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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Sabotaggio dei tifosi. Fili della luce tagliati, Rayo-Real rinviata

Filippo Maria Ricci - Gasport -24-09-2012

Prima il sabotaggio, poi la polemica. La prima è la parola che ha lasciato al buio lo stadio di Vallecas, che ieri alle 21.30 doveva ospitare Rayo Vallecano-Real Madrid. Partita sicuramente riprogrammata per oggi, ma con conflitto sull’orario: Il Rayo ha chiesto di giocare alle 20 per facilitare l’afflusso dei propri tifosi, il Madrid preferisce le 17 perché non si fida delle luci dello stadio e visto l’intasamento del proprio calendario non vuole correre rischi.

Cavi tagliati «Si è trattato di un atto di sabotaggio — ha detto il presidente del Rayo Raul Martin Presa —. Un cavo non si taglia da solo. È una disgrazia, un attentato». Così invece del derby è andata in scena una serata surreale. I giocatori del Madrid sorridenti tra il tunnel e il prato, gli elettricisti inizialmente ottimisti al lavoro sul tetto dello stadio con pinze e nastro isolante, la musica sparata a tutto volume (l’impianto audio era stato risparmiato), i tifosi fuori ad aspettare in paziente attesa. E senza incidenti, cosa da rimarcare visto il pessimo sangue politico che corre tra gli aficionados del Rayo e quelli del Real. Un’ora e mezza abbondante di male illuminata attesa, e quando finalmente si è deciso di rinviare la gara Mou ha spedito i suoi sul prato per una sessione di allenamento in penombra. Mentre i madridisti correvano, presidente e allenatore del Rayo improvvisavano conferenze stampa. Tutti volevano giocare, però era impossibile. Il presidente Presa, scuro in volto, ha detto che arrivare sul tetto per tagliare i cavi è difficile è pericoloso, e non ha voluto far luce su eventuali colpevoli.

Tifosi sospettati L’idea che circolava ieri sera a Vallecas era abbastanza semplice: si puntava l’indice verso gli stessi tifosi del Rayo, tanto avvelenati col proprio club da darsi la pena di salire sul tetto del vecchio e fatiscente impianto per tagliare i fili dei riflettori. Il motivo? Il club ha deciso che la partita col Madrid fosse quella che in Spagna è chiamata «dia del club»: il giorno della stagione nel quale anche gli abbonati devono pagare il biglietto. I tagliandi erano in vendita, per gli abbonati, a 25 euro, e la cosa non è andata giù alla calorosa e rumorosa tifoseria biancorossa, in subbuglio per l’intera settimana. Da qui a rischiare la vita scalando per tagliare i fili ne passa, però al momento non ci sono altri sospettati. In tutto questo, Mourinho aveva deciso di sollevare il castigo di Sergio Ramos, che era titolare con Essien e Modric.

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L’Italia dei Cellino

Roberto Beccantini Beckisback - 24-09- 2012

Quanto scommettiamo che lo scandalo Cellino si ridurrà a una baruffa pro e contro la vittoria a tavolino che quel pretino di Franco Baldini ha già invocato a nome e per conto della Roma? Massimo Cellino è presidente del Cagliari e consigliere federale. Ribellarsi a una delibera del prefetto e invitare i tifosi ad andare comunque allo stadio è un affronto che, al di là delle eventuali ragioni, colloca dalla parte del torto, a prescindere.

Cellino non è nuovo a sparate del genere. Il dettaglio che l’input l’abbia dato via fax da Miami, Florida, aggiunge un tocco di farsa alla tragedia dell’insubordinazione. Penso a Cellino, penso a Enrico Preziosi, che fa pure la vittima, lui che per evitare la radiazione non si sa ancora bene cosa abbia combinato, cosa abbia tramato (contro le autorità, con le autorità).

Una classe di dirigenti senza classe. La scorsa stagione, Cellino aveva portato la squadra a Trieste. Il 2 settembre scorso, già Cagliari-Atalanta era stata disputata allo stadio «Is Arenas» di Quartu a porte chiuse: per squalifica dei tornelli, non del campo. Il colmo. Cellino è Cellino. E Beretta è Beretta. Il presidente dimissionario della Lega ha farfugliato banalità assortite. Non poteva non sapere, naturalmente. La Lega andrebbe abolita. I campionati li organizzi la Federazione: tanto, a distribuire i «rigori» provvedono gli arbitri e a spartire i quattrini delle tv basta un ragioniere qualsiasi.

Sabato scorso, Cellino ha battuto tutti i record. Il frastuono ha svegliato e coinvolto persino l’incompetente Giancarlo Abete, sempre prodigo di aggettivi e questa volta, addirittura, di attributi tendenti al moccolo, allo sdegno, al rogo. Sono proprio curioso di vedere come andrà a finire. E, soprattutto, come ne usciremo. A Roma frega solo il 3-0. Nel senso di Baldini parte lesa e di Lotito parte tesa.

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Calcio, la metamorfosi dei presidenti

...IL CASO DI CELLINO FA RIFLETTERE

...IL CAPITALISMO ITALIANO E IL RIFIUTO DELLE REGOLE

di ALBERTO CRESPI (l'Unità 24-09-2012)

Fateci caso: è in corso una mutazione nella professione di presidente di squadre di calcio. A livello globale è, da qualche anno, il momento degli sceicchi arabi e degli oligarchi russi. A livello nazionale sta entrando in crisi il modello del magnate-tifoso. Non è casuale affrontare il tema oggi, dopo la doppia sconfitta di Milan e Inter. Moratti e Berlusconi sembrano, per motivi diversi, superati. Il primo sta portando capitali stranieri dentro la società (prima cinesi, ora forse russi e arabi) ma intanto i nerazzurri stanno buttando via la terza stagione consecutiva nel dopo-Mourinho. il secondo sta tagliando gli investimenti nel Milan in modo ormai quasi suicida. Nel frattempo la confusione è grande e il sonno della ragione genera mostri. Fra i presidenti, chiamiamoli così, “di seconda fascia” sembra essere in corso un impazzimento generale.

In questo weekend la copertina spetta a Massimo Cellino, il presidente-rock del Cagliari (ama suonare la chitarra elettrica con gli amici). Di fronte alla decisione della prefettura cagliaritana di far giocare Cagliari-Roma a porte chiuse, per l’ormai antica inagibilità dell’impianto, Cellino ha invitato i tifosi sardi a recarsi ugualmente allo stadio. Tutto questo da Miami, dove vive buona parte dell’anno, manco fosse un esule cubano che invita i compatrioti alla contro-rivoluzione per deporre Fidel. Di fronte a questo gesto che definire populista è un eufemismo, la prefettura ha dovuto rinviare il match: «per l’urgente e grave necessità di prevenire ogni forma di turbativa dell’ordine conseguente alle reazioni emotive, irrazionali e inconsulte ingenerate dall’invito formulato dal presidente del Cagliari Calcio». Parole forti, che probabilmente preludono a uno 0-3 a tavolino per la Roma.

Ammetterete che il presidente che incita alla rivolta i tifosi dall’esilio, usando i comunicati stampa, facebook e forse i segnali di fumo, era una figurina che ancora mancava nel variopinto presepe dei ricchi con l’hobby del calcio. Ma Cellino è in buona compagnia. il capo-presepe è sempre Maurizio Zamparini, che non solo è il detentore del record mondiale di allenatori licenziati, ma si sta anche trasformando in un arruffapopolo. Qualche giorno fa l’abbiamo sentito, sull’emittente romana Radio-Radio da lui controllata, attaccare violentemente il premier Monti e il «governo delle banche»: sembrava parlasse Che Guevara, non l’inventore del marchio Mercatone («Mercatone sì mercato no»: un bel titolo per una sua biografia «embedded»).

Tempo fa Zamparini ha pubblicamente attaccato i vertici di Equitalia: anche quello fu un gesto populista, perché trovare un italiano a cui stia simpatica Equitalia è più difficile che trovare una persona perbene nel Pdl laziale, e Zamparini è molto attento nel vellicare le folle. Non a caso ha fondato il Movimento per la gente, il cui slogan in apertura del sito internet (www.movimentoperlagente. it, se siete curiosi) è «Equitalia sta uccidendo la gente che produce: fermiamola!», e ha espresso in questi giorni il suo «endorsement» per il candidato alla regione Sicilia Gianfranco Micciché. Così va la politica italiana: Mitt Romney, che pure con Equitalia avrebbe i suoi problemi visto quanto paga di tasse, sarà pure un quacquaraquà ma ha ricevuto l’endorsement di Clint Eastwood, Micciché deve accontentarsi di Zamparini. Al confronto sembra simpatico folklore l’idea del presidente del Genoa, Enrico Preziosi, di mettere in tribuna a Marassi una sua sagoma finché sarà squalificato. E fanno sorridere le esternazioni di Lotito, mentre sembrano venire da un passato lontano le marachelle di Gaucci, tornato in Italia nel 2009 dopo 4 anni di latitanza.

Sapete qual è il guaio? È che sembrano tutti, a prima vista, dei simpatici mattacchioni, dei ricchi scemi che buttano via i soldi nel pallone. Invece siamo di fronte a una deriva che affonda le proprie radici nel capitalismo italiano, da sempre poco incline al rispetto delle regole, affascinato dall’idea del «faccio come mi pare, lasciatemi lavorare e non scocciatemi». Una deriva che, esagerando appena un poco, definiremmo anti-istituzionale. mentre si esaurisce anche calcisticamente la forza propulsiva di Berlusconi, spuntano i berlusconcini. Ma, come dicevamo, è tradizione: le regole, se sono scomode, si infrangono.

Guardate come si comporta l’unica vera azienda che gestisce in modo «sano» una società di calcio, e l’ha appena riportata ai fasti di un tempo: la Fiat, con la Juventus. Hanno una bella squadra, rivinceranno lo scudetto, sono ridiventati forti. Ma di fronte alle sacrosante condanne sportive ricevute per colpa di dirigenti imbroglioni, rispondono con la litania dei «30 sul campo». Sono fatti così.

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E LA JUVE SE LA GODE TUTTA SOLA

di FILIPPO GRASSIA (il Giornale 24-09-2012)

A sei anni da Calciopoli la Juventus ha ripreso la leadership che l’aveva portata per lungo tempo a comandare il calcio italiano o comunque a farla da protagonista: una specie di miracolo dopo lo scandalo di allora, la caduta in B e la cessione di alcuni fra i suoi migliori attori, Ibrahimovic per primo.

Fermo restando che la squadra di Capello, vittoriosa nel 2005 e nel 2006, non aveva bisogno di aiuti e aiutini per battere la concorrenza: lo testimoniano i tanti bianconeri presenti nella finale mondiale di Berlino. E che la costruzione del nuovo stadio, un gioiello nel suo genere, è figlia di quel tormentato periodo. La ricerca della giustizia e della verità non può essere a una sola via. Sarebbe sbagliato, giusto per capirci, ricordare Giraudo e Moggi solo per gli errori compiuti a iosa, soprattutto nella gestione del potere.

Qualcosa di buono l’hanno pure fatta.

Con il trionfo dello scorso campionato, per niente prevedibile dopo i due precedenti settimi posti, la Signora ha ripreso a muoversi sul “tappeto rosso” della sua storia ultracentenaria.E’ arrivata a tanto grazie all’importante budget posto a disposizione dagli azionisti e agli acquisti finalmente coerenti del nuovo management. Sotto questo punto di vista l’arrivo di Marotta è stato devastante per la concorrenza. Si domandino le rivali perché Lichtsteiner, Bonucci, Isla, Asamoah, Vucinic e Vidal, tanto per fare alcuni nomi, vestono bianconero invece che rossonero o nerazzurro. I signori in questione erano alla portata di tutte le grandi. E perché Pirlo, ritenuto un soprammobile a Milanello, sia finito in terra sabauda.

Basta mettere assieme questi ingredienti per capire come il rinascimento della Juventus non sia casuale ma frutto di una certosina programmazione. Quella programmazione mancata su entrambe le sponde milanesi dove Berlusconi ha chiuso il portafogli e Moratti non se la sente più di arricchire mezzo calcio.

Il gap fra le due realtà è reso più evidente proprio dal flop delle milanesi che peggio di così non avevano mai fatto. Mai un club ha vinto lo scudetto dopo aver ottenuto solo 3 punti nelle prime 4 giornate, ci pensi il Milan. E mai, nel canovaccio antico della Serie A, le milanesi avevano perso le prime due partite in casa. Questa è la realtà odierna. Ma c’è dell’altro.La Juve sta investendo forte sul futuro, e non mi riferisco solo a Pogba e Marrone, già inseriti in prima squadra, mai ai tredici ragazzi, nati fra il ’91 e il ’94,scelti dal ds Paratici. Su tutti spicca Camilleri rientrato dal Chelsea. E poi Saporetti, Ilari, Sorensen, Buchel, Giannetti e Untersee. Nelle serie inferiori gioca poi un’altra ventina di giovani promesse bianconere.

