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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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CALCIOSCOMMESSE

Il calcio trema ancora

"Sono in arrivo risvolti clamorosi2

Rivelazione di Manganelli, capo della polizia

"Vari modi per ottenere denaro importante"

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«Alcune cose scorrette sono venute fuori, altre stanno per venire fuori e porteranno a ulteriori risposte. Se possibile ancora più clamorose», il capo della Polizia, prefetto Antonio Manganelli, lancia un ulteriore allarme sul calcioscommesse. Lo fa da un palcoscenico privilegiato: la presentazione, insieme a Robert Kennet Noble, dell'assemblea mondiale dell'Interpol che si terrà dal 5 all'8 novembre a Roma. Un messaggio importante che avvalora l'ipotesi di «un'organizzazione criminale transnazionale» che si celerebbe dietro l'inchiesta della Procura di Cremona e del pm Roberto di Martino.

«C'è stata una massiccia attività contro diverse organizzazioni responsabili di scommesse clandestine — ha spiegato il segretario dell'Interpol Noble — e ci sono tantissime indagini in corso nel mondo, con migliaia di arresti soprattutto nel sud est asiatico». Una dimostrazione di come lo scambio di informazioni tra polizie sia importante per arrivare alla soluzione del problema dei match truccati. In particolare proprio grazie a questa collaborazione sono arrivate a Cremona le rogatorie internazionali dalla Finlandia, dall'Ungheria e dalla Svizzera. Ma anche dalla Bulgaria dove la polizia sta facendo luce sull'omicidio del rappresentante di Sks365 che aveva denunciato alcune combine.

«Non parliamo di calcio truccato tout court — ha spiegato Manganelli — non si scommette sul risultato finale di una partita ma sul fatto che un giocatore butti la palla fuori, si scommette su chi tirerà il primo calcio d'angolo o su chi toccherà per primo la palla con la testa. È possibile capitalizzare denaro importante anche così». Tutte possibilità di scommessa che vengono pubblicizzate dai siti asiatici. Ma cosa può comportare questo nuovo allarme del capo della Polizia per la giustizia sportiva italiana? Al momento si tratta solo di vedere come l'inchiesta di Cremona possa trovare sbocco in quella più allargata dell'Interpol. «Last Best» ha già messo in evidenza come molte giocate sulle partite italiane siano state «dirottate» su siti asiatici e come intermediari stranieri abbiano trasportato somme di denaro in Italia per combinare partite.

Sviluppi italiani Cremona ha ancora i riflettori puntati su alcune partite del Siena, e il pm di Martino ha intenzione di sentire ancora Erodiani, alla luce di quanto ha detto alla Procura federale. Una sorta di «atto dovuto» per approfondire quel filone. Intanto anche la Procura di Bari starebbe per chiudere il filone relativo alle partite del Bari della stagione della sua promozione in serie A.

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Ranocchia, ecco i guai

per Salernitana-Bari

Gasport - Centiti-Galdi -10 ottobre 2012

Il difensore, allora 21enne, avrebbe partecipato (come tutta la squadra) alla combine, ma non voleva i soldi e forse li regalò

Andrea Ranocchia ai tempi del Bari dove ha giocato nel 2008 al 2010. LaPresse

Un’indagine sotto traccia, molti spifferi, un’intera squadra (il Bari) indagata per frode sportiva e l’attesa della tempesta. Ora quella attesa sta per terminare. Ed è solo una coincidenza che tutto arrivi nel giorno in cui il capo della Polizia "preannuncia" novità importanti sul calcioscommesse. L’inchiesta della Procura di Bari, però, è da mesi che sta scavando nel profondo e ha già messo a fuoco due combine acclarate: Bari-Treviso 0-1 maggio 2008 e Salernitana-Bari 3-2 maggio 2009. Si parte dalle rivelazioni fatte da Vittorio Micolucci a Stefano Palazzi (con un fax) e da quelle di Andrea Masiello al pm Angelillis. Siamo in piena "bufera" agostana con l’attenzione dei media rivolta ai processi romani sulle carte arrivate da Cremona. Più di 20 ex calciatori del Bari ricevono l’avviso di garanzia (frode sportiva) e sono convocati per l’interrogatorio. Molti si avvalgono della facoltà di non rispondere, ma il muro di omertà crolla sotto i colpi di 4-5 verbali collaborativi. Vere e proprie confessioni che metterebbero nei guai i vari Gillet, Barreto, Santoruvo, De Vezze, Belmonte, Parisi, ma anche Andrea Ranocchia fresco di ritorno in Nazionale. Da pochi giorni l’interrogatorio di Andrea Masiello non è più sotto segreto istruttorio. E i contorni sussurrati di una combine da mettere i brividi emergono nella loro interezza.

COME NASCE UNA COMBINE — Bari-Treviso è il principio. La squadra veneta è in enorme difficoltà e chiede un "favore" al Bari. Il regista dell’operazione sarebbe un ex: Pianu. Chiama e ottiene l’okay da alcuni senatori dei pugliesi. Ma c’è chi dice no: è Cristian Stellini. Che cerca di convincere altri a giocarsi quella sfida. Trova terra bruciata. Anche Masiello non è convinto: risolve la questione facendosi squalificare. Alla fine il Treviso ha quello che cercava: il Bari in campo non c’è e perde. Passa un anno e la situazione si ripropone in modo più scientifico. Questa volta è la Salernitana a rischiare la retrocessione. Ultima giornata: Bari già promosso, tifoserie gemellate. L’ideale per vendere una gara. Almeno così la pensano a Salerno. Ma Ganci, ex biancorosso, sa che potrebbero esserci problemi. Il verbale di Masiello su qualche punto si differenzia rispetto agli altri (dovrebbero essere Lanzafame, Spadavecchia, Parisi e lo stesso Stellini, ma probabilmente l’elenco è più lungo), ma la sostanza non cambia. Partita venduta per circa 160 mila euro e soldi spartiti tra i componenti della rosa, staff tecnico escluso. Con qualche distinguo. Cerchiamo di capire.

LE BUSTE — Non è un film, ma la ricostruzione degli inquirenti. Gli scommettitori sono squali affamati, i calciatori stritolati da frequentazioni sbagliate. E comunque Ganci, secondo Masiello, spiega a Fusco il problema: "Stellini". I due hanno giocato insieme. Basta una telefonata per fissare l’incontro. In autostrada? A Bari? Punti di vista diversi. La sostanza non cambia: Fusco mette sul piatto i soldi e chiede l’okay della squadra. I senatori non sanno cosa fare, la tifoseria preme. L’idea allora sarebbe stata questa: riunione plenaria in palestra. Tutti messi al corrente dell’offerta. Tutti devono dare l’adesione. Solo Gazzi si sarebbe allontanato. Gli altri accettano. I soldi sarebbero stati consegnati in due rate. Il resto è più semplice: quote da 5-6 mila euro divise in buste e consegnate nello spogliatoio. A Gazzi e forse Barreto invece dei soldi c’è un computer in regalo. Un modo per cementare l’omertà. E poi c’è il caso Ranocchia: ha 21 anni. I soldi non li vuole. E allora che avrebbe fatto? Li potrebbe aver regalati ad Angelo Iacovelli, il factotum che in una intercettazione ambientale dice: "Ranocchia è bravo, mi ha anche dato denaro quando ne avevo bisogno".

INCHIESTA SPORTIVA — A breve il procuratore Laudati dovrebbe passare le carte a Palazzi. L’inchiesta è "blindata" dalle collaborazioni. Chi si è avvalso della facoltà di non rispondere una volta visti gli atti potrebbe cambiare strategia. Resta defilata la posizione di Conte (era l’allenatore): a Bari è persona informata dei fatti. I giocatori lo hanno scagionato: "non sapeva nulla". Ma uno di loro avrebbe fatto riferimento a qualche comportamento particolare. Nulla che possa prefigurare un reato penale, ma a livello sportivo le cose potrebbero essere diverse. Toccherà a Palazzi fare una valutazione finale. In ballo, comunque, c’è un’altra omessa denuncia.

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Al lavoro la procura federale

Inchiesta di Bari, giallo Ranocchia

E spunta un rappresentante delle forse dell'ordine nella presunta combine Salernitana-Bari

In attesa che da Cremona riprendano gli interrogatori per approfondire nuovi aspetti dell'inchiesta rimasti ancora oscuri (il pm Di Martino ha già pronta una nuova lista di persone da interrogare nella quale sarebbero stati inseriti anche Stellini e alcuni dirigenti), a Bari la Procura sta andando avanti con accertamenti e approfondimenti sulle ammissioni di Micolucci e Andrea Masiello, accuse su due partite del Bari del 2007-08 (Bari-Treviso 0 1) e del 2008-09 (Salernitana-Bari 3-2) che sarebbero state confermate anche dalle deposizioni di Stellini e Lanzafame a Bari il 7 e 8 agosto. Ecco perché da alcune settimane nel registro degli indagati risultano i nomi di molti dei calciatori di quel Bari tra cui l'interista Ranocchia. Nel corso di questi mesi il lavoro degli inquirenti si è concentrato in particolare su Salernitana-Bari, un match sul quale sono arrivate conferme importanti, con 250.000 distribuiti subito dopo la doccia, ancora dentro l'Arechi. Indiscrezioni da confermare vorrebbero che nella vicenda abbia recitato un ruolo importante pure un rappresentante delle forze dell'ordine operativo a Salerno e "custode" della somma (o di una parte di essa). Sarebbe stato lui a consegnarla ai calciatori biancorossi al termine della sfida.

PROCURA FEDERALE - In attesa di avere novità dalle Procura italiane, quella federale, oggi, emetterà nuovi deferimenti, sembrerebbe però non legati al fenomeno del calcio scommesse. Anche se sul tavolo del magistrato militare Stefano Palazzi è ancora fermo il fascicolo relativo all'ex terzo portiere del Napoli, Matteo Gianello, per la tentata combine in Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010, inchiesta che i magistrati di Napoli hanno già chiuso. Ma c'è molto altro nei faldoni dei federali, non ci sono solo le scommesse. A cominciare - tanto per rimanere al Napoli - del comportamento del presidente De Laurentiis in occasione della Supercoppa giocata a Pechino contro la Juventus, quando la squadra non si presentò alla premiazione per protestare contro l'arbitraggio di Mazzoleni. Non solo: gli 007 della Federcalcio hanno fra le mani pure la vicenda-Cellino, che ha portato all'annullamento della partita Cagliari-Roma, con lo 0-3 a tavolino comminato dal Giudice Sportivo. Una vicenda che non si è ancora chiusa, visto che sia le ordinanze del prefetto di Cagliari, sia gli atti del Giudice sportivo sono finiti all'attenzione di Palazzi per verificare eventuali nuove e diverse responsabilità da parte del presidente rossoblù.

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La partita più sporca

Da Gillet a Ranocchia

Salernitana Bari del 2009 finita 3-2 fu truccata da tanti giocatori, che oggi vanno in campo. In arrivo una bufera, annunciata dal capo della polizia

Foschini-Mensurati -la Repuabblica- 10-10-2012

BARI - C'è un segreto che le varie indagini sul calcioscommesse non sono ancora riuscite a raccontare. Un segreto osceno e antico come un peccato originale che torna oggi minaccioso, attraversa la penisola e unisce in una sorta di patto silenzioso tutti i suoi protagonisti, da Bari a Milano, da Genova a Treviso, da Torino a Udine, negli stadi più importanti d'Italia: è il segreto di Gillet, portiere del Torino, Ranocchia, difensore dell'Inter, Barreto, centravanti dell'Udinese, e di loro altri venti colleghi professionisti. È il segreto di Salernitana-Bari 3-2. La partita che potrebbe far saltare il banco del calcio italiano. "Sta per venire fuori altro e porterà a ulteriori risposte, se possibile ancora più clamorose" ha detto ieri il capo della Polizia, Antonio Manganelli.

Il fax dimenticato

Di quella partita, probabilmente, nessuno si ricordava più da molto tempo. Fino a quando qualche mese fa Repubblica scova, tra le carte depositate e ignorate dal procuratore della Figc Palazzi, un fax. È un documento nel quale Micolucci, ex calciatore dell'Ascoli, già testimone chiave del processo di Cremona, denuncia una serie di partite "fatte" dal Bari della stagione 2009-2010. Letto quel fax sulle pagine del giornale, il procuratore di Bari, Antonio Laudati, decide di indagare. Chiama tutti i giocatori e li interroga, chiama i loro referenti in città, gli uomini dell'entourage, i loro amici, analizza telefonate e flussi economici. Insieme ai carabinieri del nucleo operativo ascolta tutti e alla fine, nei giorni scorsi, tira una riga. Ecco, se si potesse immaginare il punto esatto in cui il pallone in Italia ha smesso di essere un sport, bene, il punto esatto è su quella riga.

La partita

La ricostruzione dei fatti ("documentatissima", spiega un investigatore) sembra una sceneggiatura. "Quel Bari" era una squadra super. In campo. E in ricevitoria. Salernitana-Bari fu il capolavoro. Il Bari era promosso. La Salernitana si doveva salvare. Due giocatori della Salernitana, Fusco e Ganci contattano alcuni loro amici all'interno dello spogliatoio del Bari. Vogliono, anzi, devono comprare quella partita. Due tra i giocatori del Bari sono particolarmente recettivi, Stellini e Gillet. L'offerta non è chiara: sul tavolo balla una cifra tra i 200 e i 300mila euro per perdere. I senatori ne parlano all'interno dello spogliatoio. Si discute. Alla fine si accetta. Il primo incontro con quelli di Salerno avviene in uno spiazzo autostradale, a conferma del "perfetto stile malavitoso tenuto dai calciatori" dicono gli investigatori, che è uno dei tratti distintivi di questa inchiesta.

La valigetta

Tratti distintivi che si individuano anche nella modalità con cui avviene il pagamento. In quella piazzola viene deciso che emissari della Salernitana avrebbero visto la partita insieme con la compagna di uno dei calciatori del Bari. E, a risultato conseguito, avrebbero lasciato la valigetta con i soldi. "E il risultato conseguito - riflettono gli investigatori - fu un 3-2, un over... ". Come dire: hanno venduto la partita e hanno passato l'imbeccata agli scommettitori, per arrotondare. La voce passa per le ricevitorie di Bari. La intercetta persino un carabiniere. Che non indaga. Ma scommette pure lui (ora è nei guai). Si gioca. La Salernitana vince 3-2. E all'indomani del match, non resta che dividere il bottino. L'inchiesta di Laudati e dei carabinieri, per la prima volta, è riuscita a violare in blocco il segreto di uno spogliatoio. E a scoprire come vennero divisi quei soldi. I senatori, su tutti Gillet, Stellini ed Esposito, prendono le fette più grosse. Agli altri vanno quelle più piccole. Tanto più piccole quanto minore era stato il ruolo nella combine.

Ranocchia

Tutti i giocatori sono indagati, adesso. Sono stati interrogati e molti hanno rifiutato di rispondere. Dubbi ci sono soltanto su due di loro: Ranocchia e Gazzi. Il centrocampista del Torino, secondo alcuni testimoni, inizialmente rifiutò la propria parte e poi fu costretto ad accettare un computer "in omaggio" (una forma di vincolo imposta dal gruppo). Quanto a Ranocchia le voci dei testimoni si contraddicono: secondo qualcuno prese la busta. Secondo altri rifiutò. La procura di Bari è ormai pronta a chiudere l'inchiesta. Ma a terrorizzare i calciatori sono i processi sportivi. Ranocchia, ad esempio, rischia un'omessa denuncia.

La posizione di Conte

Il fax dimenticato da Palazzi questa estate è destinato a tornare sulla scrivania dello 007 federale (nel frattempo riconfermato nel suo ruolo da un Abete in scadenza di mandato) sotto forma di inchiesta fatta e finita: illecito sportivo aggravato. Per i giocatori si profila una condanna memorabile. La posizione più incerta rischia però di essere di nuovo quella di Antonio Conte, sul quale incombe un altro possibile deferimento ("solo") per omessa denuncia. Conte era l'allenatore di quel Bari. Oggi è l'unico a non essere indagato. "Quando uno spogliatoio decide di tenere nascosto qualcosa al proprio allenatore, allora non c'è modo di sapere nulla", è stata la difesa del tecnico. La sua versione è stata confermata dai giocatori: "Non ne sapeva niente", hanno detto tutti. Tutti, tranne uno: ha raccontato di aver avuto l'impressione che Conte avesse capito perfettamente come quella partita fosse stata "ceduta", tanto che si raccomandò, prendendo a uno a uno i suoi, di non fare sciocchezze, di giocare al massimo. È sufficiente per un deferimento? Molto dipende dalla risposta che si vuole dare a due domande che girano nella testa degli investigatori: possibile che un allenatore noto per la sua attenzione maniacale ai dettagli, non si sia accorto - per due volte, a Bari e a Siena - che i suoi spogliatoi erano diventati un suk? E perché scegliere sempre Stellini come vice?(10 ottobre 2012)

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Nostra inchiesta

Giustizia sportiva

ecco le riforme

Le proposte per la riforma

GUIDO VACIAGO - Tuttosport -10-10-2012

Ora che si stanno depositando le ultime velenose scorie di Scommessopoli, bisogna cogliere l'attimo. Perché è sempre più urgente pensare a una nuova giustizia sportiva La troppo diffusa sensazione di iniquità che ha inquinato i sentimenti di molti appassionati di caldo, non può essere solamente ricondotta (e ridotta) all'isterismo tifoso. Al di là dei commenti partigiani, infatti, si registra una certa unanimità anche nelle componenti istituzionali nel constatare che qualche anomalia, nel funzionamento della macchina giuridicosportiva, c'è stata ed è necessario intervenire. La credibilità, in questo ambito, è il bene più prezioso: perderla agli occhi di chi si nutre di caldo e, quindi, nutre il caldo, significa minare alla base tutto il movimento. Un rischio inconcepibile. Ma tanto la riforma della giustizia sportiva è urgente, quanto va affrontata con calma e professionalità (le riforme sbagliate nascono quando si riforma tanto per riformare). E tutte le parti in causa devono dare il proprio contributo di esperienza e idee. Il nostro è quello di favorire il dibattito, dando voce a esperti e addetti ai lavori, raccogliendo e ordinando spunti utili al lavoro che spetterà nei prossimi mesi ai vertici dello sport italiano.

IN QUESTE settimane si sono espressi avvocati e magistrati che hanno avuto modo o hanno tuttora di lavorare nell'ambito della giustizia sportiva. Dai loro punti di vista, tutti molto equilibrati e costruttivi (alcuni dei quali si ritrovano nella parte bassa della pagina, ndr), si trae la conclusione che la giustizia sportiva non è da radere al suolo come, talvolta, ai può percepire dalle dichiarazioni infuocate di un dopo-processo, ma sono necessari dei ritocchi e dei miglioramenti per adeguare ig meccanismo ai tempi attuali e ai principi del giusto processo. II diritto alla difesa è l'elemento sui quale battono fortemente (e ovviamente) gli avvocati. Troppo poco tempo e troppe limitazioni (negare la possibilità di contro-interrogare i pentiti è stata, effettivamente, una violazione del principio del eontradditorio) inficiano il loro lavoro, con il risultato di avere delle condanne che non sempre sono 'oltre ogni ragionevole dubbio-, altro principio al quale molti si rifanno nel pensare alla riforma C'è chi poi fa notare che le regole ci sono e basterebbe applicarle. Il diritto alle indagini difensive, per esempio, esiste, ma non sempre è stato garantito. Non si tratta, quindi, di riscrivere, ma di... leggere meglio certe sentenze delle stessi corti sportive. In questo senso la fretta può essere più che mai cattiva consigliera. E allora arriva la proposta di separare le posizioni individuali da quelle dei club. Se la retrocessione o la penalizzazione di un club deve essere decisa entro i tempi stretti dettati dall'inizio dei campionati, la squalifica di un allenatore odi un giocatore non ha la stessa urgenza. Potendoci dedicare più tempo, si potrebbe ottenere un processo più approfondito, nel quale attuare una maggiore verifica delle prove. Altri temi di scottante interesse sono, poi, l'utilizzo dei pentiti, una ridefinizione dell'omessa denuncia, un ripensamento della responsabilità oggettiva. Nel primo caso, soprattutto, si sente la necessità di equilibrare il 'potere" che certe situazioni consegnano, non sempre in modo provvido, ai collaboratori, necessari a molte inchieste, ma sulla gestione dei quali esiste ampia letteratura sul fronte della giustizia ordinaria che, forse, non andrebbe trascurata

MARIO STAGLIANO

«Non ci fosse il Tnas d sarebbe più tempo

TORINO. Mario Stagliano è un avvocato, esperto di diritto sportivo (nella vicenda Scommessopoli difende la Nocerina), ma è anche stato il vicecapo dell'ufficio indagini della Figc fino al 2006. Si può sostanzialmente dire che la giustizia sportiva la conosce da entrambi i lati. E spiega:.Servirebbe più tempo per approfondire gli argomenti. A volte vengono concessi cinque giorni per leggere 10.000 pagine, 48 ore per presentare un appello, meno per delle controdeduzioni. Una follia. La mia soluzione sarebbe abolire il terzo grado di giudizio al Tnas. La fretta con la quale si conducono i primi due gradi è dovuta alla necessità di istruire il terzo. A questo punto per fare tre gradi frettolosi, meglio due più ponderati in cui le difese possano avere la possibilità di operare in modo migliore. Oltretutto, avere un terzo grado di giudizio che entra nel merito è un controsenso giuridico, non avviene in nessun ordinamento. 11 Tnas è un tribunale arbitrale che entra nel merito delle vicende dopo che si sono espressi i giudici della Disciplinare e della Corte Federale è illogico, come certi patteggiamenti.

• GIOVANNI MALERBA

«Cambiamo le teste poi via alle riforme»

GIOVANNI Malerba è stato un magistrato della Corte d'Appello di Roma per oltre quarant'anni e ha ricoperto il ruolo di membro della Corte d'Appello Federale della Figc. Oggi è in pensione, ma segue con attenzione e anche un pizzico di indignazione ciò che accade nel mondo della giustizia sportiva. "In tutta sincerità credo che qualche riforma sia da portare avanti, ma citando un mio vecchio maestro dico che prima delle leggi andrebbero riformate le capocce, le teste cioè. Anche delle norme ballerine possono funzionare se chi le amministra di rifàveramente ai principi di terzietà e di imparzialità. Quello della giustizia sportiva è un sistema immarcescibile e inossidabile. Mi sembra di riscontrare se non gli stessi nomi, gli stessi atteggiamenti. Anzi, mi viene da dire che si stava meglio quando si stava peggio, ovvero prima della rivoluzione del 2006. In 43 anni di carriera nella giustizia cosiddetta ordinaria non ho mai visto un componente di una giuria parlare per radio delle motivazioni di una sentenza appena pronunciata e non ancora depositate (il riferimento è a Sandulli che ha anticipato le motivazioni della sentenza d'appello su Antonio Conte, ndr). Se questo è il livello raggiunto, la situazione è preoccupante..

• PAOLO RODELLA

«Diritto alla difesa del contraddittorio»

L'AVVOCATO Paolo Rodella è uno dei mAssimi esperti di diritto sportivo. Protagonista dei processi di Scommessopoli, dove ha difeso una decina di tesserati. Sulla riforma della giustizia sportiva ha un'idea chiara. «L'enorme inchiesta di Soommessopoli si regge sulle dichiarazioni di due o tre pentiti, che non sempre hanno trovato riscontro. Quello che trovo incredibile è che non sia stato concesso alle difese il con-tradditorio in aula con queste persone. Io, fra gli altri ho difeso Pésoli, il calciatore che si è poi incatenato davanti alla Figc. Fin dall'inizio lui mi diceva: sono sicuro che i miei accusatori, se si trovassero davanti a me non avrebbero il coraggio di ripetere le bugie che hanno detto al procuratore federale. Ma questo non è stato possibile e, a mio parere, non è giusto. Eppure il contradditorio con il pentito è previsto dal nostro ordinamento giuridico. Ho sentito parlare, nelle ultime settimane di "confronto", ma questo sarebbe effettivamente extra ordem, perché il cosiddetto confronto all'americana appartiene alla cultura giuridica anglosassone. Ma il contradditorio in aula è assolutamente prevista dall'ordinamento italiano, quindi si potrebbe utilizzare.

