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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Joined: 01-Jun-2005
2375 messaggi

Leggere quello che scrive Cerami sul Messagero fa rivoltare le budella. Invece di verificare (a proposito perchè questo signore che dice di essere un giornalista non va a lezione da Criscitiello?) la bontà delle accuse di Conte gli dà del truffatore ed etichetta la sua conferenza di ieri come l'ultima, disperata strategia difensiva.

Non so se sia il tifo ("la Juve che fa e disfa nel calcio italiano"???) o il mestiere di giornalista. So solo che siamo ad un punto molto basso in cui a degli imbrattacarte da curva sud (dell'Olimpico di Roma ovviamente) si dà un pulpito dal quale esprimere un'opinione pseudoautorevole.

Chi ha un minimo di neuroni funzionanti (Cerami lei è quindi automaticamente escluso) si dovrebbe rendere conto che qui siamo di fronte ad uno scandalo ben diverso.

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Joined: 10-Sep-2006
5203 messaggi

Leggere quello che scrive Cerami sul Messagero fa rivoltare le budella. Invece di verificare (a proposito perchè questo signore che dice di essere un giornalista non va a lezione da Criscitiello?) la bontà delle accuse di Conte gli dà del truffatore ed etichetta la sua conferenza di ieri come l'ultima, disperata strategia difensiva.

Non so se sia il tifo ("la Juve che fa e disfa nel calcio italiano"???) o il mestiere di giornalista. So solo che siamo ad un punto molto basso in cui a degli imbrattacarte da curva sud (dell'Olimpico di Roma ovviamente) si dà un pulpito dal quale esprimere un'opinione pseudoautorevole.

Chi ha un minimo di neuroni funzionanti (Cerami lei è quindi automaticamente escluso) si dovrebbe rendere conto che qui siamo di fronte ad uno scandalo ben diverso.

Aggiungi pure che molti di questi sono preoccupati della reazione dei tifosi. L'ordine pubblico potrebbe essere turbato dalle dichiarazioni (qua il riferimento è sempre rivolto al presidente della Juve e Conte in questo caso) che aizzano gli animi....

E la loro attività quotidiana non è uno stimolo alla violenza? all'odio?

Perchè quel fesso del boemo si può esibire in una foto in cui sollecita odio nei confronti di un'altra squadra con relativa tifoseria e poi passare per fustigatore del malcostume (degli altri, of course), senza che qualcuno lo inviti ad un comportamento più responsabile?

E del comportamento del presidente del napoli?

Chi è tifoso dovrebbe scrivere solo della sua squadra.

Ma qua siamo davanti alla disonestà.

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

SPY CALCIO di F.BIANCHI (Repubblica.it 24-08-2012)

Abete conferma Palazzi

"E Conte dimostri rispetto"

Dopo Gianni Petrucci, ecco Giancarlo Abete: il n.1 della Federcalcio, oggi a Coverciano, è sceso in campo non solo a favore della giustizia sportiva ma anche del superprocuratore Stefano Palazzi. Tanto che lo ha confermato per altri quattro anni: l'altro giorno (vedi Spy Calcio del 23 agosto),si era sparsa la voce di un Palazzi sfiduciato, stanco deluso, pronto a dare le dimissioni in caso di scarso appoggio da parte della Figc. Ma Abete lo ha confermato subito, anche se non sempre ha condiviso certe sue decisioni: ma ci sono processi in corso, altri appena istruiti. Questo non è il momento di cambiare, di fare un salto nel buio anche se la giustizia sportiva va riformata dalla radici perché così com'è non funziona. Ora se ne sono accorti anche illustri opinionisti perché c'è di mezzo Conte che allena la Juve ma prima quando la giustizia riguardava giocatori o allenatori di secondo o terzo livello tutti stavano zitti. O facevano finta di non interessarsene: ma sono stati squalificate decine e decine di persone. Conte è stato condannato in primo e secondo grado: ora la... Cassazione dello sport, il Tnas del Coni. L'ultimo grado di giudizio sportivo. Si dimentica la Juve, comunque, che Conte è stato condannato per fatti che riguardano la sua carriera al Siena e si dimentica la Juve che congiura nei suoi confronti non ci può certe essere, visto che Bonucci e Conte, due calciatori patrimonio della Juve, sono stati assolti. Ma forse non tutti, a Casa Juve, la pensano allo stesso modo: che fine ha fatto il falco, l'avvocato Briamonte? Che dice John Elkann di certi comunicati di fuoco, lui che ha respirato a Londra, con la famiglia, lo spirito olimpico? Pare che ci sia spaccatura, e diversità di vedute all'interno della famiglia juventina. Abete comunque ha risposto anche alla Juve, e a tutti, oggi a Coverciano. ""Le parole pronunciate da Petrucci sono altamente condivisibili. Tutto si può migliorare, ma bisogna conoscere i fondamentali delle regole. Se non si conosce quello di cui si parla, si corre il rischio di dire cose che non stanno nè in cielo, né in terra. Il 28 novembre 2011, quindi non tanto tempo fa, è stata insediata una commissione del Coni, che ha assunto una serie di decisioni per la ristrutturazione della giustizia sportiva. Quando si è protagonisti in negativo o coinvolti in situazioni di giustizia, ognuno riscopre la giustizia a suo uso e consumo. Il quadro normativo è invece certo, aggiornato, e quindi non va messo in discussione. Non esiste una giustizia del calcio ma una giustizia dello sport italiano. La fiducia della Figc su tale giustizia ed i giudici che prendono le decisioni, è massima". Da qui la decisione di confermare per il prossimo quadriennio Stefano Palazzi alla Procura federale, Gerardo Mastrandrea alla presidenza della Corte federale e Sergio Artico alla guida della Disciplinare. Poi una frecciata a Conte: "Deve dimostrare rispetto, non c'è nessun accanimento nei suoi confronti, è stato giudicato da un organo di giustizia sportiva". Infine, chiusura dedicata alla Juve, e non solo:"Noi vogliamo essere una Federazione rispettosa delle regole, non accettiamo che alimenta tensiono o fazioni". Il club bianconero ora potrebbe essere deferito, e anche Conte rischia di tornare davanti ai giudici. Una guerra che non finisce più e che avvelena la stagione che va ad iniziare. Ma Abete, con l'appoggio di Petrucci, non molla. E Marcello Nicchi, capo degli arbitri, si riferisce al Napoli quando dice: "E' inaccettabile dire che roviniamo le gare". I vertici arbitrali hanno giudicato in maniera positiva l'arbitro di Mazzoleni a Pechino nella Supercoppa. De Laurentiis ha ritirato la squadra: niente premiazione. Figura a livello mondiale.

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Calcioscommesse,

meglio di uno sketch

di GIORGIO SIMONELLI (ilFattoQuotidiano.it 24-08-2012)

Che botta! Che spettacolo abbiamo visto ieri alla cosiddetta conferenza stampa di Conte e dei suoi avvocati! E che colpo ha fatto Sky Sport trasmettendola tutta in diretta e poi replicandola nel corso della giornata! Sì perché lo spettacolo, altro che conferenza stampa, è stato strepitoso, non solo degno dei migliori sketch che ci capita di vedere in Techetechetè come ha scritto sul Fatto Paolo Ziliani, ma più incisivo, nel rispecchiare la decadenza del Paese, di un cinepanettone, con alcuni tocchi nella costruzione dei personaggi che non si vedevano dai tempi dei migliori Vanzina, da Sapore di mare.

I due condannati sembra si siano divisi la parte: uno è intimidito, silenzioso, quasi rassegnato, senza troppa voglia di stare lì, l’altro invece è sopra le righe, sbraita, accusa, ammonisce, insinua e genera imbarazzo, ansia anche in chi, come me, non essendo un tifoso della sua squadra, lo ricorda prima come un calciatore forte, generoso, leale, capace di prendere botte senza reagire e poi come un tecnico brillante, innovatore, sapiente. L’impressione (ripeto l’impressione) è che gli abbiano scritto o suggerito una parte non adatta a lui. Ma il meglio dello spettacolo lo fanno gli avvocati, ben tre avvocati per una questione di omessa denuncia di un inciucio pallonaro: al processo di Norimberga non ci fu un simile spiegamento di forze.

C’è il principe del foro torinese, che pare appena sceso dalla sua barca ormeggiata a Montecarlo e che la mette sul tifoso, alludendo a rivalità calcistiche annidate in procura e prefigurando scenari che coinvolgono la finale di Champions League, quando devono ancora cominciare i gironi eliminatori. C’è l’avvocato di provincia, colpito da improvvisa notorietà, che da giorni gira per gli studi televisivi a cantilenare, nel suo accento veneto, tentativi di screditare il pentito. E c’è, infine, il caso più inquietante, il superavvocato, chiamato in soccorso all’ultimo, una professionista di grande fama (già difensore di Andreotti in un processo un po’ più delicato), che è anche parlamentare, una rappresentante del popolo molto stimata, impegnata in settori cruciali della vita politica.

Devo dire che a me pare non proprio opportuna questa sovrapposizione (molto diffusa) di funzione di rappresentanza pubblica e incarichi privati. Ad ogni modo, la grande professionista (che credo, però, ancora fatichi a distinguere un fuorigioco da un fallo laterale) alla fine dell’intervento manifesta scandalizzata la sua recente scoperta: nel processo sportivo così com’è oggi in Italia ci sono procedure incostituzionali! Ma come, di queste violazioni processuali così evidenti, che fanno sembrare le procure della FIGC dei tribunali sovietici e l’Italia un paese incivile, un parlamentare non doveva accorgersi un po’ prima di diventare l’avvocato di un allenatore?

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IN NOME DI MONTERO

della redazione La Settimana Sportiva 24-08-2012

2a puntata di ‘Cinico Interview’, Q&A di fantasia sempre più falsa e ancora più fantasiosamente verissima. A grande richiesta, lui: Antonio Conte, in agghiacciante esclusiva post-sifonamento.

- Antonio Conte, ci scusi per la banalità, ma lei oggi avrà un diavolo per capello…

AC: Non ho nessuna intenzione di rispondere alle voci di mercato, e comunque in un momento come questo si figuri se ho in testa il Milan o Capello, se è questo a cui alludeva.

- Gira voce che sia stata l’avvocatessa Bongiorno (quella di Andreotti e altri) a tentare di convincerla sul patteggiamento. Lei voleva dichiararsi direttamente colpevole?

AC: Non mi piace la domanda, ma colgo l’occasione trovata per strada per fare un po’ di chiarezza. Nessuno ha mai cercato di convincermi a patteggiare niente con chi, dato che non ho commesso nulla di perseguibile penalmente e sportivamente e che non c’è un testimone, dico uno che mi ha visto e che può affermare il contrario, capito? E’ una cosa agghiacciante. (Lunga pausa, ndr). E’ assurdo immaginare me, tecnico dei campioni d’Italia, che vado bel bello a dichiararmi colpevole davanti alla giustizia sportiva. Colpevole di che, se si può sapere? E’ sempre più agghiacciante. (Lunga pausa, ndr). Io mi schiero coi miei giocatori, che si sono schierati con me. Ricordatevi tutti le parole di Gigi Buffon dopo il tanto contestato Milan-Juventus di qualche mese fa, oppure quelle del troppo dimenticato Paolo Montero: io per fare vincere la mia squadra arriverei a tutto, anche a rubare, per dire. Ma anche se lo faccio, voglio dire rubare, se nessuno mi vede io fino a prova contraria ho vinto meritatamente. E per favore non stiamo a guardare i particolari e gli episodi, che se lo faccio io non andiamo più a casa.

AC: Non accetto domande sul passato, soprattutto se la domanda è fuori contesto. Ma visto che mi si tira per i capelli, le ricordo che io non ho mai detto che la retrocessione era giusta, al contrario ho sempre dichiarato che ribellarsi a quella sentenza da caccia alle streghe era cosa giusta. (Lunga pausa, ndr). C’è una bella differenza, mi pare.

- Mister, le hanno prima squalificato e poi dimissionato tutto lo staff tecnico, da Alessio a Stellini. Dica la verità: teme Carrera?

AC: Quello che lei dice è assurdo. Sarebbe come chiedere a Obama se teme Hillary Clinton. La teme, lei?

- Si guardi dentro, e da padre ci dica: la moglie di Carobbio qualche ragione per avercela con lei ce l’ha o no?

AC: Le conosco queste illazioni, sembra solo gossip ma poi si finisce a nuotare nel torbido e a rovinare le famiglie. Ma io non ci casco e le ripeto per l’ennesima volta che io questa signora non la conosco, il suo nome mi dice e non mi dice, l’avrò incontrata sì e no sei-sette, forse otto volte per caso in albergo e stop. Io amo la mia famiglia e non mi piace trovarmi di fronte a persone che come lei cercano di trascinare me e chi mi sta a cuore in storie che col mio ruolo di personaggio pubblico non hanno assolutamente nulla a che fare e non ce l’avranno mai. (Lunga pausa, ndr). Spero di essere stato chiaro e di essermi tolto questo masso dalla scarpa una volta per tutte.

- Proviamo ad alleggerire l’atmosfera: è vero che il suo cantante preferito è Niccolò Fabi?

AC: Non lo conosco.

- Ma sì, quello di “Io vivo sempre insieme ai miei capelli…”.

AC: Ripeto che non lo conosco e che il suo nome non mi dice niente. Se anche lui dice di avermi incontrato siamo alle solite, il solito pazzo da manicomio che vuole farsi un nome sulle spalle dei campioni d’Italia.

- Cosa farà nei prossimi 10 mesi?

AC: Io spero, macchè, sono certo sicurissimo che passerò i prossimi dieci mesi sulla panchina della Juventus a incitare i miei ragazzi. Non ho il minimissimo dubbio, alla faccia di quello che pensano i forcaioli. (Lunga pausa, ndr). Ha ragione il nostro ex presidente del consiglio, questa è una vera caccia alle streghe capitanata da una banda di personaggi geneticamente bacarozzi, e il peggio è che c’è anche qualcuno che li ascolta e gli dà ragione. E gli paga lo stipendio, pure.

- Mister, provi a spiegarci cosa significa TNAS.

AC: Non so a cosa lei stia mirando, ma sono sicuro che è un tranello e non rispondo.

- Ma perché a fine anni ’90-inizio 2000 voi giocatori della Juventus finivate regolarmente per vomitare in campo durante le partite?

AC: Ci risiamo: si vede proprio che quelli come lei non hanno mai praticato sport a basso livello, altrimenti non mi farebbe domande così. Anche Cassano sa che la pressione e il bisogno di fare risultato e di non retrocedere crea paura tanta e emozioni incontrollabilissime. Ma cosa ne sapete, voi…

- Scusi, ma voi non eravate mai a rischio retrocessione. O si riferisce alla sua esperienza di allenatore di pericolanti?

AC: Ma che c’azzecca con chi retrocedeva e chi no, chi rischiava e chi no, dentro il campo siamo tutti uguali, la tensione è identica per tutti, lo sanno anche i bambini. Ma lei crede davvero che allenare la Juventus e allenare la Spal sono due cose diverse?

- Sì, credo sia diverso. Ma torniamo a lei: sta valutando gesti estremi o proteste clamorose, alla Pesoli?

AC: Non conosco di specifico il caso Pesoli, comunque se lo vuole sapere non ho in testa nessuna protesta e i gesti estremi non sono di certo nel mio stile, perché in fatto di stile alla Juventus non prendiamo lezioni da nessuno. (Lunga pausa, ndr). Nemmeno da me.

- Lei è stato un simbolo juventino per due decadi. Come si sente a passare da inquisito per doping a inquisito e condannato per calcioscommesse?

AC: Innanzitutto né io né la Juventus siamo stati inquisiti per doping né tantomeno condannati per il cosiddetto calcioscommesse. Ma sapere di essere un simbolo per i tifosi mi riempie di orgoglio e di senso d’appartenenza.

AC: E questo chi gliel’ha detto a lei? Il suo direttore? Scusi, ma lei per quale giornale lavora?

- Per Settimana Sportiva, siamo un webmagazine.

AC: Bene, molto bene. (Lunghissima pausa, ndr). E cosa sarebbe?

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Via al campionato più sputtanato del mondo, con Mauri

in campo, Conte fuori campo e la giustizia spappolata

di OLIVIERO BEHA (tiscali: socialnews 24-08-2012)

L'avevano presa tutti come una "sciocca provocazione" l'uscita di Mario Monti alla fine di maggio sul calcio stressato dagli scandali: Sospendiamolo per due anni". Era appena stato arrestato, tra gli altri, il giocatore della Lazio, Stefano Mauri. Poi ci sono stati gli Europei napolitaneschi, le richieste della giustizia sportiva (sempre il procuratore Palazzi, nominato dal potere calcistico, ossia l'esecutivo che nomina direttamente o indirettamente il potere giudiziario...), le sentenze di primo grado della Commissione Disciplinare della Federcalcio (idem come per Palazzi...), quelle d'appello (due giorni fa) della Corte di Giustizia (idem come per Palazzi e la Disciplinare...). E grande strepito sui giornali.

Andrea Agnelli parla di caccia alle streghe, Conte di giudici tifosi, Petrucci (Coni, da cui discende il tutto per li rami) di giustizia sportiva da rispettare, i media di contraddizioni profonde sia nei giudizi che nelle difese degli imputati, ecc. Con in sovrapprezzo giornalisti di spicco che ignorando almeno fino a ieri come funziona la cosiddetta "giustizia sportiva" difendono a priori i giudici quasi si trattasse della versione calcistica della frattura tra giustizialisti e garantisti, o tra magistratura e politica, che coinvolge a ogni livello fino a toccare quello più alto tutto il Paese. A partire dalla storiaccia delle trattative "Stato- mafia", dalle stragi del 92'-93' con l'ombra allungata ai giorni nostri e alle polemiche para-quirinalizie.

Ebbene, non è come ve la raccontano. C'è un errore, anzi ce ne sono diversi. Ne scrivo da decenni, dal 1980 con il primo calcio-scommesse in poi. Non si può ragionare in difesa della giustizia sportiva come lo si fa in difesa di quella ordinaria (campagna per la quale mi sono battuto e continuerò a battermi per non sbriciolare l'ultimo caposaldo di democrazia). Perché la giustizia sportiva, oggi come nel 2006, risponde a logiche molto diverse da quelle almeno giuridico-costituzionali di forma legislativa della giustizia tout court. Sia nelle modalità di indagine, di accusa e quindi di difesa che di giudizio. E' da sempre condizionata dal potere dei club, che lo subaffittano alla Federcalcio vigilata dal Coni. E chi vuole indagare, fare richieste di pena e giudicare lo fa senza autonomia reale. Dipende dalla sua voglia di restare in sella, e infatti restano sempre in sella (verrà rinnovato anche il Palazzi?).

Difendere questo sistema significa fare il contrario di quello che si chiede per il Paese. Se ad esempio avessimo pensato e pensassimo che i magistrati che indagano e giudicano Berlusconi fossero e siano al soldo di qualcuno li difenderemmo con la stessa dedizione con cui dobbiamo difendere l'autonomia della magistratura (il discorso vale oggi anche per Mancino piuttosto che per Formigoni, e l'elenco ormai sfida la guida telefonica...)? Credo, spero di no. Quindi la giustizia sportiva, una sorta di Inquisizione a comando, si è retta finora nella logica di una "giustizia interna", con metodi "interni", con le finalità "interne di far presto e bene", per riavviare i campionati. Di anno in anno si è andati sempre peggio lungo questa china (ha ragione Monti, ma se ne è già dimenticato anche lui...), mentre la credibilità della giustizia sportiva, cioè la sua presentabilità unico vero baluardo di fronte a tutte le critiche che possono essere rivolte ad essa in punto di diritto, si è liquefatta da un pezzo.

Conclusioni. Per come lo conosco dall'interno, penso che il mondo del calcio sappia quasi tutto di quasi tutti, e quindi sia al corrente degli scandali, compresa la scarnificazione delle regole provocata dalle scommesse. E' un mondo che andrebbe rinviato a giudizio complessivamente come minimo per una gigantesca "omessa denuncia" nei confronti delle porcherie all'ordine del giorno, o della partita, o delle scommesse sulle partite. Peccato che di questa ignominia calcistica faccia parte integrante anche la giustizia sportiva. Quindi in tale marasma non so se Conte sia innocente (ho i miei dubbi sul piano etico, della "lealtà sportiva") e neppure so se sia stata davvero provata la sua colpevolezza (in termini di giustizia ordinaria presumo di no), mentre so per certo che uno come Sandulli (Corte di Giustizia federale) dopo la conferma della condanna ad opera anche sua ha detto ai giornali "gli è andata bene": frase grave quanto gli attacchi di Agnelli e di Conte stesso, a dimostrazione ennesima che è un mondo "omeopatico" nel peggio, giudici e giudicati. E so anche che mi pare leggermente più grave in una trattativa "Stato- mafia" applicata al pallone il ruolo dello Stato.

E chi farebbe questa parte in commedia in questa vicenda "Conte e soci-scommesse-partite truccate", con buona pace degli acuti professionisti mediatici della materia ? Suvvia, sforzatevi...E pensate che ieri sera, giovedì, il Mauri citato all'inizio di questo articolo era regolarmente in campo con la Lazio in Europa League, in Slovenia...Ma come è possibile? E' innocente? E' colpevole? Un po' e un po'? Dunque forse il problema non è solo la Juve, Agnelli, Conte ecc. Ma nessuno si vuole occupare del sistema, chi perché ci guadagna giacché anche l'indignazione parziale si vende bene, chi perché non lo conosce davvero, chi perché (anacoluto) il calcio gli riempie la vita eccetera eccetera. E infatti ricomincia il campionato e l'indignazione torna in panchina, fino al prossimo scandalo.

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Sindrome cinese e scommesse.

Via al campionato delle vacche magre

di GIUSEPPE CERETTI (Il Sole 24ORE.com 24-08-2012

Vigilia di campionato, ma il prologo è stato amaro, avvilente e ha sparso nuove tossine in un ambiente altamente inquinato. Il torneo che segue l'estate del calcio scommesse ha già archiviato gli scarsi buoni propositi prima ancora del calcio d'inizio. La supercoppa giocata a Pechino (una destinazione che resta un non senso sportivo) ha regalato uno spettacolo degradante, culminato con la mancata partecipazione del Napoli alla premiazione dei giocatori juventini.

Abbiamo ancora vivo nella mente il ricordo del pugile Cammarelle che tende la mano a un avversario, cedendo una medaglia d'oro olimpica per un verdetto che definire discutibile è poca cosa; così come ci ha inorgoglito l'esempio di una superba atleta qual è la Cagnotto accettare un responso che non le ha assegnato una medaglia rincorsa in una vita intera di sacrifici sportivi per una manciata di centesimi di punto. C'è altro nella vita, ha commentato la straordinaria campionessa con il groppo in gola.

Il nostro sciagurato calcio ha invece ritagliato l'ennesimo tassello che completa il mosaico della sua scarsa credibilità, frutto della cialtroneria dei suoi dirigenti societari e dell'isteria di atleti, ciascuno dei quali, è bene dirlo, guadagna senza alcun particolare merito cifre che la Cagnotto si sogna, pur dopo una vita di sacrifici.

Ancora una volta il movimento mostra non già l'immagine peggiore, ma semplicemente quella più vicina al vero. Alle ben note magagne, sopra tutte il malaffare, si aggiunge la totale ignoranza di ciò che comunemente si chiama cultura della sconfitta. Che non significa solo saper perdere, ma rispettare chi ti sta di fronte e tutti coloro che assistono allo spettacolo. Non lo ha fatto il Napoli, disertando la cerimonia di premiazione, non lo fa la Juventus campione d'Italia, reclamando a ripetizione scudetti tolti con sentenze passate in giudicato ed esibendo nelle pieghe della sua maglia la frase bonipertiana, ma assai poco decoubertiana: vincere non è importante, è l'unica cosa che conta.

C'è dunque poco da stupirsi se all'indomani della sciagurata trasferta nel nido pechinese, gli animi si siano ulteriormente accesi, con accuse e controaccuse e nessuno dei protagonisti mostri segni di ravvedimento, cercando al contrario di sobillare i peggiori istinti delle tifoserie.

Perciò resta voce nel deserto l'appello di Prandelli che invita a guardare all'esempio offerto dalle Olimpiadi londinesi e a non disperdere il patrimonio di credibilità seminato con lo splendido torneo d'Europa della Nazionale, battuta solo in finale dai più forti.

Il calcio scommesse

Così va (male) il calcio nostro che inizia il suo rituale sotto gli effetti delle sentenze del calcio scommesse. La sensazione è che l'intero movimento, come già accaduto in precedenti occasioni, non abbia la percezione della gravità dei fatti accertati e della profondità di un fenomeno corruttivo non certo marginale.

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IL COMMENTO

Armstrong, né un santo né un mostro

O saltano fuori prove schiaccianti, o non ha senso togliergli i sette Tour.

Forse sarebbe stato più giusto provare a inchiodarlo quand'era ancora in sella

di MAURIZIO CROSETTI (Repubblica.it 24-08-2012)

Lance Armstrong non è un santo e non è un mostro. E' un uomo che ha vinto, perso, combattuto. E' un ciclista che per sconfiggere il cancro ha assunto sostanze usate anche da chi non ha bisogno di guarire perché sanissimo, ma vuol provare a vincere una gara sportiva truccandosi il sangue.