Curioso poi che la Juventus debba tanto a Conte confinato in tribuna per via della squalifica, mentre Inter e Milan s’interrogano sul futuro di Allegri e Stramaccioni, il primo confermato a piè sospinto, il secondo incapace di dare un’identità alla squadra.

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LA STORIA

I tifosi rivogliono il Pergocrema

Ma i marchi li ha tutti Macalli

L'idea di un azionariato popolare per la società lombarda, recentemente fallita, si spegne in quanto i titoli per la rifondazione sono stati acquisiti dal presidente della Lega Pro, che è stato dirigente del club per 24 anni. Situazioni che fanno sorgere dubbi sulle modalità del fallimento del club

di CORRADO ZUNINO (Repubblica.it 24-09-2012)

ROMA - I tifosi del Pergocrema, club ottuagenario fallito improvvisamente la scorsa stagione, avrebbero voluto rilevare la loro società, la seconda società di Crema, percorrendo la strada stretta e difficile dell'azionariato popolare. Al Tribunale fallimentare di Crema, però, hanno trovato il marchio già acquisito. Meglio, tutti e quattro i marchi che rimandavano alla società erano stati registrati. Da chi? Da Mario Macalli, 75 anni, sempiterno presidente della Lega Pro italiana.

Possibile? Possibile. È sufficiente andare sul sito internet del ministero dello Sviluppo economico per scoprire che il 31 gennaio 2011 Mario Macalli, che del Pergocrema è stato vicepresidente per 24 anni, fino al 1986, prima di iniziare una carriera da dirigente sportivo italiano (da quindici stagioni è dirigente della Lega C, poi diventata Lega Pro), ha presentato domanda di registrazione del marchio Us Pergocrema 1932. La domanda era stata inizialmente sospesa per essere accettata in un secondo momento. Sono state invece accolte in prima battuta le richieste di registrazione di Macalli, casa a Ripalta Cremasca, studio a Crema città, sugli altri tre marchi riconducibili alla stessa società: Us Pergocrema, Us Pergolettese e Us Pergolettese 1932 (l'ex Pizzighettone) che oggi partecipa al campionato di serie D. Per ciascuna società, ora, c'è il numero di registrazione a fianco. Mario Macalli, presidente della Lega Pro, è diventato quindi il padrone monopolista del marchio (e dei marchi fratelli) di una società fallita e pure del marchio di un'altra società di famiglia che attualmente gioca in serie D.

Non ci sarà alcuna asta, no. Il Popolo cannibale, gli ultras desiderosi di far rivivere la società lombarda, hanno dovuto ammainare la bandiera gialla e blu. E ora chiedono alla città: "Per quale motivo nel gennaio 2011 Macalli ha sentito l'esigenza di registrare ben quattro marchi riconducibili al Pergocrema? Durante quel periodo la proprietà della società era di Manolo Bucci e nulla lasciava prevedere una fine drammatica". Si avanzano, ecco, dubbi sulle modalità del fallimento del club. Ancora, "perché registrare tutti e quattro i marchi, in modo da precludere ogni forma di rifondazione da parte di terzi?". La domanda fondamentale arriva in fondo: "Come si può conciliare il ruolo di presidente della Lega Pro con quello di proprietario dei marchi riconducibili a un club iscritto a tale Lega?".

Mario Macalli, che non ha mai nascosto la sua volontà di ricandidarsi alla presidenza della Lega Pro nonostante i quindici anni in groppa, non ritiene che sulla vicenda ci sia un conflitto d'interesse. Meglio, non gradisce esprimersi. "Non mi interessa, non me ne occupo", ha già detto. Ma negli uffici della Procura federale c'è un fascicolo inviato da dirigenti sportivi della Lega Pro: Stefano Palazzi dovrà indagare anche sul marchio Pergocrema e l'ingordigia del presidente di Lega.

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E LA JUVE SE LA GODE TUTTA SOLA

di FILIPPO GRASSIA (il Giornale 24-09-2012)

A sei anni da Calciopoli la Juventus ha ripreso la leadership che l’aveva portata per lungo tempo a comandare il calcio italiano o comunque a farla da protagonista: una specie di miracolo dopo lo scandalo di allora, la caduta in B e la cessione di alcuni fra i suoi migliori attori, Ibrahimovic per primo.

Fermo restando che la squadra di Capello, vittoriosa nel 2005 e nel 2006, non aveva bisogno di aiuti e aiutini per battere la concorrenza: lo testimoniano i tanti bianconeri presenti nella finale mondiale di Berlino. E che la costruzione del nuovo stadio, un gioiello nel suo genere, è figlia di quel tormentato periodo. La ricerca della giustizia e della verità non può essere a una sola via. Sarebbe sbagliato, giusto per capirci, ricordare Giraudo e Moggi solo per gli errori compiuti a iosa, soprattutto nella gestione del potere.

Qualcosa di buono l’hanno pure fatta.

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Io aspetto ancora per sapere che cosa hanno fatto di male

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La farsa Cagliari-Roma, Conte che non può andare allo stadio: è calcio questo?

Xavier Jacobelli - calciomercato.com -24-09-2012

Una volta hanno chiesto a Cesare Prandelli che cosa detestasse del calcio: "L'esasperazione, le polemiche, i processi, l'arroganza, la stupidità". Parole sante.

La farsa di Cagliari-Roma e il surreale dibattito su Conte a Firenze, se debba o non debba andare allo stadio Franchi in apparenza hanno poco in comune. In realtà, hanno tutto quello che possa essere ricondotto a esasperazione, polemiche, processi, arroganza, stupidità che infettano il non calcio.

Adesso che il Cagliari è stato punito con lo 0-3 a tavolino, come da regolamento e, com'era inevitabile che accadesse dopo l'incredibile autogol di Cellino, è troppo facile trasformare il presidente rossoblù nel parafulmine di tutte le nequizie.

Cellino ha sbagliato e la sua società, soprattutto i suoi incolpevoli tifosi e i suoi malcapitati giocatori, stanno pagando un prezzo altissimo. Ma non ci piacciono per niente né Abete né Beretta che si stracciano le vesti, manifestano tutto il loro sdegno per quanto è accaduto, cioè non è accaduto in Sardegna, come se fossero due alieni che in tutto questo tempo hanno scattato foto su Marte aspettando l'arrivo di Curiosity.

Il caso Sant'Elia dura da cinque anni e il solo pensiero che quello stadio fosse un fiore all'occhiello di Italia '90 fa rabbrividire, pensando alla montagna di denaro pubblico speso per un impianto ora dichiarato fatiscente e pericoloso.

Da cinque mesi, invece, si paventava che i lavori a Quartu Sant'Elena non sarebbero mai terminati in tempo per l'avvio del campionato. Ma l Lega che cosa ha fato quando ha compilato i calendari? Ha programmato tre gare casalinghe dei sardi nel solo mese di settembre.

Non paga, quando ha saputo che Cagliari-Atalanta, alla seconda di campionato, era già a rischio, mica ha pensato di invertire i campi. No. Ha accettato la soluzione a porte chiuse che soltanto la signorilità di Percassi e della società bergamasca hanno consentito

In tutti questi mesi, vi risulta che il presidente dimissionario della Lega sia stato a Cagliari, abbia compiuto sopralluoghi al Sant'Elia o a Quartu Sant'Elena per renderci conto personalmnte della situazione? E vi risulta che sia stato preceduto, seguito, accompagnato dal presidente della Federcalcio, magari anche solo in segno di solidarietà a Gigi Riva, straordinario dirigente accompagnatore della Nazionale della quale è tuttora il marcatore in 102 anni di storia?

Ciononostante, Abete e Beretta ora fanno a gara a mettere all'indice Cellino e a dirci che la questione stadi è il primo problema che il calcio italiano deve risolvere. E' normale, questo? No, che non è normale.

Come non è normale che nella bellissima Firenze, dove il quinquennio prandelliano aveva seminato fair-play, correttezza, rispetto degli avversari, terzo tempo (poi affossato dal Sistema), per alcuni si debba parlare non degli aspetti tecnici di una partita che si annuncia tecnicamente splendida, ma della collocazione di Conte all'interno del Franchi. Addirittura, si dibatte se l'allenatore dei campioni d'Italia possa o non possa mettere piede allo stadio, essendo squalificato per dieci mesi in attesa del verdetto del Tribunale dell'Arbitrato Sportivo.

Come se la squalifica equivalesse a un daspo.

Come se non ci fossero regolamenti che stabiliscano che cosa si debba o no si debba fare in questi casi. E se i regolamenti non piacciono, si possono sempre modificare. Mai in corsa però.

Come se mercoledì scorso, a Stamford Bridge, alcuni tifosi del Chelsea si fossero opposti alla presenza di Conte in tribuna, dove, invece, ha tranquillamente assistito alla partita della Juve.

Come se mercoledì prossimo, a San Siro, lo squalificato Allegri non potesse seguire il Milan

No, questo andazzo non ci piace per niente.

Ma Firenze e i fiorentini sono un formidabile concentrato di civiltà e di passione.

Hanno l'occasione per dimostrare che un altro calcio è possibile.

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Salvi ha lavorato con Petacchi e De Sanctis

«Possesso di doping»

2 anni di stop al

«mago» di calcio e bici

di PAOLO TOMASELLI (CorSera 25-09-2012)

MILANO — È stato il massaggiatore di fiducia di ciclisti come Petacchi e Di Luca e di calciatori come il portiere del Napoli De Sanctis (foto) che lo ha poi consigliato ad altri compagni di squadra. Perché Antonio Salvi dagli atleti era considerato un «mago». Tonino però è coinvolto nell'inchiesta antidoping della Procura di Padova che va avanti da tre anni e ieri è stato inibito per due anni dal Tribunale nazionale antidoping. Trattandosi di un soggetto non tesserato, l'inibizione equivale alla squalifica, con il divieto di frequentazione degli ambienti sportivi. Salvi è stato ritenuto responsabile della violazione dell'articolo 2.6.2 del codice Wada: «Possesso da parte del personale di supporto degli atleti di una sostanza che è vietata nei test fuori delle competizioni o di un metodo proibito, in relazione a un atleta, una competizione o un allenamento, salvo il personale possa dimostrare che il possesso è dovuto a un uso terapeutico». Salvi, che ha evitato l'accusa di «esercizio abusivo della professione medica» aveva rotto con Petacchi, che per la stessa inchiesta padovana non ha ricevuto sanzioni sportive. Ma le indagini dei Nas, partite dal ciclismo, sono arrivate al calcio proprio seguendo le tracce di Salvi. Il caso, se pur rimasto sempre sottotraccia, aveva messo in forte imbarazzo il Napoli: il massaggiatore non era tesserato e non faceva ovviamente parte della società, che pure era al corrente del fatto che alcuni giocatori facessero ricorso a lui. E i calciatori del Napoli, in 16 assieme a medico, fisiatra e magazziniere sono stati sentiti a Roma come testimoni dai Nas già nel 2010, prima del Mondiale in Sudafrica. All'edizione napoletana di Repubblica Salvi raccontò sempre nel 2010: «Sono un impiegato. Avevo un sogno. Guarire i campioni. Petacchi mi deve tutto. Nel Napoli anche De Sanctis, Paolo Cannavaro e Pazienza mi devono molto. Mai avevano giocato un campionato così. Merito delle mie mani. Doping? Mai a nessuno, lo giuro». Su questo, sulla «somministrazione» aveva ragione. Ma i Nas nel suo studio hanno comunque trovato prodotti proibiti.

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IL PRESIDENTE FIGC

Abete tuona: «Cellino?

Inaccettabili i suoi modi»

di FABIO LICARI (GaSport 25-09-2012)

«Qui non stiamo giudicando le persone, ma i comportamenti. E quello di Cellino è stato inaccettabile. La disobbedienza è inaccettabile e, con più lucidità, se ne renderà conto lui stesso». Giancarlo Abete, a Varsavia per la riunione dei commissari tecnici europei da vicepresidente Uefa, non è sorpreso dalla sentenza della Disciplinare: 0-3 a tavolino di Cagliari-Roma. E non usa toni soft.

Si aspetta nuove polemiche?

«Evitiamo di caricare oltremodo situazioni già spiacevoli, e uso un eufemismo. Ci vuole buon senso, dobbiamo accettare i ruoli. Cellino si è anche dato da fare in passato: se fosse stato per lui, qualche anno fa, non ci sarebbe stato il rinvio del campionato per ragioni sindacali. Ma in questo caso è tutto sbagliato. Tutto, dalla testa ai piedi».

Stadi più o meno agibili, due o tre stelle: quale sarà la prossima «disobbedienza civile»?

«Il calcio vive un momento difficile, in parallelo con quello del Paese, e ha grandi responsabilità: certi atteggiamenti dei dirigenti possono creare un effetto domino negativo. Più importante è il club, più rilievo hanno certe dichiarazioni. Il calcio è già fazioso di suo: sarebbe meglio non caricare la dose. Anche per la nostra immagine europea: l'Uefa non accetta certi atteggiamenti. Pensiamo a governare invece».

