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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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LA STORIA

Cartellino giallo ai genitori

"Se vuoi un campione cambia scuola"

Iniziativa di una scuola calcio a Ponzano, vicino Empoli, contro quei genitori che nei loro figli vedono già Totti e Balotelli

di FABRIZIO BOCCA (Repubblica.it 18-09-2012)

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Dedicato a tutti quelli che in questi giorni di settembre riportano i figli a scuola al mattino. E magari a una scuola calcio il pomeriggio. Riservando a quell’ora e mezzo di corse fra i birilli, dribbling, esercizi col pallone e finalmente partitella, un’attenzione quasi morbosa per il proprio figlio. Soprattutto quando al sabato o alla domenica la partita diventa vera: una delle decine di migliaia di partitine di qualche migliaio di campionatini che ogni settimana si giocano in Italia. Se ogni genitore pensasse che il proprio figlio può diventare un Balotelli (o magari un Verratti o un Insigne), così da arrivare rapidamente a sfondare sulle prime pagine dei giornali sportivi con l’aggettivo di “fenomeno”, da guadagnare un paio di milioni di euro già a vent’anni, da sentire il proprio nome urlato da Caressa & C con le vocali allungate e ululate - “Baaaaloteliiiiiiiii, Paaaaacchiarottiiiiiiii!” – fidanzarsi a tre o quattro veline contemporaneamente e fare l’alba all’Hollywood, staremmo freschi.

Sulla prima pagina del Tirreno di Livorno 1, giornale a me molto caro, campeggia un articolo su una società di Ponzano, vicino Empoli, che ad inizio stagione ha affisso all’ingresso un grande cartellone di un metro e mezzo per un mezzo. “Chi pensa di avere un figlio “campione” è pregato di portarlo in altre società”. E i dirigenti ci sono sono fatti anche una foto sotto. Come a dire, da oggi questo è legge, e chi la pensa diversamente aria.

Non è un tema sconosciuto, anzi, ma ricordarlo a inizio stagione può servire a molto. Il cartellone di Ponzano è un monito serio dedicato a tutti quei genitori che fanno pressioni, che si lamentano, che protestano durante le partite perché il ragazzo non è stato convocato, è in panchina, viene rimproverato o sostituito, che spingono insomma perché il proprio ragazzino venga trattato come un futuro campione. Che spesso solo i loro occhi riescono a vedere, perché magari quel ragazzo un campione non lo sarà, ma ha tutto il diritto comunque di giocare al pallone per divertirsi, per fare sport, per imparare non solo le date delle guerre puniche e il teorema di Pitagora ma anche il rispetto delle regole con la pratica, per maturare nella maniera più giusta e tranquilla. Per giocare a pallone e basta.

A doversi allenare dunque non sono solo i ragazzi ma soprattutto i genitori. Ricordarglielo con un cartello ben visibile significa parlar chiaro e forte a chi da questo orecchio proprio non ci vuole sentire. E’ come ricordare a chi gioca che non si può protestare e soprattutto mandare a quel paese l’arbitro. Pena l’ammonizione o l’espulsione.

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Scandali, calciopoli, crisi economica, errori degli arbitri: così l’area

dei tifosi in tre anni è crollata del 13 per cento e oggi è minoranza

La curva vuota

di ILVO DIAMANTI (la Repubblica 18-09-2012)

La mappa del tifo in Italia sta cambiando in fretta e in modo profondo. Dal punto di vista dell’estensione e dei confini. Lo mostra, con chiarezza, il sondaggio di Demos-Coop presentato oggi nelle pagine di Repubblica.

L’area dei tifosi, in primo luogo, si è ridotta in misura rilevante. Oggi è circa 3 punti meno del 2011 ma oltre 9 rispetto a due anni fa e addirittura 13 rispetto a tre anni fa. Nel 2010, comunque, oltre un italiano su due si diceva tifoso di calcio. Oggi poco più di quattro su dieci. Peraltro, l’unica componente del tifo cresciuta, seppur di poco, è quella più “tiepida”. La “passione italiana” per il calcio, dunque, sembra si stia raffreddando sensibilmente. Ormai da alcuni anni. E oggi non coinvolge più la maggioranza delle persone. Le partite di pallone attraggono ancora un’ampia fetta di persone. Una larga minoranza. Ma, appunto, una “minoranza”. Questo mutamento è stato prodotto e accelerato, in gran parte, dagli scandali che, da anni, corrodono l’ambiente. In modo ripetuto. Senza soluzione di continuità. Ieri Calciopoli, oggi le Scommesse. Domani chissà. Gli scandali, in Italia, non finiscono mai. E non si chiudono mai. Da ciò il clima di incredulità diffusa. In altri termini: gli italiani e gli stessi tifosi, in gran parte, non credono al calcio. Troppo condizionato da interessi (per l’84%). Lo scandalo scommesse: quasi un tifoso su due ritiene si tratti di un caso di giustizia sportiva che non si è risolto in modo giusto. Gli errori arbitrali: al 53% dei tifosi (circa 8 punti più di un anno fa) capita di pensare che avvengano in malafede.

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Troppi scandali. E la crisi economica che ha ridotto le ambizioni

dei club. Così il campionato ha perso appeal. E gli appassionati

italiani, rivela l’indagine Demos, sono ormai una “larga minoranza”.

Sempre pronti, però, a tifare contro

Calcio

La fede è finita

Tra scommesse e squalifiche risulta sempre più difficile “credere” nel sistema del pallone

Aumenta l’ostilità nei confronti di chi vince. E diminuisce la fiducia nella giustizia sportiva

Il Milan conferma la sua popolarità, mentre l’Inter registra un forte calo di affezione

di ILVO DIAMANTI (la Repubblica 18-09-2012)

E si pensa, per questo, a introdurre novità tecnologiche, come la moviola in campo. Tuttavia, dubitiamo che basterebbe. Anche l’introduzione degli arbitri di porta non ha risolto il problema. Il fatto è che il calcio soffre di una crisi di fiducia — o di sfiducia. Agli occhi degli italiani e degli stessi tifosi. E se ieri nonostante tutto, nonostante i sospetti e le polemiche, il “tifo” resisteva, oggi non è più così. La sfiducia ha cominciato a erodere alla base l’edificio della passione per il calcio. Reso più fragile anche dalla crisi economica, che ha ridimensionato la “capacità di spesa” delle società. Comprese quelle tradizionalmente più importanti. L’appeal del nostro campionato si è, così, ridotto. Per oltre 6 tifosi su 10 è divenuto meno interessante di altri.

Non è un caso che, mentre l’ampiezza del tifo “per” una squadra si è ridotto sensibilmente, quella del tifo “contro” si sia, invece, allargata. Tocca quasi il 56% dei tifosi: 5 punti più di un anno fa e 14 rispetto a due anni fa.

Quest’anno è cambiata anche la mappa del tifo, tracciata dall’Osservatorio Demos-Coop, in base alla squadra preferita. In questo caso, però, contano motivi soprattutto “sportivi”. Legati ai risultati e alla competitività delle squadre.

La Juventus resta saldamente e largamente in testa alle preferenze.

La sua incidenza, però, è scesa, anche se in misura molto limitata. Meno di un punto percentuale. Oggi i suoi tifosi corrispondono a circa il 28 e mezzo per cento. La retrocessione e le difficoltà degli anni di Calciopoli non ne avevano eroso la base. Al contrario. I successi e la vittoria nell’ultimo campionato ne hanno confermato, ma non rafforzato, la posizione. Probabilmente risente, più delle altre squadre, del clima generale di sfiducia. Trattandosi della squadra più “popolare”. Con una base ampia di tifosi “tiepidi”. I più disturbati dal ripetersi degli scandali e dalle polemiche. La novità, semmai, è che torna a essere la più odiata. Bersaglio convergente delle tifoserie delle squadre avversarie, che le contendono il primato nel campionato. In un anno, infatti, la quota di tifosi ostili alla Juve è raddoppiata: dal 14 al 27%. L’altra novità è offerta dall’affermarsi, su base nazionale, di nuovi “attori” del tifo. Che stanno modificando le tradizionali gerarchie. Il Milan conferma la sua quota di tifosi, intorno al 16%. L’Inter ha, invece, perduto una parte rilevante dei suoi sostenitori. Ora si è attestata al 14 e mezzo per cento: 4 punti meno di un anno fa. Mentre è cresciuta molto l’area del tifo per il Napoli, che ha superato il 13% e incalza l’Inter.

Anche la Roma appare in crescita: ha superato il 7%. Il mutamento degli orientamenti del tifo dipende, in gran parte, dai risultati delle stagioni recenti, che hanno visto il Napoli conseguire importanti successi. In tal senso, però, ha pesato molto anche il calciomercato. Milan e Inter, hanno, infatti ceduto molti dei giocatori più pregiati — talora, le bandiere della squadra e dei tifosi. Si spiega in questo modo anche la crescita del tifo giallorosso. Animato da una campagna acquisti che ha soddisfatto i sostenitori. Ma, soprattutto, dall’arrivo di un allenatore, Zeman, che, al di là dei risultati, gode di grande carisma.

È mutata, di conseguenza, anche la geografia del tifo. Fino a un anno fa la Juventus era la squadra “più amata” in tutte le aree del Paese. Ora non più. Superata dalla Roma nelle regioni del Centro e dal Napoli nel Mezzogiorno.

È difficile, in conclusione, non evocare un parallelo con la politica. D’altronde, il rapporto fra calcio e politica si è rafforzato, negli ultimi anni. Basti pensare a come Berlusconi lo abbia utilizzato come modello e come veicolo del proprio soggetto politico. Fin dalla “discesa in campo”. Il nome del suo partito, Forza Italia: il grido di sostegno alla Nazionale. I suoi sostenitori, di conseguenza: Azzurri. Le sezioni: “club”, come quelle dei tifosi. In generale, il tifo ha surrogato la crisi delle appartenenze e delle bandiere, in tempi di perdita delle identità. D’altronde, il grado di interesse politico dei tifosi è perfino, di poco, superiore a quello della popolazione. Le stesse tifoserie, al di là delle posizioni estreme degli ultrà, mostrano orientamenti politici precisi. Sinistra: i tifosi della Fiorentina. Centrosinistra: la bandiera del Napoli. Centro: quella bianconera. Centrodestra: le squadre milanesi.

A differenza di quanto è avvenuto in politica, però, scandali e polemiche non avevano compromesso la “fede” dei tifosi, fino a pochi anni fa. Oggi non è più così. La fiducia nel “sistema” appare, infatti, seriamente in declino. Verso i protagonisti del calcio, i giudici e i giudizi della giustizia sportiva. Difficile “credere” se i risultati e le classifiche degli ultimi 10 anni sono stati rimessi in discussione. A volte rovesciati. Alla fine anche i “fedeli” più convinti cominciano a dubitare. A frequentare i riti con meno passione e regolarità. Mentre i più tiepidi e occasionali, ormai, hanno smesso di andare a messa. Se non raramente. In alcune, poche, festività.

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Il caso

Pesano le recenti vittorie dei bianconeri, il caso Conte. E “l’effetto Zeman”

Juventus prima anche per antipatia

Napoli e Roma: tifosi in aumento

di FABIO BORDIGNON & LUIGI CECCARINI (la Repubblica 18-09-2012)

Si è spostato verso Sud, nell’ultimo anno, il baricentro della passione calcistica. Le uniche squadre a crescere, nelle posizioni di vertice, sono la Roma e il Napoli. La Juventus si conferma in vetta alla graduatoria del tifo, e al tempo stesso torna a dominare la classifica dell’antipatia suscitata tra gli altri tifosi. I titoli conquistati (in campionato e in Supercoppa italiana) non sembrano avere, almeno per ora, portato nuovi tifosi al club torinese. Anzi, la Vecchia Signora arretra di qualche decimale rispetto al 2011, fermandosi poco sotto il 29%. Il Milan, stabile intorno al 16%, guadagna il secondo posto, scavalcato all’indietro dai cugini nerazzurri. L’Inter scende infatti dal 19 al 15%, ed è ormai incalzata dal Napoli. È proprio la squadra partenopea a far segnare, negli ultimi dodici mesi, il balzo più deciso in avanti: dal 9 al 13%. Il club di De Laurentiis è oggi al primo posto nelle regioni del Mezzogiorno, dove raccoglie quasi il 30% dei tifosi.

Va segnalato, peraltro, come il Sud sia oggi l’area che esprime la porzione più elevata di tifosi (50%), l’unica in crescita su base territoriale. Nel Centro e nel Nordest tifa poco più di un cittadino su tre, e il 41% nel Nordovest. Come il Napoli (anche se in modo più contenuto) la Roma sale nella graduatoria del tifo: al quinto posto (7%), a livello nazionale, ma al primo (26%) nel Centro Italia. La Juve, che solo un anno fa raccoglieva la maggioranza relativa dei supporter in tutte e quattro le ripartizioni geografiche, si ferma ora al secondo posto nel Centro e nel Sud, cedendo lo scettro, rispettivamente, alla Roma e al Napoli.

Le due squadre sembrano beneficiare del rinnovato entusiasmo legato ai risultati, nel caso del Napoli, e, nel caso della Roma, all’ultima campagna acquisti e al rumoroso ritorno nel “calcio che conta” di Zeman. Ma la loro ascesa riflette anche i nuovi equilibri del campionato che, complice il parziale ridimensionamento delle milanesi, collocano le due società tra le principali rivali della Juventus (sul campo e fuori dal campo). Un ruolo che trova rispondenza negli atteggiamenti “contro” dei tifosi. Quasi la metà dei sostenitori napoletani (47%) indica la Juventus come squadra “nemica”. Nelle antipatie dei tifosi giallorossi, la Juve supera addirittura la Lazio: 29 contro 21%.

Il ritorno al successo e alle contestazioni — dal caso Conte alle polemiche sulle scelte arbitrali — ha infiammato i sentimenti di rivalità (mai del tutto sopiti) nei confronti dei bianconeri, che tornano ad essere prevalenti in tutte le principali tifoserie. Il tifo “contro”, che ancora l’anno scorso appariva largamente influenzato dal lungo ciclo nerazzurro, per quasi la metà si orienta oggi verso la Juve. Per i sostenitori dell’Inter come per quelli del Milan, il confronto con i bianconeri appare più sentito rispetto al derby cittadino. Verso i bianconeri si indirizzano le antipatie della maggioranza dei milanisti e di quasi la metà degli interisti (48%). Sentimenti che, in quest’ultimo caso, vanno oltre la sfida nel rettangolo verde, e devono essere ricondotti ai veleni di Calciopoli. E, in questa chiave, sono largamente ricambiati dagli juventini.

La tifoseria bianconera — il cui tasso di antagonismo si è sensibilmente ridimensionato nell’ultimo anno — nel 29% dei casi individua il club di Moratti come “rivale”: il Milan, solo pochi mesi fa principale contendente nella corsa scudetto, si ferma al 14%.

LE TABELLE

OSSERVATORIO CAPITALE SOCIALE - IL TIFO CALCISTICO IN ITALIA - SETTEMBRE 2012

Osservatorio nazionale a cadenza trimestrale in collaborazione con Coop (Ass. Naz.le cooperative di consumatori). Senso civico, altruismo, solidarietà e altri comportamenti riconducibili al concetto di "capitale sociale".

IL TIFO CALCISTICO IN ITALIA - SETTEMBRE 2012 2379capsoc35_20120918_01.png2380capsoc35_20120918_02.png2381capsoc35_20120918_03.png2382capsoc35_20120918_04.png2383capsoc35_20120918_05.png2384capsoc35_20120918_06.png2385capsoc35_20120918_07.png2386capsoc35_20120918_08.png2387capsoc35_20120918_09.png2388capsoc35_20120918_10.png2389capsoc35_20120918_11.png2390capsoc35_20120918_12.png2391capsoc35_20120918_13.png2392capsoc35_20120918_14.pngspacer.gif

NOTA INFORMATIVA

L'Osservatorio sul Capitale Sociale è realizzato da Demos & Pi in collaborazione con Coop (Ass. Naz.le cooperative di consumatori) e la partecipazione del LaPolis - Univ. di Urbino per la parte metodologica e di Medialab - Vicenza per quella organizzativa.

Il sondaggio è stato condotto da Demetra (sistema CATI - supervisione di Mauro Vullo) nel periodo 03 - 07 settembre 2012. Il campione nazionale intervistato è tratto dall'elenco di abbonati alla telefonia fissa (N=1416, rifiuti/sostituzioni: 6.667) ed è rappresentativo della popolazione italiana con 15 anni e oltre per genere, età, titolo di studio e zona geopolitica di residenza. I dati sono stati ponderati in base al titolo di studio (margine di errore 2.6%).

L'indagine è stata diretta, in tutte le sue fasi, da Ilvo Diamanti. Fabio Bordignon, Luigi Ceccarini, Martina Di Pierdomenico e Ludovico Gardani hanno curato la parte metodologica, organizzativa e l'analisi dei dati.

Documento completo su www.agcom.it

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Vent’anni di Ue e Champions,

ma il calcio sta molto meglio della politica

di BEPPE DI CORRADO (IL FOGLIO 18-09-2012)

L’inno dell’unica Europa unita dura pochi secondi e fa così: “Die meister, die besten, les grandes équipes…”. Vent’anni di Champions League, oggi. Si comincia: martedì e mercoledì, come sempre. E’ così dal 1992, da quando l’Uefa sostituì la coppa dei Campioni con questo torneo delle squadre migliori d’Europa. In due decenni, la Champions ha sconfitto anche i suoi peggiori detrattori: è meglio della sua antenata, è più difficile, più lunga, più complicata. E’ il futuro che surclassa il passato: succede spesso nel calcio anche se in troppi non vogliono ammetterlo, vittime della nostalgia passatista. La Champions ha costruito attorno a sé la mitologia necessaria a smontare i luoghi comuni sul calcio moderno: è un torneo magico, dove si gioca sempre per vincere, dove gli stadi sono strapieni, dove non s’è perso un solo grammo del fascino del pallone notturno di metà settimana. Tornare indietro sarebbe follia anche per i più convinti sostenitori del pallone in bianco e nero: che fai, torni alla vecchia coppa Campioni? Così se un anno il campionato lo dovesse vincere il Chievo, ci ritroveremmo con solo il Chievo in Coppa. Ma dai, per piacere. Non esiste, non si può. La Champions è riuscita dove il resto del calcio e dello spettacolo pallonaro hanno perso: nella credibilità di un torneo che vale sportivamente ed economicamente, che è show, ma pure calcio vero. Perché oggi, in Europa, tutte le squadre vorrebbero giocare la Champions per ragioni economiche e per ragioni sportive. L’idea dell’Uefa era creare un campionato europeo per club. Vent’anni dopo il risultato è ottenuto: c’è sempre il massimo del massimo ed è sempre tutto molto simile a un campionato.

