameliche, accorciano e intrappolano la partita in spazi angusti da metropolitana di Tokyo fino allo stallo tattico. Mai più incontri spezzettati da sbandierate isteriche. Davvero? Siamo sicuri? Lasciate depositare l'ebbrezza istintiva dell'ipotesi e vi renderete conto che non è proprio così.

Asportato il fuorigioco, il calcio diventerebbe un altro sport. Con un paio di pivot da basket piazzati nell'area avversaria come sotto canestro e un poderoso kicker da football americano in grado di raggiungerli da 60-70 metri, un allenatore allestirebbe una squadra competitiva. Il calcio è un'altra cosa. L'anima del calcio non è il gol; il gol, in realtà, è solo la fine del gioco. La vera anima del calcio è il gioco, è come si costruisce il gol. Senza fuorigioco, il pallone sorvolerebbe il centrocampo come un oceano. Ma se oggi il calcio ha alle spalle una storia tanto felice, è per tutti i fuoriclasse che hanno navigato quell'oceano. Pensate alla leggendaria traversata di Maradona con l'Inghilterra, nel mondiale messicano; pensate che cenacolo di artisti è la splendida mediana del Barcellona. Quando nel 1863 la Football Association codificò per la prima volta le regole del calcio, stabilì che fossero in fuorigioco tutti i giocatori davanti al compagno che ha calciato il pallone. In pratica, si poteva passare la palla solo all'indietro, come nel rugby, dalle cui costole era nato.

Perché? Perché era considerato sleale andare oltre l'avversario senza affrontarlo. Il calcio veniva infatti chiamato «dribbling game». Il fuorigioco, ridotto in tempi moderni a scorciatoia difensiva, è nato come regola nobile e continua ad esserlo. Costringe ancora alla sfida di abilità. Rimpicciolisce gli spazi, incorona chi sa imbucarli con più talento (Messi), chi brucia il tempo con ingegno (Inzaghi). Libera il calcio dalla tirannia dei muscoli. Senza fuorigioco, il calcio non sarebbe l'intrigante scacchiera tattica di tanti allenatori fini, ma una zuffa di pallonate da oratorio. Alla fine, anche se ogni tanto fa male, meglio tenersi il dente. E siate pazienti con moglie e fidanzate.

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Maggiani, il web e lo stemma Juve: è giallo

L'Aia: «La pagina Facebook non è sua».

Ma il guardalinee sapeva? E intanto sarà fermato un mese

Sui fuorigioco sbagliati di Catania: «Sono errori, ma io mi sento sereno»

di ALESSANDRA GOZZINI (GaSport 30-10-2012)

È ri-successo: Maggiani annulla quanto finisce in rete. Benvenuti dentro l'ultimo giallo intorno a Catania-Juve. Dopo il fuorigioco di Bergessio, la moviola mostra la posizione irregolare del profilo Facebook dedicato (non appartenente) all'assistente. Per capire la distinzione ecco un breve dizionario per chi non è interconnesso; il «profilo» è una pagina personale di ogni utente iscritto al social. Il «profilo pubblico (o fan page)» come quello di Maggiani è una sezione dedicata a un'organizzazione, ente o personaggio noto, che può essere creata dallo stesso o da un terza persona. Fatta la premessa, ad avviare la navigazione è Antonino Pulvirenti: «C'è lo scudetto della Juve sul profilo di Luca Maggiani, la sudditanza psicologica mi sembra evidente» informa il presidente del Catania a Radio Anch'io Sport.

Stop Secondo l'Aia (Associazione italiana arbitri) Pulvirenti è finito in off-side. La notizia secondo la quale Maggiani «sia titolare di un profilo personale o di una pagina sul social network Facebook è destituita di ogni fondamento». L'Aia sbandiera anche l'episodio alla Procura federale perché «accerti le responsabilità di soggetti eventualmente tesserati», stessa linea seguita da Maggiani, che sull'episodio ha richiamato l'attenzione della Polizia Postale. L'Aia prende anche altri provvedimenti: Maggiani è stato fermato, non scenderà in campo nel prossimo turno, e probabilmente non lo farà per il prossimo mese. E a fine torneo l'assistente verrà dismesso per sopraggiunti limiti di età. L'assistente non commenta il caso scoppiato on-line, ma tra virgolette infila comunque questa dichiarazione: «Sono sereno, molto sereno. Può capitare di sbagliare e capiterà ancora».

Facebook Il giallo resta però intrappolato nelle rete: il profilo di Maggiani, una fan page con 2.340 iscritti (seguaci da tastiera aumentati nelle ultime 48 ore) contiene tra le informazioni personali il contatto web della «Raggio Verde», società di cui Maggiani è realmente l'amministratore delegato. Altri web-thriller: il sito della Raggio Verde risultava ieri irraggiungibile. E poi ecco le foto postate (= pubblicate su internet) all'interno della pagina facebook, che risultano tutte caricate nei mesi scorsi: nove immagini ritraggono Maggiani in posa, con la divisa gialla fosforescente da guardalinee in compagnia di ragazzi e ragazze (alcuni effettivamente riconosciuti dall'assistente); un'altra lo inquadra sorridente al volante di un'auto sportiva. E poi l'immagine del gagliardetto incriminato, il logo della Juve che dopo il putiferio on-line viene sostituito con quello dello Spezia. Lampeggiano, senza essere rimossi, anche un' infinità di insulti del tifo anti-bianconero.

Ipotesi Se davvero Maggiani non è il titolare del profilo, chi altro può aver creato il cyber-caos? E Maggiani, visto il contenuto personale di foto e info, era a conoscenza del profilo? (Se si, non ha comunque alcuna colpa). 1) Può essere stato un conoscente del guardalinee, magari un giovane collega della sezione di La Spezia, che in buona fede ha montato il pasticcio. Versione che spiegherebbe l'inserimento di informazioni personali e delle foto posate. 2) Chi ha creato il profilo di Maggiani non è un conoscente dell'assistente ma un internauta che ha raccolto in rete info e immagini e che ha poi maliziosamente inserito la foto del logo juventino (poi sparito). Versione che spiegherebbe la non-chiusura dell'intero profilo: qualcuno evidentemente si diverte a tenerlo acceso. 3) E se l'hacker fosse Bergessio?

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Romagnoli dopo il gol di Muntari è tornato a fare il commercialista. Maggiani, giallo sul web

La dura vita dei guardalinee

famosi soltanto per un errore

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 30-10-2012)

Il guardalinee Luca Maggiani (Catania-Juventus, Bergessio), 44 anni di La Spezia, titolare di un negozio di giardinaggio rischia ora di fare la fine del guardalinee Roberto Romagnoli (Milan-Juventus, Mun-tari), 45 anni di Macerata, commercialista. Il secondo non sventola più e calcola l’Imu, il primo potrebbe restituire le sue braccia all’agricoltura. Duro è il destino degli sbandieratori, labile come uno stendardo agitato dal vento e strappato dalla tempesta.