Ci sono anche i processi. Qualcuno dice: Conte giudicato subito, Napoli e Lazio ancora aspettano.

«D'estate la procura ha lavorato sui documenti disponibili e sui casi a rischio iscrizione ai campionati. Gli altri procedimenti seguiranno però a stretto giro, ormai ci siamo: l'inchiesta di Napoli è ormai definita, mentre a Bari e Cremona ci sono ancora situazioni in itinere».

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ilCaso di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 25-09-2012)

CAGLIARI, QUELLO 0-3 A TAVOLINO

POTREBBE ANCHE NON RESTARE TALE

Previsto e fin troppo annunciato, è arrivato lo 0-3 a tavolino per Cagliari-Roma. Dopo lo stupefacente e indifendibile comportamento di Cellino, l'ordinanza del Prefetto di Cagliari e l'indignazione generale, il giudice sportivo Tosel ha scelto la via più breve, soprassedendo all'ipotesi di tenere sub judice il risultato della partita, in attesa che l'inchiesta aperta dalla Procura federale facesse il suo corso (e che gli animi si raffreddassero un po'). Difficile dargli torto, anche se l'impressione è quella di una scelta in qualche modo un po' emotiva. Come emotivo (e folle) era il comunicato con cui Cellino invitava abbonati e spettatori a infischiarsene delle disposizioni della Prefettura (partita a porte chiuse) e ad andare ugualmente allo stadio ma sempre «nel rispetto dell'ordine e della civiltà».

Vincere a tavolino non è mai una cosa bella. E' la sconfitta di tutti. Ma non è detto che lo 0-3 sia destinato a restare tale. Una piccola ricognizione presso autorevoli interlocutori adusi maneggiare la giustizia sportiva, ci dice infatti che la decisione assunta da Tosel è quantomeno oggetto di vivaci dibattiti. E il verdetto finale che spetterà in Federcalcio alla Corte di Giustizia federale chiamata a decidere sul ricorso del Cagliari non è assolutamente scontato. Potrebbe anche trasformarsi nel ripristino della disputa del match, accompagnato da pesanti sanzioni per Cellino e al limite anche per la società (penalizzazione).

Detto questo, la figuraccia siderale c'è e resta tale, come ben sottolineato ieri a Gr Parlamento dal segretario generale Uefa Infantino. Un piccolo contributo lo ha dato pure il sempiterno presidente della Lega di A Maurizio Beretta: non tanto per avere domenica avallato, lui dirigente Unicredit (proprietaria per il 40% della Roma), l'ipotesi dello 0-3 a tavolino; quanto per la comparsata televisiva di ieri, dove, tra un'intercalare e l'altro, è tornato sulla legge degli stadi, attualmente impantanata al Senato, che non arriva mai. Dimentico d'averne enfaticamente celebrato il primo sì del Senato il 7 ottobre. Del 2009.

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 25-09-2012)

Palazzi e le mille inchieste

Ora tocca a Conte e Napoli

Risolto il giallo di Genoa-Siena (22 aprile scorso, presto il processo), ecco che Stefano Palazzi-Sherlock Holmes può dedicarsi alle altre inchieste. Che non sono poche. Presto, forse già in settimana, ci potrebbe essere una decisione per Antonio Conte che in una conferenza stampa accusò pesantemente la giustizia sportiva. "Una vergogna", disse il tecnico della Juve, squalificato per 10 mesi e in attesa del Tnas. Così come Aurelio De Laurentiis che l'11 agosto ha impedito al Napoli di partecipare, a Pechino, alla premiazione della Supercoppa per protesta nei confronti dell'arbitro Mazzoleni. Una figuraccia internazionale. Ora il n.1 del Napoli è stato interrogato (verbale secretato) e Palazzi dovrebbe mandarlo a giudizio: rischia un'inibizione e un'ammenda. Da decidere anche fare con le dichiarazioni della Juve, che ha definito "barbara" (minuscolo) la giustizia sportiva. Archiviazione o deferimento? Quanto tempo ci vuole per decidere? L'ultimo caso, fresco, quello del Cagliari: Cellino rischia una lunga squalifica.

Calcioscommesse. Giancarlo Abete, n.1 della Figc, da Varsavia ha detto. "L'inchiesta di Napoli è stata ormai definita, mentre a Bari e Cremona ci sono ancora situazioni in itinere". Che significa? Significa (forse) che presto ci potrebbe essere il deferimento per il Napoli (Grava e Paolo Cannavaro accusati di omessa denuncia?) mentre per quanto riguarda Lazio e Genoa forse si arriverà addiritura a fine anno e non a fine settembre come previsto in un primo tempo. A Cremona emergono sempre fatti nuovi e l'inchiesta penale non è mai stata chiusa. A Bari sono invece a buon punto. Intanto, molti calciatori coinvolti (ad esempio Mauri, già interrogato dalla procura federale) continuano a giocare, in Italia e in Europa. In estate c'era fretta a fare i processi: ora si va al rallentatore. Come mai? Che giustizia è a due velocità? E quelli che sono stati condannati in fretta e furia che dicono? Caro presidente Abete, così non va. D'accordo che forse non si potrà tornare al passato (con Ufficio Indagini e Procura federale) perché gli indirizzi del Coni vanno verso una procura unica, inquirente e requirente, ma queste lentezze creano solo polemiche. Una riforma è comunque necessaria: quantomeno, lo staff di Palazzi va rinforzato.

Golf: Chimenti rieletto, ora Rio 2016 con Manassero...

Il professor Franco Chimenti è stato rieletto per la quarta volta presidente della Federgolf: candidato unico, ha ottenuto il 92,90% dei voti. Chimenti ha un grande merito: aver fatto uscire il golf dai circoli esclusivi, dimostrando così che non è uno sport solo per ricchi. Ora il professore universitario, che sfidò anche Petrucci (prendendo 24 voti, non pochi), guarda a Rio 2016, quando il golf entrerà nella grande famiglia olimpica: l'Italia punterà su Manassero". Nel consiglio federale della Federgolf, ridotto da 15 a 10 membri, non c'è più Andrea Agnelli: il presidente della Juve non si è più ricandidato. Troppi impegni. Conferma anche per Luca Di Mauro alla Fih (federazione hockey): ha ottenuto il 58,2% delle preferenze, il suo sfidante (Sergio Mignardi) il 41,8%.

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Democratic Germany leads free-market

England in football's recovery

Secrets of the Bundesliga's success range from cheaper tickets

to standing room in stadiums and supporters on club boards

by DAVID CONN (The Guardian 21-09-2012)

At their first home Premier League match this season, Chelsea, owned by the Russian oligarch Roman Abramovich, beat Reading 4-2 in front of 41,733 all-seated supporters whose season tickets at Stamford Bridge, apart from a small family area, cost a minimum £750. Last season's champions in Germany's Bundesliga, Borussia Dortmund, began this one by beating Werder Bremen 2-1, watched by 80,645 people, including 24,454 fans in a vast standing area, paying €187 (£148) for their season tickets.

That gulf in price and experience illustrates a profound difference in philosophy between hyper-commercialised, "free-market" English football and the more democratic German approach to what we used to call "the people's game". In both countries, football has been revitalised since the grim end of the 1980s, when 96 Liverpool supporters were killed in English football's worst disaster at Hillsborough, and average crowds in the Bundesliga sank to 17,291.

German football has staged a recovery every bit as remarkable as that of the English game, but without surrendering some of the popular traditions, such as standing areas for fans and cheaper tickets. In 1993, contemplating outbreaks of hooliganism at Bundesliga grounds, the German FA, the Deutscher Fussball Bund, considered following England's lead and making all-seat stadiums compulsory. It decided to keep standing areas, in a statement cherished by the Football Supporters Federation in England: "Football, being a people's sport, should not banish the socially disadvantaged from its stadia, and it should not place its social function in doubt."

Just this year, the English FA told a Commons select committee for culture, media and sport inquiry that it considered issues such as ticket prices to be outside its jurisdiction. The general secretary, Alex Horne, said the FA believed in a "free-market approach" to club ownership.

In Germany, the Bundesliga clubs are still large membership associations, owned and controlled by their supporters, a remarkable adherence to a mutual constitution in this hyper-commercial era. There are exceptions: Wolfsburg and Bayer Leverkeusen have historically been the works teams of Volkswagen and the pharmaceutical company Bayer respectively, and Hoffenheim is owned by a software entrepreneur. The others remain associations, although most have formed a subsidiary company to run the football team itself.

A league regulation, maintained by the clubs, holds that these football companies must be majority owned (50% plus one of the shares) by its member association. So even the mightiest of clubs, the multimillion-pound giants on the European stage Bayern Munich and Dortmund, are majority-controlled by their supporter-members. Bayern, Chelsea's opponents in last season's European Champions League final, have 185,000 members who own 82% of the football company itself; 9% stakes have been sold for vast sponsorship fortunes to the German corporate giants Audi and Adidas.

The way the clubs work in practice varies, but all the member-owned clubs incorporate democracy. Now they are mostly structured like major German companies, with a management board running day-to-day operations, and a supervisory board appointing the directors and overseeing their performance. The members of the supervisory board are elected at an annual general meeting, at which the supporter-members, according to a 50%+1 regulation, have a permanent majority. So, the supporters exercise direct, democratic control over the great German football clubs. The management board is delegated to run the club, it in turn delegates the football decisions to a coach and their staff, and the fans turn up to watch the fruits of their labours.

"Football clubs are social and cultural institutions and not just businesses like any other," says Antonia Hagemann, head of European development at Supporters Direct, which campaigns for more supporter involvement in British football clubs. "Democratic structures mean clubs are run openly and transparently; boards are held accountable, there is a certain stability in place, ownership doesn't change so democratically run clubs tend to follow a longer term vision."

Three years ago, the 50% + 1 rule was challenged by Hannover 96, whose president had visions of Premier League-style stock market flotations, but the Bundesliga clubs solidly upheld it, by 32 votes to Hannover's one (three clubs abstained).

Jens Wagner, a Hamburg representative of the German football supporters group Unsere Kurve, which campaigned passionately for the rule to be maintained, said: "German football is not perfect but we do not want to be like England, where the clubs are owned by one rich man who puts money in. That causes inflation and instability, and it is in the spirit of clubs for there to be democracy."

Since its surprisingly late formation as a fully professional national league in 1963 (England's Football League began in 1888), the Bundesliga has incorporated financial regulations designed to encourage clubs to live within their means and not rack up huge debts. Refined over the years, this German system became the basis for Europe's governing body, Uefa, when it considered introducing its "financial fair play" rules, which require lossmaking clubs to move towards breaking even.

It has not always been adhered to in Germany – Dortmund almost went bust in the late 1990s under the cost of expanding their Signal Iduna Park stadium to the huge capacity that has since been the foundation of the club's more recent success. Last year, the clubs collectively made a €52.5m (£43m) profit, after tax, and reduced their liabilities, while Bayern reached the Champions League final and Bundesliga crowds, averaging 44,293, were the highest in the world.

"The Bundesliga is remaining true to its principles and maintaining its reliance on the factors which have made a decisive contribution to the success of the professional game in Germany in recent decades: stability, continuity and proximity to fans," said Dr Reinhard Rauball, the German league association president.

Many English football supporters, offered no alternative by the Premier League and FA, look to the sporting principles maintained by the Germans with envy and admiration.

___

Alcohol and football crowd behaviour

by GEOFF PEARSON (Football Perspectives 24-09-2012)

Heineken have recently extended their sponsorship as the official beer sponsor of the UEFA Champions League until 2015, marketing under the slogan “Heineken and the UEFA Champions League: Great Together”. This is not a view that appears to be shared by UEFA, because tournament regulations prohibit the purchase of any beer at Champions League matches in all bar executive facilities. The reason for the prohibition on the sale of alcohol in spectator areas of the stadium is because of the belief that alcohol is related to instances of football crowd disorder or ‘hooliganism’.

It is accepted that alcohol consumption acts as a dis-inhibitor when it comes to the behaviour of human beings, which is of course one of the reasons it is so popular, and one might assume that it follows from this that alcohol increases the risk of an individual becoming involved in violence or disorder. In fact, despite numerous scientific studies investigating the link between alcohol and violence, a direct pharmacological causational connection has yet to be established. It is clear that alcohol makes some people more likely to become involved in this type of behaviour, but even here, it appears only to have this effect sometimes. Furthermore, alcohol consumption does not appear to have this impact on other individuals.

The ‘common knowledge’ that alcohol leads to hooliganism also does not stand up to scrutiny. Instances of serious organised violence usually take place with no or little alcohol consumption (after all, being drunk inhibits one’s abilities to fight) and while alcohol has been seen as one factor in lower level crowd disorder, it does not seem to be a primary motivational factor. Football crowds with a reputation for heavy drinking (for example the Scots, the Irish and the Danes) do not typically have a reputation for violence or disorder. Similarly, why is it that cricket or rugby do not have the same reputation for ‘hooliganism’, when social alcohol consumption is an equally (if not more so) important part of match-going culture? Finally, an analysis of serious disorder engaged in by English fans also questions the role of alcohol – typically where alcohol is more readily available we tend to see fewer instances of crowd disorder than where access to alcohol is restricted.