Nel 1992 la Comunità economica europea diventava Unione europea e contemporaneamente nasceva la Champions. Chi ha vinto la politica o il pallone? I due decenni hanno devastato l’idea stessa di governo unito d’Europa mentre non hanno neanche intaccato l’idea di un calcio unito d’Europa. I soldi hanno aiutato, perché lo fanno sempre. La Champions è un affare per tutti: un giro d’affari che sfiora il miliardo di euro all’anno da vent’anni. Basta? Al tabellone principale partecipano 32 club, ognuno dei quali incassa 8,5 milioni per la sola qualificazione. Ogni partita vinta vale un milione, ogni pareggio cinquecentomila euro. Chi supera il primo turno prende 3,5 milioni, chi arriva ai quarti altri 3,9, arrivare in semifinale vale 4,9 milioni, prendersi la finale 6,5, vincere la Coppa 10,5. Per capirci: il Chelsea, campione l’anno scorso, ha incassato più o meno 60 milioni. A questi il pacchetto Champions aggiunge tutto il comparto della distribuzione dei diritti legati al marketing: la quota dei diritti tv e quella delle sponsorizzazioni dell’evento. Sono circa 400 milioni di euro che vengono divisi per i 32 club che partecipano. All’Uefa rimane un’altra parte, perché in questa storia non c’è nessuno che non ci guadagni. Tutti felici, compreso il pubblico che da vent’anni si vede il meglio del pallone possibile. Perché nessuno al mondo può smentire che la Champions sia il vero mondiale per club. In vent’anni sono passati tutti: Cantona, Ronaldo, Kaká, Ibrahimovic, Cristiano Ronaldo, Messi. Basta? La differenza con l’antenata è la concentrazione di fenomeni nel tempo e nello spazio: qui hai in contemporanea più partite e, da un certo momento in poi, in ogni partita hai uno, due, tre, quattro fenomeni. Non si ricorda una annata che non abbia meritato calcisticamente di essere ricordata. Basta guardare l’elenco delle vincitrici. Con rispetto, ma la coppa dei Campioni l’hanno vinta anche l’Aston Villa, la Steaua Bucarest e il Psv Eindhoven. Fino al 1992 poteva capitarti una finale come Olympique Marsiglia-Stella Rossa, la più brutta della storia. Dettagli e minutaglie, forse. Eppure la Champions da quando si chiama così ha deluso giusto nel 2004, con la finale Porto-Monaco. Per il resto è stata una meraviglia: soldi, spettacolo e pallone. Il calcio d’Europa in tre parole e in due giorni a settimana.

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Inizia la Champions League,

e i soldi fanno sempre più la differenza

di FRANCESCO CAREMANI (IL FOGLIO.it 18-09-2012)

Tre giorni, sei partite, un solo telecomando, a seconda della piattaforma preferita. Si riparte così, con quell’aria un po’ vintage stile anni Ottanta e Novanta, ma è solo una suggestione dettata dalla spalmatura televisiva. E se vogliamo dirla tutta, Milan-Anderlecht non è il modo migliore per ripartire nelle coppe europee, visto lo stato confusionale dei rossoneri e di un calcio italiano a cui in troppi hanno già cantato il de profundis. Le sfide più suggestive si giocheranno a Londra: Chelsea-Juventus e Tottenham Hotspur-Lazio.

In questi giorni futebolfinance.com ha pubblicato la classifica dei club che hanno guadagnato di più nell’ultimo triennio europeo, 2009-12, tra premi e diritti televisivi Uefa. Chelsea, Manchester United e Barcellona occupano il podio di questa graduatoria. Inghilterra, Spagna e Germania quello delle nazioni. L’Italia è quarta e in media ha diviso quasi 30 milioni a testa per 10 club diversi, l’Inghilterra oltre 49 per 11, la Spagna addirittura 48,7 per sole 8 squadre, con Inter, Chelsea e Barcellona a fare la parte del leone. Il Chelsea di Di Matteo, in prima posizione, dal 2009 a oggi ha speso 136.625.000 euro: 10 milioni in più di quanto abbia fatto nella sola campagna acquisti 2010-11 (quasi 59 milioni di euro per Torres). La Juventus è al 41° posto con poco più di 24 milioni, ma a pesare è soprattutto il gap d’esperienza tra un gruppo che ha fatto della Champions il proprio giardino e chi s’è dovuto accontentare d’altro. Vedremo quanto peserà la fame bianconera al netto di un blasone ribaltato.

Le due squadre italiane che resistono nella top ten della classifica di futebolfinance.com sono l’Inter (5°, grazie al triplete del 2010) con 118.310.000 euro e il Milan (8°) con poco più di 89 milioni. Se dovessimo guardare a queste cifre né Rubin Kazan (27° con 31.677.000 euro) né tanto meno l’Anderlecht (76° con quasi 6 milioni) dovrebbero impensierire le milanesi, ma i russi rappresentano, anche economicamente, il nuovo che avanza, mentre il calcio belga non è mai stato di facile digestione per il Diavolo. L’ultima volta che si sono incontrate nel girone di Champions, però, il Milan ha vinto sia all’andata che al ritorno e poi s’è portato a casa la settima coppa. Cinque anni fa, un’altra squadra, un’altra storia. Stesso discorso vale per i cugini che hanno incontrato i russi nel girone prima di vincere al Santiago Bernabeu contro il Bayern Monaco.

Netto il divario che, in Europa League, separa la Lazio dal Tottenham: quasi una trentina di milioni (tra premi e diritti) e un destino simile, promettente all’inizio quanto avaro alla fine della stagione. Petkovic contro Villas Boas che cercherà di dimostrare che lui è unico e non il Mourinho de noantri. Miroslav Klose in stato di grazia potrebbe azzerare in un attimo blasone ed economie.

L’Anzhi di Guus Hiddink e Samuel Eto’o ha speso nell’ultimo quinquennio quello che l’Udinese è riuscita a incassare, ma non compare nella classifica di futebolfinance.com: club in ascesa ma con scarsa esperienza europea. I friulani, invece sono all’88° posizione con 3.137.000 euro e il grosso rammarico di aver perso per due anni consecutivi il treno per la Champions. In questa partita si confrontano due modelli di calcio (forse anche di gioco) completamente diversi e chissà che il fair play finanziario alla fine non premi come merita la famiglia Pozzo. Per il Napoli i 30 milioni guadagnati sono la cifra di una crescita internazionale che ha toccato l’apice nella scorsa stagione e gli svedesi dell’AIK non dovrebbero essere un problema per la lanciatissima squadra di Mazzarri che, però, deve imparare ad avere più aplomb sui palcoscenici continentali. Non è Mourinho, non ha vinto quanto lui, scimmiottarlo nei comportamenti non gli giova.

Inutile raccontarsela, i soldi oggi più di ieri fanno la differenza anche in campo. Pochi o tanti, servono a far quadrare i bilanci e poter comprare i giocatori più forti. Sognate pure a occhi aperti notti di coppe e di campioni, ma l’unica cosa che conta davvero è riprendersi quel maledetto terzo posto nel ranking Uefa che adesso occupa la Germania e un 4-3 ai supplementari non basta più.

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Intervista

“Il caso Pellegrini?

Tocca alla federazione

scegliere il tecnico”

Petrucci, presidente del Coni a fine mandato

“Vista ora, Monti ha fatto bene a dire no a Roma 2020”

PROPOSTE E PROGRAMMI «Giustizia sportiva da rivedere

ma a sentenze definitive. Il mio futuro nel basket, se eletto...»

di GUIDO BOFFO (LA STAMPA 18-09-2012)

Gianni Petrucci, dopo quattordici anni alla guida del Coni, e con le elezioni fissate il 19 febbraio per l’elezione del suo successore, come vive il semestre bianco?

«Con gioia. Non vedo l’ora di attraversare il portone di ingresso del Foro Italico e salutare. Prima o poi tutti i percorsi vanno completati».

Quattro mandati consecutivi non sono troppi?

«Infatti la legge è cambiata, ora sono due. E probabilmente è giusto così, anche se l’esperienza a livello internazionale conta. Rischiamo di pesare di meno. In ogni caso, vi faccio io una domanda: perché il rinnovamento si pretende dal Coni, dove tutti gli organi sono eletti democraticamente, mentre in altri settori i presidenti, pur non eletti, possono restare in carica a vita?».

Sta di fatto che Raffaele Pagnozzi, uno dei duecandidati alla successione, è anche il suo delfino, oltre che segretario generale del Coni. Non è che le terrà il posto caldo per quattro anni, stile Medvedev e Putin?

«Vorrei rassicurare tutti: Petrucci non è Putin».

Di certo non fa il tifo per Giovanni Malagò, presidente del circolo Aniene, il candidato esterno.

«Mettiamola così: la legge mi assegna il diritto di voto e io lo eserciterò a favore di chi ha esperienza acquisita in tanti anni, colui che ha dimostrato di avere capacità e al quale sono legato da un profondo rapporto umano. Quanto a Malagò, è persona degna».

Semestre bianco ma con qualche disputa da sedare. Una su tutte: Pellegrini versus federazione italiana nuoto sulla scelta del nuovo tecnico. Il solito Lucas.

«Da che mondo è mondo, quando si tratta di atleti nazionali, la scelta finale degli allenatori spetta alla federazione, a nessun altro. Ed è la federazione che paga. Poi ovviamente la Fin farà il possibile per venire incontro alla Pellegrini ma l’anno scorso la trattativa Lucas venne gestita insieme, non venne imposta da una parte all’altra».

«Zeman dice quello che tutti gli altri pensano». Sono sue parole. E la Juve non deve averla presa benissimo.

«Io non sono uno che si schiera, chi mi conosce lo sa bene. E sa bene anche quanto siano buoni i miei rapporti con Agnelli e Elkann. D’altra parte ci sono state dichiarazioni del boemo, quelle su Abete dannose per il calcio italiano, che ho trovato infelici. Per fortuna le ha ritrattate».

Gli consiglia di mordersi la lingua?

«No, Zeman abita vicino casa mia, non potrei permettermi. Continui a essere se stesso».

Lui sostiene che Conte, dopo la squalifica, avrebbe dovuto farsi da parte. E’ d’accordo?

«Non posso entrare nel merito perché proprio in questi giorni è pendente presso il tribunale sportivo del Coni un procedimento sul tecnico della Juve».

Le piace questa giustizia sportiva?

«Qualcosa va rivisto ma solo al termine dei processi, dopo le sentenze definitive. Ad esempio chiederò al governo di mettere mano al sistema di nomina dei giudici sportivi. Oggi si segue un concorso, sulla base di punteggi che non sempre rispecchiano una effettiva conoscenza del nostro mondo».

E la responsabilità oggettiva?

«Principio da salvaguardare, norma da correggere. Per esempio oggi, in relazione al problema scommesse, bisognerebbe valutare bene la posizione dei club estranei ai comportamenti dei tesserati e di quelli che, addirittura, hanno cercato di fare opera di prevenzione».

Il governo del calcio resta problematico. I seggi in consiglio federale saranno assegnati da un commissario ad acta, Giulio Napolitano, figlio del presidente della Repubblica.

«E sarebbe bene che qualche presidente di Lega (Macalli, ndr) le cose che dice in privato le ripetesse anche in pubblico. E cioè che il commissario non è dio. Dio no, ma di sicuro sarà legge».

E di sicuro il futuro di Petrucci sarà alla presidenza della federbasket.

Sorride: «Se mi eleggono».

Che fine farà Meneghin?

«Gli ho chiesto di entrare nella mia squadra con un importante incarico federale».

Pianigiani in Turchia risolve il conflitto di interessi?

«Sapete che ero contrario al doppio incarico, commissario tecnico e allenatore di club. Mi devo ricredere, il part-time ha funzionato bene».

Ancora arrabbiato per il no di Monti alla candidatura di Roma 2020?

«Oggi come oggi ha avuto ragione lui. La situazione nel Paese la conosciamo tutti, i giornali non parlano altro che di spread, occupazione in calo, crisi. In queste condizioni portare avanti una candidatura sarebbe stato complicatissimo».

Quattordici anni. La soddisfazione più grande?

«Aver risanato il Coni insieme al segretario generale Pagnozzi e al Consiglio Nazionale e mantenuto lo sport italiano su livelli finanziari competitivi».

E l’opera incompiuta?

«La lotta al doping, anche se risultati ne abbiamo ottenuti. La positività di Schwazer è stato un momento nerissimo, sarà la magistratura a chiarire i punti interrogativi di questa vicenda ma una cosa voglio dirla: giudichiamo l’atleta senza crocifiggere l’uomo».

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Ha violato il Daspo

Preziosi indagato

impugna l'accusa

Infrazione commessa in occasione di Genoa-Cagliari

Per i legali la pena accessoria è già stata condonata

di FILIPPO GRIMALDI (GaSport 18-09-2012)

La Procura di Genova (pm Giuseppe Longo) ha formalmente indagato il presidente genoano Enrico Preziosi per la violazione della sentenza della Cassazione, che il 17 maggio scorso aveva vietato al numero uno del Grifone l'ingresso per sei mesi (sino al 17 novembre) «all'interno di stadi, strutture sportive, luoghi dove si giochi d'azzardo, sale-scommesse, nonché uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese». Non un Daspo vero e proprio (come lo stesso presidente l'aveva impropriamente definito), dunque, ma un'interdizione più ampia, con il vantaggio — nel caso specifico — di non prevedere un aumento di pena. Com'è noto, infatti, lo stesso Preziosi — all'oscuro dell'esecutività della pena accessoria legata alla vicenda di Genoa-Venezia della stagione 2004-05 — il 26 agosto scorso aveva assistito al Ferraris alla gara d'esordio dei rossoblù in campionato contro il Cagliari. Domenica scorsa spazio invece al cartonato: «La sagoma in tribuna era per sdrammatizzare, sono cose così assurde che uno cerca di buttarla sull'ironia». Così Preziosi a Primocanalesport. Ancora: «Non volevo mancare di rispetto a nessuno, ma in certi casi le leggi sono assurde. Il deferimento della scorsa settimana sui fatto con il Siena? Chiederei volentieri il motivo a Palazzi, è evidente che si è trattato di due pesi e due misure, la giustizia sportiva non funziona per tutti allo stesso modo».

Rischio ammenda I legali di Preziosi hanno già impugnato l'avviso di fine indagini (formalmente consegnato nelle mani di Preziosi nel pomeriggio di venerdì scorso da parte dei funzionari della Digos, presso la sede genoana di villa Rostan). La tesi difensiva è duplice: mancherebbe la notifica di tale provvedimento a Preziosi e, secondo gli stessi avvocati, la pena condonata su quei fatti riguarderebbe anche le sanzioni accessorie. In caso di condanna per essersi recato ugualmente allo stadio, l'interdizione stabilita dalla Cassazione (diversamente dalla violazione del Daspo tradizionale) prevede una sanzione pecuniaria e non, comunque, un aggravio dell'interdizione stessa.

Minacce a Palazzi Questo è tuttavia soltanto uno degli aspetti extracalcistici di attualità che turbano la tranquillità del Grifone. La Digos genovese ha infatti avviato un'altra indagine per scoprire gli autori del minaccioso striscione indirizzato al pm federale («Palazzi vuoi il Genoa in tribunale? Saremo tutti al tuo funerale»), rinvenuto nei pressi della gradinata nord nella notte fra sabato e domenica. Se a questo episodio si collega poi il prossimo processo per i responsabili della folle invasione dei distinti durante Genoa-Siena, il quadro non è esattamente confortante. Malasorte rossoblù: in campo, e pure fuori.

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IL DIFENSORE DELLA LAZIO

Un milione in nero:

Zauri sotto inchiesta

per riciclaggio

La cifra sarebbe stata girata su conti svizzeri

transitando anche negli Stati Uniti

di MAURIZIO GALDI (GaSport 18-09-2012)

Sono da poco passate le 16.30 quando le agenzie lanciano la notizia: il calciatore della Lazio, Luciano Zauri, è indagato per riciclaggio dalla Procura di Milano. Immediato il tam tam che si insegue sull'etere. La vicenda riguarderebbe un milione di euro depositati su conti svizzeri, il milione sarebbe stato incassato in nero «in relazione al suo passaggio dalla Sampdoria alla società biancoazzurra». Fin qui le agenzie, ma la ricostruzione non è corretta: Zauri ha effettivamente giocato per la Sampdoria (e proprio come giocatore blucerchiato è stato sentito dalla Procura di Genova in merito alla presunta combine, poi archiviata, nel derby col Genoa), ma è sempre stato un tesserato della Lazio e a Genova è andato solo in prestito.

Soldi in nero E allora chi ha pagato a Zauri quei soldi al centro dell'inchiesta del pm Carlo Nocerino condotta dalla Guardia di Finanza? Se si scoprisse che i soldi fossero stati pagati da una società di calcio scatterebbe anche il procedimento sportivo e i precedenti non mancano: a rischio anche la società che ha pagato. I precedenti (nella stagione 2010-11 toccò al Cosenza e al suo dirigente Massimiliano Mirabelli) parlano di un'ammenda pari almeno all'importo pagato (in questo caso un milione) ma fino a tre volte l'importo «evaso» e un punto di penalizzazione. Nocerino ha già trasmesso alla Procura federale parte degli atti di questa inchiesta e da questa sarebbe scattata «agentopoli» sportiva. In merito proprio ad alcune violazioni amministrative Tinti e altri agenti, oltre a dirigenti sportivi, saranno alla Disciplinare venerdì.

L'inchiesta Il pm Nocerino ha dato il via all'inchiesta dalle rivelazioni dello svizzero Giuseppe Guastalla, già coinvolto nell'inchiesta, sempre per riciclaggio, su banca Italease. Partendo dai conti che Guastalla aveva aperto in Svizzera, la Procura di Milano e la Guardia di Finanza erano arrivati all'agente Tullio Tinti, anche lui indagato per riciclaggio. La Guardia di Finanza ha iniziato a interessarsi a Tinti tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011 ipotizzando che il procuratore avesse realizzato false fatture, per inesistenti consulenze nel mondo del calcio, al fine di portare soldi all'estero e non pagare quanto dovuto al Fisco. La Procura milanese ha anche inoltrato nella primavera scorsa una rogatoria negli Stati Uniti, dove sarebbe transitato il denaro, ma non ha ancora ricevuto risposta.