Messo in croce dall’“arbitro addizionale” Rizzoli, vero artefice della farsa catanese premiata peraltro con la designazione per Palermo-Milan, così Rizzoli non deve neanche spostarsi dalla Sicilia, lo sventurato Maggiani è rimasto fregato pure dal social network (Facebook e Twitter andrebbero vietati ai maggiori di anni 25): il presidente del Catania, Pulvirenti, ieri di prima mattina ha infatti scoperto che nella pagina Facebook “Luca Maggiani” figurava nientemeno che lo stemma della Juve. L’associazione arbitri smentì e minacciò querele, lo sventurato rispose (e negò), lo stemma sparì e rimase solo quello dello Spezia: sempre di bianconeri si tratta. «Ho sbagliato ma sono sereno, gli errori capitano e capiteranno ancora», ha detto Maggiani: si riferiva al fuorigioco, non a Facebook.

Il guardalinee ha una vita grama e laterale, è un arbitro ma non arbitra, si allena ogni giorno, viaggia un sacco, ha superiori severissimi, quando azzecca è normale ma quando fallisce lo fanno a pezzi. Il povero Romagnoli, accecato da Muntari, rimase a lungo fermo, poi lo ripescarono per fargli chiudere la stagione, infine venne “dismesso per limite di permanenza nel ruolo”. Il suo sodale Maggiani alza e abbassa la bandierina da un decennio, in Italia e all’estero (dal 2004), tutto cancellato in 45 secondi, l’eternità che ha trasformato l’esattezza in svarione: rispetto a Romagnoli aveva pure visto giusto, ma non ha avuto il coraggio di difendere il suo primo sguardo, così l’errore è più grave e profondo. A quest’ora avrà capito, realizzato, forse elaborato. Solo, non ce lo faccia sapere su Facebook.

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Il problema di girarsi (la Repubblica SERA 29-10-2012)

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Parola d'ordine di GABIELE ROMAGNOLI (la Repubblica 30-10-2012)

Il nichilista che annunciò

la nuova morte del calcio

Per Pulvirenti è decisivo che prima o poi l’ingiustiziasia uguale per tutti. E non si può evitare

Μinchia, Pulvy! Doveva pur arrivare un nichilista assoluto a seppellire le nostre malate speranze. A dirci che è finita: «Il calcio è morto» ma, quel che è peggio, continua. Il risultato è falsato, la vita è ingiusta. E noi che cosa ci possiamo fare? «Una ɱinchia». Finalmente. I padroni vogliono fare la rivoluzione, i moderati le riforme (un cicinin, qualche ritocchino), questo ragioniere ha fatto due conti e tirato le somme: quel che ci si può fare è «una ɱinchia». E noi che ne avevamo sentore accogliamo il verbo come una liberazione. Magari ci aspettavamo una fonte più alta, ma va da sé che un filosofo della ɱinchia debba essere low.

Arriva in conferenza stampa, tira su la zip del pullover ed è come se caricasse l’arma. Patire (o credere di aver patito) un’ingiustizia può fare effetti diversi. Alcuni si deprimono, altri si gasano, altri ancora fondano un partito. Lui, la seconda che ho detto. Non è uomo da ribalta, ce lo sospinge quel gol validissimo del suo Catania annullato dopo 40 secondi e rotti da Pepe e Giaccherini, da Conte e Agnelli, la Madonna incoronata e Gesù Bandito. Lo stana l’enormità del fatto, la necessità di una reazione. Di suo, Nino Pulvirenti starebbe meglio low, nell’ombra. È un ragioniere di Belpasso, un Tanzi del Sud. Tutte le sue schede biografiche ricordano due passaggi fondamentali: la rivista Capital lo ha eletto “imprenditore dell’anno” nel 2006 e Pippo Baudo l’ha proclamato “self made man”. Con il tempo ho imparato a preferire i figli di papà: almeno sai da dove venivano i soldi. Ha riempito un vuoto di (super) mercato puntando tutto sugli hard discount. Seguendo la filiera del low ha creato una compagnia di bandiera siciliana a basso costo che, come tutte le peggiori compagnie aeree, sta per risorgere dalle proprie ceneri regalando i debiti alla bad company. Si è anche gettato nell’alimentare, con una catena di fast food per ricette tradizionali chiamata Sorsy e Morsy, Pulvy. Nel calcio si è autopromosso. In Interregionale con il Belpasso, in C1 con l’Acireale, in B e poi stabilmente in A con il Catania. Fino all’anno scorso durante e dopo la partita avrebbe mandato avanti il suo amministratore delegato Pietro Lo Monaco, ma in estate hanno divorziato dopo aver passato una vita a separarsi il martedì e riprendersi il giovedì.

E così Pulvy è rimasto solo davanti all’infamia del destino e degli arbitri. Lo accusano di aver minacciato i suoi piloti, di regalare biglietti in tribuna ai magistrati di Catania, ma arriva il giorno in cui non si può più influenzare il corso della storia. Quel giorno, di solito, hai davanti la Juventus. È un fenomeno strano, ma è così. La Juventus ha una funzione sociale. Direbbe Totò, è come la morte: livella. Tu sei Berlusconi? E ti becchi il gol non dato a Muntari. Sei Pulvy? E ti becchi quello annullato a Bergessio. È decisivo rendersi conto che l’ingiustizia è, prima o poi, uguale per tutti. E che le possibilità di evitarla sono vicine allo zero. Per essere esatti: «una ɱinchia». Ti hanno venduto un biglietto aereo ma la compagnia non vola più né risarcisce? Avevi un contratto di lavoro ma il locale chiude e non ti paga manco la liquidazione? Il fuorigioco è come le targhe alternate, certe domeniche solo alcuni possono circolare impunemente? Non è giusto, ma che ci puoi fare? S’è detto, anzi: l’ha detto.

La «morte del calcio» è un fenomeno così ricorrente da non valere più mezza lacrima. A seconda delle opinioni il decesso è avvenuto il giorno della sentenza Bosman, la notte di Marsiglia o magari in un pomeriggio del 2007, proprio a Catania, in cui uccisero l’ispettore Raciti. Poi, è sempre rinato. Che ci sia del marcio in tutta la faccenda è talmente evidente che ogni forma di stupore suona sospetta. Le scommesse, le plusvalenze, le violenze sono tutti fatti così scontati da diventare inevitabili perché chi li condanna ne è parte. Nessuno si scandalizza a lungo. Oggi nuovamente si gioca e subito dopo nuovamente si esterna. Anche il codice mediatico ha le sue ingiustizie. Se alla domanda: «Che cosa si può fare contro il ripetersi di questi fattacci?» Pulvy avesse risposto: «Niente, purtroppo », sarebbe tornato nell’ombra. Così, si è conquistato un quarto d’ora di luce, ha ridefinito la misura delle illusioni, ridotto ogni aspirazione al cambiamento del sistema a un unico comune denominatore.

Quale, non occorre ripeterlo.