In tanti anni di carriera, anzi in due carriere distinte (i grandi trionfi, tre anni di ritiro, poi il ritorno e infine l'addio vero e proprio), Armstrong non è stato mai trovato positivo ad un solo controllo antidoping. Neppure uno, in centinaia di test. Si è però sempre rifiutato di fornire prove evidenti per contrastare vecchie accuse, talvolta vecchissime: per esempio quei campioni d'urina risalenti addirittura al '99, conservati come un vino pregiato chissà come e chissà dove. Lui è stato sprezzante, chi lo accusa si è accanito con veemenza rara e con prove finora piuttosto deboli, a parte il solito meccanismo dei pentiti: meglio non parlarne, altrimenti i tifosi di Conte si arrabbiano (con qualche ragione, va detto).

Delle due, l'una: o saltano fuori prove schiaccianti contro Armstrong, o non ha senso togliergli sette Tour solo perché lui è in guerra con l'agenzia antidoping e ha un orrendo carattere. Forse, sarebbe stato più giusto provare a inchiodarlo quand'era ancora in sella, non adesso e non così: le occasioni non sono mancate, ma lui ne è sempre uscito pulitissimo. I fanatici dell'antidoping saranno soddisfatti, perché hanno sempre visto in Lance Armstrong un'anima nera. Saranno un po' meno contenti quei malati di cancro per i quali il poster del ciclista, appeso alle pareti di qualche day-hospital, ancora rappresenta un motivo di speranza. E quella non si squalifica.

Modificato da Ghost Dog

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Campionato al via Buffon (che oggi salterà il Parma) lancia la Juventus alla rincorsa del bis

Orgoglio & pregiudizio

«Sono uno dei pochi italiani che all'estero ci invidiano:

vorrei critiche più giuste Nel futuro? Forse la politica»

Le mie scommesse mescolate a ben altre indagini: vergognoso

Antonio è un leader, non vedo alternative al nostro allenatore

La crisi più grave in Italia è quella delle idee: nessuno si impegna per dare una svolta alla sua vita

di ROBERTO DE PONTI (CorSera 25-08-2012)

TORINO — Gigi Buffon, come si sente a essere a tutti gli effetti il capitano della squadra campione d'Italia?

«Orgoglioso. E purtroppo anche maturo, non dico vecchio perché non mi piace, e perché non mi considero vecchio. E poi capitano lo sono stato anche lo scorso anno».

L'anno scorso però c'era anche un Capitano con la C maiuscola.

«Vero. Ma per me in fondo cambia poco. Conta essere importanti in campo e nello spogliatoio, con o senza fascia al braccio».

Premessa necessaria: in questa intervista parlerà come Gigi Buffon «quello che dice le cose che pensa» o come Gigi Buffon il diplomatico?

«Come quello che dice le cose che pensa, perché?».

Perché dopo le sue ultime uscite verbali, e le successive polemiche, aveva dichiarato: «D'ora in avanti dirò solo quello che volete sentirvi dire, così mi evito guai».

«Credo di dire cose che hanno una loro logicità. Poi chiaro che, in certi momenti, sarebbe meglio non esporsi e stare zitti. Ma continuo a pensare che in certi momenti sia giusto prendersi certe responsabilità e dire quello che si pensa. Siamo ancora in democrazia, giusto?».

Giusto. Come si è sentito quando è stato attaccato per le sue dichiarazioni?

«Me la sono presa parecchio perché, al di là di quello che uno può dire, ci sono i fatti che parlano. E i fatti dicono che Buffon è portiere in serie A da 17 anni, della nazionale da 16, titolare azzurro da 14, e penso senza presunzione di essere uno dei pochi giocatori italiani che gli altri invidiano. E questo dovrebbe far sì che la critica nei miei confronti sia non dico più clemente, ma di sicuro più giusta».

E non lo è stata?

«Secondo me no, ma questo è il mio punto di vista».

Ripensandoci, l'uscita sulla giustizia spettacolo la rifarebbe?

«Quando dissi quelle cose a Coverciano mi riferivo soprattutto a chi scrive, perché sono state dette e fatte cose inaccettabili. Questo mi ha scandalizzato. Mi sono sentito attaccato scorrettamente».

Il giorno dopo è uscita la notizia delle grosse cifre che lei avrebbe speso a Parma, e quell'inchiesta non se l'erano inventata i giornalisti.

«Era una notizia datata 2010, bastava andarsela a leggere per scoprire che era vecchia di due anni. Ma questo non interessava a nessuno. Ed è vergognoso che questa notizia si sia mescolata con ben altre indagini».

Si è chiesto come mai la notizia è uscita il giorno dopo quella conferenza stampa?

«Sono in questo mondo da tanto tempo: non mi ha fatto piacere, ma potevo anche metterla in preventivo».

Come è finita la vicenda?

«Non sono mai stato nemmeno indagato. È stato puro gossip».

Lei non si fa mancare mai niente. Persino dopo la visita della nazionale ad Auschwitz si è tornati a parlare della sua maglia n. 88...

«Già. Di una cosa accaduta ancora a Parma. E nel 2000. Ricapitoliamo: venivo da un infortunio, così avevo scelto l'88 perché aveva quattro palle. Una ragazzata. 12 anni dopo, ad Auschwitz ho avuto la fortuna di incontrare Vittorio Pavoncello, il presidente della comunità ebraica in Italia, che in quel periodo mi attaccò in modo importante. E, aggiungerei io, immotivato. Però mi ha fatto piacere che mi sia venuto incontro, si sia presentato e mi abbia chiesto se potevamo fare pace».

Ripensa ancora alle polemiche sul gol di Muntari?

«Ora vi dico io come sono andate le cose. Punto primo: mi hanno rotto le scatole per dichiarazioni che erano banali ma che in quel momento, evidentemente, faceva piacere attaccare. Si è parlato più di quello che di un gesto tecnico, la doppia parata, che non si vede spesso sui campi di calcio. Punto secondo: mi spiace che qualcuno si sia permesso di scrivere che non dovevo essere convocato in nazionale per quelle frasi, anche se avevo detto in modo chiaro che io in campo non mi ero accorto che il pallone fosse entrato. Punto terzo: è sbagliato dire che lì il Milan ha perso il campionato, perché dopo quella partita noi ci siamo trovati due volte a rischiare di avere 7 punti di svantaggio».

Messaggio ricevuto. Oggi comincia il campionato...

«...e io dovrò stare a riposo. Niente di grave, un problemino al ginocchio, ma meglio non sforzarlo per evitare guai peggiori».

Farà compagnia a Conte in tribuna. La Juve parte favorita?

«Quando una squadra vince, è normale che l'anno dopo abbia anche questa responsabilità».

In più, le avversarie non danno l'idea di essersi rinforzate...

«Può essere vero, ma non è un buon motivo per farci diventare presuntuosi o credere di essere imbattibili. Non dobbiamo dimenticarci da dove veniamo e che per fare quello che abbiamo fatto lo scorso anno, un'impresa epocale, abbiamo dovuto affrontare ogni partita come se fosse una finale. E l'anno successivo è sempre difficile ritrovare le stesse motivazioni».

Dopo lo scudetto lei dichiarò che Conte era stato l'arma in più.

«Confermo».

E ora che Conte non potrà sedere in panchina per 10 mesi, che cosa cambia per la Juve?

«Il lavoro più difficile e più importante che ha fatto l'allenatore è stato quello dell'anno scorso. Ha rinvigorito psicologicamente una squadra che non credeva più ai propri mezzi, ha ricreato una cultura del lavoro che col tempo si era un po' affievolita, ci ha ridato una carica agonistica e una voglia di vincere che pochi allenatori sanno dare. La sua vera vittoria è stata quella di ridare consapevolezza alla squadra. E semmai dovesse essere squalificato, credo che il mister il lavoro più importante l'abbia già svolto e mi auguro che si possa fidare dello spessore dei singoli e della squadra come gruppo».

Quindi lei non vede un'alternativa a Conte?

«Sinceramente no. E comunque non posso rispondere a questa domanda, altrimenti sarei il presidente della Juventus».

Quello che comincia è un campionato con meno stelle.

«È un campionato che sta scegliendo una strada alternativa, che può essere più economica, e magari meno attraente dal punto di vista tecnico, ma che è sicuramente più intelligente e lungimirante, perché alla fine dà la possibilità a molti ragazzi di poter dimostrare il proprio valore. Per la nazionale è una situazione favorevole».

Cosa farete in Champions?

«Cercheremo di essere il più competitivi possibile. Poi una cosa è certa: a qualsiasi competizione io partecipi, se mi dicessero di firmare per il secondo posto io non firmerei».

Nel 2001 la Juventus la acquistò per 105 miliardi di lire, circa 50 milioni di euro. Vedendo il mercato attuale, non pensa sia stata una cifra folle?

«Pensandoci bene, mi hanno pagato ancora poco. Ho 34 anni e sono sempre qui, nel periodo migliore della mia carriera. Però, battute a parte, in quel periodo esisteva una specie di doping economico. Le cose sono un po' cambiate».

I calciatori, questi privilegiati, hanno la percezione della crisi economica?

«La percezione c'è. Però, e qui parlo per me, credo che la crisi più grave sia la crisi d'idee, nessuno vuole più impegnarsi per dare una svolta alla propria vita ma subisce passivamente, con rassegnazione, quello che accade. Questo mi dispiace».

Linguaggio da politico. Se domani le chiedessero di candidarsi, lei che farebbe?

«Perché no? Se tutti ci tiriamo indietro, allora siamo tutti colpevoli, me compreso».

Per quale partito?

«Per uno che abbia delle idee».

Buona fortuna allora. Quindi Buffon candidato?

«Per il momento candidato a vincere campionato e Champions. Per il resto, vedremo».

Modificato da Ghost Dog

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Il caos scommesse

Il processo

ha solo creato

più confusione

di TOMMASO LORENZINI (Libero 25-08-2012)

Doveva venire giù tutto, una valanga purificatrice, il calcio era troppo marcio per stare in piedi. Quando a inizio giugno 2011 la Procura di Cremona aveva choccato tutti con arresti e interrogatori, il pm Di Martino si era perfino avventurato in una fosca profezia, «sensazioni negative» che avvolgevano molte squadre di serie A.

Ad oggi, però, considerando che tuttavia da Bari e Napoli potrebbe uscire ancora qualcosa di importante, il sentimento comune è che ci sia più confusione di prima; soprattutto il processo sportivo, che avrebbe dovuto chiarire molte posizioni, ha aumentato le perplessità: più che riportare serenità e fiducia nelmovimento ha ottenuto l’effetto contrario. Le istituzioni calcistiche ne escono ancora più screditate. Il processo ad Antonio Conte si basa su un pentito, Filippo Carobbio, che «non è un bugiardo incallito né un soggetto di assoluta credibilità». Parole delle motivazioni. Quel Carobbio sbugiardato per la famigerata riunione tecnica prima di Novara-Siena, lo stesso protagonista di anni di combine, lo stesso che tira in ballo Mastronunzio, ex attaccante del Siena, che sarebbe stato escluso proprio da Conte perché si opponeva a concedere la vittoria all’AlbinoLeffe. Peccato che lo stesso Mastronunzio abbia negato in tv: «Mai stato fuori rosa perché dissi no alla combine che danneggiava l’Ascoli, la mia ex squadra». Quell’Ascoli nemico giurato dell’Ancona di cui Mastrununzio è stato idolo per tre anni. Un delirio. Che interesse avrebbe Mastronunzio a mentire? Solo per non andare contro Conte, potente mister della potente Juve? Balle: la giustizia sportiva è stata magnanima con chi ha collaborato (fra due anni Carobbio potrebbe perfino tornare...); Mastronunzio, invece, pur avendo preso 4 anni, insiste a urlare la sua innocenza. Dove sarebbe il vantaggio? Per “finire” poi con lo strano caso di Angelo Alessio, vice di Conte, squalificato sei mesi, deferito, ma mai interrogato. Mai. Voi ci capite qualcosa?

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MOGGI

Serie A anomala

senza veri favoriti

Signora da titolo, ma pesa la squalifica di Conte

fra squadre da scoprire e giustizia schizofrenica

di LUCIANO MOGGI (Libero 25-08-2012)

Arriva il campionato dell’ultimo minuto, premesse schizofreniche e molte anomalie. In affanno la giustizia sportiva, per Antonio Conte è arrivata al secondo grado e il Tnas potrebbe anche cambiare le cose: ma ci crediamo poco, il mister non ci speri. Se ne è accorta anche la Ġazzetta che qualcosa bisogna modificare. Lo svegliarino l’ha dato la Bongiorno, ma il direttore della “rosea” ha memoria corta, quando dice che «non spetta a giornali di fare giurisprudenza» (capito Travaglio, capito Ziliani?). No, la Ġazzetta fa di solito molto di più, si arroga il diritto di orientare l’opinione pubblica (Monti Andrea dixit).

Parallelismi

Ci sono altri richiami al 2006, fa rumore quello di Chiappero, avvocato della Juve, uno dei legali di Conte. S’è accorto che questi processi non sono processi, perché non c’è il contraddittorio, perché gli avvocati difensori vengono avvisati di avere 10 minuti di tempo per esporre le proprie tesi; il tutto richiama con forza il processo di Napoli che ha fatto emergere come il campionato 2004/05 sia stato regolare, così come la sentenza sportiva di Sandulli, presidente della Corte D’Appello Federale, e che quindi lo scudetto 2006 fosse altrettanto corretto. Ma la Figc ha fatto finta di niente e con lei due giornalisti de Il Fatto, Travaglio e Paolo Ziliani, che continuano a diffondere bugie in merito, atteggiandosi a giudici anzichè fare i giornalisti.

Questa rivisitazione e gli ultimi avvenimenti aprono per la Juve uno scenario quasi kafkiano. Sei anni fa davanti alle prime accuse il Cda bianconero non si chiese se esse fossero vere, si affrettò anzi a mandare a mare i suoi dirigenti che le avevano portato titoli, gloria e danaro, nella fretta di dire «noi come club non c’entriamo».

La giustizia sportiva si inventò allora un reato inesistente, “l’illecito strutturale”, e “il sentimento popolare”, qualcosa di peggio del fumus persecutionis. Sta di fatto che la Juve di quel tempo, che nulla aveva commesso, accettò senza difendersi (vero avv. Zaccone?) la B con penalizzazione, una macchia che doveva servire (ma non servì) a confondere il popolo juventino sulle (inesistenti) responsabilità dei suoi dirigenti. Sei anni dopo, nulla esistendo, giustamente stavolta il club non vuole pagare, si batte per l’assoluzione di Conte dalle accuse, in verità risibili, rivoltegli. Potremmo dire, senza che nessuno s’offenda, che una situazione del genere sa di nemesi storica, è del tipo di quando si dice come il tempo sia buon giudice. Ci limitiamo a registrare il parallelismo, con un’aggiunta: nel 2006 sarebbe bastato un centesimo dell’impegno che mette Andrea Agnelli nella questione di oggi, ma lui purtroppo allora non c’era, perché si avesse tutta un’altra storia. E se Chiappero dice adesso che il campionato era corretto, a questa conclusione i giudici del processo penale sono giunti sulla base del lavoro fatto dalla difesa, dalle tante intercettazioni ritrovate che erano state messe da parte. Sono questi gli elementi che danno corpo alla volontà della Juve di riavere i due scudetti e l’alta richiesta risarcitoria.

Petrucci si è assunto il compito di difendere la giustizia sportiva, subito dopo però ha contestato un giudice olimpico: «Per me il pugile Cammarelle è la medaglia d’oro delle Olimpiadi». Da questo comportamento si può ricavare il sano principio: “Lui può contestare, gli altri no...!”. Inizialmente non ne ha avuto il coraggio Abete, troppo coinvolto. Poi d’improvviso: «La giustizia non è a proprio uso e consumo». Bravo Abete, allora ci dovrebbe spiegare cosa significano radiazioni effettuate in segreto, l’insabbiamento della vicenda “Premiopoli”, il trasferimento dell’avvocato Mattioli, il caso del professor Pichi.

Ma quale fair play

Campionato schizofrenico. Tutti in corsa a ridurre le spese e gli ingaggi, ma non c’entra il fair play finanziario. Milan quasi in smobilitazione, magari un po’ meglio, l’Inter (il pozzo senza fondo della Saras non dà più quello che dava), ci si mette anche il Napoli per diversi motivi, De Laurentiis ha voluto incassare, più che investire, ma sotto il Vesuvio pochi se ne sono accorti. Il patron dà fiato alle trombe per Insigne, che non è Lavezzi ma in definitiva la squadra appare calibrata e pericolosa. In questa situazione, e nonostante l’assenza di Conte in panchina, la Juve può legittimamente riprovarci. È quella che si è rinforzata di più e meglio.

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Buono l'articolo di questo Lorenzini.

Pochi concetti chiari e pienamente condivisibili, che sintetizzano tutta questa brutta storia.

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Alla vigilia del suo nuovo debutto in serie A, parla l’uomo più controverso del campionato. Lo fa nel mezzo dell’ennesima bufera che ha sconvolto il pallone, rifiutando però il ruolo di ‘anti’ che lo accompagna da sempre. “Ora giochiamo, sia uno sforzo di tutti”

Zeman

“Basta con le liti e le urla

voglio soltanto fare calcio”

di ANGELO CAROTENUTO (la Repubblica 25-08-2012)

Zeman infila cinque parole decisive dentro lo spazio di un’ora, sei sigarette e molti sorrisi. «Io voglio solo fare calcio». Con le rughe di un vecchio capo sioux offre il calumet della pace. Dopo le farmacie e le Borse. Lui. Il nemico. Il profeta. Il martire. Il cavaliere. L’eretico. L’uomo a cui è facile porgere la parola Juve per farlo scattare. Basta. Zeman pianta queste cinque parole nel terreno avvelenato del calcio italiano, e ora vediamo chi le vuole innaffiare. Ha gli occhi di Noodles-De Niro che torna a casa in “C’era una volta in America”. Che cosa hai fatto in tutti questi anni? Sono andato a letto presto. Noi sette anni senza Zeman, lui sette anni senza serie A.

Zeman, poi arriva la Roma. E lei dice: è la mia ultima occasione. Non ci credeva più?

«È che mi sento vecchio. Non ho più voglia di strillare. Fra poco smetterò. Dicevo di voler arrivare a 80 anni, non a questi livelli».

Torna in alto dopo Foggia e Pescara. Cosa le mancava lì?

«Semmai cosa manca alla A. Lì c’è più calcio giocato. Meno discussioni. Meno litigi. Qui gli interessi disturbano».

Brutto, sporco e cattivo. Il calcio italiano è questo?

«L’immagine è questa. A me dispiace. Sono qua da più di 40 anni, mi sento italiano, abbiamo perso credibilità nel mondo».

Come se ne viene fuori?

«Il calcio è un gioco? Allora giochiamo. Che sia uno sforzo di tutti».

La Roma americana l’ha chiamata per nostalgia o per costruire un futuro così?

«Non mi sono fatto questa domanda. Da tanti anni sento la Roma come la mia squadra».

Giocare. Ma lei è diventato un’icona dell’anti.

«Se in passato ho detto qualche parola in più, è stato per difendere il calcio. I suoi valori».

Non si riconosce allora nella descrizione dei “vecchi anti-juventini militanti” fatta da Agnelli?

«Non ho mai avuto problemi con la Juve. Io dormo tranquillo. È la Juve che si sente sempre attaccata. È ossessionata. Se nessuno si accorge della situazione in cui si è infilato il calcio, è difficile che lo possa spiegare io».

Subito isteria. Cosa pensa del Napoli che diserta la premiazione di Supercoppa?

«Penso che c’erano precedenti, se è vero che la Juve non s’è presentata quando perse con la Lazio. Non si accetta la sconfitta. Che in Italia non si sappia perdere, si sa. Il punto ora è che non si sa nemmeno vincere ».

Ci possono salvare i giovani?

«Ci sono i presupposti per dargli fiducia. Molte squadre lo faranno per necessità, sono felice che alla Roma sia per scelta».

C’è anche una nuova generazione di allenatori: Montella, Ferrara, Stramaccioni. Chi si avvicina alle sue idee?

«Le mie idee... Ognuno abbia le sue. Tanti ne hanno una in partenza, ma dopo una partita persa la cambiano. Ai nostri tempi si arrivava in A quando avevi dimostrato qualcosa in B. La gavetta serve, lo penso ancora».

Lei torna, ma manca un suo “allievo”: Delio Rossi. Che ha provato vedendo la scena dei pugni a Ljajic?

«Dispiacere. Non mi aspetto che un uomo di esperienza si faccia tirare dentro certe situazioni».

È lo stress, il male degli allenatori?

«È questo calcio pieno di discussioni e di litigi».

A proposito di colleghi. Le è mancato un confronto con Mourinho? Quanto siete diversi?

«Mourinho è fatto in un modo, così rimarrà. È un accentratore. Io sono più democratico».

Democratico. Invece De Rossi la credeva un musone.

«Così mi dipingono. Me lo tengo. Gli articoli non li scrivo io».

Si parlava di tensioni. È contento che De Rossi rimanga?

«Chi ha buoni giocatori cerca di tenerseli. Ma so bene che esistono pure il mercato e le esigenze delle società».

Di Zeman s’è detto: bravo coi giovani, con i campioni chissà.

«Mica alla Lazio o alla Roma ‘97 avevo gente scarsa. Oggi è diverso il primo approccio, perché fuori dal campo c’è Internet, iPhone, iPad, queste cose... Una volta i calciatori non potevano andare in discoteca. Oggi se uno non ci va, non è un calciatore».

Cos’altro non le piace dei calciatori oggi?

«Il calcio è diventato uno sport individuale. Vedi questi ragazzi con le cuffie, vanno con la loro musica. Prima si parlava».

L’individualismo è nei contratti. I bonus sono sbagliati?

«Se prometti l’incentivo per i rigori procurati, inciti alla slealtà. Quel giocatore entra in area e cercherà il rigore. Avremo più simulazioni ».

Trent’anni fa. Le piaceva la Roma scudetto di Liedholm?

«Gli altri facevano catenaccio e contropiede, Liedholm il possesso palla. Ma non è il mio calcio. Io ho meno pazienza».

Meno paziente anche di Guardiola?

«Il Barcellona mi piace. Ma non è il mio calcio. È la grande qualità dei giocatori che gli permette di essere quello che è».

E il gioco fatto da Luis Enrique?

«Giocava come il Barcellona non avendo i giocatori del Barcellona».

Ma quale altro allenatore al mondo fa il suo stesso calcio?

«Non conosco nessuno».

Totti è sempre il più grande calciatore italiano?

«Ha portato per 15 anni la Roma sulle spalle. Chi fa una cosa del genere, ha qualcosa di diverso. Qualcosa di più grande. Ha giocate che in Italia non ha nessun altro».

Lo convincerà ad accettare qualche panchina in più?

«Io?».

Lei.

«Io spero che giochi sempre perché conosco le sue qualità. Il campo dimostrerà se sono nel giusto, se lui è nel giusto».

La parola Zemanlandia le piace?

«Sì. Sa di festa. Sono contento che esista ancora».

Se dovesse comprare un biglietto, quale partita andrebbe a vedere?

«Roma-Lazio. O Milan-Inter. O Genoa-Samp. Un derby. Le partite più belle sono quelle belle sugli spalti. Gli stadi vuoti sono tristi. Non c’entra la tv. La gente s’è allontanata per la violenza».

Ma dalla Roma di Zeman cosa bisogna aspettarsi?

«Tutto è possibile. Spero dia soddisfazioni ai tifosi. Che si comporti in modo positivo. Vince, non vince: sono cose meno importanti».

E dai giovani?

«Destro deve farmi vedere quanto è forte. E poi aspetto Romagnoli. Un difensore. Ha delle doti. Che le mostri».

Verratti, Immobile, Insigne. I suoi tre gioielli di Pescara. Chi è più pronto?

«Verratti fa cose che si vedono in pochi campi, ma Insigne ha qualche qualità in più perché fa anche gol».

La Juve è favorita?

«Così dicono. Ma i risultati non si fanno a tavolino».

Chi può insidiarla?

«Quelli che partecipano. Si parte tutti da zero punti».

Non tutti.

«Ah, le penalizzazioni. E ancora ne arrivano...».

Tre vecchie frasi. La prima: “I perdenti spesso insegnano più dei vincenti”. La seconda: “Il calcio si chiama gioco perché non si sa chi vince”. La terza: “Non vincerò mai lo scudetto”. Ce n’è una che non vale più?

«La terza. Anzi, credo di non averla detta mai».

Era il gennaio 1994. Vigilia di un Juve-Foggia.

«Strano. Non avevo motivi per dirlo. Ho sempre giocato per vincere, e se si perde pazienza».

Zeman, si può battere la Juve senza essere un suo nemico?

«Voi fate grossa confusione. Pensate che io sia nemico della Juve».

Non lo è?

«Sono nato juventino. Vestivo la maglia bianconera quando avevo un anno. Ora non faccio il tifoso, sono tifoso delle squadre che alleno. Ma non ce l’ho con il nome di una squadra. Io sono nemico delle persone che fanno male al calcio».

Domani all’Olimpico l’aspettano in 50mila.

«Ma non aspettano Zeman. Aspettano Aesse Roma».

___

ZEMAN E IL MAL DI GÖBA

Si può parlare d’altro, se non del conflitto fotonico tra la Juventus e il filosofo

boemo tornato ad allenare la Roma? Sarabanda fogliante (anche con bianconeri)

“Se quel che va bene alla Fiat va bene all’Italia, e quel che va bene alla Fiat è la Juventus, chi altri può vincere il tricolore?”