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Pesoli-Gervasoni, gli sms

sul telefono delle combine

di MAURIZIO GALDI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 18-09-2012)

La Corte di giustizia federale ha pubblicato le motivazioni delle condanne di Cassano, Catinali, Pellicori e Pesoli, mentre l'Alta Corte del Coni ha respinto il ricorso di Sartor. Secondo la Cgf le accuse di Gervasoni a Pesoli sono «del tutto attendibili, perché estremamente dettagliate in ordine alle circostanze e ai nomi dei soggetti coinvolti e, limitatamente all'avvenuto contatto telefonico e via sms tra i due soggetti, perché ammesse dal medesimo appellante». Pesoli aveva fatto lo sciopero della fame per cinque giorni, incatenato ai cancelli della sede della Figc, perché voleva un confronto con Gervasoni e Carobbio. Ma la Corte federale precisa che «detta audizione non è prevista come mezzo di prova nell'ordinamento sportivo, né, d'altra parte, i deferiti possono essere qualificati come testimoni dei fatti, essendo essi stessi incolpati sulla base delle proprie dichiarazioni».

Gli sms La protesta di Pesoli ha avuto un forte impatto mediatico e ha sollevato nell'opinione pubblica dubbi sulla sua colpevolezza. Forse perché la Procura federale, e di conseguenza i giudici, non hanno utilizzato (o avuto) tutto il materiale a disposizione della Procura di Cremona. La Ġazzetta ha visionato alcune dettagliate informative dello Sco, il servizio centrale operativo della polizia, dell'autunno 2011. Secondo queste carte, tra Gervasoni e Pesoli ci furono 32 contatti (tutti sms) tra il 17 e il 27 maggio 2011, da sei giorni prima di Siena-Varese fino a due giorni prima di Varese-Piacenza. Nonostante Pesoli dica che il difensore del Piacenza voleva ottenere informazioni lecite sullo stato di salute del Varese (per una partita che si sarebbe giocata tredici giorni dopo...), Gervasoni per contattarlo utilizzava una sim acquistata a Como dallo «zingaro» Ilievski con documenti falsi intestati a tale Valentin Dimitrov. E con quella scheda Gervasoni contattò soltanto i giocatori finiti nell'inchiesta (e arrestati), anche attraverso utenze intestate alle mogli: 117 volte Zamperini, 36 Micolucci, 20 Bertani, 17 Pellicori, 7 Acerbis. Quando l'1 giugno scattò l'inchiesta Last Bet, quella scheda non fu più usata, a dimostrazione che serviva per fini illeciti.

Ammissioni In un'intervista rilasciata ieri a Social Football, Pesoli sostiene che la prima volta fu contattato da Gervasoni con una telefonata, ma secondo lo Sco tra loro ci furono soltanto scambi di sms (per Gervasoni e Carobbio i colloqui avvennero su Skype). E dopo il primo contatto, risulta che il 19 e 20 maggio fu Pesoli a cercare Gervasoni (in 4 giorni, 5 sms di Pesoli e 3 di Gervasoni). Nella stessa intervista, e in una precedente su Soccer Magazine, Pesoli ammette inoltre che Gervasoni gli aveva fatto intuire il suo vero obiettivo (quello di combinare Varese-Piacenza): «L'ho stoppato dicendogli che aveva sbagliato persona (...) e io ero un giocatore onesto». Ma davanti alla Procura federale aveva sempre negato questo particolare. E adesso rischia un nuovo provvedimento da parte di Palazzi.

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ABETE: “ACCESSO ALLA CHAMPIONS PER LE PRIME DELL’EUROPA LEAGUE”

ROMA 18/09/2012

“Quando ho letto le dichiarazioni di Zeman, la prima riflessione è stata quella di aver fatto un miracolo mettendo d’accordo lui e Moggi”. Giancarlo Abete ha ironizzato così ai microfoni di Sky rispondendo a una domanda sulle parole espresse dal tecnico della Roma nei suoi confronti e poi rettificate: “Ho capito subito che si trattava di una critica di politica sportiva. Bisogna distinguere la polemica che può portare delle risposte anche concrete dalle valutazioni delle qualità di un dirigente. Zeman è un grande tecnico e si sa. E' un grande motivatore e lo testimonia la presenza dei tifosi della Roma allo stadio”.

Per quanto riguarda la decisione del Tnas su Antonio Conte il presidente federale ha spiegato: “Non è un discorso di vittoria o sconfitta, è rispetto dell'autonomia di chi giudica. Abbiamo un Pm del calcio, Palazzi, che ha fatto una proposta che non è stata validata dalla Commissione Disciplinare che era di 3 mesi più una sanzione pecuniaria. Poi ci sono state due sentenze assunte con motivazione diverse. Adesso c'è un organo che è il Tnas presso il Coni che farà le sue valutazioni e giudicherà quali aspetti saranno meritevoli di sanzioni e quali no. Fa parte del procedimento sportivo. Non possiamo valutare in base a sentenze se ci sono vincitori e sconfitti. Io non sono entusiasta quando si sanziona un tesserato - ha detto - non fa parte del mio ruolo e della mia persona. Dispiace, so quanto determini sofferenza, ma rispetto le decisioni della giustizia sportiva che, per altro, avrà ancora un altro grado di giudizio". E in riferimento alla giustizia sportiva Abete non nega che si possano fare dei passi in avanti: “I miglioramenti, come ha ricordato anche il presidente del Coni Petrucci, ci possono essere. Però saranno fatti a bocce ferme. Mentre sui problemi della violenza abbiamo un codice già formato, questo non avviene sul fenomeno delle scommesse che è un fenomeno relativamente nuovo e grave. A chi dice poi che la giustizia sportiva debba aspettare quella ordinaria dico di tenere conto che siamo ancora in attesa del 2° grado di giudizio del rito abbreviato del processo di Napoli su Calciopoli e sono passati 6 anni. Chi sostiene che ci si debba muovere in rapporto alla giustizia ordinaria è fuori dal mondo".

Oggi inizierà la fase a gironi della Champions League e giovedì sarà la volta dell’Europa League: "Per Milan e Juventus in Champions e poi per Inter, Lazio, Udinese e Napoli in Europa League sarà un bel test per misurarsi con le altre squadre d'Europa, con la necessità di fare risultati altrimenti il nostro ranking ne risente".

A Platini ha fatto una proposta per valorizzare l’Europa League: “In questo momento – ha spiegato – c’è una notevole sproporzione economica tra Champions League ed Europa League e non è possibile colmarla almeno per ora attraverso la creazione di una competizione unica. La proposta che ho fatto e che Platini sta attentamente valutando è che le società prime classificate in Europa League abbiano accesso l’anno successivo alla Champions League. Per esempio le quattro italiane Inter, Lazio, Udinese e Napoli, oltre che dal campionato, avrebbero la possibilità di andare in Champions anche arrivando in fondo all'Europa League. Credo sia il modo migliore per dare maggior appeal a questa competizione”.

Il presidente non ha mancato di sottolineare le problematiche relative all’impiantistica sportiva: “Sulle presenze agli stadi abbiamo avuto una situazione di continuità, non ci sono state delle situazioni particolarmente negative anche se abbiamo degli stadi assolutamente inadeguati. Bisogna fare un lavoro di innovazione e funzionalità degli impianti cercando di capire che c'è una problematica economica. Come alcune squadre hanno avuto meno abbonati e meno appeal perché hanno dovuto rinunciare a giocatori importanti, così anche gli italiani hanno visto diminuire le capacità di spesa e di consumi e questo incide anche sul mondo del calcio. Noi però dobbiamo migliorare la qualità e i comportamenti dei protagonisti del mondo del calcio, migliorare le infrastrutture e creare quelle condizioni di presenza negli stadi più adeguate".

Ultima battuta su Simone Farina, l’ex giocatore del Gubbio che in passato aveva denunciato un tentativo di illecito sportivo e che è ancora senza squadra: “Ha l'aspettativa di continuare a giocare e spero che si possa realizzare il suo intento. Spero non sia emarginato. Noi non possiamo imporre ai club di prenderlo, ma sarebbe grave che il mondo del calcio emarginasse l'ambasciatore del fair play. La speranza – ha concluso - è che riprenda a giocare, se non avvenisse ha Federazione e Lega di B al suo fianco. Non lo lasceremo solo"

http://www.figc.it/it/204/33491/2012/09/News.shtml

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The Degeneration of

Professional Football

Players who are not getting paid are a clear and present

danger to the credibility of the professional game

by OURIEL DASKAL (SOCCERISSUE 18-09-2012)

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Football boots. Photo by Tom and Steve

(CC License)

According to FIFPro boss, Theo Van Seggelen, more than a third of Europe’s professional footballers are not receiving their salaries in full.

This, pretty much, opens up a can of worms. It creates a situation in which players are desperate, more than ever, for income and will be a lot more inclined to fix games. By the way, cash is the most important thing for a footballer because in the current system most clubs don’t do anything in order to educate him or promise him a future outside football.

Players who are not getting paid are a clear and present danger to the credibility of the professional game.

Van Seggelen has also criticised irresponsible club owners who, he says, are refusing to respect contracts and paying scant regard to the current economic climate.

This is all going on in a murky world of professional football. A world in which transparency is perceived as a sign of weakness and the disconnection from their local communities is nothing to worry about.

Crisis + irresponsible club owners + unpaid salaries + no transparency = crime and the degeneration of the professional football scene.

It’s a dangerous formula.

The authorities must now act swiftly to prevent the deepening of the crisis and introduce real measures and regulations that will stop unsustainable salaries, get clubs to work in a transparent way and get reconnected back to the soul of the game.

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Juventus, West Ham Get Players

as Uruguay’s ‘Ghost’ Deals Mount

by ALEX DUFF (Bloomberg | Sep 18, 2012 12:59 PM GMT+0200)

Juventus (JUVE), AS Roma (ASR) and Porto agreed to pay a combined 11.1 million euros ($14.6 million) to hire players from Club Deportivo Maldonado, a Uruguayan soccer team for which they never appeared, according to stock-market filings. England’s West Ham took a striker on loan.

South American teams and investors in the players’ transfer rights move the athletes’ registrations through Uruguayan clubs to reduce tax on the trades to as little as 5 percent from 20 percent, said Rodrigo Garcia, a lawyer at Laffer Abogados in Madrid who has advised teams on such deals. Argentina’s tax authority said last month that the arrangements were irregular, and Brazil’s sports minister Aldo Rebelo said soccer ruling body FIFA should outlaw the “ghost” club deals.

At least $70 million of transfer fees went through nine Uruguayan clubs in the same way since 2000, according to Bloomberg News calculations. Uruguay’s soccer federation declined to comment yesterday.

“This has been going on for years without anybody paying much attention,” Garcia said by telephone. “FIFA doesn’t look on it favorably but turns a deaf ear.” The trades would only break FIFA rules if investors or other third parties interfered in player movement, Garcia said.

‘Tax Avoidance’

FIFA is seeking to improve regulation of the $3 billion transfer market. In 2010, the soccer authority made it compulsory to disclose bank details of where transfer money goes via an Internet-based system. Mark Goddard, who oversees the system, said at the time that soccer is “the last area of the commercial world where large amounts of money can be moved without oversight or regulation.”

The soccer authority referred calls about the Uruguay trades to its regulations that say sanctions may be imposed on federations or clubs that submit false data into the so-called Transfer Matching System, or misuse it for illegitimate reasons. Possible penalties in the rules include a competition ban -- FIFA organizes the World Cup and other tournaments -- and demotion to a lower division.

Deportivo Maldonado is a second-division team in Uruguay, where even the top sides are traditionally weaker than Brazilian and Argentine counterparts in continental competition. Trades through Uruguayan clubs amount to “damaging” tax avoidance, with the transfer fees sometimes directed to offshore companies, the Argentina tax agency said in an Aug. 24 statement. The arrangement could be used to launder money, Brazil’s Rebelo said in an Aug. 30 interview.

Porto Signing

In February, FIFA began investigating after Mario Bursztyn, president of Club Atletico Rentistas, said transfer fees involving Brazilian players including “Hulk,” whose real name is Givanildo Vieira de Souza, were redirected through the Uruguayan team to a bank account in the name of Sao Paulo-based player agent Juan Figer. The players concerned never appeared in games for Rentistas.

Bursztyn said in a Feb. 8 interview that Rentistas received a monthly retainer fee under the arrangement.

Figer follows all the rules of his profession, his spokesman Jose Aparecida Miguel said today in an e-mail.

In the Deportivo Maldonado trades, Brazil’s Alex Sandro joined Portuguese champion Porto (FCP) for 9.6 million euros. Marcelo Estigarribia went to current Italian champion Juventus on loan last season for 500,000 euros and Paraguay teammate Ivan Piris moved to Roma on loan for 700,000 euros this season. West Ham took Brian Montenegro, another Paraguayan, on loan from Maldonado last season without disclosing if there was a fee involved.

Roma Option

Porto spokesman Rui Cerqueira didn’t return a call and e- mail seeking comment on the arrangement. Juventus’s Claudio Albanese declined to comment about its hiring of Estigarribia, who is now on loan at Sampdoria. A West Ham official said the club had no comment.

Roma evaluated Piris while he was playing on loan at Brazil’s Santos and did not feel it “significant” that his federative rights were owned by Maldonado, Roma spokeswoman Catia Augelli said in an e-mail.

Roma has paid 300,000 euros for an option to sign Piris permanently for 4 million euros after this season, according to an Aug. 1 team statement.

Maldonado official Jorge Lopez said he was unable to discuss the trades.

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Scommesse Il giocatore della Lazio sarà interrogato venerdì a Cremona,

potrebbe essere lui il titolare del conto in Svizzera

Caccia a mister X,

è Mauri l'indiziato numero 1

di CLAUDIO DEL FRATE (CorSera 19-09-2012)

MILANO — «In questo momento non posso confermare la notizia, stiamo cercando di capire che tipo di attività istruttorie sono in corso»: al telefono l'avvocato Amilcare Buceti cammina sul filo della diplomazia ma il più è già trapelato. Stefano Mauri, centrocampista della Lazio e illustre cliente del legale, è stato convocato per venerdì davanti al gip di Cremona Guido Salvini. Mauri potrebbe essere dunque il «mister X», il calciatore di vaglia finito al centro del nuovo capitolo dell'inchiesta sul calcioscommesse — questa volta messa in moto dalla magistratura svizzera — e che ruota intorno a un ricco conto bancario individuato a Lugano.

Secondo indiscrezioni il conto che ha attirato l'attenzione degli inquirenti non è cifrato ma addirittura intestato ai genitori del calciatore. Attraverso quel canale bancario sarebbero transitate cifre definite «importanti» e legate a un giro di scommesse. Punto di partenza del nuovo filone sono sempre le indagini di Cremona ed è per questo che i giudici elvetici hanno delegato al collega italiano Salvini la rogatoria.

«Non ho idea di dove il mio assistito conservi i suoi soldi — aggiunge l'avvocato Buceti — in ogni caso siamo molto tranquilli tanto su questo fronte quanto su quello sportivo. Stefano ha la serenità di chi non ha commesso niente di male, come dimostrano le sue brillanti prestazioni in campo di questo inizio di stagione».

L'interrogatorio di venerdì è ancora in forse: domani sera infatti Mauri e la Lazio saranno impegnati a Londra contro il Tottenham in un turno di Europa League e non è sicuro che l'atleta possa arrivare a Cremona per tempo.

Di sicuro Mauri non è l'unico calciatore che nei prossimi giorni varcherà la porta del tribunale di Cremona. La magistratura elvetica ha chiesto di sentire almeno altri due personaggi: si tratta di Matteo Gritti, ex giocatore del Bellinzona e ritenuto il primo calciatore avvicinato da Almir Gegic e dal gruppo degli slavi. Gritti lo aveva ammesso lo scorso giugno nel corso di un drammatico interrogatorio, durante il quale aveva parlato anche di minacce fisiche subite dagli slavi. L'altro indagato che verrà riascoltato entro sabato è invece l'ex portiere della Cremonese Marco Paoloni, quello accusato di aver messo il sonnifero nell'acqua dei suoi compagni di squadra. Preistoria, ormai, dell'indagine.

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E' Mauri il Mister X del tesoro svizzero

Riciclaggio: il capitano Lazio accusato a Berna, venerdì interrogato.

Conto sospetto intestato ai genitori

Sarà sentito a Cremona dal gip Salvini. Prima la sfida di Londra col Tottenham

Dopo la rogatoria, convocati dai magistrati anche i portieri Paoloni e Gritti

di FRANCESCO CENITI (GaSport 19-09-2012)

Caccia finita. E' Stefano Mauri il mister X accusato di riciclaggio dalla Procura di Berna-Mittelland: sarà sentito venerdì pomeriggio a Cremona dal gip Guido Salvini, alla presenza del procuratore Roberto di Martino. Un interrogatorio richiesto dagli inquirenti svizzeri con una maxi rogatoria che aveva sorpreso gli investigatori italiani per la mole di documenti richiesti: una buona parte degli atti (migliaia e migliaia di pagine, comprese le intercettazioni) dell'inchiesta sul calcioscommesse iniziata da circa un anno e mezzo. A Mauri gli svizzeri sono arrivati in modo abbastanza semplice: il conto sospetto, sul quale sarebbero transitate somme di denaro importanti, è infatti intestato ai genitori del capitano della Lazio. Giudicato molto sospetto soprattutto un versamento di 100 mila euro effettuato con un bonifico anche se la data non coinciderebbe con quelle dell'inchiesta sul calcioscommesse. Su questo e su altro dovrà fornire spiegazioni il centrocampista. E non toccherà soltanto a lui.

Altri interrogati Oltre a Mauri, infatti, il gip Salvini interrogherà sempre venerdì anche il portiere Marco Paoloni, arrestato nella prima fase delle indagini (il primo giugno 2011), ma che ha sempre negato qualsiasi accusa: «Ho millantato tutto: non ero a conoscenza di nessun tarocco. Ho agito così per i debiti accumulati a causa delle scommesse, una vera malattia». Difficile capire quale punto d'incontro ci possa essere con Mauri se non quello di fare parte della stessa inchiesta. Sabato, invece, toccherà a Matteo Gritti, ex portiere del Bellinzona, arrestato come Mauri lo scorso 28 maggio. Gritti aveva rivelato alla Procura di Cremona di aver subito minacce («Ti spariamo alle gambe») da parte di Ilievski, considerato il capo degli slavi, per essersi rifiutato di «esportare» in Svizzera il sistema italiano delle combine. Una versione che però non aveva convinto del tutto il pubblico ministero.

