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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Giornalista Rai: i tifosi napoletani si riconoscono dalla puzza. Sospeso

Monta la protesta sul web, il presidente dell'Ordine dei giornalisti chiede azione disciplinare

ROMA - La Rai ha sospeso il giornalista Giampiero Amandola che in un servizio per il Tgr Piemonte ha chiesto a un tifoso juventinose riconoscesse i napoletani dalla puzza. La tv pubblica definisce il servizio in questione, che ha sollevato una bufera sul web, «inqualificabile e vergognoso».

Il servizio. E' andata crescendo di ora in ora sul web l'indignazione dei tifosi del Napoli. Il servizio, andato in onda sabato nell'edizione delle 19.30, è stato realizzato all'esterno dello Juventus Stadium con i tifosi bianconeri, poco prima che si disputasse Juve-Napoli. Un minuto e mezzo pieno di riferimenti razzisti nei confronti dei tifosi azzurri. Amandola arriva a dire che «i napoletani si distinguono elegantemente dalla puzza».

Il procedimento discplinare. La Rai «nello scusarsi profondamente con tutti i cittadini di Napoli e con tutti gli italiani per l'inqualificabile e vergognoso servizio - sottolinea una nota di Viale Mazzini - comunica che il giornalista è sospeso dal servizio e nei suoi confronti l'azienda ha aperto un procedimento disciplinare. Il presidente della Rai, Anna Maria Tarantola, e il direttore generale, Luigi Gubitosi - si legge ancora nella nota - hanno espresso il loro sdegno per l'increscioso episodio e si augurano che gli uffici competenti applichino la massima celerità e severità nel giudicare l'accaduto. Il direttore generale si è scusato personalmente e a nome dell'intera azienda con il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris». La Rai, conclude la nota, «è e sarà sempre in prima fila nella lotta contro ogni forma di razzismo e la stupidità che l'accompagna».

La protesta. Il video circola su youtube, su facebook e sui principali siti dedicati ai tifosi del Napoli. Post e commenti non si contano. A protestare è stato anche il sindaco di Napoli. Indignazione bipartisan: anche il sito di supporters bianconeri, Canale Juve, si è dissociato dalle volgarità dette durante il servzio tv.

Saviano. «Quando i piemontesi videro il bidet nella Reggia di Caserta lo definirono "oggetto sconosciuto a forma di chitarra"». Così Roberto Saviano su Twitter, commenta la vicenda del servizio razzista del Tgr Piemonte.

Il Cdr Rai si scusa. Nella sera di ieri era già arrivata la lettera del Comitato di redazione della sede regionale della Rai di Torino che «si scusa con i telespettatori» per gli «apprezzamenti irrispettosi nei confronti dei tifosi napoletani». Il Comitato di redazione della Rai di Torino sottolinea «come anche il collega protagonista dell'episodio abbia riconosciuto di essere incorso in un incidente dovuto alla fretta con la quale ha dovuto montare il servizio. Il tentativo di ironizzare sugli aspetti più beceri del tifo da stadio si è trasformato in una battuta infelice per la quale è giusto chiedere scusa. Neppure lontanamente l'informazione del servizio pubblico radiotelevisivo può essere accostata a valori che non siano quelli della solidarietà e del rispetto tra le persone».

Il giornalista: sono dispiaciuto. Amandola, l'autore del servizio, si è detto dispiaciuto per quello che considera un equivoco nato in seguito a una sua battuta che, spiega oggi, era contro i cori razzisti negli stadi e non contro i supporters partenopei.

De Magistris: stereotipi inaccettabili. «Questo stereotipo continuo sui napoletani e sul Sud è inaccettabile», ha detto il sindaco di Napoli. «Quando ho visto il servizio ho avuto un sussulto di indignazione - ha affermato de Magistris -. Indignazione poi placata - ha aggiunto - dal comunicato del Cdr che ha chiesto scusa. Invito quel giornalista a venire a Napoli - ha sottolineato - a vedere le nostre bellezze e a togliersi dalla testa questi stereotipi. Una battuta? Poteva risparmiarsela».

Il presidente dell'Ordine dei Giornalisti, Enzo Iacopino, ha chiesto all'Ordine del Piemonte di aprire un procedimento disciplinare nei riguardi di Giampiero Amandola. Iacopino ha formulato la richiesta in un post pubblicato ieri sera sulla propria pagina Facebook. «La puzza. Aumenta - scrive Iacopino - quella sul servizio mandato in onda dalla Rai di Torino. Ma - aggiunge - come si fa ad evocare "la fretta" come scusante? L'insulto era contenuto in una domanda non in una voce fuori campo. Un po' di rispetto. Almeno un po' - ha concluso Iacopino - Un po' di dignità».

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Combine e malaffare:

allarme internazionale

Ieri la Ġazzetta ha ospitato il convegno Aips. Etica e denunce contro le truffe

di FRANCESCO CENITI (GaSport 23-10-2012)

«Non è il doping il problema principale dello sport mondiale, ma le scommesse illegali. Una minaccia potenzialmente letale». Parole dette 18 mesi fa a Losanna dal presidente del Cio, Jacques Rogge, ad Andrea Monti, direttore della Ġazzetta. Anche per questa ragione il nostro giornale è stato tra i promotori del convegno che si è tenuto ieri a Milano nella sede della Rosea: «Betting, sport e match-fixing» organizzato dall'Aips (a moderare il dibattito è stato Gianni Merlo, presidente della stampa internazionale) e dalle Lotterie europee. In Italia le inchieste sul calcioscommesse hanno messo in evidenza un fenomeno sottovalutato da molti. La tentazione (sarebbe fatale) è quella di liquidare il fenomeno come un problema circoscritto a pochi «sfigati», mentre il volume d'affari (1.500 miliardi di euro l'anno) è da ottava potenza economica mondiale. Non è un caso che la criminalità ha da tempo messo le mani sulle scommesse, cercando di governare risultati e atleti. Il mercato nonostante alcune regole ferree (negli Usa ad esempio è vietato scommettere fuori da Las Vegas) è un colabrodo. A far saltare il banco è stato Internet: basta un clic per accedere a scommesse di qualunque tipo e manipolabili (una ammonizione, un angolo, una sostituzione).

Una nuova etica Il problema principale emerso dal convegno è la mancanza di una etica che faccia da diga. «I calciatori considerano veniali gli accordi di fine stagione» ha dichiarato il pm di Martino che a Cremona conduce l'inchiesta italiana più importante. Il muro d'omertà fa il resto: quasi nessuno denuncia un sospetto tarocco e quando avviene il gesto è considerato una «spiata» (Simone Farina ha persino interrotto la carriera). Così si fa il gioco della criminalità: gli scandali hanno colpito molti Paesi (dalla Germania alla Grecia; dalla Turchia all'India, dallo Zimbabwe alla Finlandia) e serve una risposta internazionale. Andrè Chacker, ai vertici dell'associazione mondiale delle lotterie, ha proposto la costituzione di una agenzia transnazionale anti-corruzione. Il motivo è semplice: Thierry Pujol (si occupa di sicurezza delle lotterie) ha ricordato come circa 8.500 operatori di scommesse sono illegali. Le inchieste hanno dimostrato che l'Asia è il centro del malaffare: sfugge a ogni monitoraggio (è la preoccupazione maggiore di Luca Turchi, dirigente della Aams che gestisce in Italia le scommesse sportive). Per Giovanni Emilio Maggi, dirigente Sisal, gli operatori devono fare di più «segnalando tutti i fenomeni sospetti». Anche perché il cancro delle combine non ha intenzione di fermarsi. «Lo sport muore se ci si mette d'accordo sul risultato», ha ricordato il direttore Monti. Non tutti lo hanno ancora recepito.

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Agenzia mondiale contro le combine

Lavori in corso

Abete: «Nuovi deferimenti? Il calcio non finirà»

di SIMONE DI STEFANO & STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 23-10-2012)

ROMA. «Non pensate che si giudichi sulla base del tifo. Una volta un mio amico giornalista mi ha detto: i giudici sono tifosi. Ma voi avete visto mai una persona che sta nel mondo del calcio e non è tifosa? Il problema è un altro: saper svolgere il proprio ruolo ed essere equi nel giudizio al di là di simpatie e antipatie». Con queste parole, il presidente della Figc, Giancarlo Abete , durante il “Premio Tor Vergata Etica nello Sport” consegnato ieri al ct azzurro Cesare Prandelli , ha commentato la squalifica di Antonio Conte per 4 mesi. «La confusione che si fa tra gli organi di giustizia sportiva e quelli di rappresentanza politica è impressionante, ha concluso. «Conte - ha poi aggiunto Prandelli - è stato squalificato e sta passando un momento particolare perché non può seguire la propria squadra ed è in difficoltà. Ma tutti noi dobbiamo avere la correttezza e la responsabilità di accettare le decisioni della giustizia sportiva». Altri temi freschi, i deferimenti in arrivo per il filone napoletano (Napoli a rischio di illecito, Cannavaro e Grava di omessa denuncia), che a detta di Abete «non saranno il colpo di grazia per il calcio italiano». Ecco Napoli, ma per gli altri che attendono, come Stefano Mauri ? «Le inchieste delle Procure penali vanno avanti da 18 mesi - si è difeso Abete - e ci sono tempi tecnici diversi e vincoli precisi nell’operatività della Procura federale». Intanto Palazzi ha disposto due nuove audizioni sul caso Spezia-Legnano del 2010 (il 29 toccherà all’ex dg del Legnano, Giuseppe Padula , che denunciò la combine). L’Aams intanto conferma flussi di scommesse sempre più consistenti sui campionati Primavera e Berretti, ma fatica a controllare le puntate perché provenienti da operatori non autorizzati di Singapore e Sud Est asiatico. Il fenomeno è stato segnalato alle autorità sportive. A Milano, nel convegno “Betting, sport & match fixing” nel salone Buzzati della Rcc, si è parlato anche del tentativo di creare un’agenzia internazionale contro le combine nello sport, come la Wada contro il doping. Ci sono già state due riunioni a Losanna, ma il progetto fatica a decollare perché non tutti i Paesi hanno interesse ad aderire (citati, ad esempio, Cipro e Malta che ospitano molte società del settore a condizioni fiscali vantaggiose).

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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 23-10-2012)

Scommesse, tutti a lezione

alla scuola di polizia

Calcioscommesse, insulti razzisti, dichiarazioni pericolose e gestacci (vedi Mandorlini): la battaglia continua. E adesso il fronte della criminalità "si sta spostando addirittura sui campionati giovanili, Primavera e Berretti. Una cosa mostruosa...", la conferma è di Antonello Valentini, dg della Figc. "Anche perché -aggiunge Francesco Ghirelli, dg della Lega Pro- con 50 euro si riesce a taroccare una partita di ragazzini...". E' un nuovo allarme. Le scommesse rischiano di essere la piaga mondiale del calcio. Anzi, lo è già. La Figc ieri ha tenuto una lezione agli azzurrini under 18. Ora continuerà con le altre Nazionali giovanili, perché i ragazzini che si avviano al professionismo sono i più vulnerabili. La Lega Pro, oggi, ha tenuto un "workshop" per gli "integrity officer", in previsione di un "tour" nelle sedi delle 69 società (ma una parola italiana non la usano mai? Che diranno a Borgo Buggiano?). Tutti al "summit", nell'aula magna della Scuola Superiore di polizia, a Roma, dove il giorno prima Mario Macalli, presidente della Lega, aveva sottoscritto un protocollo di accordo con il direttore dell'Università della polizia, Roberto Sgalla.

Macalli è stato duro, come sempre: "Gli stadi sono fatiscenti, fa schifo quello che succede in certe curve, impunite". E ha attaccato la magistratura. Il vicecapo della polizia, Francesco Cirillo, ha difeso "le forze dell'ordine, che fanno il loro dovere" e anche la magistratura, ma si è detto stupito di vedere "calciatori che sono stati in galera e ora sono di nuovo in campo". E' intervenuto allora il dg della Figc, Valentini, che ha spiegato:" La giustizia sportiva deve stare in scia a quella ordinaria: abbiamo fatto processi per il calcioscommesse e ne faremo altri. Ma è solo demagogia pensare che noi dovremmo aspettare la conclusione dei procedimenti penali. Ricordo che a Napoli, con il rito abbreviato, è appena iniziato adesso l'appello. Che avrebbe dovuto fare la Figc? Sospendere i campionati dal 2006 ad oggi?". Non va dimenticato però che, soprattutto negli ultimi tempi, ci sono state non poche lentezze, ingiustificabili in certi casi, della procura Figc: ora i deferimenti per dichiarazioni saranno più rapidi (e stavolta Palazzi è stato veloce con Mandorlini, va detto) e in settimana dovrebbe arrivare il deferimento del Napoli mentre entro fine anno dovrebbe toccare anche a Genoa e Lazio. Insomma qualcosina si sta muovendo, anche se i processi a tappe (e soprattutto la vicenda Conte) qualche sconcerto l'hanno creato. Valentini ha ammesso la necessità di una riforma della riforma sportiva, "ma a bocce ferme, a processi conclusi". Resterà la responsabilità oggettiva ma verrà rimodulata, saranno previste attenuanti (che già ci sono, per la verità) e i club potranno presentare una autocertificazione annuale, o semestrale, dove dimostreranno cosa stanno facendo contro la piaga delle scommesse. La Lega Pro (per prima) si è affidata ad un'agenzia, la Sportradar: cinque segnalazioni lo scorso anno, e un solo "cartellino rosso". I calciatori sono avvertiti. Inoltre la procura federale Figc dovrebbe essere rinforzata presto con uomini e mezzi. Speriamo in bene.

Il fronte da tenere sotto controllo è sempre più ampio e dopo l'episodio di Livorno c'è stato un ritorno di interesse su certi problemi. L'onorevole Anna Paola Concia (Pd) ha annunciato infatti un' interrogazione parlamentare al governo: "Se il calcio italiano vuole avere una minima credibilità bisogna prendere provvedimenti seri". Ma sbaglia il sindaco di Livorno, Alessandro Cosimi, anche lui Pd, quando se la prende con l'arbitro che non ha fermato la partita col Verona: il compito, semmai, tocca al funzionario di polizia. Il sindaco non lo sa? E poi Cosimi non aveva chiesto di sospendere la gara del Livorno quando ci furono i cori (anche questi vergognosi) contro i soldati italiani morti a Nassyria e non si è accorto sabato scorso quando da parte di una minoranza di tifosi labronici c'è stato un coro contro i veronesi, "pure voi, nelle foibe ci mettiamo pure voi". Caro sindaco, gli idioti stanno da tutte le parti. A destra, come a sinistra.

Ha ragione Andrea Abodi, n.1 della Lega di B: "Non si può fare una graduatoria della vergogna". Ma tenere sempre la massima attenzione: anche gli insulti ai napoletani (ripetuti sabato a Torino) ormai hanno hanno stancato. Torino, lo riscrivo, deve molto a napoletani, pugliesi, calabresi e siciliani. Ci vuole coraggio ma queste frange di idioti che frequentano ancora gli stadi vanno emarginate. Devono starsene a casa loro, a sfogare le frustrazioni. Il sindaco di Padova, Flavio Zanonato, si è scagliato con durezza contro i violenti (da non confondere con gli ultrà) che hanno appena avuto 44 Daspo: "Mi fate schifo, vi fermerò". Da Pescara alcuni tifosi ci hanno segnalato invece di aver avuto non pochi problemi in occasione della trasferta di Udine, nonostante fossero in possesso di tessera del tifoso, di documento di identità, di biglietto. Vietato uno striscione (autorizzato) e invitati i tifosi a togliersi le sciarpe. Segnaliamo l'episodio all'Osservatorio: le norme dovrebbero essere uguali in tutta Italia, o no? Bisogna riportare i tifosi (per bene) in trasferta, non scoraggiarli. Ma punire chi sgarra.