“Se Zeman dicesse ‘fuori le banche dal calcio’, chapeau, ma purtroppo per lui c’è Unicredit che controlla la Roma”

“Misi a confronto Mourinho (che allora allenava l’Inter di Maurizio Crippa) con Zeman: le due personalità più interessanti”

“Da romanista, di fronte alla gestione del giovane Agnelli e di John Elkann, quasi rimpiango la Juventus di Luciano Moggi”

di ALESSANDRO GIULI & MICHELA MAISTI (IL FOGLIO 25-08-2012)

Zeman e la Juve. E’ forse possibile parlare d’altro? Il non-vincente di successo boemo fa ritorno a Roma, sponda giallorossa – laziali di nuovo in lacrime, anche se non lo ammetteranno mai: considerano Zeman cosa loro, ma contano di consolarsi vincendo una volta ancora tutti i derby a disposizione, come nella stagione 1997-’98, quando cantavano irridenti verso la curva sud zemaniana: “E’ la dura legge del gol, 4 derby dodici gol” – ed è ricominciata la guerra fotonica con i bianconeri, con la loro torinesitudine abusiva, coi loro scudetti sgraffignati, con la memoria del doping anni Novanta (corpi del reato: quelli di Vialli e Del Piero sui quali spuntarono muscoli erculei dalla notte al giorno), con le inchieste del giudice torinese Guariniello, i piagnistei contro gli arbitri compiacenti, e la sudditanza psicologica verso Luciano Moggi, il tradimento di Fabio Capello dopo lo scudetto con la Roma nel 2001, la solita famiglia Agnelli/Elkann (sillogismo curvaiolo: se quel che va bene alla Fiat va bene all’Italia, e quel che va bene alla Fiat è la Juventus, chi altri potrà vincere il tricolore?). Poi ci sarebbe anche l’attualità giudiziaria: il caso Antonio Conte, la sua omissione di denuncia, la squalifica a dieci mesi, le assoluzioni per Pepe e & Co., la “caccia alle streghe” lamentata dal solo Agnelli disponibile a mettere la faccia sulla Signora del Terzo millennio (Andrea, anima di golfista prestata al pallone). Dubbie verosimiglianze, bugie ragionevoli, errori forti, verità deboli: tutto s’incrocia e tutto si amalgama sul lastricato di lava che collega Roma e Torino, quando al casello d’ingresso c’è scritto Zemanlandia.

Dunque la Juve e Zeman. Siccome il Foglio è il più democratico e pluralista tra i giornali fondati sul dispotismo asiatico, ha ritenuto doveroso interessare al tema la metà bianconera del cielo pallonaro. Malgrado ci accusi di “deriva guatemalteca” (nel senso di giustizialismo à la Ingroia), lo juventino-siciliano di Alcamo Christian Rocca accetta di parlarci. Lo fa da fogliante della prima ora prestato ai poteri nordici (è direttore di IL, mensile del Sole 24 Ore, e in effetti gli stivali da campagna decantati nell’ultimo numero della rivista sono da urlo).

* * *

“Certo che non si parlerà d’altro se non di Zeman contro la Juventus”, dice Rocca. “Oltre alla Juve quest’anno c’è soltanto la Roma a fare da sfidante. Moratti, nella sua suprema sportività, vista la squalifica di Conte ha pensato bene di far gareggiare anche la sua Inter senza allenatore. Berlusconi ha svenduto il Milan. Resta la Roma per mancanza di concorrenti, altrimenti la Juventus avrebbe già vinto lo scudetto”. Paura eh? “Di Zeman?”. E’ un genio, vi massacrerà. “Anche di Frank Zappa non si è mai capito se fosse un genio o un ciarlatano. Zeman è una specie di Oronzo Canà giustizialista, ma di sinistra”. La moralità è sempre di sinistra. “Infatti Zeman vorrebbe essere lo Zagrebelsky della serie A, senza avere nemmeno il cognome da generale polacco di cui può fregiarsi il presidente emerito della Consulta”. Lui viene dal popolo. “Aveva ragione Gianni Agnelli, quando ricordò che abbiamo salvato anche Zeman dal comunismo. Quella fu la sentenza definitiva. Ma poi che ha combinato Zeman nella sua carriera, ne vogliamo parlare? Lui dice che abbiamo vinto 22-23 scudetti, naturalmente è un falso come il passaporto di Recoba, ma il numero è pur sempre inferiore a quello dei suoi esoneri”. La scomodità si paga. “Vada ad allenare in Guatemala, vedrete che sarà esonerato prima di Ingroia”. Dietro tanta animosità si cela l’ammirazione, è una legge di natura.

* * *

E infatti Rocca fa coming out. “Io sono sempre stato un estimatore del calcio zemaniano. Lo seguo da quando allenava il Licata”. Aneddoto: “Nella stagione 1979-’80, da scolaro delle medie inferiori, andai allo stadio della mia città per vedere la partita Alcamo-Licata. L’Alcamo aveva la maglia bianconera”. Il Licata Zeman in panchina. “E la maglia blu. Non ci potevo credere. A quei tempi non c’era ancora neppure la zona mista di Niels Liedholm, e il Licata già faceva la zona pura col fuorigioco. Uno spettacolo estasiante, ero incantato: i giocatori dell’Alcamo finivano sempre in off side e alla fine del primo tempo il Licata vinceva di quattro gol a zero, con il suo Maurizio Schillaci, fratello di Totò, grande marcatore”. Se si fosse limitato a quello, Zeman, invece di cercare il doping nelle vene bianconere… “Io non ci credo a tutta ’sta retorica della purezza zemaniana, al suo ‘fuori le farmacie dal calcio’. Avesse detto ‘fuori le banche’, mi sarei complimentato, ma come la metteremmo con Unicredit che controlla la Roma? Avesse detto ‘fuori i petrolieri’, chapeau, ma Zeman non può attaccare Moratti perché l’Inter è l’ultima ridotta che gli manca per la grande battaglia finale contro il Caimano bianconero. Finirà così”. Paura eh? “Certo se Zeman quest’anno parte bene avrà molte possibilità, d’altra parte, come ho detto, voi romanisti siete aiutati dalla non partecipazione al campionato di Milan e Inter”. E ci fidiamo della magistratura. “Infatti il pm Guariniello è l’unico uomo che abbia perso più partite di Zeman”.

* * *

Per fortuna c’è Pierluigi Battista a riequilibrare tanta faziosità. Lui è romano e juventino, oltreché terzista al Corriere della Sera. “Ne riparliamo tra qualche settimana, quando la Roma si sarà spenta a metà classifica, vedremo se parlerete ancora di Zeman contro la Juve”. Chissà quanto avrà già rubato, la Juve. “Per la sfida scudetto, la Juve si preoccupa del Milan e dell’Inter. La Roma al massimo si giocherà il posticino in Europa league”. Solito moderato. “Ne ho assoluta certezza. Certo la Juve per vincere dovrebbe scegliersi un top player migliore dell’avvocato Giulia Buongiorno”. Paura eh? “Guarda, su Zeman penso che alla fine la famiglia Agnelli- Elkann sia stata troppo dura, dicendo che Carrera in un giorno solo ha vinto più di lui. Non hanno tenuto conto che Zeman, allenatore di fascia C, con il Pescara s’è fatto notare”.

* * *

Chiedetelo a Riccardo Ruggeri, torinese e torinista in casa d’altri (e che casa: è un ex dirigente Fiat), se tutta ’sta sicumera juventina ha motivo d’essere. Ruggeri è dunque uno che di göbe se ne intende. E ci scrive così: “Molti anni fa, per almeno un decennio, ogni domenica ero al Comunale, alternativamente per Toro e Juve. Col Toro in curva Filadelfia, ai margini degli ultras, perché il mio estremismo granata, molto più radicale del loro, era tutto interiore, quindi non apprezzato. Quando giocava la Juve ero nella tribuna vip, ospite di un amico juventino ricco. In curva, sempre in piedi, mi agitavo, soffrivo, tornavo stanchissimo. Il destino di noi del Toro, dopo Superga, ci fu subito chiaro: soffrire, unica valvola di sfogo, seppur miserabile, ‘disprezzare i gobbi’, anche socio-antropologicamente (noi operai, loro alto borghesi). Papà, nato nel 1906 (col Toro), così declinava göba: ‘Postura tipica di chi si piega ai potenti (Re, Mussolini, Agnelli)’. Nella tribuna vip della Juve fui sempre in grande imbarazzo: se prendeva un gol non potevo, per una sciocca forma di educazione, alzarmi urlando tutta la mia gioia; se segnava, rimanevo seduto, unico nello stadio, guardato dai nobili sabaudi col disprezzo riservato ai servi, mentre la plebe venuta da lande lontane festeggiava oscenamente. Col passare degli anni gli juventini della tribuna vip si abituarono a me, mi sorridevano persino, fui io, di certo sbagliando, che non riuscii mai ad abituarmi a loro, almeno allo stadio. Frequentandoli, capii due cose. La locuzione ‘a fine stagione torti e ragioni si pareggiano’ era un colossale falso. Devo ammetterlo, il primo che ebbe il coraggio di dirlo in pubblico fu il nipote di uno juventino doc (!). Fui spiazzato, malfidente per anni tenni d’occhio costui, ora devo riconoscerlo: Zeman è uno a posto.

Ero certo che la tecnologia da un lato, la stampa libera dall’altro, avrebbero fatto uscire la Juve dal tabernacolo nel quale i suoi cardinali, dai ricchi paramenti sacri, la tenevano come reliquia, e non vi sarebbe mai più rientrata. Moviola, giornalisti indipendenti, pubblicazione delle intercettazioni a strascico, controllo delle ‘farmacie’, tolsero ai tre big del calcio tutto il loro allure centenario, più colpita fu la Juve per la sua (arrogante) emblematicità. L’aspetto più drammatico in questi anni è stata la sua incapacità a uscire dal C**O di sacco ‘comunicativo’ nel quale si era cacciata. Solo un approccio ironico, scanzonato (è un gioco, no?), l’occasione irripetibile della serie B (non colta), poteva umanizzare la sua immagine, purtroppo non era nel suo Dna: lo stesso Avvocato riusciva sì a essere ironico, ma solo verso alcuni giocatori, mai però verso la Juve.

In me anche gli ormoni anti juventini stanno trovando una loro seppur precaria pacificazione, avrei un’idea per la giovane dirigenza (che a livello personale stimo molto): dotarsi di un innovativo direttore delle relazioni esterne e immagine. Sarà pure una vecchia Signora ma ormai è così fanée, dalle cinquanta sfumature di grigio (il bianco e il nero si stanno stingendo), che un chirurgo plastico si impone. Con un grande comunicatore 2.0, ‘sfumatura Zeman’, la göba potrebbe drizzarsi. Detto, come ovvio, con sabaudo rispetto”.

* * *

Illusione per illusione, c’è un romanista di rango come il prof. Ernesto Felli, anche economista, che in questa pagina sembra la sola persona a conservare un po’ di senno ed equilibrio. Eccolo: “Sono un grande tifoso della Roma e per questo motivo sono piuttosto scaramantico sulle sorti che avrà la squadra guidata da Zdenek Zeman nel campionato che sta per iniziare. Tuttavia sento di poter affermare, in modo quasi apotropaico e compiendo un’operazione di ‘contro-scaramanzia’, che quest’anno sarà scudetto. La contesa per il titolo di campioni d’Italia sarà senz’altro con la Juventus che è una delle squadre favorite. Anche qualora la mia previsione iniziale non dovesse realizzarsi, sono certo che la Roma concluderà il campionato posizionandosi fra le prime tre squadre della classifica. La guida del nuovo allenatore potrebbe essere davvero determinante per la Roma. D’altronde ebbi modo di scrivere di Zeman e delle sue qualità per il Foglio già qualche tempo fa, quando in un articolo misi a confronto le doti di José Mourinho (che allora allenava l’Inter di Maurizio Crippa) e quelle del tecnico boemo, a mio avviso le personalità più interessanti che il calcio italiano possa mai dire di aver vantato nella sua storia recente. Già allora ebbi modo di sottolineare il valore tecnico di Zeman, incentrato sulla offensività del gioco piuttosto che sulla strategia, elemento che invece ha sempre contraddistinto Mourinho.

Sull’uomo Zeman e sulla sua storia calcistica posso dire che siamo in presenza di un simbolo dell’anti politicamente corretto; di un personaggio che, per la sua storia e per come la vita è stata in grado di plasmarlo, ha sempre rappresentato il prototipo di un bastian contrario immerso nel piattume desolante del calcio italiano. E proprio per questo suo modo di essere ‘contro’, le critiche nei confronti del boemo da parte dei tifosi e della dirigenza della Juventus non solo sono iniziate a piovere ancor prima dell’avvio del campionato, ma si sono anche riproposte in modo quasi identico a quello in cui furono mosse anni fa. D’altronde la migliore strategia in casa Juventus sembra essere ancora una volta quella della negazione dell’evidenza (si vedano il caso ‘Calciopoli’, le reazioni alla squalifica di Antonio Conte di queste settimane e le provocazioni di John Elkann a Zeman). Da romanista quale sono, di fronte alla gestione del giovane Agnelli e di John Elkann, quasi rimpiango la Juventus di Luciano Moggi”.

* * *

La verità (ma anche no) di Bar Sport. L’ultima parola sul caso Zeman-Juventus spetta necessariamente ai foglianti di chiara fama e famigerata esperienza calciofila. Dalle Eolie parla Lanfranco Pace, peraltro unico interprete milanista della nostra sarabanda calciofila nonché animatore di Bar Sport assieme a Maurizio Crippa (su ilfoglio.it). Voce equidistante? “Mi definisco risolutamente zemaniano”. Ecco fatto. “Anzitutto per una questione di stile. Zeman è un uomo che ha un bel volto, parla molto poco, ma quando lo fa colpisce sempre nel segno. E soprattutto parla contro il perbenismo diffuso”. Ti riferisci al famoso scandalo della “farmacia-Juventus”? “Sì, ma non solo. Ricordo a tutti che Zeman è stato l’unico ad avere il coraggio di scontrarsi col buonismo piagnone di chi ha sempre preteso di trattare Pistorius come un atleta normodotato”. E gli altri motivi di questa tua “risolutezza” zemaniana? “Beh, le ragioni della mia stima vengono da lontano, già dai campionati passati in cui Zdenek Zeman allenava le due squadre della capitale. Da milanista quale sono, il mio sogno è sempre stato quello che un giorno il presidente Berlusconi decidesse di affidare le chiavi del mio Milan all’allenatore boemo. A quel punto sì che avrei goduto come un satiro!”. E’ amore vero. “Ancora mi ricordo la grandezza di Zeman quando era alla Lazio: un 4-0 memorabile contro la Juventus, con un Alen Boksic selvaggio, scatenato nell’area di gioco dei bianconeri! E’ per questo che trovo di una volgarità assoluta le critiche che il finto Agnelli (che di cognome fa Elkann) ha mosso pochi giorni fa a Zeman”. Certo anche citare così encomiasticamente la Lazio non è proprio una finezza. “Sarà anche vero che Zeman non ha mai allenato squadre di supercampioni (e già per questo manca la controprova del suo essere ‘perdente’), ma di sicuro ha fatto diventare un supercampione un giocatore come Francesco Totti, ai tempi della prima panchina romanista. E poi non è affatto vero che Zeman non ha vinto niente. Tutti, sia alla Roma sia alla Lazio, ancora se lo ricordano! E io pure, visto che continuo ad avere il rimpianto che non alleni il mio Milan”. Conclusione: “Quindi le critiche che la Juve sta muovendo a Zdenek Zeman sono insane… sono cose da rosiconi”. Parole di miele per definire il “tradizionale scontro tra morale boema e moralismo savoiardo”. E quindi vince il boemo. “Vince lui, vince Zeman, per me. E poi, meglio stare tre anni con lui e non vincere, piuttosto che stare con Capello, Ancelotti e Allegri avendo sempre ragione”. Meglio perdere bene che vincere male? “Sì, e non se ne dispiacciano Battista, Rocca e Mughini, ma la verità è che noi tutti, e l’Italia tutta, siamo con Zeman” (rumore di sottofondo, come un ritmico fruscio insistito di mani sul basso ventre: i romanisti non sono affatto scaramantici, siete voi che gliela tirate).

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PERDERE, MA CON ZEMAN

L’uomo vero che rivoluziona tutto: il catenaccio, la chiacchiera sportiva,

la faccia, la vittoria alata. Dove vada non si è mai saputo. Ecco da dove viene

“Chi è? Lo cercherò su Google”, disse di lui Mourinho. E’ qui tra gli allegri schiamazzi di un campionato molto minore

Presenza stabile, ingombrante come la verità, il coraggio, la manliness, l’umanità: “He is both bohemian and Bohemian”

La bella testimonianza di Modeo, la storia dello Spartak Trnava e del guru Malatinsky, profeta del calcio totale

Un culto internazionale, uno che smonta lo stupidario di Fazio, un anarchico, un moralista molto diverso dai modelli italiani

di MAURIZIO CRIPPA (IL FOGLIO 28-08-2012)

Di un allenatore che dal suo sito web si offre sdraiato e quasi alato come un angelo sopra Berlino, e dichiara: ‘A mio parere, la grande popolarità che ha il calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza in ogni angolo del mondo c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi. Ma il calcio, oggi, è sempre più un’industria e sempre meno un gioco’, si può avere solo grande stima. E simpatia. Gran personaggio, il boemo, come tutti i praghesi filosofi e un po’ esoterici”. Iniziava così, tre anni fa, un commentino postato sul mio blog mourinhista. E un po’ per far prima, un po’ perché il giudizio resta identico, come uguale è ancora l’home page di Zdenek Zeman, tanto vale ripartire da lì.

Tre anni fa Zeman non era ancora tornato dal suo esilio ai confini del calcio, ma era sempre lì, inamovibile come una pietra d’inciampo in tutti i discorsi che girano attorno al pallone. Quella volta presentavano un documentario sulla sua carriera, e con il vocione tabagista disse la sua su José Mourinho. Lo disse nel modo consueto, con la pacatezza senza disprezzo di chi non ha mai avuto bisogno dei trofei in bacheca per sapere qual è il posto che occupa nella storia del calcio: “E’ un grandissimo comunicatore che nasconde bene la propria mediocrità come allenatore”. Mou gli rispose con una battuta velenosa delle sue, da dominatore del sistema calcio consapevole che senza i risultati c’è solo il nulla: “Zeman? Chi è? Lo cercherò su Google”. Il giorno e la notte, due emisferi cerebrali destinati a non incontrarsi mai. Sono passati più di due anni da che la meteora di talento e intelligenza di José Mourinho è uscita dall’orbita del calcio italiano. E’ ricominciato un campionato che – tolti gli aspetti meramente statistici e agonistici, il calcio come tre punti e l’importante è muovere la classifica – si annuncia tra i più noiosi degli ultimi anni. Niente personalità di rilievo, niente appeal mediatico, nessun allenatore dotato di una visione del mondo che superi il centrocampo. La cappa del conformismo giornalistico, gli strilletti di Andrea Agnelli, i pianti sui buchi di bilancio e sui talenti in fuga. L’unica novità che fa ben sperare, non si sa per i destini della Roma, ma certo per il tasso di brillantezza generale, è il ritorno di Zdenek Zeman. Comunque andrà la sua avventura, più di dieci anni dopo l’ultima panchina di serie A, questo sarà l’anno di Zeman. Per mancanza di rivali, ma non solo per questo.

A Fabio Fazio che osò dargli di filosofo rispose: “Io ho studiato filosofia, ma non ho mai capito cosa volevano dire”. Zeman non si atteggia a intellettuale, non è un comunicatore camaleontico dell’èra del global football come Mourinho, anzi possiede una certa rigidezza, una ruvidezza di vecchio legno boemo che sembrano ricacciare indietro, a un’epoca che non c’è più, quando le parole erano pietre e le idee chiare, definite, irremovibili. “Dovrei parlare di arte? Di politica? Di economia? Io sono uno che sta nel calcio, fuori dal calcio io sono uno qualunque e il mio parere conta come quello di un contadino. Eppure dal contadino non va nessuno”. Oppure: “Non c’è nulla di disonorevole nell’essere ultimi. Meglio ultimi che senza dignità”. Lampi di intelligenza in una nazione più versata nella furbizia. Questo è sempre stato Zeman. Anche a questo si deve il suo piccolo ma ben radicato culto. E pazienza se in questo culto ci si trova un po’ di tutto, persino una canzone romanista di Antonello Venditti intitolata “La coscienza di Zeman”: “Il tempo sta scadendo ormai / tieni palla dai… / il pareggio mai… / tu non lo firmerai… / Perché non cambi mai”. Parole scagliate nel vuoto come rilanci alla viva il parroco, la negazione del calcio come scienza del movimento, pensiero e geometria, il suo eterno 4-3-3: “Per coprire il campo non esiste un modulo migliore”.

Poi ci sono i giustizialisti pallonari, per i quali Zeman è un’icona perché “ha sfidato il sistema”. Sì, lo ha fatto, lo ha fatto davvero. E dire che non gliel’abbiano fatta pagare, anni e anni fuori dal giro e mai più una squadra che conta, sarebbe una falsità. Ma non gli è mai interessato fare da mosca cocchiera a Raffaele Guariniello o mettersi alla guida del Calcio dei Valori. Piuttosto, l’ha fatto per restare fedele a quel che vedeva: “Se un portiere a 28 anni doveva cambiare il numero dei guanti perché gli sono cresciute le mani, non è normale”. Per una sua coerenza copernicana tra le parole e le cose, lui che viene da un mondo dove le parole potevano non essere le cose: “Se uno usa un farmaco per migliorare la prestazione, per me è doping”.

Ci sono altri motivi, calcistici e umani, che hanno fatto di Zeman una presenza stabile, riconoscibile e ingombrante come uno scoglio davanti alla placida costa del calcio italiano. Sono motivi che hanno misteriosamente a che fare con il suo essere boemo: “He’s both bohemian and Bohemian”, ha scritto qualche mese fa il Wall Street Journal, in un bel ritratto pieno di sorpresa intitolato “The return of soccer’s Jedi”. E’ qualcosa che ha a che fare con quel che da Praga, ormai quarantacinque anni fa, quest’uomo di sport pacato e intransigente si è portato dietro. E che in fondo è rimasto sempre di più, qualitativamente di più, di ciò che in tutti questi anni d’Italia, di calcio italiano, di mare e di sud, di Sicilia e di Puglia, di Roma e di squadre minori Zeman ha assorbito, come la nicotina nei polmoni.

Praga, 1968. La biografia di Zdenek Zeman è segnata da questo snodo mitico come da una seconda nascita. Quella che lo trasforma da figlio borghese di una borghesia abolita proprio mentre nasceva, nel 1947, cresciuto in un bel quartiere in riva alla Moldava, figlio di un medico primario e lui stesso destinato alla medicina, ma appassionato di sport e con uno zio calciatore, in un professionista del calcio e in un esule a vita. Il caso ha la sua parte, come in ogni romanzo. Nell’estate del 1968 ha ventun anni, viene in Sicilia con sua sorella per trascorrere le vacanze con lo zio. Lo zio si chiama Cestmír Vycpálek, è stato il primo calciatore straniero del Dopoguerra a giocare nella Juventus, poi era passato al Palermo e lì aveva messo radici, diventando allenatore, fino a vincere poi due scudetti, tornato a Torino, con la Juve. Dopo i carri armati, Zeman rientrerà per poco tempo a Praga, ma non era più l’aria, a Palermo lo aspettavano lo zio, l’Isef, e un destino fatto di calcio. Anni dopo, quando a causa delle sue denunce sul doping era già diventato il nemico pubblico numero uno della Juventus, con il senso della battuta che lo contraddistingueva e che amava spalmare sul suo più spiccato senso del potere, Gianni Agnelli commentò: “Per me Zeman veramente è nipote di Vycpálek, Vycpálek noi l’abbiamo salvato dalla Cecoslovacchia comunista e l’abbiamo portato in Italia, quindi anche il nipote ci deve della gratitudine”. Non è dato sapere se l’esule si sia mai sdebitato.

Della Praga della sua infanzia non parla spesso, né forse volentieri. Ma praghese è rimasto. Nell’anima e nel calcio. Gli è rimasta la faccia, che sembra presa in prestito da un vecchio film di Milos Forman, quando Forman era ancora un regista cecoslovacco, e quel gusto per la battuta secca, il sarcasmo breve, che non ha mai la leggerezza cinica dei francesi, o degli inglesi, ma il fondo amaro di chi la sa lunga, e sa quando è meglio non dire, e che quel che si dice è detto per sempre, e si paga. Anche se si parla di calcio, il mondo della chiacchiera. La Praga da cui era fuggito, libertà vigilata e pallone come valvola di sfogo, somiglia alla Praga di un vecchio filmino, un corto, un gioiellino delle memorie di cineforum. Si intitola “Un pomeriggio noioso”, prima regia di Ivan Passer, prima che anche lui volasse a trovar fortuna cinematografica nella terra della libertà. Dura un quarto d’ora, il tempo di tre ripartenze e due tiri in porta. Sono chiacchiere smorte di calcio dentro a un’osteria, mentre scorre loffia una partita della Nazionale, e un giovanotto invece fuma e legge un libro, da solo al tavolo, guardato male da tutti come un antisociale: che diamine, è pur sempre il calcio nazionale, ragazzo!

Ecco, forse è anche da quel mondo e da quello sport come emblema di noia esistenziale che Zeman era fuggito. E’ a quel brutto calcio che si è ribellato tutta la vita, insegnando e praticando un gioco in cui prima di vincere importa giocar bene, perché chi gioca e chi viene a vedere deve soprattutto divertirsi, e “non è vero che non mi piace vincere, mi piace vincere giocando bene”. Ma venendo in Italia, senza mai diventare del tutto italiano, si è portanto dentro quella malinconia ironica e laica che è dei grandi praghesi. La stessa di un Bohumil Hrabal, non a caso il filmino di cui sopra era tratto da un suo racconto. La stessa cocciuta idea di libertà disincantata che in quegli anni Vaclav Havel coltivava nei teatrini off-off, quel praghese irriducibile e ironico che, un po’ come lui, non ha mai cambiato zazzera, né marca di sigarette né birra passando dalla galera al Castello. Esattamente come lui: “Io, dalla mia panchina, continuo a veder correre persone. Non soldi”.