MAURILIO PRIORESCHI

Le norme ci sono basta applicarle

Sono anni che dico che la giustizia sportiva non dà garanzie di difesa, ma siccome tutti ritenevano - sbagliando - che la questione riguardasse solo i 'cattive Moggi, Giraudo e Mazzini, nessuno ha speso una parola o mosso un dito. La soluzione del problema è molto più semplice di quanto si pensi e non richiede riforme epocali. Sarebbe sufficiente che i giudici sportivi applicassero correttamente delle norme che già esistono nell'ordinamento sportivo, ma che tutti fanno finta di non conoscere. Mi riferisco anzitutto all'art. 33 n. 2 dello statuto della Feder- calciò il quale stabilisce che: «Le norme relative all'ordinamento della Giustizia Sportiva devo-no garantire il diritto di difesa». Cosi come l'art. 41 n. 9 del C G.& prevede che: «La Commissione disciplinare è investita dei più ampi poteri di indagine, in ordine alla assunzione delle prove. E infine i principi di Giustizia Sportiva emanati dal Coni prevedono il «rispetto del principio del contraddittorio.. Questo vuol dire che gli organi disciplinari sportivi sono tenuti a rispettarei principi costituzionali, appunto del contraddittorio e del giusto processo

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La posizione di Conte

Il fax dimenticato da Palazzi questa estate è destinato a tornare sulla scrivania dello 007 federale (nel frattempo riconfermato nel suo ruolo da un Abete in scadenza di mandato) sotto forma di inchiesta fatta e finita: illecito sportivo aggravato. Per i giocatori si profila una condanna memorabile. La posizione più incerta rischia però di essere di nuovo quella di Antonio Conte, sul quale incombe un altro possibile deferimento ("solo") per omessa denuncia. Conte era l'allenatore di quel Bari. Oggi è l'unico a non essere indagato. "Quando uno spogliatoio decide di tenere nascosto qualcosa al proprio allenatore, allora non c'è modo di sapere nulla", è stata la difesa del tecnico. La sua versione è stata confermata dai giocatori: "Non ne sapeva niente", hanno detto tutti. Tutti, tranne uno: ha raccontato di aver avuto l'impressione :| che Conte avesse capito perfettamente come quella partita fosse stata "ceduta", tanto che si raccomandò, prendendo a uno a uno i suoi, di non fare sciocchezze, di giocare al massimo. È sufficiente per un deferimento? Molto dipende dalla risposta che si vuole dare a due domande che girano nella testa degli investigatori: possibile che un allenatore noto per la sua attenzione maniacale ai dettagli, non si sia accorto - per due volte, a Bari e a Siena - che i suoi spogliatoi erano diventati un suk? E perché scegliere sempre Stellini come vice?(10 ottobre 2012)

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Minacce con la pistola, allenamento a -20

Il triste 'Libro nero' del calcio dell'est

Una ricerca del sindacato mondiale dei calciatori professionisti fa emergere alcuni situazioni scioccanti nell'Europa Orientale e non solo. Violenze di ogni tipo, ma anche pagamenti ritardati o inesistenti, con i criminali delle scommesse illecite che ne approfittano

di STEFANO SCACCHI (Repubblica.it 10-10-2012)

MILANO - Calciatori minacciati con una pistola per costringerli a risolvere il contratto, centrocampisti ridotti sul lastrico al punto da dover dormire in uno spogliatoio, attaccanti aggrediti da energumeni in uniforme nel tunnel e presidenti che si appropriano dell'ingaggio dei giocatori stornandolo dal conto corrente. Tutti episodi circondati da un mare di statistiche inquietanti. E' il contenuto di una ricerca scioccante elaborata da Fifpro, il sindacato mondiale dei calciatori professionisti, sulle condizioni allarmanti del pallone nell'Europa orientale, non a caso intitolato "Libro Nero".

I dati sono il risultato delle risposte di 3.357 calciatori professionisti. Ne esce un quadro molto fosco: il 41 per cento degli atleti interpellati non percepisce l'ingaggio alla scadenza prevista, il 5.5 per cento deve aspettare più di sei mesi, il 2.2 addirittura più di un anno. E' la palude ideale nella quale possono sguazzare i criminali delle scommesse illecite. Bastano due percentuali per rendersene conto: l'11.7 per cento degli intervistati ammette di essere stato avvicinato da personaggi che volevano organizzare una combine. Ben il 55 per cento di questi calciatori era senza stipendio al momento del contatto. Ancora più preoccupanti altri numeri. In Montenegro ben il 94 per cento dei professionisti non riceve il salario nei tempi dovuti. In Grecia questa sorte tocca al 67.5 per cento. Nello stesso Paese il 30.3 per cento dice di aver ricevuto proposte per una combine (31.8 per cento in Kazakistan).

E' colpa anche di sistemi privi di un contratto collettivo per i calciatori, come invece esiste da oltre 40 anni in Italia (ed è un problema che esiste anche in Paesi dell'Europa occidentale, come il Beglio). In questo vuoto normativo si vede di tutto: molto "nero", giocatori assunti dall'azienda del proprietario anziché dal club sportivo e contratti che impongono all'atleta di versare autonomamente i contributi indipendentemente dalla percezione dello stipendio. Si tratta di questioni che possono incidere anche sul fair-play finanziario voluto da Michel Platini che, infatti, ha intrapreso anche una battaglia sociale a fianco a quella per una morigeratezza dei conti del pallone: lo scorso aprile Commissione europea, Uefa e rappresentanti di categoria di giocatori e club hanno sottoscritto un'intesa sull'obbligo di requisiti minimi di tutela di ogni contratto calcistico nelle Federazioni che aderiscono all'Uefa (quindi bacino decisamente più ampio di quello Ue). Ora toccherà ai singoli movimenti introdurre questo contratto minimo garantito per estendere diritti basilari a tutti i calciatori europei ed evitare che qualche club possa sottrarsi agli obblighi del fair-play approfittando di una situazione di illegalità diffusa.

Nel frattempo questa palude di sfruttamento e illegalità alimenta vicende umanamente drammatiche. Il Black Book ne racconta alcune, denunciate dalle vittime stesse. Emblematico il caso di Adis Stamboljia, 28enne centrocampista del Karlovac, club della Serie A croato. Adis è rimasto senza ingaggio per 9 mesi consecutivi. Una sera, visto che il club gli aveva tagliato anche l'affitto dell'appartamento dove viveva, ha dormito nello spogliatoio. "Prima degli allenamenti - scrive - facevamo la conta di quanto avevamo nel portafoglio. Qualche compagno non aveva più di un euro". Il Karlovac è stata la prima società croata a subire uno sciopero dei propri giocatori.

Notevoli le pressioni psicologiche per costringere i giocatori a rinunciare a buona parte di quanto pattuito nei contratti per insindacabile scelta di proprietà e dirigenti. Lo testimonia il calvario dell'attaccante russo Igor Strelkov, 30 anni, iniziato con il ritorno al Krylia Sovetov di Samara dopo il prestito all'Anzhi. Nel 2010 il Krylia non convoca Strelkov per il ritiro precampionato a Cipro e in Turchia, ma pretende che si alleni da solo correndo intorno allo stadio. Da notare che in Russia la preparazione (secondo il vecchio calendario del campionato, modificato nell'ultimo anno) si svolge tra novembre e dicembre. Significa che Strelkov deve correre da solo a -20 gradi. Ogni assenza viene considerate un inadempimento contrattuale (per motivi simili il serbo Vladimir Radivojevic viene invece costretto dal Mladost Lucani, Serie B serba, ad allenarsi da solo alle 7.15 di mattino e alle 11.45 di sera).

E' andata ancora peggio a Nikola Nikezic, attaccante montenegrino, 29 anni, ingaggiato dai russi del Kuban dopo un'esperienza in Francia con il Le Havre. Nel 2010 firma un biennale, ma appena un anno dopo i dirigenti gli chiedono di risolvere il contratto con dodici mesi di anticipo. Nikezic rifiuta e il club gli nega la possibilità di trovare una nuova squadra. Il braccio di ferro prosegue culminando con una convocazione del calciatore in sede. Durante il colloquio, in seguito al rifiuto dell'attaccante di firmare la risoluzione, entrano due energumeni che colpiscono Nikezic con un paio di violenti pugni al fegato e lo minacciano con una pistola. Poi iniziano a strangolarlo, spingendolo a firmare quando le forze cominciano a venire meno e affiora la paura di finire esanime. "E adesso non fare sciocchezze perché in Montenegro vivono molti russi e verremo subito a sapere tutto", l'ultima minaccia di uno degli aggressori prima di abbandonare la stanza con l'accordo sul quale è stato apposto un consenso carpito con la violenza. Ma non basta a far tacere Nikezic che coraggiosamente denuncia l'accaduto a Fifa, Uefa e Fifpro. "Se fossi stato zitto, questa storia si sarebbe potuta ripetere uguale".

Ci sono club che cambiano i contratti unilateralmente, come i montenegrini del Buducnost Podgorica che hanno cercato di spingere alcuni atleti alla risoluzione inventandosi una clausola che non esisteva al momento della firma. Oppure presidenti che girano nelle casse sociali ingaggi destinati ai calciatori. E' successo a Dejan Milovanovic, 28 anni, ex capitano della Stella Rossa. Il centrocampista, in passato convocato anche dalla Nazionale serba, viene ceduto al Lens nel 2008. Due anni dopo torna in prestito alla Stella Rossa con una clausola: parte dell'ingaggio sarebbe stato comunque pagato dai francesi. Solo che quei soldi non arriveranno mai sul conto del centrocampista perché i vertici del club di Belgrado decidono di girarli alla Stella Rossa. Milovanovic si ribella col risultato di venire messo fuori squadra accusato di turbare l'equilibrio della squadra.

Il quadro è completato da episodi di razzismo (un terzo degli intervistati in Russia e Repubblica Ceca dichiara di aver assistito a casi di discriminazione) e violenza in zone dove continuano a esistere conflitti striscianti, infinite code di guerre sanguinosissime. Ad esempio, il capitano della formazione riserve del Krasnodar, Spartak Gognyiev, 31 anni, è stato selvaggiamente picchiato da alcuni uomini in divisa nel tunnel degli spogliatoio dello stadio ceceno del Terek Grozny, dove stava passando per lasciare il campo in seguito a un espulsione per proteste nei confronti dell'arbitro. "Mi hanno accusato di aver insultato i tifosi, ma non è assolutamente vero". Anche fosse, non sarebbe una giustificazione per malmenare un calciatore con i manganelli fino a rompergli il naso, alcune costole e riempirlo di lividi.

E, quando il Libro Nero è stato presentato a Bruxelles, un giocatore dell'Est ha raccontato la sua drammatica vicenda in materia di scommesse illecite: per essersi rifiutato di truccare una partita, questo calciatore ha subito ritorsioni pesanti, come il sequestro del passaporto a lui e alla sua famiglia da parte dei faccendieri per impedire ogni fuga. "C'è una diffusa percezione secondo la quale i calciatori sono tutti ricchi e si possono permettere uno stile di vita inarrivabile. Questo può essere vero per alcuni calciatori, ma la stragrande maggioranza sono normali lavoratori che giocano per garantire una vita sicura per sé e le loro famiglie". Così inizia il Black Book della Fifpro. Vale per l'Est Europeo, ma non solo.

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Falsi passaporti nel calcio,

ombre su Bergessio

IL CENTRAVANTI DEL CATANIA E ALTRI QUATTRO NOMI DI A NEL MIRINO

di SANDRA AMURRI (il Fatto Quotidiano 10-10-2012)

Il calcio torna alla ribalta per ragioni né sportive né nobili. Ma per un giro di false cittadinanze ottenute dal Comune di Fermo. Trentaquattro gli indagati tra calciatori sudamericani, brasiliani e argentini del calcio a cinque (numero destinato a salire), un funzionario comunale, un ex vicesindaco e procuratori sportivi che li facevano militare in squadre locali per poi cederli a società di livello superiore. Ma l’indagine svolta dal capitano dei carabinieri Pasquale Zacheo prosegue per accertare la posizione di calciatori di Serie B e cinque di Serie A che militano nel Catania, nel Bologna e nell’Atalanta. Tra questi sicuramente a Fermo si è rivolto l’argentino Gonzalo Bergessio del Catania. A fare il suo nome, durante la confessione fiume, è stato Raffaele Zazzetta, funzionario delegato anagrafe del Comune di Fermo che ha raccontato che a portargli Bergessio fu il procuratore sportivo Juan Carlos Pizzi di origini argentine residente a Fermo. Bergessio gli consegnò la fotocopia di una documentazione, per gli inquirenti probabilmente non autentica, custodita nel suo ufficio posto sotto sequestro, persasi nelle centinaia di fascicoli accatastati. Il calciatore avrebbe dovuto fornire altre informazioni, ma non è più tornato. Ora i carabinieri stanno verificando presso la Federazione se, intanto, Bergessio è divenuto cittadino italiano e come. I reati contestati sono atti falsi, abuso d’ufficio, falso ideologico, associazione a delinquere, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e violazione dei sistemi informatici. L’indagine nasce nel 2011 dalla denuncia dell’ufficiale di Stato Civile e Anagrafe della delegazione di Capodarco, Luigino Sciamanna che riceve dal comune di Silea (Tv), la richiesta della copia integrale dell’atto di nascita di un brasiliano risultante residente a Fermo. ”A Fermo non vi era alcun atto di nascita, era nato ed era cittadino brasiliano” racconta a verbale Sciamanna, “però possedeva una carta d’identità” sulla base di ciò che gli era apparso sulla schermata del sistema anagrafico. L’impiegato informa i superiori e si scopre che all’indirizzo Via Biagio Tolomei n.14, una casa di circa 80 metri dove abita Claudio Trasatti, procuratore sportivo, risiedono 14 stranieri e che successivamente ad alcuni di loro era stata cancellata la residenza per irreperibilità. A effettuare la procedura sarebbe stato il dottor Zazzetta.

A rischio anche le elezioni comunali

Grazie alla password di accesso ai registri informatici riusciva a “inserire nuovi dati nella scheda o a modificarli”. Il primo a contattarlo fu Carlo Del Vecchio, imprenditore edile, vice sindaco Pdl al Comune di Porto San Giorgio, presidente della squadra di calcio sangiorgese. “Mi disse di aver bisogno di una rapida definizione per il conseguimento della cittadinanza di alcuni giovani calciatori come l’argentino Walter Damian Montillo che risultava residente a casa sua”. Poi gli presentò i procuratori Claudio Trasatti e Juan Carlos Pizzi. Tutto in cambio di una promessa: la promozione a dirigente al comune di Porto San Giorgio. Zazzetta spesso i suoi beneficiati non li conosceva neppure come il brasiliano Valle Indiani Abrahao Thiago futuro genero della consigliere comunale di Fermo, Antonietta Trapasso del Pdl. “Vista l’insistenza della consigliera volevo liberarmi al più presto della questione e mi lasciai convincere ad attribuire la cittadinanza italiana al suo futuro genero modificando il dato anagrafico sul sistema informatico”. A Fermo nel 2011 cambia l’amministrazione. Il nuovo sindaco, Brambatti del Pd ordina la sospensione del riconoscimento delle false cittadinanze e delle carte d’identità. Elezioni a rischio invalidazione se venisse accertato che i falsi cittadini italiani residenti hanno esercitato il diritto di voto.

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L’inchiesta Fermo, indagine della Procura. Al vaglio posizioni di calciatori di A calcetto e di alcune pallavoliste

Cittadinanze facili, raffica di atleti nel mirino

L'ipotesi A sportivi brasiliani e argentini la nazionalità italiana in maniera irregolare

Il sistema Con lo «iure sanguinis» lo status e così aumentava il valore economico

di SERGIO BIAGINI (IL MATTINO 10-10-2012)

Fermo. La posizione di una ventina tra calciatori di serie A, giovani pallavoliste e giocatori di calcio a cinque sono sotto attento esame da parte dei carabinieri di Fermo nel contesto dell'inchiesta sulle false cittadinanze. Si tratterebbe di posizioni al momento estranee ai 34 indagati su cui però i militari starebbero facendo accertamenti. E su cui si mantiene il più stretto riserbo su squadre e nomi di giocatori coinvolti, visto che per ora si parla solo di sospetti. L'ipotesi è che decine di atleti stranieri, per lo più argentini e brasiliani, abbiano ottenuto la cittadinanza italiana in maniera irregolare sfruttando il meccanismo dello «iure sanguinis» che consente ai figli di italiani all'estero questo riconoscimento.

In sostanza si aumentava il valore economico degli atleti che prima di essere ceduti ad altri club transitavano su società sportive locali utilizzando anche domicili di comodo o fittizi presso appartamenti intestati a procuratori sportivi o presidenti di squadre locali.I carabinieri guidati dal capitano Pasquale Zacheo avrebbero ravvisato collegamenti con vicende analoghe verificatesi a Latina e Reggio Calabria. Tra i trentaquattro indagati che devono rispondere a vario titolo di soppressione e distruzione di atti, produzione di atti falsi, abuso d'ufficio, falso ideologico, associazione per delinquere e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, figurerebbero per la maggior parte giocatori di calcio e calcetto ma militanti in squadre minori. Più delicata sarebbe invece la posizione di procuratori sportivi, intermediari, e di un paio di amministratori fermani che tenevano le fila, secondo l'accusa, del «giro» contando sulla presunta connivenza di un funzionario dell'ufficio anagrafe del Comune subito trasferito dal sindaco Brambatti. 45 le pratiche di cittadinanza sospese subito dopo la notizia dell'inchiesta dal Comune che promette massima vigilanza centralizzando nel capoluogo il servizio di stato civile dal primo gennaio 2013 (non saranno più operative le sedi distaccate di Capodarco e Torre di Palme) e avviando un controllo a tappeto, come sottolinea lo stesso assessore Daniele Fortuna, «di tutto l'archivio dell'ufficio Anagrafe».

L'inchiesta coordinata dal Procuratore Capo Andrea Vardaro finì anche per un paio di mesi alla Procura antimafia di Ancona prima di tornare a Fermo. Prese l'avvio da una verifica della polizia municipale di Fermo sul documento d’identità di un imprenditore locale intestato a un romeno. Di qui il terremoto che ha scosso sia gli ambienti politici che quelli sportivi.

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Carte d’identità facili

Indagine aperta

su cinque giocatori di A

Extracomunitari diventati “italiani”: Fermo crocevia degli illeciti

CALCIATORI COINVOLTI Farebbero parte di 5 società tra cui una big del Nord, una di Roma e una del Sud

CONTROLLI INCROCIATI Nel mirino tutti i documenti rilasciati dal 2004: rimosso il funzionario dell’anagrafe

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 10-10-2012)

Due rampe di scale e, all’angolo del piano meno uno, una piccola stanza anonima. Il funzionario, un po’ leggero, molto intimidito (così la pensano dalle parti di Piazza del Popolo) che ha dispensato carte d’identità tarocche a giocatori di calcio, calcio a 5, pallavolo, forse basket, se ne sta seduto in un angolo e sussurra soltanto «no comment, anzi n.c....». L’indagato numero uno del nuovo scandalo del pallone è stato rimosso dall’incarico all’anagrafe in un amen, ma dopo aver concesso la cittadinanza italiana, fra gli altri, ad almeno venti giocatori professionisti: 5 di serie A, 15 di serie B o Lega Pro. Il calcio trema e si interroga sul perchè da Fermo sia partito un corto circuito del quale, sostengono gli inquirenti, non si vede la fine. Il piccolo centro marchigiano è scivolato dentro la cronaca per colpa di un’organizzazione criminosa - questo il timore - che approfittando delle debolezze di chi avrebbe dovuto controllare, e non l’ha fatto per una promessa di carriera e qualche regalo, ha trasformato cittadini brasiliani o argentini in italiani senza alcun diritto. Tanto meno lo «ius sanguinis», cittadinanza ottenuta per diritto di sangue.

Il pallone sbanda ancora una volta perchè c’è sempre una città da dove partono gli attacchi incrociati. L’inchiesta della procura di Fermo e dei carabinieri della città a metà strada fra Ascoli ed Ancona nasce un anno fa e mette sotto osservazione le carte d’identità irregolari a partire dal 2004. Tutti venivano a Fermo, tutti se ne andavano altrove con i requisiti giusti per farsi tesserare da squadre che, altrimenti, non avrebbero potuto farlo vista la regola restrittiva sugli extracomunitari da poter mandare in campo. A Fermo facevano tappa agenti, procuratori, intermediari: 34, compresi ex ed attuali dirigenti comunali, sono iscritti sul registro degli indagati. «Non siamo una città facile, leggera, superficiale. Mi sento di rivendicare - così il sindaco Nella Brambatti - la correttezza delle persone che lavorano in questi uffici per il governo della città: se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi. L’anagrafe? L’ho rivoluzionata, adesso è in mano a due funzionari laureati in legge...».

Il sindaco gioca all’attacco, i cinque calciatori di serie A le cui posizioni sono finite nel mirino dei carabinieri guidati dal capitano Pasquale Zacheo lo fanno nel campionato in corso. Nomi tenuti nascosti, nomi che farebbero parte di cinque società diverse: fra queste, un grosso club del nord, una delle due squadre capitoline e una del sud. «Per il gruppo di giocatori professionisti siamo in una fase delicata e complessa dell’indagine perchè dobbiamo verificare se le carte d’identità vere siano frutto di documenti falsati ad arte. Si tratta di un’operazione lunga in quanto richiede controlli internazionali...», così una fonte investigativa (nelle prossime ore i carabinieri chiederanno una serie di atti alla Federcalcio).

Il calcio italiano è attraversato da uno scandalo che, per certi versi, parte da molto lontano. Nel 2001 fu il tempo di «passaportopoli», Recoba e l’Inter sulla scena. Stavolta lo tsunami è più immediato e diretto: i passaporti non c’entrano, spazio alle semplici, ma decisive, carte d’identità. «Abbiamo svolto un normale controllo in base alla richiesta di residenza di un bulgaro che bulgaro non era. Una volta a casa sua, parlava romano meglio di uno di Roma....», racconta Guglielmo Pieragostini, il vigile urbano da cui nasce lo strappo di Fermo. Cambiare identità, per il dipendente comunale, «è ormai diventato fin troppo facile. E, questo, per il calcio è una manna dal cielo...». Ma, evidentemente, non solo per il calcio. Prima la procura della Repubblica di Ancona ed ora quella fermana si sono messe in moto: le accuse sono di falso ideologico, abuso d’ufficio, associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ipotesi investigative pesantissime. «Ma questa non è e non deve passare come la città delle cittadinanze facili...», sottolinea il sindaco.

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Le indagini Il capo della polizia Manganelli anticipa nuovi sviluppi sullo scandalo

Scommesse, non è finita qui

«In arrivo illeciti più clamorosi»

A Bari un carabiniere avrebbe portato i soldi delle combine

Le ammissioni Nuovo filone di Bari, Stellini ha tirato in ballo Ranocchia, Gillet, Lanzafame e Barreto

di ANDREA ARZILLI & ARIANNA RAVELLI (CorSera 10-10-2012)

MILANO — Non è finita qui. Lo scandalo del calcioscommesse non si è concluso con la squalifica scontata di quattro mesi ad Antonio Conte da parte dell'ultimo grado della giustizia sportiva. Molto deve ancora succedere. Le novità vengono annunciate dal capo della polizia Antonio Manganelli: «Alcuni comportamenti scorretti hanno già portato a clamorose risposte da parte della polizia, ma altri comportamenti stanno per venire fuori e porteranno a ulteriori risposte, se possibili ancora più clamorose».

L'ultima volta che Manganelli aveva prefigurato scenari simili era stato il 5 marzo di quest'anno e il 28 maggio erano scattati gli arresti del quarto filone della procura di Cremona, quelli che coinvolgevano, tra gli altri, il laziale Stefano Mauri e l'ex genoano Omar Milanetto. Ma questa volta non sono attesi sviluppi altrettanto significativi. Difficile dire cosa Manganelli avesse in mente ieri, certo aveva chiaro un sistema (quello calcistico) estremamente vulnerabile («non si scommette sul risultato finale delle partite, che presupporrebbe il coinvolgimento di una parte consistente di una squadra, ma praticamente su tutto: su chi fa uscire per primo la palla fuori dal campo, su chi batte il primo calcio d'angolo...») e fonte di «grandi opportunità di guadagno» da parte di organizzazione internazionali, soprattutto asiatiche. E forse il capo della polizia aveva in mente le ultime rivelazioni che arrivano da Bari, dove dalle indagini è emerso persino che a portare i soldi ai giocatori per la combine di Bari-Salernitana del 2008 è stato un carabiniere. E dove l'ex collaboratore Cristian Stellini ha ammesso combine tirando in ballo mezza squadra tra cui Gillet, Lanzafame, Ranocchia e Barreto (indagati). Vediamo.

Bari Qui il primo troncone d'inchiesta è terminato con la condanna (patteggiata) del calciatore Andrea Masiello a un anno e dieci mesi per le combine di Palermo-Bari, Bari-Sampdoria, Bari-Lecce (con l'autogol voluto del terzino) e Bologna-Bari del campionato 2010-2011. Ma un nuovo capitolo si è aperto negli scorsi mesi e riguarda alcune partite di serie B disputate dal Bari nelle stagioni 2007-2008 e 2008-2009. Quasi tutto il Bari dell'epoca è stato interrogato (compreso Antonio Conte, allora in panchina, ma non indagato) e sono arrivate le prime ammissioni per Bari-Treviso (0-1) del 10 maggio 2008 e Salernitana-Bari 3-2 del 23 maggio. L'ex collaboratore di Conte, Cristian Stellini, avrebbe tirato in causa tutti i componenti di quel Bari tra cui Gillet, Lanzafame, Ranocchia e Barreto (indagati). Secondo l'accusa i pugliesi avrebbero giocato a perdere e si sarebbero poi spartiti il compenso negli spogliatoi e in pullman. E per la sfida con la Salernitana a portare i soldi sarebbe stato addirittura un carabiniere.