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Scommesse illecite come il doping

Lo sport pensa a un'agenzia mondiale

Le autorità sportive stanno muovendo i primi passi per la creazione di un organismo simile alla Wada, che ha cambiato la lotta all'uso delle sostanze illegali. Ma non mancano le resistenze, da quelle dei paesi con regime fiscale vantaggioso per alcuni operatori a quegli 'stati-canaglia' dove le organizzazioni criminali prosperano

di STEFANO SCACCHI (Repubblica.it 23-10-2012)

MILANO - Una nuova agenzia mondiale contro combine e accordi nel mondo dello sport che sono alla base del gigantesco fatturato criminale delle scommesse illecite. Le autorità sportive stanno muovendo i primi passi per la creazione di una nuova versione della Wada, l'organismo del Cio che ha cambiato la lotta al doping. Ci sono già state due riunioni a Losanna, ma la strada verso l'istituzione di questo nuovo strumento operativo non è facile. "E' più complesso rispetto a quello che è successo con la Wada - spiega il professor Lucio Colantuoni, arbitro al Tas di Losanna e organizzatore da alcuni anni del Corso di perfezionamento in diritto e giustizia sportiva presso l'Università statale di Milano - perché si tratta di armonizzare tante legislazioni diverse. Con le sostanze illecite è stato più agevole perché solo pochi sistemi giuridici hanno introdotto il reato di doping. Senza dimenticare i delicati raccordi da effettuare tra vari livelli di forze di polizia e inquirenti sportivi".

Ma non solo: entrano in gioco anche le resistenze di alcuni Paesi che stanno ottenendo benefici economici dall'offerta di un regime fiscale particolarmente vantaggioso ad alcuni operatori delle scommesse, ad esempio Malta e Cipro. E alcuni Stati del Centro America sono diventati il porto franco per chi vuole sottrarsi al controllo degli enti regolatori. Senza dimenticare l'intreccio delle concessioni che valgono solo all'interno dei confini nazionali. Alcuni operatori sono autorizzati in un Paese, ma non in un altro. All'ombra di questo sistema, non mancano le scappatoie. In Italia, ad esempio, esistono associazioni di aziende internazionali del settore che, dietro l'ombrello della loro sigla, permettono di fatto di operare ad associati privi di concessione da parte delle nostre autorità.

Di questi aspetti si è parlato ieri a margine del workshop "Betting, sport & match fixing", organizzato dall'Associazione stampa sportiva internazionale e dalla giornalaccio rosa dello Sport a Milano. Il fatturato delle scommesse illecite ormai è spaventosamente alto. Così come molto elevato (circa 2 miliardi di euro) è il contributo allo sport europeo che invece arriva dalle aziende che operano correttamente sul mercato dei giochi. Un doppio binario che spinge le società che si muovono secondo le regole a contrastare le derive criminali: "Lavorare con i gruppi privati è facile perché sanno benissimo qual è la loro missione - dice Christian Kalb, consulente di CK, società specializzata nella consulenza in materia di sport e scommesse - più complicato farlo con le autorità sportive che spesso sono colte da una certa schizofrenia. Da un lato, vogliono combattere le combine, ma dall'altro non vogliono gettare una luce eccessivamente fosca sul mondo del calcio. La componente più preoccupante di chi scommette è rappresentata proprio dai calciatori".

Il comparto criminale può prosperare grazie ai numerosi stati-canaglia ("L'ultimo rapporto dell'Europol certifica 45 nazioni in mano alla criminalità organizzata", dice Thierry Puyol, responsabile sicurezza della World Lotteries Association) e alla possibilità di utilizzare internet. "Lo sport è stato pesantemente rivoluzionata da due eventi: la diffusione dell'Epo sotto forma di doping e le scommesse on line - aggiunge Kalb - ogni giorno va in scena una partita di calcio truccata nel mondo. Ma nemmeno gli altri sport sono immuni. In Francia è stata truccato addirittura un incontro di badminton. Il problema è che solo calcio e tennis monitorano i flussi illegali. Ormai i paradisi fiscali sono diventati paradisi criminali".

E' difficilissimo intervenire proprio a causa della possibilità di spostarsi da un angolo all'altro del pianeta con un clic. La nuova frontiera è quella di ridurre i rischi puntando sull'1 di una partita in Europa, sull'X in Sud America e sul 2 in Asia, seguendo le quote più vantaggiose. E nemmeno le partite delle categorie giovanili sono immuni. L'Aams (l'Amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato) conferma l'esistenza di flussi sempre più consistenti di scommesse sulle partite dei campionati Primavera e Berretti in arrivo da Singapore e dal Sud-est asiatico. Il fenomeno è stato segnalato alle autorità sportive (la Lega Serie A aveva già raccolto qualche allarme nei mesi scorsi), anche se è difficile monitorarlo con precisione perché le quote vengono proposte da operatori non autorizzati, quindi dal sottobosco che alimenta gli scandali. La speranza è che la reazione del mondo del calcio sia più tempestiva rispetto a quella degli anni scorsi: "Dal 2008-09 iniziammo a segnalare alcuni flussi anomali su gare specifiche dei massimi campionati - racconta il dirigente dell'Aams, Luca Turchi - riferiti anche da concessionari di sala che improvvisamente vedevano arrivare gente mai venuta prima per puntare cifre importanti sul risultato esatto di una partita". Indice di qualcosa di poco limpido. Ma poi sono servite le inchieste della magistratura per iniziare a intervenire con decisione.

Mentre nei Paesi più poveri si verificano fenomeni di scouting criminale. E' successo che alcuni giovani calciatori siano stati avvicinati da faccendieri facoltosi. In un primo momento queste persone aiutano la crescita sportiva del ragazzo, sollevando la famiglia da spese difficilmente sostenibili. Ma lo fanno con l'unico scopo di chiedere conto in futuro in modo da assicurarsi un elemento in grado di condizionare le partite di campionati professionistici. Le scommesse illecite ormai fanno male allo sport come il doping: per questo motivo qualcuno sta pensando a una Wada anti-combine.

Modificato da Ghost Dog

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ACCETTIAMO LE SCUSE

di FABIO CIARAMELLI (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 23-10-2012)

Il servizio di Giampiero Amandola che sul Tg3 Piemonte, nel corso d'una intervista ad alcuni tifosi juventini alla vigilia della partita conto il Napoli, s'è fatto scappare l'ormai famosa battuta sulla puzza dei napoletani, va ovviamente condannato per la sua gravità e la sua insulsaggine, con l'aggravante del fatto che sia stato prodotto, montato e trasmesso da una rete del servizio pubblico televisivo. Infatti, se le battute razziste le fa (o le canta) uno come Matteo Salvini, eterno giovane di belle speranze del movimento leghista, è un conto; ma se addirittura entrano a far parte d'un servizio del telegiornale regionale d'una grande regione del Nord, dovremmo forse credere che il senso comune che le sostiene, e che ben sappiamo non solo sporadicamente condiviso, stia ricevendo una forma di ratifica e riconoscimento dal servizio pubblico? Se dovessimo ricavarne questa conclusione, allora non ci sarebbe più speranza. Perciò è stato necessario e giusto, da parte della Rai, censurare il servizio in questione e il giornalista che lo ha mandato in onda. Il quale, per la verità, s'è scusato, attribuendo il suo errore alla fretta. Giustificazione che però regge poco, dal momento che non si trattava d'una diretta. Al contrario, il servizio è stato montato in studio, e sarebbe stato agevolissimo (e necessario) tagliare lo squalificante dialogo tra il giornalista e alcuni tifosi juventini, ma sicuramente non piemontesi, i quali lamentavano l'onnipresenza dei napoletani, che, a loro dire, come i cinesi, s'insinuano dappertutto. Ed è qui che, il giornalista se n'è uscito con la stupida e infelicissima frase: «Ma voi, con grande signorilità, li riconoscerete dalla puzza». Battuta che forse voleva irridere l'osservazione precedente, ma che invece conferma due verità fondamentali. Primo: l'ironia non s'improvvisa, ma esige talento e cultura. Secondo: il culto del frivolo ad ogni costo e in ogni circostanza è il contrario della leggerezza di cui parlava l'ultimo Calvino.

Detto questo con fermezza e convinzione contro la battuta razzista e contro lo stesso background più o meno inconscio che la sostiene, non si può lasciare sotto silenzio l'eccessiva enfatizzazione del caso. Stigmatizzarlo sta diventando uno sport nazionale, che al Nord permette di rifarsi una verginità antirazzista e al Sud ha il sapore della vendetta postuma. La rete si sta riempiendo di insulti e cori da stadio contro il giornalista Amandola, demonizzato come il peggior nemico della civiltà, come se le sue scuse e le sanzioni comminategli della Rai non bastassero e si dovesse ricorrere a chi sa cosa per lavare l'onta. Con queste esagerazioni estremistiche non si va da nessuna parte. Molto più adeguate ci sono parse le dichiarazioni di de Magistris, che ha reagito in modo esemplare, dichiarando senz'altro inaccettabile la battuta razzista; ma evitando ulteriori geremiadi, ha invitato Amandola a venire a Napoli «per vedere le nostre bellezze e togliersi dalla testa questi stereotipi». Per una volta, ci riconosciamo nel sindaco.

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Il giornalista napoletano e «Novantesimo minuto»

Necco e il gesto delle tre dita in tv:

«Noi eravamo faziosi, mai offensivi»

«Oggi alcuni colleghi sono ultrà, marionette senz'anima. Senza umorismo»

di MONICA SCOZZAFAVA (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 23-10-2012)

NAPOLI - Quel gesto fu e resta popolarissimo: Napoli-Milan 3-1 e Luigi Necco con le tre dita sventolate davanti alla telecamera chiuse il collegamento televisivo. L'amico e collega Gianni Vasino aspettò che il Napoli poi le buscasse dalla squadra rossonera. E così in apertura del servizio mimò con la mano le quattro reti del Milan, facendo inevitabilmente arrabbiare Necco ed anche Paolo Valenti. Erano gli anni di Novantesimo minuto, di quel calcio romantico che badava meno ai tecnicismi e teneva i tifosi incollati alla tv con l'arte della fantasia, del calore umano. Con l'arte di una sagace ironia. La vicenda del giornalista Rai Giampiero Amandola, sospeso per commenti offensivi contro i napoletani durante un servizio televisivo, fornisce l'occasione a Luigi Necco, al secolo caposervizio Rai, per dare un consiglio alle nuove generazioni di cronisti sportivi: «Le scuole di giornalismo sono inutili, studiate da Maurizio Crozza, uno dei migliori comici italiani».

Necco, secondo lei Amandola è stato comico?

«Nel senso buono del termine, per carità. Forse neanche si è reso conto di ciò che ha detto. Purtroppo molti giornalisti hanno l'unica ambizione di piazzare il microfono davanti a qualcuno e trasformare quel momento nella propria ribalta personale. Senza eleganza, senza ironia. Cadendo, così come è successo ad Amandola, nel più becero dei commenti».

La Rai lo ha sospeso, è d'accordo?

«Sempre che non sia l'unico ad essere colpito da questo provvedimento. Quando si confeziona un servizio c'è sempre un capo tenuto a guardare, a controllare le fasi di montaggio. C'è poi un direttore che dovrebbe vederlo prima che vada in onda. Almeno, ai miei tempi era così. Amandola sospeso, ma via per un po' anche le persone che sono sopra di lui. Forse addirittura più responsabili».

La frase incriminata è uscita dalla sua bocca, però.

«Sì, ma il giornalista non è un impiegato allo sportello che paga se non si trova con i conti. Esistono delle responsabilità superiori».

E' mai successo qualcosa di simile ai suoi tempi?

«No. Eravamo giornalisti faziosi, non volgari o offensivi. La cultura giornalistica è completamente cambiata. Alcuni giornalisti oggi sono marionette senz'anima, imbottite di dati tecnici. Pensano che bastino quelle nozioni per essere considerati bravi. Noi eravamo pupazzoni che sembrava scrivessimo testi per il cabaret. Eravamo faziosi, non ultrà. Se solo pensiamo all'introduzione delle telecronache del tifoso, ci rendiamo conto che sono il modo peggiore per eccitare gli animi».

Novantesimo minuto, gli sfottò fioccavano anche lì.

«Sì, ma Paolo Valenti ci imponeva comunque di attenerci alla cronaca, il bar dello sport non esisteva. Fu introdotto poi da Biscardi e non era certo un esercizio di eleganza, sebbene non toccasse mai certi livelli».

«Giulietta è una żoccola» non era una frase offensiva?

«Assolutamente no. Uno sfottò elegante, a suo modo. Simpatico, divertente. C'è umorismo, non razzismo. Questa è la differenza».

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Grande Stevens: «Frase

orribile, rozza e ignorante»

di GIANLUCA ABATE (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 23-10-2012)

Franzo Grande Stevens, l'ha ascoltata la frase al telegiornale sui napoletani che si distinguono dalla puzza?

«Sì. È stata una cosa orribile».

Giampiero Amandola, il giornalista autore del servizio, dice che è stato frainteso.

«Macché, è solo da condannare».

La Rai l'ha già sospeso, oggi si riunisce l'Ordine dei giornalisti del Piemonte. Che altro s'aspetta?

«Che le sanzioni siano durissime».

Franzo Grande Stevens — classe '28, napoletano di nascita e istruzione (una laurea in Giurisprudenza alla Federico II), torinese d'adozione e di professione — ha la voce dura come l'acciaio quando commenta il servizio del Tgr Piemonte nel quale, al tifoso che sostiene che i napoletani «sono dappertutto come i cinesi», il giornalista Giampiero Amandola ribatte: «E voi li distinguete dalla puzza, con grande signorilità». Un servizio definito ieri «inqualificabile e vergognoso» dalla stessa Rai. E che ha mandato su tutte le furie proprio il più torinese dei napoletani, l'«avvocato dell'Avvocato» (come Grande Stevens fu ribattezzato quando assisteva Gianni Agnelli), oggi presidente onorario della Juventus dopo aver timonato la società dal 2003 al 2006.

Grande Stevens, perché s'è offeso così tanto?

«Perché quel giornalista ignora che gli esuli napoletani hanno svolto una parte essenziale nell'Unità d'Italia di cui da poco abbiamo celebrato i 150 anni. Come s'è permesso di pronunciare quella frase? Non so davvero cosa gli sia venuto in mente: i napoletani sono nell'empireo culturale europeo, altro che puzza».

Magari...

«Non c'è alcun magari. Quella è stata una frase volgare. Rozza. Ignorante. Spiegazioni e giustificazioni successive sono superflue. Si è trattato di un'offesa a Napoli che mi ha colpito profondamente».

Non è stata l'unica: un giudice, Tullio Morello, ha pubblicato foto dei tifosi juventini che mostravano ai napoletani i sacchetti dell'immondizia. Che ne pensa?

«Non conosco i fatti, ma evidentemente non siamo nella normalità».

E gli striscioni offensivi e i cori razzisti che si ripetono da troppo tempo?

«Tutte cose da condannare senza mezze misure. Però non vorrei che quel piccolo mondo venisse preso come modello del pensiero di una città».

Non è un minimizzare?

«L'atteggiamento verso Napoli e i napoletani che può trasmettere una parte dello stadio non è quello della città. Qui a Torino siamo stimati, apprezzati, imitati. Abbiamo strade e monumenti intitolati a Settembrini, Scialoja, de Sanctis. E gli Agnelli hanno sposato due Caracciolo, provenienti da famiglie napoletane».

Dice che non c'è un pregiudizio antimeridionale?

«Dico che Torino non è assolutamente una città razzista. Motivo in più per applicare sanzioni esemplari nei confronti di chi pronuncia certe frasi ignoranti».