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L’analisi

Da Pechino a Catania il caso Rizzoli: perché in campo cambiano decisioni ed equilibri

Quel fascino di potere e gettoni

sconvolge le gerarchie arbitrali

di ANTONIO CORBO (la Repubblica - Napoli 30-10-2012)

La domenica nera degli arbitri scopre una ordinaria storia di ingiustizia nel calcio. La novità degli arbitri piazzati dietro le porte, buona idea realizzata male, si rivela un’insidia per la regolarità del campionato. Chi lotta per lo scudetto si preoccupi, quindi anche il Napoli. Oltre la rete di Buffon non c’era solo l’architetto Nicola Rizzoli, ma un sistema che dalla svizzera Nyon si dirama in Europa. Chi ha allargato lo staff da quattro a sei per dirigere le partite? Michel Platini, ex Juve, presidente Uefa. Forse su consiglio dell’ex arbitro Collina. In Svizzera, ma a Zurigo sede della Fifa, il capo del calcio mondiale Joseph Blatter sembrava preferire un “occhio di falco”, congegno elettronico per annullare i gol fantasma. È usato da anni nel tennis con grande successo. Costa 250 mila euro, su venti stadi è un business. Vince Nyon: task force di sei arbitri. È gradito perché crea lavoro: due posti e due gettoni in più a partita.

Il ruolo di “addizionale” non è però riservato ai guardalinee. Fu infatti coniato il termine «arbitro addizionale». Nessuno si ferma: dirige una gara o è designato con questa funzione marginale in serie A. Una novità che agli arbitri piace. Evitano la noia di portare i bambini allo zoo e si allarga il bonifico: spese per la missione e gettone di 1.100 euro. Due partite da arbitro (3.500 a turno) e due da “addizionale” a fine mese rendono circa 9.200 euro, oltre alla “indennità di preparazione” che vale uno stipendio. Ai guardalinee meno designazioni e solo mille euro a gettone.

Meglio sei che quattro, certo. Ma sono sconvolti gli equilibri. Accade come a Catania che diriga Andrea Gervasoni, 37 anni, uno dei 21 arbitri della Can serie A, aspirante “internazionale”. Dietro la porta, in subordine, va invece Rizzoli con titoli superiori: 41 anni, dal 2002 in A, internazionale già dal 2007. È qui la chiave. Il guardalinee Luca Maggiani concede il gol, è lui che deve vedere l’eventuale fuorigioco. Ma in plausibile soggezione ascolta Rizzoli, che è nella posizione prospettica, la peggiore. E cambia idea. Gervasoni adotta infine la linea Rizzoli, ovvio. Da posizione defilata Rizzoli influisce ancora sull’arbitro e su una partita della Juve. Questa la ricostruzione dominante. A Pechino nella burrascosa finale suggerì un rigore chiacchierato di Fernandez su Vucinic, domenica ha fatto annullare un gol limpido al Catania. L’errore falsa la partita della Juve, quindi la sua distanza dal Napoli. Stefano Braschi si precipita a comunicare che è stato un errore. Fa nome e cognome: Luca Maggiani, l’assistente. Guarderà per molto tempo le partite in tv da La Spezia. Nessuno ha voluto capire che cosa davvero sia successo in quei 44 secondi di dibattito. E chi non conosce il mondo degli arbitri si chiede oggi: perché sia stato premiato Nicola Rizzoli, arbitro domani di Palermo-Milan? Il calcio è una metafora della vita. Solo in chiesa dicono che il debole può vincere sul forte.

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Arbitri, squadra a parole

Per l’errore di Catania

paga solo il guardalinee

Sospeso l’assistente Maggiani: “Ho sbagliato, capiterà ancora”

UN EX FISCHIETTO «I big che fanno i giudici d’area? Sono le richieste Uefa»

di MARCO ANSALDO (LA STAMPA 30-10-2012)

Il colpevole è Maggiani. Se non bastassero le parole dei dirigenti arbitrali («Purtroppo è stato un errore importante di uno dei nostri migliori assistenti», ha detto il presidente dell’Aia, Nicchi) le designazioni per il turno infrasettimanale dimostrano che le colpe del pasticciaccio di Catania sono state addossate esclusivamente sul guardalinee spezzino. Lui sta al palo, invece Rizzoli stasera dirigerà Palermo-Milan e Gervasoni sarà l’arbitro di porta a Cagliari, anche se ci si aspettava una punizione per non aver neppure ammonito gli juventini che dalla panchina si sono scagliati verso di lui e il guardalinee. «Può capitare di sbagliare e capiterà ancora», si è scusato Maggiani cui non è stato permesso di spiegare il suo punto di vista per l’assurda regola del mondo arbitrale per cui parlano soltanto i dirigenti: «Sono molto sereno» si è limitato ad aggiungere. I confabulanti dell’auricolare seguono dunque destini diversi. «Maggiani - commenta un ex arbitro internazionale, che non vuole apparire in prima persona - ha sbagliato la valutazione visto che decidere se Bergessio era o meno in fuorigioco è una prerogativa dell’assistente. Quali colpe si possono addossare agli altri?». Emerge uno strano quadro perchè a pagare è uno mentre si sostiene di essersi spostati verso il lavoro di squadra, un “team” di sei persone che ormai serve il pullmino e non più il taxi per portarle allo stadio. «Cambia la filosofia nel dirigere la partita», ci spiegano. Uno dei problemi è che come tutti i cambiamenti serve il tempo per digerirli e raggiungere l’equilibrio nei rapporti interni. Il nervo più scoperto è la presenza dei due arbitri addizionali, sono la risposta di Platini (e non di Blatter, il presidente dela Fifa) all’impiego della tecnologia. Il campionato italiano è l’unico ad averli adottati, finora si erano visti soltanto nelle competizioni europee. «Il fatto che vengano designati per quel ruolo arbitri di primissima fascia, come era Rizzoli a Catania, o come succede a Tagliavento e a Rocchi, sembra una stranezza ma non lo è - spiega l’ex arbitro -. L’Uefa chiede che si scelgano elementi molto qualificati e dello stesso livello del primo arbitro». Se ne intuisce la ragione. Se con questo “escamotage” si vogliono limitare gli errori nel valutare gli episodi in area, bisogna destinarvi i più attenti e preparati, con un’esperienza maturata nelle partite internazionali. Il rovescio della medaglia è che uno come Rizzoli, giudicato a torto o a ragione il “top” del movimento, può condizionare psicologicamente tutto il team. «È quello che si diceva anche quando si inventò la figura del quarto uomo che talvolta era più esperto e con più carisma del primo arbitro. Alla lunga si è visto che non è così». Ma Rizzoli quanto ha pesato sulla decisione di Catania? Nelle gerarchie arbitrali passa la linea minimalista. Gli sarebbe stato chiesto da Maggiani e Gervasoni se qualcuno del Catania avesse toccato la palla dopo Spolli e prima che colpisse il palo e lui avrebbe semplicemente risposto alla domanda, indicando Lodi. «Non c’era nessuna volontà di condizionamento». È una tesi contestata da chi ritiene che Rizzoli sia intervenuto prima che lo consultassero, alimentando i dubbi del guardalinee. «A Catania c’è stato l’errore dell’assistente e non dell’arbitro d’area - ha tagliato corto il designatore Braschi Maggiani non ha letto bene l’azione e non aveva certezze». E se le aveva gliel’hanno fatte passare in 45 secondi.