Cremona Dove tutto è cominciato nell'estate 2011, non si è ancora arrivati alla fine: il pm Roberto Di Martino ha in animo un supplemento di indagine sull'ultima parte dell'inchiesta, quella degli arresti di maggio. Il procuratore vuole sentire una decina di protagonisti, tra cui il proprietario di un'agenzia di scommesse Massimo Erodiani (che in procura federale ha parlato della Lazio), ma anche il collaboratore di Conte Cristian Stellini e l'ex calciatore del Siena Mastronunzio. Poi si attende sempre che il latitante Almir Gegic, al vertice del gruppo degli «zingari», si costituisca, ma sono mesi che lo annuncia.

Napoli Anche a Napoli due indagini sul calcio. Quella ancora aperta, da cui si attendono sviluppi, riguarda squadre di serie minori, ma porta dritta alla camorra e in particolare al clan D'Alessandro di Castellamare: si parla di puntate altissime, anche online, che consentirebbe al clan di riciclare fondi illeciti. La precedente indagine, nata dalla presenza a bordocampo del latitante Antonio Lo Russo, è conclusa: l'ex terzo portiere Matteo Gianello ha ammesso di aver ricevuto dall'osservatore Silvio Giusti la proposta di taroccare Samp-Napoli del 2010. Il portiere ha confessato di averci provato parlandone con Cannavaro e Grava che rifiutarono.

Procura Figc Di qui ripartirà la giustizia sportiva. L'inchiesta della procura di Napoli è archiviata, quindi i deferimenti dovrebbero arrivare entro la fine del mese. Bisognerà aspettare che le indagini di Cremona finiscano, invece, per i deferimenti che riguardano Mauri e Milanetto e le società Lazio e Genoa.

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Bari, il biscotto perfetto

GLI INCREDIBILI DETTAGLI DELLA PARTITA CON CUI LA SALERNITANA BATTÉ IN CASA I PUGLIESI

OMERTÀ CONDIVISA La combine viene discussa tra tutti nello spogliatoio.

L’unico a non sapere, secondo i giocatori, era l’allenatore Antonio Conte

di ANTONIO MASSARI (il Fatto Quotidiano 10-10-2012)

I soldi consegnati alla moglie del calciatore. In tribuna. A fine partita. Lei incassa i soldi, gli altri incassano il risultato. Di partite vendute – lo dimostrano le inchieste che hanno travolto lo scorso campionato – in questi anni ce ne sono state parecchie. Nessuna ha però raggiunto i livelli di Salernitana-Bari, Serie B dell’annata 2008-2009, con i biancorossi allenati da Antonio Conte, finita 3 a 2 per i campani.

Siamo alla penultima giornata, schema classico per la combine dei calciatori pugliesi che, avendo conquistato la promozione, possono decidere di perdere l’incontro con una certa tranquillità. Questa – almeno – è la ricostruzione della Procura di Bari guidata da Antonio Laudati, dove i pm Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro, con l’ausilio delle indagini svolte dai Carabinieri, hanno ricostruito l’incontro nei minimi dettagli. Dettagli che non riguardano soltanto i 90 minuti giocati in campo ma, soprattutto, i rapporti tra lo spogliatoio barese e gli emissari di due calciatori della Salernitana. C’è di tutto, in questa storia, che vede indagati nomi eccellenti del calcio italiano, dal portiere del Torino Francois Gillet al catanese Davide Lanzafame, dal difensore interista Andrea Ranocchia all’attaccante dell’Udinese Vitor Barreto, per finire all’ex vice di Antonio Conte, Cristian Stellini, che soltanto pochi mesi fa s’è dimesso dalla Juventus. Conte è stato interrogato quest’estate, come persona informata sui fatti, e il suo nome non compare tra gli indagati perché tutto lo spogliatoio ha giurato: l’allenatore bianconero non ne sapeva nulla. Il rischio che possa subire un altro deferimento, però, resta intatto: sarà la giustizia sportiva, anche in questo caso, a valutare la sua posizione. Anche perché, l’indagine su questa partita, nasce quest’estate proprio da un interrogatorio reso dinanzi ai giudici sportivi. Fu l’ex terzino biancorosso, Vittorio Micolucci, a rivelare: "Nella stagione della promozione con Conte e Perinetti, sicuramente è stata fatta Salernitana-Bari con la vittoria dei campani”. Quando il procuratore di Bari, Antonio Laudati, legge questa dichiarazione sull’edizione locale di Repubblica, decide di approfondire. E si apre il classico vaso di Pandora.

Luca Fusco e Massimo Ganci, entrambi calciatori della Salernitana, decidono di contattare Gillet e Stellini. In ballo c’è una somma che varia tra i 250 mila e 300 mila euro. E il fatto più incredibile è questo: se ne discute nello spogliatoio. Si tratta di una decisione condivisa, non della combine di un paio di giocatori, quindi nessun segreto. Anzi. Nessuna cautela: la “dritta” passa addirittura tra gli scommettitori. L’over – la partita termina con ben 5 gol – è sempre un buon affare. C’è posto per tutti, a patto di conoscere la combine, o di realizzarla, e ognuno prende la sua parte. Quella maggiore spetta a Gillet e Stellini, secondo la ricostruzione degli investigatori, ma tra soldi e regali, l’affare viene spartito in tanti. C’è chi ha provato a rifiutare, salvo trovarsi un regalo nello spogliatoio, c’è chi ha preso computer invece di banconote in contanti, ma è stato difficile trovare qualcuno che – in quella squadra e per quella partita – non sapesse della combine. Era importante che tutti ci guadagnassero qualcosa. Per un motivo essenziale: accettare un semplice omaggio, oppure del denaro, rendeva comunque complici, assicurava l’omertà di attori e testimoni. La combine, una volta condivisa, univa lo spogliatoio nel silenzio.

Omertà abbattuta, però, dalla serietà delle indagini: troppi elementi, dai tabulati telefonici alle analisi finanziarie, hanno convinto in molti a collaborare. Fino a raccontare il dettaglio più curioso: il denaro fu affidato, dagli emissari dei calciatori salernitani, alla moglie di un biancorosso, presente in tribuna, pronta a incassare il denaro a fine partita.

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la Repubblica SERA 10-10-2012

Il commento di MARCO MENSURATI

SCOMMESSE SENZA FINE

http://k006.kiwi6.com/hotlink/8exbwjx9el/2012.10.10_rsera_m.mensurati_scommessesenzafine.mp3

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Un calciatore di troppo

di EDOARDO COZZA dal blog Slow Foot 12-09-2012

“Ma perché? Esiste anche il mobbing nel calcio?”. Sì, esiste. Calciatori viziati, strapagati. Vero, ma solo in parte: in Serie A esistono, inutile negarlo, stipendi e compensi fuori mercato. Ma dalla Serie B in giù c'è tanta gente che vive di calcio incassando stipendi molto più, si passi il termine, normali. E, checché se ne dica nei bar, i calciatori sono lavoratori dipendenti in tutto e per tutto, con relativi doveri e diritti.

Il mobbing, che di per sé è fattispecie giuridica recente, nel mondo del calcio è entrato di soppiatto, convertendosi col tempo in una carta che i calciatori esclusi dagli allenamenti (sì, proprio i famosi fuori rosa) giocano spesso e volentieri per portare la ragione dalla propria.

In principio, almeno come risonanza mediatica, fu Zanin: contesto non di primissimo livello (Serie C, la squadra era il Montichiari) ma situazioni che, tra esclusioni dagli allenamenti, isolamento da parte dei compagni e, addirittura, aggressioni fisiche da parte di personaggi misteriosi (ma i mandanti, purtroppo, erano noti), creò molto scalpore nell'opinione pubblica.

L'antefatto: la società lombarda, costretta a rivedere i propri piani economici, invitò il calciatore a firmare un nuovo contratto a condizioni ben peggiorative rispetto a quello sottoscritto appena qualche mese prima. A fronte del rifiuto di Zanin, la dirigenza, con la compiacenza di tecnico e di larga parte dei compagni di squadra, fu escluso dallo spogliatoio (anche fisicamente) e costretto a cambiarsi prima degli allenamenti in angusti ripostigli per gli attrezzi, poi venne pian piano isolato anche dai compagni di squadra che gli rifiutavano addirittura passaggi in macchina da casa al centro sportivo e viceversa. Infine, dopo esser stato escluso anche dagli allenamenti, subì da ignoti un'aggressione fisica che gli costò lesioni curabili in 45 giorni.

Tutto vero, niente esagerazioni. Il motivo? non aver voluto rivedere le condizioni contrattuali appena pattuite. Ovviamente, il Collegio Arbitrale della Lega dell'allora Serie C (oggi Lega Pro), trovò valide le accuse del calciatore, condannando i dirigenti e l'allenatore del Montichiari con inibizioni, squalifiche e ammende.

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Un calciatore di troppo (parte II)

di EDOARDO COZZA dal blog Slow Foot 10-10-2012

E poi venne Lotito. Il suo intervento per salvare la Lazio da un fallimento pressoché certo. Spalmadebiti e spalmacontratti. C'è chi apprezza, chi no. Alcuni calciatori rifiutano di allungare il proprio contratto e abbassare il proprio (lauto) stipendio annuale. I primi furono Dino Baggio e Paolo Negro: il rifiuto costò ai due il posto in rosa. Fecero causa per mobbing, e la vinsero.

Dopo qualche tempo entrambi lasciarono la Lazio ma tanti loro compagni furono costretti ad adire le vie legali per far valere le proprie ragioni. È il caso dei cosiddetti "epurati di Formello”, giocatori non graditi alla dirigenza e costretti ad allenarsi in disparte e con altri preparatori atletici. Vinsero le cause, furono reintegrati e poi si dispersero tra tribune e campionati in prestito. Il caso eclatante, però, fu quello che coinvolse Pandev e Ledesma: Lotito spingeva per il rinnovo, loro da quell'orecchio (ma anche dall'altro) non sentivano. Messi fuori rosa, si appellarono ai tribunali: Pandev vinse (d'altronde, come poteva essere considerata un'esclusione per scelta tecnica se non gli era concesso di allenarsi con i compagni?), intascò 160 mila euro di risarcimento, si liberò a parametro zero e andò a trionfare con l'Inter di Mourinho in giro per l'Europa; Ledesma, pochi giorni prima della sentenza, trovò l'accordo con la società laziale e ne diventò capitano.

In via transattiva si risolse anche il caso di Taddei con il Siena: da tempo nelle mire della Roma, l'italo-brasiliano spingeva per il trasferimento. Scelta poco gradita all'allora presidente De Luca, che affermò: “Io sono il presidente, io decido chi gioca”. E Taddei non era il prescelto. Ma pochi giorni prima di arrivare in udienza, le parti si accordarono e pace fu.

Anche Marchetti voleva cambiare squadra dopo i Mondiali 2010: il Cagliari gli stava stretto. L'idea che stuzzicava il portiere non piaceva a Cellino: fuori rosa, sei il terzo portiere. Anche qui la scelta tecnica appare di difficile comprensione: da titolare dell'Italia in Coppa del Mondo a terzo portiere? Altro che gambero. Anche qui la minaccia di causa per mobbing fu evitata per un soffio: il portiere si trasferì dopo 12 mesi alla Lazio a prezzo stracciato. Contenti tutti (Cellino forse un po' meno).

Sempre Cagliari fu teatro dell'oscura e inquietante vicenda che ebbe per protagonista Davide Marchini: fuori rosa, reintegrato, poi addirittura picchiato. Da chi? Da amici di Pasquale Foggia, con il quale aveva avuto un battibecco in allenamento. Un misto tra mobbing e violenza fisica, un caso più grave e ancora non del tutto chiarito, con sullo sfondo l'ombra della criminalità organizzata.

Adesso che è (quasi) all'ordine del giorno, il mobbing fa paura al mondo del calcio: l'ultima trovata della Lega di Serie A, le panchine lunghissime (12 giocatori), serve per aumentare le chances di lanciare i giovani in prima squadra. Sicuri? La puzza di “così evitiamo mobbing, tanto va in panchina” arriva fin qui.

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Scommesse - Ranocchia smentisce ogni coinvolgimento

I contatti tra Conte e i suoi ex giocatori

che destano sospetti ai magistrati

Per cancellare le prove Guberti rompe il telefono

Scommesse - Ranocchia smentisce ogni coinvolgimento

I contatti tra Conte e i suoi ex giocatori

che destano sospetti ai magistrati

Per cancellare le prove Guberti rompe il telefono

conte11--180x140.JPG?v=20121011074649Antonio Conte (LaPresse)La tecnica è quella dei cerchi concentrici, via tutti uno alla volta fino ad arrivare al punto. Così i magistrati baresi stanno cercando di far luce sulla «fabbrica del tarocco», il Bari di Masiello & co. che combinava le partite su commissione dell’avversario di turno e poi, magari, si vendeva il risultato esatto agli scommettitori. Salernitana e Treviso sono le partite indagate più a fondo però c’è anche quella col Piacenza, finora lasciata in un cassetto, che sarà affrontata in ottobre: in tanti saranno convocati in procura per rispondere a nuove domande, molte risposte sono state giudicate incomplete.

Domanda che si ripete: Antonio Conte ha o non ha un ruolo negli accordi sottobanco del Bari che fu suo? Per ora gli inquirenti hanno incassato solo dei «no, il tecnico non sapeva». Ma gli investigatori continuano a indagare e stanno analizzando i contatti tra il tecnico ora alla Juve e i suoi ex giocatori; il sospetto da fugare è che ci sia stato una sorta di richiamo all’ordine prima degli interrogatori estivi. Intanto nuovi particolari emergono per le partite contro il Treviso e la Salernitana. Chissà come avranno reagito i carabinieri del nucleo operativo di Bari quando, indagando, oltre ai soliti calciatori disponibili a vendere partite e ai dirigenti disposti a comprarle (ce n’è uno della Salernitana indagato) si sono trovati a dover approfondire i comportamenti di un collega di Salerno che ha avuto un ruolo attivo nei preparativi alla combine. Il carabiniere in questione, secondo quanto trapela, è a sua volta indagato perché avrebbe partecipato alla consegna dei soldi, che poi i giocatori del Bari si sono spartiti. Ma quali giocatori del Bari? Le accuse partono dalle dichiarazioni di Andrea Masiello, il terzino che ha patteggiato una condanna a un anno e dieci mesi. È Masiello a fare i nomi, che però hanno trovato solo parziali conferme nelle dichiarazioni di Stellini (all’epoca calciatore, poi diventato assistente di Conte) e di altri. Per la gara con il Treviso del 2008, nei verbali sarebbe emerso che Gillet, Gazzi e Stellini si erano opposti a ogni tentativo di combine, mentre altri (Rajcic, Santoruvo, Esposito e Ganci) sarebbero stati favorevoli. Un anno dopo, lo scenario è diverso.

La trattativa per combinare la gara con la Salernitana è stata complessa e ben pianificata: i giocatori del Bari infatti non si fidavano perché credevano che la società campana non avesse i soldi per onorare l’impegno. Masiello sembra attribuire un ruolo di primo piano a Stellini, che avrebbe radunato i giocatori più rappresentativi nella palestra per discutere se accettare la combine. Però Stellini per quella partita non verrà nemmeno convocato. Comunque la trattativa prosegue, viene concordata la cifra di 160 mila euro. Ma sono giorni di grande tensione: si manifestano anche al cinema, dove Conte ha portato la squadra alla vigilia del match per distrarla. In ritiro, però, le telefonate con il contatto alla Salernitana, Massimo Ganci, continuano. E così— secondo il racconto di Masiello —Stefano Guberti, altro giocatore del Bari, nel tentativo, maldestro, di cancellare le prove avrebbe distrutto il telefonino lanciandolo in piscina. Ovviamente i tabulati telefonici hanno conservato tutto e potranno confermare o smentire. Per ora, è Andrea Ranocchia a smentire ogni coinvolgimento. Contro di lui c’è sempre la parola di Masiello. Agli investigatori, però, non risulta che l’interista abbia intascato soldi. E il difensore Ranocchia ieri ha contrattaccato: «Sono tranquillo perché rispetto a due mesi fa niente è cambiato. È stato fatto tutto ad hoc: questa storia è stata tirata fuori proprio ora che sto giocando bene e che sono tornato in nazionale».

Andrea Arzilli

Arianna Ravelli

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Un altro calciatore ha deciso di collaborare: cinque nuove gare di serie A sotto inchiesta.

Così una rete di giocatori si scambiava le dritte per le puntate sulle partite degli amici

Il sistema

Scommesse incrociate

c’è un nuovo pentito

Masiello ha riferito che alcuni del Bari vendettero anche il match col Treviso del 2009

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di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 11-10-2012)

Al termine dell’interrogatorio, il portantino di Bari, quello che girava con la tuta sociale anche di sera per dimostrare che era uno di loro, uno “amico dei calciatori”, l’ha buttata lì quasi come fosse una cosa normale: «Che poi, dottore, quelli scommettevano anche sulle altre partite di serie A: avevano sempre le informazioni giuste». Certo non immaginava, Angelo Iacovelli, detto Angiolino, che in quelle poche parole ci fosse l’inizio della nuova (e finora segretissima) inchiesta sul calcioscommesse, un ulteriore spigolo contro cui sta per sbattere il calcio italiano.

Partendo da quella dichiarazione, gli inquirenti, dopo poche settimane di lavoro, sono infatti arrivati a ricostruire le dinamiche di quella che si configura come una sorta di centrale nazionale del calcioscommesse. I calciatori indagati, stando a quanto risulta dagli atti dell’inchiesta, erano in grado di scambiarsi i risultati esatti già prima delle partite, come fossero figurine. E di non sbagliare mai. «Io ti do la mia partita di B e tu mi dai la tua di A». Così funzionava, secondo Iacovelli, che nella sua deposizione ha indicato anche alcune gare: sono almeno cinque quelle di serie A, sulle quali stanno già lavorando i carabinieri del reparto operativo di Bari che ora si trovano di fronte a dover fare luce su un sistema inatteso con diramazioni in tutta Italia e non più solo a Bari.

Un lavoro improbo che però ha conosciuto recentemente un importante momento di svolta quando uno dei protagonisti di quella stagione pugliese di pallone marcio e scommesse clandestine ha deciso di pentirsi. Il calciatore in questione, sul quale gli inquirenti per il momento vogliono tenere il massimo riserbo, aveva deciso di collaborare già da qualche settimana. Nei giorni scorsi, ha cominciato a parlare con gli investigatori e le sue prime affermazioni, a quanto pare hanno già aperto nuovi scenari. Nei suoi ricordi potrebbero esserci «le altre importanti novità» di cui ha parlato il capo della Polizia, Antonio Manganelli.

Un salto di qualità per la procura di Bari, che indaga da tempo su un giro di calciatori e scommettitori che nel corso degli anni ha alterato alcune partite di serie B e di serie A della squadra biancorossa. Tre dei protagonisti di questa storia, (il difensore Andrea Masiello e i suoi due amici Carella e Giacobbe) hanno patteggiato la pena. Nel suo ultimo interrogatorio, Masiello ha raccontato però di altre due partite truccate: la gara con la Salernitana, della stagione 2009 e quella con il Treviso del 2008. Si tratta di due gare comprate dagli avversari per ragioni sportive. Lo spogliatoio era tutto d’accordo nel primo caso, mentre nella seconda parte erano consapevoli della combine soltanto alcuni giocatori. Con la Salernitana i soldi erano stati divisi in palestra alla presenza di tutta la rosa, oggi indagata: tra gli altri, racconta qualcuno, c’era anche l’attuale difensore della nazionale Ranocchia che lasciò i soldi però a Iacovelli. Concordano tutti i testimoni, almeno davanti ai magistrati, che in entrambi i casi l’allenatore, Antonio Conte (forse verrà risentito nei prossimi giorni), era stato tenuto all’oscuro della vicenda: forse si era accorto di qualcosa, ha raccontato qualcuno, perché aveva chiesto ripetutamente alla squadra il massimo impegno.

Ma le imprese di quel Bari rischiano adesso di essere messe in ombra dalle nuove rivelazioni del pentito e di Iacovelli, al quale comunque la procura dà molto credito visto che fino ad oggi tutto quello che ha raccontato dal giorno del suo arresto (nel febbraio del 2012) si è dimostrato vero.

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Il retroscena Lo strano rito negli spogliatoi del Bari: i contanti in una confezione di scarpe baciata dai giocatori

Il bacio alla scatola con le mazzette

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 11-10-2012)

Nello spogliatoio del Bari 2009 2010, epicentro del nuovo terremoto del calcioscommesse, avveniva davvero di tutto. Persino questo: «I soldi delle partite vendute venivano messi in una scatola di scarpe dentro lo spogliatoio; poi la scatola prima di essere aperta per la spartizione, veniva baciata dai calciatori».

A raccontarlo agli investigatori è uno dei pochi calciatori che sino ad oggi ha accettato di confessare. Era una sorta di rito, simbologicamente collocato a metà strada tra il pagano e il malavitoso, motivato un po’ dall’entusiasmo per quei soldi finalmente liquidi e veri che entravano nelle tasche (il Bari era parecchio tempo che non pagava gli stipendi) e un po’ dalla necessità di fare gruppo, anzi, sarebbe meglio dire «banda». «La storia della scatole da scarpe», l’ha chiamata il calciatore che l’ha lanciata in una pausa dell’interrogatorio, senza che venisse trascritta a verbale. Il suo potenziale suggestivo è tale che ha fatto il giro d’Italia e tutti, tra investigatori, avvocati e gli stessi calciatori indagati, la raccontano allo stesso modo: i soldi della combine Salernitana-Bari 3-2 il giorno dopo la partita vennero rovesciati in una scatola di scarpe, di quelle marroni, di cartone, come milioni di altre. I calciatori si sono disposti come in un cerchio e prima che i senatori dessero a ciascuno la propria parte, uno alla volta, come se si trattasse di un oggetto sacro, o dell’anello di qualche boss in un film di mafia, i giocatori se la sono passata baciandola.

Un aspetto «rituale» che ha colpito molto gli inquirenti già stupiti da come i calciatori abbiano utilizzato con disinvoltura anche molti altri elementi tipici del codice malavitoso. «A questo punto — dice uno degli investigatori — non ci sorprenderebbe se prima o poi in questa storia saltasse fuori anche una testa di cavallo».

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Calcioscommesse, Bari nel mirino “Ma la società ha già pagato tutto”

Penalizzazione in vista per la combine a Salerno

La squadra, tranne un paio di eccezioni, avrebbe preso soldi per perdere nel 2009 ma i dirigenti non erano quelli attuali

di ENZO TAMBORRA (la Repubblica - Bari 11-10-2012)

«Ila Bari ha già pagato». Aurelio Gironda, l’esperto legale barese che insieme a Maurizio Paniz ha difeso il club biancorosso nel primo processo sportivo sul calcioscommesse, prova ad allontanare i fantasmi di una nuova penalizzazione dopo che Repubblica ha svelato cosa accadde in occasione di Salernitana-Bari del maggio 2009. Un’intera squadra, tranne un paio di eccezioni, che avrebbe preso i soldi dagli avversari per perdere. «Se quanto si è letto dagli organi di stampa dovesse risultare vero, per il Bari si profilerebbe ancora una volta la responsabilità oggettiva. Ma siccome è la stessa questione per la quale siamo stati penalizzati, deve valere il principio della continuità. In poche parole, si dovrebbe fare entrare tutto in un unico calderone. Certo, il rischio di una nuova penalizzazione c’è, ma nella peggiore delle ipotesi non si dovrebbe andare oltre un punto. Ma, ripeto, aspettiamo che l’inchiesta si concluda. È prematuro tirare delle conclusioni».

Lui e Paniz erano stati chiamati in causa dal club biancorosso per limitare i danni nel precedente processo sportivo, al termine del quale il Bari ha patteggiato cinque punti di penalizzazione. «Fermo restando che la società ci dia di nuovo mandato, anche stavolta si potrebbe andare al patteggiamento. Ma, ripeto, bisogna leggere le carte e capire esattamente cosa è accaduto». Gironda, in linea con il suo collega Paniz, rafforza un concetto. «Anche stavolta si parla di due partite (l’altra è Bari-Treviso del maggio 2008), che il Bari ha perso. Come in gran parte delle situazioni che hanno riguardato il club biancorosso, il comportamento dei propri tesserati ha procurato danno al Bari. L’ennesima prova che spinge a pensare come il principio della responsabilità oggettiva debba essere rivisto: i club pagano pur essendo parte lesa».

Il Bari, almeno per il momento, preferisce non entrare nello specifico. «Il capo della Polizia Manganelli ha prospettato una nuova bufera sul calcio italiano. È su questo che dobbiamo riflettere », si limita a dire il direttore generale Claudio Garzelli. Va precisato che nelle due gare sotto i riflettori, i dirigenti del Bari non erano quelli attuali: il presidente era Vincenzo Matarrese, il direttore sportivo Giorgio Perinetti. La tifoseria intanto deve ingoiare un nuovo boccone amaro. Che la gara di Salerno fosse sotto la lente d’ingrandimento dei magistrati, non era una novità. Ma adesso sono le presunte modalità della combine a lasciare sgomenti i sostenitori biancorossi. Sui forum, quello atteso al varco più di ogni altro è l’ex capitano Jean Francois Gillet. «Se fosse vero, bisogna togliergli le chiavi della città», il commento di un tifoso. Di quel Bari che avrebbe giocato a perdere contro la Salernitana l’unico superstite è l’attuale capitano Ciccio Caputo, anche lui ascoltato nelle scorse settimana dai magistrati. Nessun commento dagli attuali tesserati del Bari, che nel frattempo hanno cancellato la penalizzazione con un inizio di campionato fantastico. Pensavano di aver già pagato tutto il conto degli altri, ma probabilmente non è finita.