Ma dal calcio della sua Cecoslovacchia, passando per l’Isef di Palermo e per le squadrette del sud fino al “Foggia dei miracoli” e ai fuochi d’artificio di Zemanlandia, l’allenatore boemo s’è portato dietro, tenendoselo ben stretto, anche il sogno totalitario di un calcio-macchina, di un calcio totale, di un calcio vivo e atletico e aggressivo. Un’utopia da realizzare in undici uomini, ma per il bene di tutti gli altri. In quella stessa estate in cui il destino lo portava lontano, e in cui un giovane scettico e un vecchio tifoso misuravano le proprie visioni del mondo in un pomeriggio noioso, c’era un’altra epopea che Zeman non può non aver conosciuto, e amato. Perché fa parte del dna del suo stesso calcio: “Da piccolo, a Praga, mi dissero: ‘Prendi quella posizione’ e non ‘prendi quell’uomo’; da quel giorno, non ho più cambiato idea”. L’epopea la rievoca, cavandola da un buco della nostra memoria collettiva zittita dalla Cortina di ferro, Sandro Modeo in due paginette del suo bel libro sul “Barça”, un piccolo trattato totalitario sulla superiorità sportiva, scientifica, etica e culturale del “calcio totale”. E’ la storia dello Spartak Trnava, che ora è in Slovacchia, e di un’utopia calcistica che somiglia molto a quella di Zeman, anche perché indossa la maglia con i colori del Foggia. L’utopia di un piccolo club di provincia nel gelo del mondo comunista e di un allenatore poeta tutto d’un pezzo, che si chiamava Anton Malatinsky e che nell’anno in cui comincia il Disgelo di Kruscev raccatta dalla serie B cecoslovacca un gruppo di giovani. Ma poi Malatinsky viene arrestato per aver aiutato alcuni dissidenti a passare il confine. Dalla galera comunista scrive lettere coraggiose, degne di un Gramsci del pallone: “Tenete i giocatori, tra qualche anno diventeremo campioni”. E così sarà, fino al titolo nazionale conquistato proprio nel 1968, poco prima che il mister debba lasciare un’altra volta, travolto dalla Primavera di Praga. Malatinsky e il suo calcio totale e super offensivo, fatto di frenetici dai-e-vai, forza fisica, allenamenti duri fino al sadismo, di corse su e giù fino allo sfinimento dei suoi “angeli bianchi” nei sentieri innevati, che ricordano molto le leggendarie corse nei boschi cui Zeman costringeva i suoi ragazzi del sud.

La squadra di Malatinsky arrivò a un punto dalla gloria, come si addice agli eroi, perdendo l’anno successivo la semifinale di Coppa dei Campioni contro l’Ajax di Michels e di Cruijff, ma disputando una partita che, a detta dello stesso allenatore olandese, fu la più difficile che la sua squadra avesse mai dovuto giocare, contro un avversario senza blasone ma che giocava un calcio che sembrava piovuto da un altro pianeta. Nasce da qui il mito e l’ammirazione per l’opera omnia calcistica di Zeman, per quel suo calcio totale, aggressivo e spettacolare, senza calcoli e infingimenti, testardo anche di fronte alle sconfitte prese sempre con un filo di ironia: l’unica cosa che i pur ammirati tifosi italiani non gli hanno mai perdonato. Non è un caso che, pur non avendo mai colto quei successi necessari a trasformarlo in una star internazionale, i maggiori attestati di stima incondizionata arrivino a Zeman dagli appassionati del mondo anglosassone, che pure non hanno mai visto le sue squadre giocare. Un giovane blogger britannico tempo fa si stupiva sinceramente di se stesso: “Non avevo mai sentito parlare di lui, perché non lo conoscevo?!”. Eppure, alla notizia che Zeman stava per tornare alla guida della Roma, si era accorto che “sembra esistere una sorta di culto di Zeman, e subito sono apparsi su Twitter commenti ammirati di molti scrittori e giornalisti”. TheBoar.org, il giornale on line degli studenti dell’Università di Warwick, ha dedicato un articolo a Zeman come “Eroe di culto”, affermando che “a parte Arsene Wenger, nessun altro allenatore ha una influenza maggiore sulla filosofie e l’identità di una squadra come Zdenek Zeman”. Analisi, confronti, rivisitazioni di vecchie partite del Foggia e di recenti del Pescara hanno convinto i giornali inglesi che “nel calcio italiano c’è qualcosa di molto meglio, di molto più divertente del ‘catenaccio’ a cui da sempre è legata la sua immagine”.

Zeman è la cosa più esorbitante, più lontana dagli stereotipi legati all’Italia e al suo sport nazionale che si sia mai materializzata in Italia. E questa è forse la cosa più facile, lapalissiana, da riconoscere. Più difficile, dopo trent’anni di Zemanlandia e di zeman-manie a corrente alternata, riconoscere la sua diversità, la sua ostinata irriducibiltà anche nei confronti di tutta la nostra cultura comunicativa (più Buster Keaton, meno Alberto Sordi), la nostra cultura da bar dello sport (“Talvolta i perdenti hanno insegnato più dei vincenti. Penso di aver dato qualcosa di più e di diverso alla gente”), il nostro giornalismo sportivo: “Non ho rapporti con la stampa o la televisione. Voglio essere giudicato per quello che faccio con la mia squadra, non mi interessano altre esibizioni”.

Un anarchico, un rigido moralista. Un uomo che contraddice la vocazione italiana al côtè sentimentale, che sa essere duro. Che in trent’anni non ha mai detto “prostituzione intellettuale”, ma più volte l’ha evocata con scene di gelo situazionista, come la volta che lasciò parlare due minuti un cronista di Foggia e poi, immobile, lo fulminò: “Con lei non parlo”. Altre volte, Zeman sa sfoderare un senso dei tempi scenici degno di Ionesco, come nella performance da vero e consumato attore, seduto indifferente a fumare, mentre Antonio Albanese nei panni di Frengo, il folle dj tifosissimo di Zeman, gli danza intorno, un gioiellino di buona televisione. O come quando, più di recente, aveva smontato il cazzeggio cortigiano di Fabio Fazio: “Siamo in un talk-show, uno fa le domande e l’altro dà le risposte”. “A saperle”. Alla terza fulminante risposta così, Fazio stava per avere una crisi di nervi. Per tutto questo, nell’anno calcistico depressivo e della recessione che si va a cominciare, senza campioni e senza illusioni, il ritorno di Zeman lo Jedi del calcio è già una vittoria.

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la mania Quasi ogni squadra ha un motto sulla divisa

«L’unica cosa che conta è vincere»

L’ha detto Boniperti? No, John Wayne

La frase che compare sulle maglie della Juventus

risale agli Usa anni ’50. Ripresa anche in un film

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 25-08-2012)

Tra una condanna e l’altra forse si gioca a pallone. È il campionato dei graffitari, è il football dei writers, ogni maglietta ha la sua scritta, come sui muri delle latrine negli autogrill o lungo le massicciate ai lati della ferrovia. La squadra campione d’Italia ha deciso di svoltare, non potendo fregiarsi, per sentenza, della terza stella ha pensato di immortalare sul colletto della casacca bianconera, o di riserva, la frase storica: vincere non è importante, è la sola conta che conta. Qualche anima bella l’ha attribuita a Giampiero Boniperti che, essendo più furbo di tutti, l’ha pronunciata, la notte magica dell’inaugurazione del nuovo stadio, riferendosi a «uno striscione dei tifosi».

La verità è un’altra: winning isn’t everything, it’s the only thing, furono parole pronunciate nel 1950 da Henry Russel “Red” Sanders, coach dell’Ucla Bruins di football americano. Sanders provocò l’applauso degli astanti durante una lezione di educazione fisica al California Polytechnic State University di San Luis Obispo. Tre anni dopo quelle parole vennero riprese testualmente da un articolo di Bud Fucillo sul Los Angeles Herald and Express e, addirittura, divennero una battuta del film Trouble Along The Way (in italiano, L’irresistibile Mr John) con John Wayne e Donna Reed, quando l’attrice Sherry Jackson nella parte di Carol Williams riferisce un pensiero di Steve Aloysius Williams (Wayne), allenatore di una squadra di football: «Steve dice che vincere non è importante, è l’unica cosa che conta».

Il marchio definitivo arriva su Sport Illustrated nel ’55 e, nel 1959 Vincent Lombardi, mitico coach del Green Bay Packers (due Superbowl consecutivi) la trascrive, facendola propria, sul libro di memorie Run to daylight! .

La Juventus ormai parla americano, come la sua proprietà, va da sé che in onore a Sanders&Lombardi&Boniperti cercherà di ribadire il concetto. Ma è l’enciclopedia di scritte e frasi che compaiono sulle magliette delle squadre italiane di calcio che stimola e provoca risate multiple. Si va dal club più titolato, al primo della città, con varie formule grafiche per farsi riconoscere, come se non bastassero usi, costumi e posture per l’identificazione dei soggetti. Ci sono pure quelli che firmano le magliette sulle quali si annota l’odio per un’altra squadra. Al grido di vieni avanti creativo si è formata una convention di letterati, un’ accademia della cricca, l’expofoot duemila e dodici. Buon divertimento. Questa è davvero l’unica cosa che conta.

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Abete duro con Conte

«Rispetti i giudici»

Il presidente Figc: «Non c'è stato alcun accanimento. Altri

tesserati della Juve sono stati assolti dallo stesso tribunale...»

«Se la giustizia sportiva deve migliorare del 10% altri devono crescere del 300%»

di LUCA CALAMAI (GaSport 25-08-2012)

«Non c'è accanimento della giustizia sportiva nei confronti di nessuno. Non ce ne sarebbe motivo. Questo vale anche per Conte». Il presidente Giancarlo Abete ha il volto tirato. E tanta voglia di fare chiarezza.

Presidente, Conte è stato condannato da un giudice tifoso?

«No, non scherziamo. È vero che il 95% di coloro che operano nel mondo del calcio hanno una simpatia per una squadra. Ma la funzione che esercitano va oltre questa simpatia. E gli stessi giudici che hanno condannato Conte hanno poi valutato in maniera diversa la posizione di altri tesserati riconducibili a certi "colori" (chiaro il riferimento a Bonucci e Pepe, n.d.r.). La verità è che Conte deve rispettare un organo di giustizia».

Il tecnico della Juve può essere deferito per le sue accuse?

«Non è materia di mia competenza».

Che cosa ha provato sentendo le parole di Conte?

«È comprensibile che ci sia una sofferenza in relazione a una situazione comunque traumatica. La grande popolarità porta ad amplificare tutto, nel bene e nel male».

Il presidente del Coni, Gianni Petrucci, ha detto: «Giù le mani dai giudici sportivi».

«Le riflessioni di Petrucci sono condivisibili. Del resto, proporrò la conferma per il prossimo quadriennio di Stefano Palazzi alla Procura federale, Gerardo Mastrandrea alla Presidenza della Corte federale e Sergio Artico alla Disciplinare».

Qualche avvocato vorrebbe che la giustizia sportiva aspettasse le sentenze della giustizia ordinaria.

«Impossibile visti i tempi. Chi, nel processo di Napoli su Calciopoli, ha chiesto il rito abbreviato è in attesa della sentenza di 2o grado. E sono passati 6 anni. Avremmo dovuto bloccare i campionati per 6 anni? Chi dice certe cose e ha ruoli di responsabilità nel nostro Paese dovrebbe battersi per una giustizia più rapida e non criticare altri ordinamenti».

La giustizia sportiva può essere ridisegnata?

«Diciamo che può essere oggetto di riflessione e magari di modifica ma non di rivoluzioni. Proprio nei mesi scorsi sono state affrontate queste tematiche da una commissione scelta dal Coni e non dimenticate che il calcio italiano fa parte della grande famiglia del calcio mondiale. Magari dovremo studiare bene il caso scommesse. È necessario valutare la posizione delle società. Come nel caso degli episodi di violenza i club che collaborano o che dimostrano di vigilare possono godere di esimende e attenuanti».

Cosa cancellerebbe delle ultime polemiche?

«Non accetto chi alimenta tensioni e fazioni. Spesso aggrappandosi a tesi inesatte. Se non si conosce quello di cui si parla si rischia di dire cose che non stanno né in cielo né in terra. Come giustizia sportiva e come mondo arbitrale possiamo migliorare del 10-15%, ma ci sono figure del mondo del calcio che dovrebbero migliorare del 300%. È troppo semplice protestare piuttosto che proporre».

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CONTE-SHOW

ABETE BATTE UN COLPO

MA NIENTE DEFERIMENTI

di LUCA CARDINALINI (il Fatto Quotidiano 25-08-2012)

Indovinello: trenta sul campo e uno in tribuna. È la Juventus (copyright Paolo Cintia). Le più immediate, e migliori, reazioni alla squalifica di Antonio Conte sono arrivate dal web. Solo più tardi sono arrivate quelle ufficiali, dei “Palazzi ”. Prima si è fatto sentire il presidente del Coni Gianni Petrucci. Essendo in scadenza e quindi con poco da perdere, è andato giù duro con un eloquente: “Basta attacchi ai giudici”. Fine. Per giunta senza far nomi, forse per educazione (e le polemiche contro i giudici per il mancato oro a Londra del pugile Cammarelle?). Mancava il presidente della Figc, Giancarlo Abete da Coverciano. Non ha il dono della sintesi, è capace di parlare fitto per cinque minuti per dire che oggi è sabato. Quando ha sentito Andrea Agnelli e Antonio Conte dire “questo è un sistema da rifondare dalle fondamenta”, “è una caccia alle streghe”, “è una giustizia barbarica” - qualche sconclusionato potrebbe crederci, si può essere piromani anche a parole - gli sono fischiate le orecchie.

Questa la sua risposta: “Le critiche sono giuste e la delusione è comprensibile, ma la separazione dei poteri è sinonimo di democrazia anche nello sport. Contro Conte non c’è stato alcun accanimento, deve portare rispetto”.

Abete non solo ha difeso il procuratore Stefano Palazzi, ma ha annunciato che ne riproporrà la candidatura per il prossimo quadriennio, insieme al presidente della Corte di giustizia federale Gerardo Mastrandrea e a quello della Commissione disciplinare Sergio Artico. Sono i tre che hanno condannato Conte (e non solo). Tutti giudici sportivi, è bene ricordarlo, che esercitano a titolo volontario, con rimborso solo per ogni giornata lavorativa. È il secondo forte messaggio. Giovedì, proprio mentre Conte parlava, la Figc pubblicava le motivazioni della sentenza sul sito ufficiale, con notevole anticipo sui tempi previsti (almeno quindici giorni). Tanto è vero che le motivazioni per gli altri soggetti, ancora non ci sono.

Difficile trovare una mediazione. Tra chi crede al complotto di “Moratti e Guido Rossi” (ancora!?) da una parte e chi fa finta di ignorare che se le parole di Conte in conferenza stampa, le avesse ripetute, pari pari, il tecnico del Sudtirol, lo avrebbero radiato su due piedi.

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La Figc

Abete, messaggio ad Agnelli

“Il calcio non è proprietà privata”

di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 25-08-2012)

Forte dell'assist di Petrucci, ecco che finalmente esce allo scoperto anche Giancarlo Abete. «Il calcio non è proprietà privata», fa sapere il n.1 della Figc. Aula magna di Coverciano, vigilia del campionati dei veleni: il presidente federale, davanti agli arbitri già ben strapazzati da De Laurentiis, difende gli organi di giustizia sportiva e li conferma per altri quattro anni. Artico alla Disciplinare, Mastrandrea alla Corte federale e Palazzi alla Superprocura (cadono quindi le ipotesi di mal di pancia con possibilità di dimissioni del magistrato militare napoletano).

Abete, con quel suo linguaggio da ex giovane deputato Dc, ci va già duro stavolta, pur senza nominare la Juve e nemmeno Conte. Ma va interpretato. Intanto, fa subito sapere che di presidenti che fanno «della protesta il loro modus operandi non ne abbiamo bisogno ». Chiaro, Agnelli? «Non ci serve chi alimenta tensioni e faziosità, chi vorrebbe una giustizia a proprio uso e consumo, chi parla nella logica di non conoscere il sistema delle regole correndo così il rischio di dire cose che non stanno né in cielo né in terra». Con la Juve è guerra continua, balla ancora una causa di risarcimento danni da 440 miliaoni. Riferito a Conte, il n.1 della Figc spiega che «non c'è alcun accanimento nei confronti dei tesserati ma le sentenze vanno rispettate». Non ci sono «giudici tifosi», «un giudice può giudicare bene o male ma non si può demonizzarlo». Ma fosse per lui Sandulli (soprannominato San Dulli nel 2006), lo avrebbe già cacciato. La giustizia sportiva è da riformare, ne conviene lo stesso Abete, «ma senza rivoluzioni»: ci sta già pensando il Coni. Non la Figc. Ma quando gli chiedono se il tecnico juventino adesso rischia di essere deferito, risponde alla Abete: «Ci sono gli organi preposti per deciderlo». Gli stessi organi che ancora non ci hanno fatto sapere cosa hanno stabilito per Genoa-Siena, la partita del ricatto delle magliette. Data, 22 aprile, campionato scorso. Ora Palazzi avrà quattro anni tempo per chiudere l'inchiesta. Prima, ovviamente, deciderà il Tnas del Coni su Conte: la Juve porterà anche la cartella clinica di Mastronunzio, uno dei punti forti dell'accusa, dimostrando però che il calciatore del Siena aveva saltato le ultime tre gare per infortunio. Basterà? «L'auspicio che la nuova stagione porti un maggior senso di responsabilità», chiude Abete, che ha studiato dai salesiani. In campo da oggi, per ogni gara, un arbitro, due assistenti, due arbitri di area (la novità) e il quarto uomo. In una gabbia dei leoni.

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SCOMMESSOPOLI IL PRESIDENTE DELLA FIGC

«Agnelli pensa

alla sua Juve

Io alle regole»

ABETE «Rispettate gli organi di giustizia»

Il calcio non è proprietà privata. Non c’è accanimento su qualcuno.

Giudici tifosi? Ci sono solo passioni. Confermo Palazzi, fiducia massima

di STEFANO PASQUINO (TUTTOSPORT 25-08-2012)

FIRENZE. Gioca in casa, Giancarlo Abete. E l’applauso (quasi un’ovazione) degli arbitri alla fine del suo discorso-programmatico per battezzare l’inizio della nuova stagione, lo dimostra. Dal fortino di Coverciano, il presidente della Federcalcio - non poteva essere altrimenti - si è eretto a difensore d’ufficio della giustizia sportiva, tra l’altro ribadendo a microfoni unificati l’intenzione di portare in consiglio federale la proposta di confermare anche per il prossimo quadriennio Stefano Palazzi alla Procura federale, Gerardo Mastrandrea alla presidenza della Corte federale e Sergio Artico alla guida della Disciplinare. Una decisione emblematica sulla volontà (granitica) di Abete di fare scudo contro gli attacchi, veementi e reiterati, da parte della Juventus e di Antonio Conte (legali compresi) dopo l’ennesimo schiaffo che ha dovuto subire un club già retrocesso e decapitato dalle sentenze di Calciopoli. Gli anni passano, ma le tensioni restano. Anzi, tendono a creare cancrena.

«GIUDICI, NON TIFOSI» «Conte? Non c’è accanimento nei confronti di nessun tesserato, non ce ne sarebbe il motivo - la sentenza del presidente della Federcalcio - è comprensibile che stia soffrendo per questa situazione, ma la critica deve essere sempre rispettosa nei confronti degli organi di giustizia sportiva che è retta da persone che hanno le qualità professionali idonee per svolgere il compito a cui sono stati preposti. Stiamo parlando di persone nominate dalla commissione di garanzia e, come tali, con la capacità di svolgere la loro funzione. Le critiche possono essere legittime, ma deve rimanere il rispetto dei ruoli. Per questo condivido pienamente le considerazioni di Petrucci e, a corredo, non esiste che si dica che qualcuno è stato giudicato da giudici tifosi (altra stoccata al tecnico della Juventus, ndr). È chiaro che la maggioranza di chi sta nel calcio può avere una passione sportiva, ma quando si è professionisti si ha il dovere di rispettare la propria professionalità che prescinde dalla sensibilità che può avere un tifoso. Inoltre gli stessi giudici hanno deciso in modo diverso per componenti della stessa realtà».

«DIVERSI...» In pratica, come si evince dall’Abete pensiero, se ci fosse stata una volontà punitiva nei confronti della Juventus, non sarebbero stati scagionati - come invece accaduto - Pepe e Bonucci . Un fatto che confermerebbe secondo via Allegri la totale imparzialità di chi ha analizzato le carte. «Non ci sono posizioni precostituite nella giustizia sportiva - prosegue Abete - Agnelli è presidente di un grande club e tutela gli interessi della sua società. Io svolgo un’attività diversa e ho il diritto-dovere di far rispettare le regole che garantiscono autonomia alla giustizia sportiva. Se Conte rischia il deferimento per le sue parole? Stabilirlo non è compito mio, ma del procuratore federale».

«CHI PARLA, NON SA» Le polemiche sull’asse via Allegri-corso Galileo Ferraris popolano - senza che Abete citi gli obiettivi delle sue critiche - anche il discorso programmatico del presidente federale. Un discorso che è un manifesto sulla bontà delle istituzioni: «Spesso dimentichiamo che il mondo del calcio è in un sistema sportivo a 360° - attacca il presidente - invece dovremmo ricordarcelo più spesso. E bisogna anche avere buona memoria. Il 26 agosto di un anno fa, per esempio, eravamo sempre qui a Coverciano e non eravamo riusciti a evitare che fosse rinviata la prima giornata di campionato. Adesso si partirà regolarmente e dobbiamo affrontare la stagione con maggior senso di responsabilità. Esiste un certo ceto dirigenziale che fa della protesta il suo modo di essere e di questo francamente non ne abbiamo bisogno». Abete evita accuratamente, da navigato uomo politico qual è, di fare nomi e cognomi, ma non bisogna essere eredi di Perry Mason per capire - viste le polemiche estive - come il riferimento sia diretto a De Laurentiis e Agnelli. Non a caso, il concetto fa da preambolo all’introduzione del capitolo riguardante la giustizia sportiva: «Prima di parlare bisogna conoscere le fondamenta delle regole, bisogna ricordare che il 28 novembre 2011, e non parliamo del ’15-18, è stata istituita una commissione da parte del Coni per rivisitare il quadro della giustizia sportiva e che le conclusioni di quella commissione sono arrivate nel giugno 2012 e hanno sposato una logica di riduzione dei tempi e dei gradi di giudizio. Il problema è che quando si è protagonisti in negativo o coinvolti in certe situazioni ognuno vuole rivoltare la giustizia sportiva a proprio uso e consumo: avremmo forse dovuto aspettare la sentenza di secondo grado al processo di Napoli che non è arrivata neanche per chi ha chiesto il rito abbreviato? Dal 2006 a oggi saremmo rimasti fermi, creando una situazione kafkiana».

«FIFA E UEFA CON NOI» Ma non finisce qui, perché Abete va dritto alla questione Conte introducendo il tema della responsabilità oggettiva: «Che esiste nei codici della Fifa e dell’Uefa. Altrimenti viviamo in un altro mondo che non è quello dello sport. Già, sport perché non esiste una giustizia del calcio ma dello sport italiano sotto l’egida del Coni, altrimenti si parla senza conoscere qual è il quadro di riferimento. E noi abbiamo massima fiducia verso gli organi di giustizia sportiva che garantiscono indipendenza, autonomia, terzietà e riservatezza. Il problema è che il modello comportamentale di chi è nel calcio alimenta tensioni e faziosità dove avremmo la necessità di dirigenti che facciano proposte per migliorare questo mondo che non è proprietà di pochi. Chi attacca non sa che la separazione dei poteri è garanzia di democrazia anche nello sport. Ognuno si deve assumere le proprie responsabilità: il calcio non è proprietà privata, il miglioramento delle persone nel calcio deve essere fatto a 360 gradi e non bisogna bypassare le competenze federali. Noi vogliamo essere una federazione rispettosa delle regole, non accettiamo chi alimenta tensioni e fazioni. Tutto si può migliorare, ma bisogna conoscere i fondamentali delle regole. Se non si conosce quello di cui si parla, si corre il rischio di dire cose che non stanno né in cielo, né in terra».

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«Non ci sono giudici-tifosi»

La Figc replica a Conte e attiva un fondo per le eventuali richieste risarcitorie

Abete: Non c’è alcun accanimento, sono stati prosciolti Bonucci e Pepe...

Piena fiducia in Palazzi e nella giustizia sportiva

di EDMONDO PINNA (CorSport 25-08-2012)

FIRENZE - «Non ci sono giudici tifosi» . E ancora: «Non c’è alcun accanimento nei confronti di alcun tesserato» . Non basta: «Quando si è protagonisti in negativo ognuno riscopre la giustizia a proprio uso e consumo» . Finale: «Le parole di Petrucci (presidente del Coni, che giovedì aveva tuonato contro chi attaccava i giudici dello sport, ndr) sono assolutamente condivisibili» . Firmato Giancarlo Abete, che approfitta del tradizionale saluto agli arbitri della Can A e della Can B a Coverciano per replicare alla tempesta che è arrivata dal Nord, precisamente da Torino, dopo i verdetti di secondo grado sullo scandalo scommesse, che hanno confermato i 10 mesi di squalifica a Conte ma pure i proscioglimenti di Pepe e Bonucci. Con la Federcalcio che ha pronto un proprio fondo in caso di maxi-richieste risarcitorie.