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Fischietti e veleni

Pulvirenti: «Rigiochiamo». Per Nicchi è tutto ok

Da Catania a Firenze una domenica falsata dagli errori dei giudici di gara. Nervi tesi un po’ ovunque, ora èla Juve ma gettare acqua sul fuoco

Abete(Figc):«È stata una settimana no, ma evitiamo di criminalizzare giocatori, società e arbitri»

di SIMONE DI STEFANO (l'Unità 30-10-2012)

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GLI ERRORI DI CLATTENBURG IN MANCHESTER-CHELSEA DA NOI SUONANO COME UNA MAGRA CONSOLAZIONE. Da noi è la normalità, e la bufera dopo gli orrori dell’ultima domenica di serie A parte come l’uragano «Sandy» da Catania (gol annullato ingiustamente a Bergessio contro la Juve che poi ha vinto per la rete irregolare di Vidal), divampa a Firenze (doppia espulsione e gol annullato ingiustamente a Mauri in Fiorentina-Lazio) passando per la notturna romana (rigore inesistente di Castan su Pereyra assegnato dall’assistente di porta di Massa), dietro l'intuizione, tutta italiana (nel senso che le altre federazioni se ne sono ben guardate dall'applicarla) di usare da subito gli arbitri di linea. Si parla di Juve, e si torna alla sudditanza psicologica, sul banco degli imputati tutta l’Aia («In Serie A più gli dai e meno apprezzano», dice stizzito il presidente degli arbitri, Marcello Nicchi) e la Federcalcio: «È stata una settimana no, ma evitiamo di criminalizzare giocatori, società e arbitri, che hanno tutto l’interesse di operare professionalmente bene», ha tenuto a precisare il presidente della Figc, Giancarlo Abete, ma l'ambiente è talmente saturo di polemica che è un ripetersi continuo di repliche al veleno. Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, da tempo si trova a constatare: «Basta con i ricorsi, la rovina del calcio siete voi». Il numero uno dello sport italiano non fa distinguo, lo aveva gridato in faccia al presidente della Lega Pro, Mario Macalli e ieri lo ha ribadito a tutto il mondo del calcio italiano: «L’ho detto, lo ripeto e lo ripeterò oggi: i mali del calcio arrivano dall’interno - ha spiegato Petrucci - ognuno vuol dare lezioni all’altro, invece dovremmo essere più umili tutti quanti. Due allenatori sono stati straordinari per come hanno reagito, Petkovic e Montella. Tutti dovrebbero prendere esempio da loro. Il calcio è bello ma non è il paradiso: ogni sentenza del giudice sportivo non può essere un dramma, sembra che la colpa sia di Palazzi o della Federazione, bisogna tornare con i piedi per terra».

Il calcioscommesse estivo ha aizzato gli animi, tra sentenze e patteggiamenti facili, ma si sperava che con il ritorno al calcio giocato le cose potessero cambiare. Niente di nuovo invece dal fronte. Bruciato da una sconfitta immeritata, il patron del Catania Pulvirenti ieri sembrava delirare per radio al solo pensiero di Luca Maggiani (che al contrario diceva: «Sono molto sereno, può capitare di sbagliare e capiterà ancora»), il guardalinee che ha annullato la rete di Bergessio dopo 45 secondi di esultanza siciliana: «C’è lo scudetto della Juve sul profilo Facebook di Luca Maggiani. Tutti possono tifare per la squadra che vogliono – ha detto Pulvirenti a Radio Anch’io lo Sport- ma dopo quello che è successo domenica, ditemi voi che cosa dobbiamo pensare. L’errore lo accettiamo, è successo qualcosa di più. La sudditanza psicologica mi sembra evidente. Se è un falso profilo lo invito a denunciare, in caso contrario a toglierlo». Al di là della polemica sul profilo Facebook subito smentita dall’Aia («Il profilo è falso»), cade subito nel nulla la richiesta del numero uno degli etnei: «rigiochiamo la partita ». Secca la risposta del presidente dell’Aia, Marcello Nicchi: «Rigiocare Catania-Juventus? No, non si tratta di un errore tecnico, ma di un’errata valutazione». Da squadra graziata, la Juve tende ad abbassare i toni con l'ad Beppe Marotta: «Rigiocare la gara? Mi sembra assurdo. In Manchester-Chelsea ci sono stati errori clamorosi, come quelli accaduti a Catania e non mi pare sia successo niente. O si accettano o il calcio non cambierà mai. Parlare di sudditanza mi sembra esagerato, domenica c’è stato un errore dell’arbitro e basta».

Alla fine si torna al solito vecchio dilemma della moviola in campo. «È indispensabile, così si evitano recriminazioni», tuona Lotito. C'è chi la vede come il demonio (la Rai ha deciso di abolirla anche dalle trasmissioni, Nicchi continua a difendere l’occhio umano), in sede al Palazzo invece sarebbe acqua santa, ma al momento impossibile per il veto della Fifa: «La moviola in campo? La vediamo lontana anni luce». Parola di Abete. Come dire, non sputate sul piatto dove mangerete ancora per tanto, troppo tempo.

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Il pallone di Luciano

Una volta era colpa mia, e ora?

Che errore aumentare gli arbitri

di LUCIANO MOGGI (Libero 30-10-2012)

Sono tanti gli arbitri di una partita, invitarli tutti a cena, anziché mandarli ad arbitrare, potrebbe mettere di fronte ad un conto troppo salato, se invece vengono mandati in campo tutti assieme e per una stessa partita, è come assicurare un casino quasi certo, visto che nessuno sa o vuole recitare la propria parte.

Esemplifichiamo portando il nostro pensiero. Per quanto attiene il fuorigioco gli arbitri devono necessariamente seguire le decisioni dell’assistente di linea, i giudici di porta invece si chiamano così perché devono osservare se il pallone varca la linea o meno , il famoso “gol non gol”. Quest’ultimi, o meglio alcuni di loro, si atteggiamo però ad arbitri veri e propri dando indicazioni che non dovrebbero, ad esempio nel fuorigioco, infatti il giudice di porta è nelle stesse condizioni dell’arbitro nella valutazione del fuorigioco, solo l’assistente, che dovrebbe stare in linea, può decidere.

C’è sudditanza

Ed è il caso di Catania-Juve dove l’assistente Maggiani, che aveva convalidato il gol regolare del Catania, si è fatto poi confondere da Rizzoli che, in queste vesti, riesce a fare quasi sempre quello che non dovrebbe disorientando le idee a tutti, arbitro Gervasoni compreso, facendogli annullare il gol. E Rizzoli, in questa veste, non è nuovo a decisioni sbagliate: basta ricordare il rigore che permise alla Juve di raggiungere il pareggio (2-2) nella Supercoppa di Pechino contro il Napoli, quando riuscì a confondere le idee all’arbitro Mazzoleni facendogli concedere un rigore inesistente.