Da Londra a Cremona? Entro questa settimana potrebbero anche esserci altri due interrogatori: la rogatoria arrivata da Berna conteneva la richiesta di sentire in tutto cinque persone. L'attenzione è però tutta rivolta su Mauri, arrestato il 28 maggio perché ritenuto, in concorso con altri giocatori e con i vertici dell'associazione criminale, responsabile delle combine Lazio-Genoa 4-2 e Lecce-Lazio 2-4 del campionato 2010-2011. Il giocatore si è sempre proclamato innocente, negando ogni contatto e ammettendo solo di aver utilizzato una scheda criptata (intestata alla fidanzata di un titolare di un'agenzia di scommesse) per effettuare delle puntate sul basket americano proprio nel periodo in cui si erano giocate le due partite sospette. Adesso la sua posizione si fa molto delicata, visto che si raddoppiano i fronti aperti con la giustizia: oltre all'accusa di riciclaggio, il pm di Martino utilizzerà l'indagine svizzera per spulciare il conto sospetto, alla ricerca di eventuali soldi frutto delle combine. Le novità svizzere, infatti, rafforzano la pista ipotizzata a Cremona: il calcioscommesse è gestito da un'organizzazione «transnazionale» in grado di spostare capitali importanti da una parte all'altra del mondo, poi utilizzati per alterare i risultati. E sono proprio i giocatori, per ovvie ragioni, il terminale di questo giro d'affari. Mauri giovedì potrebbe giocare a Londra in Europa League contro il Tottenham e il giorno dopo presentarsi dai magistrati di Cremona: di sicuro sarebbe un spot non positivo per il calcio italiano.

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Sarà interrogato venerdì

Inchiesta sul conto svizzero

Mauri il mister X, ma tanti dubbi

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 19-09-2012)

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È Stefano Mauri il mister x dell’inchiesta sul versante svizzero del calcioscommesse. La caccia all’uomo finisce qui. Il conto corrente sospetto, “individuato” nei giorni scorsi dagli investigatori di Berna, è suo. E così venerdì il capitano della Lazio verrà ascoltato dai magistrati di Cremona incaricati per rogatoria dai colleghi elvetici. Nel giro di 24 ore Mauri passerà dai riflettori dell’Europa League alla lampada della procura di Cremona: e comunque vada a finire, non sarà proprio una bella pubblicità per l’immagine del calcio italiano in Europa.

Il punto chiave dell’interrogatorio sarà proprio quel conto corrente sospetto, sul quale nel tempo sarebbero passate importanti somme, tra queste, recentemente, un bonifico da 100mila euro. Sarebbe quello, secondo l’accusa, uno dei veicoli di un giro di riciclaggio di denaro sporco. In particolare del provento del calcioscommesse, un’attività internazionale che avrebbe proprio in Svizzera uno dei suoi terminali. Lo schema immaginato dagli inquirenti è semplice e di fatto sovrapponibile a quello ricostruito dal procuratore di Cremona Roberto Di Martino in un anno e mezzo di indagine: c’era un’associazione a delinquere transnazionale che investiva ingenti capitali sulle partite combinate in mezza Europa (soprattutto in Italia) e poi andava in Svizzera per ripulire i proventi.

Per questo, da Berna è stato chiesto di sentire oltre a Mauri anche Marco Paoloni - il giocatore della Cremonese da cui tutta l’inchiesta ha avuto origine - e Matteo Gritti ex calciatore del Bellinzona e uomo di raccordo tra il calcioscommesse italiano e Almir Gegic, numero due degli Zingari, braccio destro di Hristian Ilievsky, operativo proprio in Svizzera. I due verranno sentiti - insieme ad altri - tra venerdì e sabato.

La ricostruzione della procura elvetica, tuttavia, sembra non convincere molto gli inquirenti italiani i quali ritengono di aver bisogno di ulteriori elementi prima di accusare Mauri di riciclaggio. Il conto trovato, infatti, non avrebbe i crismi classici del riciclaggio. Intanto perché non è cifrato ma intestato alla mamma del giocatore. Inoltre a una prima analisi dei flussi è parso evidente che le date dei bonifici non sono compatibili con quelle delle partite sospette. L’impressione, insomma, è che più che un conto per riciclare, quello fosse, al massimo, un sistema per portare qualche soldo fuori dall’Italia. Uno schema in fondo simile a quello contestato nei giorni scorsi dai pm di Milano a Luciano Zauri, anche lui titolare di un conto sospetto in Svizzera

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E’ INDAGATO PER ASSOCIAZIONE PER DELINQUERE

I legali del tecnico al pm

«Cremona deve archiviare»

di FRANCESCO CENITI (GaSport 19-09-2012)

Gli avvocati di Antonio Conte hanno presentato nei giorni scorsi a Cremona l'istanza di archiviazione per l'ipotesi di reato contestata dal pm Roberto di Martino al tecnico della Juventus, ma per fatti legati a quando allenava il Siena. Conte è indagato dallo scorso maggio per associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva. Un atto dovuto dopo le dichiarazioni di Filippo Carobbio alla giustizia sportiva e confermate anche in Procura. Così come era un atto dovuto la perquisizione effettuata dalla polizia a casa Conte su richiesta del pm. Adesso, anche alla luce delle sentenza sportiva che ha lasciato sul campo solo una omessa denuncia, gli avvocati del tecnico ritengono maturi i tempi per una archiviazione del procedimento penale. L'istanza sarà valutata nelle prossime settimane: in mancanza di nuovi elementi per l'accusa, è molto probabile che di Martino decida di archiviare la posizione di Conte sull'associazione. Nel frattempo questa settimana sarà comunque importante per il futuro di Conte: venerdì è in programma la prima udienza al Tnas. Il tecnico cerca il proscioglimento dai 10 mesi di squalifica per AlbinoLeffe-Siena: nella memoria difensiva si punta a far cadere le accuse facendo notare l'incongruenza del peso dato all'esclusione di Mastronunzio (ci sono i certificati ufficiali dell'epoca che sanciscono l'infortunio del giocatore), mentre il «non poteva non sapere» sulla condotta del suo collaboratore Stellini, si evidenzia come situazioni simili (tipo il patteggiamento di Poloni e Garlini) non hanno portato all'automatico deferimento del tecnico dell'altra squadra.

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Ranieri: «Non tiferò né Juve né Chelsea»

L'ex tecnico dei bianconeri e dei Blues: «L'addio alla Juve? Ci furono delle incomprensioni, qualcosa che non quadrò del tutto però, insomma, un allenatore è come un avvocato, gli danno una causa e tu cerchi di svolgerla al meglio, ma se non va bene si cambia avvocato. E così è stato»

ROMA - Stasera non tiferà né per la Juventus né per il Chelsea ma dice di sperare "nel bel calcio con la curiosità di rivedere in campo internazionale la sua ex squadra". Claudio Ranieri parla su Radio2 Rai, intervistato da Piero Chiambretti, forte dell'esperienza di allenatore di entrambe le squadre, che stasera scenderanno in campo per la Champions League. "Il Chelsea ha cambiato molto e dovrà trovare il giusto equilibrio - dice Ranieri - ma sono sicuro che Di Matteo riuscirà nell'impresa".

INCOMPRENSIONI JUVE - Rimpianti per la panchina bianconera, dalla quale fu esonerato a due giornate dalla fine del Campionato ? "Ci furono delle incomprensioni, qualcosa che non quadrò del tutto - racconta Ranieri - però, insomma, un allenatore è come un avvocato, gli danno una causa e tu cerchi di svolgerla al meglio, ma se non va bene si cambia avvocato. E così è stato". "Se fosse Conte andrebbe allo stadio, sempre blindato e oscurato? "Bisogna rispettare le regole - risponde Ranieri - ma è sempre meglio stare con la squadra, nonostante tutto".

GIOVINCO -Di Giovinco dice che "è un ottimo giocatore", che "può diventare un campione. Ha tutte le qualità per sfondare anche in una grande squadra ma bisogna dare tempo al tempo, dipenderà da lui e dai suoi compagni di squadra". Della scelta di Del Piero di "emigrare" in Australia, Ranieri pensa "che un campione come lui non sia mosso dai soldi ma dal progetto, dalla voglia di conoscere nuovi Paesi e fare nuove esperienze".

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Pagnozzi: «Zeman dice quello che pensa la gente»

Il segretario generale del Coni candidato alla presidenza: «Conte? Le regole che vanno rispettate»

TORINO - "Zeman in certi momenti ha la capacità di esternare quello che la gente pensa e non dice, in altri momenti magari quello che dice rischia di essere trasferito in modo tale da non riprodurre il suo pensiero. Questo lui l'ha detto e bisogna prederne atto". Il segretario generale del Coni Raffaele Pagnozzi risponde così a chi gli chiede cosa pensi del tecnico della Roma, Zdenek Zeman, in seguito anche all'intervista al magazine Sette che aveva riportato una dichiarazione del boemo ("Abete non è nemico mio. È nemico del calcio") poi chiarita dallo stesso allenatore. A margine della presentazione dei Campionati Mondiali di Canoa Maratona, Pagnozzi ha risposto anche ad altre domande che riguardano l'attualità del calcio italiano. In particolare se la presenza in tribuna allo Stamford Bridge del tecnico della Juventus Antonio Conte - squalificato 10 mesi per Calcioscommesse - che assisterà la sua squadra impegnata in Champions League contro il Chelsea e quella contro il Tottenham del centrocampista della Lazio, Stefano Mauri - arrestato a maggio e che venerdì verrà ascoltato dalla Procura di Cremona in merito a un presunto riciclaggio di denaro in Svizzera legato alle scommesse-, possono rovinare l'immagine del calcio tricolore. "In certi aspetti e snodi comportamentali esistono delle regole che vanno rispettate – ha spiegato il segretario generale -. Se le regole permettono certe cose non credo che questi comportamenti, permessi dalle regole, rovinino l'immagine". Pagnozzi, candidato alla presidenza dello sport italiano, però, non esclude che in futuro tali regole siano riviste. "Nel momento in cui a livello di federazione e di qualsiasi altro tipo di ambiente si dovesse approfondire certe tematiche – ha aggiunto -, queste saranno approfondite e anche valutate ma finchè alcune cose sono regolari mi sembra normale che vengano rispettate secondo quelle che sono le regole".[tuttosport]

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"Conte non entri negli stadi": la Uefa proibisce al tecnico l'uso del cellulare in Champions, Fiorentina-Juventus tutto esaurito

Si avvicina la grande sfida di martedì

L'allenatore che è interdetto dai campi per il caso calcioscommesse ma si accomoda sempre in tribuna per dare indicazioni. Fiorentina-Juventus, intensificati i servizi di ordine pubblico

Firenze, 19 settembre 2012 - Fiorentina-Juventus di martedì 25 settembre alle 20.45 è sempre più ad alta tensione per la condotta del tecnico della Juventus Antonio Conte. Che nonostante la squalifica per la vicenda del calcioscommesse si presenta negli stadi in cui gioca la Juventus e, dagli skybox, segue la partita impartendo spesso anche ordini. Un aspetto che non va giù ai tifosi della Fiorentina, che hanno scritto una accorata lettera ai vertici della Figc, chiedendo che Conte rimanga fuori dagli stadi. Una situazione che non può essere tollerata, dicono i tifosi, perché le regole vengono una volta di più calpestate.

Ora, quasi "in soccorso" dei tifosi fiorentini arriva anche la Uefa, che vigilerà sul comportamento di Antonio Conte impedendo qualsiasi utilizzo del cellulare per comunicare con la panchina. Al bando dunque ogni mezzo di telecomunicazione per il tecnico, presente a Londra per seguire la squadra, che vede in panchina come sempre il vice Carrera.

ESAURITI I BIGLIETTI DI FIORENTINA-JUVENTUS

Sono andati gia' esauriti i biglietti per l'attesa sfida di martedi' prossimo al Franchi tra la Fiorentina e la Juventus. Lo ha appena reso noto la societa' viola, confermando cosi' quanto si era visto in questi giorni, con lunghe code davanti ai botteghini e le sedi delle varie organizzazioni del tifo subissate da richieste provenienti da tutta Italia.

Per martedi' sera sono quindi annunciati almeno 40 mila spettatori, record per quanto riguarda le ultime stagioni a Firenze.

__________________

''Dottor Abete mi rivolgo a lei per esprimerle il profondo rammarico provato dai tanti amanti del calcio, qualunque sia la loro fede calcistica, dinanzi all'atteggiamento tenuto dalla Federazione da lei rappresentata riguardo a quanto si sta verificando in queste prime tre giornate di campionato. Mi riferisco - scrive Pucci - alla 'tolleranza dimostrata o meglio al 'far finta di niente' davanti a un tesserato Figc squalificato che 'furbescamente', in accordo con l'attuale societa' di appartenenza, pretende comunque di svolgere la propria professione disinteressandosi completamente della squalifica inflittagli, posizionandosi dentro uno stadio seppur non nella sua naturale postazione''.

Il presidente del Centro di coordinamento viola club, che raggruppa decine di migliaia di tifosi della Fiorentina di tutto il mondo, sottolinea come ''il tesserato squalificato svolga tranquillamente la sua professione all'interno di 'pretese' postazioni 'protette', a volte anche con vetri a specchio, che impediscono alle telecamere di vedere cosa stia succedendo al loro interno. Oggi le tecnologie sono molto evolute pertanto basta attrezzarsi di un semplice telefonino e un umile 'segretario' che digita sulla tastiera di un tablet quanto dettato dallo squalificato per trasferire poi alla 'controfigura' che occupa provvisoriamente la naturale postazione di lavoro i suggerimenti da impartire ai giocatori''.

Pucci ricorda che ''stiamo parlando di un tesserato Figc per il quale il Procuratore Federale ha richiesto una squalifica per 'omessa denuncia', confermata pure dalla Commissione Disciplinare in primo e secondo grado, e che la sua ex squadra di appartenenza ha 'patteggiato' per quello stesso episodio una sanzione di 6 punti di penalizzazione da scontare nel campionato attuale. No, signor Presidente non e' cosi' che si tutela il gioco piu' bello del mondo e gli si restituisce credibilita''' commenta Pucci che conclude ricordando ''che la pensano cosi' non solo molti italiani ma pure organi sportivi internazionali come la Uefa e la Fifa ai quali la Figc e' affiliata e deve rendere conto''.

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L’indagine

Il leader del gruppo, Fucci, era intercettato dalla Digos: “Non stiamo andando in Vaticano”

Entravano armati allo stadio

condannati due ultrà “Bronx”

Prima sentenza in Italia per associazione a delinquere: svolta storica

Il capo era amico di Santacroce e mise lo striscione voluto dal figlio del boss Antonio Lo Russo

di IRENE DE ARCANGELIS (la Repubblica 20-09-2012)

«È normale portare armi nel furgone: mica si va in Vaticano...». Frase intercettata nelle telefonate tra gli ultrà della sigla “Bronx” mentre organizzavano gli scontri al San Paolo. Una delle tante conversazioni tra capo e gregari. Molte di queste telefonate hanno per argomento l’organizzazione del gruppo. Prove di fedeltà e “allenamenti” a picchiare poliziotti e tifosi avversari, la conta dei nemici, codici e simboli. E poi c’era la ricerca continua di spranghe, mazze, bombe carta. Una gestione gerarchica, un capo con poteri illimitati sui suoi uomini. In pratica una organizzazione criminale e non un’associazione di semplici tifosi. Questa fu la fotografia dettagliata scaturita dal blitz della Digos del vice questore Filippo Bonfiglio, che per la prima volta in Italia ora viene tradotta in una sentenza. Ieri — fatto senza precedenti — il capo del gruppo Bronx e uno dei suoi sono stati condannati per associazione a delinquere. L’organizzazione non aveva nulla a che fare con il calcio e, come sottolineato dall’accusa, si trattava solo di violenza organizzata.

Aveva chiesto il rito abbreviato il capo dell’organizzazione ultrà Francesco Fucci, il «grande capo» o anche «il proprietario del bar» per intendere casa sua, dove si trovava agli arresti domiciliari per droga nel periodo in cui venne intercettato nell’ambito dell’inchiesta. Anno 2010, scontri in quattro partite. Napoli-Atalanta, Udinese-Napoli, Steaua-Napoli, Napoli-Liverpool. Ieri il gup Giuliana Taglialatela ha condannato Fucci a due anni e quattro mesi per associazione a delinquere, resistenza e lesioni. Giovanni Luino è stato invece condannato a un anno con la sospensione della pena. Gli altri ultrà, nove, hanno scelto il rito ordinario. La sentenza per Fucci potrebbe influire su quella degli altri, ma intanto sulla decisione del giudice hanno certamente pesato molti dettagli.

Il “bar”, per esempio. Ossia la casa di Fucci dove venivano convocati gli affiliati, ma anche i calciatori. Tra questi l’ex azzurro Fabiano Santacroce (ripreso dalle telecamere proprio mentre va a casa di Fucci). Il calciatore, ascoltato in Procura, si giustificò: «Cerchiamo di avere buoni rapporti con la tifoseria, soprattutto quella organizzata, anche perché questo ci consente di giocare con minore pressione». Ma il “proprietario del bar” avrebbe anche rapporti con il clan Mazzarella. Non solo. Il 31 maggio 2010, in Napoli-Chievo, compare uno striscione lungo la balaustra della curva B. Dice: “Il pocho non si tocca!”. I tifosi vogliono che Lavezzi resti a Napoli. Ma poi si scopre che a volere quello striscione è stato Antonio Lo Russo, figlio latitante del boss pentito Salvatore Lo Russo: c’erano, dunque, rapporti stretti con la tifoseria violenta.

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Calcio. Il triennio vale oltre tre miliardi

I diritti fanno ricchi i club ma

il resto del business fa flop

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24ORE 20-09-2012)

Tre miliardi e 12 milioni. È quanto incasserà la Lega di serie A tra il 2012 e il 2015 per la commercializzazione dei diritti tv. Rispetto al triennio precedente per i 20 club della massima divisione significa circa 180 milioni in più. Un risultato raggiunto proprio in questi giorni con la vendita degli ultimi pacchetti e in netta controtendenza rispetto alla complicata congiuntura che sta vivendo il mondo dei media.

Ad affiancare la Lega nel corso di un lungo anno di trattative è stata anche per questo triennio è stata Infront Italy. Advisor per la cessione dei diritti tv e media dei campionati di A e B, Coppa Italia e Supercoppa Italiana, ma anche partner di diversi club (Milan, Lazio, Palermo, Cagliari e Genoa) per la gestione marketing e sponsoring, Infront è al crocevia tra la fonte di una ricchezza ormai consolidata (quanto mal gestita) per i team italiani – i tanti soldi elargiti dalle televisioni, dagli 800 milioni degli anni in cui la vendita era individuale all'attuale miliardo di euro – e quelle che potrebbero essere le future aree di business di un sistema calcio sempre più in affanno (merchandising, stadi, pubblicità). Aree finora sfruttate con molta approssimazione (per non dire altro). «Attenzione, però», mette in guardia il presidente di Infront Italy, Marco Bogarelli. «Se le altre voci di ricavo sono sottosviluppate non è colpa delle tv. Il problema è che il resto del business che ruota intorno alla gestione dei club in Italia è a livello basic ed è iperpolverizzato. Pensi al mercato della cartellonistica. Non esiste un format unico di vendita, ma tante offerte diverse per quante sono i club. Più in generale, le società dovrebbero essere capaci di canalizzare i consumi dei tifosi verso prodotti caratterizzati dal marchio della società».