PROFESSIONISTI - «Tutti, anche voi giornalisti, avete una passione, un tifo per una squadra. Ma passione non significa non essere professionisti quando si esercita il proprio ruolo. Questo vale anche per i giudici. Non ci sono giudici-tifosi» . Se Antonio Conte, nei suoi strali, aveva attaccato chi lo aveva giudicato, il presidente Abete replica senza giri di parole. In Federcalcio non hanno apprezzato (affatto) l’ennesima alzata di toni arrivata da Torino, pur con tutte le attenuanti. «Capiamo la sofferenza di ciascuno, ma la critica deve essere rispettosa» . La chiosa è ancor più precisa: «Se la giustizia sportiva - che non è la giustizia del calcio - può avere dei margini di crescita del 20%, il livello comportamentale dei protagonisti può aumentare del 300%. E’ più facile protestare, aumentare le faziosità non fa bene» .

GIUSTIZIA - Le parole di Conte hanno fallito il bersaglio, ai piani alti di via Allegri fanno notare come gli stessi giudici che hanno sanzionato Conte con 10 mesi di squalifica per l’omessa denuncia (anche se forse si poteva parlare di illecito sportivo) di Albinoleffe-Siena, hanno pure confermato il proscioglimento di Bonucci e Pepe, entrambi giocatori della Juventus. Insomma, fosse stata una questione di campanile... «Non ci sono posizioni precostituite, prima di parlare bisognerebbe conoscere i fondamentali delle regole, altrimenti si corre il rischio di dire cose che non stanno né in cielo né in terra. La giustizia non è del calcio, o del nostro calcio, siamo in un sistema internazionale (il riferimento è anche alla responsabilità oggettiva, destinataria di mille critiche) e dovremmo ricordarcelo sempre» .

NERVOSISMO - A chi gli fa notare che forse bisognerebbe stemperare gli animi, Abete ricorda che «svolgo un’attività diversa da quella di Andrea Agnelli: lui è il presidente di un grande club e deve tutelarne gli interessi, io ho il diritto di far rispettare le regole che garantiscono l’autonomia della giustizia. Non so se lui e nervoso, io sono sufficientemente sereno» .

FIDUCIA - Abete ha confermato, in diretta, Palazzi alla guida della Procura federale, Artico come presidente della Disciplinare e Mastrandrea come presidente della Corte federale. «La fiducia è massima» , ha detto, ricordando che la giustizia sportiva è cosa diversa da quella penale: «Staremo ancora qui, fermi, ad aspettare la sentenza di secondo grado del rito abbreviato a Napoli per i fatti del 2006, posto che poi ci sarebbe ancora spazio per la Cassazione» . Certo, il rischio che le sentenze penali possano, a distanza di anni, essere diverse da quelle sportive c’è, con conseguente richiesta di risarcimento danni. Per questo la Federcalcio ha già attivato un fondo anti-rischio. Che non coprirebbe i 443 milioni chiesti dalla Juve, ma fa capire che in via Allegri sono preparati a tutto...

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LE NOVITÀ Le misure contro la violenza si sono alleggerite. Il sindacato di polizia: «In tempi di crisi il calcio può essere un pretesto»

Il voucher anti-tessera

Passo indietro per i match casalinghi. Ma si teme un autunno caldo

Il vecchio abbonamento riveduto e corretto in chiave tecnologica. Nasce l’albo degli striscioni

di ALESSANDRO CALVI (Il Messaggero 25-08-2012)

ROMA - «La tessera del tifoso è un’incompiuta», dice Claudio Giardullo, segretario del Silp polizia. Roberto Massucci, dal Viminale, invece la difende. E, però, con la scorciatoia aperta l'anno scorso dai voucher, col nuovo campionato di fatto non sarà più obbligatoria per abbonarsi per le partite casalinghe. Insomma, l'anno che inizia è quello del passo indietro rispetto ai proclami del fu ministro dell'Interno Roberto Maroni, anche se, per normalizzare la vita da stadio, arriva l'albo degli striscioni.

Si vedrà se servirà. La stagione scorsa è terminata nel modo peggiore. E l'antipasto di quella nuova è stato alquanto indigesto. Dopo la vittoria della Juventus in Supercoppa e le relative polemiche, in tanti hanno detto: ecco, è tornato il calcio. A ben vedere il calcio era già da un po' che s'era rifatto vivo. Lo denunciava il rumore dei tafferugli, e quello delle sirene delle forze dell'ordine. Il 5 agosto il derby di Coppa Italia Nocerina-Paganese si gioca a porte chiuse per evitare problemi. Tutto inutile: ci saranno arresti e feriti. Dell'amichevole Salerno-Lazio le cronache raccontano soprattutto le aggressioni e l'arrabbiatura di Claudio Lotito per la festa rovinata. A Milano l'Inter contro l'Hajduk perde ma si qualifica. La tifoseria croata si dà da fare a modo suo. Ancora feriti e arresti. «Gli stadi ormai sono sicuri - dice Roberto Massucci, vicepresidente dell'Osservatorio del Viminale - ma questi fatti ci dicono che non si deve abbassare la guardia». E Claudio Giardullo (Silp Cgil) aggiunge: «L'anno che verrà non è da sottovalutare. Ci sono tante questioni nel mondo del calcio che possono essere un pretesto per qualcuno. E, come capita in tempi di crisi, c'è chi potrebbe strumentalizzare gli stadi».

Insomma, tra gli strascichi del calcio-scommesse, l'intreccio di interessi che ruotano attorno agli stadi, le dispute sui campionati vinti, i rischi ci sono. E c'è anche da fare i conti con la crisi economica. Certe preoccupazioni, poi, trovano una conferma nell'ultima relazione dei Servizi al Parlamento a proposito dell'attenzione della destra radicale per gli ambienti del tifo ultras o «l'atteggiamento fortemente contrappositivo verso le forze dell'ordine». Il ministro Elsa Fornero ha evocato l'autunno caldo. Se lo sarà anche negli stadi è presto per dirlo. Di certo, si riparte dai fatti di Genova. «Lì - ricorda Massucci - un gruppo di ultras è riuscito a far togliere la maglia ai calciatori. È il frutto di un rapporto tra club e tifoserie che va ristrutturato. C'è chi usa lo stadio per propri interessi ma le società devono spezzare il legame con certi ambienti. Oggi non ci sono più scuse».

Già, il problema è antico e tuttora irrisolto; e non sembra esserci tessera del tifoso che tenga. Peraltro, a sentire i club, c'è da rimanere spiazzati. Secondo le informazioni fornite da Juventus e Inter sui rispettivi siti, la tessera è necessaria per abbonarsi. Secondo la Roma, invece, no. Per venire a capo del rebus basta consultare la determinazione dell'Osservatorio del Viminale del 30 maggio scorso alla voce voucher, di fatto un carnet elettronico di biglietti che si può acquistare senza più dover richiedere anche la tessera del tifoso, valido però soltanto per le gare interne. Per quelle esterne serve ancora la tessera del tifoso, un passo indietro rispetto al 2011 quando la tessera era obbligatoria sia per le gare interne che per l'acquisto dei biglietti per il settore ospiti. Ma negli ultimi due anni ci sono state le proteste dei tifosi, c'è chi ha parlato di schedature di massa, chi si è scagliato contro i club che hanno incorporato la tessera in carte prepagate facendo felici le banche, meno chi voleva soltanto andare allo stadio. Alla fine, alcuni club - tra i più attivi la Roma - si sono mossi per trovare una soluzione ragionevole. L'idea del voucher nasce così. L'addio di Maroni al Viminale forse fa il resto. Infine, arriva la possibilità di verificare in tempo reale se ci sono ostacoli - ad esempio un daspo - alla emissione di un biglietto. Ed è la mazzata finale alle ragioni dei duri e puri della tessera del tifoso. Così, adesso alcune società lanciano una tessera alternativa e parallela alla tessera del tifoso: in pratica il vecchio abbonamento riveduto e corretto in chiave tecnologica. Eppure, rimangono contraddizioni. Quest'anno infatti esordisce l'albo degli striscioni. Sinora, dovevano essere autorizzati volta per volta. Nei fatti la regola è stata applicata con una certa morbidezza. Ora, però, si stabilisce che gli striscioni si possano far autorizzare una volta per tutte a inizio stagione. Sarebbe un modo per semplificare la vita di tutti.

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Scortare gli ultras costa 40 milioni,

dai club nemmeno un euro

Il sindacato di polizia Siulp: «Le società devono contribuire alla sicurezza».

Ferrovie, Poste e Autostrade già lo fanno

di ALESSANDRO FARRUGGIA (Il Giorno 25-08-2012)

«È INACCETTABILE impiegare migliaia di uomini ogni fine settimana a spese del contribuente. Siamo in spending rewiew? La polizia subisce tagli ed è sotto organico di 11 mila unità? E allora il calcio e tutte le manifestazioni a scopo di lucro, sportive e non, devono pagare un contributo per il servizio straordinario di ordine pubblico».

A LANCIARE il sasso nello stagno è Felice Romano, segretario generale del sindacato di polizia Siulp. «Ogni domenica — spiega Romano — impieghiamo 6mila uomini per garantire il profitto delle società calcistiche e arginare gli ultras. Francamente è assurdo che sia a carico della fiscalità generale. Come già oggi fanno le società concessionarie autostradali, le Ferrovie e le Poste, va pagato un contributo per le corpose spese aggiuntive che vengono sostenute dallo Stato. Non chiediamo che sia pagato lo stipendio agli uomini impiegati ogni fine settimana, ma che si contribuisca alle spese aggiuntive: indennità varie e spese straordinarie sostenute. Mi sembra una richiesta assolutamente ragionevole». Anche perché per quel servizio le forze dell’ordine pagano anche un tributo di sangue che fortunatamente — grazie anche alla legge che ha introdotto gli steward negli stadi, riducendo le occasioni di contatto tra ultras e forze di polizia — è sceso dai 200 feriti del 2007-2008 ai 66 dell’ultima stagione.

LA CIFRA sborsata dai contribuenti per garantire la sicurezza delle partite di serie A, B e Coppa Italia ammonta a circa 40 milioni di euro all’anno, in un bilancio del comparto sicurezza toccato nel vivo dai tagli e perennemente alla ricerca dei soldi per la benzina o la manutenzione delle volanti e delle gazzelle. Ma anche in tempi di crisi, un conto di 40 milioni non sarebbe certo un costo insostenibile per le società, che fatturano — secondo la recente analisi del Centro Studi della Federcalcio — la bellezza di 2 miliardi e 477 milioni di euro all’anno. Quaranta milioni si possono trovare, magari con una limatina agli ingaggi, e potrebbero consentire di finanziare servizi essenziali alla collettività. La battaglia è sentita da molti dei sindacati di polizia, ma sinora non è stata fatta davvero propria dal Viminale. E anche quando un tentativo in tal senso c’è stato — sottosegretario all’Interno Massimo Brutti, governo D’Alema — è finito in una sonora sconfitta.

AI 40 MILIONI di euro si arriva considerando i 6mila uomini (40% polizia, 40% carabinieri, 20% finanzieri) impiegati ogni fine settimana nelle 38 giornate di Serie A e 42 di serie B, nella Coppa Italia, la Legapro e negli incontri internazionali. A loro vanno aggiunti gli agenti delle polizie locali, che sono un altro migliaio. Dei 6mila uomini (che possono diventare anche 7mila e più in caso di derby e giornate ‘calde’) la metà sono ‘territoriali’ e 3mila sono unità ‘a rinforzo’ che vengono da fuori, di solito dai battaglioni mobili e ci costano mediamente dai 115 ai 178 euro lordi al giorno, in aggiunta allo stipendio.

VANNO INFATTI considerate le indennità ordine pubblico (26 euro per chi viene da fuori, la metà per la territoriale) e giorno festivo (12 euro), lo straordinario (12-15 euro l’ora, per gli uomini ‘a rinforzo’ si viaggia sulle 6 ore, cioè oltre 72 euro lorde al giorno), i pasti (dai 5 euro per un pranzo al sacco fino ai 50 euro al giorno per chi è in trasferta). Ai quali vanno sommati i costi per l’eventuale alloggio e per il trasferimento (carburante e pedaggio autostradale) dai reparti alla città di impiego, più le spese per l’uso dell’elicottero. C’è poi il fatto che gli uomini impiegati nel fine settimana devono riposare. E ci sono i danni ai mezzi in caso di incidenti. In tempi di coperta corta, è un conto troppo caro per farlo pagare solo ai contribuenti italiani.

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LA DENUNCIA NELLE ULTIME DUE SETTIMANE SCONTRI CON LE FORZE DELL’ORDINE ED EPISODI DI RAZZISMO

Tafferugli anche ad agosto. «Siamo in mano ai violenti»

di ALESSANDRO FIESOLI (Il Giorno 25-08-2012)

PRENDIAMO il diario dell’agosto del calcio. Cronache dal fronte del pallone. Sei agosto: scontri Nocerina-Paganese, tre arresti, in cento con il passamontagna contro le forze dell’ordine, lancio di pietre, tondini, cubetti di acciaio, bottiglie di vetro. Sette agosto: Salernitana-Lazio, scontri prima della partita, sassi contro i pullman dei tifosi, tre feriti. Otto agosto: follia ultras a Pagani, altri undici teppisti arrestati, si erano dati appuntamento per attaccare la polizia attraverso i social network. Quattordici agosto: Varese, polemiche razzismo, gli ultras lasciano la curva dopo il gol del nigeriano Ebagua, un giocatore della loro squadra. Grazie al grande impegno e alla professionalità dei vertici delle forze dell’ordine, con una strategia che ha coinvolto anche i club, nell’ultimo campionato di serie A la situazione, per quanto riguarda l’ordine pubblico, è migliorata, ma gli ultimi episodi di violenza, in impianti sia pure di provincia e in versione estiva, spingono a mantenere sempre alto l’allarme e il bisogno di vigilanza sulle curve degli stadi italiani.

Significativa, in questo senso, e soprattutto preoccupante, la tesi sostenuta dal segretario dell’associazione nazionale funzionari di polizia, Enzo Marco Letizia: «Dopo l’omicidio Raciti (a Catania, nel 2007) è stata intrapresa la strada del rigore, e da allora le violenze sono diminuite in modo assai rilevante, ma al tempo stesso è preoccupante che i protagonisti degli episodi di violenza siano sempre più giovani, anche minori, attratti dai sentimenti dell’intolleranza, del razzismo e della xenofobia», sostiene il funzionario.

LA PIAGA del razzismo è stata contenuta nell’ultimo Europeo grazie a una posizione molto dura da parte dell’Uefa. Una severità trasmessa a tutte le federazioni, Italia compresa. Le statistiche più recenti sui reati da stadio sono in significativo calo, ma le immagini dello scempio di Genova, con i giocatori rossoblu costretti a togliersi le maglie in campo e umiliati dai propri ultras nella partita con il Siena, sono ancora molto forti. «Il calcio italiano è in mano agli ultras, purtroppo fanno tutto quello che vogliono», denunciava Capello nel 2009. «Capello non ha torto, il nostro calcio è condizionato dagli ultras», ha confermato il ct Prandelli nel 2010. «Siamo al punto di non ritorno», il commento affranto di Petrucci, presidente del Coni, dopo la resa di Marassi. C’è tanta gente in gamba che vigilia sulla tranquillità e la sicurezza degli stadi italiani, ora che riparte il campionato. E il lavoro non manca.

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«Pronti a collaborare

Ma versiamo tante tasse»

Abete: il calcio sborsa 1,3 miliardi allo Stato

SICUREZZA

«Il Viminale non ha mai chiesto

di intervenire in modo diretto

con una partecipazione alle spese»

di ALESSANDRO FIESOLI (Il Giorno 25-08-2012)

PRESIDENTE Abete, i sindacati di polizia chiedono, con l’inizio del nuovo campionato e soprattutto in seguito ai tagli alle risorse per l’ordine pubblico, un contributo da parte dei club calcistici per sostenere le spese legate alla sicurezza in occasione delle partite di campionato. Come risponde?

«È un discorso, questo, che viene fuori in modo ricorrente. Rispondo in due modi: il sistema di sicurezza è stato modificato, negli ultimi anni, con l’introduzione degli steward, che sono a carico delle società, con una conseguente, forte riduzione della presenza di forze di ordine pubblico all’esterno degli stadi».

Il secondo punto?

«I nostri club, se richiesto, non sono contrari a una contribuzione di questo tipo. Ma la competenza è del Viminale».

Qual è la linea del ministero degli Interni sulla questione?

«Il Viminale, sulla funzione dell’ordine pubblico, ha piena titolarità, e non è stato chiesto al calcio di intervenire, in modo diretto, con una partecipazione alle spese relative. E poi il calcio, come contribuente, non si può dire che non faccia la sua parte. Come risulta bene dall’ultimo report sui conti del nostro sport».

Intende il gettito fiscale?

«Il calcio versa allo Stato qualcosa come un miliardo e trecento milioni di euro in tasse».

C’è anche da dire che le società hanno avuto anche tanto, come ai tempi dello spalmadebiti. Con forti polemiche conseguenti. Ma torniamo al presente.

«Una valutazione su un sistema sportivo, sicurezza compresa, non può essere ridotto solo a una questione di denaro».

A che cosa si riferisce?

«Per esempio alle dichiarazioni più recenti, sull’argomento, del capo della polizia».

Come quando Manganelli ha detto che ‘Nessun fenomeno delinquenziale ha fatto registrare una flessione così forte come quello della violenza nel calcio’?

«Appunto. È il risultato di un grande impegno comune, in stretta collaborazione con le istituzioni e i vertici dello Stato».

Il ministro Cancellieri ha dato atto alle società di ‘una presa di coscienza, che ha portato al taglio di una serie di legami con gli ultras’.

«Il fenomeno della violenza nel calcio ha i suoi margini di storia, nel tempo lo abbiamo messo a fuoco e trovato le soluzioni, anche se, a maggior ragione, richiamo tutte le componenti del nostro mondo a un forte senso di responsabilità, per non alimentare le peggiori tensioni».

Se per la violenza da stadio sono state trovate le contromisure, sempre tenendo la guardia alta, il vero allarme ora è legato alle scommesse, come stanno dimostrando inchieste giudiziarie e processi sportivi.

«È un fenomeno nuovo, a livello mondiale ed europeo, non solo nostro, è diventata la minaccia più grave da affrontare, e ci stiamo attrezzando».

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L'austerity dimezza il campionato

Il gap del valore commerciale con la Premier League è ormai arrivato vicino al 40%

IL MODELLO VIRTUOSO La Bundesliga tedesca si conferma il torneo con i conti migliori: secondo fatturato in Europa, vincoli molto rigidi e club con i bilanci in ordine

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24ORE 25-08-2012)

Parte il campionato dell'austerity. A 40 anni dallo choc petrolifero che impose all'Italia sacrifici e un ridimensionamento del tenore di vita, questo termine è entrato a pieno titolo nelle vicende economiche e sportive della serie A, alla prese con un inedito calciomercato di "esportazione". Lo shopping del Paris Saint Germain dello sceicco Al Thani e della Qatar Investment Authority che a suon di milioni ha strappato all'Italia stelle come Ibra, Thiago Silva e Lavezzi, lasciando la serie A orfana di top player, è il segnale di un'involuzione irreversibile, ma non inattesa.

Lo spread, altro vocabolo della crisi, tra la massima divisione italiana e le altre leghe europee si è andato allargando negli ultimi 15 anni, senza che i padroni dei club italiani abbiano saputo adottare contromisure. Prendiamo il confronto tra serie A, Premier league, il torneo con il giro d'affari più ampio, e Bundesliga, il campionato più in ascesa dal punto di vista finanziario e quello in cui le società hanno i conti messi meglio.

Se nel 1997 il valore commerciale del campionato d'Oltremanica era di 685 milioni di euro e quello della Serie A di 551 milioni, con uno scarto di appena il 20%, questo gap è raddoppiato. Il fatturato della Premier al termine della stagione 2011/2012 ha superato quota 2,5 miliardi, il campionato italiano è fermo a quota 1,6 miliardi ("spread" del 37%). Il differenziale tra i due tornei ha iniziato a crescere fin dagli anni Duemila. Il dislivello più accentuato, pari al 53%, è stato raggiunto nel 2006/2007 quando gli inglesi hanno registrato introiti di 2,2 miliardi e i club italiani hanno dovuto accontentarsi di entrate di poco superiori al miliardo.

Negli ultimi cinque anni, la Premier ha incassato dalla vendita dei diritti tv 5,8 miliardi a fronte di contratti che hanno garantito alla serie A 4,2 miliardi. Nello stesso periodo, se la Premier ha ottenuto da sponsor e merchandising 2,8 miliardi, la A non è andata oltre 1,8 miliardi. Più soddisfazioni, le società inglesi le hanno avute dal botteghino: 3,5 miliardi contro 1 miliardo italiano. Le entrate della Premier nell'ultimo quinquennio hanno oltrepassato la soglia dei 12 miliardi di euro, quelle della serie A hanno sfiorato i 7 miliardi.

Dopo gli anni bui degli hooligans e dell'esclusione dalle coppe europee, club e governo inglesi sono stati capaci di ricostruire, a partire dagli stadi, un modello di business capace di attrarre investimenti dall'estero, di essere "venduto" ovunque e di generare utili. Sommando gli esiti delle gestioni dei team impegnati nelle due competizioni – fra il 2000/2001 e il 2010/2011 – la Premier League ha prodotto utili per circa 1,7 miliardi di euro. Negli stessi dieci anni, la serie A ha accumulando un deficit di 1,9 miliardi.

Con Calciopoli che ha affossato la Juventus e i default che si sono succeduti nei primi anni Duemila, la serie A ha iniziato a perdere terreno anche rispetto a Liga spagnola e Bundesliga. Nel primo caso, il sorpasso si spiega principalmente con le performance di Real Madrid e Barcellona (mentre sei club della Liga si trovano in amministrazione controllata), che hanno raggiunto la vetta del calcio europeo con un fatturato nel 2011 di 479 e 450 milioni. I due top club iberici pagheranno lo scotto della crisi bancaria spagnola, ma non nei termini di un rapido declino visto l'invidiabile cash flow generato dai diritti tv (180 milioni a testa, venduti individualmente), dal botteghino, (123 milioni e 110) e dal settore commerciale (172 e 156 milioni).

Il benchmark del calcio europeo è rappresentato dal campionato tedesco, rivoluzionato e arricchito dalle infrastruttre costruite per il Mondiale 2006. I club tedeschi producono il secondo fatturato tra le leghe europee (1,7 miliardi), ma hanno vincoli di bilancio molto rigidi (dal basso livello di indebitamento a un rapporto ingaggi/fatturato intorno al 50%), i quali – come certifica Deloitte – fanno sì che la Bundesliga sia il campionato più redditizio d'Europa, con un incremento dei profitti operativi tra il 2010 e il 2011 da 138 a 171 milioni. Un modello che la serie A stenta a seguire.

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RIPARTE IL CAMPIONATO: MOLTA AUSTERITY, QUALCHE SPERANZA E LINEA VERDE

Ecco la Serie A-nno zero

di MASSIMILIANO CASTELLANI (Avvenire 25-08-2012)

S ta per ricominciare la sagra del gol, il rito laico della domenica – ma anche del sabato e del lunedì, il calcio spezzatino è 'no-stop' – della repubblica fondata sul pallone. Un rito che coinvolge tre italiani su quattro, tanti si dicono interessati alla fenomenologia della sfera di cuoio. La Serie A, tra stadio e tv (soprattutto), coinvolge un popolo di calciofili stimato intorno ai 30 milioni di connazionali. Interesse e passione per un gioco nazionalpopolare, ma che giova ricordare, è ormai prima di tutto un’industria. Un’impresa in crisi, il calcio, come tutte le realtà nazionali pubbliche e private alle prese con la spending review. Così, in un decennio, siamo passati dall’etichetta autoconfezionata e superbamente italica di «campionato più bello del mondo» a quella di «torneo più indebitato del pianeta calcio».

A voler essere statistici e tassonomici, come imporrebbe ogni match da febbre a 90’, la leadership di campionato più indebitato del mondo spetta alla Liga spagnola che con i suoi 3,5 miliardi di 'rosso' è a rischio fallimento. Se non è ancora stato dichiarato il crac, è solo grazie all’effetto placebo dei successi della nazionale di Spagna (campione d’Europa e del Mondo in carica) e delle due grandi sorelle Barcellona e Real Madrid. Anche noi, con un gap da 2,4 miliardi di euro, ci teniamo ancora su con una nazionale vicecampione d’Europa e qualche scampolo di fantasia che possiedono quei signori «ricchi e un po’ stupidi», come Beppe Viola usava definire i presidenti d’un tempo delle società di calcio. E, poi, così come ieri si esagerava con la marca d’eccellenza, ora ci si consegna con slancio alla autocommiserazione del «campionato povero e mai più bello come una volta». E invece proprio l’austerity, con cui niente affatto stupidamente si sta cercando di risanare le casse del Paese, e pure dei nostri club, può segnare una svolta, anche nel futuro dell’azienda calcio.