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Bari, due vecchie partite

seminano nuove ansie

Possibili rischi per Ranocchia. Le voci su Gillet, Gazzi e Conte

di SIMONE DI STEFANO & GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 11-10-2012)

Due partite, molti guai. Bari-Treviso 0-1 del maggio 2008 e Salernitana-Bari 3-2 del maggio 2009 emergono come passaggi clou dell’interrogatorio di Andrea Masiello , che da qualche giorno non è più sotto segreto istruttorio ed è quindi diventato fonte di indiscrezioni sull’inchiesta. Due combine che, stando ai racconti dell’ex giocatore barese, possono mettere nei guai parecchi giocatori di quel Bari, da Gillet a Barreto , da Santoruvo a Belmonte e anche l’attuale difensore dell’Inter, Ranocchia . Nelle ricostruzioni di Masiello, Salernitana-Bari diventa la madre di tutte le combine: 160mila euro pagati per perdere a Salerno, pattuiti attraverso romanzeschi incontri in autostrada (particolare che tuttavia non ha trovato molti riscontri) con il salernitano Ganci , e distribuiti a tutti nello spogliatoio. A tutti? Pare di no. L’attuale giocatore del Torino, Alessandro Gazzi , per esempio, non avrebbe preso soldi, perché lui alla combine non voleva partecipare. E lo fa sapere durante una fantomatica riunione in palestra, dove - sempre secondo Masiello - tutti i giocatori vennero messi al corrente dell’accordo.

GAZZI E GILLET Ma quella riunione in palestra non viene confermata da altri indagati sentiti a Bari ed è uno dei nodi irrisolti della vicenda. Tutti sembrano però concordare sul fatto che Gazzi si chiami fuori e non prenda soldi. Successivamente, però, gli viene regalato dai compagni un computer (e lo stesso accadde con Barreto ), in teoria un regalo che potrebbe essere interpretato come un premio al suo silenzio. Tant’è che, e qui veniamo ai possibili rischi che corre il granata Gazzi, per lui si configura al massimo un’omessa denuncia, non avendo partecipato attivamente alla combine. Differente la posizione di Ranocchia che i soldi li avrebbe presi, salvo poi girarli al famoso factotum del Bari (e perno dello scandalo) Angelo Iacovelli . Insomma, Ranocchia non è sicuramente fra i promotori della combine, ma - essendo uno dei giovani - potrebbe essere stato costretto ad aderirne, senza però voler intascare quel denaro sporco . Questo, in pura teoria, non dovrebbe salvare Ranocchia dall’accusa di illecito, ma siamo nel campo delle ipotesi e all’interrogatorio di Masiello, che non sempre ha trovato riscontro nelle altre deposizioni. La posizione dell’attuale portiere del Torino, Gillet, invece, è più complessa. Sempre secondo una delle ricostruzioni sarebbe fra i «senatori che organizzano la combine con la Salernitana» e con loro dividerebbe i soldi, ma ci sono altre deposizioni che ne parlano come di un «professionista che mai avrebbe accettato una cosa simile e che quando sentiva certi discorsi si allontanava subito». Insomma, anche Gillet potrebbe essere accusato solo di omessa denuncia, se fosse vera la seconda versione dei fatti, in qualche modo avvalorata dall’assenza di Gillet nella partita incriminata, giocata dal dodicesimo Santoni . Su quella partita, inoltre, emerge il particolare di un ex carabiniere legato in qualche modo alla vecchia dirigenza della Salernitana che pur avendo saputo della combine non l’abbia denunciata e, anzi, abbia scommesso sulla partita, vincendo.

CONTE Per quanto riguarda Antonio Conte , che di quel Bari era l’allenatore, si propone uno scenario ansiogeno, visto com’è andata a finire a Siena. Anche in questo caso i giocatori hanno escluso che lui potesse sapere qualcosa. «Il tecnico fu tenuto all’oscuro di tutto», è stato detto da tutti. Tranne uno. Pare che un giocatore abbia detto: «Conte ci fece un discorso prima della partita, raccomandandoci di impegnarci e cercare di vincere. Forse aveva capito qualcosa». Se davvero è solo questo l’elemento, pare dura che Conte possa essere accusato anche solo di omessa denuncia.

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Bari, rispunta Conte

Nel mirino le gare con Salernitana e Treviso.

Ma c’è anche la sfida col Piacenza

Ricostruiti tutti i movimenti prima e dopo le partite (con un cellulare

finito in piscina per cancellare le prove). Ranocchia e Gillet estranei

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 11-10-2012)

MILANO - Una riunione “pro combine” nella palestra dove il Bari allenava i muscoli durante la settimana, un telefonino scagliato in piscina a poche ore dalla gara, nel tentativo maldestro di cancellare le prove, le paure per soldi di cui la Salernitana e i suoi giocatori sembravano non disporre, la spartizione della somma il giorno successivo alla sfida, con Ranocchia e Gillet che secondo gli inquirenti non hanno ricevuto neppure un euro perché non coinvolti nel “biscotto”. Salernitana-Bari 3-2 dell’ultima giornata del campionato di B 2008-09 più che una partita sembra un film. Dell’orrore, per chi ama il calcio. Gli investigatori della Procura di Bari ormai hanno ricostruito i movimenti precedenti e successivi a quell’incontro con dovizia di particolari. Idem per Bari-Treviso 0-1 del 2007-08. Qualcosa da chiarire resta invece su Piacenza-Bari 2-2 del 2008-09, un incontro che per il momento pare non sia stato al centro degli interrogatori di agosto. Magari sarà gettonato nei faccia a faccia tra gli indagati e gli inquirenti che si svolgeranno nelle prossime settimane. Esiste la possibilità che venga nuovamente ascoltato pure Conte che praticamente da tutti i suoi giocatori è stato scagionato. «Non sapeva niente» ripetono. Magari sarà lui, che risulta essere persona informata sui fatti e non indagato, a presentarsi spontaneamente in Procura. A tutti sarà chiesto di contatti telefonici (anche recenti) rivelati dai tabulati e che negli inquirenti destano qualche sospetto. Meglio delineato è il quadro su Bari-Treviso e Salernitana-Bari con la prima gara che, dai racconti in mano alla Procura, avrebbe fatto nascere una profonda spaccatura nello spogliatoio: da una parte coloro che avversavano la combine (Gillet, Gazzi e Stellini), dall’altra i promotori, molti dei quali “senatori” (tra gli altri Ganci, Santoruvo, Rajcic ed Esposito). Era stata una settimana di tensione con una trattativa serrata tra i giocatori delle due formazioni che si conoscevano, magari perché in passato compagni di squadra (tra i veneti attivo Pianu).

PALESTRA, CINEMA E CELLULARE - Il peggio (se possibile...) però è arrivato la stagione successiva per Salernitana-Bari, una partita al centro di una trattativa infinita. I giocatori del Bari infatti non si fidavano della liquidità di una Salernitana in crisi economica (tra gli indagati c’è anche un ex tesserato della società campana) e per “fare” l’incontro pretesero che la moglie di uno di loro aspettasse la fine della gara insieme a un emissario della Salernitana che aveva con sé la valigia con i soldi. Da definire il ruolo di un agente delle forze dell’ordine, coinvolto nella vicenda non come semplice scommettitore. Già perché dopo aver combinato le partite, con l’intento di raddoppiare il guadagno, si andava anche a scommettere. I primi contatti nel maggio 2009 furono telefonici: la proposta dei calciatori granata arrivò a Bari, dove la promozione in A era già stata festeggiata. Conseguenza? Una riunione tra i biancorossi in palestra per “contare” i favorevoli e i contrari. Risultato? Più o meno tutti d’accordo. Giovani esclusi dal dibattito, da qui la convinzione che Ranocchia non abbia preso denaro, mentre Gillet, che all’Arechi rimase 90' in panchina, non è ritenuto tra i coinvolti. Gli accordi furono perfezionati nell’hotel sede del ritiro a Salerno. Ci furono telefonate tra De Vezze e Fusco, ma attivo anche Guberti che, impaurito dai compagni, avrebbe cercato di distruggere le prove della combine “affogando” il cellulare nella piscina. La vigilia delle partite, insomma, in quel Bari si trasformava a volte in un momento di trattativa, con le tensioni che si trascinavano anche al cinema dove, il giorno prima del fischio d’inizio, Conte era solito portare la sua squadra per farla distrarre.

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L’INCHIESTA DI BARI LO AVREBBE RIVELATO IACOVELLI AL PM. E NELLO SPOGLIATOIO

PUGLIESE I SOLDI PER LE SCOMMESSE RACCOLTI IN UNA SCATOLA DELLE SCARPE

Puntate sulla A: spuntano i pizzini tra i calciatori

di FRANCESCO CENITI & MAURIZIO GALDI (GaSport 11-10-2012)

E ora spuntano le scommesse dei giocatori. L'inchiesta di Bari condotta dal procuratore Laudati e dal pm Angelillis che ruota su due tarocchi della squadra pugliese (contro Treviso e Salernitana) promette altri colpi di scena. Le rivelazioni di Andrea Masiello e Vittorio Micolucci (sentito come persona informata sui fatti) sono già state confermate da 4/5 ex compagni: una collaborazione decisiva che ha aggiunto particolari sulla combine di squadra decisa in una riunione plenaria in palestra e sui soldi divisi dopo la sconfitta per 3-2 contro la Salernitana. Ma il verbale (coperto da segreto istruttorio) più esplosivo potrebbe essere quello di Angelo Iacovelli. Sì, proprio il factotum dei giocatori al quale Andrea Ranocchia avrebbe dato la busta con i soldi del tarocco.

Scambio Iacovelli avrebbe allargato il giro, parlando di scommesse ripetute effettuate da molti giocatori del Bari. Ma quello che avrebbe fatto sobbalzare gli investigatori è un altro aspetto: tra i calciatori di A e B «malati di puntate» c'era una vero e proprio scambio d'informazioni. In pratica quelli del Bari comunicavano le loro intenzioni rispetto a qualche combine, ottenendo in cambio un «trattamento» analogo. Insomma, nel mirino ci sarebbero altre sfide alterate del massimo campionato e anche di B, mentre nuovi giocatori avrebbero quantomeno scommesso a colpo sicuro proprio grazie a questa sorta di agenzia clandestina. Un aspetto, se confermato, che darebbe all'inchiesta una dirompenza facile da intuire.

Il bacio propiziatorio E ai margini degli interrogatori ci sarebbero persino confessioni quasi da film. Tipo quella fatta da un indagato che avrebbe parlato «di una scatola delle scarpe» utilizzata nello spogliatoio del Bari come un salvadanaio dove raccogliere i soldi per le scommesse. E di un rito propiziatorio: il bacio della scatola per «facilitare» la vincita una volta deciso su quali partite puntare. Un rito che dimostrerebbe come si considerasse normale effettuare scommesse. Intanto l'inchiesta si rinforza: ha cambiato strategia un giocatore indagato (sono più di 20) che nelle scorse settimane si era avvalso della facoltà di non rispondere. Adesso sta collaborando con gli inquirenti. Un segnale chiaro: il muro di omertà si sta sgretolando.

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L'azzurro è nero

Ranocchia si ribella

«Una storia tirata fuori

al momento giusto...»

Il difensore sulla presunta combine di Salernitana-Bari

«Proprio ora che sto giocando bene e sono tornato in Nazionale»

Abete: «Ranocchia risulta indagato, che non è uguale a colpevole»

Di quel giorno Andrea ricorda solo una doccia velocissima e una festa a Perugia

di ANDREA ELEFANTE (GaSport 11-10-2012)

Dice di essere tranquillo, ma soprattutto stufo. Forse più stufo che tranquillo, perché poi non sai mai come vanno certe cose, finché sei in ballo e soprattutto ti tirano in ballo. E questo è il punto, secondo Andrea Ranocchia: l'hanno messo un po' in mezzo e il suo nome fa più rumore di altri. Ieri faceva fatica a darsi pace, passeggiando per i vialetti di Coverciano, con l'orecchio incollato al telefonino: «Io sono tranquillo, come due mesi fa, perché rispetto ad agosto non è cambiato nulla. Però mi pare che tutto sia fatto ad hoc: 'sta storia è stata ritirata fuori al momento giusto, proprio ora che sto giocando bene e sono tornato in Nazionale».

Via di corsa a Perugia E' questo il punto, visto dal suo punto di vista: non riesce più a scendere dall'altalena da quella mattina dell'1 agosto, quando stava andando alla Pinetina per partire con l'Inter verso Spalato (andata del preliminare di Europa League) e non poté salire sull'aereo perché gli era stato notificato l'avviso di garanzia. Due mesi e mezzo dopo, si è ripreso non solo l'Inter ma anche la Nazionale: il fatto è che se domenica non si aspettava la chiamata di Prandelli, l'altro ieri sera - quando lo hanno avvisato del nuovo rimbombo di certi echi - non si aspettava di non potersi godere il momento. Un'altra volta. Per questo Ranocchia racconta - agli amici, ai compagni di squadra, al legale dell'Inter, l'avvocato Raffaelli - anzitutto una cosa: di essere stufo. E con il tarlo dell'omessa denuncia, sentirsi tranquillo alla fine non basta più, anche se il difensore ribadisce di non sapere nulla se non quello che legge sui giornali: nulla di riunioni in palestra di tutta la sua ex squadra prima di quel Salernitana-Bari, nulla di premi da dividere e buste consegnate dopo quella partita. Di quel giorno ricorda solo una doccia velocissima e una fuga dallo spogliatoio, perché lo aspettavano degli amici per andare ad una festa a Perugia. Ora è a lui che non resta che aspettare: di leggere gli atti assieme agli avvocati e di essere eventualmente chiamato dal procuratore federale Palazzi. Nel caso, valuterà l'opportunità di ribadire la sua posizione di agosto, quando con la Procura di Bari si avvalse della facoltà di non rispondere.

Differenze con Criscito E la Federazione? La convocazione di Prandelli sembra figlia di un ragionamento molto semplice (se gioca da inizio stagione nell'Inter, perché continuare a non chiamarlo in Nazionale?), confermato dallo stesso presidente Giancarlo Abete, sul volo Milano-Yerevan: «Ranocchia, come altri tesserati, risulta indagato, che non è uguale a colpevole. Il calcio non può chiedere alla giustizia iter accelerati, ma non sarebbe neanche giusto privare i giocatori di certe opportunità così a lungo. Differenze con il caso Criscito? L'esclusione di Mimmo non dipese dal fatto che fosse soggetto ad indagine: c'era stata una perquisizione a Coverciano, e anche nella sua abitazione; stavano per scadere i termini per la presentazione della lista dei 23 per l'Europeo, immodificabile se non per infortuni; il risalto mediatico dela vicenda rischiava di inficiare non solo la tranquillità del ragazzo, ma anche quella di tutto il gruppo». Le prossime convocazioni di Prandelli diranno il resto, aspettando quel che dirà Palazzi.

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LA POLEMICA

Abete non ci sta:

«Sviluppi gravi?

Serve prudenza»

Il presidente Figc risponde

al Capo della polizia: «Filoni

d’inchieste già conosciuti»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 11-10-2012)

Tocca al presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, indossare i guanti e «parare» le dichiarazioni del Capo della Polizia, Antonio Manganelli (aveva annunciato «ulteriori novità, e potrebbero essere ancora più clamorose» alle inchieste sul Calcioscommesse condotte dalle varie Procure). «Non so nel dettaglio a cosa si riferisca Manganelli, ma è noto che ci sono filoni ancora aperti a Bari e aCremona. Noi invitiamo tutti alla prudenza, è presto per dare giudizi », ha ricordato il numero uno del calcio italiano.

Prudenza Abete ha poi aggiunto: «Aspettiamo gli atti». La Procura federale diretta da Stefano Palazzi ha aperto da tempo alcune posizioni. In primis c’è il filone legato a Cremona che coinvolge il capitano laziale, Stefano Mauri, l’ex genoano Omar Milanetto e altri tesserati per le combine di Lazio-Genoa e Lecce-Lazio (entrambi i giocatori sono stati arrestati il 28 maggio scorso). Palazzi dopo aver ascoltato Mauri, Milanetto e altri giocatori non ha ancora fatto scattare i deferimenti, probabilmente perché attende nuove carte da Cremona. L’attesa comincia però a essere lunga: altri tesserati sono stati processati con i procedimenti penali aperti. Rinviare ancora potrebbe creare delle disparità difficili da comprendere.

Deferimenti in arrivo Dove l’attesa è davvero incomprensibile è sul filone di Napoli. Come ha ricordato lo stesso Abete: «l’inchiesta è chiusa». Un fatto che risale allo scorso agosto. Palazzi ha tutti gli atti dell’indagine nata dall’autodenuncia dell’ex terzo portiere del Napoli, Matteo Gianello, che ammise ai pm e confermò ai federali, la tentata combine di Samp-Napoli (maggio 2010). Insomma, entro fine mese dovrebbero scattare i deferimenti per Gianello e il Napoli che per responsabilità oggettiva potrebbe anche venire penalizzato (1 punto). Rischiano l’omessa denuncia, invece, Paolo Cannavaro eGianluca Grava (Gianello ha scagionato Fabio Quagliarella) che non avrebbero denunciato la proposta illecita fatta dall’ex compagno.

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CALCIO MARCIO

Palazzi, il caos scommesse

e le denunce «dimenticate»

Nuove accuse inguaiano gli ex giocatori del Bari. Ma il pm federale era

stato avvisato degli illeciti prima che esplodesse l’inchiesta di Cremona

di FRANCESCO PERUGINI (Libero 11-10-2012)

A Stefano Palazzi serve una brava segretaria. È questa l’unica certezza che emerge dall’ultima puntata della telenovela Scommessopoli. Puntuali come un cucù svizzero, le parole del capo della Polizia, Antonio Manganelli («presto novità clamorose») sono state seguite da nuovi sviluppi. Di nuovo, in realtà, c’è poco, ma basta per far clamore attorno alla Nazionale e all’allenatore della Juve, Antonio Conte. Tutto ruota attorno al Bari 2007-2009, gli anni della gestione del tecnico leccese. Due le partite sotto inchiesta: Bari-Treviso 0-1 del 10 maggio 2008 e Salernitana-Bari del 23 maggio 2009. Il primo è un “favore” fatto dai pugliesi agli ospiti. Tutti d’accordo nello spogliatoio, tranne due giocatori: Andrea Masiello e Cristian Stellini. Il primo si fa squalificare per tirarsi fuori: non lo farà in futuro, almeno a leggere i suoi racconti alla procura federale (ritenuti poco credibili dai giudici sportivi) e la condanna a un anno e 10 mesi per associazione a delinquere. Il secondo, allora ancora calciatore, invece si oppone e cerca di far desistere i compagni.

Più grave il caso di Salernitana-Bari: 160mila euro in una valigetta per il 3-2 venduto ai campani in lotta per la retrocessione. Anche stavolta il problema sembra essere Stellini, ma il difensore non si mette di traverso. È forse qui che il giocatore orgoglioso e puro diventa il vice-allenatore capace di combinare AlbinoLeffe-Siena due anni dopo (29 maggio 2011)? È d’accordo pure Gillet, lo stesso portiere che, però, sempre due stagioni dopo chiederà la cessione in seguito alle minacce subìte dai tifosi perché non voleva aggiustare le partite nell’anno della retrocessione dalla A alla B. Tutti prendono soldi, ma non lo staff tecnico. Dubbi solo su Gazzi (per lui un pc) e su Ranocchia: ha preso i soldi, non li ha presi, li ha regalati a Iacovelli (il famigerato faccendiere).

Tra i giocatori indagati e ascoltati (oltre 20), almeno 4-5 avrebbero confermato i fatti. Versioni non sempre coincidenti, ma sufficienti a far esplodere la bomba in concomitanza con il ritorno in Nazionale del difensore dell’Inter. Una coincidenza che hanno sottolineato Giorgio Chiellini da Coverciano («clamore ingiusto») e pure Giancarlo Abete.

E Conte? Non sapeva, nemmeno a Bari. Lo dicono tutti. Solo uno dei testimoni sosterrebbe che era «consapevole» perché raccomandò ai giocatori di «dare il massimo». Troppo poco per portare ancora avanti la teoria del «non poteva non sapere». Anzi, magari un’ulteriore caso a discolpa del tecnico bianconero. I fatti sono lontani e a rischio prescrizione, quindi Palazzi avrebbe potuto decidere di ignorarli. O magari perché potevano minare l’impianto accusatorio? Di sicuro c’è solo che a denunciarli era stato l’ex calciatore dell’Ascoli, Vittorio Micolucci, attraverso un fax alla procura Figc. A ritrovare il documento erano stati due giornalisti di Repubblica mentre guardavano tra le carte del procuratore (ma nella giustizia sportiva non c’è il segreto istruttorio?). E proprio da quell’articolo di fine luglio è nata l’inchiesta del procuratori di Bari, Antonio Laudati.

Non è la prima volta che il pm della Figc perde qualcosa nel suo studio: era già accaduto ai tempi della prima Scommessopoli. Daniele Corvia e Daniele Quadrini - millantati come “contatti” da Marco Paoloni - avevano infatti denunciato le minacce telefoniche ricevute da Massimo Erodiani ben prima dell’esplosione del caso di Cremona. I loro esposti erano rimasti ignorati finché i due non sono finiti tra gli indagati. «Quadrini era stato convocato dalla procura per il 1 giugno, ma l’interrogatorio fissato è stato superato dagli eventi», fu il tentativo di Abete di giustificare il suo pm (appena rinnovato per altri 4 anni). Quadrini, poi, venne squalificato per sei mesi per il coinvolgimento nella combine di Siena-Sassuolo 4-0, da lui stesso denunciata. Anche stavolta Palazzi è stato «superato» dagli eventi?

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«Nuova giustizia

E al più presto»

PETRUCCI «Sì, il sistema deve essere riformato

Ma a bocce ferme e senza stravolgerne i principi»

Diritto alla difesa? Devono esserci più garanzie per gli imputati, ma certi avvocati protestano quando perdono, non quando vincono

Troppi “ragionevoli dubbi” in qualche sentenza? E’ il momento della riforma. Bisogna selezionare giudici che capiscano di calcio, non solo di leggi e codici

La chiarezza totale in processi complessi come Calciopoli è un’utopia. Ma i veleni col tempo si smaltiranno. Agnelli può fare il bene della Juve e del calcio italiano

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 11-10-2012)

Riforma della giustizia sportiva, atto secondo della nostra inchiesta. Dopo il professor Manzella e altri esperti, che su Tuttosport di ieri hanno espresso pareri e idee sull’argomento, interviene Gianni Petrucci, che in quanto presidente del Coni è l’unica persona da cui la riforma può prendere il via. Sarà probabilmente il suo successore a occuparsi di questo processo di cambiamento, ma Petrucci ragiona sul percorso che aspetta lo sport italiano e il calcio in particolare.

Buongiorno presidente Petrucci, quando e perché si è reso conto che la riforma della giustizia sportiva è diventata un un punto necessario dell’agenda del Coni?

«Prima che iniziasse la cosiddetta Scommessopoli stavo parlando con Abete proprio di questo tema. E convenivamo sul fatto che i vecchi regolamenti andavano riattualizzati. E noi, come Coni, avevamo iniziato un percorso con la Figc, in quanto Federazione più popolare e di maggiore evidenza pubblica: la prima sterzata, per esempio, aveva portato ad accorciare i ricorsi. Poi lo scoppio dello scandalo da una parte ha fermato la riforma perché non la si può fare durante processi di questa portata, ma dall’altra ha ulteriormente evidenziato la necessità di ripensare alcuni aspetti della giustizia sportiva».

A questo punto quali possono essere i tempi?

«E’ ovvio che si deve fare a bocce ferme o, per lo meno, non così in movimento, perché ferme non lo saranno mai. Penso che quando si saranno esauriti i processi di quest’ultimo scandalo si possa mettere il punto di partenza. Saranno comunque il Coni del futuro e la Figc a stabilire meglio i tempi».

Sulla necessità di una riforma sembra esserci accordo unanime. Ma per lei quanto deve essere profonda?

«Su questo tema ho molto apprezzato l’intervista al vostro giornale del professor Manzella, che oltre a essere un luminare nel campo del diritto è anche un grande esperto di calcio. Quindi, dico che bisogna andare con i piedi di piombo. Dei cambiamenti sono necessari, ma serve una valutazione attenta. Noi che siamo politici dobbiamo dettare le linee e le idee che i tecnici devono poi tramutare in leggi, tenendo conto di aspetti che, magari, a noi sfuggono».

Ha la sensazione che da parte degli appassionati di calcio, ci sia una certa perplessità, se non proprio una netta sfiducia nei confronti della giustizia sportiva, a volte poco comprensibile nei suoi meccanismi e soprattutto nelle sue decisioni?

«Credo che sia fisiologico. Sono stato tanti anni nel calcio e nel basket e ogni processo ha sempre suscitato discussioni come, per altro, accade pure in ambito penale. Io credo che la necessità della giustizia sportiva di essere celere lasci inevitabilmente qualche punto interrogativo in più, d’altra parte non si può pensare di allungare troppo i tempi. Se penso che il processo penale di Calciopoli non ha ancora avuto l’appello dopo così tanti anni... Qualche scontento ci sarà sempre, ma non è detto che il giudizio di chi osserva sia più giusto di chi è stato chiamato a giudicare».