Altro luogo comune è che il calcio italiano sarebbe ostaggio dei broadcaster. «I tifosi restano a casa – sottolinea Bogarelli – perché gli impianti sono brutti, insicuri, e non ci sono servizi. Lasciamo stare quelli inglesi e tedeschi con cui è impossibile ogni paragone. Ma anche il Bernabeu di Madrid e il Camp Nou di Barcellona sono strutture vecchie, ma sono state ammodernate e oggi le voci food, beverage e la gestione dei parcheggi costituiscono gli introiti principali».

Già, l'Europa. I club italiani a causa della scarsa lungimiranza stanno scivolando anno dopo anno nelle classifiche sia sportive che economiche. L'appeal della serie A, rispetto a Premier, Liga e Bundesliga, è in vertiginoso calo. Il prodotto calcio rischia di valere sempre meno? «Sul fronte interno – osserva il presidente di Infront – non credo. Certo, sul fronte internazionale la perdita di competitività della serie A è palese e vendere i diritti alle televisioni estere sarà sempre più arduo. Premier e Liga possono contare su mercati esteri nei quali i due campionati, per questioni linguistiche e di tradizione, sono seguiti come il "proprio" campionato. Non a caso gli inglesi incassano 450 milioni dai diritti esteri e gli spagnoli 160. Inoltre, per molto tempo scontavamo una qualità del segnale e delle trasmissioni piuttosto scadente. Problema oggi superato, per cui riusciamo tutto sommato a vendere bene il prodotto serie A – che nell'insieme vale 120 milioni all'anno – in mercati importanti, come Brasile, Cina e Giappone. Facciamo ancora meglio di tedeschi e francesi che ottengono dalle tv straniere, rispettivamente, 40 e 25 milioni».

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L’INCHIESTA

Mauri, testimonianza in dubbio

L’avvocato del laziale contesta la competenza della procura di Cremona

Derby di ,Genova non ci fu combine: caso archiviato, in 4 fuori dai guai

di CLAUDIA GUASCO (Il Messaggero 20-09-2012)

MILANO - L’intenzione di Stefano Mauri sarebbe quella di non presentarsi domani in procura a Cremona. «Lo decideremo nelle prossime ore, stiamo valutando», dice il suo avvocato Matteo Melandri. Ieri sera il giocatore era in campo a Londra per l’allenamento, stasera gioca e domani pomeriggio è atteso dal gip Guido Salvini per essere ascoltato in sede di rogatoria nell’ambito dell’inchiesta per riciclaggio aperta dai magistrati di Berna. Ma potrebbe opporre un legittimo impedimento che in ogni caso, spiegano i suoi legali, «non significa che non intende rispondere ai pm: è pronto ad andare in Svizzera con i genitori e con tutta la documentazione atta a dimostrare che non c’è alcun collegamento con il calcioscommesse».

Il ruolo di testimone lo obbliga a dire la verità davanti ai magistrati, gli impedisce di avvalersi della facoltà di non rispondere e di chiedere il trasferimento del fascicolo per incompetenza territoriale o del gip. E proprio il luogo in cui si svolge l’audizione indigna il collegio difensivo del centrocampista: «Non si comprende per quale motivo l’adempimento non debba svolgersi secondo le regole ordinamentali, e quindi davanti al magistrato del tribunale di residenza del soggetto interessato. Resta quindi incomprensibile la designazione dell’unico magistrato sul territorio nazionale che non solo sta svolgendo il ruolo di gip (che peraltro questa difesa ritiene incompetente territorialmente) nell’indagine nella quale Stefano Mauri è attualmente indagato, ma che nel contesto della medesima indagine ha già emesso un’ordinanza di custodia cautelare». Ieri da Londra il calciatore si è tenuto in stretto contatto con i suoi avvocati: «E’ tranquillo - afferma Amilcare Buceti - Mauri è un ragazzo che lavora, che si impegna moltissimo, la sua immagine è inconciliabile con quella di un uomo con la coscienza compromessa. Teme che questa vicenda abbia contraccolpi sugli esiti del procedimento sportivo». Intanto il gip del tribunale di Genova ha stabilito che al derby tra Genoa e Sampdoria del maggio del 2011, vinto 2-1 dai rossoblu e che spinse i doriani verso la B, non ci fu tentativo di combine. Per gli ex genoani Criscito, Milanetto, Dainelli e Palacio, che erano stati indagati con l’ipotesi di frode sportiva, è stata disposta l’archiviazione. Stessa decisione per l’ultrà rossoblu Massimo Leopizzi, accusato di favoreggiamento per dichiarazioni su una vicenda prescritta, relativa all’accordo Genoa-Venezia del 2005 che inguaiò il club e il presidente Preziosi.

___

Mauri potrebbe non

presentarsi a Cremona

L'indagine svizzera sul conto sospetto intestato ai genitori

Il laziale sarà sentito come testimone

di FRANCESCO CENITI (GaSport 20-09-2012)

Londra sì, Cremona forse no. Il futuro prossimo di Stefano Mauri è basato su una certezza e una situazione da definire: stasera giocherà a Londra contro il Tottenham, ma domani pomeriggio potrebbe disertare la convocazione arrivata dalla Procura. Il giocatore è atteso dal gip Salvini: un interrogatorio chiesto con una rogatoria dal pm di Berna nell'ambito di una inchiesta dove s'ipotizza il reato di riciclaggio (sentiti tra domani e sabato anche Paoloni, Gritti, Gervasoni e Bressan). Nel mirino c'è un conto sospetto intestato ai genitori di Mauri. Su questo conto sono transitati soldi giudicati dagli inquirenti di provenienza non chiara. In particolare, un versamento di 100 mila euro che avrebbe eluso una serie di regole ferree previste dall'ordinamento bancario svizzero.

Testimone Il centrocampista sarà ascoltato come testimone informato sui fatti visto che il conto non è a suo nome. A sentirlo sarà lo stesso gip che aveva firmato l'arresto del 28 maggio. Una «coincidenza» che suona strana agli avvocati del giocatore. Ieri i legali Matteo Melandri e Amilcare Buceti hanno diffuso un comunicato duro: «si prende atto dell'ennesima di fuga di notizie dal palazzo di Giustizia di Cremona. Stefano Mauri sarà sentito in qualità di testimone, contrariamente a quanto scritto su tutte le testate giornalistiche. Non si comprende per quale motivo l'adempimento non debba svolgersi davanti al magistrato del tribunale di residenza del soggetto interessato. Resta incomprensibile la scelta dell'unico magistrato italiano che non solo sta svolgendo il ruolo di Gip (da noi ritenuto incompetente territorialmente) nell'indagine nella quale Mauri è indagato, ma che nella medesima inchiesta ha già emesso un'ordinanza di custodia cautelare».

Scenari Queste le puntualizzazioni, ma resta una domanda: perché il conto intestato ai genitori di Mauri è considerato sospetto? In Svizzera è un reato anche l'autoriciclaggio: è vietato far transitare dei soldi da un proprio deposito a un altro di comodo senza indicarne la provenienza. Gli inquirenti ipotizzano che dietro i movimenti ci possa essere un'evasione fiscale (pagamenti in nero) oppure i proventi delle combine (ma le date non coincidono). In questa fase iniziale dell'indagine è necessario un passaggio a garanzia dello stesso Mauri: chiamarlo come testimone per dargli la possibilità di spiegare la sua estraneità, lasciando la patata bollente in mano ai genitori. Mauri, però, sembrerebbe intenzionato a non presentarsi a Cremona: scelta delicata perché ha l'obbligo, salvo un legittimo impedimento, di andare dai magistrati che altrimenti potrebbero in seguito disporne l'accompagnamento coatto. Il giocatore sarebbe disposto a recarsi in Svizzera per chiarire con i magistrati, ma c'è di mezzo una rogatoria e non può essere certo un testimone a scegliere luogo e autorità. Ecco perché alla fine Mauri potrebbe non disertare la chiamata del gip. Comunque vada, la partita di Cremona sarà molto più lunga di quella londinese.

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Reportage Nella capitale delle combine

Guerra di clan a Singapore

per il controllo delle scommesse

Sono almeno 5 le bande rivali

di ARIANNA RAVELLI (CorSera 20-09-2012)

SINGAPORE — L’ombelico del mondo delle scommesse è qui da qualche parte: nel residence elegante, nell’hotel sulla baia, al casinò, in una finta scuola calcio. Su 60 indagini che la Fifa sta conducendo per presunte combine, 26 portano a Singapore. Le ultime voci dicono che è arrivato in città anche Admir Suljic, uno degli esponenti della banda degli zingari. Perché il business continua, i legami restano, nonostante doppi e tripli giochi, le partite sospette proliferano: le amichevoli della Moldova con Venezuela e Salvador a maggio, la Gold Cup (trofeo del Centroamerica) nel giugno 2011 (con sms spedito prima: «Messico- Salvador finirà 5-0», secondo voi qual è stato il risultato?), altre amichevoli negli Emirati Arabi nel marzo 2011... Fino a un mese fa l’ombelico era questo lussuoso residence di Rivervale Crescent (già oggetto di un’inchiesta di Panorama): l’ultimo indirizzo conosciuto di Tan Seet Eng, per tutti Dan o Dan Tan. Il boss. Che adesso però non si sente sicuro, ha cambiato casa e fatto perdere le tracce. «In molti vengono a cercarlo », dice il portinaio. Gli investigatori pensano che altri vogliano prendere il suo posto: ormai è troppo esposto dopo che la procura di Cremona è arrivata a scoprire l’organizzazione transazionale con oltre 400 partite truccate in dieci anni e in tutto il mondo, puntate finali in Cina e cervello, appunto, a Singapore. Dove Dan ha fondato tre società fantasma, la Exclusive Sports (che a fini di combine ha comprato la squadra del Tampere, in Finlandia), la Football FourU e la FootyMedia.

Secondo Zaihan Mohammed Yussof, il giornalista del The New Press che per primo si è occupato di scommesse (e si è trovato la macchina danneggiata tre volte) e unico che ha intervistato Dan, ci sono cinque o sei clan che si spartiscono il business. Il principale è quello di Dan. Il quale lavora come prima (non c’è l’estradizione per frode sportiva verso l’Italia) ma ora deve vedersela con un altro gruppo che ha accumulato abbastanza potere: quello di Wilson Raj Perumal, il suo ex braccio destro, il suo attuale nemico.

Perumal nel 2011 ha scritto sei lettere a Zaihan. Cominciavano così: «Sono in guerra con Tan Seet Eng. Voglio vendicarmi ». Perumal è stato tradito: è stato arrestato in Finlandia dopo una soffiata alla polizia di un uomo di Dan. Ora vuole fargliela pagare: collaborando con investigatori e giornali. E—si sospetta— continuando a dare ordini ai suoi dagli arresti domiciliari in Ungheria. In ogni caso Perumal ricostruisce la storia dell’organizzazione. Per esempio racconta che Dan fino a metà degli anni Novanta era «a small fish», un pesce piccolo, non sapeva neanche dove si trovasse l’Italia: da boss ci verrà 48 volte in 4 anni. Il mentore di Dan è stato Eswaramoorthy Pillay, uomo d’affari che negli anni Novanta aveva finanziato due club svizzeri, il Sion e il Chiasso. A quei tempi Perumal offre a Pellay qualche consiglio originale: «Nel ’95 gli suggerii di spegnere le luci sui campi della Premier League per fissare i risultati delle partite. In Asia le scommesse si pagano anche se le partite vengono interrotte. In West Ham-Crystal Palace (3/11/’97) e Wimbledon-Arsenal (22/12/’97), sono stati organizzati due blackout per fissare il risultato». Pellay però rovina tutto perché s’indebita giocando al casinò. Dan prende il suo posto. E nel 2009 contatta la prima squadra italiana, l’AlbinoLeffe. Da qui si arriva ai calciatori di casa nostra ben desiderosi di farsi comprare (domani il Gip Guido Salvini sentirà Paoloni e—se si presenterà — Mauri; sabato Gritti, Bressan, Gervasoni). Intanto nell’ombelico del mondo della combine tutto continua come sempre. «Imembri dell’organizzazione sono ancora a Singapore. Giocano regolarmente a calcetto », dice Perumal. Il nome nuovo è Gaye Allasan, che gestisce una scuola calcio, ovviamente finta.

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La piovra di Singapore

Scommesse senza confini

si va dall'Italia fino alla Siria

Una guerra Tradimenti soffiate e la lotta tra capi clan

di ARIANNA RAVELLI (CorSera 21-09-2012)

SINGAPORE — Una delle cose che mandava più in bestia l'ex numero 2 delle scommesse mondiali finito agli arresti, Wilson Perumal Raj, quello che ha avuto idee brillanti come il trucco delle luci in Premier League (nel '97 blackout pilotati hanno fermato almeno West Ham-Crystal Palace e Wimbledon-Arsenal quando il risultato era quello giusto), che ha fondato le prime società fantasma, prese poi in gestione («in modo poco professionale» secondo lui) dal grande capo Tan Seet Eng, è pensare a questo hotel con vista sulla baia di Singapore (anche sul circuito di Formula 1) e una piscina sul tetto che consente di nuotare tra le nuvole.

La soffiata

«Come può Dio lasciar marcire in prigione me mentre gli altri che hanno cantato se la godono al Marina Sands?», si chiede Perumal in una lettera scritta di suo pugno e inviata al giornalista di The New Press, Zaihan Mohamed Yusof che l'ha pubblicata. Perumal pensa che per sbarazzarsi del primo concorrente in affari, Tan Seet Eng abbia fatto la soffiata alla polizia finlandese e l'abbia fatto arrestare. «Cercare l'aiuto della polizia è la violazione numero 1 di ogni affare criminale. Tan ha violato questo codice». Così Perumal ha cominciato a raccontare alla polizia tutto quello che sapeva sul grande capo. Che però agisce ancora indisturbato (non ci sono abbastanza prove per arrestarlo a Singapore, l'Italia ha emesso un mandato di cattura ma non c'è l'estradizione) e pare venga ancora piuttosto spesso qui, al Marina Bay Sands, soprattutto al suo casinò.

Le parole del grande capo

L'unica volta che ha parlato, un anno fa, mandando un emissario dal solito giornalista, ha rovesciato completamente la storia. «Io sono un uomo d'affari — la sua versione —, l'unica mia colpa è stata quella di investire dei soldi in una società di Perumal, la Exclusive Sports, e di accettare di diventarne direttore. Ma ci sono rimasto solo pochi mesi». La Exclusive Sports è la società che ha pagato 300 mila euro per comprare tutta la squadra del Tampere, in Finlandia, e che a ottobre ha organizzato un match combinato tra Costa Rica ed El Salvador. «Un amico mi aveva detto che avremmo fatto molti soldi. Dovevamo sborsare 80 mila euro, ma poi sono uscito perché non arrivavano i guadagni promessi. Tutti quelli che sono coinvolti in affari con Perumal non hanno avuto fortuna. Lui ha truccato partite per 15 anni, perché qualcuno dovrebbe credergli?». In realtà è quello che stanno facendo gli investigatori di tutti i Paesi europei che si sono occupati di match truccati.

Il rapporto riservato

In un documento riservato della Fifa (che il Corriere ha visto) e che fa il punto sullo stato delle indagini sulle scommesse nei vari Paesi, si ha un'idea precisa di quanto impressionante sia la rete d'affari che parte da Singapore: si va dall'Italia (con tutti i giocatori coinvolti che sappiamo e l'accusa al gruppo dei bolognesi di essere i principali referenti) all'Ungheria, dal Panama usato come base per incontri d'affari all'Egitto dove Perumal ha vissuto un anno e fondato una società, dallo Zambia che era serbatoio di giocatori (da mandare in Finlandia a manipolare partite) alla Colombia, dove il sospetto è che i cartelli locali non si siano fatti sfuggire il business, fino a toccare alla Siria, che ha giocato un match contro una falsa rappresentativa dello Zimbabwe. Perumal, al proposito, ha voluto esagerare, confessando che «aveva più controllo lui sulla Federazione di quanto il presidente siriano non abbia sul Paese».

Modificato da Ghost Dog

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Conte, gioia e speranza

Ieri ha visto il match nella tribuna opposta alle panchine, domani il Tnas

Guido Vaciago - Tuttosport - 20-09-2012

LONDRA, 20 settembre 2012 - La partita più importante per Antonio Conte si gioca domani. Archiviato il Chelsea e la personale avventura a Stamford Bridge, il tecnico - oltre alla partita contro il Chievo - è concentrato sulla prima udienza del Tnas, che può decidere della sua squalifica. Intorno a mezzogiorno, allo Stadio Olimpico di Roma, gli avvocati della Figc da una parte e quelli di Conte (con Conte medesimo molto probabilmente presente) dall'altro saranno chiamati dal collegio arbitrale presieduto dall'avvocato Massimo Zaccheo e completato dal professor Guido Calvi , che nel 2010 è stato eletto come membro non togato del Consiglio Superiore della Magistratura (nominato da Conte) ed Enrico De Giovanni , avvocato dello Stato presso l'Avvocatura Generale (nominato dalla Figc). Devono decidere entro il 7 ottobre, ma non è detto che il verdetto, anzi il lodo in questo caso, non arrivi prima.

ISTRUZIONI La prima parte dell'udienza sarà dedicata al tentativo di conciliazione fra le parti. Una formalità che durerà poco perché Conte non ha nessuna intenzione di conciliare, visto che si tratterebbe di una sorta di patteggiamento e, anche se gli fosse proposto un forte sconto sulla pena il tecnico bianconero chiederebbe al collegio di prendere in considerazione il proscioglimento da qualsiasi accusa. A questo punto, si passerà al dibattimento vero e proprio che potrebbe finire anche nella stessa giornata di domani, ma più probabilmente richiederà un'altra seduta che verrà fissata immediatamente.

IL NODO Il dibattimento prenderà spunto dalle motivazioni con cui la Corte Federale ha ri-condannato Conte a dieci mesi di squalifica pur assolvendolo per uno dei due capi di imputazione (Novara-Siena), ma ritenendo che su Albinoleffe-Siena le responsabilità del tecnico possano essere considerate anche più gravi rispetto a quanto ipotizzato dalla procura federale. La Corte Federale, insomma, pensava che Conte potesse anche essere accusato di aver preso parte all'illecito e la cosa - prima dell'uscita delle motivazioni - era stata spiegata con una notevole gaffe mediatica dallo stesso giudice Sandulli in un'intervista radiofonica.