La stagione che sta per cominciare potrebbe essere quella della 'Serie A-nno zero'. Più poveri, vero, come sputa a distanza sul piatto in cui ha mangiato fino a poco fa, il girovago del gol Zlatan Ibrahimovic, che si è sistemato nell’harem calcistico del Paris Saint Germain per la modica cifra di 14 milioni di euro a stagione. La stessa cifra che in media le nostre società finora hanno speso sul mercato, rinunciando alle stelle dai prezzi proibitivi e ripiegando – pardon, puntando – finalmente sui giovani. Quelli nati e cresciuti in Italia, che hanno fatto la fortuna della Juventus di Antonio Conte e della Nazionale. A proposito di Conte, la sua vicenda (e la condanna a 10 mesi lontano dalla domenicale panchina) legata allo scandalo di Scommessopoli ci ricorda che purtroppo dal 1980 a oggi, il nostro pallone passa continuamente dal campo all’aula del tribunale. Un triste e assurdo iter al quale sarebbe il caso di porre fine, una volta per tutte. Ma affinché questo possa diventare davvero 'il campionato degli onesti', c’è bisogno soprattutto di una Lega di Serie A che abbia il coraggio e la trasparenza di esprimere al proprio vertice un presidente che sia anche il patron di uno dei 20 club che devono essere rappresentati in maniera equa e solidale. Il 'supplente' Maurizio Beretta, già da tempo avrebbe dovuto lasciare la presidenza della Lega di A, ma il tentativo d’intesa su un degno sostituto s’è rivelato un’impresa. Finché continuerà a prevalere questa paura di rompere con il passato (calcio legato a politica e a lobby finanziarie), sarà difficile ricollocarci al vertice del pallone mondiale e le vittorie del campo, la Spagna lo dimostra, sono solo un palliativo contro i grandi mali del sistema.

Finché non passerà la legge sugli stadi di proprietà dei club (a settembre la terza lettura in Senato, incrociamo le dita!), questi continueranno a sopravvivere con i ricavi tv, rendendo lo spettacolo calcistico sempre più virtuale e mortificando ancora gli spalti, desolatamente vuoti. Continuando così non ci saranno più sponsor (né investitori stranieri) ben disposti verso il nostro calcio.

Ma pensiamo positivo. E ora che siamo al calcio d’inizio, ricordiamoci che abbiamo più di un secolo di storia aurea e una tradizione infinitamente ricca anche al cospetto della cassaforte degli 'sceicchi' di Francia e d’Inghilterra. Possediamo scuole che continuano a sfornare i migliori manager e tecnici del mondo. Nei vivai stanno sbocciando decine di talenti che, proprio grazie alla crisi, stanno trovando più facilmente posto in prima squadra. E con la novità dell’ultimo minuto, la 'panchina lunga fino a 12 elementi', nessuno verrà più mortificato con l’emarginazione in tribuna.

Tutti potenziali titolari, per la gioia appassionata di tifoserie calde che quando non trascendono nell’assurda violenza da stadio rappresentano davvero il 12° uomo in campo. Noi tutti siamo quel 12° uomo, pronti a sostenere e a entusiasmarci per una 'Serie A-nno zero'.

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OGGI AL VIA IL CAMPIONATO DI SERIE A

SCUDETTO DISCOUNT

In un parterre sobrio, molto per necessità

e poco per virtù, resta favorita la Juve

Berlusconi si è dimesso da sceicco, Inter leggera; si può azzardare il Napoli o la Roma di Totti&Zeman

di ROBERTO BECCANTINI (il Fatto Quotidiano 25-08-2012)

Si profila un desco povero e litigioso, da Calciopoli a Scommessopoli l’emergenza continua. Ore 18, Fiorentina-Udinese; ore 20,45, Juventus-Parma: fuoco alle polveri. Il secondo posto che la Nazionale di Prandelli ha colto agli Europei, sovvertendo tutti i pronostici, compreso il famigerato “Fermiamo il calcio per due o tre anni” dell’esimio professor Monti, appartiene ormai a un altro secolo, a un altro mondo. Favorita, la Juventus. Si è divisa da Del Piero, nostalgia canaglia, e dovrà fare a meno di Conte, squalificato per dieci mesi. Lo sostituirà, come già a Pechino in Supercoppa, Carrera. Nessuno può dare un voto e un peso all’assenza di un allenatore. Ciò premesso, pane al pane: Conte non si è limitato a gestire la squadra, le ha soffiato un’anima e un gioco.

REDUCE da due settimi posti, la Juventus non era più la Juventus. Stadio, imbattibilità e scudetto hanno scandito la rinascita e fissato la differenza. Manca sempre l’attaccante da venti gol, il cosiddetto “top player” che sta a Marotta come i mulini a vento stavano a Don Chisciotte; non manca, viceversa, la polpa: struttura, personalità, rinforzi mirati (Isla e Asamoah su tutti). Occhio alla Champions: distrae e succhia energie; la stagione scorsa, la Juve era fuori da tutto, e proprio male non le andò.

Ci lasciammo, a maggio, con questa classifica: Juventus 84, Milan 80, Udinese 64, Lazio 62, Napoli 61, Inter 58, Roma 56. Prendete quel Milan e cancellatelo. C’erano Zambrotta, Nesta, Thiago Silva, Van Bommel, Gattuso, Ibrahimovic, Cassano, Seedorf, Inzaghi. In attesa di Kakà, punto e a capo. Berlusconi si è dimesso da sceicco. Sino a ieri, ci pensava Ibra: d’ora in poi, cavoli del mister e di Galliani.

NON SI tratta di un Milan diverso: si tratta, oggettivamente, di un “altro” Milan, lontano dal podio. Lo scambio Cassano-Pazzini assomiglia più a una riffa che a un calcolo. E Pato? Già infortunato, naturalmente. Dal Genoa, Preziosi aveva inviato in soccorso Zé Eduardo. Allegri l’ha scrutato e avvisato: fammi vedere chi sei. Risposta del brasiliano: io in prova? no, grazie. Questa è l’aria che tira a Milanello.

Anche Moratti ha alleggerito l’Inter. Dopo che, nell’estate del 2011 se n’era andato Eto’o, il fair play finanziario ha accentuato la dieta. Palacio ha stoffa, Gargano e Alvaro Pereira sono travi, non pagliuzze; e se Pazzini era l’utile svanito, Cassano potrebbe essere il dilettevole. Piace a Stramaccioni, è uno scrigno le cui chiavi, spesso, scivolano di mano persino al proprietario. Con l’Inter, alle spalle della Juventus, piazzo Napoli e Roma. Il Napoli, già. Ha ceduto Lavezzi, bloccato Cavani (per adesso) e guarnito la rosa (Behrami, Gamberini, Insigne). Scommetto su Lorenzo Insigne, 21 anni e 1,63, un fiammifero di talento. E punto anche su Mattia Destro, classe 1991, scuola Inter come Balotelli. Metà del Genoa e metà del Siena, ha scelto la Roma. Il problema di Mazzarri, a Napoli, è la fase difensiva, fatale anche in passato. La Roma, in compenso, trasloca da Luis Enrique a Zeman. Come dire: da un sognatore a un seminatore. Il problema, per loro, non sarà mai il futuro, ma sempre il presente. Il maestro boemo ritrova Totti ed è pronto a sfoderare il 4-3-3 che, da Foggia a Pescara, l’ha portato a scalare le montagne e inciampare nei sassi. L’azzardo societario è proprio lui, l’allenatore che alterna la panchina al pulpito. La conferma di De Rossi dà slancio all’idea. E senza Europa, tutti per uno.

NEL GIRO di due stagioni, la fiammeggiante Udinese di Guidolin ha perso portiere, centrocampo e spalla di Di Natale (Sanchez). L’attendo, curioso, all’ennesima verifica. I preliminari di Champions ribadiscono come in Friuli la bussola resti la trama e non già l’improvvisazione. Della Lazio, mi intriga la staffetta tecnica tra Reja e Petkovic. Con il Toro e la Sampdoria, tornano i derby della Mole e di Genova. La Fiorentina si affida alle bollicine di Montella e a ministri di lotta e di governo come Aquilani, Borja Valero e Pizarro. Il Piave rimane Jovetic: bisogna resistere, almeno, fino alla chiusura del mercato.

Si naviga a vista, senza il becco di un quattrino e sul filo di equilibri fragili e avvelenati. Agosto, da sempre, è il mese dei fioretti. Parola d’ordine: largo ai giovani. Ci sarebbero: da Giovinco a Insigne, da Destro a El Shaarawy. Poi arriva l’autunno e le prime rughe se li portano via. Nel frattempo, tutti in fila dietro la Juventus. Panchine lunghe, giudici di porta e non, squadre penalizzate (Sampdoria e Torino meno uno, Atalanta meno due, Siena meno sei), mal di pancia: buon campionato a tutti.

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il commento

BUON VELENO A TUTTI E ZEMAN CONTRO TUTTI

di RICCARDO SIGNORI (il Giornale 25-08-2012)

Mortifichiamoci così, senza rancore. Il campionato riparte con la Juve campione d’Italia, ma chi ci sta pensando? Nessuno, forse nemmeno gli juventini. Economicamente siamo con l’acqua alla gola, i bilanci delle squadre che contano ondeggiano fra il rosso e l’arancione, Abete e Petrucci urlano alla luna, trattiamo regole e giudici come fossero spazzatura, abbiamo perso campioni, stiamo importando mezze figure, e siamo già al tutti contro tutti. Filosofia sportivamente ineccepibile, peccato non si applichi al gioco del pallone. Ma solo a quello dei veleni. Direte: parlare di veleni nel calcio diventa un po’banale. Quando mai non ci abbiamo sguazzato? Ma stavolta non è lo stantio di un’idea a preoccupare. Piuttosto quel ritrovare tutti pistole alla mano, si tratti di difendere una maglia, una stagione o soltanto un allenatore sbadato. Non c’è più differenza, non c’èpiù una scaladi valori nemmeno nell’instillare il veleno, non c’è più gente che capisca fin dove si può arrivare e dove stia il limite invalicabile. La Juve tornata al vertice del campionato poteva riportarci al tempo antico, alla tradizione di un certo calcio e alla sua leadership. Invece Agnelli e ci hanno infilato nel tempio dei veleni. L’anno scorso parlando di Inter, quest’anno parlando di calcio artefatto. Conte innocente? Conte colpevole? Non era un problema della Juve. Ed invece lo è diventato, facendo danni a blasone, squadra, società. Eccesso di populismo. Le squadre restano, gli allenatori possono tranquillamente passare. Si vince con i campioni, i tecnici sono uno strumento. John Elkann l’ha capito ed ha provato a tirar il freno. Invece l’Agnellino c’è subito ricascato dando la sensazione di non aver gran senso della strategia.

Il caso Conte-Juve nasconde l’altro grosso problema: quanto credere a un campionato dove chiunque ci metta mano ti porta all’illecito e dintorni? Quante partite saranno vere e quante false? Perchè tifosi e televisioni non vengono mai rimborsatidell’inganno subito? Dovremmo domandarcelo ad ogni inizio e ad ogni fine di campionato, ma oggi una volta di più. Si parte nell’incertezza di alcune sentenze, nell’attesa di altre. Ora i problemi degli arbitri bravi o un po’ miopi, del gol- non gol, del fuorigioco si o no, sembrano lontani, quasi bambinate. Gli arbitri saranno sei, ma sbaglieranno ugualmente. E allora si parlerà di incompetenza, incapacità, intramontabile effetto Moggi. La Supercoppa italiana e il presidente del Napoli, in particolare, ci hanno già spiegato dove andremo a sbattere. Lo sport al di sotto di tutto, il fair play ai minimi storici. Torna Zeman e già s’ode stormir di fronde. Juventini di stirpe antica non hanno dimenticato le sue accuse. E lui ricomincia a divertirsi: veleno sottile e strisciante. Chi ha sense of humor si divertirà. Altri meno. L’effetto Zeman somiglia all’effetto Inter d’estate di una decina di anni fa: già campioni prima di cominciare. Poi l’intoppo, gli intoppi, il destino cinico e baro... E se una volta nella vita Zeman riuscisse a vincere...

Difficile pensare qual campionato ci aspetti davanti a tanta mediocrità tecnica (e umana), gestionale e strategica. La Juve che cerca un cannoniere e si rivolge a Dzeko o Llorente dice tutto. Il Milan si è liberato dei campioni, rischiando la depressione. L’Inter è in stile Moratti: un Recoba (Cassano) per divertirlo, magari nel giardino di casa, e il resto si vedrà. Sarà un campionato divertente: povero (anche tecnicamente) ma pieno di lotta, pathos.Le grandi saranno un po’ meno grandi e le piccole un po’ meno piccole. Eppoi... buon veleno a tutti.

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STORIE

ZEMAN O NON ZEMAN

Inizia domani il campionato di serie A.

Con il «fair play» finanziario partono i campioni e tramonta l'era dei «grandi»

presidenti. Si torna al «classico» Roma-Juventus. E il Napoli sta a guardare

di ALBERTO PICCININI (Il Manifesto 24-08-2012)

«Questo è l' articolo che per solito si scrive su comando e che si sente immancabilmente votato a smentite sesquipedali». Lo scriveva Gianni Brera su Repubblica, presentando il campionato di serie A 1989-90. «Le squadre - rifletteva ancora l'anziano Vate, a un mese dalla chiusura del calcio mercato - vanno assumendo un loro profilo più o meno definito. Se lo ritieni labile ti sbagli; se lo ritieni perfetto, anche».

Si può sorridere nel proseguire la lettura dell'articolo (mai come di questi tempi il vintage calcistico è una delle poche cose che ti riconcilia con la spesso cupa contemporaneità del gioco), dove si sbertucciava con stile la campagna acquisti della Juventus («da centroclassifica»), e si davano favorite per lo scudetto le milanesi («Van Basten ha il faccione dell'ibrido-celta...»). Ci si ferma infine a rileggere una frase sparsa con la quale a metà pezzo Brera mette in guardia i dirigenti di Inter e Milan dalla «misteriosa entità degli scommettitori malandrini»: «Se esistono? In coscienza, non saprei dire: però il sospetto vige, e qui puntualmente ne dò conto».

Conto, non Conte. Antonio Conte. «Il discorso motivazionale altissimo» (parole sue e in terza persona calcistica), col quale l'allenatore della Juventus, ieri, ha cercato di smontare le accuse che lo condannano in appello a 10 mesi di squalifica per omessa denuncia di combine ai tempi in cui allenava il Siena, vale quel che vale un discorso motivazionale, appunto. Uno dei più celebri discorsi motivazionali di Nereo Rocco, durante la consegna della maglia a un suo terzino, suonava così: «Tuto quel che se movi su l'erba, daghe. Se xe la bala, pasiensa». È finito nei libri di storia, o quasi.

Della conferenza stampa di Conte parliamo più estesamente qui sotto. Chiaro che risentire in quel contesto una frase come «Non potevo non sapere, non ho capito che vuol dire», a vent'anni esatti da Tangentopoli e con la ferita ancora aperta di certi exploit del Berlusconi politico, consegni tutto al livello della parodia di second'ordine, che del piacere del vintage in fondo è il dovuto contrappasso, come la temibile ruota per il criceto. Detto questo, per il campionato che s'apre questo fine settimana la Juventus non è la squadra da battere: di più, parte largamente favorita. Decisamente è la squadra più antipatica. Detto ancora con le parole del suo allenatore: «Sono antipatico perché vinco? Non è un problema mio».

Ora, considerare il presidente bianconero Andrea Agnelli che denuncia la «caccia alle streghe» ai bianconeri come una parodia dell'Avvocato, è molto più che fargli un piacere. Ma l'apparizione dello spauracchio numero uno della Juventus, Batman Zdenek Zeman, in maglia giallorossa e nuovamente sul palcoscenico del massimo campionato, no che non è una parodia. È uno scherzo del tempo. Una grande trovata di sceneggiatura. Ai tempi in cui Conte e la quasi totalità degli allenatori di serie A (Allegri, Ciro Ferrara, Stroppa, Mazzarri, Montella) facevano i giocatori con alterne fortune, chi bravo chi meno, Zeman era già in panchina. Nel 1989 degli scommettitori malandrini evocati da Gianni Brera varava il «Foggia dei miracoli». Nel '94 consegnò Stroppa - oggi suo sostituto al Pescara - alla Nazionale di Sacchi. E così via.

Zeman è il sopravvissuto di una «teoria del calcio» sua e solo sua che ci riporta a un'epoca lontana, anni Ottanta, quando la zona era un'eretica utopia («tetro ginnasiarca», sempre nel giudizio di Brera), il nostro campionato il più bello del mondo, Berlusconi e Agnelli vincevano sempre ma i «poveri» (fossero Maradona, il Foggia, o la Roma di Falcao e il Verona di Bagnoli) si potevano togliere qualche soddisfazione. Almeno la soddisfazione di discutere di calcio. Oggi che ci è rimasto? I «discorsi motivazionali», certo. Abbiamo abbastanza orrore della psicologia aziendale per considerarli una cosa seria. Dunque ci resta solo Zeman, il 4-3-3 e i gradoni. Se non si è tifosi romanisti (o juventini) non si faticherà almeno a simpatizzare.

L'estate ci ha consegnato un termine nuovo, relativamente, nel nostro calcio: top player. Top indica il livello dello stipendio, più che altro, il resto - come si sa e per fortuna - lo decide il campo. La partenza di Ibrahimovic, Thiago Silva, Thiago Motta e Lavezzi in direzione Paris Saint Germain, fin qui una specie di caricatura di uno squadrone pagato dagli sceicchi e allenato da Ancelotti, hanno già ispirato agli osservatori malinconiche considerazioni sulla crisi economica, la doverosa sobrietà con la quale affrontarla, e le sorti ormai segnate dell'ex campionato più bello del mondo.

Partiti i top player, si è assistito persino a una minaccia di class action dei tifosi rossoneri (poi rientrata, ma quest'anno gli abbonamenti sono meno di 20 mila). In generale, il Milan con la partenza per raggiunti limiti d'età di Gattuso e Nesta, e lo scambio Cassano-Pazzini coi cugini interisti, è la squadra che soffre di più la situazione. Per ovvi motivi sembra appiattirsi sul tramonto infinito del suo Presidente, il quale mediterebbe ancora l'ultimo colpo di riportare in rossonero Kakà, uno che ai tempi gli portò tanta fortuna anche elettorale.

Certo, quest'anno anche la categoria famigeratissimi dei Presidenti sembra vivere la sua (momentanea) eclisse. Moratti, coi nerazzurri tornati tanti Paperino, s'è affidato a sorpresa al giovane allenatore Stramaccioni. Per il momento, poi si vedrà. Il presidente del Napoli De Laurentis è l'unico personaggio capace di eguagliare certi fasti del passato (a differenza di Lotito e Zamparini, ha una squadra capace di arrivare a vincere lo scudetto): se non stile Lauro, almeno stile Christian De Sica nei film di Natale, che gli è più familiare. Per dire: i giallorossi un presidente vero e proprio manco ce l'hanno (fondi investimenti americani, forzieri di banche italiane). Che modernità. Via i top player, messi da parte i Presidenti, largo ai giovani: Mattia Destro alla Roma, Insigne al Napoli, El Sharawy al Milan, ecc. Lo hanno detto già in tanti: sarà il loro campionato. Tutto sta a mettersi d'accordo se è soltanto una maniera di consolarsi e se lo spettacolo può sopravvivere senza star, oppure no. Per questo rivolgersi ancora a Zeman che del calcio «collettivista» è l'ultimo sopravvissuto autorizzato. Si segnala tra l'altro che a Pescara, Viterbo, Bari, Palermo i biglietti omaggio per i politici in tribuna Vip sono stati aboliti, o comunque ci stanno provando. E con questo anche la Casta è servita. Il Siena parte da -6, l'Atalanta da -2, Torino e Samp da -1, per i noti fatti. Si annuncia uno splendido campionato.

Modificato da Ghost Dog

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INTERVISTA

“L’arbitro sbaglierà ancora.

Ma basta con i tecnici rissosi”

Braschi, designatore di A, annuncia la nuova linea dura

E lancia la rivoluzione: “Saremo i primi con gli arbitri di porta”

ESEMPIO «Voglio ricordare Luis Enrique: ci ha dato una bella lezione di stile»

GOL DI MUNTARI «Lo scorso torneo, è stato per tutti pulito, regolare e corretto Vinto dalla più forte, la Juve»

di CRISTIANO PUCCETTI (LA STAMPA 25-08-2012)

Stefano Braschi, con quali auspici inizia la stagione?

«Lasciando perdere quello che è successo in Supercoppa, diciamo che ci prepariamo ad un campionato a suo modo storico, perché saranno introdotti gli arbitri addizionali e la serie A sarà il primo campionato europeo ad attuare questa novità».

Quali benefici potrà portare?

«Sono convinto che sarà un valore aggiunto, ridurrà ulteriormente la percentuale di errore. Che, vorrei premettere, non sparirà: l’infortunio dell’arbitro ci sarà sempre. Sarà necessario un periodo di rodaggio perché la collaborazione in campo si affini, ma anche a livello tecnologico siamo pronti. Tutti e sei le persone impegnate nella gestione della partita potranno comunicare tra loro con l’auricolare».

Qual è la direttiva principale che gli arbitri cercheranno di realizzare in questo campionato?

«Stiamo cercando, grazie all’aiuto di Pierluigi Collina, di allinearci alle normative della Uefa. Gli arbitri italiani dovranno dirigere in campionato con le stesse linee guida che si attuano in campo internazionale. Le squadre italiane ne trarranno un grande beneficio».

E’ cresciuto il dialogo tra calciatori e arbitri in campo?

«Possiamo molto migliorare. Ci stiamo lavorando, grazie anche alla sensibilità dell’Assocalciatori e di Tommasi. Possiamo ancora crescere».

E con gli allenatori?

«Estendiamo il discorso agli occupanti della panchina. L’area tecnica esiste e non è opzionale, va rispettata. Tutti devono imparare a comportarsi. Lo scorso anno siamo stati costretti a cacciare 28 allenatori e 31 componenti della panchina. Numeri che fanno rabbrividire. Quest’anno se necessario possiamo anche raddoppiare. Basta con le gazzarre a bordo campo, saremo inflessibili. E’ un modo anche per premiare chi invece si comporta bene».

Ad esempio?

«Ce ne sono di allenatori seri ed educati nel campionato italiano. Io voglio ricordare Luis Enrique: questo signore spagnolo ci ha dato una bella lezione di stile lo scorso anno. Si è comportato da persona corretta, ha fatto l’allenatore in campo e davanti ai microfoni ha parlato solo di calcio. Lo ricordiamo con grande affetto. Qualche suo collega, abituato a comportarsi male, dovrebbe imparare da lui. Evito di fare nomi tanto sono sotto gli occhi di tutti».

Qual è il bilancio del suo mandato?

«Veniamo da due buone stagioni. Abbiamo demolito il concetto di sudditanza psicologica, non ne parla più nessuno. Dobbiamo continuare su questa strada dando alla gente un segnale molto chiaro: che non siamo né sudditi, né condizionati da nessuno, che arbitriamo bene, che siamo delle persone integerrime, molto serie che ci mettiamo passione, cuore e coraggio».

Dopo Calciopoli come è stata ricostruita l’immagine degli arbitri?

«Negli ultimi anni siamo molto più apprezzati, perché alla fine la gente vede tutto, legge, ascolta, ma poi comprende. Chi agita il fantasma di complotti viene sempre più emarginato. In campo stiamo trasmettendo un concetto inequivocabile: grandi e piccole squadre, calciatori più o meno famosi, tutti hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri. E’ questa l’essenza dell’arbitraggio».

Qual è la sua opinione sul processo calcioscommesse?

«Non è un problema che ci ha riguardato e siamo orgogliosi di questo. La giustizia sportiva ha fatto il suo lavoro e noi lo rispettiamo. Niente da dire».

Ma un arbitro può accorgersi di una combine tra calciatori?

«No, noi stiamo proprio fuori da queste logiche».

E’ stata dismessa per questioni anagrafiche Daniela Cini, la prima assistente donna. Avremo mai una signora a dirigere una partita?

«Daniela Cini è stata dieci anni tra A e B, a suo modo ha fatto la storia. Oggi abbiamo la Santuari, un’altra assistente. Per ora arbitri donna non ce ne sono, spero che possano affacciarsi in futuro».

Sarà mai possibile intervistare un arbitro a fine partita?

«Non credo possa servire molto, comunque al momento non ci sono le condizioni».

Perché?

«Noi non abbiamo problemi di trasparenza, siamo pronti ad assumerci le nostre responsabilità e a confrontarci. Bisogna però che anche la stampa e l’opinione pubblica abbia voglia di farlo».

E’ lontano il ricordo del gol fantasma di Muntari?

«Vede, in 380 partite ci potrà essere un infortunio dell’arbitro? Il campionato dell’anno scorso, come quello che inizia oggi, è stato ritenuto da tutti pulito, regolare e corretto. Vinto meritatamente dalla squadra più forte, la Juventus».

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I FISCHIETTI POLEMICHE E NOVITÀ

«Ci attaccate? Noi non siamo ciechi o sordi»

Il presidente dell’Aia Nicchi difende gli arbitri: «Reagiamo alle accuse

ingiuste. La A è il primo torneo a mettersi in regola con i giudici di porta»

di LUCA CALAMAI (GaSport 25-08-2012)

«Non siamo né ciechi, né storpi, né sordi. Quando ci attaccano ingiustamente reagiamo». Marcello Nicchi va giù duro per proteggere la sua «squadra». «Non abbiamo bisogno—riprende il presidente dell’Aia — di storie tipo la rissa di Udine, le maglie abbandonate sul campo di Marassi, la mancata presenza di una squadra alla premiazione nella Supercoppa. Cosa c’entriamonoi se un professionista rovina la partita mandando a quel paese un arbitro. Chi insulta va fuori. Questo è il regolamento. Se poi l’arbitro si è inventato tutto mi portino le prove e noi lo puniremo severamente.Main caso contrario...». Il caso Pandev-Napoli brucia sulla pelle di Nicchi. «Opinionisti illustri hanno spiegato che l’arbitro di Pechino doveva non vedere o non sentire. Cari signori, noi sentiremo sempre». L’Aia sta lavorando per migliorare il rapporto con i giocatori. «Stiamo pensando a un incontro pre-partita. Arbitri e calciatori a bere un caffè insieme per creare un clima positivo. Continueremo anche a partecipare agli incontri con allenatori e capitani a patto che si presentino i "titolari" e non l’allenatore in "quinta" e il capitano in "sesta"».