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Tra Torino e Milano

ingiustizie diverse

di RAFFAELE AURIEMMA (Corriere del Mezzogiorno - Napoli 23-10-2012)

Razzismo. «Ideologia che, fondata su un'arbitraria distinzione dell'uomo in razze, giustifica la supremazia di un'etnia sulle altre e intende realizzarla attraverso politiche o atteggiamenti discriminatori e persecutori». Se questo è il significato del termine, i cori intonati sabato sera allo Juventus Stadium, gli striscioni e le buste di immondizia mostrati ai tifosi del Napoli, configurano un atteggiamento razzista oppure no? «Il comportamento dei tifosi della Juventus è stato al limite di un atteggiamento razzista e discriminatorio, ma il giudice ha qualificato detto atteggiamento solo insultante», la lettura del provvedimento emesso dal giudice sportivo Gianpaolo Tosel, è stato già verbalmente rigettato dall'avvocato Mattia Grassani, quanto da tutti quelli che hanno seguito la sfida, in tv oppure allo stadio. Domanda: possibile che se ne siano accorti tutti di cori e di striscioni, tranne i commissari federali presenti sul campo di gioco? Se il giudice sportivo decide in base al referto che gli arriva sul tavolo, allora non c'è altra spiegazione. Chi doveva ascoltare, chi doveva sentire, non ha visto e nemmeno udito. Altrimenti, non c'è motivo per cui il giudice Tosel, che cinque anni fa aveva già preso un provvedimento del genere, dovesse macchiarsi di denegata giustizia. Proprio lui, l'immarcescibile dottor Tosel aveva condannato l'Inter a 30mila euro di multa ed a giocare una partita di campionato con il secondo anello della Nord vuoto. Lì dove erano stati esposti striscioni anti-Napoli dal chiaro contenuto razzista e intonato cori di analogo tenore spregiativo, tra cui «Napoli fogna d'Italia» e «Ciao colerosi». Il giudice Tosel aveva deciso in base alla norma collegata all'articolo 18 comma 1 del Codice di Giustizia Sportiva, dove vengono elencate le sanzioni applicabili alle società, per responsabilità oggettiva, in merito a comportamenti dei propri tifosi che rechino «offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori». Tra le conseguenze previste, anche l'obbligo di disputare una o più gare con uno o più settori privi di spettatori. Di fronte ad un caso così clamoroso di ingiustizia palese, non sarà reato porsi due interrogativi. 1) E' mai possibile che nel 2012, nell'era dell'informazione allargata e multimediale, un giudice sportivo debba decidere sulla base di un referto che, come nel caso di Juventus-Napoli, è parziale o fuoriviante? Quando Aurelio De Laurentiis lamenta l'anzianità del mondo del calcio, non ha torto e questo è uno dei tanti casi di arretratezza del sistema da lui più volte denunciati. 2) Ma perché i commissari hanno sottovalutato la portata delle offese verbali e scritte apparse a Torino, degradandole da “razziste” ad “insultanti”? A pensar male difficilmente si sbaglia ed è umano malpensare che un referto caratterizzato dall'aggravante del razzismo venisse, poi, valutato dal giudice Tosel con l'adeguata ammenda: chiusura dello stadio ai tifosi, totale o parziale, giacchè l'atteggiamento dei tifosi era stato già più volte reiterato. Troppi dubbi, troppi sospetti alimentati da una giustizia sportiva che non corrisponde, né difende le esigenze di tutti i club ed ormai superata rispetto alle risorse che produce l'azienda calcio. Il razzismo è soltanto una degenerazione ulteriore di questo sistema costretto a chiudere occhi ed orecchie per difendere gli interessi di tutti, tranne di chi alimenta la grande giostra: i tifosi.

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Il vero problema del Tg3 Piemonte

e il dramma degli invasori di campo

di JACK O'MALLEY (IL FOGLIO 23-10-2012)

Nella redazione del Tg3 Piemonte hanno chiaramente diversi problemi, e da ben prima che il loro geniale inviato allo stadio facesse dire a un tifoso juventino del sud Italia che “i napoletani sono dappertutto, come i cinesi”, chiosando con un “li distinguete dalla puzza”. Ne segnalo almeno un paio: chi sceglie le cravatte del conduttore? Mi è capitato di vedere roba brutta in giro nella mia lunga vita, ma cravatte brutte così nemmeno Gianfranco Fini. Capisco poi il radicamento nel territorio, ma far parlare tutti i giornalisti come Gianduja non è un po’ troppo? Detto questo, al danno del servizio razzista si è aggiunta anche un’altra beffa, per dirla come in un servizio della “Domenica Sportiva”: Roberto Saviano, evidentemente non abbastanza impegnato dalle dodici raccolte firme che sta portando avanti senza soluzione di continuità, ha commentato su Twitter che “quando i piemontesi videro il bidet nella Reggia di Caserta lo definirono ‘oggetto sconosciuto a forma di chitarra’”. A parte il fatto che la superiorità culturale non si misura a colpi di bidet (qui in Inghilterra ci facciamo la doccia e stiamo bene lo stesso), ma quelli del Tg3 Piemonte si rendono conto che abbiamo seriamente rischiato un altro appello di Saviano, “Sì al bidet no alla bagna cauda”?

Fatti altrettanto seri intanto succedono nella mia Sheffield, dove durante la sfida tra Leeds e lo Sheffield Wednesday (cugino sfigato del glorioso United) abbiamo assistito alla riproposizione di un grande classico del calcio: invasione di campo di un tifoso con caduta sull’erba, bagnata o asciutta che sia. Possibile che dopo tanti anni non abbiano ancora imparato? Possono esserci variazioni sul tema (il tifoso che entra in campo per fare lo scemo, quello che calcia il pallone verso la porta avversaria, quello che mena il portiere avversario, come successo a Leeds, appunto), ma il finale è sempre lo stesso, più degno di una comica di Benny Hill che di un gesto di protesta. Se si deve fare un’invasione, che la si faccia bene. Capisco la mossa istintiva, ma perché indossare le Clarks, o le suole di cuoio, o un paio di Superga anni Ottanta, quelle a parallelepipedo? Se gli invasori di campo vogliono continuare a vivere in un luogo comune, facciano pure, ma com’è possibile che a nessuno sia mai venuto in mente di calzare un paio di scarpe con i tacchetti prima di scavalcare i cartelloni pubblicitari?

Infine un pensiero per i milanisti, in particolare Lanfranco Pace, brutti come una cravatta del Tg3 Piemonte e con un portiere di riserva più fuori luogo dell’esonero di De Canio. I rossoneri quest’anno hanno inventato un nuovo tipo di gioco: ci danno dentro quando gli avversari hanno smesso di giocare. Dovreste vedere quanti gol ha fatto Pazzini quando la Lazio è tornata negli spogliatoi.

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Il giudice sportivo I provvedimenti per il comportamento dei sostenitori delle due squadre nel match scudetto di sabato

Razzismo allo stadio:

per la Juve soltanto una piccola multa

Da Tosel un’ammenda di settemila euro «per un solo coro»

Toilette Il Napoli sanzionato per i danni nei bagni

Magazziniere Altra sanzione al club azzurro «per il pugno a uno steward»

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 23-10-2012)

Giampaolo Tosel non aveva ancora deciso quando Walter Mazzarri tornava a parlare dei cori anti-Napoli uditi sabato allo Juventus Stadium: «Chi sbaglia è giusto che paghi. I cori che ho sentito a Torino sono una vergogna, gli organi competenti devono fare il loro lavoro. È inaccettabile, sia nel caso dei nostri tifosi come quando accade da parte dei fan della Juve».

Il giudice sportivo non l’avrà reso felice: Tosel, infatti ha inflitto 17 mila euro di multa al Napoli e 7 mila euro alla Juventus: il Napoli è stato sanzionato di 10mila euro «per avere un suo collaboratore addetto al magazzino, all'inizio della gara, nel recinto di giuoco, colpito con uno schiaffo al volto uno steward» e per altri 7mila euro «per avere suoi sostenitori, prima dell'inizio della gara, danneggiato due poltroncine e, al termine della gara, danneggiato servizi igienici ubicati all'interno dello stadio».

La Juventus, invece, è stata multata «per avere suoi sostenitori, al 25’ del secondo tempo, rivolto alla tifoseria avversaria un coro insultante». Niente altro. Non razzisti o discriminatori, ma «insultanti».

Il legale del Napoli, Mattia Grassani, pur non essendo ancora investito della richiesta di presentare eventuale ricorso, spiega: «Da mero osservatore della decisone di Tosel dico che il metro usato per il Napoli è afflittivo e differente dal criterio utilizzato per la Juventus. Prima di esprimere un giudizio definitivo però bisognerebbe vedere cosa c’è scritto sugli atti. Il trattamento sanzionatorio usato nei confronti de Napoli è pesante ed è necessario approfondire la questione. 17 mila euro sono una sanzione pesante ma bisogna vedere le carte, bisogna capire se gli striscioni e gli atteggiamenti sono stati riportati dagli operatori di controllo. Possibilità di ricorso? Il tempo lo consente - spiega a Radio Crc - e la procedura anche. Abbiamo tempo fino a giovedì».

L’avvocato Edoardo Chiacchio è perplesso: «A mio avviso la sanzione è stata così blanda perché c’è stata una cattiva reazione da parte della Procura Federale. Il giudice decide in base agli operatori della Procura inviati allo stadio, che nel nostro caso hanno segnalato un solo coro, quindi il giudice non ha potuto far altro che prenderne atto e sanzionare il club juventino per quei fatti riportati. Noi tifosi azzurri da casa abbiamo sentito più di un coro e ci stupiamo di questa sanzione così lieve».

La delusione, al solito, corre veloce sui forum dei tifosi del Napoli che auspicavano la chiusura della stadio di Torino. Decisione avvenuta nel 2010 dopo «i buuu» razzisti contro Mario Balotelli.

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l'Analisi di FRANCO ARTURI (GaSport 23-10-2012)

BISOGNA RIPULIRE A FONDO

Stavolta hanno sussultato tutti. L'abitudine al degrado dei nostri stadi e la contiguità di molti con le frange del tifo criminaloide sono state travolte dalla forza della cronaca. La commozione per la scomparsa del povero Morosini era freschissima e ha fatto da detonatore dello sdegno. Così come la credibilità della Rai, che pure ha trasmesso quel servizio indecoroso. Ma negli stadi italiani si inneggia a stragi e lutti con una certa frequenza: varrebbe la pena di ricordarlo oggi. Allo stesso modo, su molto media trovano spazio altri deliri razzistoidi, che impazzano su centinaia di Forum, spesso vicinissimi ai club.

Dunque niente di nuovo. Registriamo positivamente che qualcuno trovi ancora la forza per dare un nome a questi comportamenti barbari (qui sì è il caso di spendere l'aggettivo). Molto meno ci rallegriamo per il fatto che le istituzioni del calcio e i club fingano di non accorgersi che proprio il clima negli stadi è il problema dei problemi della nostra organizzazione. E' precisamente ciò che ci separa da tanti Paesi, anche affini per storia e cultura: siamo gli ultimi in questa classifica.

Di norma, in presenza di questi scempi, ci si rifugia nei nominalismi ridicoli, che nascondono in realtà la poca voglia di affrontare l'emergenza. Il più battuto è: non chiamateli tifosi. Traduzione: noi non c'entriamo. Errore. Quelli sono esattamente tifosi, che godono della tolleranza di molti accanto a loro. E che i club finora non hanno la forza di attaccare frontalmente come dovrebbero, insieme alle forze dell'ordine.

Le curve vanno ripulite. Un compito che altri hanno portato a compimento in pochi anni prima di noi. E lo si può fare esclusivamente con un accordo collettivo fra le società. A questo dovrebbe servire una Lega inchiodata da secoli alle battaglie del grano. Non possono esistere fette di impianti nelle quali vige una sostanziale extraterritorialità del calcio e dello Stato. Il tifo organizzato all'interno degli stadi deve essere semplicemente cancellato con una vendita casuale, e non selettiva, di biglietti e tessere. Il resto lo deve fare un plotone di steward all'inglese: efficienti e spietati contro qualsiasi turbativa dell'ordine pubblico.

Credeteci: è molto meno impegnativo che risanare i conti pubblici italiani. Non tentarci nemmeno alla lunga significa essere complici di tutto.

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Quelle multe ridicole

per combattere il razzismo

di FABRIZIO BOCCA (la Repubblica 23-10-2012)

Settemila euro di multa alla Juve per il coro “Vesuvio lavali col fuoco” e altri 7000 al Napoli per i bagni sfasciati dai tifosi. La partita scudetto del giudice sportivo Tosel è finita salomonicamente 1-1. E a poco prezzo, settemila euro nel calcio sono una mancia, una serata all’Hollywood. E del resto le tariffe in Italia queste sono, il becerume e l’inciviltà – impossibili da perquisire o da tener fuori con una tessera - sono una tassa cui i club sono abituati, una routine. Magari se “Vesuvio lavali col fuoco” fosse veramente considerato razzista, come del resto è, gli euro sarebbero diventati, secondo il prezzario Uefa, quarantamila. Ma noi sappiamo aggiustarci le cose, una mano lava l’altra. Settemila li metto io e settemila li metti tu, alla prossima.

Ci si è resi conto solo dopo cosa è stata davvero Juve-Napoli, una partita che il calcio italiano ha venduto a se stesso e al mondo come lo scontro scudetto, il confronto tra il meglio del meglio. E soprattutto il peggio del peggio. Juve-Napoli è cominciata con un servizio incredibile del Tg3 Piemonte in cui si anticipavano e ripetevano cori razzisti e in cui il giornalista assecondava un tifoso che diceva che “i napoletani sono come i cinesi” e dunque “si riconoscono dalla puzza”. È proseguita con i cori dei tifosi bianconeri diretti ai napoletani. Mazzarri ha denunciato che quei cori in campo si sentivano eccome, e non solo al 25° del primo tempo com’è scritto nel comunicato del giudice: «Cori vergognosi, chi sbaglia deve pagare». I tifosi napoletani per contro hanno rovesciato sui tifosi sottostanti oggetti e ogni tipo di contenitore ricolmo di urina (tanti bambini sono stati protetti dai genitori mettendo loro una giacca sulla testa). Per poi chiudere la serata sfasciando i bagni. Mentre Caceres e Pogba facevano gol, mentre la tv riempiva i salotti delle traverse di Cavani e dei lanci di Pirlo, il match scudetto questo è diventato. Si possono avere anche stadi nuovi, ma il problema è chi li riempie.

Il presidente della Federcalcio Abete, parlando dei cori contro Morosini, definisce questi comportamenti inaccettabili. Anche settemila euro di multa sono inaccettabili. Anzi accettabilis-simi…

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Buongiorno di MASSIMO GRAMELLINI (LA STAMPA 23-10-2012)

Quando si scriverà il libro più lungo del mondo - l’enciclopedia della stupidità umana - due righe verranno dedicate al servizio trasmesso l’altra sera dal Tg3 Piemonte. Il giornalista inviato a Juve-Napoli per uno di quei famigerati pezzi che si definiscono «di colore» chiede a un tifoso juventino se sia in grado di distinguere i napoletani dai cinesi in base alla puzza. Nella scenetta tutto è grottesco: l’intento ironico incomprensibile e persino il fatto che a discettare razzisticamente sui «terroni» sia un ragazzo dal vistoso accento meridionale. Un tempo il siparietto penoso non avrebbe oltrepassato le valli piemontesi, ma ormai la potenza della Rete amplifica le fesserie. Così la puzza dei napoletani (un po’ meno quella dei cinesi) è diventata argomento di discussione nazionale, riaprendo le solite ferite freschissime che risalgono al Risorgimento. Anche Saviano si è sentito punto sul vivo e ha pensato bene di inzupparci la penna in modo spiritoso: «Quando i piemontesi videro il bidet nella reggia di Caserta lo definirono “oggetto sconosciuto a forma di chitarra”».

Vero: in Piemonte all’epoca non avevano i bidet. Però avevano le fogne. Mentre i rimpianti Borbone, per potersi pulire le loro terga nel bidet, tenevano la gran parte della popolazione nella melma. Ora, che agli eredi diretti di Franceschiello dispiaccia di non potersi più pulire le terga nel bidet in esclusiva, posso capirlo. Ma che i pronipoti di quelli che venivano tenuti nella melma vivano l’arrivo dei piemontesi come una degradazione, mi pare esagerato. Vedete un po’ dove ci ha portati quel servizio razzista. Comunque, a scanso di equivoci, per lo scudetto io tifo Napoli.