LA STRATEGIA Secondo il legali di Conte, tuttavia, le motivazioni sono piuttosto deboli, basandosi - di fatto - su due punti facilmente smontabili. Il primo riguarda il caso- Mastronunzio, il giocatore che - secondo l'accusa - Conte avrebbe escluso perché non d'accordo con la combine. Mastronunzio in realtà era infortunato da tempo (verranno prodotti i certificati da tempo) e ha chiarito che tutta la ricostruzione fatta sul suo conto (a partire dal fatto che lui avrebbe voluto regalare i tre punti anche all'Ascoli) è completamente sballata. Tant'è che nelle memorie che la Figc ha prodotto al Tnas, tutto quello che riguarda Mastronunzio è stato piuttosto sfumato. La Federcalcio insiste, invece, sul fatto che Conte non poteva non sapere, essendo stata organizzata la combine dal suo vice Stellini.

IRRISOLTO E su questo aspetto si combatterà la battaglia legale davanti al Tnas. Perché c'è poco di oggettivo e inconfutabile in una teoria del genere e, anche se i legali della Juventus non vogliono puntarci molto, c'è il clamoroso esempio di Emiliano Mondonico. Se la combine è stata organizzata da Stellini (per l'appunto il vice di Conte) e da Poloni (quello di Mondonico), perché Mondonico, allora tecnico dell'Albinoleffe, non è stato neppure deferito? Perché, insomma, Conte non poteva non sapere e invece Mondonico sì? La Figc sostiene che Conte sia una «grande accentratore», ma anche su questo fronte ci sono abissi di opinabilità da esplorare. Insomma, proprio per questa ragione la partita è aperta e se la logica potrebbe suggerire che Conte parte avvantaggiato, la giustizia sportiva ha abituato a sorprese a volte incredibili.

ESILIATO Come la partita di ieri che Conte ha seguito, a fianco del ds Fabio Paratici , dalla tribuna autorità, opposta alle panchine, in mezzo al pubblico. Non pubblico qualunque, ovvio. Più in basso, c'è il presidente dellUefa Michel Platini , tanto per dire. Uno juventino vero...

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Conte fra gli 007, ma a Firenze ipotesi hotel

A Londra il tecnico va in tribuna: per la trasferta contro i viola, forse non andrà allo stadio

G.B. Olivero . Gasport -20-09-2012

LONDRA, 20 settembre 2012 - Buttandola sul ridere, tra qualche settimana Antonio Conte potrebbe dilettarsi a scrivere una guida sul comfort delle tribune degli stadi italiani ed europei. Ieri ha assaggiato le poltroncine di Stamford Bridge: posti d’onore insieme al presidente Agnelli, all’a.d. Marotta e al d.s. Paratici, sotto lo stretto controllo degli 007 dell’Uefa che ovviamente sono stati attentissimi a scoprire eventuali comunicazioni dell’allenatore verso la squadra. La panchina a Stamford Bridge è dalla parte opposta rispetto alla tribuna d’onore, così solo i telefoni potevano venire in soccorso del tecnico della Juve. E’ probabile che sia stata studiata una strada assolutamente sicura per far giungere i suggerimenti a Carrera, manaturalmente nessuno ha voluto rischiare una brutta figura internazionale oltre a una automatica squalifica supplementare. Già all’arrivo del pullmandella Juve a Stamford Bridge c’è stato un attimo di incertezza sul comportamento da seguire: Conte stava scendendo per ultimo, ma poi è stato bloccato e ha parlato con Marotta per decidere cosa fare. Dopo qualche secondo è risalito sul pullman e ha fatto mezzo giro dello stadio per scendere davanti all’entrata del Champions Clubs & Partners dove ha fatto qualche foto con i tifosi.

Niente Firenze? Nella guida di Conte sugli stadi italiani, comunque, rischia di mancare il capitolo sul Franchi di Firenze. La società sta seriamente pensando di lasciare in albergo il tecnico e Marotta martedì prossimo, quando la Juve giocherà in un clima molto pesante contro la Fiorentina. A prescindere dalle decisioni che saranno prese dalla Questura di Firenze e dal club viola sul posto migliore dove piazzarli, i bianconeri stanno quindi riflettendo sulla situazione. Qualche ipotesi era cominciata a circolare: lasciare all’allenatore bianconero la sala GOS (Gruppo Operativo Sicurezza) dello stadio Franchi, oppure una delle aree destinate alle Tv (nonostante le dimensioni ampiamente ridotte delle piazzole stesse rispetto alle passate stagioni causa introduzione dei nuovi sky box, tredici balconcini con vetrate sul campo già tutti affittati a privati).

Lettera La Juve è rammaricata perché la Fiorentina non si è dissociata dalla lettera aperta del Centro coordinamento viola club ad Abete a proposito della «tolleranza nei confronti di Conte che furbescamente pretende di svolgere la propria professione». C’è però un motivo per il quale la Juve vorrebbe comunque portare Marotta e Conte allo stadio: lasciarli in albergo sarebbe una sconfitta per lo sport e una vittoria per i teppisti.

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"La Fiorentina quest'anno è super"

Della Valle: "Atmosfera calda con la Juve? Ma noi giocheremo con grande serenità. Conte? Possiamo trovare una soluzione, magari nello spazio Rai"

Giovanni Sardelli - Gasport -20-12-2012

FIRENZE, 20 settembre 2012 - Tante certezze e un dubbio. Mentre Montella prepara la trasferta di Parma, Firenze si organizza per l’evento successivo. Il più atteso. La partita di martedì prossimo contro la Juventus. Serata che aspetta anche Andrea Della Valle, presidente onorario viola, padrone di casa ieri sera a Milano per un evento Hogan: «Affronteremo questa partita con grande serenità, quest’anno abbiamo un grande gruppo. Gara che vale una stagione? No, questo no, maso benissimo quanto questa serata conti per la città. Per me ha lo stesso valore. Una sistemazione per Conte? Possiamo trovare una soluzione, magari nello spazio insieme alla Rai».

Allerta Della prima categoria, quella delle certezze, fa parte il servizio di vigilanza e di controllo intensificato in vista della sfida ai bianconeri. Il dubbio riguarda invece la sistemazione all’interno dell’Artemio Franchi di Antonio Conte e dell’a.d. Marotta (che alla fine potrebbero rimanere davanti alla tv in hotel). I motivi per alzare la guardia non mancano. Dagli intrecci di mercato al mancato trasferimento di Jovetic alla Juve passando per l’incredibile epilogo del caso Berbatov. E ancora una rivalità sportiva sempre accesa e lo 0-5 incassato dalla Fiorentina nella passata stagione. Sullo sfondo, le polemiche tra Diego Della Valle e la famiglia Agnelli su problematiche estranee al mondo del calcio. La ritrovata competitività della Fiorentina ha prodotto in città un entusiasmo che ha portato al tutto esaurito annunciato ieri. Corsa al biglietto iniziata lunedì, con l’avvio della vendita libera: in 48 ore staccati 32.000 tagliandi. Biglietti dunque introvabili, stadio esaurito a sei giorni dall’evento.

Misure Nella riunione tenutasi ieri a palazzo Medici Riccardi tra forze dell’ordine e prefettura, sono stati pianificati interventi specifici, «per garantire si legge nella nota - l’ordine pubblico in occasione di un incontro caratterizzato dall’accesa rivalità tra le due tifoserie». Tra le misure adottate, l’incremento degli steward sugli spalti, un accurato prefiltraggio e controlli attenti ai tornelli per evitare l'ingresso nell’impianto di fumogeni e petardi. Fuori dallo stadio vigilanza mirata a scongiurare il bagarinaggio dei biglietti. «È un evento sportivo molto sentito in città - ha detto il prefetto di Firenze Luigi Varratta - e sono convinto che tra i tifosi prevarranno come sempre buonsenso, comportamenti civili e ordinati. Certo inoltre che la rivalità potrà rimanere confinata nell’ironia, affinché la manifestazione possa svolgersi in un clima pacifico e sereno».

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Io Scrittore-tifoso

FURIOSO, SODDISFATTO E POI FELICE PER LA CHAMPIONS DELLA MIA JUVE

di SANDRO VERONESI - Gasport -20-12-2012

Considerando la scelta un po' azzardata di Antonio Conte di scendere in campo in dieci uomini, e malgrado non abbia vinto la partita, bisogna dire che il ritorno della Juventus in Champions League è stato un trionfo. Eppure, con Pirlo e Vucinic in serata storta, Marchisio, Asamoah e Lichtsteiner a corrente alternata e Bonucci che si è prodotto nella sua specialità — deviare nella propria porta i tiri degli avversari —, riesce difficile dire che si è vista una grande Juve. Come molte volte l'anno scorso, il tifoso bianconero ha passato buona parte dei novanta minuti della gara a sacramentare, lamentarsi e invocare cambi, e alla fine, come l'anno scorso, il pareggio gli ha lasciato l'amaro in bocca. Solo mentre i giocatori uscivano dal campo e la vena del collo cominciava a riaprirsi, si è reso conto che, nell'ordine: 1) gli avversari, che per di più giocavano in casa, erano i campioni d'Europa in carica; 2) alla mezz'ora del primo tempo era arrivata una mazzata — due gol in due minuti —che avrebbe potuto stroncare qualsiasi squadra; 3) negli ultimi 20 minuti, quando si è giocato undici contro undici non c'è stata partita; 4) insomma, si ripeteva sì la sofferenza dell'anno scorso, ma questa era la Champions League, ragazzi — e d'altra parte, pur con tutto quel soffrire, e con le medesime pecche, l'anno scorso la Juve la stagione l'ha dominata. Perciò, quando è partita la pubblicità, il tifoso bianconero ha cominciato a sentirsi soddisfatto. E quando la linea è tornata a Londra, e ha visto l'eroe purissimo e suo nuovo idolo Arturo Vidal far professione di umiltà al microfono dell'inviato di Sky, si è sentito felice. Felice, sì, di essere tifoso di una squadra che riesce a far sembrare uguali il Chelsea e il Lecce, e che quando regala un gol e un uomo all'avversario non perde, e che con l'allenatore in castigo rimane determinata e fredda di sangue in momenti caldissimi, e che senza ancora aver trovato la manovra più brillante rimane viva fino all'ultimo secondo su qualsiasi campo. Felice, sì, perché dopo quello che le era successo negli anni passati, ritrovarle queste caratteristiche così familiari continua ad avere il sapore del miracolo. L'anno scorso in Italia, da ieri anche in Europa, la Juve è tornata la Juve, e Antonio Conte, nonostante certe sue scelte bizzarre, è un grandissimo allenatore.

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Il caso Gonzalez spacca la B

Prima espulso, poi salvato dalla tv: ma per ripetere la gara l’arbitro deve «confessare»

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 20-09-2012)

Gonzalez resta un caso. Espulso dall’arbitro Di Paolo nel corso di Novara-Juve Stabia, riabilitato dal giudice sportivo, Emilio Battaglia. Un chiaro caso di «errore tecnico». Le condizioni per la ripetizione ci sarebbero tutte (visto che la squadra piemontese ha giocato in dieci per un’ora) ma la cosa finirà qui. Il Novara ha recuperato un giocatore importante ma sul tavolo resta un problema giuridico emerso già nella scorsa stagione: un errore tecnico evidenziato dalle riprese televisive non ha come inevitabile corollario la ripetizione della gara.

PRECEDENTE - La nuova regola sulla prova televisiva consente oggi al giudice sportivo di rimediare a una decisione sbagliata del direttore di gara. E il Novara a sostegno della sua tesi ha portato le riprese che scagionano Gonzalez: non ha colpito Figliomeni e quest’ultimo, dice Battaglia, ha tratto in inganno Di Paolo coprendosi il volto con le mani. Nella scorsa stagione qualcosa di simile avvenne in Bassano-Pergocrema. Pià destinatario di un secondo giallo non venne, però, punito con il «rosso» per via di uno scambio di persona da parte dell’arbitro Peretti. Reclamo del Bassano. In prima istanza viene disposta la ripetizione della gara; la Corte di giustizia federale, però, cancella la sentenza e accetta il risultato del campo (vittoria del Pergocrema). Errore tecnico anche in quel caso ma la ripetizione può avvenire solo a due condizioni: la richiesta specifica da parte della società penalizzata (il Novara non l’ha invocata); ammissione dell’errore da parte dell’arbitro.

TESTIMONE - In Bassano-Pergocrema, Mattia Grassani rappresentava gli interessi dei veneti. Onestamente ammette: «La norma ha una sua ratio. Perché da un lato garantisce a una squadra di non subire anche la beffa dopo aver sopportato il danno e dall’altro evita che dieci, dodici partite ogni anno vengano ripetute». In sostanza, quelle due condizioni definiscono un «limite di garanzia».

NORMA RIVEDUTA - La norma è stata riveduta e corretta perché un tempo la prova televisiva non poteva spingersi così avanti, non dava al giudice la possibilità di ribaltare la decisione di un arbitro perché doveva prendere in considerazione solo vicende che al direttore di gara erano sfuggite. Essendo la questione dell’errore tecnico piuttosto delicata, è evidente che un caso come quello di Gonzalez solleva dibattiti piuttosto aspri. I sostenitori del «limite di garanzia» sottolineano come la norma garantisca anche una parità di trattamento all’interno dell’ampio panorama calcistico perché le riprese televisive sono ampiamente disponibili in A e B, molto meno in Lega Pro o in serie D. C’è chi vorrebbe, però, una interpretazione più «estrema». Interpretazione che, però, potrebbe portare a una profonda delegittimazione degli arbitri.

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Tifosi: chi sale, chi scende

E lo scandalo di Cagliari

Fulvio Bianchi - Spy calcio - repubblica.it - 20-09-2012

La Lega di serie A è stata bravissima nel vendere, prima che la crisi arrivasse all'apice (sempre che questo sia davvero l'apice), i diritti tv del campionato. Con un balzo in avanti sensibile anche per l'estero. Quasi un miliardo di euro che entrano nelle casse dei presidenti e tengono in piedi il Circo del pallone: segno che il nostro calcio così litigioso, tutto sommato, piace. Poi, purtroppo, la Lega dei venti padri-padroni non riesce a trovare un accordo "politico" al suo interno. Come si può pensare di paragonarci alla Premier League o alla Bundesliga se a livello di stadi, ad esempio, siamo messi in queste condizioni? La Juventus ha tracciato una rotta (impianto, di casa, sempre pieno) e ne sta avendo già notevoli benefici. Ma quando vedi quello che è successo, sta succedendo, a Cagliari, rimani stupefatto: la gara di domenica con la Roma, a Is Arenas, si gioca a porte chiuse: lo stadio di Quartu, e siamo già alla quarta giornata, non ha ancora l'agilità e chissà mai se l'avrà. Il Cagliari ha venduto 4000 abbonamenti e un migliaio di biglietti per domenica (questi saranno rimborsati). In futuro c'è lo spettro di Trieste dove la squadra si era già rifugiata al termine della scorsa stagione. Ma che rispetto c'è per i tifosi? Soprattutto di questi tempi di crisi, anche in Sardegna come sappiamo bene. I tifosi fanno enormi sacrifici per le loro squadre del cuore, in un momento in cui, ad esempio, una grande catena di magazzini ha visto ridurre l'acquisto di carni rosse del 30 per cento. Si rendono conto i presidenti del pallone che l'Italia sta vivendo un momento difficile (eufemismo)? A Pisa e Pontedera (campo sintetico) gli stadi hanno ottenuto l'agibilità: non si può andare avanti sempre con le deroghe e i sindaci non hanno più quel potere di un tempo. Se gli spettatori negli stadi in questi ultimi anni stanno calando (e crescendo in tv) è anche per questo motivo: la tessera del tifoso, pur poco amata dagli ultrà, incide ormai in minima parte nel calo degli abbonati. Ecco la classifica (parziale) di quest'anno, considerato che molte campagne abbonamenti non sono ancora chiuse e che i club non hanno ancora comunicato i numeri ufficiali alla Lega di serie A (il Chievo non lo fa mai, chissà perché): Inter 30.772; Juventus 27.292 (nel 2010-'11 ne aveva 14.290...); Roma 24.506; Milan 23.618 Nel 201-'11 erano 31.219); Sampdoria 19.590; Udinese 17.457; Lazio 16.743; Genoa 16.100; Fiorentina 13.885; Bologna 12.949; Napoli 10.500; Atalanta 9.800; Palermo 9.286; Catania 8.421; Parma 8.189; Torino 8.100; Pescara 7.400; Siena 6.869; Chievo 4.200; Cagliari 4.000. Molto bene la Juve, in ripresa la Roma grazie a Zeman, suoi suoi livelli l'Inter che ha ringraziato anche i tifosi, non decolla la nuova Fiorentina, fiacca la Lazio nonostante l'ottima classifica, il Napoli invece recupera ampiamente coi paganti. Bene le tre neopromosse, con la Samp che batte i cugini del Genoa. A fine stagione, se sarà un campionato incerto, si potrà (forse) superare quota 23.000 spettatori medi. Sempre pochino comunque rispetto a Inghilterra e Germania. Soprattutto ci sono molti vuoti in troppi stadi. Per questo tanti club pensano a nuovi impianti, di proprietà: la Roma made in Usa avrebbe individuato nella zona di Tor di Valle il posto migliore. Ma ci vorranno, se va bene, anni (e il prossimo a Roma si vota...). Gli americani di mister Pallotta su quello puntano: senza un nuovo stadio il loro impegno potrebbe diminuire (intanto il prossimo anno probabilmente Franco Baldini andrà al Tottenham).

Lo scorso anno il club che aveva guadagnano di più, fra paganti e abbonati, era stata la Juventus che aveva incassato oltre 11 milioni di euro (merito del nuovo stadio), che aveva preceduto il Milan (10 milioni). Quest'anno il mini-Milan, senza campioni, rischia veramente un crollo: in campionato la campagna abbonamenti è stata la peggiore dell'era Berlusconi, i mini-abbonamenti di Champions si sono fermati a quota 18.276, mai così male da 16 anni. D'altronde, in questo organico non c'è molta fiducia, non è certo tutta colpa di Allegri (e se dovessero arrivare Tassotti e Inzaghi anche loro non potrebbero fare miracoli). Curioso l'atteggiamento dei tifosi: secondo un quotidiano i "tifosi borghesi" (che vuol dire?) hanno fischiato Boateng con l'Anderlecht, mentre la curva lo ha sostenuto.