Nonostante ciò, (che avvantaggia ovviamente i bianconeri), siamo comunque del parere che la Juve sia la vittima di una situazione paradossale che investe il mondo del calcio e i suoi troppi interessi, soltanto colpevole di essere ritornata a far paura, colpevole di aver vinto il campionato 2011-12 e di essere in testa alla classifica in questo 2012-13, vittima anche di quella sudditanza psicologica che Gussoni disse essere nata con il calcio. E le vittime sono di solito perseguite, magari dagli arbitri stessi, che, impauriti dal baccano di Catania, staranno attentissimi a non sbagliare a favore della Juve, che vuol significare poi andarle contro.

Niente di nuovo

Accadeva e accade, quindi niente di nuovo sotto il sole. Il tipo di accuse alla Juve, se possibile più becero che mai, le circostanze queste sì abbastanza singolari, un consulto di 44 secondi tra i molti (troppi) arbitri in campo, Nicchi e Braschi ad ammettere poi che era stato un errore dell’assistente. E se questo significa, come significa, che la Juve non c’entra niente, ci tornano alla mente i fatti del passato, quando ad ogni costo si volevano vedere maneggi e complotti, rifiutando l’esistenza di semplici errori. Pulvirenti immaginifico, «è stata la panchina juventina a fare annullare il gol».

La mezza gamba di Bendtner in fuorigioco sul gol di Vidal ha fatto poi il resto. La giornata è stata un fiasco per gli arbitri e gli assistenti, Zeman sul rigore dato all’Udinese non ha torto ad arrabbiarsi, sugli altri campi c’era un rigore per la Lazio e il gol di Mauri era valido e al San Paolo manca un penalty per il Chievo.

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DELIRI POST CATANIA

Chi sbaglia non paga

L’Aia «premia» Rizzoli e Gervasoni, Agnelli ordina il silenzio stampa,

Pulvirenti spara: «Il guardalinee tifa Juve». Che figura il nostro calcio

di TOMMASO LORENZINI (Libero 30-10-2012)

Catania-Juve non è ancora finita, e con Juve-Inter in programma sabato ne sentiremo ancora parlare. Dunque ricominciamo con Nicola Rizzoli, assistente dell’arbitro Gervasoni, piazzato domenica dietro la porta del gol regolare annullato a Bergessio (che proprio lui ha fatto cancellare, ricostruzione della giornalaccio rosa alla mano) e di quello irregolare concesso a Vidal.

Braschi, il designatore, lo ha spedito a dirigere stasera la delicata Palermo-Milan. In tempo di tagli vien da pensare che la designazione fosse già stata stabilita; Rizzoli è già in Sicilia, risparmiamo. Fosse così, sarebbe grave il non aver riconsiderato la scelta alla luce delle polemiche. Se invece Rizzoli è stato consapevolmente spedito a Palermo, viene il sospetto che la lucidità non manchi solo a guardalinee & C. Anche perché i suoi precedenti con rosanero e rossoneri sono da allarme rosso. Nel 2009, proprio in casa Milan, Rizzoli “aprì” il 3-0 del diavolo sul Palermo con un rigore dubbio concesso ad Ambrosini e poi cacciò per doppio giallo il palermitano Bovo «con la faccia da sadico», come esclamò patron Zamparini. Pure il Milan si ricorda di Rizzoli, fu lui a espellere Ibra per lo schiaffetto ad Aronica lo scorso febbraio: 3 giornate e match scudetto con la Juve saltato. In questi primi mesi nelle vesti di “sesto uomo” Rizzoli è stato spesso protagonista: 2 settembre, Udinese-Juve, Valeri è “tradito” da Rizzoli sul rigore e rosso a Brkic, ma il fallo su Giovinco è di Danilo; 7 ottobre, nel derby di Milano fa annullare a Valeri (ce l’ha con lui?) il gol di Montolivo. È lo specchio del fallimento dell’innovazione cara a Platini. Non solo il giudice di porta non aiuta a risolvere, ma con 6 persone a decidere (e abbiamo visto come Gervasoni abbia pagato “sudditanza psicologica” verso il più blasonato Rizzoli) si moltiplica per sei la possibilità di errore umano. «E bisogna pensare che sia solo un errore», chiosa Moratti.

Così, mentre Gervasoni domani arbitrerà Cagliari-Siena, il segnalinee Luca Maggiani (che a febbraio in Lazio-Milan 0-0 fece convertire all’arbitro Damato il fallo di mano da rigore di Dias in fuorigioco di Ibra) viene messo a riposo. L’Ansa lo ha raggiunto telefonicamente, lui, ricordando che gli è proibito parlare (divieto che la Casta degli arbitri non abolisce) si dice «molto sereno». Intanto qualcuno ha fallito pure nella realtà virtuale. A “Radio anch’io” il patron del Catania, Antonino Pulvirenti, aveva attaccato: «Mi sono collegato al profilo Facebook di Maggiani e c’è lo scudetto della Juve». Logo pubblicato vicino a quello dello Spezia (Maggiani vive là) e ad altre foto personali, ma poi sparito, mentre l’Aia, l’associazione degli arbitri, si affrettava a smentire che quello fosse il profilo del fischietto. Eppure, la pagina di Maggiani sarebbe riconducibile al sito www.raggioverde.sp.it (ieri non raggiungibile), azienda di giardinaggio. I possessori di Raggio Verde sono appunto Luca Maggiani e un altro amministratore.

Roba da moviola, come quella che a Catania avrebbe sciolto i dubbi, anche quelli di chi la reputa come inadatta alle tempistiche del calcio. Al Massimino ci sono voluti 45 secondi di caos per la decisione sbagliata: non è una perdita di tempo? Con un replay, in 10 secondi sarebbe stato tutto chiaro. Pulvirenti chiede di rigiocare (ma Nicchi lo gela: «Non è un errore tecnico, solo un’errata valutazione») e “chiama” Agnelli: «Vuole riformare il calcio? Chieda lo 0-3 contro la sua squadra. Non verrebbe approvato, ma farebbe un gran gesto». Agnelli ribadisce, «l’errore l’abbiamo riconosciuto subito, ma siamo stati professionali: a Catania insultati e sotto assedio», fa tacere i suoi (silenzio stampa alla cena coi tifosi) e annulla la conferenza pre-Bologna prevista alle 14. Tanto se ne parlerà ancora.

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FISCHIETTI E FIASCHI

L’insostenibile invadenza

del giudice dietro la porta

Il ruolo e la responsabilità dell ’arbitro centrale sono stati ormai svuotati

di GIANCARLO PADOVAN (Pubblico 30-10-2012)

Senza la presenza del giudice d'area, emblematicamente posto dietro la porta, il gol di Bergessio in Catania-Juventus sarebbe stato convalidato. E non avremmo neppure assistito al penoso siparietto dI 43”01 durante il quale i calciatori della Juventus hanno circondato l'assistente Maggiani fino a fargli credere di avere sbagliato valutazione.