Una volta i tifosi parlavano di tattica e tecnica, oggi i famosi 60 milioni di ct si sono trasformati in 60 milioni di pm o avvocati...

«Questo per la quantità di scandali, e non solo quelli di casa nostra, che sono emersi negli ultimi tempi e l’enorme popolarità del fenomeno calcistico. Pensate che qualche giorno fa parlavo con David Stern, lo storico commissioner della Nba, e lui mi diceva che la forza che ha il calcio nel mondo non ce l’ha nessuno».

Il difetto principale da correggere, secondo molti addetti ai lavori, è la mancanza di garantismo, sovrastato dalla presunzione di colpevolezza che pervade i processi sportivi. E’ un punto sul quale si può ragionare in sede di riforma?

«Se ne può parlare, ma vorrei citare ancora l’intervista di Manzella che mi sembra una buona base sulla quale impostare la filosofia della riforma. Le sue idee sono quelle di un esperto di diritto che ha avuto ruoli operativi nel calcio e io dubito sempre di quelli che sanno tutto , ma non hanno mai avuto responsabilità dirette. E credo che Manzella sia stato chiaro sul concetto di specificità dello sport e dell’autonomia della sua giustizia che deve per forza ricalcare in tutto e per tutto quella penale. Detto ciò, maggiori garanzie per l’imputato possono essere un elemento di discussione».

Crede che i molti e celebri avvocati penalisti entrati nel mondo della giustizia sportiva possano non interpretare correttamente la peculiarità del mondo dello sport?

«Non saprei, però sono convinto che personaggi come il professor Coppi o l’avvocato Bongiorno possano essere solo un arricchimento per il nostro mondo. Quando ero segretario della Figc dal 1985 al 1991 non c’erano esperti di diritto sportivo come oggi e raramente i grandi penalisti si occupavano di sport. Ora abbiamo esperti di diritto sportivo, di cui esistono anche corsi universitari, e il contributo dei legali di fama è a mio parere sempre prezioso. Pensate che già Coppi, molti anni fa, mi disse che secondo lui bisogna rimettere mano alle regole della giustizia sportiva, era avanti...».

A proposito di avvocati: protestano perché vedono leso il diritto alla difesa. E chiedono tempi tecnici più lunghi e più spazio nel contradditorio, con la possibilità - per esempio - di controinterrogare gli eventuali pentiti. Hanno ragione?

«Gli avvocati che dicono questo sono in genere quelli che perdono, quelli che vincono non parlano quasi mai».

Il diritto alla difesa è però un tema caldo sul fronte della riforma.

«Sono sicuro che non verrà trascurato».

Mario Stagliano, prima nella Procura Federale ora avvocato, ha proposto di abolire un grado di giudizio per evitare la frettolosità che contraddistingue l’iter processuale. «Meglio due gradi fatti bene che tre fatti male» è la sua idea. Cosa ne pensa?

«Posso dare una risposta, ma non da dirigente: è una possibilità, ma non conosco i gangli e i meccanismi così a fondo da poter dare un giudizio tecnico. Certo, con un grado in meno si rischia di togliere delle possibilità a chi si difende»

Si è a lungo parlato, in questi ultimi mesi, del principio per cui si deve condannare «ogni oltre ragionevole dubbio». Eppure di dubbi ne sono rimasti parecchi, almeno a livello giornalistico e di opinione pubblica. E’ un problema solo dei media o anche della giustizia sportiva?

«Quando i giornali parlano così tanto e in modo così convinto di certi argomenti sono dell’idea che probabilmente non inventino nulla, al massimo possono in certi casi esagerare. E se i media ritengono necessaria una riforma della giustizia sportiva, qualche revisione ci deve essere».

Questa volta citiamo noi Manzella. Sulla selezione dei giudici ha detto: non devono essere tutti selezionati dalle Federazioni per garantire la terzietà e devono essere veri esperti dello sport sul quale vanno a giudicare. Cosa ne pensa?

«Né io né Abete siamo gelosi di questo potere, che è oltretutto fonte di problemi, quindi piena apertura. Tengo comunque a sottolineare che quando, per esempio, si parla di Tnas io non conosco la maggior parte dei suoi componenti, che sono selezionati attraverso una sorta di concorso sulla base dei loro curricula. Sono perfettamente d’accordo, inoltre, con il concetto di “competenza sportiva” di chi è chiamato a giudicare nello sport. Non basta conoscere il codice, bisogna conoscere anche lo sport o il calcio, se l’ambito è quello calcistico. Un grande arbitro non conosce solo il regolamento, ma anche la tattica e le caratteristiche dei giocatori e così deve essere un giudice. Chi fa parte della giustizia deve conoscere lo sport, anche per interpretare in modo corretto la legge comprendendo a fondo l’intenzione del legislatore».

Quanto la popolarità di un personaggio e il conseguente affetto dei tifosi nei suoi confronti può inficiare o complicare un’inchiesta e l’eventuale processo?

«Quanto non lo so, dico che non dovrebbe essere così»

Le società battono sul tema della responsabilità oggettiva, che vorrebbero vedere molto ridimensionata.

«E’ un caposaldo, quindi deve rimanere, ma deve essere rivisto anche alla luce certi nuovi reati non prima prevedibili. E’ ovvio, per esempio, che bisogna distinguere fra chi trucca una partita per suo vantaggio personale o chi lo fa in modo che ne tragga beneficio la società».

Il calcio italiano riuscirà a smaltire i veleni che stanno scorrendo da un po’?

«Ma sì! Si smaltiranno, come accadde in passato. Oggi parliamo ancora dei centimetri di Turone, ma sono una leggenda che fa sorridere. Me lo tengo ben stretto il nostro calcio, io che giro il mondo e vedo tutto lo sport. Non c’è nessuno che non abbia un problema o uno scandalo. Le isole felici non esistono. L’Inghilterra tanto decantata ha dei debiti enormi, la nazionale spagnola finisce per non vendere i diritti tv di una sua partita ufficiale».

Non crede che certe evidenti incongruenze legate a Calciopoli siano all’origine del clima nei confronti della giustizia sportiva?

«La chiarezza totale in processi complessi come quelli è un’utopia. E ci sarà sempre qualcuno scontento. Chi, infatti, può ammettere di aver sbagliato? Tutti cercano di tirare acqua al proprio mulino. E’ una questione di immagine, come certi discorsi: senti parlare di problema degli stadi, ma chi fa qualcosa? Certo, si aspetta la politica, ma chi l’ha voluto fare, lo stadio, l’ha fatto: la Juventus. Se tutti i progetti che sono stati presentati fossero diventati operativi oggi avremmo più stadi che chiese. Meno male che la Lega sta ricominciando a lavorare di buzzo buono grazie a tanti giovani dirigenti tra cui Agnelli».

A proposito di Agnelli, lui il tema della giustizia sportiva l’ha messo pure nella relazione di bilancio 2011.

«Me l’aveva detto e ne avevamo parlato insieme. E’ un presidente che ama la propria squadra e la segue con attenzione, ma ha grande sensibilità politica per il movimento in cui si muove».

Può essere, lui come altri presidenti, un interlocutore per la riforma?

«Abete è un presidente aperto. Anzi a volte gli viene rimproverato di esserlo troppo. E’ disponibile ad ascoltare qualsiasi interlocutore per migliorare il calcio italiano. E’ un momento di crisi per tutti, ma io per esperienza so che dai momenti di crisi escono le idee migliori e si rinasce più forti. Vedo segnali interessanti: presidenti che fanno meno follie sul mercato, per esempio. E non perché manchino loro i soldi, ma perché li investono in modo più intelligente, meno esterofilia, più giovani nelle squadre...».

A proposito di riforme, il nostro giornale ne ha proposta una per il campionato: niente soste per la nazionale, ma un blocco estivo di due mesi a maggio e giugno.

«E’ un’idea, ma bisognerebbe mettere d’accordo almeno tutta l’Europa, un po’ complicato. Ma sulle pause della nazionale vorrei dire una cosa ai presidenti che si lamentano per i viaggi dei sudamericani. “Mi tornano stanchi”, dicono. E io penso: “Ma perché li hai presi allora?”. Lo sapevano che quelli forti di solito vanno in nazionale, no?».

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DAL PROCESSO TELECOM NOVITA’ SU CALCIOPOLI

Cipriani: le verità sul

computer dei dossier

Le indagini illegali su Moggi e De Santis erano contenute nel pc finito nelle mani di Auricchio

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 11-10-2012)

TORINO. Emanuele Cipriani bis. Nell’aula bunker del carcere milanese di San Vittore è andato in scena il controinterrogatorio delle difese nei confronti dell’ex investigatore privato al centro dello scandalo Telecom. Era la sua “Polis d’Istinto” alla quale venivano commissionati i dossier illegali dal responsabile della sicurezza Telecom, Giuliano Tavaroli , e quindi anche quelli relativi al calcio, dai pedinamenti a Vieri alle indagini sulla Gea, su Moggi , Giraudo e la Juventus, su Pasquale Foti e sull’ex arbitro De Santis . Nella puntata precedente, Cipriani aveva dichiarato sotto giuramento che le indagini (svolte ad ogni livello, dai pedinamenti ai controlli dei tabulati telefonici, passando per visure bancarie) finite nel dossier “Operazione ladroni” erano state commissionate dall’Inter e pagate dalla Pirelli proprio per proteggere la riservatezza dell’Inter.

LIVELLO UNO Ieri, incalzato dall’avvocato Paolo Gallinelli , legale di De Santis, e alla presenza di Luciano Moggi, che era presente anche all’altra udienza del processo Telecom, Cipriani ha chiarito altri dettagli interessanti sulla vicenda. Quando Gallinelli gli ha chiesto come venissero trattati dossier di livello 1 da Tavaroli, Cipriani ha detto: «I dossier di livello 1 venivano informatizzati da Tavaroli e il dossier “Operazione Ladroni” era un dossier di livello 1». Insomma, sul computer di Tavaroli c’erano tutte le indagini su De Santis, sui dirigenti della Juventus, su Foti e anche sul traffico di alcuni numeri telefonici della Figc (probabilmente quelli dei due designatori arbitrali). Che c’è di strano? In teoria nulla, visto che Tavaroli era colui il quale teneva i contatti fra l’Inter e la Polis d’Istinto e che organizzava le frequenti riunioni per aggiornare il committente.

IL GIALLO La vicenda diventa quantomeno curiosa (e si tinge di giallo) se si pensa che fine fa il computer di Tavaroli e il materiale informatico che gli viene sequestrato quando scatta l’inchiesta Telecom: nella caserma dei Carabinieri di via Inselci a Roma, la famosa seconda sezione dove l’allora maggiore Auricchio conduceva le indagini su Calciopoli. Perché? Ufficialmente quel materiale informatico viene spedito da Roma a Milano per essere ispezionato, circostanza piuttosto inusuale e strana, al punto che l’avvocato Gallinelli sospetta che il materiale (illegalmente raccolto) contenuto in quel computer e in quegli hard disk (e Cipriani ha confermato quale fosse) potesse in qualche modo essere riciclato nelle indagini di Calciopoli.

I SIGNORI M Sempre nell’udienza di ieri, Cipriani ha rivelato (ed è una novità) che l’Inter è stata «assidua cliente della Polis d’Istinto dal 2000 al 2006, quando si interruppe il rapporto dopo lo scoppio dello scandalo Telecom». E ha specificato che le indagini sulla Gea, da cui era partita l’inchiesta illegale, aveva «come obiettivi i signori Moggi».

___

PROCESSO TELECOM

Cipriani: «Il dossier Ladroni finì in un file»

di MARCO IARIA (GaSport 11-10-2012)

Nuovi particolari sono emersi nel corso del controesame dell'investigatore privato Emanuele Cipriani, imputato al processo sullo spionaggio Telecom. Cipriani ha raccontato che anche il dossier Ladroni, quello commissionato dall'Inter su De Santis e la cosiddetta «combriccola romana», venne informatizzato e dunque archiviato in un file, trattandosi di un report di «livello uno», cioè tra quelli di maggiore interesse.

Intrecci Cosa significa? Che nel materiale informatico sequestrato il 3 maggio 2005 nell'ambito dell'inchiesta Telecom a Giuliano Tavaroli, ex capo della sicurezza del gruppo, probabilmente c'era pure quel dossier. Quello stesso materiale, come si evince da un atto della procura di Milano del 9 giugno 2005, fu spedito a Roma perché venisse monitorato, a partire dal 15 giugno 2005, dai carabinieri della seconda sezione del nucleo operativo di via in Selci, guidata da Attilio Auricchio. «Dopo le parole di Cipriani — dice l'avvocato Paolo Gallinelli, che nel processo rappresenta De Santis come parte civile — aumentano le probabilità che quel pc di Tavaroli contenesse pure il dossier Ladroni. Se così fosse, si può dedurre che gli investigatori quantomeno conoscessero il contenuto di una pregressa attività di dossieraggio su De Santis, i Moggi e altri. Ci sono sovrapposizioni tra i soggetti che sono stati spiati da Tavaroli e Cipriani e quelli che poi furono sottoposti alle indagini di Calciopoli. E c'è un collegamento spazio-temporale che si basa sulla presenza fisica di quel materiale informativo a via in Selci nel pieno delle indagini su Calciopoli».

Moggi Ieri Cipriani ha inoltre confermato che venne monitorata la Gea World, la cui attività di analisi era finalizzata «ai signori Moggi». E l'Inter? «Era un cliente stabile della Polis, il rapporto iniziò nel 2000 con Progetto Care e si interruppe quando scoppiò il caso Telecom».

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giustiziaLenta di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 11-10-2012)

PALAZZI, I DEFERIMENTI RITARDATI

E QUELLA INSOLITA ARCHIVIAZIONE

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Per la serie «chi va piano va sano e va lontano» il procuratore federale Stefano Palazzi ha ieri deferito De Laurentiis e Conte. Il primo per avere aggredito un giornalista davanti alla sede della Lega il 4 luglio e per aver ordinato al suo Napoli di disertare la cerimonia di premiazione della Supercoppa persa con la Juventus a Pechino l'11 agosto, il secondo per le accuse mosse alla giustizia sportiva della Federcalcio il 23 agosto, all'indomani della sentenza di secondo grado che lo condannava a dieci mesi di squalifica per omessa denuncia. Scrive Palazzi: «Esaminate le notizie riportate da organi di stampa e televisioni e rilevato che nelle 48 ore successive non sono state pubblicate rettifiche... etc etc». Ieri, giorno dei deferimenti «par condicio» che rendono dunque equo l'avvicinamento al big match Juventus-Napoli di sabato 20 ottobre, era il 10 ottobre. Questo per dire che Palazzi ha evidentemente una visione molto «estesa» del concetto relativo alle «48 ore successive».

Lo abbiamo già scritto e lo ribadiamo con forza. Questo tipo di (presunti) reati sportivi, dichiarazioni e comportamenti inopportuni, deve avere dalla Procura federale una risposta immediata: deferimento sì o deferimento no, ma che tutto avvenga nel giro di pochissimi giorni, al punto che sarebbe forse utile porre un limite temporale alle conclusioni del Procuratore, un po' come avviene, limitandolo alle sole 24 ore, per la prova tivvù. E' pure una questione di ricaduta mediatica, anche se si può capire come un'archiviazione insolita come quella che Palazzi ha ieri evidentemente riservato ad Andrea Agnelli («Federcalcio sistema dittatoriale», «giustizia sportiva fuori da ogni logica di diritto e di correttezza», 2 agosto) è più facile da digerire 70 giorni dopo, quando la memoria si è un po' appannata, che non nell'immediato.

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AGNELLI «Sì, quest'anno puntiamo a vincerla Calciopoli e SCommessopoli: due ingiustizie»

PAG. 3 • JUVE STRATEGIE E OBIETTIVI

Agnelli avvisa l'Europa «Voglio la Champions» «Vale più della Coppa del Mondo. E noi ci sentiamo a casa»

La classifica della Champions dice che siamo i sesti di sempre, non possiamo che puntare subito al successo. Vi spiego come il cakio italiano può risalire

Noi Agnelli siamo la più antica famiglia nello sport, gestiamo la Juve da 90 anni. Al mio arrivo ho dovuto cambiare tutto. Il risultato è una squadra nuova e di vincenti

Gianni Lovato - Tuttosport -11-10-2012

IL MESSAGGIO all'Europa non poteva che essere inviato da Londra, centro nevralgico del calcio continentale: «La Juve è sesta nella classifica di tutti i tempi della Champions. Quest'anno puntiamo a vincerla, perché noi non scendiamo mai in campo con altri obiettivi», firmato Andrea Agnelli . Parole spese davanti al presidente della federcalcio spagnola, ovvero il rappresentante di Barça e Real, tanto per citarne uno. Il presidente della Juve parla da Stamford Bridge, la tana del nemico trasformata per due giorni nella sede di Leaders in Football??, società organizzatrice di un meeting che riunisce sotto lo stesso tetto molti dei principali dirigenti delluniverso calcistico. Lincrocio con il suo predecessore è solo sfiorato, perché Jean Claude Blanc in veste di direttore generale del Psg parlerà oggi. Poco male. Soprattutto per l'uomo di Chambery, che potrà evitare imbarazzanti confronti. Agnelli invece parla a ruota libera per trequarti dora. L'organizzazione del calcio italiano, Calciopoli, Scommessopoli e soprattutto… Scudettopoli. Perché sotto la sua guida la Juve ha riconquistato la leadership in Italia ed è pronta a dare lassalto a quella europea. E questo il numero uno bianconero lo chiarisce al meglio.

CALCIOPOLI Agnelli è uno dei cosiddetti 'speakers', in pratica gli tocca rispondere alle domande di un intervistatore. Alcune vertono sulla nerissima stagione di Calciopoli, quella che vide una delle migliori squadre del panorama continentale (secondo molti la migliore) finire nellinferno della serie B con costi economici e morali annessi. Il presidente della Juventus risponde con un aplomb che probabilmente non corrisponde al suo reale stato danimo, ma le parole sono pietre: «Mi piacerebbe avere un parere internazionale sulla vicenda che è stata chiamata Calciopoli. Non cè stata una sola prova contro la Juve. Le decisioni sono state prese sulla presunta violazione dellarticolo 1, in pratica sè stabilito che se ci sono stati tre comportamenti antisportivi, allora c'è stato un illecito. Come dire che se uno si è comportato male qualche volta, allora deve aver commesso un reato».

SCOMMESSOPOLI Gli anni di Calciopoli videro l'attuale presidente in veste di spettatore (per quanto possa esserlo un Agnelli quando si parla di casa Juve), la vicenda di Antonio Conte – pur non riguardando la società di corso Galileo Ferraris – lo ha invece spinto in prima linea. «La mia prima reazione di fronte alla squalifica di Conte è stata di delusione. Il ricordo del 2006 era ancora vivo. A me sono bastati un paio di minuti di colloquio con Antonio per capire la verità. Il nostro tecnico è innocente. Quello che l'ha riguardato è un processo inquisitorio, dove la parola di una persona viene messa contro quella di un'altra».

LA SENTENZA Conte professa la sua innocenza in maniera a volte scomposta (proprio ieri è arrivato il deferimento per la famosa conferenza del 23 agosto), Agnelli gli crede, la giustizia sportiva no. Infatti proprio a Stamford Bridge alla Juve è toccato riaffacciarsi in Champions con il proprio tecnico in tribuna. Un inconveniente destinato a perdurare fino al termine del girone di qualificazione. Agnelli non ci sta: «La squalifica di 4 mesi la trovo abbastanza assurda. Bisogna riformare la giustizia perché queste decisioni hanno implicazioni finanziarie molto importanti. Per questo ritengo che quando si fanno delle accuse bisogna essere sicuri al 100%. Sono d'accordo sul punire severamente il calcio scommesse, ma noi abbiamo avuto il nostro allenatore squalificato per 4 mesi con la motivazione che non poteva non sapere??. Non c'era prova che lui sapesse, ma non poteva non sapere??. Se uno non può difendersi, allora tutti possono essere considerati colpevoli». Inevitabile il parallelo con John Terry , accusato di aver pronunciato frasi razziste nei confronti di Anton Ferdinand in occasione di Chelsea-Qpr dello scorso campionato. «Fatico a comprendere quello che è successo qui in Inghilterra con Terry. Per lo stesso capo di accusa il tribunale civile lo ha giudicato innocente, mentre per quello sportivo è colpevole».

IL CALCIO ITALIANO Pur essendo al timone della Juve da soli due anni, Agnelli può esibire trofei (dallo stadio, al Liceo Juve, al prossimo centro sportivo nellarea dello Stadium e, certo, lo scudetto) sconosciuti ai suoi colleghi italiani. Che la spinta propulsiva sia solo all'inizio lo si capisce da parole che hanno lo spessore del manifesto: «Dieci anni fa altre squadre erano d'esempio e il Barcellona non era quello attuale. Anche le squadre inglesi faticavano ad avanzare in Champions League. Mentre oggi la Germania ha chiuso il gap proprio grazie ai nuovi stadi e alle partnerships Champions. In Estremo Oriente solo la Premier League viene trasmessa, perché cè una politica ben precisa nel vendere i diritti tv. La serie A prima deve guidare se stessa e poi vendersi a livello internazionale. Al momento non abbiamo appeal. Io per il futuro punterei sul modello americano, che è esattamente l'opposto del nostro. Ovvero a un sistema solidaristico con i proventi che dall'alto vengono distribuiti in basso».

TRA STORIA E FUTURO Finale a tinte bianconere con il manager che confluisce nel tifoso: «Noi Agnelli abbiamo la gestione familiare più antica nella storia dello sport. Il 40% è nelle mani dei tifosi ma il restante 60% dipende dalla nostra gestione da quasi novantanni. Nel 2010 io sono diventato presidente e Marotta è arrivato poco dopo. Non era rimasto quasi nessun giocatore, abbiamo cambiato tantissimo. Però con Del Neri le cose non sono andate per il meglio, per cui abbiamo dovuto cambiare tutto e con il senno di poi possiamo dire che con Conte abbiamo fatto la scelta migliore. Il risultato è che nella squadra campione dItalia cerano solo cinque giocatori ereditati dalla precedente gestione».

MEGLIO LA CHAMPIONS «Il sogno di ogni ragazzo è di alzare la Coppa del Mondo. Però bisogna anche pensare che questi ragazzi hanno dei contratti multimilionari e ogni volta che vanno in Nazionale rischiano di sminuire il loro valore con un infortunio. Considerando che la Coppa del Mondo si gioca ogni quattro anni, io penso che la Champions sia più importante. Ho visto le statistiche, la Juve è al sesto posto di tutti i tempi nella classifica Champions. Sappiamo che è una competizione daltissimo livello, ma noi in questo ambito ci sentiamo a casa e puntiamo a vincere ogni competizione a cui partecipiamo». Ma questo i suoi interlocutori l'avevano già capito.

ha collaborato VALERIO CAMMARANO

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IL RISCATTO

EFFETTO EURO'12 SUI 50

Sei italiani in corsa per il Pallone d'oro (e anche sei tecnici)

LICARI A PAGINA 17

GLI ALLENATORI

Prandelli, Di Matteo Mancini e Guidolin

Però manca Conte... Anche Mazzarri e Spalletti in corsa. La Fifa premia la Nazionale ma non la Juventus

Fabio Licari - Gasport -11-10-2012

Se per i calciatori sembra d'essere tornati ai tempi belli, per i tecnici è la conferma: il nostro movimento è tra i più preparati e vincenti. Nel 2011 furono selezionati in 5 (Allegri, Capello, Mancini, Guidolin, Mazzarri). Quest'anno siamo a quota 6: Guidolin, Mancini e Mazzarri (di nuovo), Di Matteo, Prandelli e Spalletti (nuovi). E fin qui tutto perfetto. Se non fosse che manca chi ha vinto campionato e Supercoppa, perso la finale di Coppa Italia e reinventato la Juve. Già: dov'è finito Antonio Conte? Tocca a Del Bosque Conte non c'è. Non c'è posto per lui tra i 33 allenatori preselezionati dalla Fifa. Possibile? Naturalmente no. Ma a Zurigo hanno fatto valutazioni politiche. E temendo un tecnico squalificato tra i 10 finalisti, se non di più, hanno preferito glissare. Silenzio rumorosissimo. Naturalmente non avrebbe vinto: il successo spetta, di diritto, a Vicente del Bosque, c.t. della Spagna, campione d'Europa (dopo il Mondiale 2010). Il premio per i tecnici esiste dal 2010 — da quando Fifa e France Football hanno unito Pallone d'oro e World Player — ed è andato a prima Mourinho e poi a Guardiola. Tre IhVai dt Tra i 10 finalisti potrebbero farsi strada 3 italiani. Uno è Roberto Di Matteo, campione d'Europa (più Coppa d'Inghilterra) con il Chelsea dopo aver allentato la gabbia tattica di Villas Boas e restituito buon senso — con un po' di fortuna — a una squadra non finita. L'altro è Cesare Prandelli la cui Italia, finale di Kiev esclusa, ha dato spettacolo e sorpreso i critici internazionali. Infine è in gioco anche Roberto Mancini, campione d'Inghilterra con il Manchester City. Meno chance, obiettivamente, per Walter Mazzarri e Francesco Guidolin: ma Napoli (Coppa Italia) e Udinese (qualificazione in Champions) hanno meritato il riconoscimento nella «lista ampia». Luciano Spalletti, campione di Russia, sta soffrendo con lo Zenit: anche per lui è dura. La Top li Ai primi posti, naturalmente, José Mourinho campione di Spagna, e Diego Simeone (Europa League e Supercoppa all'Atletico Madrid): probabile che, escluso Del Bosque, gli altri 2 finalisti usciranno proprio dalla rosa con Mou, Simeone, Di Matteo e Mancini.