However, even if we assume that consumption of alcohol (or at least the social consumption of alcohol) is related to disorder, do restrictions on the availability of alcohol assist in football crowd management? My research and that carried out by other academics into football crowd behaviour and the policing of crowds suggests this is not the case. My own research carried out in the course of writing An Ethnography of English Football Fan: Cans, Cops and Carnivals indicated that alcohol restrictions such as bans on drinking on official transport to matches, prohibitions on the sale of alcohol in stadia, and the closing of bars around the stadium did not have a significant impact upon levels of alcohol consumption. Where fans were part of a match-going culture based upon social drinking, the restrictions would typically not reduce the amount of alcohol consumed.

Bans on alcohol consumption on transport often meant that fans simply took different modes of transport to matches allowing them to drink, or would set off earlier in order to drink before the match. Bans on the sale of alcohol in stadia usually had the effect of fans engaging in ‘binge drinking’ beforehand in order to achieve a level of intoxication prior to entering the stadium. City-wide alcohol prohibitions (popular for the visits of English teams to Italy) simply did not work, with most bars still serving and fans always able to find alcohol from somewhere. In many observed cases, these restrictions even increased drunkenness, as fans binge drank and consumed spirits (which are easier to conceal and smuggle where prohibitions are in place) rather than drinking beer at a more leisurely pace.

Moreover, many alcohol restrictions not only had no observable impact upon levels of drunkenness, but they also often created situations where confrontation and disorder was more likely. Where prohibitions were in place, fans would typically avoid the local police force; however research shows us that positive interaction between fans and police is one of the best ways to reduce the risk of disorder. Where transport was ‘dry’, fans would travel by other modes, often arriving earlier, or at times and locations unexpected by local police forces. Likewise, bans on drinking in stadia meant that fans were more likely to drink in un-segregated pubs again away from the police and then arrive later at stadia, often resulting in crushes at entrances, concourses and gangways.

It is time that we challenged the dominant attitudes of governments and the football authorities when it comes to access to alcohol for football fans. Alcohol forms an important part of match-going culture for many fans, and will remain so for the foreseeable future, however many restrictions are put in place. As such, the authorities need to consider ways in which they can use access to alcohol to reduce the factors that are proved to cause disorder in and around football stadia. Beer and football are “Great Together”, not only for football supporters but for those managing them.

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Il pallone di Luciano

Sanzioni, radiazioni, ipocrisie.

Che pena il governo del calcio.

Luciano Moggi - Libero -25-09-2012

Povero calcio, se i suoi comandanti sono quelli che sono. Il modo di governare di Abete è sotto gli occhi di tutti, nei suoi comportamenti di nessuna coerenza si è tenuto anche le intemerate di Zeman. Solitamente a queste persone capitano di tutte e di più: lui non si è fatto mancare proprio niente. Tanto per cambiare abbiamo adesso il clamoroso casotto creato da Cellino, la sua folle idea di chiamare i tifosi al campo di Quartu Sant’Elena, già chiuso agli spettatori per motivi di ordine pubblico. Conseguenza, Cagliari-Roma non si è svolta per decisione, giustissima, del prefetto. Cellino è l’uomo forte della Lega insieme con Beretta, e di più è anche consigliere federale. Ci vogliamo allora domandare dove possa andare il calcio se chi ne ha il governo si comporta per «cose sue» in maniera così maldestra? Poco conta che Abete si sia affrettato a bacchettarlo, invocando per lui sanzioni severe anche extrasportive, poco importa che anche Beretta ne abbia preso le distanze: Cellino è sempre stato al loro fianco, anche per le svariate decisioni della Federazione circa le radiazioni o Premiopoli. Da che pulpiti! È vero quello che altri hanno detto, «sarebbe ora che tutti se ne andassero a casa», noi l’abbiamo detto molto tempo fa. E intanto il calcio rotola, non sappiamo immaginare dove andrà a finire. E en passant i dirigenti della Roma «per atto dovuto» hanno chiesto e ottenuto il 3-0 a favore della loro squadra. Il Cagliari di rimando li ha classificati «avvoltoi».

Che bell’ambiente.

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• LA FUTURA PRESIDENZA

Lega, suggestione Galliani

L' ipotesi della candidatura stona pero con le norme che vietano doppie cariche

STEFANO SCACCHI - Tuttosport - 25-09-2012

MILANO. Per ora è solo un pour-parler. E molto probabilmente l'idea è destinata a non andare oltre le conversazioni da Transatlantico calcistico. Ma già il fatto che ne se parli è un elemento interessante. Nei corridoi di Via Rosellini, a margine delle ultime assemblee e riunioni tecniche, qualcuno ha iniziato a suggerire il nome di Adriano Galliani come possibile nuovo presidente della Lega Serie A. Non si può parlare di una vera candidatura. Più che altro si tratta di una prospettiva nata dalla constatazione che al momento proprietari e dirigenti delle 20 società della massima divisione non vedono tra i papabili nessuno in grado di ottenere i fatidici 14 voti necessari per essere eletti al vertice della Confindustria del pallone. Non a caso nessun nome negli ultimi mesi ha mai assunto la forza di una candidatura tale da spingere a convocare con una certa probabilità di successo l'assemblea elettiva per la successione di Maurizio Beretta. Solo gli obblighi della scadenza del quadriennio olimpico hanno messo i club di fronte alla necessità di scegliere un nuovo presidente entro fine anno (conseguenza della decadenza degli organi federali). Per qualcuno, in questo scenario ancora poco delineato, Galliani potrebbe essere la figura in grado di ottenere un certo consenso. Ma qui entrano in gioco gli ostacoli regolamentari (nelle more della riscrittura dello Statuto tramite commissario): le norme, varate dopo Calciopoli, non permettono al presidente di Lega di essere anche dirigente di un club, come era permesso prima del 2006, quando proprio Galliani assommò il doppio incarico a partire dal 2002. Quindi Galliani, per concorrere alla carica, dovrebbe lasciare il Milan, eventualità che appare decisamente remota, a maggior ragione in tempi così brevi. Nemmeno il momento particolarmente agitato che si sta vivendo in Via Turati potrebbe spingere verso un'evoluzione così drastica. E comunque resterebbe sempre lo scoglio dell'ampia maggioranza richiesta: i due-terzi dei voti a favore. Lo stesso problema che avrebbero Stefano Campoccia (vicepresidente dell'Udinese), Andrea Abodi (presidente della Lega Serie B) e Ezio Maria Simonelli (presidente del collegio dei revisori di entrambe le Leghe) per citare alcuni dei nomi più gettonati degli ultimi mesi. In quest'incertezza appare sempre più consistente l'ipotesi che Beretta, attuale presidente di Via Rosellini, possa rimanere al suo posto, nonostante il ruolo di dirigente nelle relazioni esterne di Unicredit, assunto da ormai un anno e mezzo.

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Il Commento

SOLO CALCIO PER FAVORE

Franco Arturi - Gasport - 25-09-2012

Non è stato un buon inizio, al contrario. Il caso di un presidente che invita i tifosi a infrangere la legge e gli interventi-convulsioni che ne sono seguiti, cioè l'inevitabile rinvio della partita, il conseguente 0-3 per la Roma, qualche polemica di cortile, mettono il presidente cagliaritano Cellino, e con lui purtroppo il calcio italiano, all'ultimo posto nella scala del fair play e della ragionevolezza. Un'enormità del genere non s'era mai sentita.

Dopo aver salutato Eto'o e Ibra, Maicon e Kakà, Verratti e Balotelli, avremmo disperato bisogno di altro tipo di primati. E pensare che eravamo usciti da un'estate dominata dai miasmi dell'ultimo scandalo scommesse. Cadute che ti fanno commentare e sperare: il peggio è già successo, ora non possiamo che migliorare. Invece no, restiamo con il fiato sospeso in attesa della follia successiva. Avendo già pagato il dovuto per l'«editto di Miami» stiamo vivendo una vigilia nervosa, diciamo così, di Fiorentina-Juve che domani mette in onda l'ultimo capitolo disponibile di una delle rivalità più sentite del nostro calcio.

Le premesse sono preoccupanti: un destino maligno pare essersi divertito a versare aceto sulle ferite. Le scaramucce su Jovetic, poi il caso Berbatov e infine la polemica politico-industriale fra Diego Della Valle e gli Agnelli. Tutto si mescola a poche ore dalla partita. E non si tratta precisamente del cocktail della pace. Sono situazioni in cui, forse ingenuamente, ci piacerebbe veder scattare preventivamente pompieri da ogni parte. Strette di mano, momenti simbolici, inviti, iniziative, appelli, interventi istituzionali. Molti la considerano retorica, noi no: quest'ambiente ne avrebbe tanto bisogno.

Al contrario, le truppe si preparano nel silenzio dei generali e dei capipopolo. Forse hanno ragione loro e pensano soltanto ad una partita di calcio. Ma il clima all'interno dei nostri stadi lo conosciamo bene. Leggiamo gli striscioni. Sentiamo i cori. Non è l'aria migliore per contenere le iniziative del folto gruppo dei «fuori di testa», purtroppo trasversale a tutte le tifoserie. Semmai il contrario. E allora alziamo noi la mano, come si fa quando si chiede la parola in assemblea. Discorso semplice, per una volta sterilizzato da etica e valori, che pure dovrebbero essere i suoi punti di forza. Scegliamo per l'occasione il cinismo curvaiolo del tornaconto «particolare»: fra calo di spettatori, stadi fatiscenti e crisi finanziaria, abbiamo perso, speriamo momentaneamente, il ruolo di locomotiva del calcio europeo. Quel che resta, e le speranze di tornare grandi, passano in primo luogo dai nostri comportamenti allo stadio. Sognate uno sceicco nel vostro futuro di tifosi? Cercate di meritarvelo lassù in tribuna.

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PREZIOSI : DASPO O NON DASPO ?

di ELISA BRIGANDI dal blog SPORT & LEGGE (Ġazzetta.it 24-09-2012)

Ancora una volta il Presidente rossoblu è al centro dell’attenzione mediatica dell’Italia calciofila. E infatti di dominio pubblico la notizia riportata sui maggiori quotidiani sportivi per cui il Presidente rossoblu sarebbe indagato dalla Procura della Repubblica di Genova per aver il 26 agosto 2012 assistito allo stadio Luigi Ferraris alla gara Genoa-Cagliari violando così una prescrizione consistente nel divieto di ingresso allo stadio impostagli dall’Autorità Giudiziaria a seguito delle vicende giudiziarie relativa al caso di Genoa – Venezia del 2005 quando i rossoblu neopromossi in A, videro sfumare la promozione proprio a causa della condanna della Giustizia Sportiva e finirono addirittura in serie C1.Dopo una prima lettura della notizia sorge spontaneo domandarsi cosa sia accaduto, perché proprio ora, a distanza di così tanto tempo dalle vicende del 2005, e quale misura è stata in concreto violata dal Presidente: un DASPO o altro tipo di prescrizione? La risposta è di facile soluzione e la si trova proprio nelle vicende giudiziarie che coinvolsero il Presidente rossoblu nel 2005. Al termine del lungo iter giudiziario inerente il caso Genoa-Venezia, Preziosi era stato, infatti, condannato per il reato di frode sportiva alla pena di 4 mesi di reclusione e 400 € di multa ai sensi dell’art. 1 L. 401/89, oltre che – e qui si svela l’arcano – alla pena accessoria prevista dalla stessa legge del divieto di ingresso per sei mesi all’interno di stadi, strutture sportive, luoghi dove si giochi d’azzardo, sale-scommesse, nonché uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese .

La condanna a 4 mesi fu poi condonata in quanto nel frattempo era intervenuta la legge n. 241 del 31 luglio 2006 che aveva concesso l’indulto (una causa di estinzione della pena) per tutti i reati commessi fino a tutto il 2 maggio 2006 nella misura non superiore a tre anni per le pene detentive e non superiore a 10.000 euro per quelle pecuniarie sole o congiunte a pene detentive . Secondo la previsione del codice penale (art. 174 c.p.) l’indulto però non si estende alle pene accessorie a meno che la legge specifica di concessione non lo preveda espressamente. Previsione questa che di fatto mancherebbe nella legge del 2006 con la conseguenza che la pena accessoria del divieto di ingresso all’interno di stadi, strutture sportive, luoghi dove si giochi d’azzardo, sale-scommesse, nonché uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese non poteva dirsi condonata. La Corte di Cassazione nel frattempo il 17 maggio 2012 aveva poi rigettato il ricorso rossoblu avverso la predetta condanna emessa a suo tempo dalla Corte di Appello di Genova: da qui passaggio obbligato è stata la messa in esecuzione nel mese di luglio 2012 della predetta pena accessoria. Secondo il Pubblico Ministero, pertanto, il 26 agosto 2012 Preziosi avrebbe quindi violato la citata sanzione esecutiva recandosi allo stadio di Marassi per assistere alla gara con il Cagliari. Non un Daspo tradizionale quindi ma una vera e propria pena accessoria dal contenuto simile ma dagli effetti diversi. Non resta quindi che attendere gli esiti della vicenda giudiziaria per sapere come il patron rossoblu si difenderà e quando lo potremo vedere - in carne ed ossa – nuovamente allo stadio!