Sta succedendo qualcosa di epocale nel mondo dell'arbitraggio. E non si tratta dell'introduzione prossima ventura della tecnologia (si comincerà dal Mondiale per club di dicembre). Qualcuno pensa che si tratti del peggioramento nella quantità e qualità degli errori. Altri, che questo sia la diretta conseguenza dell'abbassamento del livello di chi dirige. Invece, assai verosimilmente, stiamo assistendo allo svuotamento del ruolo e delle responsabilità dell'arbitro centrale a tutto beneficio degli assistenti (la cui segnalazione è dirimente nei casi di fuorigioco) e dei giudici d'area. I quali non decidono solo se la palla abbia varcato o meno la linea di porta o di fondo campo, ma intervengono sempre più spesso per indicare un calcio di rigore (è successo in Roma-Udinese con Cervellera ed è molto probabile che non abbia visto giusto) o per supplire all'attività dell'assistente sul fuorigioco: proprio il caso di Maggiani, il cui contributo all'errore è venuto dall'onnipresente Rizzoli.

L'eccesso di zelo di quest'ultimo è veramente disdicevole. Ne avevamo avuto prova già a Pechino, nella finale di Supercoppa tra Juventus e Napoli, quando da dietro la porta aveva decretato, di fatto, il rigore del secondo pareggio della Juve. E' successo di nuovo domenica e, ancora una volta, la sua consulenza è stata fatale alla regolarità della gara. A questo proposito non è piaciuto nemmeno l'intervento del designatore Braschi a Sky sport 24. Alle scuse, dovute, a Pulvirenti, si è accoppiata una lettura dei fatti molto parziale: «Il gol di Bergessio è regolare. Ha sbagliato l'assistente Maggiani, che pure è uno bravo. Ma stavolta ha commesso uno sbaglio e dispiace molto a tutti noi». Perché la lettura è parziale. Intanto, come già detto, il primo errore non era solo di Maggiani che, anzi, inizialmente, aveva visto giusto. E se, come tutti sanno e hanno capito, anche Rizzoli ha contribuito a farlo sbagliare, come mai Braschi non ha coinvolto pure il giudice d'area? Forse perché scaricare sull'assistente è più facile che su un arbitro internazionale? Poi sarebbe interessante capire perché Braschi imputi a Maggiani un errore (sul gol annullato al Catania) e non due, visto che sul gol di Vidal, Bendtner è in fuorigico.

Poi ci sono i dirigenti che si distinguono sempre. Quasi mai per classe ed equilibrio Pulvirenti chiedeva provvedimenti nei confronti dei bianconeri (“Serve una punizione severa per i giocatori della Juve”) invece ha ottenuto un'ammonizione con diffida per essere stato allontanato dal campo. A questo proposito, Pulvirenti dovrebbe spiegare cosa ci facesse tutta quella gente intorno al terreno di gioco, perché a Catania sia sempre così (chiedere ai calciatori della Roma cosa videro e ascoltarono il 18 maggio 2008, ultima giornata del girone di ritorno) e perché Agnelli dovrebbe esigere - sempre secondo il presidente del Catania – lo 0-3 a tavolino contro la sua squadra. Certo che sarebbe «un gran gesto». Però non esattamente in linea con gli interessi della Juve che Agnelli tutela. Più accettabile, almeno a livello di provocazione la seguente affermazione: «Rifacciamo la partita, tanto la Juventus è sicura di vincerla». Marotta touché.

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POST- MODERNO

Godard e lo sport nell’epoca

della giustizia riparativa

Da Calciopoli ad Armstrong fino al bookmaker che paga

il Catania defraudato. Benvenuti nel «Justice Payout»

La Verità del campo non c’è più. Esistono solo spirito partigiano e racconti tribali

Secondo il cineasta francese lo sport era l’unico mondo al riparo dalle manipolazioni

di PIPPO RUSSO (Pubblico 30-10-2012)

Breve riassunto delle puntate precedenti. Lo scorso maggio la Juventus torna a vincere il campionato e rivendica il diritto a celebrare il trentesimo scudetto anziché il ventottesimo, così conteggiando anche i due revocati a causa del coinvolgimento in Calciopoli. Lo slogan «Trenta sul campo» pare soltanto una trovata polemica per rinfocolare il conflitto con la Federcalcio e attizzare l’orgoglio del popolo juventino. E invece da quel momento in poi s’innesca un meccanismo grottesco e parecchio insano i cui effetti s’ingigantiscono a valanga. Poche settimane dopo tocca a Zdenek Zeman, che appena riacquisita la panchina della Roma dice la sua sul bizzarro computo; affermando che, se si guardasse agli scudetti vinti dal club bianconero in modo pulito, allora la cifra sarebbe ventidue massimo ventitré.

La scorsa domenica, poi, arriva l’accelerazione. Il bookmaker irlandese Paddy Power applica la clausola del Justice Payout (cioè del premio assegnato non già in base al risultato maturato sul campo, ma riferendosi a quello che avrebbe dovuto essere se le cose fossero andate «secondo giustizia ») e paga la vittoria del Catania due volte defraudato dal guardalinee Maggiani. Negli stessi minuti Andrea Della Valle, presidente onorario della Fiorentina, prosegue la polemica a distanza col club bianconero originata dallo scippo (mancato) del bulgaro Berbatov affermando che il suo club si sente vincitore dello scudetto perso in volata nel 1982, e auspica di festeggiarne in discoteca il trentennale. Soltanto fino a domenica scorsa Firenze soleva ricordare quello scudetto perso sul filo di gol annullati e dubbi rigori concessi con lo slogan «Meglio secondi che ladri». Adesso lo slogan potrebbe diventare: «Secondi? Ma ‘icché?».

A chi ancora non se ne fosse accorto diamo il benvenuto nell’epoca dello sport post-moderno. Quello del tempo in cui, riprendendo l’ormai classica lezione di Jean-François Lyotard, si celebra la dissoluzione delle grandi narrazioni e assieme a esse ogni pretesa di segnare una netta linea di confine tra vero e falso. In Italia il calcio ne è il palcoscenico più rutilante perché in questo paese esso è da sempre l’autobiografia della nazione. Ma non di solo calcio vive la postmodernità dello sport, e non soltanto attraverso esso scioglie nell’aria ogni pretesa d’oggettività dei fatti agonistici. Abbiamo appena sbanchettato un’intera epoca del ciclismo come immaginavamo avvenisse nelle pagine di Orwell, attraverso un intervento di mera manipolazione degli archivi. Ciò che era vero non lo è più perché era falso. E non c’è paradosso né contraddizione nella frase appena detta. Perché è vero non ciò che è vero ma ciò in cui si crede, nella stessa misura in cui una cosa è falsa non già se è non vera ma se cessa d’essere creduta.

Crollano le epopee. Rimangono piccole narrazioni espunte dell’alfa e dell’omega costituiti dalla Verità e dalla Falsità assolute. E dentro queste piccole narrazioni l’eroe di un’epoca capace di vincere le strade del mondo e il male interiore volge in fellone usurpatore della buona fede e del sentimento popolari. Dov’era l’errore? Nell ’inganno perpetrato, o nello sguardo collettivo che l’aveva accolto senza mobilitare il filtro del disincanto? Volenterosamente e inconsapevolmente celebravamo la falsità. E adesso che lo sappiamo, anziché corazzarci dentro il rigore dei fatti preferiamo mettere carburante con additivo dentro il motore delle rappresentazioni illusorie. Altre manipolazioni per il solo gusto d’affermare lo spirito partigiano, consumate attraverso il definitivo stato di guerra tra i fatti e le passioni.