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Palazzi tempismo speciale

Vittorio Oreggia - Tutttosport -11-10-2012

Due mesi dopo la finale di Supercoppa e 48 giorni dopo la conferenza stampa-sfogo di Antonio Conte, il procuratore Stefano Palazzi ha deferito il presidente del Napoli, Aurelio De Laurentiis, e l’allenatore della Juventus: il primo per quello che ha fatto (vietare alla sua squadra di partecipare alla cerimonia di premiazione nella bolgia di Pechino), il secondo per quello che ha detto (contro i giudici che lo hanno condannato a dieci mesi, poi ridotti a 4 dal Tnas). Si tratta di atti dovuti, ancorché piuttosto differenti tra loro, sanzionabili solo con pene pecuniarie, ma crediamo che il tempismo dello 007 federale possa essere considerato davvero straordinario.

Non fosse una cosa abbastanza seria, verrebbe da ridere. Alla ripresa del campionato si giocherà Juventus-Napoli e siccome il clima per questa sfida non è sufficientemente surriscaldato, Palazzi ha pensato di agitare le acque. Per carità, tutto proceduralmente ineccepile, tutto in ambito molto bypartizan (De Laurentiis-Conte: 1-1. Olè!), però sorge spontanea la domanda: cui prodest? Non poteva, il Palazzi, scatenarsi con i deferimenti la settimana scorsa o quella successiva alla partita di Torino? No, proprio ieri, il giorno dopo le pesanti anticipazioni del capo della Polizia, Antonio Manganelli, sul calcio scommesse; il giorno stesso in cui gli spifferi del filone barese raggelano il sangue. In effetti, a ripensarci quei deferimenti ci volevano per rendere l’atmosfera tra il pasquale e il natalizio.

Dicono che Palazzi sia così, insomma operi “motu proprio”, distante da qualsiasi contaminazione politica. Sarà pure bello e ovviamente vero, però qualcuno che gli detti i tempi d’azione ci sarà, no? Anche a questo converrà mettere mano quando le istituzioni riorganizzeranno la giustizia sportiva. Speriamo prestissimo. Nell’ambito dell’inchiesta che Tuttosport sta portando avanti sulla revisione dell’intero sistema giuridico, è dirimente la posizione di Gianni Petrucci. In una lunga intervista che ci ha concesso, il presidente del Coni pone in risalto la necessità di intervenire al più presto («ne ho parlato di recente con Abete…»), affronta il problema della scelta dei giudici, che «devono avere competenza sportiva per interpretare in modo corretto la legge, comprendendo a fondo l’intenzione del legislatore», insiste sulla necessità di mantenere il caposaldo della responsabilità oggettiva ma con una «rivisitazione alla luce di certi nuovi reati prima non prevedibili», auspica infine una discussione sulle «maggiori garanzie per l’imputato». Tutto giusto, però che qualcuno cominci.

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 11-10-2012)

Giustizia sportiva lumaca

così Palazzi non può farcela

Gentile presidente Giancarlo Abete, Lei, tempo fa, aveva promesso che la giustizia sportiva sarebbe "stata rapida e trasparente". Siamo ancora in attesa. Le sembra normale che il superprocuratore Stefano Palazzi-Scherlock Holmes ci abbia messo 70 giorni per decidere che il comunicato della Juventus (datato 2 agosto!) sulla giustizia sportiva "barbara, fuori da ogni logica di diritto e correttezza" non era degno di deferimento? Tra l'altro, il club di Andrea Agnelli, che non ha mai ritirato una causa di risarcimento danni da 440 milioni nei confronti della Figc, aveva anche sostenuto che la Federazione da Lei diretta è un "sistema dittatoriale". Palazzi ha ritenuto che certe affermazioni, sicuramente forti, dovessero essere archiviate perché non lesive dell'onorabilità della Figc e della giustizia sportiva. Ok, ne prendiamo atto. Ma è possibile che ci abbia messo settanta giorni per decidere? Non è possibile, gentile presidente: e anche il suo amico, Giovanni Petrucci, se ne rende conto e ha chiesto maggiore velocità. Soprattutto nei casi di dichiarazioni a caldo, di comunicati stampa. Per la prova tv bisogna intervenire entro le 48 ore dalla partita: beh, forse è un po' eccessivo per un deferimento. Ma al massimo in una settimana, dieci giorni, Palazzi deve chiudere tutto. La conferenza stampa di Conte era del 23 agosto, l'aggressione verbale di De Laurentiis ad una giornalista addirittura del 4 luglio: i deferimenti sono arrivati solo ieri, 10 ottobre. Ma quanto ci vuole per indagare?

Gentile presidente Abete, Lei che è un attento (e mattutino) lettore di giornali avrà sicuramente letto quanto scrive La Repubblica oggi: un altro giocatore che ha rotto l'omertà e parlato di scommesse, con il possibile coinvolgimento di altri calciatori di serie A, con le puntate raccolte in una scatole delle scarpe, con i pizzini... E' l'inchiesta di Bari, ancora in corso: un calciatore tempo fa avrebbe tirato in ballo anche Conte, molti altri lo avrebbero invece scagionato. Conte è già stato squalificato, come si sa, dopo un brutto balletto della giustizia sportiva, per l'omessa denuncia quando allenava a Siena: ora non è indagato a Bari, ma bisogna vedere se quel giocatore che ha parlato rischia di tirarlo nuovamente in ballo dal punto di vista sportivo per un'altra, eventuale omessa, denuncia. Certo, c'è da dire che Conte è sicuramente un ottimo allenatore, basta vedere quello che ha fatto lo scorso anno nella Juve, ma fortunato non è: a Bari succedeva di tutto nello spogliatoio, a Siena quasi e lui non si accorgeva mai di nulla. Non parliamo poi dei dirigenti... Ma torniamo, al calcioscommesse: Palazzi e i suoi si sono trovati di fronte a qualcosa di immane e che, come abbiamo visto, non finisce mai. E' oltre un anno che indagano: ci sono stati processi, squalificati decine di calciatori, allenatori, dirigenti. Ma c'è ancora molto da fare: da Cremona, Napoli e Bari sono arrivate migliaia di pagine a Roma, altre sono in arrivo soprattutto dalla Puglia. Ma Palazzi ha ormai concluso l'inchiesta sul Napoli, coinvolto dal suo ex portiere Gianello (che rischia il processo per illecito sportivo): il club di De Laurentiis potrebbe essere penalizzato di un punto, Paolo Cannavaro e Grava rispondere invece di omessa denuncia. Cosa aspetta Palazzi a deferire? Le ultime voci danno per sicuro il deferimento entro fine mese, altre voci sostengono invece che il superprocuratore aspetterebbe di chiudere anche il caso Cremona (coinvolte Genoa e Lazio e molti calciatori che stanno regolarmente giocando...) e Bari (c'è di mezzo anche l'azzurro Ranocchia) e fare un maxi-deferimento, con maxi-processo, solo dopo il 14 gennaio. Perché il 14 gennaio? Perché quel giorno si vota per la Figc. Gentile presidente, mi auguro proprio che questa ipotesi sia fantacalcio: e conoscendola da anni, credo proprio che una cosa del genere non potrebbe mai succedere con Lei alla guida della Federazione. Mi rendo conto che la giustizia sportiva deve andare al traino di quella ordinaria e Lei ha ragione quando sostiene che a Napoli il processo di calciopoli (2006) non è ancora nemmeno arrivato all'appello. La giustizia sportiva deve essere più veloce, molto più veloce, e in passato (vedi appunto 2006) lo è stata perché dovevano partire campionati e Coppe. Magari sommaria, in molti casi, è vero. Magari qualcuno (vedi l'Inter per il clamoroso caso di spionaggio) si è salvato per prescrizione. Ma adesso, così, non si può più continuare. Ne va della regolarità del campionato.

Gentile presidente Abete, Lei ha fatto anche molte cose buone in questi anni (vedi il rilancio della Nazionale) e ha saputo alzare la voce quando c'era da alzarla (contratto dei calciatori e riforma della Lega Pro). Altre cose non ha potuto farle perché il sistema della Figc è tutt'altro che dittatoriale come sostiene Agnelli, ma è "ingessato" da uno statuto da Lei subito e che non dà grandi spazi di manovra. Ma una cosa va fatta, subito: una riforma seria, radicale della giustizia sportiva. Ha confermato Palazzi? Ok, è sicuramente un grande lavoratore e una persona onesta (un magistrato che parla con gli atti e non con le interviste è cosa rara di questi tempi) ma adesso gli dia gli strumenti, gli uomini, per poter agire davvero con "celerità e trasparenza".

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Giraudo in appello: pronostici

di GIANFRANCESCO TURANO dal blog RAGÙ DI CAPRA (l'Espresso.it 11-10-2012)

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Venerdì 12 a Napoli incomincia il processo d’appello contro Antonio Giraudo, ex amministratore delegato della Juventus, e contro altri imputati: Tullio Lanese, ex numero uno dell’Aia, gli arbitri Rocchi, Messina, Gabriele, Cassarà e i due guardalinee Baglioni e Griselli. Tutti condannati in primo grado con il rito abbreviato, mentre i rimanenti imputati di Calciopoli, a partire dall’ex direttore generale bianconero Luciano Moggi, sono arrivati a sentenza con rito ordinario.

Il processo, però, è nella sostanza lo stesso e ruota attorno a un interrogativo. I vertici della Juventus hanno alterato le griglie arbitrali in modo da ottenere direzioni di gara favorevoli?

Considerate le condanne in primo grado, la risposta è sì. Resta però da spiegare fino a che punto la società bianconera fosse coinvolta. Questo è fondamentale per stabilire l’eventuale diritto dei club danneggiati a rivalersi in sede di risarcimento.

Ecco quello che si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado. Sono nove righe e mezzo in totale a pagina 549. E dicono: «Sul versante passivo, il tribunale stima che non può essere accolta la domanda nei confronti del responsabile civile Juventus spa, sotto il profilo della rottura del rapporto organico con il datore di lavoro, generata dall’esercizio da parte dell’imputato Moggi di un potere personale avente manifestazioni estoeriori esorbitanti dall’appartenenza alla società, noto come tale ai competitori, messi infatti in allarme, così come ampiamente dimostrato dagli atti del processo, dalle caratteristiche del suo potere da tutti indistintamente i competitori primieramente collegato all’universo dei calcaitori rappresentati dalla Gea».

Qualunquemente (ndr).

Questo periodare tipico del personaggio di Antonio Albanese significa, in lingua italiana, che Moggi era un manager infedele al suo datore (la Juve) e che si dava da fare per l’agenzia sportiva del figlio Alessandro, la Gea.

Ma di una “rottura del rapporto organico” tra Moggi e la Juventus spa non esiste la minima traccia, almeno finché Moggi e Giraudo non sono finiti sotto inchiesta e il tribunale sportivo non ha retrocesso in B la Juve.

In altre parole, il tribunale di Napoli ha avallato in pimo grado una ricostruzione dei fatti che consente alla Juve di dire: “potevamo non sapere”. E Moggi risulta nullatenente. E Giraudo, che della Juve era il terzo maggiore azionista dopo la famiglia Agnelli e la famiglia Gheddafi, si è reso altrettanto nullatenente cedendo le sue proprietà immobiliari alla moglie e al figlio.

Quindi i danneggiati, a cominciare dall’ex presidente del Bologna Gazzoni Frascara, non sapranno su chi rivalersi.

Ma c’è un altro elemento. Se Moggi lavorava per la Gea e non per la Juve, Giraudo per chi lavorava oltre alla Juve? E se lavorava solo per la Juve e la Juve non sapeva, non è forse innocente? Insomma, il cattivo è l’ex capostazione di Civitavecchia. Un cattivo ideale, bisogna dire perché, a differenza di Giraudo che tuttora è in stretti rapporti con Andrea Agnelli, Moggi viene dal nulla e nel nulla può tornare.

Presto sapremo se il pronostico è azzeccato. Il tribunale d’appello ha fissato solo tre udienze prima di andare a sentenza il 26 ottobre. Uno dei tre membri del collegio, Rosa Molè, è stata assegnata al processo soltanto due settimane fa con decine di migliaia di pagine da leggere. Sarà proprio lei la relatrice.

I tempi sono così stretti per evitare una prescrizione apparsa inevitabile quando, lo scorso marzo, il processo era saltato per difetto di notifica ai due assistenti Baglioni e Griselli. Peccato perché sarebbe stato un bel titolo: i guardalinee mandano il processo in fuorigioco.

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CALCIOPOLI

Oggi l’appello

per Giraudo&c.

di EDMONDO PINNA (CorSport 12-10-2012)

ROMA - Comincia oggi presso la Corte d’Appello di Napoli il processo di secondo grado del “rito abbreviato” di Calciopoli. Il 14 gennaio del 2009, il giudice per le udienze preliminari Eduardo De Gregorio condannò Antonio Giraudo, l’ex amministratore delegato della Juventus, per la partecipazione all’associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva, a tre anni (l’accusa ne aveva chiesti cinque). De Gregorio condannò pure l’ex arbitro Tiziano Pieri a due anni e quattro mesi, Tullio Lanese, l’ex presidente dell’Associazione Italiana Arbitri, e all’ex arbitro Dondarini a due anni. Tutti assolti, invece, gli altri sette imputati, ovvero gli arbitri Gianluca Rocchi, Domenico Messina, Marco Gabriele e Stefano Cassarà e i guardalinee Baglioni, Griselli e Foschetti.

TRE UDIENZE - Il processo d’appello, rinviato dal marzo scorso, comincerà dunque oggi e si dovrebbe articolare in tre udienze. Le altre due sono già state programmate il 19 e il 26 ottobre, quando i giudici si dovrebbero riunire in camera di consiglio. Il presidente è il dottor Maurizio Stanziola, Consigliere della quarta sezione penale della Corte d’Appello di Napoli. La relatrice, Rosa Mulé, è stata assegnata a questo procedimento solo due settimane fa. Un processo serrato, anche per evitare la prescrizione. A marzo, quando per un difetto di notifica degli atti ai due ex assistenti, Baglioni e Griselli, il processo saltò, sembrava che quella fosse la fine.

NUOVA LUCE - Sono passati oltre tre anni da quel 14 gennaio, nel frattempo è arrivato anche il giudizio di primo grado del rito ordinario su Calciopoli, quello che ha condannato Moggi a 5 anni e 4 mesi. L’accusa (Beatrice e Narducci) al giudice De Gregorio aveva chiesto, per associazione a delinquere e frode sportiva, cinque anni per Giraudo, tre anni e sei mesi per Pieri, tre per Baglioni, due anni per Lanese, Cassarà, Gabriele. Per gli imputati di sola frode sportiva, le richieste erano: 2 anni per Dondarini, un anno e 4 mesi per Rocchi e Messina, un anno per Foschetti e Griselli.

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GaSport 12-10-2012

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La barba al palo di ITALO CUCCI (Avvenire 12-10-2012)

Inquisito? Niente azzurro

Il calcio dia l’esempio

Mi ha colpito quel che ha detto l’altro giorno l’interista Ranocchia dopo aver saputo del suo coinvolgimento nelle indagini sul Calcioscommesse: «Questa storia è stata ritirata fuori al momento giusto, proprio ora che sto giocando bene e sono tornato in Nazionale...».

Somigliano molto, queste parole, alle sortite di quei politici che vedono apparire sulla scena pubblica, ormai quotidianamente, gli scheletri che avevano negli armadi e credevano di avere sepolto per sempre. Quasi nessuno si scusa, e non si protesta innocenza: no, si lamentano agguati. Appena detto, tolgo subito Ranocchia da questo giro, ma anche da lui arrivano proteste e non una circostanziata autodifesa che lo sottragga non solo dall’indagine in corso ma dagli automatici sospetti. A questo punto, onde evitare che la Nazionale diventi una sorta di muro della vergogna perchè arruola inquisiti e presunti appartenenti a quello scellerato comparto di atleti sleali e corrotti, sarebbe bene che la Federcalcio prendesse nota di tutte le persone che sono entrate nell’orbita dell’autorità giudiziaria e chiedesse a Prandelli di sospenderne le convocazioni. Il rientro di Criscito dopo la sua dolorosa esclusione dagli Europei non può essere accompagnata solo da buone parole consolatorie ­come la nuova chiamata - che non lo risarciranno mai del danno ricevuto in un momento che fece chiaramente parlare di ingiustizia. È andata benissimo con Bonucci, e andrà benissimo anche a Ranocchia - gliel’auguro - ma perchè si deve parlar tanto di scandali intorno a una Nazionale che per volere di Prandelli ha iniziato un particolare percorso etico? Tutti a casa non vuol dire un giudizio preventivo, un festival della demagogia, ma proprio alla luce di quel che ha appena detto il capo della Polizia Manganelli, un atteggiamento realistico, e purtroppo anche l’attento ascolto di mille voci ormai liberamente circolanti, dovrebbero indurre alla massima prudenza. Il premier Monti disse a suo tempo - scandalizzando il mondo del calcio - che si dovevano fermare i giochi. Tutti. Un’indicazione paradossale: ma senza arrivare all’Apocalisse sarà comunque giusto prepararsi a un pur modesto terremoto. Ormai a nessuno sfugge la triste realtà: il calcio s’è compromesso col malaffare. Le scommesse ormai riguardano tanti addetti ai lavori e necessiterebbe non uno stillicidio quotidiano ma un coraggioso “altolà”. Nel frattempo, forse nel rispetto di quella campagna etica iniziata da Prandelli, non ci si dovrebbe trastullare con le millantate e veniali malefatte di Cassano e Balotelli, i Reprobi Continui, che avranno esibito pecche caratteriali e comportamenti da Bad Boys ma non risultano appartenenti - neppure per malanimose spifferate - al mondo del Calcioscommesse.

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Se la Juventus (Cushman)

cerca lo stadio alla Roma

di FEDERICO DE ROSA (CorSera 12-10-2012)

La short list è ultimata. L’As Roma è pronta per decidere dove costruire il nuovo stadio. Sul tavolo di James Pallotta ci sarebbero quattro alternative. Sono quelle selezionate dall’advisor, americano, scelto dai nuovi proprietari, americani, del club capitolino. I quali chissà se sanno che la Cushman & Wakefield a cui hanno chiesto di selezionare le aree per costruire il nuovo stadio, di americano ha il nome e qualche azionista, ma la proprietà è tutta italiana. Ed è anche — ironia della sorte — la stessa della Juventus: la Exor degli Agnelli, a cui fa capo il 70% della società di advisory immobiliare. La Juve è anche l’unico team di Serie A che è riuscito finora a costruire un suo stadio. La Roma potrebbe essere la seconda. I terreni individuati sarebbero tre: l’ippodromo di Tor di Valle, di proprietà della famiglia Parnasi, l’area della Bufalotta di Claudio Toti e un’area industriale dismessa dall’Eni a Testaccio, quartiere che negli anni 30 ospitava il vecchio stadio della Roma.

Il gruppo petrolifero ha fatto tuttavia sapere che non ci sono trattative in corso per la cessione del terreno. Il che non esclude la possibilità che gli emissari di Pallotta si facciano comunque avanti con Paolo Scaroni. La decisione su dove realizzare la nuova arena giallorossa non è stata infatti ancora presa. Anche se si vocifera che a Parnasi non dispiacerebbe vederla nascere sui suoi terreni. «È una procedura complessa — si è limitato a dire il costruttore romano —. Aspettiamo».

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NUOVI PALAZZINARI

Mattone Football Club

Grattacieli, la sede della Provincia, lo stadio della Roma. Brilla la stella Parnasi. Grazie a due banche amiche. E non solo

LA RIVALITÀ CON CALTAGIRONE PER IL NUOVO STADIO. E LA CENA IN ONORE DI JAMES PALLOTTA, IL PATRON AMERICANO DELLA SQUADRA GIALLOROSSA

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 18 ottobre 2012)

Luca Parnasi ha 35 anni. L'età ideale per essere il profeta dell'illusionismo palazzinaro datato secolo XXI. Costruisce, inaugura, progetta per milioni di metri cubi. In realtà, è una proiezione della banca edificatrice. Per l'esattezza, di due banche. La Bnl francesizzata, fino a un certo punto, in Bnp Paribas e l'ex Banca di Roma che, prima di milanesizzarsi fino a un certo punto in Unicredit, ha accompagnato la carriera del capostipite Sandro Parnasi (non Alessandro, proprio Sandro), 82 anni. Il rampollo ha preso le redini del gruppo Parsitalia in un momento di massima esposizione mediatica. Il nuovo stadio dell'As Roma e la nuova sede della Provincia di Roma sono l'esame di laurea per il giovane imprenditore, così credente e praticante del culto romanista da convocare gli ex campioni giallorossi Odoacre Chierico e Giuseppe "er Principe" Giannini per trionfare nei tornei amatoriali.

Ma per vincere il campionato dei palazzinari, che non è sport per signorine, ci vuole altro. Intanto, le buone relazioni con il generone romano, ospitato in blocco venerdì 5 ottobre dall'avvocato di Unicredit e vicepresidente romanista Roberto Cappelli nella sua dimora in via dei Monti Parioli. Alla cena in onore di Jim Pallotta, il paisà di Boston alla guida della Roma, Parnasi ovviamente c'era accompagnato dalla moglie, l'attrice tedesco-napoletana Christiane Filangieri sposata nel settembre 2010. L'imprenditore ha trascorso parte della serata in colloquio cordiale con il sindaco Gianni Alemanno. Senza trascurare gli altri invitati, fra i quali spiccava la crème degli avvocati della capitale: Francesco Carbonetti, Attilio Zimatore, Mario Tonucci, Francesco Gianni.

Per il settore finanza, erano presenti Paolo Fiorentino (Unicredit), Piergiorgio Peluso (Unicredit, Fondiaria-Sai e oggi Telecom), il presidente di Bnl Luigi Abete con il fratello Giancarlo, numero uno della Federcalcio. Fra gli ultras di Calabria Giallorossa, immancabili Pippo Marra (Adn Kronos) e Antonio Catricalà (governo Monti). Presente anche Claudio Toti, costruttore della Lamaro e proprietario con il fratello Piergiorgio di una delle tre aree in lista per lo stadio della Roma (Bufalotta).

Ma i Toti non sono i veri rivali di Parnasi. Otto anni fa, Lamaro e Parsitalia acquistarono assieme la Tenuta Leprignana dall'allora proprietario della Roma Franco Sensi, già avviato verso la rovina. Sempre insieme, Parnasi e Toti hanno costruito Porta di Roma, uno dei maggiori centri commerciali a nord della città.

Con buona pace dei Toti, Parnasi è il favorito con l'area di Tor di Valle. Lo vuole Unicredit. Lo schema, tutto sommato, è semplice. Tor di Valle non è di Parnasi ma di Gaetano Papalia. Il re degli ippodromi (Tor di Valle, appunto, Le Cascine a Firenze e Agnano a Napoli), figlio dell'ex proprietario del Plaza in via del Corso, è stato il candidato perdente a sindaco di Rieti per il centrosinistra nel 2007. Papalia è indebitato, impiombato da una cartella Equitalia da 17 milioni di euro e in crisi di liquidità, tanto che fatica a pagare gli stipendi ai lavoratori di Agnano. La famiglia Papalia è esposta con Unicredit e Bnl, le stesse che finanziano Parsitalia e che attraverso le loro fiduciarie Cordusio e Servizio Italia sono intestatarie al 100 per cento del gruppo Parnasi. Con la moral suasion dei creditori, lo scorso aprile Papalia ha firmato un accordo con cui cede a Parsitalia l'uso dell'area di Tor di Valle, che sia per costruire il nuovo stadio al posto dell'ippodromo o per farci edilizia commerciale-residenziale se il Comune concederà la variazione d'uso.

Unicredit è anche azionista della Roma e preme sui soci americani per favorire Parnasi. Ma Pallotta non ha alcuna intenzione di correre al bancomat. Sebbene abbia dichiarato che punta al 2016 per il nuovo stadio, fonti accreditate dell'As Roma parlano di 2017-2018 al più presto.

Nel frattempo, Parnasi deve muovere la classifica. Come sponde politiche, è ben coperto sulle ali. Con il centrosinistra romano i rapporti sono buoni. Al contempo, ha puntato su Fare Futuro di Gianfranco Fini, che ha finanziato. E da qualche giorno ha ingaggiato un lobbista di vaglia, Riccardo Pugnalin, che lavora con Sky Italia e si è formato con Marcello Dell'Utri.

Gli affari in ballo sono tanti. Parnasi ha 814 villette in vendita a Montalto di Castro. Altre ne ha costruite a Fregene abbattendo la villa di Federico Fellini. Si è buttato nelle energie alternative con altri due nomi illustri dell'impresa capitolina come Alfio Marchini e la famiglia Jacorossi. Annuncia investimenti da 5 miliardi di euro nei prossimi cinque anni. Ma il mercato è quello che è e Parsitalia deve lottare partita per partita.