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Mandorlini, il tecnico-ultrà

da cui separarsi

di MARCO BUCCIANTINI (l'Unità 23-10-2012)

POCHE SETTIMANE FA, COMMENTANDO GLI INTRIGHI SPORTIVI E CRIMINALI DEL CALCIO SCOMMESSE USAMMO UN TERMINE PROPRIO DELL’ANTIMAFIA: SEPARAZIONE. Marcare eticamente il territorio - giusto, sbagliato - come unico modo di sopravvivenza per la parte sana del calcio, altrimenti sconfitta da quella violenta, disonesta, opportunista e volgare. L’esigenza e la necessità di distinguersi nei comportamenti e nelle frequentazioni.

«Separarsi». Lo ripetiamo perché questo spaccato non riesce ad affrancarsi dai suoi peggiori protagonisti. Calciatori indagati per scommesse vietate e riciclaggio sono capitani dei loro gruppi. Uomini razzisti e fomentatori di bassi istinti sono alla guida di squadre ambiziose. Quest’ultimo caso va richiamato, senza imbarazzo: parliamo di Andrea Mandorlini, allenatore del Verona. Nella trasferta livornese di sabato scorso i tifosi veneti si sono distinti («una parte di loro», ovviamente: si tende sempre a minimizzare) per aver suscitato un unanime sentimento di schifo, cantando cori offensivi verso Piermario Morosini, il calciatore morto in campo ad aprile, durante Pescara-Livorno. Un episodio che trovò la commozione condivisa del Paese è stato così vilipeso e ridotto a disputa fra curve. Una pena enorme. Il sindaco di Verona si è scusato, e va bene. Per il presidente della società Maurizio Setti «è stata la pagina più triste da quando sono proprietario del Verona». Le parole sono queste, ma non bastano. Serve - appunto - separarsi. La Digos aiuterà a tenere lontane persone che da anni bazzicano gli stessi posti e le trasferte, e dunque facilmente riconoscibili e identificabili senza aspettare - sempre - che ci pensi la questura. E noi vorremmo che i Daspo fossero cosa seria (a Venezia domenica un ultrà ha fracassato a martellate la testa ad un altro: era già stato colpito dal divieto d’accesso alle manifestazioni sportive, eppure continuava a frequentarle).

Il presidente Setti può fare la sua parte, e dimostrare così la sincerità delle sue parole, allontanando il tecnico Mandorlini. I motivi li conosce, e sono questi: lo scorso anno festeggiò il ritorno in serie B del suo Verona cantando (assieme a tifosi ammirati) «ti amo ţerrone», in senso dispregiativo verso i rivali battuti nello spareggio: i salernitani. Pochi mesi dopo un bambino gli offrì la possibilità di riscattarsi: durante la trasferta dei veneti a Nocera, si avvicinò alla panchina di Mandorlini porgendo una maglietta con la scritta «Benvenuto al sud». Un modo per sdrammatizzare e dimenticare quel coro. Il tecnico la rifiutò (e i suoi tifosi furono sempre più ammirati). Tutto passa, ma qualcosa resta. La stupidità, per esempio: prima del match di Livorno Mandorlini è emerso: «Io odio Livorno», ha fatto sapere. La tifoseria toscana è ideologicamente opposta a quella veneta, naturalmente incantata dalla «gioviale» dichiarazione del suo tecnico. Che dopo la rete del due a zero, definitiva, vincente, si è voltato verso i tifosi livornesi, mostrando il dito medio, per esser chiaro.

Giusto e sbagliato, senza possibilità di confusione. La Rai ieri ha sospeso il giornalista colpevole di un servizio penoso e razzista sui tifosi del Napoli. Il Verona si muova dello stesso principio e si emancipi dal suo allenatore, trovando la forza di deludere i suoi tifosi.

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Beatificazione

Il Sole 24ORE 23-10-2012

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Fans furious as Zinedine Zidane’s moment

of madness is immortalised by artist

by ADAM SAGE (THE TIMES 23-10-2012)

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It was the moment when a French national hero revealed deep flaws in his character in front of 260 million television viewers. Now, a five-metre (16ft) bronze statue of Zinedine Zidane’s infamous headbutt in the 2006 World Cup Final has gone on display outside the Pompidou Centre in Paris — to the horror of the footballer’s supporters.

They have demanded that the work, by the Algerian artist Adel Abdessemed, be removed immediately — but, so far at least, without success. Michel Keff, the chairman of the National Association of French Football Districts, said the statue, which shows Zidane assaulting Marco Materazzi, the Italian defender, would tarnish the great man’s reputation.

“The author has deliberately chosen to hide all your talent and all the positive emotions that you have shared in our country,” he says in a letter to the player, who retired after France’s defeat in the final.

The letter, signed by the directors of 30 amateur football district leagues, accuses Abdessemed of undermining “sporting ethics and the values carried by hundreds of thousands of youth workers”. However, their voices may have little weight in a city that likes to think of itself as a bastion of artistic freedom symbolised by the avant-garde Pompidou Centre.

Mr Keff hopes that the one person who may have enough clout to force Alain Seban, the Pompidou’s chairman, to back down will spearhead the campaign: Zidane himself. “We are writing to the former sporting champion, to the future manager, to the man and especially to the dad that you are so that you can denounce and put an end to this negative use of your image,” the letter adds.

However, the call has met a resounding silence from the footballer, who may be wary of engaging in a fight against the elite of French society. Abdessemed is described by Le Figaro as the master of “uppercut art” and is admired by some of France’s wealthiest and most influential figures, among them François Pinault, the billionaire industrialist.

The artist holds himself in high esteem, too. In a new biography, he says: “It was not me who chose art, it was art which chose me. I try to enlighten the world.”

Philippe-Alain Michaud, the curator of I Am Innocent, an exhibition of Abdessemed’s works at the Pompidou Centre, heaped praise on Headbutt, as the statue is called. “It runs against the tradition which consists of making statues to honour certain victories. It is an ode to defeat,” he said.

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Zid vicious butts the

trend in world of high art

by GILES SMITH (THE TIMES 27-10-2012)

Unveiled outside the Pompidou Centre in Paris this week: “Headbutt”, a 16ft bronze statue comprising a highly realistic rendering of Zinédine Zidane in the process of attacking Marco Materazzi in the 2006 World Cup Final. In the admiring words of the curator at the Centre: “It runs against the tradition which consists of making statues to honour certain victories. It is an ode to defeat.”

Fans of Zidane are apparently upset at this commemoration of a moment of ignominy in the player’s otherwise distinguished career, and the chairman of the National Association of French Football Districts is trying to persuade Zidane to denounce the artist, Adel Abdessemed. (Zidane has so far said nothing.) And true enough, there are other, more noble poses in which Zidane’s contribution to French football might be remembered.

At the same time, this week’s controversy makes a bright change from the usual business in these football-related statue situations, where the honoured person is revealed, standing, with his hands on his hips, and everyone complains because it looks like Dennis Waterman. (Whatever else you want to say about “Headbutt”, the Zidane figure looks like Zidane. It’s only the Materazzi figure that looks like Dennis Waterman.) And maybe, on reflection, ignominy is the way forward for art in this slightly stagnant area.

1. “Penalty” Clever use of Perspex and lighting in this Anfield forecourt tribute to Luis Suárez means that the life-size representation of the player appears to be airborne, with no one anywhere near him. Of the objection from some viewers that the Suárez figure looks uncannily like Dennis Waterman, the artist says, “You see in it what you want to see in it.”

2. “Handball” Beautifully cast replica of the moment in 2009 when Thierry Henry handled the ball on his way to setting up the goal that deprived Ireland of a place in the 2010 World Cup finals. Commented Raymond Domenech, “First that Zidane one, and now this. What does the art world have against French football?” Added Giovanni Trapattoni, “Even an artist could see that was handball.”

3. “Bentleys” In this typically vibrant situationist tribute to John Terry, the artist Dave Smalls has placed a number of Bentleys in a number of disabled parking bays around the country. “The idea,” Smalls explains, “is that they just sit there, accumulating tickets. And passers-by grow more and more appalled. The piece evolves through time, in that sense. The good thing about Bentleys,” Smalls adds, “is that they’re much easier to do than Dennis Waterman.”

4. “Cards” Bronze tableau in which three statues of Graham Poll are shown holding up three yellow cards to the same player, for ever. Asked for his reaction to the piece, Howard Webb said, “Why has the sculptor done three Dennis Watermans?”

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Biglietti gratis, niente taglio

Il Comune boccia la mozione

«Noi non siamo la Casta»

I consiglieri conservano i ticket omaggio per San Siro

di MASSIMILIANO MINGOIA (IL GIORNO 23-10-2012)

NIENTE PIÙ BIGLIETTI GRATIS per partite e concerti a San Siro? Macché. Il Consiglio comunale ieri sera ha bocciato con ampia maggioranza (20 «no», 6 «sì» e 3 astenuti) la mozione del grillino Mattia Calise che chiedeva di ridurre da 320 a 3 i ticket omaggio per il Meazza a disposizione di Palazzo Marino (proprietario dello stadio gestito da Milan e Inter) per ogni match calcistico ed evento musicale. Il documento dell’esponente del Movimento Cinque Stelle proponeva di modificare la convenzione tra Comune e società calcistiche e non dare più due biglietti a testa a ognuno dei 48 consiglieri comunali. Niente da fare. Venti i voti contrari alla mozione, quasi tutti dalla fine di Pd e Pdl. Hanno votato a favore, invece, oltre a Calise il radicale Marco Cappato, i leghisti Igor Iezzi e Luca Lepore, il democratico David Gentili e il pidiellino Armando Vagliati (il consigliere i cui due biglietti omaggio per Inter-Roma dello scorso 2 settembre erano finiti nella mani dei bagarini). Si sono astenuti tre consiglieri del Pd: Lamberto Bertolè, Ruggero Gabbai e Carlo Monguzzi. Non hanno partecipato al voto Emanuele Lazzarini (Pd) e Mirlo Mazzali (Sel). Tant’è. La capogruppo democratica Carmela Rozza ha motivato così il suo «no» e quello di buona parte del suo gruppo alla mozione: «Io penso che i consiglieri comunali non siano la casta e che i biglietti per lo stadio non siano un privilegio. Vorrei che consiglieri come Calise, invece di impegnarsi solo a fustigare la Casta dai loro uffici, scarpinassero un po’ nei quartieri popolari». Il vendoliano Mazzali, che non ha partecipato al voto, sottolinea: «L’intento è buono, il metodo sbagliato». Calise, però, si è rifiutato di ritirare la mozione nonostante l’invito di più di un consigliere: «L’ho depositata lo scorso 22 maggio. È ora di votarla».

RISULTATO FINALE: i consiglieri conservano i biglietti omaggio. Gli unici a non ritirarli sono Calise e Patrizia Quartieri (Sel), mentre Cappato li regala con una lotteria on line. Dopo la recente riforma voluta dall’assessore allo Sport Chiara Bisconti, invece, gli assessori non godono più di due biglietti gratis fissi a partita, ma li possono chiedere solo per motivi di rappresentanza.

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Appello per rimuovere statua Zidane-Materazzi

Lettera aperta rivolta all'ex numero 10 dei Bleus, per chiedere di rimuovere quella statua che rovinerebbe la sua immagine

[tuttosport]

© REUTERS/CHRISTIAN HARTMANNPARIGI - La statua che raffigura la celebre testata di Zinedine Zidane a Marco Materazzi, sistemata davanti al Museo Pompidou a Parigi, suscita dure critiche da parte dei presidenti del calcio francese. In una lettera aperta rivolta all'ex numero 10 dei Bleus, una trentina di firmatari chiedono a Zidane di chiedere di rimuovere quella statua. Per loro, infatti, l'opera mette in scena il "gesto più deplorevole dell'immensa carriera" di Zidane. Insomma, si tratta di "un utilizzo negativo della sua immagine". Da parte sua, il direttore del Centro Polmpidou, Alain Seban, si è detto "scioccato" per questo "appello alla censura". L'impressionante scultura in bronzo - del giovane artista Abdel Abdessemed - resterà in piazza fino al 7 gennaio.

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PRISON PRO

At 7.30am every day this man turns

from convict to professional footballer

Confused? With a supporting cast of Russian gansters, Chilean prisons, and 3,000 hardened

criminals, FFT tells the remarkable story of drug mule-turned-midfielder, Maxim Molokoedov

by MARTIN MAZUR (FourFourTwo.com | November 2012)

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THIRD-PARTY OWNERS

Slice of the action

Football's authorities are moving to restrict investors, agents and

clubs from cashing in on players through third-party ownership.

Gavin Hamilton, Jon Cotterill and Ben Shave report (WorldSoccer | November 2012)

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Il processo, la testimonianza Riciclaggio a Chiaia, l’ex capitano della Nazionale parla dei suoi rapporti con Marco Iorio e Vittorio Pisani

«Cannavaro, strani i

suoi vuoti di memoria»

L’ironia del giudice di fronte ad alcune imprecisioni: è giovane, dovrebbe ricordare

In aula L’ex calciatore di Napoli e Juve: l’imprenditore era un mio amico ho investito 200mila euro nei suoi ristoranti

di VIVIANA LANZA (IL MATTINO 24-10-2012)

Al suo arrivo al Palazzo di giustizia è stato quasi impossibile non fermarsi per una fotografia o una stretta di mano ad avvocati e cancellieri. Poi in aula Fabio Cannavaro, ex capitano della Nazionale di calcio, ha chiesto di non essere filmato né fotografato, si è seduto sul banco dei testimoni e ha testimoniato al processo su un giro di usura e sul presunto riciclaggio di soldi della camorra in noti ristoranti del centro di Napoli che vede tra gli imputati, l’imprenditore Marco Iorio e l’ex capo della squadra mobile Vittorio Pisani. Sulla scia delle domande del pm Sergio Amato, titolare dell’inchiesta assieme alla collega Enrica Parascandolo, Cannavaro ha ripercorso l’amicizia con Iorio, la conoscenza con Pisani, la scelta di investire in alcune attività dell’amico imprenditore, affrontando anche il tema della fuga di notizie sulle indagini in corso. E di fronte a qualche imprecisione e vuoto di memoria, il giudice Rosa Romano, presidente del collegio, lo ha redarguito con parole scherzose: «Capisco che lei abbia una vita frenetica, ma è giovane e non dovrebbe avere problemi di memoria. È strano che non ricordi fatti tanto importanti».

Tutto dopo che Cannavaro ha raccontato di aver saputo dell’esistenza di indagini sul conto dell’amico Iorio dal suocero, che a sua volta lo aveva appreso da uno sconosciuto cliente del bar che gestisce. Il calciatore ha collocato l’episodio nei primi mesi del 2011 e il pm gli ha fatto notare come il suocero abbia invece dichiarato che la circostanza risalisse al maggio di quell’anno. Quando poi l’esame del pm si è concentrato sulle fasi precedenti all’arrivo del calciatore a Napoli in vista della sua audizione in Procura, Cannavaro ha ricordato che gli amici gli prospettarono genericamente la necessità di incontrare l’avvocato di Marco Iorio prima di recarsi dagli inquirenti. «Mi venne a prendere all’aeroporto Alessandro Cioffi, un mio amico, e mi disse che prima di andare alla Dia dovevamo andare a parlare con l’avvocato di Marco, ma non ci fu tempo perché la polizia ci fermò e mi portarono direttamente in Procura». L’esame si è soffermato, poi, sulla frenesia dei contatti telefonici prima del suo arrivo a Napoli: «Mi tempestavano di telefonate, non ne potevo più. Non avevo nulla da nascondere e non vedevo l’ora di poter parlare con i magistrati», ha detto il calciatore. I rapporti con i suoi soci nelle attività di ristorazione erano nati da una scelta di differenziare i propri investimenti. «Conoscevo Marco e sapevo che era un gran lavoratore e un buon padre di famiglia, tra l’altro era un mio amico e non ci pensai su due volte - ha raccontato il teste - Ho investito circa 200mila euro nei ristoranti di Marco. Fui proprio io a chiedere di farlo perché volevo differenziare i miei investimenti e ritenevo quei ristoranti una buona azienda». Sempre sulle quote che decise di investire nelle attività con Iorio, l’ex difensore azzurro ha aggiunto: «Dovevo acquisire il 20% delle quote societarie del ristorante Regina Margherita ma Marco mi chiese se potevo prenderne il doppio perché aveva problemi con i fratelli. Ma facemmo un accordo notarile cosicché la quota eccedente sarebbe stata nuovamente ceduta a lui nel giro di un anno». Invitato a sforzi di memoria, l’ex difensore azzurro ha risposto anche a domande sui suoi rapporti di conoscenza con Pisani, ricordando una gita in barca a Capri e un incontro di sfuggita al ristorante Regina Margherita.