Novità Da domani la serie A presenterà i giudici di porta. «Siamo il primo campionato a mettersi in regola» osserva orgoglioso Nicchi. Che poi, passa la palla a Pierluigi Collina, l’uomo che ha sviluppato e realizzato questo progetto. «Gli arbitri di porta—spiega—non hanno come obiettivo primario quello di controllare se è gol o non gol. Queste nuove figure dovranno aiutare i direttori di gara a prendere le decisioni giuste valutando da un’altra ottica i contatti che si verificano dentro l’area di rigore. In una partita ci sono più di dieci calci d’angolo di media e più di dieci punizioni con palloni scodellati in area. Agli Europei grazie agli arbitri di porta sono sparite le famose "tonnare" dove tutti tenevano tutti. Non dobbiamo avere paura delle novità». Gli arbitri di porta piacciono anche al designatore Braschi: «Quando avremo oliato imeccanismi il numero dei nostri errori calerà sensibilmente». L’allenatore della squadra in nero ha poi dichiarato: «Saremo intransigenti con chi protesta in maniera sguaiata. Così come scatterà il cartellino giallo nei confronti di chi andrà a invocare l’ammonizione per un avversario». Anche gli allenatori dovranno muoversi con educazione all’interno della loro area tecnica. «Nella passata stagione siamo stati costretti ad allontanare 31 allenatori. Un numero che fa rabbrividire. Ma le regole vanno rispettate ». Braschi è deciso anche a cancellare vecchie tensioni del passato. Basta con i veti posti da qualche club. Scommettete che presto Rocchi tornerà a dirigere l’Inter?

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Il commento

L'arbitro non è più centrale

di PAOLO CASARIN (CorSera 25-08-2012)

Gli Europei di Polonia e Ucraina hanno scandito la fine dell'arbitro padrone del campo: certe giacchette nere del passato diventate popolari anche grazie a un potere esagerato che, soprattutto a quei tempi, finiva per piacere, non avranno più successori. L'adozione dei due nuovi arbitri, controllori delle aree di rigore ed eventualmente scopritori dei gol fantasma, rivoluzionerà l'assetto complessivo dell'arbitraggio della serie A. Si smorzerà gradualmente il classico dominio dell'arbitro centrale, che di tutto era responsabile, e crescerà invece il peso tecnico e l'autorità degli specialisti delle aree, che dovranno decidere sui falli da rigore, sulle simulazioni e sulle trattenute sotto porta. All'arbitro centrale arriveranno comunicazioni via radio pressoché definitive e pertanto a lui non resterà che fischiare, puntare il dito sul dischetto e aggiungere, semmai, qualche cartellino. Espropriato dai sedici metri e di conseguenza, amministratore del solo centrocampo, con i falli tattici come unica esclusiva. Un arbitro più che dimezzato dunque, se si considera che da tempo il fuorigioco, altra regola decisiva, è affidato a due specialisti con la bandierina. Il primo esperimento italiano con questo assetto, la finale di Supercoppa Juventus-Napoli a Pechino, ha messo in evidenza anche i differenti pesi degli arbitri operanti sul terreno di gioco e attorno al campo: dietro la porta i super esperti Rizzoli e Tagliavento, ai lati Stefani e Faverani, da tempo i migliori nella valutazione del fuorigioco, al centro Mazzoleni, un arbitro internazionale alle prime armi. Una designazione che ha visto i più titolati fuori dal perimetro del terreno di gioco e, in particolare, dietro la porta. Ed è proprio dal perimetro che sono giunte le grandi decisioni con relative raccomandazioni: espulsioni di Pandev e rigore per fallo su Vucinic. Chissà cosa avrà pensato Mazzoleni in cuor suo all'arrivo dei messaggi via radio. La direzione di quella gara doveva risultare perfetta, visti i tanti assistenti, e invece non è stato così, proprio perché gli arbitri con le loro personali interpretazioni non sono stati resi uniformi ai pensieri tecnici di Mazzoleni che, in quanto inesperto, non è riuscito a questo scopo. Quando Platini, qualche anno fa, sposò questa innovazione, pensava di mettere dietro le porte degli arbitri in pensione, supponendo che quella posizione potesse evitare i gol fantasma. L'invasione tecnica delle aree di rigore è maturata dopo per la frequenza degli errori nei sedici metri dell'arbitro centrale. Un aiuto all'arbitro diventato oggi debordante e incontrollabile. Paradossalmente, è scomparso l'arbitro padrone del campo e può emergere una coppia di padroni delle due aree decisive.

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L’INTERVISTA

«Perché Conte vincerà al Tnas»

Il giudice Calabrò: «La sentenza d’appello poggia su fatti senza riscontri nella realtà»

«Siamo sicuri che sia il codice sportivo da riformare e non le persone che lo applicano senza conoscere realmente la materia?»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 25-08-2012)

Giudice Calabrò, ha letto le motivazioni dell’appello che ha ricondannato Conte a dieci mesi di squalifica?

«Sì, con grande attenzione. Approfittando anche della velocità inusitata con la quale sono state scritte e depositate, forse anche per tappare la falla aperta dalle dichiarazioni rilasciate da Sandulli, violando la deontolgia e dimostrando forse anche poca serenità di giudizio. E pensare che la stessa corte non ha ancora depositato motivazioni di procedimenti svolti ai primi di luglio. Comunque, tornando alle motivazioni le ho trovate molto promettenti per Conte».

In che senso?

«Al contrario di quanto pensa di aver scritto la Corte, io credo che la sentenza sia tutt’altro che blindata, ma che anzi contenga più di un grimaldello per essere scardinata in sede di Tnas. Conte si presenta con armi eccezionali al terzo grado di giudizio».

Ce le spieghi.

«Innanzitutto i giudici ci tengono a specificare che non hanno condannato Conte per AlbinoLeffe-Siena (l’unica partita contestata a Conte, visto il proscioglimento su Novara-Siena, ndr ) solo sulla base del “non poteva non sapere”, ma dicono di aver riscontri oggettivi. Quali sono? Il primo è che Conte è un accentratore e quindi non poteva sfuggirgli il comportamento scorretto di Stellini. Ma come accentratore? Cosa significa? Anche io sono un accentratore sul lavoro perché mi piace controllarne ogni aspetto, ma questo non vuol dire che io debba o possa sapere se un cancelliere commette un qualche reato. E poi c’è la questione Mastronunzio (che trattiamo ampiamente a lato, ndr ) che è clamorosa. I giudici scrivono che Conte l’avrebbe escluso, lui che era un titolare fisso, perché non era d’accordo a combinare la gara con l’AlbinoLeffe, in quanto avrebbe voluto “regalare” i punti anche all’Ascoli, squadra a cui era legato. E qui è tutto sbagliato: Mastronunzio non era titolare, era infortunato ed è stato un simbolo dell’Ancona, in rapporti tutt’altro che amichevoli con l’Ascoli! Siamo all’inversione della realtà».

Siamo alla teorie delle “ammonizioni preventive” di Calciopoli: un fatto chiaramente falso certificato come vero durante il processo...

«Effettivamente ci sono delle analogie con il 2006, ma questo perché i giudici che sono chiamati a decidere non hanno conoscenza tecnica della materia, un’aberrazione per quanto mi riguarda».

D’altra parte il coro è ormai unanime: la giustizia sportiva va riformata.

«Sì, ma io vorrei riflettere: siamo sicuri che sono le regole e le procedure ad essere sbagliate o chi le applica frettolosamente e senza conoscere la materia? Il caso Mastronunzio è clamoroso. Perché nessuno in Procura si è preso la briga di chiamarlo e chiedergli qualcosa a proposito di Conte? Perché nessuno si è preso la briga di prendere un almanacco e scoprire che lui era un mito dell’Ancona e non dell’Ascoli? Perché nessuno ha controllato che l’esclusione era dovuta a un’infortunio che lo ha tenuto fuori per qualche domenica? E’ folle tutto ciò. Hanno fretta e non sanno di cosa si parla. Se domani qualcuno gli va a dire: “Ho la prova che Maradona truccò una partita perché tirò un rigore di sinistro invece che di destro”, sono capaci di credergli. Perché magari non sanno che Maradona era mancino».

Conte, quindi, può sperare?

«Io penso di sì. L’ho spiegato anche a lui l’altro giorno. Ci siamo parlati e lui mi ha detto: al Tnas non voglio trattare, non mi interessano gli sconti, perché sono innocente: o mi assolvono o oppure mi diano anche un secolo di squalifica, basta che poi mi spieghino perché. Credo che sia l’atteggiamento giusto e, al Tnas, Conte non troverà più Palazzi: sarà lui e la Figc con tre arbitri che si suppone possano essere più liberi e imparziali nel giudicare il caso».

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I BUCHI DELL’APPELLO

La verità di Mastronunzio

«Ascoli? Io tifo Ancona»

Il giocatore smonta un cardine della sentenza

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 25-08-2012)

TORINO. Nelle motivazioni della sentenza d’appello che ha confermato i dieci mesi di squalifica ad Antonio Conte, pur depennando uno dei capi d’accusa (Novara-Siena), si legge: «Prima della gara Ascoli-Siena del 14 maggio 2011, in occasione di una riunione nello spogliatoio l’allenatore affrontò l’argomento relativo ad Albinoleffe-Siena … a quel punto Conte invitò la squadra a confermare l’adesione o a chiamarsi fuori dall’accordo. In quella circostanza l’unico che volle dissociarsi fu Mastronunzio, il quale, peraltro, in qualità di ex dell’Ascoli, disse che sarebbe stato disposto a concedere la vittoria all’Albinoleffe solo qualora si fosse garantito analogo trattamento anche al’Ascoli. L’allenatore, prendendo atto della formale dissociazione di Mastronunzio, gli concesse di non partecipare né alle gare, né ai ritiri, limitando il suo impiego ai soli allenamenti».

LE FONDAMENTA Insomma oltre alla teoria del “non poteva non sapere” (che il suo collaboratore Stellini stesse prendendo accordi per aggiustare la gara con l’Albinoleffe), l’altro caposaldo della sentenza è il “caso Mastronunzio”, prova concreta che Conte sapeva e, anzi, in qualche modo aveva contribuito alla combine (tant’è che Sandulli ha esplicitamente detto che a Conte «è andata bene», riferendosi alla possibilità di condanna per illecito).

ESCLUSO? Peccato che in quelle righe di motivazioni ci siano delle clamorose inesattezze ed è stato lo stesso Mastronunzio a evidenziarle in un suo intervento a Sportitalia giovedì notte: «Io sono stato escluso nell’ultima parte della stagione perché mi sono infortunato a tre giornate dalla fine, quindi dopo la vittoria del campionato contro il Torino; la settimana successiva, il venerdì mi pare, mi sono infortunato. Quindi non è che sono stato messo da parte volontariamente o fuori rosa da qualcuno. Io mi sono semplicemente infortunato». La quale cosa trova riscontro anche nel sito del Siena che, nel giorno dell’infortunio di Mastronunzio ne dava regolarmente notizia.

ASCOLANO? Secondo: la sua presunta dissociazione dalla combine. I giudici sostengono che Mastronunzio avrebbe voluto regalare punti anche all’Ascoli, a cui era legato, al “no” di Conte si sarebbe ribellato a truccare la gara con l’Albinoleffe: «Assolutamente no. Io da ex giocatore dell’Ancona, dove ho fatto tre anni stupendi, dove ero un idolo, avrei chiesto di dare la partita all’Ascoli. Mi sembrano tutte delle cose fuori luogo. Qui tutti possono dire tutto e tu puoi solo incassare e cercare di difenderti con gli avvocati. Non so come possa essere uscita una cosa del genere. Mi scappa anche da ridere in questo momento. Dopo tre anni passati ad Ancona, dove ero un idolo, cioè...veramente...non posso pensare ad una cosa del genere. Io non ho mai fatto una cosa del genere, figuriamoci se potevo farlo all’Ascoli. Una cosa allucinante. Tra l’altro, l’anno prima, io ci ho giocato contro ad Ascoli, dove ho fatto due gol. Quindi puoi immaginare quante me ne hanno dette i tifosi dell’Ascoli. Io ho fatto due gol, noi abbiamo vinto 3-1, quindi io un rapporto con loro non ce l’avevo».

TITOLARE? Mastronunzio, poi smonta, anche un passaggio della sentenza in cui si sostiene che lui fosse titolare del Siena (sottolineato per aumentare il significato dell’esclusione). «Nel girone d’andata ho giocato, nel girone di ritorno ho fatto più panchina. Sì, in quel periodo stavo giocando poco e poi mi sono anche infortunato...». Terranno conto di tutto ciò gli arbitri del Tnas?

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CALCIOSCOMMESSE

Conte-Tnas tutto sulla sospensiva

La richiesta annunciata sarà inoltrata lunedì

Difficile che il tecnico torni subito in panchina

Un’impresa smontare Stellini in terzo grado

di ALBERTO ABBATE (CorSport 25-08-2012)

ROMA - Congelare il destino di Conte, ibernare 10 mesi di stop. Mica facile. Punta a questo il pool di legali del tecnico bianconero. Ieri non c’era ancora traccia della sospensiva (neppure del Lecce), solo dopodomani la richiesta arriverà al Tnas. Sperando che entro fine settimana l’organo del Coni possa pronunciarsi. E’ una strategia: se accettata, si aprirebbe una parentesi (anche mediatica) che qualsiasi giudice farebbe fatica a chiudere. Non è mai stata ammessa per i tesserati, sarebbe una decisione clamorosa pro Conte. Un “pericoloso” precedente.

Dopo aver letto le motivazioni della Corte di giustizia federale, i legali di Conte hanno annunciato l'istanza per bloccare l'esecuzione della sentenza sia del tecnico sia del vice Alessio. La condizione grave sarebbe un teorico rischio rescissione (per giusta causa) del contratto tra Conte e la Juve. Stasera comunque Carrera siederà in panchina all’esordio col Parma, complicato un ritorno di Conte già domenica a Udine. Il «periculum in mora» vale per tutti.

È difficile che il presidente del Tnas, Alberto De Roberto, possa concedere la sospensiva. Non solo perché aprirebbe la strada agli altri tesserati, ma anche perché la discussione nel merito potrebbe avvenire in tempi brevi (persino 15 giorni), se le parti (Conte e la Figc) fornissero i loro arbitri. Che poi dovranno pescare il presidente del collegio arbitrale da un elenco di 50 esperti.

La decisione di sospensione verrà presa direttamente dal presidente del Tnas su richiesta di una delle parti e senza sentire l’altra (inaudita altera parte): rinviata ieri quella della Nocerina, inoltrata contro il Grosseto. In caso di procedura d’urgenza potrà però essere delegata al collegio. E’ un provvedimento preliminare al terzo grado di giudizio, dove si discuterà nel merito la sentenza. L’ultimo verdetto potrebbe arrivare a fine settembre: gli avvocati De Rensis, Bongiorno e Chiappero puntano all’assoluzione di Conte - esulterebbero in realtà sui tre mesi patteggiati e rigettati - magari senza l’intransingenza della controparte (Figc) davanti al Tnas. Elementi bianconeri saranno i certificati medici di Mastronunzio, arduo smontare invece la Disciplinare e la Corte sull’ammissione di responsabilità di Stellini (che insieme a Lanzafame, Kutuzov e altri ha “cantato” tanto a Bari) su Albinoleffe-Siena. Un autogol, che oggi mette Conte in rete.

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IL CASO

Drascek e Vitiello urlano

«Condannati solo per la

nostra vera amicizia»

di ALBERTO ABBATE (CorSport 25-08-2012)

ROMA - L’ultima scoria di Novara-Siena. E’ crollata la riunione tecnica di Conte, rimane saldo quel “maledetto” incontro prima della sfida del Piola: «Nella hall di un albergo, davanti a centinaia di persone, che vedevano e sentivano. Alla luce del sole», urla Roberto Vitiello. Neppure in secondo grado sono cadute le accuse nei confronti suoi e dell’amico Drascek. Davide è disperato: «E’ assurdo. Prima Palazzi ci deferisce assicurando che non potevamo essere amici dopo sole due stagioni passate insieme a Vicenza. Quindi, nelle motivazioni della Disciplinare - e forse della Corte di giustizia - la nostra amicizia diventa la prova della nostra colpevolezza».

Ormai la sognano la notte quella rimpatriata, il principio dell’incubo: «A inizio settimana Roberto mi aveva chiamato per dirmi che veniva 2 giorni prima a Novara per testare col Siena il sintetico. Abbiamo quindi approfittato dell’occasione per vederci», racconta Drascek. Prosegue Vitiello: «Davide non era in ritiro. Ci siamo visti e parlato per un’ora del suo matrimonio. Mi confidò che si voleva sposare con una ragazza, che io conoscevo dai tempi del Vicenza, perché faceva parte della nostra comitiva. Non c’era nulla di losco, né c’è una norma che vieti a due vecchi amici - da quando avevamo vent’anni - di vedersi. In campo siamo professionisti, ma per me l’amicizia vera va oltre il lavoro. E’ uno dei valori della mia vita». E’ diventata un macigno sulle loro carriere. Tre anni e sei mesi ciascuno (Vitiello ne ha altri 6 per omessa denuncia in Albinoleffe-Siena) per illecito: «Io non riesco più a darmi pace, mi sembra tutto un paradosso», assicura Drascek.

Non s’arrende, Vitiello: «Io confido ancora nella giustizia, la verità verrà a galla. Il problema però nel processo sportivo è che non ti puoi difendere. Ha trionfato soltanto chi ha potuto puntare sulle contraddizioni dei pentiti. Ma, a me e Davide, nessuno ci accusa. E non vengono accolte le nostre prove o documenti». I segni del cuore.

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SW SPORTWEEK 25-08-2012

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Nella vicenda Scommessopoli hanno sbagliato tutti

di GIANCARLO PADOVAN dal blog prima che siaPubblico 25-08-2012

Nella vicenda Conte si può dire, senza passare per ignavi, che hanno sbagliato tutti? E tutti in maniera diversa, ma comunque rilevante? Io credo di sì e proverò a spiegarne i motivi. Il peccato originale è stato della Juventus. Nella faccenda di Scommessopoli non c’entrava per niente ed invece ha voluto saldare questa situazione – idealmente ma anche strumentalmente – a Calciopoli, istigando la propria tifoseria alla mobilitazione perpetua contro l’(in)giustizia sportiva e difendendo i tesserati bianconeri con una determinazione assai prossima all’aggressione e alla protervia.

Eppure, Pepe, Bonucci e Conte, all’epoca dei fatti contestati, appartenevano ad altre società (rispettivamente Udinese, Bari e Siena), alcuni addirittura ad un’altra categoria. Con la Juve non c’era relazione, ci fu solo successivamente. L’esasperazione del conflitto tra la società e la Federcalcio è dunque più politica che tecnica. Conte, Pepe e Bonucci hanno rappresentato uno strumento utile per non dire indispensabile. Usciti di scena, con una doppia assoluzione, i due calciatori, non restava che l’allenatore.

Quando Conte si lamenta di essere diventato “lo spot dello scandalo” dice il vero. Ma a costruire questa immagine hanno contribuito non solo Palazzi, la Disciplinare, gli avvocati o i giornali. C’è stata anche la Juve. Un’altra serie di errori li ha commessi Stefano Palazzi. Prima incoraggiando le confessioni dei pentiti in cambio di sostanziosi sconti di pena, poi costruendo su quelle fondamenta il proprio castello accusatorio.

Ha resistito, in parte, solo con Conte. E’ franato su Bari-Bologna 0-4 e su Udinese-Bari 3-3, portando al proscioglimento di quasi tutti gli accusati e alla squalifica, molto ridimensionata, di Portanova (sei mesi). Della friabilità dell’impianto Palazzi si era accorto già in fase dibattimentale di fronte alla Disciplinare, tanto da tentare patteggiamenti volanti che fecero infuriare la Corte e gli avvocati difensori.

Tuttavia la credibilità di un procuratore generale non si misura dal numero e dalla congruità delle condanne. Perciò averne chiesto o sollecitato le dimissioni è da incompetenti. Strategicamente, poi, la richiesta altro non ha fatto che rafforzarne la posizione. Il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, non poteva che confermarlo.

La Commissione Disciplinare ha clamorosamente sbagliato nel ritenere credibile (e non contraddittoria) la versione di Carobbio a proposito di Novara-Siena trascurando, invece, le osservazioni della difesa. Come poteva essere veritiera una ricostruzione che confliggeva con la testimonianza giurata di venticinque tra giocatori e dirigenti del Siena? E, ove mai si fosse voluto sostenere l’ipotesi di Carobbio, perché non chiedersi la ragione del mancato deferimento per omessa denuncia del resto della squadra?

Infatti la Corte di Giustizia Federale – il secondo grado di giudizio sportivo – ha prosciolto Conte per Novara-Siena, ma ha ritenuto di applicare un’aggravante (ipotesi di illecito) per l’allenatore della Juve a proposito di Albinoleffe-Siena. Tralascio l’incauta uscita di uno dei componenti, Pietro Sandulli, che ha anticipato le motivazioni ad una radio (un comportamento da sanzionare, non solo da censurare), ma la lettura delle carte ha confermato un errore capitale dei giudici.

Secondo loro Mastronunzio fu messo fuori squadra perché non voleva partecipare alla combine. Il giocatore, invece, ha confermato pubblicamente la versione di Conte: “Sono stato infortunato per tre giornate alla fine di quella stagione. Mi sono fatto male alla vigilia della partita con l’Ascoli e poi non sono più sceso in campo”.

Naturalmente anche Conte ha colpe evidenti. A prescindere da quella per cui è stato condannato (dieci mesi per omessa denuncia), il tecnico è stato approssimativo nella preparazione della sua difesa. Ha accettato il patteggiamento a tre mesi e poi vi ha rinunciato, ha dannosamente aggiunto la Bongiorno al suo collegio di difesa (e l’avvocato si è preoccupata di processare la giustizia sportiva), ha gridato all’attacco personale in maniera plateale e scomposta.

Purtroppo Stellini, che ha patteggiato per un illecito (Albinoleffe-Siena), era un suo fidato collaboratore. Il fatto che sia coinvolto anche nell’inchiesta di Bari nella stagione di Conte allenatore rappresenta qualcosa di più di un dettaglio. La verità processuale dice che non poteva non sapere.

La mia previsione è che, di fronte al Tnas (Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport), a Conte sarà diminuita la pena (da dieci a sette mesi). Tuttavia se le regole esistono e hanno ancora un senso non sarà possibile né per l’allenatore, né per il presidente Andrea Agnelli scampare il deferimento per le accuse ai giudici e alle istituzioni sportive. Ma qui si entra nei meandri del Palazzo. Luogo carico di seduzioni e misteri. Lo dico per averlo frequentato dal di dentro: per dire sì bisogna dire no, per dire no è fondamentale dire sì.

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Bentornato campionato

di BERTOLOTTI & DE PIRRO dal blog prima che siaPubblico 25-08-2012

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Modificato da Ghost Dog

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REPRISE DU CHAMPIONNAT D'ITALIE

JUVENTUS LA BELLE ANTIPATHIQUE

OUBLIÉS, PROFIL BAS ET INCERTITUDES. Le champion d'Italie est redevenu

cette Vieille Dame toute-puissante que l'on craint et que l'on jalouse.

ROBERTO NOTARIANNI (france FOOTBALL | VENDREDI 24 AOÛT 2012)

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Giusto per non alimentare la polemica e rasserenare gli animi, molto responsabilmente:

Mazzarri non chiude le polemiche

"A Carrera risponderà Frustalupi"

NAPOLI, 25 agosto 2012

Il tecnico del Napoli replica al sostituto di Conte: "Parla ancora da ex giocatore". Sul debutto col Palermo: "Gioca Insigne, mi sembra forte anche dentro. Le insidie del debutto sono tante, dovremo stare molto attenti"

Walter Mazzarri sfiora l'argomento mercato alla vigilia dell'esordio di Palermo perchè è già carico in vista dell'esordio in campionato: “El Kaddouri? E' un ragazzo giovane, un talento che viene a completare la rosa. Sono curioso di vedere dal vivo le sue qualità e spero di aiutarlo a crescere ed a migliorare come è riuscito a fare Hamsik, che ha caratteristiche simili. Per il gioco delle coppie credo che Bigon ed il presidente porteranno qui un esterno che numericamente è l'unico giocatore che ancora manca”.

Spazio, dunque, alle insidie che attendono domani gli azzurri: “Avrei preferito che avessero tolto le squalifiche ai giocatori e non a me, però non voglio commentare le sentenze siano esse favorevoli o meno. Di sicuro, in campo i giocatori sono più importanti dell'allenatore. Le insidie di Palermo sono tante. Sannino ha una buona squadra ed è un ottimo allenatore che con il Siena ci ha creato tantissimi problemi. Quindi, dovremo stare molto attenti. Giocherà Insigne, mi sembra un ragazzo forte anche dentro. Gestisce bene le tensioni e spero continui a far vedere le qualità che ha espresso in amichevole anche nelle partite che contano”.

fiducia — Gli altri nuovi arrivi dovranno ovviare alle partenze di Lavezzi e Gargano: “Io ho fiducia nella mia squadra, in Pandev ed in Behrami che numericamente sostituiscono quelli che sono andati via. Gamberini, inoltre, ci dà stazza fisica e lo stesso vale per Britos che considero un nuovo acquisto. Inoltre, abbiamo quattro mediani per due ruoli mentre lo scorso anno ne avevamo solo tre perchè Donadel è rimasto fermo per tutta la stagione. Il suo è un recupero importante perchè quando sarà al top potrà fare il vice Inler”. Palermo ormai è alle porte, ma Pechino non ancora alle spalle: “Si vede che Carrera parla ancora da ex giocatore, ma voglio chiudere questa polemica. Se vorrà farlo, un giorno gli risponderà Frustalupi”.Gianluca Monti©

Modificato da totojuve

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Juve come prima più di prima Non perdona, ma gli arbitri...