Guardando a questa deriva, che non sembra più nemmeno un’insania ma piuttosto un’altra declinazione del Tempo Nuovo, tornano in mente le parole bellissime e inattuali pronunciate dal regista cinematografico Jean-Luc Godard a metà degli anni Novanta, durante un’intervista rilasciata a l’Equipe Magazine. Il cineasta affermò di amare lo sport perché riteneva fosse l’ultimo campo del mondo contemporaneo capace di esprimere delle verità. Con ciò Godard intendeva dire che in un’epoca in cui tutto è ormai opinabile e falsificabile, lo sport è un residuo campo di verdetti oggettivi e incontestabili. Dove la vittoria e la sconfitta sono esiti maturati in modo chiaro e non appellabile, al termine di prove che sollecitano agli attori performance severe, capaci di determinare secondo giustizia meriti e demeriti. Da qui la grande fascinazione per un campo dell ’agire umano che a Godard pareva messo al riparo da ogni pretesa di manipolazione.

Ripensando a quelle parole si prova un moto di tenerezza. E ci si chiede cosa direbbe oggi il cineasta davanti al caso di un bookmaker che paga come vincitrice una squadra sconfitta sul campo; e che dunque nega una verità fattuale affermandone una anti-fattuale, assegnandole persino una sanzione dalle conseguenze pratiche (l’erogazione di una vincita in denaro «come se» le cose fossero andate davvero nel modo anti-fattuale). È lo sport nell ’epoca del Justice Payout, giocato appellandosi a un criterio di giustizia morale e riparativa che nemmeno pretende d’essere universale. Basta che abbia una funzione di riduzione simbolica del torto, e di conforto per le pretese di validità avanzate dalle parti danneggiate. In un contesto siffatto la Verità non esiste più. Esistono «le» verità, versioni partigiane del medesimo esito. E assieme a loro i mille racconti tribali di cui un giorno sarà impossibile rigovernare il filo.

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Il Sole 24ORE 30-10-2012

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Il quasi scudetto del 1982

La nave, le radioline e quello scippo

che ancora fa male (trent’anni dopo)

Massaro rassicurò i tifosi dal balcone dell’albergo Poi il gol annullato. E Brady...

di DAVID GUETTA (Corriere Fiorentino 30-10-2012)

«Tingeremo il mare di viola!»: che giorni indimenticabili quelli tra il 10 e il 15 maggio 1982, ritirati in ballo domenica pomeriggio da Andrea Della Valle («quello scudetto ce lo sentiamo sul petto»). Tutti a Cagliari per il terzo tricolore, a pari punti con la Juve che gioca contro il Catanzaro di Massimo Mauro e Claudio Ranieri. Ore e ore a parlare di calcio con una speranza che più passava il tempo e più diventava una certezza, anche se qualche sospettoso come il sottoscritto non aveva capito bene il perché nel Processo del Lunedì il recente acquisto bianconero di Platini, che sostituiva il pallido Brady, veniva etichettato come «importantissimo per giocare la prossima Coppa dei Campioni». Seguì un dibattito che non teneva in alcun modo conto della Fiorentina, che invece avrebbe potuto giocare la massima competizione europea al posto dei bianconeri.

Ma erano in fondo dettagli, perché intanto arrivavano attestati di grande amicizia da parte di tifoserie insospettabili, come per esempio quella romanista. Un po’ perché l’allenatore dei viola era De Sisti e molto per via dei famosi centimetri sul gol di Turone a Torino in inesistente fuorigioco che giusto un anno prima avevano privato i giallorossi del secondo scudetto. Insomma, mezza Italia tifava Fiorentina, ma certamente non Bearzot e i dirigenti federali che vedevano come il fumo negli occhi l’ipotesi di uno spareggio che avrebbe distratto e indebolito gli azzurri in vista del Mondiale spagnolo. Poi c’era la questione dell’arbitro, niente affatto secondaria. All’epoca si potevano fare cose oggi impensabili, tipo presentarsi davanti alla finanziaria dei Pontello e aspettare di parlare con il Conte: se avevi fortuna e pazienza, ci riuscivi davvero, anche se eri l’ultimo giornalista dell’unica radio privata che in casa e in trasferta seguiva la Fiorentina. «A Cagliari vogliamo assolutamente un internazionale », mi disse il patriarca della famiglia, e fu accontentato perché nell’isola mandarono come killer il signor Maurizio Mattei di Macerata, ma ancora nessuno poteva saperlo che fosse lui uno dei due assassini. Partimmo dunque in diecimila per Cagliari e contro il Cagliari di Paolo Carosi, che era stato il primo allenatore dei Pontello. Quelli che se lo potevano permettere presero l’aereo, la maggior parte arrivò in nave, dormendo sul ponte per ripartire subito dopo la partita. Per l’evento più importante della propria storia la società viola sbagliò moltissimo. Fu infelice la scelta dell’albergo, il Mediterraneo, situato in una delle via più centrali di Cagliari e oggetto nella notte tra il 15 e il 16 maggio di schiamazzi continui che fecero dormire poco i giocatori. Ma quello che mancò fu soprattutto la preparazione psicologica. Non c’erano direttive precise, ognuno si comportava come meglio credeva e confesso di essere rimasto un po’ perplesso nel vedere Massaro alle undici della domenica mattina tenere dal balcone della propria camera una specie di comizio davanti a centinaia di tifosi già in festa per rassicurarli della sicura conquista del tricolore. Faceva un caldo atroce e la partita era in programma alle 16.30. Un’attesa e una tensione quasi insopportabile per tutti, anche per la squadra che aveva perso Pecci, l’uomo che avrebbe dovuto fosforo al centrocampo e tranquillità all’ambiente, anche perché era uno dei pochi con Graziani, Cuccureddu e De Sisti ad aver già vinto uno scudetto. A quello che succedeva Catanzaro non ci pensava nessuno in tribuna stampa, ma tutti o quasi purtroppo in campo e in panchina. La squadra infatti sembrava distratta, incapace dimordere. Ancora non facevo la radiocronaca, ascoltavo quello che diceva Ameri dalla Calabria e soffrivo enormemente fino a quando non schizzai in piedi al quarto d’ora della ripresa: aveva segnato Graziani su papera del portiere Corti e la Juve stava ancora pareggiando. In quel momento eravamo Campioni d’Italia. Durò un attimo e il risveglio fu terribile: Mattei annullò per «fallo di confusione», cioè niente perché semmai il fallo lo aveva fatto Corti, ma così aveva deciso e così fu. A un quarto d’ora dalla fine spaccai la radiolina sulla vetrata del Sant’Elia, quando comunicarono che «l’eroe» Brady, aveva portato in vantaggio la Juve.