Terminato l’esame, l’udienza è proseguita con la testimonianza di un funzionario della Dia che ha iniziato a ripercorrere le fasi cruciali dell’inchiesta e proseguirà nell’analisi delle varie tappe investigative nel corso del prossimo appuntamento in aula fissato per il 6 novembre. Il 13, invece, è stata disposta la convocazione in aula di altri due calciatori: Ezequiel Lavezzi e Mario Balotelli.

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CALCIOSCOMMESSE, PARLA KUTUZOV

«Non ce l’ho con Conte

Ne uscirà più forte»

«Volevano mandare giù la Juve prima della sfida con il Napoli». Cremona: lunedì Erodiani su Lotito

di ALBERTO ABBATE (CorSport 24-10-2012)

ROMA - “Lunedì di rigore” su Antenna 3, Vitali Kutuzov lancia un fischio: «Conte ha cercato di motivarci sino all’ultimo momento, fino all’ultima partita, lui si è comportato come un allenatore per il quale il campionato non era finito. Ci faceva i complimenti, diceva: vinciamo l’ultima partita e facciamo festa». E’ il ricordo di quel Salernitana-Bari del 23 maggio 2009. Interrogato lo scorso 20 agosto dai procuratori pugliesi, Kutuzov avrebbe confidato che Conte era stato informato della volontà dei giocatori giallorossi di perdere quella partita, per questione di amicizia con certi ex compagni e per l’alleanza fra le tifoserie. Episodio non confermato dagli altri interrogati: «Io non ho detto né più né meno di quello che sanno tutti e alla fine più o meno ho ripetuto le parole di tutta la squadra». Domanda: ma se i verbali sono secretati, come fa Kutuzov a conoscere il contenuto degli altri? Perché sa cosa avvenne in quella trasferta a Salerno: «Un giocatore che ha vinto il campionato, una squadra che ha vinto il campionato, che impressione potrà avere andando a giocare quelle due partite che rimangono...va per divertirsi».Figuriamoci - secondo la ricostruzione degli inquirenti - con 160 mila euro intascati dai giocatori della Salernitana. Soldi accettati dal Bari (tranne da Gazzi e Barreto a cui venne regalato un computer per «legarli») in palestra e poi spartiti nel post-gara.

COMPLOTTO - Spirito di gruppo. Kutuzov non si sente una voce fuori dal coro su Conte. Disinnesca la bomba mediatica, sbircia un complotto anti-bianconero: «Qualcuno voleva mandare la Juve giù, prima di Juve-Napoli: non so se sia un caso o se sia stato fatto in maniera un po’ sporca. Tra l’altro io non posso neanche rispondere perché tutto deve rimanere secretato; e siccome era secretato da entrambe le parti, se qualcuno dice qualcosa deve dire da dove l’ha presa, altrimenti può passare per bugiardo». Urla la sua verità su Conte: «Avevo un rapporto buono col mister e adesso si è rovinato e non so come guardarlo in faccia. Continuo a dire che è un grande allenatore e un grande uomo, vorrei chiamarlo e parlarci tranquillamente, ma sono in difficoltà dopo questa storia creata per vendere giornali. Finirà per far uscire mister Conte ancora più forte. Quando finirà la squalifica, non uscirà più e vincerà il campionato».

ERODIANI - Qui Cremona: inizia la sfilza d’interrogatori. La inaugura Erodiani, lunedì 29 ottobre, dal quale il pm Di Martino si aspetta tanto. Aveva accusato persino Lotito per Siena-Lazio del 27 maggio 2007. Pure il presidente biancoceleste potrebbe essere ascoltato. Così come Zauri e - altra vicenda - Sculli e di nuovo Mauri. Un tormento.

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Calcioscommesse L’ex Bari smentisce di aver tirato in ballo il suo ex allenatore

Kutuzov: «Conte al di sopra di ogni sospetto

E’ stata una bomba alla vigilia del Napoli»

di GIULIO MOLA (Quotidiano Sportivo 24-10-2012)

NELLO SPOGLIATOIO del Bari degli anni scorsi, dove scommesse e tarocchi avevano contagiato molti, Vitali Kutuzov, 32enne bielorusso da anni in Italia, è uno dei pochi volti puliti.

Il 20 agosto i pm baresi l’hanno interrogata per il calcioscommesse. Con quale stato d’animo andò in Procura?

«Sereno, in bici e senza avvocati. Non avevo nulla da nascondere, sono sempre stato aperto ma quello che è accaduto a Bari è stato davvero brutto».

Di recente è stato tirato in ballo: lei avrebbe dichiarato che il suo ex allenatore Conte era stato informato che il Bari avrebbe perso con Salernitana in B nel 2007-2008...

«Tutto questo mi ha fatto arrabbiare. Il mio interrogatorio è secretato, la notizia mi è sembrata una bomba ad orologeria per destabilizzare la Juve alla vigilia della gara con il Napoli...E io mi ci sono trovato in mezzo».

Però sul match di Salerno restano ombre...

«Parliamoci chiaro: Conte ci ammazzava di lavoro tutto l’anno, c’eravamo salvati. Quella settimana festeggiammo tanto e svolgemmo appena due allenamenti, ci sta di scendere in campo con un’altra testa. Andammo a Salerno per divertirci, l’allenatore fece finta di nulla... Di più non posso dire, ma sulla serietà di Conte non ho dubbi».

L’inchiesta ci dice che nello spogliatoio succedevano cose strane... Ne ha parlato con i pm?

«Certo, ma se dico qualcosa ora domattina i carabinieri mi arrestano. Dico solo che sono stati mesi brutti, avevo paura persino di parlare con mia moglie...».

Cosa succedeva a Bari?

«A lungo sono rimasto fuori per infortunio e mi allenavo a parte. Ma avevo percepito che c’era qualcosa di strano: alcuni giocavano sporco e non capivo perché volessero rovinarsi. E quando vedi cose che non puoi immaginare una domanda ti viene spontanea: ma che ci faccio io qui?».

E’ vero che anche a lei furono offerti soldi per taroccare partite ma li rifiutò, così come i regali?

«Non posso dire nulla, volete che mi mettano in manette?»

Lei è senza contratto ma è rimasto a Bari e può camminare tranquillo. C’è chi, come Masiello, che può tornare solo sotto scorta. Che ne pensa del suo ex compagno?

«Non mi sarei mai aspettato certe cose. Quando mangi lo stesso pane non credi mai che certe cose possano accadere e invece torni a casa e ti accorgi che tutto quello che hai fatto e dato è da buttare nel cesso...».

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Calcioscommesse Palazzi pronto ai deferimenti per il caso Gianello

Ora rischiano il Napoli e Cannavaro

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 24-10-2012)

IL PROCURATORE federale Stefano Palazzi ha preparato i deferimenti per il caso Gianello, che dovrebbero arrivare entro venerdì prossimo o, al massimo, all’inizio della settimana prossima. Gianello, reo confesso per il tentativo di combine di Napoli-Samp del 2010 — «Volevo truccarla, Cannavaro e Grava risposero ‘no’» — sarà deferito per tentato illecito sportivo, mentre il capitano del Napoli e Grava rischiano il deferimento per omessa denuncia. La situazione è delicata anche per il club di De Laurentiis, che potrebbe incassare una penalizzazione di uno o due punti per responsabilità oggettiva dell’illecito tentato da Gianello. La procura federale sta anche lavorando sul filone che riguarda Stefano Mauri e le due partite sospettate di presunta combine, con il Genoa e il Lecce nel maggio 2011. Palazzi ha incontrato venerdì scorso il pm di Cremona Roberto Di Martino per fare il punto sulla posizione del giocatore biancoceleste (e altro). L’iter del deferimento dovrebbe completarsi entro novembre e non riguarda la vicenda del conto svizzero intestato ai genitori di Mauri. Le date dei bonifici bancari elvetici non coincidono con quelle delle partite incriminate e, una volta trasmessi gli atti dalla Svizzera a Cremona e poi alla procura, il pm del calcio aprirà una nuova inchiesta.

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Il dietrofront di Kutuzov

«Conte era all’oscuro»

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 24-10-2012)

ROMA. Dietrofront, quel «Conte sapeva» non vale niente. «Qualcuno voleva mandare giù la Juve prima di Juve-Napoli». A dirlo è Vitalij Kutuzov, che alla trasmissione Lunedì di rigore, in onda su Antenna 3, ha tenuto ad allontanare le indiscrezioni che lo avrebbero visto tirare in ballo il suo ex tecnico, Antonio Conte, davanti alla procura di Bari: «Non so se sia un caso - dice Kutuzov - o se sia stato fatto in maniera un po’ sporca. È una cosa non bella tra due uomini e tra l’altro io non ho neanche la possibilità di rispondere perché tutto deve rimanere secretato. E siccome era secretato da entrambe le parti, se qualcuno dice qualcosa deve dire da dove l’ha preso». Kutuzov non riesce a spiegarsi tanta attenzione verso la sua deposizione in magistratura, visto che avrebbe detto «né più né meno - afferma - di quello che sanno tutti e alla fine più o meno ho ripetuto le parole di tutta la squadra». E cioè che della combine Salernitana-Bari, Conte fu all’oscuro di tutto: «Conte ha cercato di motivarci fino all’ultimo momento, fino all’ultima partita, lui si è comportato come un allenatore per il quale il campionato non era finito. Ci faceva i complimenti, diceva: vinciamo l’ultima partita e facciamo festa. Avevo un rapporto buono col mister e adesso si è rovinato e non so come guardarlo in faccia».

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Il dibattito A Vimodrone si è discusso di come la cultura del

“voler vincere per forza“ possa far male anche ai più piccoli

Quando gli allenatori fanno

mobbing sui baby calciatori...

di FRANCESCA COZZI (Quotidiano Sportivo 24-10-2012)

QUANDO SI PENSA a dei bambini di 6-7 anni che iniziano a tirare i primi calcio al pallone, si sorride inevitabilmente. Così disordinati, lontani dalla malizia agonistica, sorridenti e un po’ disorientati che sembra quasi impossibile gli si possa associare la parola mobbing. Ma in realtà questo fenomeno nel calcio esiste e nel peggiore dei casi fin dalle categorie dei pulcini.

Di questo e molto altro si è parlato lunedì sera al centro sportivo del Real Milano di Vimodrone, in un convegno dal tema “Mobbing dell’allenatore a danno dei calciatori nel settore giovanile”.

La società meneghina si è da tempo mobilitata insieme ad altri club vicini, per sensibilizzare l’opinione di addetti ai lavori ed appassionati, come ha raccontato il presidente Di Pasquale: «Troppo spesso vengono fatti giocare tutti i bambini solo nella fase pre-campionato. Ormai il culto della vittoria è insito nella mente di chi ha a che fare anche con i più piccoli. Bisogna tornare ad insegnare ai ragazzi che l’importante è divertirsi facendo sport».

A dare un’informazione anche giuridica del fenomeno è stato l’Avvocato Claudio Castelli: «Si pensa che il mobbing possa essere associato solo all’ambito lavorativo. In realtà quando si usa il termine mobbing si parla di discriminazione ed emarginazione. E visto che nello sport esiste il rapporto di autorità dell’allenatore rispetto ai giocatori, ci può essere del timore reverenziale che sfocia appunto in discriminazione. Ad oggi c’è un solo caso di mobbing giuridico nel calcio ed è successo a Monza. Accade quando il problema è vincere ad ogni costo».

SPESSO, PERÒ, a complicare ulteriormente la situazione sono i genitori stessi dei ragazzi. La smania di vincere nasce soprattutto tra le mura di casa. Bisogna riflettere sul fatto che solo 1 bambino su 35mila ha le qualità per diventare un professionista.

Un altro problema è la mancanza di formazione degli allenatori. Deve essere regolamentata, perchè il ruolo del mister è anche se non principalmente educativo. Ci anche casi, però, in cui il valore del calcio viene messo in luce in modo positivo e i risultati si vedono, come per mister Verzino allenatore dei 2003: «Alcuni tecnici hanno il solo obiettivo di vincere. Personalmente non è un nostro problema, perchè perdiamo sempre. Ma i miei ragazzi escono dal campo sempre con il sorriso».

E alle volte anche giocare non è necessariamente una cosa fondamentale, l’importante è divertirsi come dimostrano i ragazzi del ’97 che al Real Milano sono in 23 su una rosa di 18. E sono felici anche solo di allenarsi.

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Guarda, Bertani! Dal calcioscommesse

alla squadra della Carrozzeria Mary

SQUALIFICATO 4 ANNI E MEZZO, ORA GIOCA LA DOMENICA MATTINA...

di MATTEO BREGA (GaSport 24-10-2012)

Domenica scorsa, ore 10, Milano, via Fleming. Zona San Siro per chi non è pratico. Il centro sportivo Us Triestina è affollato. In campo due squadre giovanili. In quello limitrofo si scaldano gli adulti. Alle 11 scenderanno in campo, per la 3a giornata del campionato amatoriale «Alto Milanese» organizzato dall'Asd «Amicizia di Legnano», il Real Zero e la Carrozzeria Mary. Maglia rossa griffata dallo sponsor tecnico a tre strisce per gli ospiti. Saranno due tempi da 35' ciascuno.

Amatore a chi? Il riscaldamento è il classico: risveglio muscolare e partita rapida. Lo sguardo cade su un ragazzo, l'unico con calzamaglia e sottomaglia a maniche lunghe nere e dalle movenze poco «amatoriali». È un volto noto. Guardi, passi in rassegna nella mente le «figu». Sfogli l'album virtualmente fino a quando... stop! Ma certo, è lui: Christian Bertani, 18 gol in B con il Novara promosso in A. Il dubbio rimane, ovvio. L'allenatore lo incita: «Dai Christian, dai, reattivo!». I compagni anche: «Oggi segni facile Christian». I dubbi sbiadiscono.

Numeri da pro' Maglia numero 11, prima punta. Sulle tribune non più di dieci persone, compreso chi racconta e 4 giocatori della partita successiva. Per la gara dei ragazzini di un quarto d'ora prima ce n'erano il triplo. Christian gioca 70 minuti. Primo tempo svogliato: al 5' tenta uno scavetto, ma il portiere resta in piedi. La squadra è avanti 2-0, senza patemi. Inizia la ripresa con una serpentina solitaria: murato dal difensore. Al 18' segna: cross da destra, girata di testa sul secondo palo. Negli ultimi 5 minuti svolta. Un difensore lo stende in area, il pallone finisce a un compagno che calcia alto. Vorrebbe il rigore, si arrabbia con l'arbitro che lo ammonisce per proteste. Passano 120 secondi, prende palla, fa sedere 6 avversari e deposita in rete il 4-0 definitivo. Siamo convinti: è Bertani.