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Lo studio - Leanus ha dato le pagelle alle società del massimo campionato utilizzando gli indici di valutazione aziendale

Azzurri promossi, male 10 club su 20

Non c'è alcun gruppo industriale che ha il deficit della serie A

Marco Iaria - Gasport -25-09-2012

Napoli promosso, metà della classe bocciata. Sono le pagelle assegnate ai club di Serie A dal team di analisti d’impresa riunito nella piattaforma Leanus. Che per il suo lancio ha scelto proprio il calcio come «cavia» per fotografare un sistema aggregato di società dal punto di vista economico, finanziario e patrimoniale.

Gestione squilibrata Se sommassimo le venti squadre delmassimo campionato, in effetti, ne verrebbe fuori un gruppo industriale da 1,6 miliardi di euro, nella top 100 italiana per giro d’affari. Ma dal punto di vista gestionale (la perdita netta nel?2011 è stata di 285 milioni) questo è un mondo che non si regge in piedi se non attraverso le continue iniezioni di capitale fresco da parte degli azionisti e, in generale, il finanziamento di terzi. Cosa che AurelioDe Laurentiis ha fatto soltanto nei primi due anni in C, insomma nella fase di start-up del nuovo Napoli rilevato dalla curatela fallimentare. Il club azzurro, non a caso, è l’unico a entrare nella categoria «star» della classifica di Leanus.

Metodo Per stilare la graduatoria sono stati incrociati due indicatori: l’andamento del fatturato rispetto alla stagione precedente?e l’indice di solidità economico-patrimoniale espresso dal cosiddetto Leanus Score. Di cosa si tratta? Di un mix di dati di bilancio che sta alla base dei sistemi di valutazione aziendale previsti da Basilea 2, utili per capire se una società sta in salute oppure no. Applicando tutto questo al calcio di Serie A, vien fuori che il Napoli è la sola società a crescere ( 17% i ricavi del 2011 rispetto al 2010) in modo sano.

Precisazione Val la pena ricordare che l’analisi è stata fatta utilizzando gli ultimi bilanci disponibili, cioè quelli della stagione 2010-11. Nel frattempo, un altro esercizio è stato chiuso e nelle prossime settimane fioccheranno le assemblee dei soci per l’ok definitivo (diverso è il discorso per quei club che seguono l’anno solare e non la stagione sportiva). Ecco perché la Juventus è stata relegata nel gruppo «stuck». Nel corso del 2011-12 la situazione dei bianconeri è nettamente migliorata, con l’aumento di capitale da 120 milioni, l’immobilizzazione dello stadio di proprietà e la crescita dei ricavi che hanno di nuovo superato quota 200 milioni. Milan (tra i «runners» grazie alle entrate in aumento) e Inter, dal canto loro, scontano le sofferenze patrimoniali che negli anni hanno portato Berlusconi e Moratti a intervenire senza sosta con versamenti o ricapitalizzazioni.

Quadro d’insieme Quel che emerge, in definitiva, è un quadro desolante del calcio italiano, ormai insostenibile nei fondamentali economici. Diverse società, a partire proprio dalle milanesi, hanno cominciato a darsi una regolata tagliando la voce che pesa di più sui conti, quella relativa agli stipendi. Ma è chiaro che chi osserva i club di calcio come se fossero?aziende normali si mette le mani nei capelli. «Non c’è gruppo industriale che abbia un deficit come quello della Serie A», chiosa l’analista Alessandro Fischetti.

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Quando gioca la politica

SE LA PIANA È ROSSA, ANZI BIANCONERA

Precedenti Il sindaco di Campi ricalca le orme di Togliatti,

che tifava per la squadra del Padrone. Così come Berlinguer

di ALBERTO SEVERI (Corriere Fiorentino 25-09-2012)

«Chini il Rosso», vabbè: ci può stare. Piaccia o non piaccia siamo, ancora, in democrazia. Ma con Chini il Bianco-Nero, come la mettiamo? Eh, sì. Perché nella bella intervista di fine ventennio (tutti i ventennii finiscono, purtroppo o per fortuna) fatta da Marzio Fatucchi al sindaco di Campi Bisenzio Adriano Chini, e pubblicata sul Corriere Fiorentino di sabato scorso, il vero colpo di scena arriva, magistralmente, all'ultimo paragrafo.

«Io non ho mai chiesto nulla, e se nessuno mi chiede nulla, con i miei 1.040 euro di pensione, mi godrò i libri, i musei, le partite della Juve, a cui ho rinunciato in questi anni...». Le partite della Juve??? Alla faccia dell'outing, signor sindaco! E guarda caso, proprio alla vigilia della Partitissima, con la certissima presenza in tribuna, al Franchi, di Matteo Renzi versione ultrà di Adv, al fianco di Adv versione ultrà di Matteo Renzi...

Bene. Che già subito fuor di porta a Prato si prenda a tifare Juve, e non Viola, anzi, contro la Viola, era cosa nota, anzi risaputa. Ma ancora a Peretola, Brozzi e Campi, dove secondo l'adagio alligna la peggio, o la meglio genìa che Cristo stampi, si pensava che il cuore, oltre che a sinistra, continuasse a stare in curva Fiesole. E forse a pensarci bene è e resta così: e proprio per questo, per non alienarsi i consensi dei bempensanti e ben-tifanti concittadini, Chini potrebbe aver dovuto reprimere l'attrazione fatale e antirottamatrice per le Vecchie Signore dal nome fuorviante («Gioventù»), e rinunciare a «godersi» per vent'anni, e diversi scudetti usurpati, le partite della Juve. Chissà. In fondo, tutti i politici, anche i migliori (spesso, i migliori), masticano di Machiavelli. Il che, va detto, proietta inquietanti dubbi anche sui reiterati «garrisca il labaro» del rignanese Renzi. Il quale magari in cuor suo tiene alla Pro Vercelli... Sarebbe il colmo.

Ma Chini il rosso ha dei precedenti illustri. Anche il rosso Togliatti tifava per la squadra del Padrone. Come pure Enrico Berlinguer, Walter Veltroni (ma anche romanista, ma anche laziale...) e adesso, Pigi Bersani. La politica, si sa, presenta larghe zone di sovrapposizione con la psicanalisi. E, a proposito di politica, il coming out calcistico di Chini getta una luce nuova, e forse rivelatrice, su altre questioni e frizioni fra il Campigiano e il Fiorentino. A cominciare dalla strenua opposizione, energicamente riaffermata nella medesima intervista, alla nuova pista di Peretola. Ah, ecco, perché! Cherchez le football. Stai a vedere che il fronte anti fi-renziano che spesso ha saldato le posizioni dei sindaci di Campi, Sesto e — talvolta — Scandicci ha una comune matrice bianconera: hinterland? No, juveland. Stai a vedere che zitti zitti, la manifattura Richard Ginori di Doccia finisce la rivogano a John Elkann, e comincia a produrre scudetti di porcellana. Mentre a Scandicci commissionano a Igor Mitoraj un faccione commemorativo di Luciano Moggi da piazzare nella principale piazza cittadina, sotto una pensilina high tech di sir Richard Rogers, composta di 120 arbitri in tungsteno stilizzati, sovrapposti, in posizione prona, uno sull'altro.

Quanto a Peretola, la meglio genìa stampata da Cristo — Chini ne è certo — dovrà rinunciare a vedere l'aeroporto Amerigo Vespucci trasformato in un aeroporto vero, donde, così come il grande navigatore salpò per il Nuovo Mondo, possan salpare un giorno le flotte aeree più grandi e importanti... E chi non salpa, bianconero è! è!

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L'opinione

Tra i peggiori non c'è solo Cellino

Giancarlo Dotto

In questo andazzo da fine del mondo non c’è niente di meglio che essere apocalittici da Miami Beach , magari al fondo di un happy hour prolungato e travestirsi da Masaniello che arringa in bermuda e bandana a folle immaginarie su stadi fantasma e partite ingiocabili. Il Cellino che, dal suo eremo con vista su Pamela Anderson, spedisce proclami ottocenteschi, intrisi di romanticismo sovversivo e quella vena mai dormiente di separatismo isolano, fa quasi tenerezza. Voglio dire, ha combinato un casino mai visto, ha eccitato a sangue gli opinionisti della domenica, costretti se non a rimestare il tristo brodino della pax televisiva tra Pippo e Max, ha fatto inca**are Beretta e persino Abete, ha sturato l’ultimo show orale di Lotito, che a quanto mi risulta continua ancora a telecamere spente. Ma è in fondo solo il crepuscolo di un ragazzo che annusa l’odore acre dei sessanta, di cui venti da presidente del suo Cagliari, sempre più incline a confondere la vita e il calcio in quanto vita con il gioco, in attesa di trovare un ingaggio in qualche band della Florida come chitarra elettrica al seguito.

Imperdonabile è il Cellino del giorno dopo. Quello che, invece di estremizzare il delirio o giustificarlo in qualunque modo, vedi un certificato medico o una giustificazione da Rimbaud, prova goffamente a spiegarlo e, non riuscendoci, si avventa sull’unica risorsa che gli resta, l’invettiva a buon mercato. “Avvoltoi” sarebbero la Roma e Baldini in quanto Roma solo perché si trovano, inconsapevoli, senza volerlo e soprattutto senza capirlo, nell’inerzia di un’anomalia unica nel mondo del calcio, svegliati all’alba dalla notizia che la partita non si giocava perché Cellino da Miamo lo aveva di fatto deciso e rispediti a casa col primo aereo. Da abecedario della Giustizia sportiva la sconfitta a tavolino, Roma o non Roma. Quello del giorno dopo è il Cellino peggiore, il bambino che la fa grossa e, dopo averla fatta grossa, la mette nel ventilatore perché il tanto peggio sia il tanto meglio.

In tutto ciò non si sa, anzi, si sa benissimo, se fa più stizza il Cellino furioso alla sua ultima spiaggia o le mummificate grisaglie sparse tra Federazione, Lega e Parlamento che questa anomalia hanno generato e ora se ne fanno scherno in queste ore, lapidandola con pietre da restituire al mittente. Spettatori drammaticamente passivi della vergogna che “non li rigurarda”, le terribili e regressive sorti del nostro, del loro calcio. A cominciare dagli stadi italiani, prima stuprati poi desertificati. Una vergogna di cui non sanno nemmeno arrossire.

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Il Cellino peggiore e chi è peggio di lui

Giancarlo Dotto - Corsport - 25-09-2012

In questo andazzo da fine del mondo non c’è niente di meglio che essere apocalittici da Miami Beach , magari al fondo di un happy hour prolungato e travestirsi da Masaniello che arringa in bermuda e bandana a folle immaginarie su stadi fantasma e partite ingiocabili. Il Cellino che, dal suo eremo con vista su Pamela Anderson, spedisce proclami ottocenteschi, intrisi di romanticismo sovversivo e quella vena mai dormiente di separatismo isolano, fa quasi tenerezza. Voglio dire, ha combinato un casino mai visto, ha eccitato a sangue gli opinionisti della domenica, costretti se non a rimestare il tristo brodino della pax televisiva tra Pippo e Max, ha fatto inca**are Beretta e persino Abete, ha sturato l’ultimo show orale di Lotito, che a quanto mi risulta continua ancora a telecamere spente. Ma è in fondo solo il crepuscolo di un ragazzo che annusa l’odore acre dei sessanta, di cui venti da presidente del suo Cagliari, sempre più incline a confondere la vita e il calcio in quanto vita con il gioco, in attesa di trovare un ingaggio in qualche band della Florida come chitarra elettrica al seguito.

Imperdonabile è il Cellino del giorno dopo. Quello che, invece di estremizzare il delirio o giustificarlo in qualunque modo, vedi un certificato medico o una giustificazione da Rimbaud, prova goffamente a spiegarlo e, non riuscendoci, si avventa sull’unica risorsa che gli resta, l’invettiva a buon mercato. “Avvoltoi” sarebbero la Roma e Baldini in quanto Roma solo perché si trovano, inconsapevoli, senza volerlo e soprattutto senza capirlo, nell’inerzia di un’anomalia unica nel mondo del calcio, svegliati all’alba dalla notizia che la partita non si giocava perché Cellino da Miamo lo aveva di fatto deciso e rispediti a casa col primo aereo. Da abecedario della Giustizia sportiva la sconfitta a tavolino, Roma o non Roma. Quello del giorno dopo è il Cellino peggiore, il bambino che la fa grossa e, dopo averla fatta grossa, la mette nel ventilatore perché il tanto peggio sia il tanto meglio.