Figc verso il futuro: uno o quattro vicepresidenti?

Il commissario ad acta, Giulio Napolitano, è tornato dalle ferie e presto si metterà al lavoro. I tempi? "Quelli li decide la Figc", spiega Gianni Petrucci. C'è da sistemare la questione dei posti in consiglio federale prima delle votazioni di dicembre. Con le nuove norme del Coni i consiglieri federali devono essere al massimo 20, presidente incluso. Le quattro Leghe, trascinate da Macalli, avevano proposto di fare fuori dal consiglio federale la componente arbitrale, ma Marcello Nicchi, appoggiato anche da Abete, si è subito ribellato. "Non ci pensino assolutamente di toccare l'Aia": gli arbitri hanno un posto e lo salveranno. La Lega di A ne chiede tre, la B uno come adesso e la Lega Pro è pronta a scendere al massimo da quattro a tre. Ma i conti non tornano: i posti a disposizione con le nuove regole sono solo sei in tutto. Che farà il commissario ad acta? Toglierà un consigliere a Macalli? Il n.1 della Lega Pro, che si ricandida, aveva anche proposto una modifica ai vicepresidenti Figc: o uno o quattro (ora sono tre: Tavecchio, Albertini e lo stesso Macalli) per cercare di mettere tutti d'accordo. Niente da fare. Ma bisogna trovare, e in fretta, la quadratura del cerchio.

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Sport, operazione gioventù

cominciamo dai dirigenti

Aligi Pontani - Tempo Scaduto - repubblica.it - 20-09-2012

"I nostri atleti sono vecchi, tra i più vecchi del mondo. Il ricambio generazionale è importantissimo, da noi più che in qualsiasi altro paese".

È un proclama che potrebbe valere per tutto, in Italia: politica, ricerca, istruzione, occupazione. Anche per lo sport, certo: Raffaele Pagnozzi, 64 anni, l'uomo che ha lanciato l'allarme, ne sa qualcosa: è al Coni da decenni e lo sport lo conosce bene, benissimo, tanto da essersi candidato a guidarlo. La cosa che scoraggia però, al di là delle qualità e della credibilità personale dei candidati alla presidenza del Coni (l'altro e Giovanni Malagò, 53 anni) è la superficialità con cui lo sport italiano parla di cose come rinnovamento, giovani, ricambio. Lo fa restringendo il campo di analisi ad un'unica e innocua (per i dirigenti) categoria: gli atleti, appunto. I più innocenti e indifesi.

E' un messaggio fazioso, perché identifica il problema (non produciamo più atleti) ma non accenna alle responsabilità (di chi è la colpa? Non c'entra per caso il sistema, i politici, lo stato?). E' una lettura limitata, perché non contiene nessuna visione strategica per il futuro (come faremo a invertire la tendenza? Quali sarà la politica dello sport del futuro?). È infine un'analisi omissiva, perché trascura e oscura il vero, terribile invecchiamento che paralizza lo sport: quello della sua classe dirigente.

"L'età media dei nostri atleti a Londra sfiorava i 30 anni", ha spiegato Pagnozzi, capo spedizione olimpico, con aria preoccupata. Bene, quella dei presidenti delle federazioni sportive, nell'anno olimpico, superava i sessanta: 61,9 per la precisione. Otto presidenti federali erano over 70, solo 4 under 50, nessuno under 40 (pensateci: nessun trentenne, proprio zero). Prima di Londra non c'era nessuna donna. Poi, il 10 settembre scorso, Antonella Dallari è stata eletta presidente della federazione sport equestri, rompendo un tabù storico e parecchio significativo, che vuole solo uomini nei posti di comando dello sport. E chi prova a confutare questo dato citando le carriere luminose di qualche ex atleta si rassegni all'evidenza impietosa dei numeri: nel quadriennio appena concluso si contavano 62 donne su 646 consiglieri seminati nelle federazioni associate al Coni. Meno del 10%. Nessuna donna nel consiglio federare del calcio (e vabbè), nessuna neppure nel tennis, per dire. In molti casi, l'unico consigliere donna era il rappresentante degli atleti.

Allora, di cosa stiamo parlando quando parliamo di sport italiano "vecchio"? Davvero qualcuno vuole farci credere che la colpa è delle mamme che non fanno più campioni? O parliamo di un sistema affogato da un diabolico meccanismo di autoconservazione che schiaccia le forze fresche e garantisce a chi è al comando di restarci all'infinito? Gianni Petrucci, che il Coni ha gestito per quattro mandati, è stato illuminante rispondendo sulla Stampa a una domanda sul tema: "Perché il rinnovamento si pretende dal Coni, dove tutti sono eletti democraticamente, mentre in altri settori i presidenti, pur non eletti, possono restare a vita?", ha detto. Il senso è chiarissimo, sincerissimo: perché le cose dovrebbero cambiare solo da noi? Cambiassero le mamme, piuttosto: forza, fateci qualche bel campione, che noi non ci riusciamo più. L'Italia conta su di voi.

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FOOTBALL ON AIR

Calcio, neofolklore e psicoanalisi

Fenomenologia delle radio tifose

Viaggio nel bar sport dell’etere romano dove chiacchiera

ossessioni e sfottò regnano sovrani sugli umori della città

Network romanisti, laziali, agnostici. Tutto il giorno tra mitografia e complottismo

Conduttori, opinionisti, capi-popolo. «Pubblico» li recensirà uno a uno

di ALBERTO PICCININI (Pubblico 21-09-2012)

Le radio della Roma, anzi d’’a Roma, sono un elemento del neofolklore capitolino da più di dieci anni, almeno dall’ultimo scudetto giallorosso. Radio romaniste, quasi per definizione, ma ce n’è anche della Lazio. Laziale fu un pioniere dell’emittenza locale tifosa come Michele Plastino, negli anni ’80 quando tutto nacque, pure il calcio moderno e con lui la moderna chiacchiera di calcio, onnivora e onnipresente. Il tempo, forse i sogni di gloria, le ingiustizie subite vere o presunte, una mitografia che va da Il Gladiatore a Alberto Sordi, a Zeman, hanno provveduto a sbilanciare fortemente il rapporto. Tant’è. Centrosuonosport, Teleradiostereo, Retesport solo per citare le più note, sono romaniste dall ’alba al tramonto. Radio Radio e Radio Incontro, agnostiche pluraliste. Radiosei, laziale (stesso editore di Retesport), con l’au - torità massima in materia di lazialità, Guidone De Angelis. E così via.

Il peak time è tra le 10 e le 14, quando le autoradio pompano in stereo tra il Lungotevere e il Raccordo, ed è tutto bloccato, e la metafora dell ’appassionato di calcio svaccato in poltrona diventa addirittura condanna. Si ripete: non esiste da nessuna parte una cosa del genere. No, forse un poco a Barcellona, forse a Buenos Aires dove i taxisti si possono scegliere in ragione del tifo, cose così. E si invidia –se forestieri –il mantra strascicato col quale conduttori, opinionisti, ascoltatori al telefono, sono capaci di riempire l’etere romano di cazzeggio sì ma serio, dove i biscardismi e il gergo da tribuna lasciano posto a sentimentalismi da vecchi ultrà, metafisiche ossessioni verdoniane, coattitudine pura. E dove la pubblicità traccia un panorama a metà tra la periferia desolata e i vecchi cartelloni da stadio, coi ristoranti che se magna bene e se spende poco, i venditori di impianti di aria condizionata sponsorizzati da vecchie glorie, le multiproprietà e gli anticalvizie, il caffè, il dolce, gli ammazzacaffè.

Fin qui il folklore. Ancora quest’anno a Centrosuonosport regna Marione, ex ultrà, ex (?) neofascista, capopopolo da destra sociale (vedi la rubrica qui a fianco) che il format l’ha praticamente inventato, e le radio se l’è girate una ad una. Teleradiostereo invece è l’ultima arrivata, e il suo editore Edoardo Caltagirone – di tanta famiglia palazzinara – ha svuotato l’anno scorso la vecchia Retesport di David Rossi (allievo di Marione, conduttore moderato, moderatamente di sinistra) e Dario Bersani, ma anche di Del Vecchio e Tonetto, ex calciatori prestati all’opinionismo più sentimentale che altro. Teleradiostereo ha da quest’anno l’esclusiva della radiocronaca domenicale urlata a dovere dagli specialisti del genere (e copiata dal doppio canale di Sky), a cominciare da quel Carlo Zampa –speaker ufficiale dell’Olimpico - che se l’è inventata rischiandoci ogni volta le tonsille e però è tornato a Retesport. Da qui sono ripartiti con conduttori nuovi, ma niente capopopolo, e si sono tenuti gli opinionisti dei giornali nazionali (Valdiserri del Corriere, Trani del Messaggero, il suo collega Mimmo Ferretti invece è migrato a Teleradiostereo).

Tuttavia, i dati d’ascolto più recenti direbbero che gli ascoltatori non diano poi così tanto peso a un così vorticoso radiomercato. Centomila, poco sotto o poco sopra, resta la media giornaliera delle radio già affermate. Nè l’azzardo di Caltagirone sembra alzare l’au - dience della rete ferma alle rilevazioni di due anni fa. Alla fine i romani e romanisti, che di radio ne hanno sintonizzate almeno un paio, hanno l’impressione di ascoltare sempre la stessa. Una talk radio calcistica che rilegge il format americano, populista, tendenzialmente di destra, incendiario e misogino. Lo raddolcisce col cazzeggio e lo sfottò, col circospetto complottismo dei giornalisti sportivi, con le parodie canzonettare di immortali sotto-Venditti tipo el Galopeira (comprato anche lui da Teleradiostereo), fino ai remix fatti in casa che sparano frammenti di telecronaca e cori da stadio su musica tecno di grana grossa, specie quando la Roma ha vinto, e bene.

Ma i momenti migliori sono gli sfoghi dei tifosi al telefono, a microfono aperto. Specie se la Roma ha perso, e male (è successo l’altra domenica). E’ qui che la radio diventa ancora un palcoscenico inimitabile, un set di psicoanalisi collettiva, un grande bar dove tutti si danno del tu, come ai tempi di Radio Radicale, con la differenza che qui – quando scappa la parolaccia, è il minimo – il mixer provvede a sfumare l’audio e stacca la linea. Oggi che il giornalismo e le comunità –anche calcistiche - si fanno e si disfano in Rete (come prova lo straordinario successo la scorsa stagione della pagina facebook giallorossa Kansas City 1927), le radio tifose fanno la figura di certi vecchi bar, con il giornale sportivo aperto sul frigo dei gelati. In futuro sceglieranno la “professionalità ”, se va bene e qualsiasi cosa voglia dire, ma è già un altro pezzo di Roma che rischia di scomparire come tanti altri.

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RADIATI di BORIS SOLLAZZO (Pubblico 21-09-2012)

Te lo do io Marione,

tribuno iconoclasta

Il nostro viaggio nell’etere radiofonico-sportivo comincia da Mario Corsi, detto Marione. Piaccia o no, è il Re delle frequenze calcistiche e non, visto che Alemanno da lui s’è fatto maltrattare più d’una volta in diretta.

Per molti idolo e per altri tribuno, è un conduttore nel senso più ampio del termine. Se apre una crociata, sia essa una battagIia sociale, una polemica sportiva o il linciaggio di un avversario (senza esclusione di colpi, ovvio) grazie a quel carisma quasi animalesco i suoi ascoltatori lo seguono ovunque e comunque. Intuisce il calcio come pochi, pur conoscendo a stento la rosa della Roma (e di metà dei giocatori, spesso di proposito, storpia i nomi), modella su se stesso i tempi della radio, eliminando quasi ogni forma di dissenso con divertita naturalezza: gli ascoltatori in disaccordo vengono sovrastati dalla sua voce e fatti cadere per sbaglio da Valerio “Frank” Zappa, o fulminati con una battuta.

I grandi nomi, invece, sono demoliti da frecciate e attacchi quotidiani (lo chiama “il suo Gianicolo”: li spara idealmente via col cannone delle 12). Tanto è amato, quanto odiato: lo attaccano tutti, se ne bea e lo ricorda sempre, il rancore –spesso di ex amici divenuti poi nemici, ma sempre nella sua ombra –diventa ascolto.

Rende tutto epico e personale. Dal terzo scudetto della Roma al fallimento del “proggetto ” di Luis Enrique, il calcio con lui è sempre racconto, rabbia, storia, battaglia campale, ironia feroce.

Marione è un personaggio discusso anche per il passato nei Nar e il coinvolgimento nella vicenda di Fausto e Jaio (Clementina Forleo ne ha archiviato la posizione per insufficienza di prove). Anche di quello non fa mistero: ne parla, non nega quello che è stato e rivendica ciò che è ora. Fascista per molti, se non tutti, sono molti quelli di sinistra (e non romanisti) che lo adorano, per l’onestà intellettuale brutale e sarcastica su molti temi. Sa, infine, annusare talenti come pochi: da Giuseppe Lomonaco, ora a Radio Rock, che si divide tra cronaca, intrattenimento divertito e divertente e calcio, a Adriano Valentini, su CSS con l'ottimo Febbre a 90°.

Marione, con la trasmissione Te la do io Tokyo (titolo dato nella speranza di vedere la Magggica, un giorno, giocare l’ ex Coppa Intercontinentale), ti incatena alla radio anche se non lo sopporti. Cercate su youtube la maratona notturna dedicata a Francesca Bonfanti, collega morta suicida una decina di giorni fa: lui, Lomonaco, Valentini e Stefano Valvo (altro genio) han dato vita a un'ora di radio straordinaria. Corsi, iconoclasta verso tutti (tranne Totti, e Zeman), ha pure preso in giro il Papa. Succede solo da (e con) Marione.

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da repubblica.it fulvio bianchi spycalcio

Coni, Pagnozzi più forte

Barelli sarà vicepresidente?

Lo leggo dopo

104505410-7620f109-19d0-48b2-b963-1a7fa766455d.jpgGianni Petrucci (quarto da sinistra) con Luca Pancalli, presidente del comitato italiano paralimpico (ansa)

Game over? E' molto probabile che sia così: fra Londra e fine agosto-settembre è stata tessuta la tela e Lello Pagnozzi ha rafforzato ancora di più la sua posizione. Il segretario generale ormai è favoritissimo per la corsa alla presidenza: si vota il 19 febbraio 2013, il suo rivale Giovanni Malagò, stando ai rumours che vengono dal Foro Italico e dintorni, avrebbe ben poche possibilità. Per vari motivi che andiamo ad elencare. Prima Pagnozzi ha fatto l'accordo con Luca Pancalli, adesso vice del Coni e n.1 dei paralimpici. A Pancalli è stato offerto l'incarico di segretario generale, e lui ha accettato ben felice di "poter continuare il mio percorso professionale nel mondo dello sport". Poi, Renato Di Rocco, potente presidente della Federciclo, ha fatto la pace con Petrucci, sponsor ovviamente n.1 di Pagnozzi. Infine, ed è di questi giorni, ecco l'accordo con il senatore (Pdl) Paolo Barelli, anche lui potente presidente (della Federnuoto) ed elogiato più volte, non a caso, ultimamente da Petrucci. Barelli, è vero, deve andare ad elezioni ed ha dei rivali: ma, stando alle previsioni, dovrebbe ottenere (almeno) il 60 per cento dei consensi. Anche Barelli, ex amico di Malagò, si è schierato con Pagnozzi, promettendogli un bel numero di voti. In cambio potrebbe avere la vicepresidenza, che è di Pancalli, o un ruolo come membro di Giunta. Insomma, i "nemici", o meglio rivali, di Petrucci (e Pagnozzi) del passato adesso hanno fatto tutti la pace: lo stesso professore Fabio

Pigozzi, presidente della Federazione di medicina internazionale e prorettore allo Iusm (ex Isef), adesso è un "petrucciano". Una dichiarazione di voto a favore di Pagnozzi è intanto giunta, ufficialmente, da Renato Rizzoli, che è il n.1 della Confederazione mondiale e italiana di bocce, ma anche presidente della Federsport: "Io sono per la continuità. Stimo molto Malagò, bravo industriale e che guida un club importante e prestigioso come l'Aniene: ma questo non vuol dire che ha conoscenza a fondo di tutti gli sport, non fa di lui un buon presidente del Coni. Ci vogliono i fatti, per questo bisogna proseguire nel segno della continuità. Vedere l'altro giorno al Quirinale olimpici e paralimpici insieme è stata una cosa bellissima e un segnale importante". Con Rizzoli pare ci siano altri presidenti che fanno appunto parte della Federsport. E Malagò che fa? Che dice? Si è candidato prima delle Olimpiadi, il suo Aniene a Londra è andato male (ma questo non è certo colpa sua) e adesso ha promesso che avrebbe svelato il suo programma elettorale. Si sa, lo ha detto, che è per l'innovazione, e non la rivoluzione. Che vuole puntare sul marketing per trovare, soprattutto in questi tempi di crisi, nuove risorse per lo sport. Si sa che è più giovane di Pagnozzi (53 contro 64) ma che sconta il fatto che le elezioni sono molto più vicine di quello che si pensi e che lui non è presidente di Federazione. In un mondo abbastanza "bloccato" e tutto sommato conservatore come quello dello sport, Malagò, pur avendo ottime amicizie politiche bipartisan (da Veltroni a Letta e Catricalà e Passera), si trova a partire sfavorito. E gli accordi degli ultimissimi giorni rischiano di averlo messo all'angolo.

E il superprocuratore Palazzi indaga. Con molta calma...

Eppur si muove: la superprocura federale del superprocuratore Stefano Palazzi, con superpoteri di inquirente e requirente, sta indagando su quanto successo l'11 agosto a Pechino. Il Napoli, come noto, non si presentò alla premiazione della Supercoppa, vinta dalla Juve, favorita dal pessimo arbitraggio di Mazzoleni (questo, ovviamente, il pensiero di Mazzarri e c.). Ieri è stato interrogato De Laurentiis, oggi tocca ad allenatore e calciatori. Poi Palazzi deciderà (speriamo presto): archiviazione o deferimento. Tante cose vanno decise, e ci sembra che la Superprocura vada molto a rilento. Allora: a) che fare con le dichiarazioni della Juve e di Conte? b) che fare con le inchieste del calcioscommesse che coinvolgono (coinvolgerebbero) Genoa, Lazio e Napoli? Prima si parlava di deferimenti verso fine settembre: ora slitta tutto a fine anno? Intanto, molti giocatori indagati continuano tranquillamente a giocare... E' giusto? E la regolarità del campionato? Silenzio, la superprocura indaga. Con molta calma.