La chiacchierata Ma è anche l'attaccante coinvolto nel calcioscommesse: per illecito sportivo inerente a Novara-Siena e Novara-Ascoli si è preso 4 anni e mezzo di squalifica. Lo aspettiamo dopo la doccia. «Gioco perché gli amici me lo hanno chiesto — racconta —. Però con il presidente sono stato chiaro: non voglio che penalizzino la squadra per eventuali conflitti tra l'organizzazione e la mia squalifica. Per questo siamo fuori classifica, i ragazzi hanno accettato. Io, intanto, spero di non essere radiato domani dalla Disciplinare. Poi andrò al Tnas e spero in una riduzione della squalifica, in una derubricazione a omessa denuncia. Mi basterebbe tornare a gennaio 2014 per un paio d'anni in Lega Pro. Altrimenti mi dovrò reinventare una vita: non ho ancora pensato cosa farò. Mi hanno messo in carcere 20 giorni, prelevato all'alba con mia moglie in casa incinta del terzo figlio. Chi giudica non pensa alle famiglie. Ora mi alleno due volte alla settimana a Legnano dalle 21 alle 23». Saluta e se ne va. Sull'unico Suv del parcheggio di via Fleming.

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QUANTE NOVITÀ RIDOTTI I CONSIGLIERI FEDERALI MA È SALVO IL POSTO DELL’ASSOCIAZIONE DEGLI ARBITRI

Nuovo statuto della Figc:

abolito il diritto di veto

Napolitano, il commissario ad acta, ha cancellato la norma che blocca le riforme

Taglio pure ai vice presidenti e ai componenti del comitato di presidenza

di MAURIZIO GALDI (GaSport 24-10-2012)

Abolizione del diritto di veto, riduzione del numero dei consiglieri federali e voto al presidente degli arbitri. Sono queste le novità del nuovo statuto della Federcalcio anche se il più «dirompente» è quello della definitiva caduta del diritto di veto che bloccava le riforme del calcio. Il commissario ad acta Giulio Napolitano ha preso motu proprio questa decisione perché ha «ritenuto di dover rimuovere la clausola corporativa che subordina l'approvazione di modifiche statutarie anche al raggiungimento di un assenso in seno alle singole componenti, in considerazione del suo carattere distorsivo rispetto al funzionamento del principio di democrazia interna e del suo effetto di irragionevole complicazione del processo deliberativo».

Ricorso al commissario Proprio il diritto di veto ha reso necessario l'arrivo del commissario ad acta nominato dal Coni. Lavoro facile e tutti accontentati per quanto riguarda la ripartizione dei componenti il Consiglio federale. Il Coni voleva che fossero 19 e tanti sono: tre consiglieri spettano alla Serie A, uno alla B, tre alla Lega Pro, sei ai Dilettanti, e sei alle due componenti tecniche (calciatori e allenatori). E gli arbitri? Napolitano ha brillantemente trovato la strada anche per loro che restano in Consiglio, con piena capacità di voto.

Motivi della decisione Il commissario ha «mutuato» il regolamento Fifa che stabilisce, al comma 2 dell'articolo 4, che il presidente degli arbitri sia membro del direttivo della Federazione. Da questo ha ritenuto di poter affermare che anche se in Italia il presidente dell'Aia è eletto e non nominato, abbia comunque il diritto a un posto in Consiglio. Una «tecnicalità» (tanto cara al presidente Abete) che anche senza dirlo alza a 21 il limite di componenti il Consiglio dai 19 più il presidente voluto dal Coni. Questa soluzione, comunque dovrebbe accontentare tutti.

Altre modifiche Nel nuovo statuto è stato anche ridotto il numero dei vicepresidenti (da tre a due) e il numero dei componenti il Comitato di presidenza che diventano cinque. Infine nel nuovo statuto anche la definizione dei ruoli di presidente (responsabilità generale della programmazione tecnico-sportiva e del buon andamento della Federazione, sotto la vigilanza del Consiglio Federale) e del direttore generale (a cui vengono attribuite le responsabilità gestorie e manageriali).

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De Santis chiama a testimoniare Moratti

Dossier illegali: al Tribunale civile di Milano si sono trovate le parti per la prima udienza. Pochi giorni fa Vieri ha vinto la sua causa per i pedinamenti commissionati dall'Inter, ottenendo un risarcimento di un milione di euro

Guido Vaciago - Tuttosport -24-10-2012

De Santis contro Moratti: primo round. L'ex arbitro ha infatti chiesto i danni al presidente dell'Inter per i dossier illegali sul suo conto che, secondo quanto è emerso al processo Telecom, sono stati commissionati dall'Inter e prodotti da Emanuele Cipriani con il coordinamento da Giuliano Tavaroli, l'ex reponsabile security della Telecom di Tronchetti Provera. Oggi, al Tribunale civile di Milano si sono trovate le parti per la prima udienza. Da una parte Paolo Gallinelli e Federico Lucarelli, i legali di De Santis, hanno chiesto di poter sentire in aula Massimo Moratti, Marco Tronchetti Provera, Caterina Plateo (segretaria della Telecom che ha rivelato particolari sui dossier interisti) e gli stessi Cipriani e Tavaroli, dei quali è stata comunque depositata tutta la documentazione relativa al processo Telecom. Dall'altra le avvocatesse dell'Inter, Luisa Beretta e Silvia Trupiano che dopo averla negata, hanno poi eccepito sulla prescrizione della condotta e un difetto di legittimazione passiva (ovvero, non ritengono l'Inter responsabile dei dossier e quindi l'eventuale risarcimeto andrebbe chiesto direttamente a Telecom).

Non esistono, infatti, fatture intestate all'Inter per il famigerato "Dossier Ladroni" (che continene anche indagini condotte illegalmente su Moggi, la dirigenza della Juventus e i designatori arbitrali), ma lo stesso Cipiriani ha spiegato perché: "Ci fu chiesto di fatturare a Pirelli per questioni di riservatezza e non coinvolgere direttamente l'Inter" e Tavaroli ha ricostruito le riunioni con i vertici interisti per commissionare il dossier. I legali nerazzurri hanno inoltre prodotto la condanna nei confronti di De Santis al processo Calciopoli di Napoli e la notizia della condanna presso la Corte dei Conti. Gallinelli e Lucarelli hanno invece prodotto la sentenza di Vieri che, qualche settimana fa, ha vinto la sua causa per i pedinamenti commissionati dall'Inter, ottenendo un risarcimento di un milione di euro. A questo punto il giudice deve scigliore la riserva sul'acquisizione delle documentazioni presentate e sull'ammissione dei testimoni. Non è stata fissata una data per la prossima udienza.

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How Suleyman Kerimov has woken

the Great Bear in Anzhi Makhachkala

by RORY SMITH (THE TIMES 25-10-2012)

The walls of Anfield’s trophy room are festooned with pennants. Glass cupboards, set into recesses on all sides, are full of cups and keepsakes.

These are the mementoes of a long and glorious history, gifts from the litany of illustrious names that Liverpool have faced in half a century of European combat.

Ajax and Bayern Munich, Barcelona and Real Madrid, Benfica and AC Milan — Liverpool take great pride that they have taken on the very best that the Continent can muster. It is safe to say, though, that even this most fêted of clubs have never encountered anyone quite like Anzhi Makhachkala, who become the latest side tonight to add their name to Anfield’s gilded visitors’ book.

It is hard to tell the story of Anzhi, Europe’s newest superpowers, without feeling a little like a writer pitching an idea for the sequel to Skyfall.

It is a tale of vast wealth, of personal ambition, of Islamic fundamentalists, of Kremlin interference and of global capitalism. It features superstar players, granted the run of luxury penthouse apartments in the heart of Moscow, being flown to home games in private jets, while artificial football pitches are built in the deep, dark heart of Dagestan, one of Russia’s most lawless states.

At the centre of it all is Suleyman Kerimov, a 46-year-old born in a forgotten corner of the Soviet Union, who grew into one of the richest men in the world and decided — or was told he had decided — to use his fortune to buy his local football club, with the hope that it might bring social cohesiveness in his troubled, divided homeland.

Kerimov’s tale is not atypical of those oligarchs who have flourished in Russia’s nascent post-communist state.

Two decades ago he and his wife lived in one room of a two-bed flat attached to a workers’ hostel. He invested in oil and in banks, in fuel and in currency; he lost one fortune, and made another. He once owned significant stakes in a host of the most famous financial institutions in the world: Goldman Sachs, Morgan Stanley, Deutsche Bank. He was hit hard by the 2008 crash, but is still thought to be worth about £20 billion.

He is almost reclusive in his pathological desire to avoid publicity, but he has hosted parties attended by a swath of A-list stars. He almost died after wrapping a £500,000 Ferrari Enzo round a tree on Nice’s Promenade des Anglais, with a Russian television presenter in the passenger seat. Kerimov was rich — unimaginably rich — and respected, attractive and admired.

Then, in January last year, he was granted control of Anzhi by the President of Dagestan. Kerimov, in return, promised to pump money into the club. He has made good on that vow.

In the past 18 months, Anzhi have gone from a nowhere team in a crumbling, 15,000-capacity stadium in a region plagued by terrorism to leaders of the Russian Premier League and favourites for the Europa League.

They are coached by Guus Hiddink and they pay Samuel Eto’o, the Cameroon striker, £330,000 a week. The former Barcelona player is one of a host of stars: Yuri Zhirkov, formerly of Chelsea, Lassana Diarra, from Real Madrid by way of Chelsea, Arsenal and Portsmouth, and Christopher Samba, of Blackburn Rovers fame, are there too.

Roberto Carlos retired this year to become technical director; he had been Kerimov’s favourite player. The affection was such that Anzhi’s owner bought the former Brazil left back a £2.5 million Bugatti Veyron as a birthday present. The players are housed in exclusive apartments in Moscow and fly to and from their home games — 50,000 miles a season — because Dagestan is adjudged too dangerous a place to live.

“Some people think Kerimov bought the club because it came as a direct order from the top of Russian politics,” said Igor Rabiner, the respected Russian sports journalist. “Dagestan, where Makhachkala is the capital, is the poorest region in Russia with the highest unemployment, so it needs positivity. The stadium now is always full. It takes away the social tension.

“But there is no way the authorities could have told Kerimov to invest as much as he has. He is building a new stadium, training centre and academy, and he has even built pitches in some of the remotest parts of Dagestan.”

That has explained Anzhi’s rise to the top of Russian football — which Samba claimed last week is resented by the rest of the country — but there has been another change, less glamorous, but just as significant, which helped to convince Hiddink that he could fulfil Kerimov’s vision of building a side fit for the Champions League.

On September 13, 2010, the executives of the Russian Football Union voted to synchronise their football calendar with Western Europe from the start of this season.

Russian football has long had money. It has long been able to attract stars. But at last its teams will not lose out through inactivity in the later stages of European competition. With Anzhi at its vanguard, at long last the Great Bear has awoken.

That’s rich

Suleyman Kerimov

Worth £7bn

The man behind Anzhi’s remarkable rise made his fortune in oil and banks before turning his attention to his local team in troubled Dagestan, a lawless corner of Russia with endemic issues with organised crime and Islamic insurgency.

Alisher Usmanov

Worth £12bn

The Uzbek billionaire owns just a shade under 30 per cent of Arsenal after spending years acquiring shares. The club have yet to invite him on to the board despite promises to invest in the squad.

Rinat Akhmetov

Worth £12bn

The 46-year-old backer of Shakhtar Donetsk, the Ukrainian club, has turned his team into a regular fixture in the Champions League in recent years, lavishing millions on bringing Brazilians to the coalfields deep in the country’s east.

Roman Abramovich

Worth £8bn

The first of the oligarchs to invest in football, the oil baron has transformed Chelsea since buying the club in 2003. Winning the Champions League last season fulfilled his dream for his club.

Gazprom

Worth $140bn

The Russian energy giant has bankrolled Zenit St Petersburg’s rise from also-ran to Russian superpower; the club are well placed to reach the last 16 of the Champions League this year and, in 2008, became the second Russian club to win the Uefa Cup.

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Piccola Italia

Maurizio Crosetti - La Repubblica - 25-10-2012

Sono davvero giorni da crollo dell’impero, se poi ancora qualcosa di imperiale resta nel calcio italiano. Abbagliati dall’illusione ottica del secondo posto azzurro agli Europei, e comunque con l’umiliante 4-0 contro la Spagna, non ha davvero senso credere di essere meglio e più di quello che siamo. La triste fine del Milan, il ridimensionamento progressivo della Juve in Champions, la povertà tecnica globale, un senso di debolezza senza conforto e senza soluzione: altro che ranking Uefa da recuperare, qui è già tanto se non precipitiamo nel sottosuolo, nel terzo mondo del calcio continentale. Quella, ormai, è la nostra dimensione.

La notte di Malaga è stata un pianto senza neppure troppi singhiozzi, solo lacrime da inghiottire in silenzio. E’ successo semplicemente quanto era logico succedesse, tra una squadra piena di talento e un’altra stracolma di angoscia e pochezza. Troppa differenza di classe, un solco che ormai contro le italiane riesce a scavare chiunque. Il Milan ha provato a cambiare tutto, o quasi, col risultato di non mutare proprio niente. E se non ha più senso ricordare e rimpiangere i nomi sontuosi del passato, è chiaro che con Acerbi e Constant si può andare al massimo a Siena o Catania, senza offesa, peraltro soffrendo come bestie ovunque. Agli andalusi è bastato smettere di passeggiare, per spingere un po’ dopo un’ora di gioco, e i rossoneri si sono squagliati come se il malaga fossero loro, nel senso del gelato.Una pena, veramente. E sarà anche stucchevole l'ipotesi di un cambio di allenatore, come dice Galliani, però questa è una squadra senza nerbo, nervi e comando, oltre che poverissima di qualità individuali e collettive. In questi casi, di solito paga il tecnico, anche se negli ultimi trent'anni non si eramai visto un Milan condotto peggio a livello societario, con strategieescelte di mercato quasi tutte sbagliate.

Milan e Juve tornano dalla Champions con un punto in due, strappato dai bianconeri contro i piccoli corridori danesi. Forse non è questo il livello attuale del nostro football, ma la realtà non è tanto diversa. Siamo poveri non solo di denaro, mal governati, senza fascino e con pochissime prospettive. Fa sorridere ascoltare che con una legge sugli stadi, e qualche speculazione edilizia contrabbandata per futuro, ci s'illuda di cancellare questo mezzo disastro.

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II caso Vertice dell'Osservatorio sulle manifestazioni sportive dopo quanto accaduto sabato allo Juventus Stadium

Denuncia del Viminale: a Torino gravi episodi di inciviltà

Le firme Organizzata oggi la raccolta in piazza Trieste e Trento

Dieci milioni È la cifra di risarcimento ipotizzata dai tifosi

Censurati i cori razzisti e i danneggiamenti nei bagni dell'impianto

art. non firmato - Il Mattino - 25-10-2012

Raccolta di firme per la denuncia contro la sede Rai di Torino e il giornalista Giampiero Amandola, autore del servizio prima di Juve-Napoli che ha provato la sua sospensione. Come si ricorderà, il cronista diceva a un tifoso juventino: «I napoletani li riconoscete dalla puzza, con molta signorilità». L'avvocato Angelo Pisani, leader del movimento noiconsumatori.it, raccoglierà le firme stamane alle ore 11 davanti al Gambrinus in piazza Trieste e Trento. «Invieremo anche una confezione di "Profumo di Napoli" ai giornalisti di Torino», dice Pisani.

Aperto un fascicolo in Procura dopo la prima querela depositata dall'avvocato Pisani, già oltre 15mila cittadini e tifosi napoletani hanno aderito all'azione legale contro tutti i responsabili della Rai e del club bianconero per responsabilità oggettiva. Per la maxi causa civile aumenta la richiesta risarcitoria, per ora di oltre 15 milioni di euro, da dividere tra le vittime dei reati è si attende la firma anche di Diego Armando Maradona a tutela dell'immagine dei napoletani. «Delle ingiustificabili violazioni e offese sono responsabili tutti i vertici Rai e la Juventus, non solo il giornalista appena sospeso come capro espiatorio - dichiara Pisani - Siamo delusi dalle sanzioni comminate dalla giustizia sportiva che, pur accertando e confermando quanto denunciato da milioni di sportivi sani e civili, come al solito ha minimizzato i gravissimi fatti e cori razzisti accaduti allo Juventus Stadium, ma chiediamo vera giustizia alla magistratura ordinaria in sede penale e civile con punizione esemplare di tutti i colpevoli».