In tutto ciò non si sa, anzi, si sa benissimo, se fa più stizza il Cellino furioso alla sua ultima spiaggia o le mummificate grisaglie sparse tra Federazione, Lega e Parlamento che questa anomalia hanno generato e ora se ne fanno scherno in queste ore, lapidandola con pietre da restituire al mittente. Spettatori drammaticamente passivi della vergogna che “non li rigurarda”, le terribili e regressive sorti del nostro, del loro calcio. A cominciare dagli stadi italiani, prima stuprati poi desertificati. Una vergogna di cui non sanno nemmeno arrossire.

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CAOS CALMO CELLINO

L'UOMO SUL TERRAZZO CHE CANCELLA LE PARTITE

Gabriele Romagnoli La Repubblica - 25-09-2012

Se Berlusconi avesse il mare sarebbe un piccolo Cellino. Dev’essere il riflesso del sole sull’acqua davanti a Miami, dove il presidente del Cagliari svacanza. Dev’essere una gibigiana che acceca e toglie per un attimo la connessione con la realtà.

Poi, ci sono attimi che durano una vita. E non ne esci più. Eppure qualche volta esageri ancora. Parola d’ordine della scorsa giornata: «Ho evitato il caos». Roba da far venire giù la curva, se già non fosse pericolante. Tutti in piedi, standing ovation per l’uomo che ha ridefinito il concetto di autogol: tre in un sol colpo. Caos Calmo Cellino contro tutti. In ordine alfabetico: Abete, Baldini, Balsamo (prefetto di Cagliari), Beretta, la logica, la lingua italiana, tutti noi. Perché ci dev’essere pure un punto di non ritorno, un momento in cui smettiamo di considerare folkloristico l’assurdo, non scambiamo un buon titolo con il senso delle cose, ne abbiamo abbastanza di ascoltare e non guardare. Perché esiste ancora un confine tra la politica e il calcio.

La politica è arte del niente, praticata da saltimbanchi che incitano alla rivolta una piazza poi dicono: «Ho dovuto trattenerli». È evocazione 4 di principi che non vengono praticati, iscrizione all'albo dei nemici di chiunque dica: «E tuttavia». Un gran rumore di fondo, un turbinar di formazioni rifatte e maglie scambiate senza che molto accada. Il calcio è l’opposto. Dovrebbe esserlo. Una forma di residua certezza. Si gioca, chi segna più gol vince, si va a casa. Poi ci si mette la genìa dei Cellino e accade che non si giochi, si vinca o perda senza segnare e si resti a casa. Lui no, lui è in Florida per motivi di salute. O meglio, parole sue: «È nella melma, non soltanto per le medicine che sta prendendo». Si affacciano nella mente le paludi delle Everglades, alligatori che avanzano silenti fra le canne, una canoa che scivola incontro al suo destino, trasportando un uomo che getta a mare pillole e flaconi al grido: «Non voglio compassione!». Per una volta accontentiamolo, Caos Calmo Cellino. E diciamoglielo, è vero, non è lui «la vergogna del calcio», è semplicemente la sua negazione. Come altro definire l’uomo che cancellò una partita? È la versione arricchita e peggiorata dei nostri incubi bambini: il pallone finiva sul terrazzo di quello a cui dava fastidio la nostra allegria, la sua porta finestra si schiudeva, una mano appariva, la palla spariva, sul resto del pomeriggio calava il silenzio.

Il cancellatore di partite rientrava in casa, rideva da solo, soddisfatto, poi prendeva carta e penna e scriveva una lettera al quotidiano locale contro la decadenza dei costumi, l’amoralità dei giovani e, indovina, la perdita dei principii. Diceva più o meno così: «La società (Cagliari calcio) comprende i suoi principii pur non condividendoli, perché chi spera di avvantaggiarsi delle disgrazie altrui non può essere contraddistinto come tale». Punto. Due punti. E virgola. Poi a capo, crepi l’avarizia, partiam di congiuntivo: «Se così fosse, a quel tipo di uomo di principii, il suo più appropriato stemma sarebbe quello dell’avvoltoio». Se uno dei tre Gialappa's è capace di sottotitolare alzi la mano. Cellino parla e ragiona in un modo tutto suo. Anni fa annunciò che voleva comprarsi il West Ham, offrendo 75 ilioni di euro. Nessuno ha mai capito perché non li investisse in un Cagliari da scudetto, avendoli. Poi fece sapere che stava preparando un documento storico, capace di dare al calcio il colpo di grazia o rigenerarlo.

E noi, che all’appuntamento con la storia andiamo con il vestito buono, siamo ancora qui con il nodo windsor alla cravatta e la pochette in tinta, ma nessuno è venuto a prenderci per accompagnarci alla svolta. Con tutta la nostra ingenuità, verso il tramonto ci è venuto il sospetto che ci stessero facendo fessi. La stessa sensazione l’abbiamo venuta leggendo l’intervista rilasciata ieri da Caos Calmo all’Unione Sarda, dove sostiene: «Mi diano anche un tre a zero a tavolino, non m’importa: meglio andare in prigione da innocente che da colpevole». C’è una differenza, che pochi presidenti (di calcio e non) sembrano conoscere, tra l’innocenza e l’autoassoluzione. E, direbbe Boskov, colpevole è chi tribunale condanna. Nel caso di Cellino, due volte: per reati patrimoniali. Più questo tre a zero a tavolino. Lui l’aveva detto: «Non spero di farla franca». E per una volta, mi consenta, tutti d’accordo: io speriamo che non se la cavi.

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Almeyda

UNA VITA AL LIMITE

E' un successo editoriale in Argentina l'autobiografia del tecnico del River. Che si racconta senza sconti dagli anni di Parma (tra litigic ocn tanzi, minacce da horror, strane flebo e partite accomodate) e quando all'Inter cadde in coma etilico, da quel "tango" con Davids alle "pillole della bontà"

Martin Mazur - EXTRATIME - Gasport -26-09 -2012

BUENOS AIRES - Per molti allenatori una settimana sul filo dell’esonero sarebbe uno stress. Matias Almeyda è diverso: sorride e sostenuto dalla conferma di Passarella dice che non si dimette, anche se dopo la sconfitta di domenica, la seconda consecutiva, il suo River è penultimo nella classifica retrocessione. Allo stress, e alle sue conseguenze, El Pelado del resto ha fatto il callo.Ha da poco presentato Almeyda, Anima e Vita, 300 e più pagine di rivelazioni sulla sua carriera. «Una autobiografia in cui mi mostro come sono, trasparente», dice. Per confessioni come queste.

Alcol «Per tutta la carriera ho fumato dieci sigarette al giorno. Anche l’alcol è stato un problema. Bruciavo tutto negli allenamenti, ma vivevo al limite. Una volta ad Azul, il mio paese, ho bevuto cinque litri di vino, come fosse CocaCola, e sono finito in una specie di coma etilico. Per smaltire, ho corso per cinque chilometri, finché ho visto il sole che girava. Un dottore mi ha fatto 5 ore di flebo. Sarebbe stato uno scandalo, all’epoca giocavo nell’Inter. Quando mi sono svegliato e ho visto tutta la mia famiglia intorno al letto, ho pensato che fosse il mio funerale».

L’indio «Alla Lazio si è visto l’Almeyda migliore. Ero tra i più bassi, quindi ho allestito una palestra a casa per rinforzarmi, tiravo anche di boxe. Là mi sono fatto tatuare l’indio sul braccio: la mia bisnonna lo era. Andavo all’allenamento con i jeans a pezzi, a volte senza maglietta, con una striscia a legare i capelli lunghissimi: pensavano che fossi proprio un indio. Una giorno mi sono vestito come un gaucho».

I guardaspalle «Una volta al Parma ho lasciato lo stadio nel baule della macchina dei miei suoceri. C’erano 20 ultrà che mi aspettavano per un gestaccio che avevo fatto. In realtà era stato solo uno sguardo, ma di sfida, dopo che mi avevano urlato qualcosa. Avevo fatto amicizia con un gruppo di rugbisti argentini, che per la gara successiva mi hanno accompagnato al Tardini. Un ultrà grande e grosso mi ha fermato con la pancia: "Devi chiedere scusa ai tifosi". "Non chiederò scusa per qualcosa che non ho fatto", ho risposto sapendo che i miei amici erano pronti a intervenire».

La mano «Dopo che avevo litigato con Stefano Tanzi, una volta mi ferma la polizia e mi sequestra la macchina. Giorni dopo, mi sono svegliato e la macchina nuova era sparita dal garage. A Milosevic, lui pure in conflitto con la società e con un contratto altocome il mio, capitava lo stesso. Un giorno mia moglie torna a casa e sente delle voci all’interno. Scappa e chiama la polizia. A casa poi non mancava niente. Ma c’era una manata sulla parete. Fatta con olio di macchina. Un messaggio mafioso. Mia moglie ha avuto un parto prematuro. Dopo il Mondiale ’02 a Parma non sono più tornato».

Adani e Mancini «Lele è la mia anima gemella. Ci siamo conosciuti quando io iniziavo a stancarmi dal sistema. Lo considero il fratello che mi ha dato la vita. È venuto a vedere il River e un giorno lavoreremo insieme in Italia. Anche con Roberto ho ancora un buon rapporto. È un fuoriclasse, ma correvo io per tutti e due. Glielo dico sempre: "Mi hai distrutto il fegato, da quanto mi hai fatto correre" ».

Vitamine? «Al Parma ci facevano una flebo prima delle partite. Dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato».

Favori «Sul finire del campionato 2000-01, alcuni compagni del Parma ci hanno detto che i giocatori della Roma volevano che noi perdessimo la partita. Che siccome non giocavamo per nessun obiettivo, era uguale. Io ho detto di no. Sensini, lo stesso. La maggioranza ha risposto così. Ma in campo ho visto che alcuni non correvano come sempre. Allora ho chiesto la sostituzione e me ne sono andato in spogliatoio. Soldi? Nonlo so. Loro lo definivano un favore...».

Davids «Era l’avversario che mi piaceva di più. Lui mi dava una botta e io mi alzavo senza dire nulla. Io gli davo una botta e lui si alzava senza dire nulla. Lui a sinistra, io a destra: ci scontravamo sempre. Una guerra. Una volta in un’intervista esposi il mio modo di pensare. Prima della gara successiva Davids mi è venuto incontro. Ho pensato che era arrivato il momentodi fare a pugni, invece lui mi ha stretto lamano e mi ha detto: "Bravo, la penso esattamente come te". Avremmo potuto diventare amici».

Depressione «È iniziata a Milano. Due infortuni, troppo tempo senza giocare. Pensavo e pensavo. Un giorno non sentivo più la mano, quello dopo avevo perso la sensibilità nella metà del corpo. All’Inter c’era una psicologa. Mi diagnosticò attacchi di panico e prescritto una cura, ma non le ho dato retta. Ho capito che dovevo fare qualcosa quando mia figlia mi ha disegnato come un leone triste e stanco. Da allora tutti i giorni prendo antidepressivi e ansiolitici. Le chiamo le pillole della bontà, mi fanno essere più buono.

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Almeyda

UNA VITA AL LIMITE

Martin Mazur - EXTRATIME - Gasport -26-09 -2012

[...]

Vitamine? «Al Parma ci facevano una flebo prima delle partite. Dicevano che era un composto di vitamine, ma prima di entrare in campo ero capace di saltare fino al soffitto. Il calciatore non fa domande, ma poi, con gli anni, ci sono casi di ex calciatori morti per problemi al cuore, che soffrono di problemi muscolari e altro. Penso che sia la conseguenza delle cose che gli hanno dato».

Favori «Sul finire del campionato 2000-01, alcuni compagni del Parma ci hanno detto che i giocatori della Roma volevano che noi perdessimo la partita. Che siccome non giocavamo per nessun obiettivo, era uguale. Io ho detto di no. Sensini, lo stesso. La maggioranza ha risposto così. Ma in campo ho visto che alcuni non correvano come sempre. Allora ho chiesto la sostituzione e me ne sono andato in spogliatoio. Soldi? Nonlo so. Loro lo definivano un favore...».

[...]

Diego Borinsky

Alma y vida

Almeyda - Biografía autorizada

Obra, pensamiento y milagros de un idealista

Capitulo 32

ALTA SUCIEDAD

"En el Parma nos dabam un suero, inyectable,

antes del partido. Pegábamos unos saltos hasta

el techo, unos saltos que nunca habíamos pegado".

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la Repubblica 26-09-2012

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IL PROCESSO TELECOM L’INVESTIGATORE PRIVATO CONFERMA

LE RIVELAZIONI DI TAVAROLI E AGGIUNGE NUOVI PARTICOLARI

Cipriani e i dossier illegali: «Spiata pure la Gea»

«Mi dissero che De Santis era prezzolato e di scoprire se aveva rapporti col patron della Reggina»

Il legale dell'ex arbitro: «È come se quelle investigazioni abbiano messo le basi di Calciopoli»

di MARCO IARIA (GaSport 27-09-2012)

«Spiavamo pure la Gea». Emanuele Cipriani, l'investigatore privato imputato al processo Telecom, aggiunge un altro tassello al mosaico dei dossier calcistici. Durante il controesame, nell'aula bunker di San Vittore, il titolare della Polis d'Istinto ha parlato diffusamente dell'operazione Ladroni, che secondo quanto aveva affermato nelle udienze precedenti Giuliano Tavaroli, ex capo della sicurezza di Telecom e Pirelli, «mi fu commissionato da Massimo Moratti e poi lo gestii con Giacinto Facchetti».