La holding dei Parnasi ha un debito netto superiore a 400 milioni a fronte di 150 milioni di ricavi. La torre Eurosky, colosso alto 120 metri costruito nella zona del Torrino a sud della capitale, è ancora per metà deserta. Il nuovo progetto catanese di San Berillo, in partenza dopo anni di rinvii, è molto ambizioso e molto dispendioso (oltre 200 milioni). E le banche, di questi tempi, ci vanno coi piedi di piombo.

Come nella Prima Repubblica, quando papà Sandro Parnasi vendeva l'invendibile agli enti pubblici, il sostegno al gruppo arriverà dalla Provincia di Roma che si è impegnata ad acquistare entro fine anno la torre costruita da Parsitalia a poca distanza dal grattacielo Eurosky. Il prezzo per i 67 mila metri quadrati di uffici è fissato in 263 milioni. Significa 4 mila euro al metro quadro, non pochissimo per un acquisto in blocco, sulla carta e in una zona periferica.

La Provincia, che sarà assorbita nell'area metropolitana di Roma alla fine del 2013, ha approvato l'acquisto per unificare le dodici sedi sparse dell'ente. Avrebbe potuto prendere un'area del Comune a Pietralata, risparmiando 100 milioni. Ma il problema risparmio, paradossalmente, è secondario. La Provincia non ha 263 milioni e neppure 160. Né può chiederli. Allora ha stabilito di pagare il nuovo immobile con il ricavato dalla cessione di vecchi immobili. Come? Conferendoli a un fondo imobiliare. Il fondo sarà gestito da una sgr scelta tra due offerte presentate pochi giorni fa. Una sgr fa capo alla Banca Popolare di Bari. L'altra ai soliti noti di Bnp Paribas Real estate e Unicredit.

In sintesi, da Papalia al palazzo della Provincia, dall'ippodromo alla lupa romanista, le stesse banche dettano lo spartito. Gli imprenditori ballano.

Non proprio tutti, s'intende. Come in tutte le vicende romane, c'è un convitato di pietra. Alla cena dell'avvocato Cappelli non c'era Francesco Gaetano Caltagirone. L'ex scalatore di Bnl e attuale azionista di Unicredit è sospettato di essere l'animatore poco occulto della campagna sul grattacielo della Provincia lanciata dal "Messaggero", dal "Mattino" e dal free-press "Leggo" (tutti di Caltagirone editore). Vecchie ruggini con Sandro Parnasi, dicono gli orfani della vedova Angiolillo, compianta maestra di cerimonie nel suo salotto romano frequentato fino alla fine anche da Parnasi junior.

Tra palazzinari, chi è senza peccato scagli la prima cazzuola. Ma la torre Europarco, sotto il piano finanziario, non si regge in piedi. L'incasso di 220 milioni con cui Zingaretti conta di pagare, in parte, la torre di Parnasi è legato alla vendita di immobili di indubbio pregio e appetibilità incerta come la sede dei carabinieri in piazza San Lorenzo in Lucina. La vicenda ha anche una tinta politica. L'operazione risale al 2005 quando il presidente della Provincia era Enrico Gasbarra, un possibile candidato per il Campidoglio, e sarà portata a termine da Zingaretti, in corsa per la Regione Lazio. Attaccando la torre, Caltagirone attacca entrambi. E, di conserva, anche Luca Parnasi che finora non ha replicato per timore di aizzare un avversario potente. Nel caso del giovane Luca, però, le vecchie ruggini non c'entrano. Tra le finaliste per il nuovo stadio della Roma c'è anche l'area di Tor Vergata, che è nella disponibilità dello stesso Caltagirone. Vallo a spiegare a Jim Pallotta da Boston. Nella cena a casa Cappelli non ci hanno nemmeno provato.

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Il ciclone

Scommesse, s'indaga a tutto campo

Palazzi a Cremona per Mauri

Il pm Di Martino punta su Siena

I soldi in Svizzera Il giocatore laziale la prossima settimana in Svizzera per chiarire l’origine dei soldi

Giorni decisivi a Bari Un nuovo giocatore sta collaborando, ma sono emerse contraddizioni

di ANDREA ARZILLI & ARIANNA RAVELLI (CorSera 12-10-2012)

Il procuratore federale Stefano Palazzi andrà nei prossimi giorni a Cremona per parlare con il pm Roberto di Martino che indaga sulle scommesse. E il motivo del viaggio è Stefano Mauri, il giocatore della Lazio sul quale è in corso anche un'indagine della magistratura elvetica che ipotizza il reato di riciclaggio. La Procura di Cremona sta collaborando con le autorità svizzere per venire a capo del conto corrente intestato ai genitori del giocatore: ci sono finiti proventi di scommesse o si tratta di soldi con altre origini, magari in nero?

Anche Palazzi — che attende di deferire Mauri per le combine di Lazio-Genoa 4-2 e Lecce-Lazio 2-4 — vorrebbe capirlo. Il calciatore laziale sarebbe contento di affrontare il procedimento sportivo senza questa nuova tegola e magari con in tasca un pronunciamento della Cassazione che certifichi che il suo arresto in estate è stato illegittimo. Per chiarire almeno i fondi la prossima settimana, approfittando anche della pausa del campionato, dovrebbe andare a Berna a rispondere alle domande dei magistrati. Palazzi vorrebbe deferirlo solo dopo aver chiaro il quadro generale. Anche per questo i prossimi deferimenti saranno quelli che riguarderanno il filone di Napoli, con le ammissioni del terzo portiere Gianello.

Chiaro che Cremona non sarà l'unica tappa del procuratore federale: continuano i contatti anche con i pm di Bari per il nuovo filone che ha investito la squadra pugliese nelle stagioni 2007-2008 e 2008-2009. E che — solo quando le indagini saranno concluse, visto che i rapporti con la Procura di Bari non sono così agili come con quella di Cremona — rischierà di travolgere di nuovo il calcio italiano, con una nuova ventata di deferimenti per illeciti e omesse denunce. Questi sono giorni decisivi: continuano i controlli bancari e sui tabulati telefonici; dalle verifiche incrociate sarebbero emerse diverse contraddizioni. È indagata più o meno tutta la rosa dell'epoca (non l'allenatore Antonio Conte) più un dirigente della Salernitana e un carabiniere. Al di là delle tre partite che gli investigatori sono sicuri essere state taroccate (quelle contro il Treviso l'11 maggio 2008, il Piacenza il 9 maggio 2009 e la Salernitana il 23 maggio), si vuole capire l'entità del fenomeno prima di accertare le responsabilità singole. Ma il muro d'omertà sembra rotto: un nuovo giocatore ha deciso di collaborare. Palazzi è ovviamente spettatore molto interessato: oltre alle combine, vuole capire se i giocatori hanno scommesso su gare extra Bari.

Ma se Bari si muove, Cremona non sta ferma. Le attenzioni del pm Di Martino tornano a occuparsi del Siena. Non c'è ancora un calendario di audizioni, ma gli investigatori vogliono innanzitutto risentire chi, davanti alla Procura federale, ha confermato le dichiarazioni di Filippo Carobbio, il pentito che è uscito un po' «ammaccato» dai diversi gradi del giudizio sportivo, visto che per esempio non è stato creduto quando ha parlato della famosa riunione tecnica tenuta da Conte. Lo scopo di Di Martino sarà di irrobustire la sua credibilità con vecchie e nuove conferme: è molto probabile che saranno chiamati anche altri giocatori che sinora non sono stati ascoltati da Palazzi.

Quasi sicuramente sarà chiamato di nuovo Cristian Stellini, e con ogni probabilità anche Salvatore Mastronunzio, il giocatore che tanto peso ha avuto nel processo ad Antonio Conte; poi il proprietario di un'agenzia di scommesse, Massimo Erodiani, fino ad arrivare, se sarà il caso, al presidente Massimo Mezzaroma, che più volte si è detto disponibile a farsi ascoltare.

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Calcioscommesse Nei prossimi giorni sfileranno

in Procura altri testimoni delle tre partite sospette

Combine

atto II

Bari di nuovo nella bufera, in tanti sapevano

I magistrati vogliono sentire gli ex dirigenti

L'ex direttore I pm stanno valutando la possibilità di ascoltare l’ex ds Perinetti

di DAVIDE LATTANZI (Corriere del Mezzogiorno - Bari 12-10-2012)

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BARI — La Procura di Bari è agli ultimi atti sul secondo filone d'inchiesta sul calcio scommesse. Gli inquirenti sono ormai convinti delle ricostruzioni sulle manomissioni delle partite Bari-Treviso 0-1 del campionato 2007-08 e Salernitana-Bari 3-2 della stagione 2008-09. Dopo aver convocato tra luglio e agosto scorsi l'intera rosa biancorossa dei due tornei sotto osservazione, tuttavia, nei prossimi giorni altri soggetti potrebbero essere chiamati a deporre in qualità di persone informate sui fatti. In particolare, si sta valutando l'opportunità di ascoltare tutti i componenti di staff tecnico o dirigenziale che vivevano a stretto contatto con la squadra. Escluso a priori, quindi, che siano chiamati in Procura rappresentanti della proprietà.

Probabile, invece, che ci rivolga a gente potenzialmente in grado di avere sentore di combine effettuate a larghissimo raggio (ovvero con il consenso del 90% dei giocatori) e che, dunque, possa arricchire il quadro di nuovi particolari. Pertanto, si sta pensando di sentire come persone informate dei fatti l'ex direttore sportivo Giorgio Perinetti, il team manager di quelle due annate, Luciano Tarantino, il segretario generale Piero Doronzo. Insomma, l'inchiesta non è conclusa e, dopo aver ottenuto mezze ammissioni su Bari-Treviso e Salernitana-Bari, adesso gli investigatori si concentreranno su un altro match, Piacenza-Bari del 2009, ultima partita del campionato di serie B che sancì la promozione dei pugliesi in A. I baresi, all'epoca guidati da Antonio Conte, già ascoltato come persona informata dei fatti, non avevano più nulla da chiedere alla loro stagione e la sfida finì con un 2 a 2 ritenuto sospetto.

Per i pm Ciro Angelillis e Giuseppe Dentamaro queste tre partite furono truccate, in particolare Treviso e la squadra campana avrebbero «comprato» i tre punti pagando lautamente alcuni calciatori del Bari, si parla di circa 160mila euro. In entrambe le occasioni lo spogliatoio pugliese si spaccò: da un lato gli stranieri e altri calciatori (vedi Gazzi, Ranocchia e Gillet) che rifiutarono la proposta, dall'altra chi i soldi li prese. Tutti però sapevano della combine, staff tecnico escluso, almeno per ora questo dicono le indagini. A rivelare le presunte combine agli inquirenti sono stati gli ex Andrea Masiello (foto) e Vittorio Micolucci. «In riferimento alle partite del Bari - scrive Micolucci in una memoria consegnata qualche settimana fa al procuratore federale, Stefano Palazzi - le posso dire che l'anno prima della promozione in serie A il Bari regalò la partita al Treviso. Le voci dicono che presero dei soldi».

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Scommesse, Mauri in Svizzera

Il giocatore atteso a Berna dal pm Catenazzi. E Palazzi andrà a Cremona

In attesa di ricevere gli atti da Bari per le gare dei biancorossi il Procuratore federale

vedrà il pm Di Martino per capire cosa c’è sul giocatore biancoceleste

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 12-10-2012)

MILANO - Stefano Palazzi è pronto a mettersi nuovamente in moto. In attesa di recarsi a Bari per ottenere le carte relative alle ultime due gare della formazione biancorosse finite nel mirino, Bari-Treviso 0-1 del 2007-08 e Salernitana-Bari 3-2 del 2008-09 (un nuovo calciatore pentito potrebbe aggiungere ulteriori particolari a breve e magari parlare pure di Piacenza-Bari 2-2 del 2008-09), il capo della Procura federale ha fissato un appuntamento a Cremona con il pm Di Martino. A interessarlo c’è soprattutto la rogatoria svizzera sul conto intestato ai genitori di Mauri, il capitano della Lazio che è finito nelle carte del calcioscommesse la scorsa primavera quando è stato arrestato proprio dalla Procura di Cremona. Lo scambio di documenti tra il Palazzo di Giustizia della città sul Po e Berna sarà intenso nei prossimi giorni anche perché il centrocampista biancoceleste non è ancora stato ascoltato in Svizzera (tutto lascia pensare che, sfruttando la pausa del campionato, prenderà un aereo la prossima settimana e che andrà a Berna in gran segreto), dopo che il 21 settembre scorso era stato trattenuto a Londra da una seduta fisioterapica e non era stato interrogato dal pm elvetico Elena Catenazzi. Perché la Procura Federale è interessata? Perché Mauri è sotto la lente d’ingrandimento (ma ancora non è stato deferito) per due partite combinate (Lazio-Genoa 4-2 e Lecce-Lazio 2-4) nelle quali, secondo l’accusa, avrebbe recitato un ruolo. Ecco perché, come l’autorità svizzera e la Procura di Cremona, anche Palazzi vuole capire se i fondi su quel conto corrente sono di provenienza illecita.

TORNA IL SIENA - In attesa di nuovi sviluppi nell’inchiesta pugliese (ieri il procuratore di Bari, Antonio Laudati, che conduce l’inchiesta sul calcioscommesse, è stato interrogato dalla Procura di Lecce; è indagato per abuso d'ufficio e favoreggiamento personale perché avrebbe aiutato Tarantini e Berlusconi a eludere le indagini sulle escort), nelle prossime settimane a Cremona riprenderanno gli interrogatori. L’obiettivo del pm Di Martino è quello di verificare le dichiarazioni di Filippo Carobbio, la cui credibilità è stata in parte intaccata da un paio di contraddizioni negli interrogatori della Giustizia Sportiva. La giustizia ordinaria sul racconto del centrocampista non ha dubbi e non a caso andrà alla ricerca di conferme, convocando alcuni tesserati, soprattutto ex del Siena. Può darsi che Stellini sia uno di questi, ma può darsi che anche altri che non sono stati ancora ascoltati dagli uomini di Palazzi possano doversi recare a Cremona. E non viene escluso neppure che il nuovo elenco che Di Martino stilerà compatibilmente con gli altri procedimenti di cui si sta occupando, comprenda dei dirigenti o dei non tesserati (Erodiani per esempio nel suo interrogatorio in Figc aveva parlato di alcune partite della Lazio). A Cremona, infine, magari già prima di Natale inizieranno i patteggiamenti di alcune posizioni: le richieste di diversi avvocati sono già arrivate e saranno valutate.

NASSI - A Mediaset il calciatore dell’Alessandria squalificato per tre anni e in attesa del verdetto del Tnas ha parlato del suo dramma: «Da quando è scoppiata questa vicenda - ha affermato - non dormo più. Sono stato colpito da un’accusa incredibile. Non ho mai partecipato a nessun incontro notturno per pilotare una partita e anche alcuni miei compagni che affermano di essere stati presenti, mi scagionano. Sono una persona onesta che non ha mai giocato neppure una “bolletta”. Ora sono squalificato tre anni e senza lavoro. Spero sia fatta giustizia» .

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L'inchiesta

Presunta combine con la Sampdoria:

i deferimenti dopo il big match

di DARIO SARNATARO (IL MATTINO 12-10-2012)

Si avvicina il momento dei deferimenti sul filone napoletano del calcioscommesse. Da mesi gli atti della Procura di Napoli sono a disposizione del procuratore federale Stefano Palazzi, che ha già interrogato l’ex portiere del Napoli, Matteo Gianello, i due difensori azzurri Paolo Cannavaro e Gianluca Grava e il tecnico Walter Mazzarri. L’indagine federale parte della rivelazione fatta da Gianello ai pm napoletani sulla proposta fatta a Grava e Cannavaro di combinare l’ultima gara del campionato 2009-2010, giocata dagli azzurri in casa della Sampdoria il 18 maggio. Gianello ha dichiarato di aver ricevuto uno sdegnato rifiuto dagli ex compagni, mentre i due giocatori hanno dichiarato che il portiere non fece questa proposta. Grava e Cannavaro rischiano il deferimento per omessa denuncia, Gianello quello per tentato illecito sportivo e il Napoli per responsabilità oggettiva. Il legale del Napoli, Mattia Grassani, è fiducioso sull’esito dell’eventuale processo.

Ieri è stata un’altra giornata di audizioni negli uffici della Procura federale. Sotto la lente degli investigatori c'è stata la partita Spezia-Legnano, finale di ritorno del playoff del campionato di Seconda divisione di Lega Pro 2009-2010 che si concluse con la promozione del club ligure in Prima divisione. In giornata, il pool del procuratore Palazzi, recentemente riconfermato dalla Figc, hanno ascoltato l'allora medico sociale del Legnano, Luigi Valcarenghi, l'ex calciatore della società lombarda, Alessandro Pontarollo, e l'ex direttore generale dello Spezia, Aldo Jacopetti. La Procura ha iniziato ad indagare sul match dopo la denuncia dell'ex dirigente del Legnano, Pino Padula, ascoltato da Palazzi lo scorso aprile. Padula raccontò di un tentativo di corruzione dei giocatori del Legnano da parte di un rappresentante dello Spezia. Un tentativo fallito che portò, secondo Padula, il presunto corruttore a rivolgersi all'arbitro di quella partita, Roberto Bagalini, convocato negli uffici federali per oggi (ma potrebbe non presentarsi visto che si è dimesso) assieme ad Eugenio Olli, ds del Feralpi Salò che in quell'anno perse la semifinale con il Legnano.

Con l'interrogatorio di Bagalini e Olli, la Procura chiuderà così l'indagine relativa alla partita di Lega Pro, nata dal filone d'inchiesta di Cremona. Anche in questo caso i deferimenti sono attesi negli ultimi dieci giorni di ottobre.

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il Fatto Quotidiano 12-10-2012

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Capitali russi in arrivo

Oleg Deripaska sarebbe pronto a rilevare il 30% delle quote rossonere

di PIETRO GUADAGNO (CorSport 12-10-2012)

MILANO - Inizio 2013. E' questo l'orizzonte temporale che dovrebbe portare all'ingresso di capitali stranieri nel Milan. A progettarlo è lo stesso Silvio Berlusconi, che, dopo aver avvicinato il pareggio di bilancio grazie alle cessioni di Ibrahimovic e Thiago Silva, adesso vorrebbe rilanciare il club per riportarlo sui livelli del passato più o meno recente. Il problema è che per farlo non può più ricorrere a risorse interne, ma deve per forza guardare all'esterno. «Investitori stranieri? Le porte sono aperte», aveva ammesso il patron rossonero la scorsa estate. E il risultato è che nell'ultimo periodo diversi canali si sono aperti e i contatti si sono moltiplicati. Uno dei fronti è quello arabo - con il coinvolgimento di Hamad bin Khalifa Al Thani, l'emiro del Qatar già proprietario del Paris Saint Germain -, ma la più stretta attualità sembra coinvolgere quello russo. Lo scorso week-end, infatti, il Cavaliere è volato a Mosca per celebrare il compleanno del suo amico Putin. Qualcuno si è stupito della scelta di mancare proprio nel derby, ma il viaggio si sarebbe rivelato molto utile, visto che Berlusconi avrebbe avuto l'opportunità di incontrare Oleg Deripaska, amico del presidente russo, tra gli uomini più ricchi del mondo e del quale si riferisce a parte.

SMENTITA DOVUTA - Ebbene, sembra che l'incrocio abbia già portato a sviluppi importanti. Deripaska avrebbe manifestato il suo interesse ad entrare nell'azionariato rossonero e con il Cavaliere avrebbe già cominciato a parlare di numeri e cifre. Sul tavolo ci sarebbero il 30% delle quote e addirittura 500 milioni di euro. Per il momento però si tratta soltanto di voci e indiscrezioni, sui cui non esistono conferme. Anzi, sono le smentite a fioccare, come quelle di Galliani a Sky: «Cessione di quote? Non c'è nulla di vero». Ma sono reazioni del tutto logiche, anche perché qualsiasi minima ammissione rischierebbe di avere ripercussioni a livello più alto del Milan, nel senso che finirebbe per essere influenzata anche la Fininvest, ovvero la holding di cui il club rossonero fa parte e che è quotata in Borsa.

PROGETTI DI RILANCIO - Deripaska o non Deripaska, nel giro di qualche mese il club rossonero potrebbe avere una nuova struttura societaria. Il nuovo investitore, infatti, garantirà nuovi capitali, ma dovrà comunque ottenere qualcosa in cambio qualcosa oltre alle azioni. Nel senso che non potrà versare soltanto denaro, senza poi avere influenza nelle decisioni. E allora non è da escludere l'eventualità di creare un business parallelo, in linea con ciò che ha fatto l'Inter con gli investitori cinesi con cui costruirà il nuovo stadio. Ad ogni modo, come premesso, nei piani di Berlusconi, la cessione di una fetta delle quote azionarie gli permetterà di costruire una squadra competitiva non solo in Italia ma anche in Europa. E con un progetto del genere convincere Guardiola sarebbe meno complicato.

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Amico di Putin

“re” dell’alluminio

è tra gli uomini più ricchi del mondo

di PIETRO GUADAGNO (CorSport 12-10-2012)

MILANO - Oleg Deripaska, 45 anni da compiere il prossimo 2 gennaio, è l'amministratore delegato della Basic Element, una società che opera in 5 settori differenti, energie, manifattura, servizi finanziari, edilizia ed aviazione, e soprattutto membro del CdA, oltre che ad, della United Company Rusal, che è la più grande compagnia al mondo produttrice di alluminio. Deripaska è regolarmente indicato nel gruppo dei più influenti oligarchi russi, il suo nome compare nell'elenco degli uomini più ricchi del mondo, pubblicato da Forbes che gli assegna un patrimonio di 16,8 miliardi di euro. La sua residenza principale è a Mosca, ma possiede pure una prestigiosa abitazione a Londra. Ha 2 figlie ed è sposato con Polina Yumasheva, figlia di Valentin Yumashev, giornalista e, ai tempi, braccio destro dell'ex-presidente della Russia Boris Yeltsin.

AMICIZIE E ALLEANZE - Proprio le numerose conoscenze all'interno del Cremlino sono indicate come ragioni per la scalata al successo di Deripaska. Il suo settore è sempre stato quello dell'alluminio e all'inizio degli anni 2000 è pure entrato in affari con Roman Abramovich. Insieme fondarono la Rusal, acquisendo i pacchetti di maggioranza di tutti i maggiori produttori di alluminio in Russia. Nel 2004, il patron del Chelsea decise di interrompere l'alleanza, cedendo il suo 50% della Rusal, che ora è tutta nelle mani di Deripaska. Che, sempre a proposito di amicizie, può vantare quella più influente in Vladimir Putin, attuale presidente della Federazione Russa.

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B. ha deciso, il Milan

va all’amico di Putin

AL MAGNATE UCRAINO OLEG DERIPASKA LA MAGGIORANZA DELLE AZIONI.

UNICO OSTACOLO LA FIGLIA BARBARA: “PAPÀ NON FARLO”

LA TRATTATIVA L’offerta parla dell’acquisto del 30% del pacchetto per

una cifra intorno ai 500 milioni, con diritto di prelazione per un altro 21%

di SARA NICOLI (il Fatto Quotidiano 12-10-2012)

L’incontro potrebbe già essere mercoledì prossimo. Il luogo, la sede del Milan a via Turati aMilano. Da un lato Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, dall’altro probabilmente un uomo di fiducia della Russiski Alumini, una delle principali industrie di alluminio di tutta l’Asia. Stavolta, insomma, pare fatta. Il Cavaliere avrebbe finalmente trovato l’acquirente giusto per il suo Milan, ossia il magnate russo proprietario di miniere a sud degli Urali che controlla la squadra dell’Amkar Perm: Oleg Deripaska, il cui patrimonio viene calcolato dalla rivista Forbes in 16,8 miliardi di euro. È il nono uomo piu ricco del mondo. La prima stretta di mano sarebbe avvenuta poco più di una decina di giorni fa quando Berlusconi è volato a Mosca per il compleanno dell’amico Putin che gli aveva già preparato una serie di incontri proprio per vendere parte dell’impero e recuperare un po’ di denaro, perso tra crisi e causa Mondadori. Il primo acquirente presentato da Putin è stato un imprenditore ucraino che, tuttavia, non corrispondeva al livello di liquidità richiesto per “l’investimento”. Poi è arrivato il turno di Deripaska, che è grande amico dello “zar” Vladimir e che nel mondo del calcio, a parte la squadra che milita nella prima divisione, ha avuto anche a che fare con Roman Abramovic, col quale nel 2000 creò pure una holding.