Ranking Uefa, Italia inseguita da Francia e Portogallo

Contro le prime tre (Spagna, Inghilterra e Germania) non c'è niente da fare: avremo solo tre squadre in Champions chissà per quanti anni. Ma se i nostri club non snobbano più l'Europa League, possiamo sperare di risalire in classifica. Nel ranking Uefa 2014 ora siamo appunto quarti, con 53.147 punti e teniamo a bada, per ora, la Francia (51.333) che ha scavalcato il Portogallo (51.168).

(21 settembre 2012

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Re di Francia

«Ibra? Noi trattavamo

Thiago Silva, ma poi...»

Al Khelaifi, presidente del Psg: «Lo voleva mezzo mondo,

l'abbiamo preso noi. Investiremo ancora per arrivare al top»

di ALESSANDRO GRANDESSO (GaSport 21-09-2012)

Atteso, invidiato. E criticato. Il Psg spende senza contare e solleva perplessità in Europa. Fuori luogo per Nasser Al Khelaifi, presidente del club, appagato dopo il 4-1 d'esordio in Champions alla Dinamo Kiev. «Erano otto anni che il Psg non giocava in Champions. Partita eccellente. Iniziamo a giocare come una vera squadra, la pressione è normale, era importante vincere per dare un segnale forte a tutti: siamo sulla buona strada».

Sorpreso da Verratti?

«La squadra è forte, ma Marco è sorprendente, i tifosi lo adorano. Non voglio parlarne troppo, è giovane, un gran talento, ma la strada è lunga. È il futuro dell'Italia e del Psg».

Con i nuovi acquisti, qual è l'obiettivo in Champions?

«Procedere per tappe, essere competitivi, andare il più lontano possibile, battendoci in ogni partita».

Ancelotti punta al top 4 europeo in due anni.

«E' un grande, con molta esperienza. Se lo dice lui ci credo».

Finora in Italia avete speso oltre 170 milioni.

«Non le confermo le cifre, ma amiamo l'Italia. Da voi ci sono più opportunità che altrove».

C'è la crisi, vuole dire.

«Voglio dire che in Serie A e B ci sono molti buoni giocatori».

Come Ibra e Thiago Silva. Ci dia la sua versione della transazione dell'anno.

«All'inizio trattavamo solo Silva, poi è emersa l'ipotesi Ibra, che tutti volevano. L'abbiamo preso noi».

Ma loro non volevano venire.

«Sono cose tra loro e il Milan. Li vedo felici qui, lo hanno dimostrato segnando contro la Dinamo Kiev».

Cosa cambia Ibra per il Psg?

«Tutto. E' una superstar che cambia l'immagine del club a livello internazionale. Siamo credibili agli occhi di tutti. Ibra ha fatto esplodere le vendite di magliette».

Moratti, Rummenigge, Ferguson e pure Butraguegno vi accusano di spendere troppo.

«Rispettiamo tutti, spero che gli altri facciano lo stesso. Non vedo perché non dovremmo avere il diritto di investire quanto altri hanno speso fino a un paio di anni fa. Per diventare grande, devi investire soldi. Continueremo a farlo per raggiungere i nostri obiettivi. E buona fortuna agli altri».

Anche l'Uefa è preoccupata del Psg in vista del fairplay finanziario.

«Come tutti i club francesi, il Psg è seguito dalla Commissione di controllo della Lega. Rispetteremo ogni regola, arriveremo sereni al 2014. Chiedo agli altri big club europei di focalizzarsi sul loro business, di lasciarci lavorare in pace».

Proprio il presidente della Commissione dice un nuovo stadio da 60mila posti risolverebbe ogni problema.

«Può essere una soluzione, ma stiamo ristrutturando il nostro per l'Euro 2016. Siamo l'unico club di Parigi, metropoli da 20 milioni di abitanti, una delle città più belle al mondo. Non avremo problemi per aumentare gli introiti. Costruiamo un marchio internazionale».

Però avete speso 250 milioni in un anno.

«La strategia è precisa. Abbiamo ridotto gli sponsor che ora pagano molto di più, sviluppiamo il marketing, incassiamo di più da diritti televisivi e biglietteria».

Si parla di una Banca del Qatar come sponsor da 400 milioni in quattro stagioni.

«Falso».

Il Psg è proprietà del Qatar che controlla Al Jazeera che ritrasmette Champions, Europa League, Europeo.

«Sono cose totalmente separate. E poi è solo un bene per l'Uefa e i club avere un partner come Al Jazeera».

Per il presidente del Lione non avete inserito tutti i dati nel software Uefa di simulazione sul fairplay finanziario.

«Falso, è tutto ok».

La tassa di Hollande al 75% per stipendi da oltre il milione può essere un problema?

«Rispetteremo leggi e regole. Non è un problema».

Lo sa che Berlusconi e Moratti cercano partner?

«Non avrebbe senso. E poi se ci criticano oggi perché spendiamo troppo con il Psg, immagini se comprassimo un altro club di quel calibro».

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Panorama | 26 settembre 2012

Tutti i mister

del presidente

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CHI AMA IL CALCIO

ODIA IL BARCELLONA

La compiaciuta soddisfazione intellettuale

di un vero tifoso che festeggia in piedi sul divano,

stravolto di gioia, per le (poche) sconfitte

di una squadra perfetta, ben pettinata e molto noiosa

di MICHELE DALAI (IL - Intelligence in lifestyle | Ottobre 2012)

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Tifano per una squadra il cui motto è Mes que un club. I sostenitori del Barcellona rivendicano così l'appartenenza a qualcosa di diverso e unico, come a sottolineare fin da subito, dalla stretta di mano, che se la loro è più di una squadra le altre non possono che essere solo squadre o anche qualcosa di meno. Sostenitori, soci, catalani.

Ma anche semplici simpatizzanti sparsi per i cinque continenti, allegri non tifosi che portano in spalla bimbi di 5 anni con la maglia di Messi e il sorriso timido di Iniesta. Il Barcellona di oggi viene da lontano. La stirpe di brevilinei innamorati della palla che ammalia il mondo e cambia le regole del gioco è solo l'ultima generazione di una storia calcisticamente antica, iniziata nel 1899 quando un uomo d'affari protestante, lo svizzero Joan Gamper decise di fondare la squadra insieme ad alcuni espatriati inglesi. Da allora il Barcellona è stato sempre e comunque forzato a essere mes que un club. La bandiera di un nazionalismo liberale, quello catalano. La bandiera di modernità, progresso e sviluppo industriale (catalano, come ovvio) contro la retriva borghesia imperiale castigliana. Lo sfogo morbido e orgoglioso dell'indipendentismo contro la repressione fascista del Generale Franco. Il Barcellona è stato vettore perfetto di sentimenti nobili e ha ispirato la meglio gioventù iberica, ha riformulato negli anni i canoni di stile e bellezza calcistica mutuandoli dagli olandesi ed è diventato lo sbocco obbligatorio del tifo progressista e il passatempo di scrittori e artisti.

Il museo del Barcellona ospita quadri di Dalì e Mirò, si dice addirittura che i suoi colori sociali siano stati mutuati dal tricolore della Rivoluzione francese. Si dice e se non è vero poco importa, è comunque una leggenda metropolitana da alimentare come tutte le agiografie non ufficiali dei sette nani del Barcellona. Come spiega bene Franklin Foer nel brillante saggio How soccer explains the world: «Quando si è orientati verso una politica liberal e un'estetica yuppie, non è facile trovare un angolo del firmamento calcistico in cui sentirsi a casa».

TIFO POLITICAMENTE CORRETTO

E la risposta a tutte le ricerche e le domande, alla sete di correttezza politica che per alcuni (in genere quelli che non guardano le partite) è l'unico requisito necessario al tifo, è solo una. Il Barcellona. La squadra che può privarsi di campioni eccezionali se non li ritiene funzionali al suo stile di gioco, la squadra che non ha gruppi di tifosi organizzati e il cui stadio, il monumentale Camp Nou, è pieno di famiglie e ha uno dei tassi di presenze femminili più alti del mondo. Come si può non amare il Barcellona che porta l'Unicef sulle sue maglie? Come è possibile non innamorarsi di Messi, il campione educato e silenzioso, forse anche timido, che segna gol meravigliosi e vince tutti i trofei individuali dell'universo e li dedica alla squadra?

Si può. Io odio il Barcellona, sempre che l'intensità dell'odio si possa applicare alla più seria e drammatica delle cose poco serie, il calcio. Il Barcellona di Guardiola è la massima espressione del nuovo spirito blaugrana. Un allenatore giovane e intelligente (anche molto presentabile, che non guasta). Un gruppo di giocatori disciplinati, pettinati a modo e incapaci di qualsiasi forma di protagonismo o eccesso, allineati allo spirito disneyano richiesto dal club. Un pubblico che festeggia le vittorie ma non dimentica di celebrare la squadra anche nelle sconfitte, come è accaduto alla fine della sfortunata semifinale di Champions League contro il Chelsea.

Non me ne sono accorto in tempo reale perché come altri milioni di antipatizzanti ero in piedi sul divano, paonazzo e stravolto dalla gioia a celebrare il successo dei brutti, sporchi, ricchi e cattivi del Chelsea di Abramovich, il miliardario dallo sguardo di ghiaccio e il portafoglio senza fondo. Da dove viene quello che uno bravo chiamerebbe Schadenfreunde e uno come me semplifica in odio? Perché tutto questo astio, come si può non amare il Barcellona? Si può e forse per amore del calcio si deve. Non è il passatismo a trasformarci in nemici irriducibili del gioco del Barcellona (che qui non chiameremo mai affettuosamente "Barça"), non la nostalgia della melina né la naturale e molto sana propensione catenacciara di noi gente che non ama il "tiqui taca" e pensa che Manuel Vázquez Montalbán fosse un notevole scrittore e un pessimo osservatore delle cose del calcio.

Il Barcellona è terribilmente noioso, ecco la verità. Il suo gioco lento e avvolgente, la quantità industriale di palloni stoppati, lavorati e giocati dai suoi centrocampisti frenetici è una delle cose più deprimenti della storia del calcio e il fine ultimo della creazione del suo gioco, l'umiliazione dell'avversario ancora più e prima che la sua sconfitta, è aberrante. Il dramma (sportivo, s'intende), è che siamo di fronte a un'onda lunga, di cui vediamo solo i primi effetti. Infatti gli infidi ammaestratori di foche catalani iniziano prestissimo a instillare i principi della noia e della masturbazione del pallone ai loro pulcini.

La Masia del Barcellona, il suo settore giovanile, è l'incubatore perfetto degli errori e degli orrori calcistici celebrati in tutto il mondo come il miracolo della squadra che inventò il calcio moderno. Li vogliono tutti uguali, pettinati allo stesso modo, educati e al servizio del collettivo. Una fabbrica di piccoli mostri impomatati e fungibili, pronti a entrare nello schema. Pochi mesi fa una selezione giovanile romana chiamata Futbolclub fece visita alla Masia per cercare di carpirne i segreti. Furono organizzate quattro partite e i ragazzini italiani presero complessivamente 59 gol per segnarne solo uno.

I dirigenti del Futbolclub si dissero entusiasti dell'esperienza, nessuno si prese la briga di raccogliere le dichiarazioni dei piccoli giocatori, che con tutta probabilità avrebbero sposato la mia tesi, odiando il Barcellona di quell'odio che la vittima dedica non tanto al carnefice quanto al sadico torturatore. I 59 gol delle giovanili, gli otto gol a partita rifilati dalla prima squadra a inermi carrozzoni di brocchi della Liga (il campionato più brutto e sopravvalutato del mondo), tutti esercizi di uno stile arrogante che per carità è disponibile e rappresenta una soluzione per chi ha più forza e talento, ma che presenta enormi zone d'ombra. Impomatati, senza personalità e spietati.

Partiamo da qui e proviamo a conciliare queste caratteristiche con la presunta affabile correttezza politica dei tifosi e del club, che poi è mes que un club. Difficile vero? Sempre quelli più preparati e bravi diranno che i veri vincenti sono spietati, che la vittoria e il risultato sono l'unica cosa che conta e che il Barcellona li consegue pure giocando un calcio spettacolare e unico. Sulla spettacolarità di una seduta collettiva di onanismo non mi ripeterò, ma c'è ancora un argomento che mi impedisce di guardare con rispetto e simpatia alla squadra dei buoni che poi non lo erano.

Il Barcellona è un prodotto vendibile, molto. Sempre mentre io esultavo sul divano e ne mettevo alla prova la solidità con un ballo frenetico e sconsiderato, a Londra qualcuno veniva ripagato delle lacrime amare di qualche anno fa. La squadra più amata dai bambini di tutto il mondo, forse anche grazie all'aspetto fanciullesco di Lionel Messi, nel 2009 approdò alla finale di Champions League dopo una delle partite più controverse di sempre, una di quelle che fanno gridare allo scandalo anche i meno complottisti (partito al quale mi iscrivo con grande convinzione). Aiutati in ogni modo possibile e immaginabile dal pessimo arbitro Ovrebo i catalani pareggiarono nel finale dopo che almeno quattro rigori netti furono negati al Chelsea. Ora converrete che quattro rigori sono un bel numero, troppi per una squadra simpatica, perfetta e che nelle intenzioni e nell'idea di chi la idolatra non dovrebbe proprio averne bisogno. Ma capita anche questo, la fortuna aiuta audaci, forti e idoli dei bambini. Stride con l'immagine del club (mes que) così come una miriade di altri errori a favore collezionati negli anni, ma non basta a giustificare l'odio direte voi. Bene, allora è tempo di giocare la carta migliore, l'accusa senza appello.

Il Barcellona, questo Barcellona di Guardiola (o meglio, quello che fu e che ora verrà allenato dal suo secondo Tito Vilanova), è una squadra scorretta. Simulatori, piangina isterici e incapaci di lasciare l'arbitro alle sue funzioni, i giocatori del Barcellona hanno dato pessime prove di sé in mondovisione e sono stati graziati in fretta e furia dalla stampa sportiva per non macchiare l'immagine luminosa da giusti costruita con tanta fatica. Sergio Busquets è la bandiera di quella odiosa malafede senza passione né sentimento che i blaugrana hanno messo a sistema. Intendiamoci, il calcio è uno sport di contatto e senza ricorrere allo sciovinista e antico luogo comune sullo sport per maschietti e non per signorine, resta che in campo succede di tutto e spesso si prendono delle scorciatoie. Si trascina il piede, si casca con una certa facilità e si fa del proprio meglio per non aiutare il giudizio arbitrale e ottenere qualche vantaggio. Così fan tutti, è uno schifo ma la rivoluzione culturale è un obiettivo non alla portata di queste poche righe. Il fatto è che Busquets è un artista della provocazione e della simulazione.

Nella semifinale di Champions League contro l'Inter Busquets incrocia la corsa di Thiago Motta, non uno stinco di santo, e crolla in terra come fulminato dal più potente uppercut del mondo. Tutti noi spettatori siamo disposti a credere che Motta abbia fatto una marachella e a seconda del nostro gradiente interista ci disperiamo o festeggiamo la decisione dell'arbitro.

Sarà solo il replay a raccontarci il nefando piano di Busquets, la simulazione con tanto di rotoloni per il dolore e quelle mani sugli occhi che però a un certo punto si aprono per verificare l'effetto della messinscena. Motta espulso, Busquets integro, mai colpito e in campo.

La replica all'infinito di questo vezzo da parte di Busquets unita alle corse disperate di Xavi e Puyol per contestare ogni decisione avversa fanno del Barcellona una squadra insopportabile per chi nel calcio cerca il calcio e non la sublimazione dell'astuzia latina e del teatro dell'arte. Uno dirà che queste motivazioni sono poche, patetiche e insufficienti di fronte alla maestosità di concetti assoluti come il possesso-palla, il numero di passaggi di Xavi in una sola partita, il genio tattico e la tecnica pura di Iniesta, le funamboliche discese di Messi e la capacità di Piquè di dire sempre la cosa sbagliata e riprodursi acrobaticamente con una donna alta meno della metà. Altri sosterranno che il destino delle squadre vincenti è quello di essere odiate per motivi misteriosi quanto i più oscuri segreti di Stato e lampanti quanto i più oscuri segreti di Stato.

Io odio il Barcellona perché amo il contropiede, la sensazione meravigliosa della rottura dell'assedio, i centrocampisti che tirano da duecento metri (ne rimane qualcuno in Bundesliga e il solo Daniele De Rossi in Italia), i gol di rapina e le vittorie ingiuste che poi son sempre giuste, le squadre anarchiche e gli stopper ruvidi che non sanno trasformare l'azione da difensiva in offensiva ma sanno benissimo come colpire in faccia gli spettatori delle prime venti file con una palla spazzata in tribuna.

QUANDO ERA PIÙ DI UNA SQUADRA

C'è stato un tempo in cui il Barcellona era un'altra cosa. Nel 1943 affrontò il Real Madrid nelle semifinali della Coppa del Generalissimo. Quando mancavano pochi minuti dall'inizio della gara nello spogliatoio del Barça (ora sì con affetto) entrò il capo della sicurezza nazionale e chiese di parlare con i giocatori. Li riunì e disse loro di ricordarsi che molti erano appena tornati in Spagna dopo l'esilio grazie a un'amnistia che aveva condonato la loro fuga. «Non dimenticate che molti di voi giocano soltanto grazie alla generosità del Regime, che ha deciso di chiudere un occhio sulla vostra mancanza di patriottismo».

I blaugrana minacciati della perdita del bene supremo, la loro stessa vita, furono sconfitti per 11 a 1. Io non ho ricordi di quel Barcellona e non ho idea concreta del franchismo e di quello che il nazionalismo catalano possa aver subito negli anni neri del Generale, ma nella mia fantasia quegli undici giocatori sono sì più di una squadra, mes que un club, costretti a perdere per sopravvivere nonostante la sconfitta fosse una tragedia per tutta la popolazione catalana. Le immagini in bianco e nero riportano facce serie, spaventate, sofferenti. Quel Barcellona aveva un ruolo, incarnava lo spirito del suo tempo, aveva una funzione. Questo Barcellona è una squadra costruita in laboratorio (e qui non abbiamo parlato dei sospetti di doping e della presenza di Xavi e Iniesta nelle liste dell'alchimista dello sport spagnolo, il misterioso Dottor Fuentes), educata a essere ineducata e spietata ma a piacere i bambini, addestrata a distruggere il calcio trasformandolo in una noiosissima e frenetica sessione di cucito e incapace di fare qualcosa di memorabile e non solo di numericamente eclatante. In questo senso odiare il Barcellona significa ancora amare il calcio del caso e della buona sorte, amare ogni Davide che sconfigge Golia e odiare i parrucchieri catalani e il loro gel. Io mi sento di farlo senza remora alcuna, perché odio il Barcellona e non leggo Topolino da anni.

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