Genesi Anno 2003: dalle rivelazioni dell'arbitro Nucini a Facchetti sull'esistenza della «combriccola romana» parte l'attività di investigazione che coinvolge soprattutto Massimo De Santis. Tavaroli spiegherà: «Bisognava trovare conferma alle notizie su possibili frodi sportive». Dare sostanza, insomma, ai sospetti sul sistema di condizionamento arbitrale in capo a Luciano Moggi, all'epoca d.g. della Juventus. Ieri Cipriani ha confermato le ammissioni di Tavaroli (che ha già patteggiato 4 anni) e ha fornito ulteriori particolari: «Ricevetti l'incarico da Tavaroli il quale teneva i contatti con Moratti e mi disse di effettuare una due diligence (analisi contabile, ndr) su De Santis. Facemmo pedinamenti per capire chi incontrava e per scoprire se avesse rapporti col presidente di una società di calcio calabrese, mi pare la Reggina. Mi fu chiesto se De Santis avesse un tenore di vita superiore alle sue possibilità, visto che, come mi dissero, "era una persona prezzolata": dalle indagini patrimoniali, estese al nucleo familiare, non rilevai però nulla di anomalo».

Altri nomi Cipriani non sa quale fosse l'obiettivo del committente, però ricorda che «alle riunioni di aggiornamento che tenevamo settimanalmente mi venivano forniti altri nomi che intuivo arrivassero da possibilità interne a Telecom, anche attraverso controlli telefonici». Lo spionaggio si estese alla Gea World, la società di procuratori di Alessandro Moggi, in particolare con «analisi sui bilanci e a livello patrimoniale». Per il pagamento del dossier Ladroni (50 mila euro) Cipriani emise due fatture, datate 2003, a carico di Pirelli. Perché non l'Inter? «Tavaroli mi disse di fatturare a Pirelli che era lo sponsor principale dell'Inter e che poi forse ci sarebbe stata una partita di giro. Utilizzai la mia società inglese Wcs perché l'operazione era estremamente riservata». Menzionando la Gea Cipriani ha confermato quanto riferì in aula la dipendente Telecom Caterina Plateo, incaricata di appuntare le telefonate «in entrata e in uscita delle utenze intestate a Figc, Ceniccola (ex guardalinee, ndr), Juventus e Gea». Quella stessa Gea finita successivamente sotto processo a Roma, con Moggi padre e figlio condannati in appello per violenza privata (pressioni esercitate al fine di acquisire le procure dei calciatori).

Risvolti «È come se Tavaroli, Cipriani e chi ha commissionato loro le indagini private abbiano messo le basi su Calciopoli e il processo Gea», commenta Paolo Gallinelli, avvocato di De Santis, che ha fatto causa all'Inter per risarcimento danni (24 ottobre prossima udienza). Anche Luciano Moggi, ieri presente al processo, sta meditando di citare il club nerazzurro in sede civile.

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Così l'Inter ha fatto spiare Giraudo e Moggi»

E' la dichiarazione giurata dell'ex investigatore Cipriani, imputato a Milano nel processo Telecom

IL PROCESSO TELECOM LE RIVELAZIONI

«Cosi l'Inter spiava la Juve»

CIPRIANI «Commissionati dossier su Moggi, Giraudo, Foti, De Santis e sulla Gea»

L'ex dg: «Pazzesco, seguivano me e la mia famiglia». Le indagini della Polis d'Istinto ricalcano quelle che hanno portato a Calciopoli

GUIDO VACIAGO - Tuttosport -27-09-2012

L'Inter, tra il 2002 e il 2003, aveva commissionato indagini illegali su Luciano Moggi, Antonio Giraudo, l'arbitro De Santis, la Gea World di Alessandro Moggi e Pasquale Foti, il presidente della Reggina. La novità è l'aggiunta della Gea e di Foti nel carnet degli spiati, la definizione di dettagli tecnici relativi ad alcune di queste indagini che si sono spinte fino agli appostamenti sotto casa e ai controllo dei conti bancari dei famigliari.

LE RADICI Resta, quindi, solo il gusto di scoprire cosa succedeva prima di Calciopoli. O, come sostiene l'avvocato Paolo Gallinelli (legale di De Santis) «le radici stesse di Calciopoli». Perché le indagini illegali condotte dalla Polis d'Istinto, la società di Cipriani, ricalcano in modo singolare quelle che, due anni dopo, hanno portato all'inchiesta di Napoli e al relativo processo. «E come se qui si fossero riciclate non solo teorie accusatorie, ma anche meccanismi investigativi e prove», spiega Gallinelli. In questo senso, sembra quasi un colpo di scena da spystory la scoperta, di qualche mese fa, che uno dei computer di Giuliano Tavaroli (l'ex capo della security di Pirelli e di Telecom il deus ex machina dell'attività di dossieraggio della Telecom al centro dell'omonimo processo) fu ispezionato, nel 2005, proprio dal nucleo operativo dei Carabinieri di via Inselci a Roma, lo stesso nucleo che si occupava delle indagini di Calciopoli e che, apparentemente, non aveva ragioni per ispezionare quel pc. «Insomma, mi sembra chiaro che l'inchiesta di Calciopoli è nata prima del 2004, quando ufficialmente fu aperta da Narducci. E certamente non è nata in modo legale», chiosa Gallinelli.

SETTIMANALI Ieri in aula c'era anche Luciano Moggi, spinto a Milano dalla curiosità di sentire come e in che modo veniva spiato. Ne è uscito contrariato: «E' pazzesco, spiavano me e la mia famiglia. Ci controllavano i telefoni, pedinavano persone. Calciopoli è nata a Milano, ispirata dall'Inter. Tenevano tutti sotto controllo», commenta al telefono l'ex dg della Juventus, che avanzerà una richiesta di danni all'Inter, esattamente come hanno fatto Vieri (che ha ottenuto un milione) e De Santis che discuterà il prossimo 24 ottobre. E il «controllo» che irrita Moggi, era piuttosto fitto. Cipriani ha infatti spiegato in aula che Tavaroli e i suoi committenti «pretendevano aggiornamenti settimanali, durante i quali venivano incrociati i dati in mio possesso con i dati telefonici che penso venissero direttamente da Telecom». I dossier, quindi, venivano costruiti con le indagini svolte da Cipriani che, per tutto quello che riguardava i traffici telefonici, sfruttava la compagnia telefonica di Tronchetti Provera. Anche sulla fatturazione di questi lavori Cipriani ha confermato quanto era stato già spiegato da Tavaroli, che per primo in aula qualche mese fa, aveva parlato di come avesse messo in contatto Moratti, Facchetti e Cipriani per le indagini su Vieri, prima, De Santis, Moggi, Gea e Foti, dopo. «Mi dissero di fatturare a Pirelli per ragioni di riservatezza. In sostanza non doveva comparire l'Inter», ha ribadito Cipriani ieri nell'aula bunker di San Vittore.

AMMISSIONI Le indagini su De Santis e Vieri, non quelle sui dirigenti della Juventus e sulla Gea, Massimo Moratti le aveva menzionate in diverse interviste, dando una versione differente da quella di Tavaroli e Cipriani: «Un tizio si offrì di farlo. Era in contatto con persone del ministero presso il quale aveva lavorato De Santis. Potevano offrirci delle informazioni. Risultato: zero su tutta la linea», disse per esempio a Roberto Beccantini della Stampa. E sui dossier venne anche interrogato, nell'ottobre del 2006 dall'allora capo dell'ufficio indagini Francesco Saverio Borrelli, al quale Moratti rispose: «Di queste cose se ne occupava Giacinto Facchetti». Il processo Telecom sta ricostruendo una verità diversa che meriterebbe una riflessione anche da parte delle istituzioni sportive, al netto di quanto accaduto dopo. Al netto, cioè, delle condanne (quelle penali solamente in primo grado) di Calciopoli. E, nel giorno in cui fa scalpore la deposizione di Cipriani, vale la pena ricordare la deposizione di Caterina Plateo dipendente Telecom e segretaria di Adamo Bov , quando gli mostrarono i tabulati telefonici dei dossier calcistici: «La documentazione che mi mostrate è relativa agli sviluppi del traffico in entrata e in uscita su utenze telefoniche intestate a Federazione gioco calcio (i telefoni dei designatori arbitrali, ndr), Ceniccola, Football Management, Juventus F.C., Gea World. Mi sono stati richiesti come al solito da Adamo Bove in data 11-2-2003 e dopo la mia elaborazione sono allo stesso stati consegnati. Non so che uso ne abbia fatto». Fra il 2002 e il 2003 cera chi spiava una bella fetta di calcio italiano e non lo faceva nei limiti della legge.

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L'INNOVAZIONE • Dai deficit alle sanzioni, viaggio all'interno del sistema di controllo dei bilanci ideato dal presidente dell'Uefa

Le regole di re Michel

Fair play finanziario un anno dopo: Platini fa i primi conti

I 47 milioni spesi dal Psg già costituiscono l'eccezione

BENEDETTO SACCA - Il Messaggero -27-09-2012

Il Paris Saint-Germain ha dominato l’estate. E ha allarmato l’Europa. Il club francese ha speso 147 milioni di euro soltanto nell’ultima sessione del calciomercato. Un’enormità. La maggior parte delle società europee non ha gradito il comportamento, e ha richiamato il Psg al rispetto delle norme del fair play finanziario. Un’innovazione che rivoluzionerà il mondo del pallone sotto il profilo economico.

Che cosa è. Il nome «fair play finanziario» può spaventare. Niente di incomprensibile. Si tratta di una serie di regole che disciplina il modo di gestire i soldi all’interno delle società. Il principio del sistema è uno: i club non possono spendere più di quanto incassano. La Uefa ha ideato il fair play per ridurre i debiti che schiacciano le società, considerando che il passivo del calcio europeo è stato di 1,7 miliardi di euro nel 2011. Il presidente Platini ha affidato l’allestimento del regolamento al segretario generale Infantino e al dirigente Traverso.

Come funziona. Il fair play non vigila sui debiti totali dei club, ma misura il deficit; vale a dire la differenza che si crea tra i ricavi e le spese. Se le perdite si riducono, allora pure il debito non cresce. Il percorso prevede alcune scadenze cui i club dovranno attenersi per raggiungere il pareggio del bilancio. La Uefa ha diviso le stagioni che intercorrono fra il 2011 e il 2018 in sei gruppi sovrapposti. Il primo è biennale, e comprende le annate 2011/2012 e 2012/2013, mentre i seguenti cinque saranno triennali: uno comprenderà il 2012, il 2013 e il 2014; un altro il 2013, il 2014 e il 2015; un quarto il 2014, il 2015 e il 2016; il quinto il 2015, il 2016 e il 2017; l’ultimo le tre stagioni successive al 2016. Un anno dopo la fine di ogni biennio o triennio, la Uefa svolgerà i controlli sui deficit. E infliggerà le sanzioni.

I deficit. Nel biennio iniziale, i club non dovranno accumulare un deficit complessivo superiore ai 45 milioni di euro: il disavanzo medio concesso sarà dunque di 22,5 milioni per ciascuna annata. Lo scenario dei 45 milioni di deficit massimo si ripeterà nel triennio 2012-2014 durante il quale i club potranno mediamente perdere 15 milioni per anno. Il disavanzo consentito scenderà a 30 milioni nei tre trienni contemplati fra il 2013 e il 2017. E dovrà raggiungerà la quota dei 5 milioni a partire dal 2017.

Le sanzioni. L’Organo Uefa per il controllo finanziario analizzerà i conti delle società un anno dopo la conclusione di ciascun ciclo. Un margine di cinque milioni sarà sempre tollerato. E alcuni costi saranno esclusi dai bilanci: le spese per i vivai, per la costruzione degli stadi, per gli ingaggi dei giovani, per le infrastrutture e per le iniziative sociali soprattutto. La Uefa ha comunque lasciato uno spiraglio ai club in difficoltà: le donazioni e gli aumenti del capitale volti a diminuire o a azzerare le passività saranno permessi. I prestiti no. E pure la tendenza dei conti sarà valutata. Le punizioni saranno di dieci tipi: la Uefa potrà emettere avvisi e reprimende oltre che applicare multe, penalizzazioni di punti, trattenute di premi, divieto di iscrizione dei giocatori ai tornei, riduzione dei calciatori nelle liste Uefa, squalifiche dalle competizioni, esclusioni dalle manifestazioni future, e revoche dei titoli. Le sanzioni legate alla stagione in corso saranno comminate durante la primavera del 2014. Il fair play è già a regime.