È STATO subito feeling. Un feeling economicamente molto rilevante. L’offerta parla dell’acquisto di una prima quota di azioni (il 30%) per una cifra stimata intorno ai 500 milioni, ma con diritto di prelazione, dal momento della stesura del contratto ad un anno, di un altro 21%. In pratica, nel giro di un solo campionato, il Creso russo potrebbe entrare in possesso della maggioranza della società. Sulla decisione del Cavaliere di alienare la squadra pesano senz’altro le note questioni economiche, anche se non manca l’amarezza per la stagione rossonera, fin qui abbastanza deludente. Solo che a rendere ancora più difficile questo momento, ci ha pensato la figlia di Berlusconi, la pasionaria Barbara, da poco più di un anno ai vertici della società e molto attiva – almeno secondo le cronache rosa – anche con un calciatore della sua squadra. È entrata nella leggenda, ormai la travolgente storia d’amore con Alexandre Pato, un “gioiello” brasiliano del Milan, che dopo un periodo di burrasca, è sembrata riaccendersi nelle ultime settimane. Ebbene, Barbara non ne vuole sapere di lasciare lo scranno più alto di via Turati. “Voglio costruire il nuovo Milan, me l’hai promesso!” avrebbe gridato al padre in un momento di stizza, appena avuta la notizia della probabile cessione. “Il nostro sogno è quello di poter vedere questa squadra vincere anche tra 25 anni, non possiamo permettere che possa perdere il suo titolo di squadra che ha vinto di più al mondo e dobbiamo puntare sui giovani”. Niente. Nonostante l’amore sconfinato per la figlia, “papi Silvio” ha dovuto tenere il punto, anche se persone a lui vicine sostengono che Barbara “ha preso il carattere di sua madre e non mollerà tanto facilmente”, ma stavolta i bookmakers puntano su una secca vittoria del padrone di casa. Berlusconi stavolta non può dare seguito ai sentimenti anche se assicurano che per lui vendere il Milan è “un dolore profondo”. D’altra parte ha già detto di no troppe volte. Come quando, qualche mese fa, avrebbe lasciato cadere un’offerta simile a quella di Deripaska proposta da Hamad bin Khalifa Al Thani, l’emiro del Qatar proprietario del Paris Saint Germain. Le cessioni estive di Ibrahimovic e Thiago Silva avevano innescato un rapporto privilegiato che, secondo gli osservatori più attenti, avrebbe potuto anche riservare qualche colpo di scena.

PER LA FAMIGLIA reale qatariota, infatti, è un periodo di grandi investimenti in Francia, dagli hotel Lambert a Parigi e il Carlton di Cannes fino alla maison Valentino. E ancora: 17% della Volkswagen, il 20% della Borsa londinese, una quota del la Barclays, l’Hotel Gallia di Milano. Senza dimenticare i Mondiali del 2022, in vista dei quali il potenziamento del fronte calcistico sarebbe stato un volano fantastico, ma Silvio ha preferito evidentemente guardare altrove. Con nuova liquidità in tasca, d’altra parte, Berlusconi potrebbe finalmente assoldare Pep Guardiola come direttore tecnico. Come già detto, l’ex allenatore del Barcellona non vuole esaminare proposte fino a gennaio, ma rimane lui il grande obiettivo del Cavaliere per risollevare le sorti della squadra.

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Milan, si fa avanti il Qatar

Club, stadio e tv

Dagli sceicchi pronti 250 milioni

Possibile una cessione del 30% al fondo della

famiglia Al Thani, la stessa che controlla il Psg

In vista anche una collaborazione tra Mediaset e Al Jazeera sul fronte mediatico

di ALESSANDRA BOCCI & CARLO LAUDISA (GaSport 12-10-2012)

Un piano per tornare al top, in tempi brevi. Un Milan d'Arabia per convogliare capitale fresco nelle casse rossonere e avere un budget di spesa degno di un club che secondo la rivista Forbes vale oltre 764 milioni di euro. Berlusconi valuta la sua creatura un po' di più (circa 800 milioni), ma non intende cederla completamente. Esiste invece un progetto di cessione di una quota di minoranza, intorno al 30 per cento, e i contatti con il Fondo Sovrano del Qatar sono ormai costanti. L'obiettivo è di avere denari freschi per 250 milioni di euro. Ma allo studio ci sono più varianti.

Rilancio All'inizio possono esserci in comune progetti immobiliari. È la formula scelta dall'Inter per far entrare un gruppo cinese in società: il Milan potrebbe fare lo stesso con il fondo arabo e lanciare così anche il progetto stadio nuovo che tanto sta a cuore a Barbara Berlusconi. Stadio nuovo o San Siro rimesso a nuovo. Ma questo sarebbe soltanto l'inizio, perché al gruppo qatariota interessa entrare non soltanto nel calcio italiano (possiede già il Psg), ma anche nel mercato televisivo. Grandi movimenti finanziari si sviluppano intorno al Milan. Il sentiero è tracciato: visti i bilanci della galassia Fininvest, difficilmente il Milan potrà permettersi di tornare alle spese di un tempo, a meno di ricorrere al patrimonio personale dei membri della famiglia Berlusconi. Cercare di coinvolgere investitori stranieri in grandi progetti, mantenendo di fatto il controllo del club, è considerata la scelta migliore. Certo, investire in un settore in perdita come il calcio italiano (peraltro con una quota di minoranza), non è nello stile dei magnati del Qatar. Ma quel che interessa è un'espansione nel settore della comunicazione. Investire nel Milan significa interagire con Mediaset. Non a caso di recente s'è parlato di una collaborazione tra la tv di Cologno Monzese e Al-Jazeera, il colosso televisivo della famiglia Al Thani, autentico ponte mediatico tra il mondo arabo e l'Occidente.

Pazienza Serve discrezione per operazioni tanto delicate. Così si sa e si saprà sempre poco delle trattative in corso, e Galliani ieri si è limitato a una dichiarazione quasi noncurante: «Non c'è niente di vero, ma non si può stare a smentire tutto». Si riferiva all'affare arabo, ma anche alle indiscrezioni su un'offerta arrivata dalla Russia. La trasferta di piacere di Silvio Berlusconi a casa Putin infatti ha riacceso le voci sull'interessamento di Gazprom e altri investitori russi. Però al momento sono arabi i candidati più vicini a un ingresso in società.

Decisioni Il piano arabo potrebbe portare circa 250 milioni nelle casse del Milan, nelle quali lo scorso anno la famiglia Berlusconi ha depositato altri 80 milioni per ripianare i conti. Le cessioni di Thiago Silva e Ibrahimovic hanno fatto il resto, con il conseguente pareggio di bilancio. Ma questa politica non va necessariamente d'accordo con grandi risultati sportivi. Altre volte il Milan ha imboccato e poi abbandonato la via dell'austerity. Nel 2001, quando già i conti delle sue società consigliavano moderazione, arrivò il sussulto di Silvio Berlusconi, che a sorpresa acquistò Rui Costa per 35 milioni di euro, l'affare più costoso della sua storia. E un paio d'anni fa, in momenti di proclamata necessità di risparmio spuntarono dal cilindro Ibra e Robinho. Adesso l'austerità sembra totale, ma Berlusconi non si rassegna a un ruolo di secondo piano nel calcio. L'antidoto è proprio la caccia ai capitali stranieri.

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Alleanze. Contatti per la selezione di partner di minoranza - Le voci sui fondi del Qatar

Milan e Mediaset Premium:

Fininvest in cerca di soci

Al Jazeera è il nome più accreditato per il digitale

di CARLO FESTA (Il Sole 24ORE 13-10-2012)

C'è un possibile asse in via di costituzione tra il Qatar e e la galassia Mediaset-Fininvest. Ma, se così sarà, sembra che il perimetro dell'accordo sarà soltanto ristretto a Mediaset Premium, cioè la pay tv del Biscione per il calcio e l'intrattenimento. Al Jazeera, maggiore emittente televisiva dedicata alle news del Qatar, sembrerebbe intenzionata a stringere sulla trattativa per diventare socio di Mediaset sulla piattaforma. Secondo indiscrezioni, ci sarebbe stato infatti un incontro tra i manager di Mediaset e alcuni rappresentanti del colosso dell'informazione dell'emirato.

I capitali di Al Jazeera

La strategia di Al Jazeera, tv fondata con i capitali dell'emiro Hamad bin Khalifa Al Thani, è stata chiara negli ultimi 15 anni. È partita come tv all news in arabo, poi ha allargato il suo network alle notizie in inglese (per conquistare i mercati asiatici) e ora sta progressivamente allargando la sua influenza all'educazione (con investimenti sulle Università americane) e sullo sport. Per questo motivo Al Jazeera starebbe guardando a 360 gradi il mercato televisivo dei Paesi che guardano sul Mediterraneo: non solo quindi la Francia, dove sono già sbarcati, ma anche Spagna e Italia. L'obiettivo è capire i potenziali competitor (come Sky) e le possibili alleanze. L'interesse è tuttavia limitato allo sport.

L'esperimento pilota è iniziato in Francia, dove Al Jazeera è sbarcata con la proposta sportiva della Uefa Champions League di calcio del quale si è aggiudicata i diritti tv. A dir la verità a realizzare l'operazione a Parigi non è stata Al Jazeera direttamente, ma una società che fa capo a Tamin bin Hamad al-Thani, il 32enne figlio dell'emiro, noto anche per aver rilevato il Paris-Saint-Germain tramite la Qatar Sport Investments.

Proprio l'operazione di acquistio del club calcistico parigino è stata abbastanza controversa e, alla fine, dimostra che gli investitori arabi non sono per niente così poco attenti a dove mettere i loro soldi.

A convincere Tamin bin Hamad al-Thani, inizialmente poco convinto, a investire sul Psg sarebbe infatti stato l'ex primo ministro francese Nicolas Sarkozy, dopo che nel 2010 gli ha dato la Légion d'honneur e, soprattutto, gli ha concesso elevate esenzioni fiscali sugli investimenti immobiliari in Francia.

La minoranza del Milan

Resta da capire se il progetto pilota francese, dove gli investimenti del Qatar sono finiti in campo televisivo e calcistico, possa essere ripetuto anche in Italia sulla galassia della Fininvest. Ma se l'interesse di Al Jazeera per Mediaset Premium sembra concreto, come dimostrato dagli incontri degli ultimi tempi, meno certa risulta, secondo fonti finanziarie, la volontà di investire sul Milan Calcio.

Il Qatar possiede infatti già il Psg ed è difficile che possa di nuovo aprire i propri forzieri, a maggior ragione per una minoranza di una squadra che Silvio Berlusconi valuta la cifra record di 800 milioni di euro.

L'impressione è che l'identikit del potenziale compratore del Milan, più che un fondo sovrano istituzionale, potrebbe meglio adattarsi a un magnate milionario. Russo o arabo? L'oligarca Oleg Deripaska ha smentito un suo interesse per il Milan, rumor nato in occasione della trasferta di Silvio Berlusconi a Mosca per il compleanno di Vladimir Putin. Tuttavia, proprio a Mosca, sta lavorando da tempo uno degli ex-fedelissimi del Biscione, quell'Angelo Codignoni molto vicino a Gazprom.

Secondo fonti finanziarie, bisognerà tuttavia aspettare gennaio per avere lumi, quando Silvio Berlusconi potrebbe sorprendere tutti con l'annuncio di un top player importante per il club rossonero e l'ingresso di un socio nell'azionariato della società calcistica controllata da Fininvest.

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L’INCHIESTA 32 INDAGATI A FERMO, MA LA VICENDA SUI DOCUMENTI IRREGOLARI POTREBBE COINVOLGERE ALTRI

False cittadinanze, Bergessio è fuori

di ANDREA TOSI (GaSport 12-10-2012)

Le indagini della Procura della Repubblica di Fermo, condotte dai Carabinieri del comandante Pasquale Zacheo, sulle false cittadinanze che coinvolgono molti calciatori e altri sportivi militanti o transitati in Italia avanzano piano ma potrebbero presto assumere sviluppi eclatanti anche su altre piazze. Al momento il Sostituto procuratore Raffaele Iannella smorza i toni del caso anche se 34 indagati tra cui un funzionario dell'ufficio anagrafe e una dirigente del Pdl locale fanno comunque rumore. «Ho ereditato il fascicolo dal procuratore capo uscente Vardara ma non ne ho ancora preso visione perciò sono all'oscuro della vicenda se non per quello che ho letto sui giornali — argomenta il magistrato —. Quel fascicolo è stato depositato a giugno. Abbiamo sei mesi per esaminare il quadro. Perciò oggi qualunque conclusione è prematura». La genesi di questa inchiesta parte da lontano, come tempi e come geografia. Nel 2007 una procura penale di Buenos Aires segnalò con una rogatoria internazionale ai colleghi di Fermo che alcuni giocatori del giro della nazionale argentina si sarebbero attivati per ottenere in modo facile la cittadinanza italiana attraverso gli uffici di un agente sudamericano residente nella città marchigiana. Emersero tre nomi su tutti: Gonzalo Bergessio, Marcos Aguirre e Augustin Pellettieri. I tre dovevano sostenere un provino per Inter, Napoli e Torino, circostanza che è oggetto di accertamenti dell'Arma. Peraltro solo Aguirre ottenne il passaporto italiano e le prime indagini della Polizia Anticrimine e dei Carabinieri di Fermo si conclusero qui. Nessuno di loro risulta indagato, perciò oggi Bergessio si chiama fuori da questa storia essendo extracomunitario al Catania.

Nozze Il caso è stato riaperto a causa delle nozze di un brasiliano che aveva ottenuto la cittadinanza italiana a Fermo. Le verifiche hanno evidenziato irregolarità documentali facendo cadere il funzionario dell'ufficio anagrafe che ha confessato allargando il campo dei falsi passaporti con riguardo ai calciatori, sarebbero una ventina che militano o hanno militato in serie A, B e Lega Pro, e ad altri soggetti attivi nel calcio a 5 e nel volley femminile. Il tutto sotto la regìa di un imprenditore e di un ex vicesindaco della cintura fermana che hanno rigettato ogni addebito. Vagliata anche la posizione dell'ex milanista Roberto Ayala.

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«La mia partita contro

i cacciatori di streghe»

La battaglia di Kobéna per fermare

la mattanza delle bambine del Benin

di LUIGI GUELPA (Pubblico 12-10-201)

Da Torquemada al seme della superstizione, e nel mezzo seicento anni in cui le donne sono finite al rogo per stregoneria. In Africa è un problema di origine ancestrale e nel piccolo Benin, stato affacciato sul Golfo di Guinea, le presunte streghe sono bambine di pochi anni che vengono brutalmente assassinate. A Parakou, città di 180 mila abitanti della provincia del nord di Borgou, alcuni predicatori senza scrupoli sostengono che le bambine dei villaggi della zona siano possedute dal demonio e si adoperano per «liberarle» con pratiche violente di esorcismo. Dall ’inizio dell’anno ne sarebbero state sottoposte al trattamento più di trecento. Una cifra che fa accapponare la pelle, perché quasi tutte avrebbero perso la vita.

«Con erbe e strani intrugli sostengono di uccidere le streghe che dimorano in loro. Non si rendono conto di essere degli assassini». A denunciare i fatti non è un rappresentante del governo locale e neppure il responsabile di una qualsiasi associazione umanitaria impegnata sul territorio, bensì un calciatore beninese che, è proprio il caso di dirlo, ha fatto una scelta di campo piuttosto radicale. Sciopererà ad oltranza fino a quando il governo non metterà concretamente mano alla questione. E se in Europa i calciatori minacciano di accantonare le scarpette bullonate per ottenere privilegi e ritocchi agli ingaggi milionari, un figlio di madre Africa vuol far leva sul pallone per sensibilizzare l’opinione pubblica ben sapendo di rimetterci anche del denaro. Nouhoum Kobéna è un centrocampista di 27 anni con il fisico scolpito nel marmo. Veste da anni la maglia della nazionale, che a quelle latitudini è conosciuta come la squadra degli scoiattoli. La allena una vecchia conoscenza del calcio francese, l’ex difensore Manuel Amoros. Kobéna, che qualche mese ha trovato un ingaggio da professionista in Finlandia nel modesto Palloilijat di Kotka, è nato proprio a Parakou, la città della strage delle bambine. Una delle sue piccole cugine Ama è stata sottoposta al medesimo trattamento. «Si è salvata per miracolo, ma ha perso vista e udito. Anche per queste ragioni ho deciso di spendermi in prima persona e giocare la partita più importante della mia carriera. Non metterò più piede in Benin e non vestirò la maglia della nazionale, fino a quando le forze di polizia non interverranno per assicurare gli assassini alla giustizia. Il mio non è un gesto isolato. Sto esortando altri compagni che giocano in Benin, se è il caso fermeremo anche il campionato». In una realtà come quella del Benin, dove per altro esiste uno dei mercati dei feticci più grandi dell’Africa, la quotidianità è strettamente legata ai cicli naturali e all ’occulto. Un terreno fertile per i «cacciatori di streghe» che si aggirano nel nord del paese, di villaggio in villaggio, instillando nella mente delle persone il sospetto che i figli siano posseduti dal demonio e catalizzatori di disgrazie. «È un fenomeno diffuso da parecchio tempo - racconta Kobéna - quando ero bambino ne avevo sentito parlare, ma oggi la situazione è diventata ingestibile e drammatica. Ci sono predicatori che coltivano la credenza negli spiriti maligni e nella possessione demoniaca, e poi propongono riti di esorcismo per vincere la disperazione che essi stessi hanno suscitato». Riescono così ad estorcere denaro praticando l’esorcismo e uccidendo impunemente.

Il governo del presidente Yayi Boni non ha mai mosso un dito per debellare il fenomeno. Il problema è che la nazione - grande quanto il nord Italia - è divisa a metà. A sud, dove sorge la capitale Cotonou, le istituzioni funzionano in maniera accettabile, a nord regna invece l’anarchia. Neppure la visita pastorale di Benedetto XVI lo scorso novembre è servita a smuovere le coscienze dell’establishment locale. Del resto il Papa ha visto solo quello che il presidente Boni voleva. Una Cotonou efficiente e moderna, e soprattutto ripulita dalla cartellonistica che invita le coppie a fare uso del preservativo. Nessun accenno a streghe o a pericolose pratiche ancestrali. «Si tratta di un vero e proprio incitamento all’odio -conclude Kobéna - più questi pseudo predicatori individuano spiriti maligni, più celebrano esorcismi, e maggiormente credono di affermarsi con successo in una sorta di competizione con le altre comunità di fede».

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RIVELAZIONI

La spia che voleva

LA ROMA

L'uomo dei misteri della trattativa Stato-mafia dietro il blitz tentato nel 2008. Lo racconta un libro sul lato oscuro del calcio

di RAFFAELE CANTONE & GIANLUCA DI FEO (l'Espresso | 18 ottobre 2012)

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L'assalto delle mafie al calcio italiano. Per conquistare soldi, fama e potere. Dai campioni del Napoli avvicinati dai boss al codice Milan usato dai corleonesi. In "Football Clan" Raffaele Cantone, il magistrato che ha indagato sulla scalata criminale alla Lazio, e Gianluca Di Feo, giornalista de "l'Espresso" descrivono il lato più oscuro del pallone. A partire dall'operazione per conquistare la Roma, l'ultima prima dell'arrivo degli azionisti Usa.

La trattativa è cominciata a gennaio 2009, con la proposta di uno dei più rispettati giuristi italiani: Natalino Irti, ex presidente del Credito Italiano e titolare di uno studio affermatissimo. Tutto secondo le regole dell'alta finanza. Il professor Irti chiede all'avvocato dei Sensi di intavolare colloqui esclusivi per l'acquisto dell'intera società. Spiega di agire per conto di un cliente molto noto nell'ambiente sportivo: l'agente Vinicio Fioranelli, attivo nel calciomercato di tutta Europa. Fioranelli è nato nelle Marche ma ha fatto fortuna in Svizzera, prima come ristoratore poi come rappresentante di giocatori. Da procuratore tratta nomi di buon livello - Karl-Heinz Riedle, Thomas Doll, Dejan Stankovic e Marcelo Salas - e si impone nella cerchia della Lazio da scudetto di Sergio Cragnotti. Sa che i Sensi devono vendere e che Unicredit vuole liberarsi il prima possibile della squadra. Dice di avere pronti 200 milioni di euro. Ma quando si tratta di scoprire le carte, invece di tirare fuori i quattrini fa entrare in scena un socio tedesco con un cognome da gotha: Volker Flick. Lo presenta come un discendente della dinastia dei magnati dell'acciaio, «parente di Mick e Muck, i due fratelli che possedevano la Mercedes, e che ha già 300 milioni di euro in caldo per chiudere il contratto. Non ci credete? Eccovi le coordinate telematiche del suo conto, controllate pure».

Ma gli advisor che hanno affiancato la proprietà non si fidano di quella certificazione elettronica. Il vicedirettore di Mediobanca Maurizio Cereda vuole però andare avanti nella trattativa e organizza lunghe riunioni di avvocati tra Roma e Zurigo per concordare il pagamento: Fioranelli accetta di mettere 300 milioni di euro su un conto vincolato fino alla firma definitiva. Dice a Mediobanca che è disposto a lasciare una quota simbolica delle azioni e la presidenza a Rosella Sensi, poi il giorno dopo ci ripensa: «I tifosi non la amano, preferisco fare a meno di lei».

C'è un solo problema: i 300 milioni non si vedono. Mediobanca sollecita il bonifico concordato, ma Fioranelli si arrampica sugli specchi e prende tempo. Nemmeno i venditori vogliono staccare la spina, implorano almeno un segno di buona volontà: «Ci faccia parlare con la sua banca per trovare una soluzione». Per due settimane lui si nega, lascia il telefono al figlio. Il 22 giugno, i banchieri danno l'ultimatum: altri tre giorni, poi salta tutto. Così avviene: il sogno si chiude con un breve comunicato ufficiale. Mediobanca però, ancora non sbatte la porta. Il vicedirettore centrale Cereda dichiara: «Ho avuto contatti con il Fioranelli fino alla domenica successiva, il 28 giugno; ho fatto presente che il discorso poteva essere ripreso qualora si realizzassero le condizioni...».

Quando scade l'ultimatum dei Sensi, i finanzieri del Nucleo centrale valutario si sono già fatti un'idea precisa su chi c'è dietro quella trattativa. Anzitutto Herr Flick. Non è parente della famiglia della Mercedes: risulta avere gestito malamente un negozio di mobili, con tanti debiti da venirgli vietato di emettere assegni. Poi si è fatto notare per una fantasiosa sequela di iniziative. Nel 2007 la Deutsche Bank lo ha sorpreso mentre cercava di fare un bonifico telematico da mezzo miliardo di euro. L'anno dopo viene beccato mentre propone al premier turco Erdogan un investimento da un miliardo di dollari. Operazioni sempre virtuali, che trovano una spiegazione quando le intercettazioni captano le conversazioni tra Fioranelli e un misterioso personaggio attivo tra Italia e Svizzera, uno che si fa chiamare «generale Bruni» o «generale Rivera». Al telefono «il generale» vanta rapporti con l'intelligence americana e araba, nonché entrature nelle principali banche del pianeta, incluso lo Ior del Vaticano.

Per gli investigatori è una vecchia conoscenza: si tratta di Elio Ciolini. Un nome che ha segnato la storia delle trame italiane. Nel 1982 è nella stessa prigione ginevrina di Licio Gelli e parla di una pista internazionale per la strage di Bologna, indicando una misteriosa loggia massonica di Montecarlo. Per i magistrati è un depistaggio, con oscuri mandanti che un vero generale del Sismi identifica proprio nella P2. Dieci anni esatti dopo, mentre la Prima Repubblica viene abbattuta dalle bombe di mafia, il solito Ciolini evoca un golpe per destabilizzare il Paese. Le sue elucubrazioni trovano ascolto al ministero dell'Interno, scatenando la massima allerta. Nel 2001, alla vigilia delle elezioni Silvio Berlusconi parla ai giornalisti di un piano per assassinarlo. La questione campeggia sulle prime pagine. Poi spunta l'origine delle rivelazioni: sempre lui, sempre Ciolini.

Ascoltando i telefoni, gli investigatori si convincono che dietro Fioranelli ci sia l'uomo dei depistaggi. Lo definiscono «l'istigatore» della scalata alla Roma, che ora assume il profilo di una colossale operazione di riciclaggio. E con Ciolini c'è un altro asso di denari, sempre dietro le quinte. Si chiama Vittore Pascucci: è stato arrestato con un vecchio capo di Cosa nostra; ha avuto rapporti con lo storico cassiere della 'ndrangheta lombarda; si è mosso assieme ai riciclatori del clan camorrista Galasso. Al suo fianco sono passate generazioni di faccendieri, da Pierluigi Torri a Flavio Carboni.

Pascucci e Ciolini risorgono sempre dalla cenere delle loro imprese. Nel 2008 hanno in cassaforte una ventina di certificati di credito del governo americano «per un valore complessivo di 565 miliardi di dollari Usa», come recita testualmente l'atto d'accusa. Carte che intendono trasformare in soldi veri. Puntando sulla Roma. Il piano viene smascherato nella primavera 2010 con l'arresto di Fioranelli e Ciolini, accusati di avere ingannato le autorità di Borsa. Il maestro delle trame scompare nel nulla. Invece l'agente dei campioni finisce in manette e patteggia una condanna a un anno e dieci mesi. È stato una vittima? L'ordine di cattura lo definisce un complice. Il documento ricostruisce un altro tentativo inedito di entrare in Serie A: nel 2008 lui voleva prendere il Bologna. E lo avrebbe fatto contando su un altro stock di titoli sospetti, questa volta brasiliani. In quella occasione Fioranelli ha preteso di inserire nella bozza di accordo una clausola specialissima: «Se il contratto non viene concluso, le pagine devono essere distrutte».

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