Di Juventus-Napoli si è parlato ieri anche nella riunione dell'Osservatorio del Viminale. È stato stigmatizzato quanto accaduto a Livorno ma anche i fatti che hanno visto protagonisti i tifosi presso lo Juventus Sta-dium in occasioni di Juve-Napoli: sono infatti stati danneggiati i bagni del settore dove erano ospitati i tifosi partenopei e sono stati scanditi cori offensivi da parte degli juventini. Proprio per questo, l'organismo del Viminale ha auspicato che i club ribadiscano l'importanza del rispetto dei valori sportivi, etici e comportamentali, e non escludano la possibilità di arrivare ad una possibile richiesta ai tifosi di risarcire i danni subiti.

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Riflessioni

Juve-Napoli e il razzismo di ritorno

Giovanni De Luna - Il mattino - 25-10-2012

«I torinesi sono rai'isti», «i napoletani puzzano». Quando si sfiora l'universo del tifo calcistico gli stereotipi diventano concetti da usare come randelli. La puzza dei napoletani è una scemenza. Sul razzismo dei torinesi ricordiamo che Torino ha scoperto i meridionali nella grande ondata migratoria che caratterizzò l'Italia del boom economico. Fu un vero e proprio esodo di massa. Di fronte a quella che fu percepita come un'invasione, la città si rinchiuse, tentando di sbarrare i canali di comunicazione tra le due comunità. Gli immigratisi assieparono in quartierighetto, sperimentandolarigidità di un'«esclusione» aggravata da una sordità istituzionale che lasciò Torino totalmente impreparata di fronte a un fenomeno che la Fiat aveva sollecitato senza gestirlo e che il Comune si rifiutò di prendere in considerazione per tempo.

Gli strumenti di «inclusione» furono così delegati alla spontaneità di alcuni meccanismi di integrazione: la grande fabbrica fordista, con la sua catena di montaggio, con i ritmi dei suoi turni di lavoro che scandivano la vita dell'intera città; i partiti che non avevano la consistenza liquida di oggi ed erano organizzati sul territorio, con le sezioni in cui i diversi dialetti si mescolavano in un comune progetto politico; le parrocchie e le strutture della Chiesa; le lotte sin- Riflessioni Juve-Napoli e il razzismo di ritorno dacali dell'«autunno caldo» con i cortei, i picchetti, gli scioperi in cui ci si ritrovava tutti insieme, mentre le radici «etniche» si dissolvevano nel calore del conflitto sociale.

Tutto questo finì negli anni '80. La grande ondata migratoria si era esaurita. I meridionali avevano camminato spediti lungo i percorsi dell'inclusione. Le migliaia di torinesi che presero parte al funerale dell'avvocato Agnelli erano una folla che non distingueva più la propria provenienza. Sparirono però tutti gli ambiti in cui si era realizzata l'integrazione: Mirafiori è passata da 60.000 operai a cinquemila.

Nel 1980, la «marcia dei 40mila» mise fine ai 35 giorni di lotta alla Fiat segnando l'irrimediabile sconfitta degli operai e del movimento sindacale. A quella marcia presero parte i quadri intermedi della Fiat, capi squadra, capi officina, impiegati. Enellaloro maggioranza parlavano piemontese. L'inclusione c'era stata e si era fermata.

Poi per Torino cominciò un'altra fase della sua storia sospesa tra inclusione e esclusione, Il confronto con «l'Altro» cambiò; in città arrivarono lavoratori di altre religioni, altri orizzonti culturali, altre tradizioni. E la città fu di nuovo attraversata dalla tentazione di chiudersi in se stessa. Solo che questa volta la chiusura e la separetezza videro come protagonisti proprio gli immigrati di un tempo. Nelle periferie urbane vivono per la maggior parte i meridionali che hanno raggiunto il sogno di una casa di proprietà, di avere i figli all'Università, di sentirsi pienamente integrati. E proprio quei quartieri sono oggi maggiormente esposti alle tentazioni discriminatorie, alle pulsioni xenofobe.

È una realtà che riguarda Torino, ma che Torino condivide con il resto d'Italia. Dietro alle stupidaggini del tifo calcistico, alla ripresa degli slogan localistici e campanilistici ( penso al terribile «ognuno è padrone a casa propria» dei leghisti), si delinea uno spazio pubblico desertificato; per sentirsi cittadini italiani ci sarebbe oggi bisogno di una tavola di valori condivisa, di una religione civile con i suoi eroi, i suoi miti, le sue celebrazioni. Dopo venti anni è triste constatare come a imporsi sia stata una sorta di «cittadinanza bancomat»: si è italiani perché si può accedere a una serie di beni materiali. La classe politica della Seconda Repubblica ha, alla fine, schiacciato i valori sugli interessi. Concimando un terreno su cui può nascere solo la mala pianta dell'egoismo e del rancore.

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La Rovesciata

Morosini, gli ultrà

le altre vergogne

e i signori del cavillo

Da noi le sanzioni si misurano con l'occhio del tifo. In Premier invece...

Roberto Beccantini - Gasport - 25-10-2012

Ho dato un’occhiata allo sdegno sollevato dai cori schifosi che sabato, a Livorno, la feccia degli ultrà veronesi aveva dedicato a Piermario Morosini. Condanne a reti unificate, sermoni bollenti, netta presa di posizione di Verona città (parte civile contro i suoi figliastri degeneri) e di Verona società (Mandorlini, però, la smetta di aizzare i bassi istinti dei suoi barbari. Sembrava, eccezion fatta per l’uscita del sindaco Tosi, il solito guardaroba dei soliti giorni dopo. una deviazione obbligata, dolorosa e (un po') fastidiosa dagli itinerari dei garruli picnic di campionato: gol, moviole, allusioni, illusioni.

Dov’è il problema? direte Semplice. Il problema siamo noi, tanto per cambiare. Il biasimo generale è stato subito affiancato dai distinguo: giusto e sacrosanto difendere la memoria di Morosini dagli “stupratori” canori, ma perché allora “Trenta sul Campo, trentanove sotto terra”, le magliette con le quali una sparuta minoranza di Firenza aveva preso di mira la Juventus, non vennero esecrate, o comunque non con altrettanta e legittima tele-enfasi? E dal momento che l'Heysel è l'Heysel, per carità, perché mai non si dovrebbero censurare a nove colonne le nenie anti Superga, anti Pacchetti, anti Pessotto, anti Balotelli, anti Napoli, eccetera?

Di sicuro dimentico qualcuno, qualcosa. Nella dialettica veltroniana del “che vergogna, ma anche” (altri episodi, altri striscioni, altri salmi repellenti) si passa poi al “perché hanno squalificato il mio stadio e non il suo, perché chiuso la mia curva e non la sua”, anche questo un classico della via italiana alla lotta contro i violenti, di lingua o di coltello. Il guaio è che qualche ragione i signori del cavillo ce l’hanno. I rapporti degli arbitri e degli zerozerosette federali sono a volte lacunosi, faziosi, e le decisioni della giustizia sportiva ondivaghe, non omogenee, tendenzialmente buoniste.

Gli inglesi non sono né santi né eroi. Il Liverpool, però, non fece ricorso contro le otto giornate di squalifica inflitte a Luis Suarez per le frasi di stampo razzista rivolte a Patrice Evra del Manchester United; e non ha deciso di farlo nemmeno John Terry, prosciolto dalla giustizia ordinaria ma sospeso per quattro turni da quella sportiva (anche lui, per insulti razzisti ad Anton Ferdinand del Queens Park Rangers). Da noi, il caso Terry - assolto di là, punito di qua - avrebbe bloccato il Parlamento.

Un altro podio che ci attira è la calssifica dell’oltraggio. Dunque: al primo posto l’offesa al colore della pelle. Tutti d’accordo? Sì però. Però cosa? E l’ingiuria che colpisce un morto, o che un morto si augura, ed il tradizionale “figlio di” che coinvolge la mamma, non importa se viva o morta? Mi auguro che Verona e il Verona tengano botta. E che un eventuale pugno duro (per ora, 50mila euro di multa al club…) non diventi sinonimo o simbolo di trattamento paradossalmente “razzista”: nel lanciare il sasso, e poi accarezzare la mano, siamo maestri.

Detto che le sanzioni saranno sempre pesate sulla bilancia del tifo, il primo passo non può che venire dall'alto: dai dirigenti. Sotto con le pulizie di casa. Cominciando, magari, dai tinelli dei giornalisti, vil razza d'annata (o dannata: a scelta). Potere alla voce, possibilmente, e non voce al potere. Grazie.

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IL CASO

«Legge sugli stadi, rischio speculazione»

Sotto accusa la norma che consente di costruire edifici residenziali

Il testo all'esame del Senato: stravolto il provvedimento originale

di MICHELE DI BRANCO - Il Messaggero - 25-10-2012

Tre anni sballottata da un'aula parlamentare all'altra, senza mai arrivare alla fine del tunnel. Ora la legge che porta alla costruzione degli stadi di proprietà da parte delle società di calcio è a un passo dall'approvazione. Ma non è una bella notizia perché il testo è stato stravolto rispetto a quello originario. La norma, scritta nel 2009 per iniziativa bipartisan Pdl-Pd, si chiama «Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi anche a sostegno della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale».

Era stata concepita per consentire al Coni e alla Figc di presentarsi con le carte in regola per candidarsi a organizzare i Mondiali egli Europei di calcio dei prossimi anni. Quegli obiettivi, nel frattempo, sono sfumati. Dopo un cammino tormentato, ora i testo è in discussione al Senato. Se verrà modificato ancora si dovrà tornare alla Camera, altrimenti sarà subito legge. Lo scoglio più spigoloso da limare è la parte della legge che regolamenta la costruzione dei cosiddetti «impianti multifunzional o a corollario degli stadi. E la chiave di volta del progetto: ciò che dovrebbe permettere di costruire impianti integrati nel tessuto cittadino, aperti tutti giorni dell'anno e non solo la domenica. Nel disegno di legge non è previsto alcun limite di cubatura o di proporzionalità tra lo stadio e le strutture, con gli edifici che potranno essere «commerciali e direzionali» ma anche «residenziali».

E così, in molti, temono speculazioni. Inoltre, la legge dice che chi costruisce lo stadio deve mantenere la destinazione d'uso sportiva per soli 10 anni. E dopo? Chi garantisce che la struttura non verrà smantellata per costruirci un palazzo o un supermercato? «Si tratta di preoccupazioni infondate» ragiona Alessio Butti del Pdl, uno dei promotori della Legge sugli Stadi. «L'ultima parola sui progetti presentati dai privati spetterà sempreecomunque alla Conferenza dei servizi dove siedono comuni, regioni e sovraintendenza. Soggetti che non permetteranno alcuna speculazione». Secondo Raffaele Ranucci del Pd, il progetto può andare in porto nel giro di una settimana se sparisce ilriferimento agli «insediamenti edilizi» da costruire intorno allo stadio. Il d ingente del centrosinistra non nasconde il timore di speculazioni e anzi osserva che, senza alcuna legge, e utilizzando lo strumento del project financing, la Juventus ha costruito il suo stadio di proprietà nel giro di pochi anni. «Stadi grimaldello - conclude - per speculazioni edilizie e per tradire i tifosi. Insomma, la scusa dello stadio per costruire intorno una città».

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L’accusa all’uomo nuovo di Roma

«Il portavoce del pd Zingaretti

si augura la Superga juventina»

Politico Pd: su Twitter l’assistente del candidato democratico in Regione

avrebbe scritto sui bianconeri: «Speriamo nell’incidente aereo su Formello...»

di ROBERTA CATANIA (Libero 26-10-2012)

Se il profilo twitter “Kappand” dovesse corrispondere veramente ad Andrea Cappelli, uno dei portavoce di Nicola Zingaretti, sarebbe gravissimo. Dallo staff del presidente della Provincia, contattato da Libero, nessuno ha smentito, il diretto interessato a domanda diretta ha attaccato il telefono e chi lo conosce assicura che quel profilo appartenga proprio a Cappelli. Così, tutto lascia credere che ad augurarsi che l’aereo con a bordo i giocatori della Juventus si schiantasse («magara» su Formello) sia stato proprio lo stretto collaboratore di Zingaretti.

Ricapitoliamo. Il 19 settembre scorso Kappand, utente twitter che rilancia tutti i commenti del presidente della Provincia di Roma e attacca con una non troppo sottile ironia il sindaco Gianni Alemanno e il governatore Renata Polverini, sta evidentemente seguendo la partita di Champions League Chelsea-Juventus. Non contento del risultato (è finita 2 a 2), dopo avere scherzato un po’ («Conte a Londra in onore dei Beatles si è messo il parrucchino coi capelli a caschetto come Ringo Star», è il post di debutto sull’argomento), alza i toni. «C’è rimasto da sperà nell’incidente aereo», si legge subito dopo. Un amico di Kappand rilancia: «Magari sopra Formello», riferendosi alla sede degli allenamenti della Lazio. L’altro non si lascia sfuggire l’occasione per rincarare la dose e ribatte secco «magara».

Non c’è bisogno di scomodare grandi investigatori per capire che Kappand e il suo amico tifano per la Roma e, a quanto pare, non c’è bisogno di Sherlock Holmes neanche per legare il profilo twitter a Cappelli. Al di là del fatto che il “nick name” è composto dalla prima parte del cognome e dall’inizio del nome, la descrizione che l’autore fa di sé è sottile ma dice molto: «Osservatore. Aiutante di campo. Giornalista». La foto di spalle tradisce il vizio del fumo e fornisce qualche altro dettaglio utile.“.

Andrea Cappelli è veramente osservatore, aiutante di campo e giornalista. E’ l’anima del Partito democratico del Lazio. Tutti i comunicati passanoda lui. E’ lui che spesso imbecca gli argomenti dei dibattiti. Del resto nell’ambiente sonocerti che dietro quel nickname si nasconda lo stretto collaboratore di Zingaretti. Francesco Storace, ad esempio, è tra i suoi followers e sulla vicenda interviene senza usare condizionali: «Ma che gente frequenta Zingaretti? Poi magari se la prende con i violenti. Li ha in casa». La reazione del segretario nazionale de La Destra segue quella del consigliere Pdl di Roma Capitale Francesco De Micheli, secondo il quale «lo sport non ha bisogno di commenti beceri. Il tifo è una cosa, l’idiozia un’altra», insiste attribuendo la frase che auspicava la caduta dell’aereo juventino a «uno stretto collaboratore di Nicola Zingaretti, candidato alla Regione». E il consigliere spera, come noi di Libero che lo abbiamo chiesto senza ottenere risposta al resto dello staff del Presidente, «che Zingaretti voglia prendere le distanze da simili affermazioni che feriscono i veri appassionati di calcio».

A notare la battuta di cattivo gusto era stato il consigliere capitolino Pdl Ugo Cassone, che per primo invitava Zingaretti a fare chiarezza. «Da tifoso della Lazio, ma credo di parlare anche a nome dei tifosi della Juventus e di tutti gli sportivi, mi sento profondamente arrabbiato e offeso», scriveva Cassone nel primo pomeriggio, «se Kappand fosse davvero il nickname del portavoce del presidente della Provincia di Roma vorrei ricordargli che è anche candidato alla presidenza della Regione Lazio».

La nota di Cassone ha generato qualche altro comunicato di disappunto, ma da parte degli interessati non è stato rotto il silenzio. Anzi. Cappelli a domanda diretta ha attaccato il telefono e non ha più risposto. Zingaretti, preso da molti impegni istituzionali, non ha replicato. E l’amico di Kappand che auspicava di fare amplein con l’aereo pieno di juventini sui laziali in allenamento? Lui dovrebbe essersi pentito, ha cancellato la propria parte di conversazione, anche se rimane citato dal «magara» con cui gli rispondeva Kappand.