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Ecco la legge sugli stadi

ma al Senato nascono dubbi

Fulvio Bianchi - Spy Calcio - 27-09-2012

La legge sugli stadi rischia di diventare un alibi, se non lo è già. La Juventus insegna: volendo, si può fare da soli un proprio impianto, che porta enormi benefici, senza aspettare i politici che sono velocissimi nella richiesta di biglietti omaggio ma molto meno interessati quando devono approvare una legge a favore del calcio. Meglio quindi che i club incomincino a muoversi da soli: il Cagliari lo sta facendo con Is Arenas (anche se Cellino ha commesso un errore gravissimo), altri club (Inter, Udinese, Napoli, Palermo, ecc.) stanno studiando come muoversi. A Firenze il vicesindaco, Dario Nardella, aspetta una "proposta dai privati": i Della Valle, da anni, sognano un loro impianto. Poi, quando e se, arriverà questa legge allora i processi di sviluppo potranno accelerarsi. Ma una cosa va detta, tanto per chiarire: non c'è un euro di spesa pubblica. Chi ricorda le vergogne e gli errori del passato (vedi, ad esempio, Italia '90) non si deve preoccupare. Anche se, come vedremo, più avanti, è sempre meglio tenere gli occhi aperti perché i furbetti del quartierino sono sempre in agguato. Ma intanto il disegno di legge rimbalza dal Senato alla Camera. E' stato approvato dalla VII commissione del Senato il lontano 7 ottobre 2009. Sembrava tutto fatto. Macché: il testo si è impantanato alla Camera, alla VII commissione (cultura e sport). Emendamenti su emendamenti, alla fine il testo è stato faticosamente modificato il 12 luglio di quest'anno e ora è tornato al Senato per l'approvazione definitiva. Ma attenzione: sono già previsti emendamenti da presentare in commissione e se il testo viene modificato in maniera sensibile (non a tutti d'altronde piace com'è) torna alla Camera, e addio, lì finisce tutto. Altrimenti, prima del termine di questa legislatura, il ddl viene approvato in sede legislativa, senza passare dall'aula. Allora, sì che i giochi sarebbero fatti. Ma vediamo cosa prevede questo disegno di legge che si intitola "Disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi anche a sostegno della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale". Lasciamo perdere il discorso delle candidature, con l'aria che tira non è proprio il caso.

La legge prevede che, oltre all'impianto sportivo, sia previsto "ogni altro insediamento ritenuto necessario e inscindibile, purché congruo e proporzionato ai fini del complessivo equilibrio economico e finanziario della costruzione e gestione del complesso multifunzionale medesimo". Insomma, niente speculazioni, tipo lo stadio da una parte e i mini-appartamenti dall'altra? Bisogna vigilare e non poco, visto certi personaggi che girano sovente nel mondo del calcio. Ma chi vigila? Chi decide? "L'individuazione delle aree deve essere supportata, con onori a cura del soggetto proponente (la società di calcio o il Comune, ndr), da uno studio di fattibilità, comprensivo delle valutazioni di ordine sociale, ambientale e infrastrutturale, degli impianti paesaggistici e delle esigenze, nonché del piano finanziario con le indicazioni delle eventuali risorse pubbliche e degli eventuali finanziamenti per la sua predisposizione". Il Comune ha novanta giorni per decidere se dare il via libera: la parola passa poi alla conferenza dei servizi. E' spiegato comunque che saranno acquisiti "i pareri e gli altri atti di assenso delle autorità competenti alla tutela dei vincoli archeologici, architettonici, idreogeoligici, paesaggistici e storico-artistici...". Insomma, ci sono le massime garanzie che non si costruisce dove non si può, non si deve, costruire? Una norma prevede che il Comune può "prevedere la possibilità di un ampliamento edificatorio delle cubature che già insistono sull'area interessata in modo da garantire l'equilibrio economico-finanziario della gestione dell'impianto sportivo o del complesso multifunzionale e la loro redittività". Speriamo in bene. C'è anche il problema delle infrastrutture (strade, metro, bus, eccetera): chi se ne occupa? I Comuni che non hanno soldi? Bisogna stare molto attenti nello scegliere aree idonee. Insomma, un problema molto complesso. La Juve è stata facilitata perché ha ristrutturato uno stadio già esistente, il Delle Alpi, costruito (male) per i Mondiali '90. Secondo i deputati che hanno licenziato il testo con un accordo bipartisan non ci sono problemi di (eventuali) speculazioni, ma al Senato, in alcuni partiti, sono nati i primi dubbi. Molti club stanno intanto aspettando, soprattutto la Roma made in Italy: il terreno individuato è quello di Tor di Valle, ma bisognerà attendere almeno la prossima primavera, quando ci saranno le elezioni comunali. Gli americani ci tengono molto al nuovo impianto, così come Claudio Lotito. Ma è presto per cantare vittoria. La parola passa adesso ai senatori.

Consiglio Figc: riforma campionati o fallimenti?

Domani consiglio federale della Figc: si discute di riforma dei campionati. Quantomai urgente. Troppi club che scompaiono, troppe penalizzazioni per mancati stipendi. Se passa il progetto dal 2014 la Lega Pro avrà un'unica divisione (60 squadre, tre gironi) mentre la prossima stagione sarà come quella attuale (69 club). Certo, se verrà raggiunto l'organico e non ci saranno altri fallimenti. Perché la situazione è drammatica: in una riunione tenuta dall'Aic (sindacato calciatori) i capitani dei club di Lega Pro hanno detto che non se c'è la riforma la prossima stagione si arriverà a quaranta società. Le altre non riusciranno ad iscriversi. Domani lo scontro sarà proprio fra Mario Macalli, n.1 della Lega Pro, e Damiano Tommasi, presidente del sindacato calciatori. Anche la Lega di B, con Andrea Abodi, è pronta a scendere da 22 a 20 club. Così non si può più andare avanti: ma se non trovano l'accordo la riforma slitta al 2015...

Di Rocco n.1 dei Paralimpici, Moser al ciclismo?

Tempo di elezioni: Renato Di Rocco, potente presidente della Federciclismo, ora punterà al Cip (comitato italiano paralimpico), se l'attuale presidente, Luca Pancalli, farà il segretario generale del Coni. E alla Federciclo? Girano molti nomi, fra cui quello di Francesco Moser. Il vicepresidente Coni, Agabio, si ricandida per la Federginnastica, ma dovrebbe avere un rivale. Non si ancora invece chi sfiderà Carlo Magri, superpresidente del volley, che però dovrà uscire alla Giunta Coni (come lui anche a Barbone, Ottoz, Antonio Rossi, Agabio e Marchioni). Nella Federpesi, un unico candidato, Antonio Urso. Conferma anche per Romolo Rizzoli, Federbocce (assemblea a gennaio). E Matteo Pellicone, "giovanotto" di 77 anni? In carica dal 1981 alla Kijlkm (Federazione italiana judo lotta karate arti marziali), ha intenzione di ricandidarsi. La sua Federazione è molto cresciuta e ha portato anche medaglie olimpiche. Avrà dei rivali? Fermo intanto il disegno di legge del senatore (Pd) Raffaele Ranucci che prevede un blocco ai mandati: ai politici non interessa.

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da panorama.it

L'odio per Zeman e il ricordo del processo alla Juve di LippiStoria di un procedimento chiuso senza condanna, ma che visse di imbarazzi e 'non so'. Ecco perché Vialli e gli altri non perdonano il boemo27-

Le testimonianze di Conte, Zidane, Ferrara e altri giocatori di Gcapuano

La premessa doverosa è che la Juventus è uscita dai processi scaturiti dalle accuse di Zeman senza alcuna condanna. Assolto l'amministratore delegato Giraudo in tutti i gradi di giudizio, il dottor Agricola venne condannato in primo grado a un anno e 10 mesi per frode sportiva con assoluzione in appello, sentenza che la Cassazione cancellò nella parte che riguardava l'ipotesi di abuso di farmaci chiedendo che si ripetesse il processo d'appello. Ma la prescrizione rese impossibile tornare in aula.

Questo per capire come le parole di Zeman all'Espresso sulla "sbalorditiva esplosione muscolare di alcuni calciatori" con riferimento diretto a Vialli e Del Piero non abbiano portato ad alcuna conseguenza in tribunale o davanti alla giustizia sportiva dopo che il Tas di Losanna aveva sentenziato che "l'uso di sostanze farmacologiche non espressamente proibite dalla legge sportiva, e che non possono essere cosiderate simili a quelle proibite, non può essere sanzionato con provvedimenti disciplinari".

Eppure quel processo celebrato a Torino rimane una ferita aperta per molti ex juventini perché li espose a una gogna mediatica di cui si trova ancora traccia nelle rassegne stampa di quelle udienze. Tanti 'non so' e 'non ricordo' con volti bassi e sguardi persi nel vuoto con una data simbolo, il 21 luglio 2003, quando il giudice Casalbore spazientito fece fatica a trattenersi.

Davanti a lui erano già sfilati Birindelli, Pessotto e Tacchinardi e c'era Conte. "Sento dire tanti 'non so' e 'non ricordo' e adesso sono veramente troppi" sbottò interromendo l'allora capitano della Juventus: "Se venite tutti a dire e non dire è ancora più allarmante. Lo capite? Perché uno dice: perché non dicono? Perché non penserete che se uno viene e dice 'nello spogliatoio non so cosa fanno gli altri' ci si crede ciecamente dopo dieci anni che state insieme... Fate questa cortesia. Un po' di rispetto...". E Conte: "Dopo tanti anni che uno gioca al calcio non è che sta lì a guardare...".

Ecco, parte dell'odio che divide Zeman dagli juventini affonda le radici in quelle giornate passate in tribunale a Torino tra una perizia e l'altra con gli eroi della Juve di Lippi a sfilare tra mille imbarazzi. A Vialli, ad esempio, fu chiesto di tornare perché dopo la prima testimonianza, parlando in un'intervista radiofonica aveva parlato di esistenza di doping consapevole e inconsapevole nel mondo del calcio. 'Da cosa le risulta?' lo aveva incalzato Casalbore. "Siccome leggo i giornali e vedo quelli che sono i risultati dei processi ai giocatori dopati..." la risposta di Vialli che aveva anche sostenuto che avrebbe potuto esserci maggiore collaborazione al processo.

Da parte di chi (Casalbore)? "Quando veniamo qui ci trattate come se avessimo qualcosa da nascondere". Lei è stato trattato male? "No. A me spiace che quando vado negli stadi italiani mi sento dare del drogato invece di ricevere i complimenti per quello che ho fatto". Una maggiore collaborazione a cosa avrebbe portato? "Non lo so... Però non mi sembrate convinti...". Dovremmo esserlo. "Allora ditemi in faccia che non lo siete...".

No, non lo erano anche perché alcuni di quei giocatori-testimoni erano parsi poco propensi a ricordare dettagli fondamentali per ricostruire le abitudini juventine nel quadriennio 1994-1998. Come Montero il quale fu costretto a tornare perché si era "bloccato": "Non mi piace tanta gente" aveva detto al giudice che gli ricordava come l'udienza è pubblica. Che vogliamo fa'? Ci vogliamo trovare da soli così mi fa due confidenze? "Veda lei". Vuole tornare? "Decide lei". Vuole nel senso se pensa di avere delle risposte altrimenti è inutile... "Lei non mi conosce". L'udienza è pubblica. "Lei non sa come sono io".

O, ancora, le contraddizioni tra compagni. Ferrara e Ravanelli che tranquillie nell'ammettere le flebo di vitamine ("Quando si avvicinava la partita... O la domenica mattina o il sabato, qualche volta anche due quando c'erano i viaggi e le partite ravvicinate") e altri, come Roberto Baggio, che negano tutto: "Prima di andare allo stadio? No, assolutamente... Dividevo la camera con qualcuno? Non ricordo. Forse i primi anni perché poi con il fatto che pratico il buddismo stavo sempre da solo per non disturbare").

E la questione-creatina. Presa (Zidane, Ravanelli, Amoruso, Pessotto e Peruzzi lo dicono apertamente) o no? Gli sbalzi di peso, l'uso degli integratori. Pessotto davanti al giudice: "Cosa mi davano? Gatorade... R2... Acqua...". E Casalbore che lo fulmina: "L'acqua senno muore... Se non le danno l'acqua...".

Immagini certamente difficili da cancellare per campioni affermati costretti a difendere l'onore di un quadriennio ricco di vittorie: 2 scudetti, una Champions League, un Mondiale per club, una Supercoppa Uefa e una italiana, una Coppa Italia. Le ombre allungate su quella stagione juventina sono più in quegli sguardi spesso abbassati e nei tanti 'non so' e 'non ricordo' che nelle carte della sentenza. Vialli, Ferrara e gli altri non hanno ancora perdonato Zeman. Ritrovarlo avversario su una panchina pesante come quella della Roma è sale sparso su una ferita che non si rimargina

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