I minuti finali li ricordo come un incubo, non ci voleva credere nessuno, ma in mezzo a decine di passaggi inconcludenti a centrocampo stavamo perdendo uno scudetto strameritato. Nel tardo pomeriggio di una Sardegna bellissima e crudele di metà maggio noi ventenni di allora lasciammo lì, in quel bruttissimo viale che costeggia il Sant’Elia, le nostre speranze calcistico-adolescenziali e ancora non sapevamo tutto. Scoprii il tristissimo finale della storia nell’albergo viola, il famigerato Mediterraneo, quando da «Novantesimo minuto» partirono le immagini da Catanzaro. Il rigore bianconero era netto (fallo di mano sulla linea su tiro di Fanna), ma prima Brio aveva steso in area con una gomitata Borghi. Fallo netto, ma Pieri aveva sorvolato. Uno che lascia correre, l’altro che fischia falli inesistenti, è così che si perdono, o vengono rubati, gli scudetti. E poi uno va a chiedere ai fiorentini il perché della feroce rivalità con la Juve…

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La giunta comunale ha approvato la delibera: lavori da concludere entro il 6 novembre

San Paolo, arrivano 109 mila euro

pronti al restyling chiesto dall’Uefa

La società anticiperà la somma. A Fuorigrotta 5 vittorie su 5

di PASQUALE TINA (la Repubblica - Napoli 30-10-2012)

Il cartello (virtuale) suona quasi come un avvertimento per chi cerca fortuna sul prato — nuovamente verde — del San Paolo. «Lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate», il messaggio (subliminale) ha un retrogusto dantesco che in Italia è diventato quasi una certezza. Il rendimento è da fortezza inespugnabile. Percorso netto in questo primo scorcio di stagione. Cinque vittorie interne in altrettante partite, numeri che legittimano il ruolo di anti-Juve al secondo posto in classifica. La striscia — a dire il vero — affonda le sue radici nello scorso campionato con il terzetto finale di sorrisi collezionato contro Novara, Palermo e Siena. La tendenza, dunque, è assolutamente positiva e sta facendo le fortune del Napoli. Seppur con meno spettatori (35 mila contro il Chievo), Fuorigrotta fa la differenza. Nell’immaginario del tifoso è un teatro solido e imponente.

L’appassionato però dimentica per il troppo amore le lacune di una struttura ormai usurata dagli anni (a dicembre saranno 53) e “mortificata” da ristrutturazioni sbagliate in occasione dei mondiali del 1990. Ma se chi ha il cuore azzurro chiude un occhio, l’Uefa non è avvezza ai facili sentimentalismi tant’è vero che ha disposto una serie di prescrizioni obbligatorie, altrimenti contro il Dnipro quasi tutti i settori resteranno chiusi lasciando senza voce quello che è considerato uno vero e proprio monumento della passione. La figuraccia avrebbe proporzioni internazionali, quindi è necessario accelerare. La “dead line” è fissata per martedì 6 novembre, a 48 ore dalla gara contro gli ucraini di Juande Ramos. Bisognerà inviare gli incartamenti fotografici dell’avvenuta realizzazione del progetto, già approvato dall’organismo europeo: gli intonaci andranno spicconati e poi ripristinati in tutta sicurezza. Nella giornata di ieri — però — ancora nessuna attività febbrile nei dintorni di Fuorigrotta. Era necessario l’atto formale della Giunta comunale che ha approvato dopo le 20 la delibera per lo stanziamento della cifra. I lavori costeranno attorno ai 109 mila euro. Il Napoli — che ha ricevuto via fax la nota ufficiale da Palazzo San Giacomo — anticiperà la somma che poi l’amministrazione restituirà rispettando, dunque, i canoni della convenzione che delega appunto al Comune la manutenzione straordinaria dell’impianto. Da stamattina, dunque, si potrà finalmente partire. Alessandro Formisano, responsabile dell’operazione, ha lavorato fino a tarda sera per mettere a punto il piano e si sta attivando con le ditte interessate che devono consegnare al più presto i materiali. Poi si procederà ad un vero e proprio tour de force per evitare che la mannaia dell’Uefa si abbatta sullo stadio. Le squadre di operai saranno pronte anche agli straordinari. Mazzarri, ovviamente, lo spera. Con Fuorigrotta dalla sua parte, sarà più facile conquistare un biglietto per i sedicesimi di Europa League. Contro Dnipro e Psv Eindhoven servono due successi, proprio come è già accaduto nella prima partita contro l’Aik Solna.

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Cagliari-Fiorentina 0-0 (serieA '81-'82)

A questo link corrisponde un video su youtube sulla partita Cagliari-Fiorentina, moviola compresa.

Il fallo di Bertoni è netto, sul difensore che lo marcava prima (spinto da dieto) e sul portiere poi (ostacolato nell'uscita), e il gol è stato giustamente annullato. Poi il penoso tifo antijuventino ha creato la leggenda dello scudetto rubato. E gli ancora più penosi tifosi viola gli sono andati dietro. Nei secoli dei secoli.

Cigliegina sulla torta nel video sentire Bertoni negare assolutamente di aver fatto qualsiasi fallo.

Mi ha ricordato Pandev che dopo aver dato del "pezzo di m...." al guardalinee giurava di non aver detto niente.

Sono questi piccoli episodi che mi ricordano quanto diverso è lo stile Juve.

Modificato da leo13

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FOTO - Catania-Juventus: Maggiani era legato a Calciopoli?

Il guardalinee al centro delle polemiche sarebbe stato anche un amico di Luciano Moggi

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CATANIA-JUVENTUS

MAGGIANI-CALCIOPOLI /

ROMA - Un fuoco di fila sta colpendo Luca Maggiani, il guardalinee di Catania-Juventus che ha annullato un gol regolare agli etnei convalidandone uno in fuorigioco ai campioni d'Italia. Il nome di Maggiani sarebbe già riconducibile a Calciopoli, lo scandalo che colpì il calcio italiano nel 2006. Il p.m. Narducci cita infatti Maggiani per un presunto rapporto d'amicizia con Luciano Moggi nel suo libro "Calciopoli. La vera storia". Vengono elencati arbitri e guardalinee che Moggi avrebbe chiesto di difendere nelle trasmissioni televisive, e quelli invece che avrebbe chiesto di stroncare.

Ecco il passaggio del libro: "Da questi colloqui, è possibile stilare un elenco – seppur solo parziale – di "amici": Pieri, Dondarini, Paparesta, Bertini, Racalbuto, Maggiani, Mitro, Cennicola, Consolo. Nell’elenco degli arbitri o assistenti che risultano totalmente indifferenti e della cui sorte Moggi è assolutamente disinteressato c’è sicuramente l’arbitro Tombolini e gli assistenti Grilli e Rossomando. Se vogliamo individuare una categoria di persone che ritiene particolarmente ostili, certamente dobbiamo menzionare l’arbitro Farina e l’assistente Copelli. Non è un’elenco casuale, non solo perché sono le parole di Luciano Moggi che ci permettono di stilarlo, ma perché è coerente con i risultati acquisiti nel corso di tutte le intercettazioni".

http://www.calciomercato.it/news/181815/FOTO---Catania-Juventus-Maggiani-era-legato-a-Calciopoli.html

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