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Libero 27-10-2012

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Il procuratore federale notifica i rinvii a giudizio per il tentativo di combine in Samp-Napoli

Caso Gianello, ecco i deferimenti:

il club e Cannavaro in ansia

Gli effetti Possibile una mini penalizzazione. Rischio omessa denuncia per il capitano e Grava

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 25-10-2012)

Lo scandalo del calcioscommesse non si è concluso con la squalifica (scontata) a quattro mesi ad Antonio Conte. Molto deve ancora succedere. Sono infatti in arrivo i deferimenti relativi al filone partenopeo. La Procura federale diretta da Stefano Palazzi, dovrebbe notificare oggi alle parti i rinvii a giudizio per l’ex terzo portiere azzurro Matteo Gianello e del Napoli per responsabilità oggettiva.

Ma a questo punto il Napoli è con il fiato sospeso per la posizione dei calciatori Paolo Cannavaro e Gianluca Grava: tutti e due, infatti, rischiano il deferimento per omessa denuncia. E a quel punto la situazione del Napoli potrebbe complicarsi. L’inchiesta sulla squadra azzurra nasce dalle dichiarazioni rese dall’ex terzo portiere Matteo Gianello su Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010. Gianello in un interrogatorio reso il 15 giugno 2011 al pm Antonello Ardituro e ai suoi colleghi Dario De Simone e Vincenzo Ranieri ha riferito di aver proposto la combine (con sconfitta) a Paolo Cannavaro e Gianluca Grava, che «diedero immediatamente e con estrema decisione una risposta negativa», ma che non avrebbero denunciato l’accaduto agli uffici federali così come previsto dai regolamenti. Ed è per questo che entrambi rischiano ora l’accusa di omessa denuncia. Cannavaro e Grava, prima in Procura e poi a luglio davanti gli 007 federali, si sono difesi dall’accusa, negando la circostanza e querelando l’ex compagno di squadra.

In pratica Matteo Gianello ha ammesso di aver ricevuto da Silvio Giusti, ex del Chievo, la proposta di taroccare Samp-Napoli. Il portiere ha confessato di «averci provato» parlandone con Cannavaro e Grava che però rifiutarono. A fine maggio Gianello e Giusti hanno ricevuto un avviso di chiusura indagini dalla Procura in cui si ipotizza per entrambi il reato di associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva in riferimento al presunto tentativo di combine. Si tratta dell’unica gara che gli inquirenti napoletani ritengono di aver individuato come sospetta. In quell’occasione i magistrati napoletani hanno anche chiesto l’archiviazione per altri undici indagati, compresi Cannavaro e Grava.

Inevitabile adesso che a giudizio finisca anche il Napoli che potrebbe andare incontro a una, seppur lieve, penalizzazione: la Samp, per l’illecito di Guberti, lo scorso agosto ha patteggiato un punto. Ma i rischi riguardano anche l’Europa League, perché l’Uefa prevede l’esclusione in caso di condanna. Anche in caso di manifestazione in corso. Ovvio che si tratta solo di una ipotesi.

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Calcioscommesse:

i deferimenti del filone

di inchiesta di Napoli

News FIGC.it 26-10-2012

La Procura Federale, esaminati gli atti di indagine posti in essere dalla Repubblica di Napoli, ha deferito alla Commissione Disciplinare Nazionale i calciatori Matteo Gianello, Paolo Cannavaro, Gianluca Grava e l’allenatore di base Silvio Giusti in merito alla gara Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010. Deferito anche il Napoli per responsabilità oggettiva. Per la gara Portogruaro-Crotone del 29 maggio 2011 sono stati deferiti inoltre i tesserati Claudio Furlan, Andrea Agostinelli, David Dei, Gianfranco Parlato, Silvio Giusti, il Portogruaro a titolo di responsabilità oggettiva e il Crotone per responsabilità presunta.

Per contatti finalizzati all’effettuazione di scommesse sono stati infine deferiti, oltre ai già citati Gianello, Giusti e al Napoli, anche Federico Cossato, Marco Zamboni, Dario Passoni e a titolo di responsabilità oggettiva le società Albinoleffe, Spal e Avesa.

Per consultare il dispositivo Clicca qui

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Il pallone di Luciano

I rossoneri pagano

una rivoluzione affrettata

di LUCIANO MOGGI (Libero 26-10-2012)

L’ha detto pure Sacchi, anche se non occorreva la sua vidimazione: se il Milan va male è per la scarsa qualità della rosa. La rivoluzione rossonera si è trasformata in desertificazione quanto a valore e robustezza dell’organico, non un solo reparto ne è uscito indenne: il cigno è diventato brutto anatroccolo e non viceversa. E se contemporaneamente ai patemi di Malaga, Ibra va a segno anche a Zagabria, significa che al Milan manca proprio lo svedese (e dire che qualcuno sosteneva che giocava solo per se stesso...).

Diciamo la verità: surrogati dei campioni se ne potevano anche trovare, invece il mercato del Milan ha raccattato a casaccio e in ritardo clamoroso sui tempi. Le rivoluzioni si programmano, non si subiscono, per il semplice motivo che bisogna poi avere il tempo di indirizzarle, a meno che il magro raccolto non risulti figlio di operazioni sbagliate o sopravvalutate. È sorprendente che club meno grandi (vedi la Fiorentina) o anche piccoli abbiano saputo attrezzarsi e il Milan no: dura lex sed lex, quella del tempo appunto o del portafoglio rigonfio o meno (e quello rossonero rigonfio non lo è più). Riattrezzarsi è difficile, specialmente per un grande club, e succede quando le rivoluzioni sono affrettate.

Povero mister

E così accade che tocca allo sballottato Allegri provare a tenere a galla la barca, e siccome il cane morsica lo stracciato, capita anche che il Milan debba tornare in campo già domani nella sfida cruciale con il Genoa (un giorno in più sarebbe tornato comodo), ma stavolta il riposo suppletivo per le reduci dalla Champions è toccato alla Juve. Qualcuno si sarà distratto visti i precedenti che coglievano sempre i bianconeri nei turni anticipati della pay per view. Impegno, anche questo, sicuramente difficile per il Milan, in crisi inevitabile anche di autostima, e su un campo come San Siro diventato non più amico. «Milan troppo provinciale» l’ultima accusa ad Allegri, riferita al “tutti dietro” di Malaga, ma quando si è nei guai si fa di necessità virtù (lo fece, in circostanze ben diverse, anche Mou contro il Barcellona). In classifica niente è compromesso, ma è il campionato che opprime e basta il Genoa, con tutto il rispetto, a far paura.

Non avevamo scritto di una gara facile per la Juve, detto senza perifrasi da altri, ma eravamo convinti di un ritorno alla vittoria in Coppa. Ed invece siamo a nove euro-pareggi filati. Le possibilità di rifarsi ci sono tutte, ma i due punti persi rendono più complicato il cammino. Nella circostanza, tenendo anche conto del valore degli avversari, era inevitabile tornare a parlare di «mancanza di top player in attacco», ma non è assolutamente questa la causa della mancata vittoria.

Probabilmente la Juve ha affrontato l’impegno con sufficienza, sicura che prima o poi sarebbe venuto il gol, ed è proprio in queste situazioni che si può andare invece sotto. Il resto l’ha fatto la fatica, già notata nella partita di campionato con il Napoli (contro i danesi troppi errori commessi sia in difesa che a centrocampo). Per quanto riguarda il top player, Marotta ha avuto il coraggio di dire che manca ancora qualcosa a questa Juve per vincere in Europa, gli dobbiamo rendere atto di non nascondersi dietro i successi in campionato. Allo stesso modo Buffon: «Ci sono gradini di qualità e di difficoltà da superare in Champions, cui ci stiamo sottoponendo», facile ribattere che almeno con i danesi quei gradini dovevano essere superati. E poi: «Può essere colpa dei troppi impegni».

Spiate e dossier

Quasi da ridere: nel processo intentato dall’ex arbitro De Santis contro l’Inter per i pedinamenti, le spiate e il dossier a suo danno, i difensori del club nerazzurro hanno invocato l’ennesima prescrizione. La condotta dell’Inter sarebbe prescritta (ma che novità!), e siccome forse non si fidano di questa eccezione, ecco la seconda, si chiama difetto di legittimazione. Cioè di quei pedinamenti non dovrebbe rispondere l’Inter, ma la Telecom (ovvero Pirelli) che li pagò, bypassando la dichiarazione giurata di Cipriani, che quei pedinamenti fece. «Le fatture - disse nel processo Telecom - furono fatte alla Pirelli perché l’Inter non doveva comparire». Di fronte a questi accadimenti il presidente dell’Inter Moratti dovrebbe almeno arrossire, lui che non vuole mai salvarsi per non aver commesso il fatto, ma per prescrizione. Dubitiamo che stavolta ci possa riuscire, lo scudo eretto a suo favore dalla Figc nella giustizia sportiva non funziona nelle aule penali.

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SORPRESA IN CHAMPIONS: I TEDESCHI DOMINANO IL GIRONE DI FERRO

Rivoluzione Borussia

Spregiudicati in campo e attenti in società. Hanno un budget sostenibile, lo stadio sempre pieno e un manager al posto dei magnati.Mancava solo l’esperienza:ora sono davanti a Real e City

Età media di 23 anni. Nel 2005 erano quasi falliti, oggi sono l’esempio da seguire

di GIULIA ZONCA (LA STAMPA 26-10-2012)

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La buona notizia è che si può cambiare. Si può diventare la squadra più brillante d’Europa senza sceicchi, senza Messi, senza debiti, senza Special. Con intelligenza e in tempi relativamente brevi.

Il modello si chiama Borussia Dortmund ed è aria fresca, un progetto in evoluzione che si fa notare da qualche anno e che in Champions League ha dato la svolta al mondo del pallone. Questa squadra a budget sostenibile, con un vivaio da invidia, un’età media di 23 anni, con stelle fatte in casa e un allenatore rapito alla tv è la prima nel girone impossibile. Davanti all’imponente Real Madrid battuto in una partita spettacolo mercoledì sera, davanti al Manchester City dalle possibilità infinite, davanti all’Ajax abituato a costruire talenti. Proprio gli olandesi, nell’ultima sfida, hanno srotolato un mega striscione con la scritta «stop al calcio moderno», ma qui siamo al calcio contemporaneo. Avanti. Dietro questo successo non c’è un magnate, c’è una testa, Hans-Joachim Watzke: ha fondato un’azienda che produce tessuti antincendio, si è prima lasciato sedurre dalle voglie di espansione poi si è redento. Si è prima fatto prendere la mano provando allenatori a catena poi si è stabilizzato. Cambiare si può.

Watzke era già in società quando il Borussia è più o meno fallito nel 2005. Si erano allargati troppo, nel 1997 hanno vinto la Champions e perso la testa e quando sono crollati nessuno si aspettava di rivederli così presto ai vertici, trasformati in esempio. Erano finiti e quando Watzke è diventato il manager della rinascita non ha ricevuto applausi. Si è venduto la storia, il Westfalenstadion, la tana della nazionale tedesca. Via il nome, ceduto allo sponsor e via alla ristrutturazione. Giovani, perché di soldi non ce n’erano ed era impossibile comprare e fiducia a un tecnico noto solo per la vena polemica nei dibattiti, Jurgen Klopp. Era stato sulla panchina del Magonza, niente di più e ora è mr carisma. Uno che si è preso pure i complimenti di Mourinho.

Il Borussia ha vinto gli ultimi due campionati, ha aumentato del 20 per cento gli incassi del marketing in questa stagione, ha messo insieme un budget di 190 milioni, il terzo della Bundesliga. Non deve più fare economia ma continua a usare il giudizio. Hanno ceduto Kagawa, pescato nella serie B giapponese, al Manchester United per più di 16 milioni, hanno tenuto Goetze, campione uscito dalle giovanili, hanno confermato la punta Lewandowski, hanno comprato Reus, la novità più interessante della Germania agli ultimi Europei. Attirano giocatori e pubblico, lo stadio da 80 mila posti è sempre pieno. Ci sono 54 mila abbonati. Mancava l’esperienza. Padroni in casa, imbarazzanti nelle Coppe: nel 2011-2012, fuori al primo turno di Champions. Ultimi del girone e bollati con sufficienza da chi ha paura che il banco stia per saltare.

Sono tornati con un anno in più e hanno battuto il Real Madrid. Non solo, hanno fatto impazzire chiunque abbia guardato la partita. Piacciono, sono spregiudicati, veloci, divertenti. La Spagna autoreferenziale ha titolato “Modello Barça”, ma il Borussia è un’altra realtà. Non ha debiti, non spende più di quel che ha e deve solo stare attento a non rompere il giocattolo. Prima di DortmundSchalke, 200 arresti, quasi tutti tifosi avversari, pare esasperati dalla supremazia dei ragazzini. A inizio campionato qualche protesta per il caro biglietti, subito sedata con pacchetti famiglia. Dopo le rivoluzioni bisogna sempre stare attenti, ma questa squadra ha le gambe per correre verso il futuro. E per fortuna molti altri club la stanno inseguendo.

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IL (POSSIBILE) PROCESSO

Pm di Milano: «Moggi diffamò Zeman»

di DANIELE GALLI (IL ROMANISTA 26-10-2012)

«Zeman non sa allenare, è lento e impacciato nel parlare e i giocatori non lo capiscono ». In attesa che ci pensino la storia, i fatti, le vittorie, a condannare Luciano Moggi, e la reazione della Roma a Marassi in questo senso fa ben sperare, ci potrebbe pensare un magistrato della Repubblica Italiana. La Procura di Milano, per la precisione il pm Letizia Mannella, ha infatti rinnovato la richiesta di rinvio a giudizio per l’ex dg della Juve. Il Gup Luigi Varanelli dovrebbe decidere nella prossima udienza del 7 novembre. Moggi potrebbe finire alla sbarra (di nuovo) per l’accusa di avere diffamato Zeman, che lo ha querelato.

I fatti risalgono a fine autunno del 2009. Il tecnico viene ascoltato a Napoli nell’ambito del processo penale a Calciopoli, processo che terminerà due anni dopo con la condanna di Moggi a 5 anni e 4 mesi di reclusione. Ai magistrati racconta che la sua carriera è stata rovinata dalle accuse di doping alla Juventus. Nell’udienza successiva, Moggi replica a stretto giro di posta. «Se Zeman pensa che sia stato io (…) a farlo esonerare per rovinargli la carriera, dovrebbe ringraziarmi perché ha guadagnato cinque miliardi di lire netti per un anno». Moggi spiega, anzi sibila, che Zeman viene sempre esonerato «perché non sa allenare, è lento e impacciato nel parlare e i giocatori non lo capiscono». Basta e avanza al Maestro per querelare l’ex numero uno della Juventus.

Non è la prima volta che Moggi finisce nei guai per fatti - ma sarebbe meglio dire per dichiarazioni - accaduti a margine di eventi più importanti. Per qualcosa che avviene a latere dei processi nei quali figura come imputato. L’esempio, giusto per guardare a casa nostra, è quello che è successo con Franco Baldini, quando Baldini era ancora il team manager dell’Inghilterra. Il dg giallorosso sta per deporre a Roma come testimone nel processo Gea, che si concluderà pure qui con una condanna per Moggi. È il 19 giugno 2008. L’ex grande capo bianconero lo incrocia e lo apostrofa: «Buongiorno pezzo di ɱerda. Stai attento che finisce male».

Prima ancora di essere messo a confronto con Baiocco, Baldini denuncia tutto. «Lui mi è venuto incontro e, con il dito puntato a dieci centimetri dal viso - dice al presidente del Tribunale - mi ha detto quelle parole. Può testimoniare un cronista del Corriere dello Sport che era seduto sulla panchina accanto a me». Il pm chiede 8 mesi, Moggi se la cava (si fa per dire) con 4 mesi, più una provvisionale di cinquemila euro e duemila euro di spese di giudizio. Non era diffamazione, erano minacce. Ma il feeling tra Moggi e la Roma è quantomai attuale.

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