Riccardo Signori- Dom, 26/08/2012 - 07:27

La Juve ricomincia da dove ci aveva lasciati: squadra che non perdona, ma pronta a infilarsi nei tormentoni del calcio al veleno.

Stavolta non per colpa sua, semmai hanno sbagliato gli arbitri (un rigore fasullo e un gol dubbio che però la tv accredita). Come si dice? Fa parte del gioco. Vedrete che Conte, almeno stavolta, farà silenzio e non per obblighi di squalifica. Ecco, se invece andiamo al gioco meglio ripassare. Squadra con qualche assente e in rodaggio. Come il Parma del resto. Squadra che ha saputo ritrovarsi correndo, correndo, sfruttando la sua forza fisica e l'asse Vidal-Asamoah. Juve bagnata e chissà mai il resto. Juve un po' ingolfata, questo sì. L'alluvione che, prima della partita, ha inzuppato gli spettatori, ha bagnato micce e idee per almeno mezz'ora. Lo Juventus Stadium si era preparato forse a ben altra cornice. Ma qui c'era Conte nascosto in tribuna per i noti motivi. Buffon mischiato al pubblico a causa del suo ko muscolare. Del Piero chissà dove a guardare la televisione. Immaginate se si fosse presentato in tribuna: colpo di teatro spettacolare. Ma questo calcio non sa pensare altro che ai tormenti. Sei arbitri a dirigere e la prima decisione importante subito da quattro in pagella, la seconda da incertezza totale (gol-non gol di Pirlo per il 2-0: il portiere copre la palla). La prima che poi ha determinato la faccia del match: rigore per la Juve che lo era nella forma, non nella sostanza. Ovvero: Mirante in uscita ha agganciato il piede di Lichsteiner: dunque rigore. Ma il terzino juventino era in fuorigioco: dunque non rigore.L'arbitro ha visto poco. L'arbitro di linea ha visto e deciso, sbagliando. Poi ha pensato il portiere a risolvere tutto e sminare la brutta figura: tiro di Vidal, parata del portierino scuola Juve. Con bel retroscena: in settimana aveva studiato i tiri di tre rigoristi tra cui Vidal e deciso, insieme con il suo allenatore dei portieri, di tuffarsi dalla parte contraria alla quale calcia, di solito, il cileno. E ci ha preso. Anche se il rigore sarebbe stato da ripetere, per l'anticipo dei movimenti di Mirante.Eppure non tutti mali vengono per nuocere, perché da quel momento la Juve ha cambiato passo. Altra faccia, altra partita. Parma più sbarazzino, mezzora per metter un po' di isterismo alla difesa bianconera. Pochi brividi ma dai soliti speedy gonzalez: da una parte Biabiany che fugge come un topino che non si vuol far prendere. Dall'altra Pabon, Asprillino nuova formula made in Parma, colombiano pure lui, e come l'altro con il morbido correre e toccare di palla: infila gli spazi larghi della difesa juventina. Poi più niente o quasi. Parma sempre più compresso, difesa in affanno e per la Juve è stato il tempo dell'attesa: un po' di errori conclusivi di Vucinic e di Vidal, un gran rombare sulla sinistra da parte di Asamoah che a Torino, sponda granata, non aveva neppure giocato un secondo e qui, invece, ha ingranato marce alte finchè non ha servito a Lichtsteiner l'assist per il gol che ricalca quello dello scorso anno: palla di Pirlo in mezzo e taglio vincente del terzino. Stavolta è cambiato solo l'uomo assist. Poi è stato un gioco da ragazzi per una squadra che non ha dimenticato lo spartito. Stavolta c'era in campo Giovinco al posto di Matri ma, francamente, così non serve. Ha cercato di fare, o strafare, eppoi tutto diventava acquetta. Interessante l'esperimento di Marrone alla Mascherano. Bonucci si è fatto subito riconoscere servendo a Pabon la prima palla pericolosa... per la Juve. Ma nel finale ha rimediato, evitando un gol di Valdez. Juve in attesa di Pirlo, ieri aveva giri bassi e barba folta. Nemmeno volesse attingere all'idea del pensatore eccellente. Storari e Mirante sono stati guastafeste per Biabiany e Vucinic. Il Parma anche stavolta, come l'anno scorso, ha fatto lo sparring partner, però regalando più solide sensazioni. Donadoni ha messo al silenzio Carrera che esagerava con i lamenti, ricordandogli che sono capaci tutti di chiagnere e f***e. E forse non era il caso. Ieri sera più che mai.

Quanta malignità c'è nell'articolo di questo Signori, non trovate?

E' scritto non tanto per la cronaca della partita quanto per i sospetti che vuole lanciare.

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Milan, Roma, Juventus, Real Madrid: ha vinto tutto Ha lasciato la nazionale inglese per fare il commissario tecnico della Russia. In questa intervista esclusiva a Repubblicail mister di ferro parla di nuove sfide, solitudine, cocci da incollare e del campionato che inizia E di un Paese, il nostro, ormai "troppo egoista"

Fabio Capello

“La mia campagna di Russia”

Povera Italia, provincia del calcio

L´addio all´Inghilterra, la sfida di Mosca, il declino del calcio italiano

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 26-08-2012)

«Mi ricordavo l´odore dell´Est, non saprei bene definirlo ma c´era. Lo sto inseguendo da qualche giorno, però non lo trovo più». Fabio Capello, il nuovo allenatore della nazionale russa di calcio, è un uomo curioso. Quando arriva in una città che non conosce, o che vuole recuperare nella memoria, non è lo stadio il primo posto che cerca. Gli piacciono i musei, le stazioni e i mercati. Gli piace annusare. «L´odore dell´Est era una specie di mescolanza, qualcosa tra la verdura cotta e la polvere. Ero stato a Mosca nel ´75, cioè mille anni fa. Quella volta, l´odore dell´Est erano soprattutto gli scappamenti delle automobili, ricordo che dalle marmitte usciva un fumo densissimo, da ciminiera. Magari l´odore dell´Est è qualcosa che mi riporta all´infanzia, io sono friulano e l´Est lo conosco». Si è friulani per sempre, come per sempre si è calabresi o piemontesi, però il disegno delle geografie è tutto scompaginato. Forse si chiama modernità. «Ho cominciato a girare il mondo da ragazzino, l´ho proprio visto cambiare. Quando sento dire globalizzazione, penso anche alla fine di certi odori, di certe particolari sensazioni che erano legate a quel preciso luogo e a nessun altro». Ne ha cercati tanti di odori nuovi, Fabio Capello, nella sua storia di calciatore e allenatore. A decine. L´atlante non è fermo a nessuna pagina, il vento lo sfoglia senza tregua. Anche la scelta di guidare la Russia a sessantasei anni, dopo essere stato il manager della nazionale inglese (che è come dire insegnare il calcio a quelli che l´hanno inventato ai tempi dei palloni con i lacci, e se ne sentono ancora gli unici depositari e custodi), è a suo modo una carta geografica. «Il paese è immenso, sterminato. La prima cosa che devo fare è conoscere, guardare le partite e i giocatori, non si smette mai».

Dalla finestra del suo albergo a Mosca, soluzione temporanea, si vedono palazzi e viali infiniti, nulla però che possa identificare Mosca come luogo particolare. Un segmento di mondo, una porzione di futuro replicato e replicabile ovunque.

Tuttavia, è nella sfumatura delle differenze che va cercato il senso di una scelta, e quella di Capello è complessa: essere il padrone di un sistema sportivo (questo è da sempre il suo approccio, non si cambia a quasi settant´anni) ormai tra i più potenti del pianeta, con i denari degli oligarchi, dei gasdotti e la forza organizzativa di un antico colosso. L´obiettivo tecnico è raggiungere il mondiale del 2014 in Brasile, quello politico è sorprendere il mondo nel 2018, quando la coppa tutta d´oro sarà consegnata proprio a Mosca, dentro lo stadio Lenin. Impossibile dire se Capello, quel giorno, sarà ancora al comando di una squadra talentuosa e matta, piena di risorse ma capace di incredibili cadute (all´Europeo ha mostrato un gioco sensazionale per un paio di partite, poi è stata eliminata al primo turno); però è altrettanto impossibile dire con certezza che lui non ci sarà.

Fabio Capello non è solo un grande allenatore, è anche un osservatorio particolare. È un punto di vista geograficamente lontano dall´Italia, sebbene vicinissimo. Quello che ci vuole per leggere i segni del campionato cominciato ieri, ma anche per capire cosa si vede del nostro sport da una certa distanza, e forse del nostro paese. Lui non è diplomatico, è anzi aspro e per nulla accomodante. Non è facile stabilire un contatto, ma quando la cosa accade non si resta delusi. La settimana di Fabio Capello è iniziata a Marbella, dove lui ha casa da molti anni («Non posso sempre fuggire da mia moglie per parlare di calcio e per guardare calcio, in un matrimonio che funziona si scende a patti»), l´ha proseguita a Stoccolma e l´ha conclusa in Russia, non limitandosi ad annusare l´aria in cerca di ricordi o nuove piste, come un cane da caccia che da una vita non smette di braccare la sua preda: il pallone, probabilmente, ma non solo.

Capello, che Italia si vede dalle sue parti?

«Una premessa: io sono molto orgoglioso di essere italiano, dunque soffro per quello che succede nel mio Paese, un tempo stimato e oggi svilito. Ci ammiravano tutti, ora invece non ci capiscono più, perché si accorgono della nostra generale confusione. Da lontano, e talvolta pure da vicino, l´Italia è una specie di magma».

La sua scelta di allenare all´estero è solo una faccenda di contratti, di mestiere?

«In Spagna, in Inghilterra si sta meglio, ogni cosa è più semplice. Forse anche in Russia, saprò dirvi. Noi abbiamo le regole ma non le facciamo rispettare, gli altri sì. Siamo egoisti. Nella civiltà degli ipermercati, pensiamo solo alla nostra piccola bottega e ai suoi interessi. Anche in politica è così: siamo provincia, ma non nell´accezione positiva del termine. E non va bene. La burocrazia ci uccide».

Perché egoisti?

«Perché nella soluzione di un problema ci interessa solo la convenienza personale: è quella, la soluzione. Siamo puliti in casa nostra e sporchi per strada: scivoliamo sulle pattine per non rigare il pavimento dell´ingresso, ma poi gettiamo la carta per terra appena girato l´angolo, o fuori dal finestrino dell´auto. Vi sfido a trovare un sacchetto sull´erba di un parco di Londra: impossibile. Eppure, ci vivono otto milioni di persone».

L´Italia si sta impoverendo, lo sport può essere una chiave di lettura?

«Mi chiedo perché mai un investitore straniero dovrebbe portare da noi i suoi soldi. In Inghilterra è successo e questo ha salvato il football. In Italia non si può neppure costruire uno stadio di proprietà, ci vogliono secoli, la Juve ha fatto un miracolo. La legge vieta persino di metterci un ristorante: burocrazia insensata, ancora. Negli stadi inglesi si sta come in albergo, e loro avevano gli hooligan, hanno avuto l´Heysel. Noi potevamo sfruttare l´occasione di Italia 90, invece abbiamo costruito stadi con le piste d´atletica, inutili, solo per accontentare qualcuno, per i giochi di potere».

Il campionato inizia senza grandi stelle, ma con qualche giovane in più: un cambio svantaggioso?

«I kolossal non reggono senza i grandi interpreti. Siamo più poveri, i migliori se ne sono andati. Mancherà l´esaltazione dello spettacolo. I giovani rappresentano una risorsa, però bisogna avere il coraggio di farli giocare, serve la pazienza di aspettarli. Un talento come Marco Verratti è passato direttamente dal Pescara a Parigi: auguri, è un doppio salto mortale senza rete».

Ancora non si è conclusa la stagione degli scandali, i tribunali impazzano. Ne usciremo mai?

«Vorrei che si potesse di nuovo parlare solo di calcio, ma come si fa? Quello che è successo è terribile, inspiegabile, anche se certe decisioni mi lasciano molto perplesso. Mi piacerebbe che i giocatori capissero che hanno tutto e non possono rovinarsi la vita facendo stupidaggini: c´è stato un vuoto, questi ragazzi li abbiamo lasciati troppo soli. Noi allenatori, e anche i procuratori che ormai sono le persone a loro più vicine. Anche le famiglie, certo, ma spesso i genitori sono gli ultimi a sapere».

Il calcio è ancora un posto dove far crescere figli e nipoti?

«A volte me lo domando. Quello che non accetto è il ricatto degli ultrà: alcuni club sono troppo deboli e ne diventano ostaggio. La più grande vergogna della mia carriera da allenatore la vissi a Roma, dopo un´eliminazione in Coppa Italia contro l´Atalanta: gli ultrà vennero a parlare nello spogliatoio, ne dissero di tutti i colori, sembravano loro i padroni. Come quell´altra volta, quando bloccarono il derby dell´Olimpico. O come a Marassi, quest´anno, quando hanno obbligato i giocatori del Genoa a togliersi le maglie: una scena incredibile, tristissima. Ecco, cose del genere all´estero sono impossibili».

Peggio la violenza o la corruzione?

«Anche la corruzione è una forma di violenza. Abbiamo le regole e non le facciamo rispettare. Mai vista in Italia una partita sospesa per il lancio di fumogeni, o per uno striscione d´insulti. Mai visto sequestrare le magliette taroccate sulle bancarelle, invece in Inghilterra tutti i tifosi vanno alla partita con la maglia ufficiale del loro club, nessuno evade le tasse grazie a un piccolo gesto di civiltà anche fiscale».

Passiamo a cose più banali. Chi vince lo scudetto?

«La Juventus era già la più forte, anche se non doveva faticare nelle coppe, e adesso le altre si sono quasi tutte indebolite. Inter e Milan sono cantieri aperti: fino all´ultimo minuto di mercato possono inventare qualcosa, però mi sembrano indietro. Il Napoli pareva la forza nuova, tuttavia la partenza di Lavezzi non è cosa da poco. La Roma mi incuriosisce, ha questo famoso progetto, l´aveva anche l´anno scorso ma è rimasto sulla carta, vedremo adesso con Zeman».

Capello, quando si è alla guida di un gruppo è più difficile capire o farsi capire?

«Capirsi, tra persone di media intelligenza e buona volontà, non dovrebbe mai essere un problema. Farsi seguire è diverso, serve il carisma e i calciatori intuiscono subito se ce l´hai o no. Ti studiano in ogni momento, un allenatore è sempre sotto esame, ne deve sostenere almeno un paio a settimana. Ci sono miei colleghi che trattano con i guanti i campioni, e a pesci in faccia gli altri: io non faccio differenze, anche se so che non sono tutti uguali, altrimenti sarei un deficiente. Non sopporto gli yes men: tra i collaboratori non ne voglio. Niente di peggio di quelle riunioni dove non si discute mai, perché tutti danno ragione al capo».

Eppure dicono che lei, con i giocatori, sia un pezzo di ferro.

«Non è così. Prima parlo con la squadra, poi chiedo se qualcuno ha qualcosa da dire, se è tutto chiaro. Anche sul piano personale credo di essere aperto. Non amico, aperto. Venite, ditemi, posso aiutarvi: lo ripeto ogni volta, e la porta del mio ufficio è sempre aperta».

Non può essere un caso se tanti allenatori italiani lavorano all´estero, quasi tutti con successo: siamo ancora maestri di sport? Lontano, ci riesce meglio?

«Andai via di casa a quindici anni e so che ogni viaggio è una ricchezza. Chi si muove migliora, perché spalanca la mente. I tecnici italiani conoscono il mestiere, capiscono le situazioni, sono i più esperti e i più preparati. Sanno dove mettere le mani con fantasia e competenza, e soprattutto sanno incollare i cocci».

Dovrà farlo anche lei, dopo quell´eliminazione della Russia all´Europeo.

«Il primo obiettivo è che i miei giocatori riescano a giocare bene non solo due o tre partite di seguito, ma possibilmente qualcuna in più. Le risorse non mancano, il lavoro nemmeno. Questo è il bello della sfida».

E poi, un appassionato di musei come lei, in Russia può diventare matto dalla contentezza.

«C´è il problema non da poco del cirillico, però con un bravo interprete si supera».

Non la prenderanno in giro per via della lingua, stavolta? Non ci sarà un altro Rooney a criticarla? Il centravanti del Manchester United non fu tenero con il suo inglese.

«Per carità, è acqua passata, quelle erano battute che convenivano a chi non voleva capirmi. Ormai sono un vecchio navigante e conosco tutti i mari».

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(ANSA) – ROMA, 25 AGO – ‘‘Cosa penso dell’attacco di Conte allagiustizia sportiva? Non so dire, era un processo sportivo e orae’ diventato un processo mediatico. Credo che, se in passato sidicevano certe cose, scattavano deferimento e squalifica’‘.Lo ha detto Zdenek Zeman, in conferenza stampa, alla vigilia diRoma-Catania. ‘‘Se possiamo giocarcela con la Juve come dicono ibookmakers? Voglio crederci. Senza motivazioni e’ inutilelavorare. Mi auguro di dimostrare che si puo’ giocare a calcio efare risultati’‘.

Lui non ce l'ha con la Juve :|

Deve parlare di roma catania e il suo pensiero è rivolto all'allenatore juventino

Modificato da totojuve

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SETTE GIORNI

DI CATTIVI PENSIERI di GIANNI MURA (la Repubblica 26-08-2012)

GIURATE CON MOGOL

SU UN CAMPO DI GRANE

Jacques Glassmann, difensore del Valenciennes, il 22 maggio 1993 denunciò il tentativo di corruzione operato dall´Om Marsiglia, che nella cittadina del nord non voleva spremersi troppo il 20 maggio (vinse 1-0) perché il 26 avrebbe dovuto affrontare il Milan nella finale di Coppa dei Campioni (che vinse grazie a un gol di Boli). Conquistò anche lo scudetto l´Om, per la quinta volta consecutiva. Ma a seguito della denuncia di Glassmann lo scudetto fu tolto e non riassegnato e la squadra retrocessa in serie B. Molti suoi giocatori emigrarono nel nostro campionato: Boksic, Desailly, Deschamps, Sauzée, Angloma, Abedi Pelè. Pene pesanti per i due giocatori del Valenciennes che avevano accettato la combine (Burruchaga e Robert), per quello dell´Om che l´aveva proposta (Eydelie) e per Tapie, presidente dell´Om, e Bernès, dg, che l´avevano organizzata. Quando la Fifa lo invitò a ritirare il Premio Fairplay, Glassman ci andò partendo dall´aeroporto dell´isola di Réunion, nell´Oceano indiano, dove giocava nella squadretta del Sainte Rose. Il Valenciennes, pure retrocesso, non gli aveva rinnovato il contratto e, in tutta la Francia, solo il Maubeuge (quarta divisione) gliene aveva offerto uno.

Perché racconto questa storia? Perché mi è tornata in mente leggendo, in settimana, che Simone Farina, senza più rapporti col Gubbio, s´è trasferito all´Aston Villa, dove allenerà le giovanili e insegnerà fairplay. «La fuga di Farina», ha titolato il Corsera. Mi auguro che non sia così, che non sia una fuga (sarebbe grave), ma ugualmente ci sarebbe di che riflettere. I tifosi dell´Aston Villa hanno già ribattezzato Farina mister Clean, è probabile che Farina si trovi in un ambiente che lo stima e lo rispetta per quello che ha fatto. Curioso, però, che questo ambiente in Italia non esista. Nessun club nostrano, grande o piccolo, ha cercato Farina. Come terzino non sarà un fenomeno, ma quanti ce ne sono come lui in B e in C? Il sospetto: in Italia come in Francia, chi denuncia il gioco sporco la paga, come fosse sporcato dalla sua voglia di pulizia e in qualche modo infrequentabile, meglio fare a meno di certi tipi, tenerli alla larga.

Spero di sbagliarmi. Il calcio italiano è ripartito, in serie B, col giuramento dei capitani. «Solenne giuramento», si legge nel testo, che parte così: «Con la mano sul cuore e la mente trasparente». Non è ben chiaro cosa c´entri la mente trasparente. Può darsi che sia una deviazione poetica, anzi forse è proprio così. Leggo che il giuramento è stato scritto con la collaborazione di Mogol, il paroliere di Battisti. Uno che per anni è stato titolare nella Nazionale cantanti, quindi è inutile fare gli spiritosi e intonare «che ne sai tu di un campo di calcio», tanto più se nulla si sa di un campo di grano. Un campo di grane, in avvio, sembra il campionato: al novo rancore succede l´antico. Su Repubblica di ieri Zeman s´è presentato col ramoscello d´olivo nel becco, chiarendo di non essere antijuventino: «Sono nato juventino, Vestivo la maglia bianconera quando avevo un anno». Poi ne sono passati altri 64. «Ma non ce l´ho col nome di una squadra. Io sono nemico delle persone che fanno male al calcio». Con le esternazioni dovrà fare gli straordinari, mi sa. Queste persone sono tantissime.

Un dettaglio contrattuale, tra Cassano e l´Inter, non mi sembra fare un gran bene al calcio. Una volta si legava un premio al numero di gol segnati da un attaccante. Anche questo non è il massimo, per un gioco di squadra. Si spinge l´attaccante a concludere verso la porta anche quando potrebbe servire un compagno, a insistere per tirare calci di rigore e di punizione. L´anno scorso, con Zarate, fu inserita una clausola sugli assist effettuati, con risultati desolanti. Quest´anno le entrate di Cassano dipendono da quanti gol segna, da quanti ne fa segnare e da quanti rigori ottiene. I contratti sono cosa riservata, quindi non posso sapere se verranno riconosciuti e pagati i rigori ottenuti perché c´erano o anche quelli che non c´erano ma l´arbitro ci è cascato. Sarebbe poco piacevole, ma con l´aggiunta degli arbitri d´area dovrebbero essere limitati gli svarioni. Braschi e Nicchi, su varie testate, annunciano che gli arbitri saranno inflessibili anche con le panchine, molto più affollate e prevedibilmente molto più tumultuose. Per ora, notato Mazzoleni che minaccia di giallo Brkic perché perde tempo. Dopo 90 secondi di gioco: da un estremo all´altro.

E da una frase a una precisazione. «Vincere non è importante, è sola cosa che conta», a firma Giampiero Boniperti, è la scritta stampata all´interno delle maglie della Juve, zona colletto. Diseducativa, secondo me. E non di Boniperti, che l´ha solo ripresa. Una ricostruzione del Giornale la fa risalire al 1950, pronunciata da Henri Russel Sanders, coach dell´Ucla Bruins (football americano) a San Luis Obispo. Ripresa in un film con John Wayne e ripresa nel ´59 da Vincent Lombardi, coach dei Green Bay Packers. Diamo a Henri quel che è di Henri. O studiamo attribuzioni fasulle: «Il dado è tratto» (Justus von Liebig). Con varianti minime: «Il fado è tratto» (Amalia Rodrigues). «Veni. Vidi. Pici» (Ept di Siena).

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l'analisi

FINALMENTE SI TORNA A GIOCARE A PALLONE

MA FINIRANNO LE POLEMICHE E I VELENI?

di MARIO SCONCERTI (CorSera 26-08-2012)

Un vecchio detto del calcio, molto nazionalpopolare, prevede che «quando il pallone comincia a rotolare sull'erba, tutto il resto si zittisce». Il gioco conta più delle parole, uno anzi, cancellerebbe l'altro. Bene, da oggi si gioca, anzi da ieri. Non so se sia ancora un proverbio possibile, comincia a essere raro trovare ormai anche l'erba nel calcio, però è infinitamente auspicabile. È stata un'estate di accuse, di offese, di conferenze stampa senza domande, di qualche volgarità, perfino di minacce. I vari popoli del calcio sembrano sentirsi orgogliosi solo nella cattiveria, in ciò che divide e crea martirio. Non si discute nemmeno sulla qualità delle cose che accadono, si va avanti per principio, ognuno sulle posizioni della propria religione.

Conte dice essere credibile e di aver diritto a essere creduto. Ma anche i giudici lo sono, anche il suo vice Stellini lo era, ma è stato con lui a Bari, Siena e Torino, poi ha patteggiato 2 anni e 6 mesi e si è dimesso dalla Juve. Allora è credibile anche pensare che Conte «non potesse non sapere». In realtà non lo sapremo mai, non potremo saperlo, ma nel frattempo non possiamo passare il tempo a dividerci.

È stancante questa ostilità continua che non si risolve mai perché tanto ognuno è disponibile a negare anche l'evidenza. Farà bene all'orgoglio delle fazioni, ma al resto del calcio appare ormai noioso. Perché Zeman deve avere un solo argomento? Perché Mazzarri è incontentabile? Perché la Juve ha sempre ragione, è la più forte, la più ricca, ma non chiede mai niente di meno che essere vittima? Perché Cassano litiga con tutti? Perché Berlusconi ha una verità vera e una in base alle offerte che gli arrivano? Perché gli arbitri, i giudici, gli avvocati, del calcio non possono essere tifosi e fare comunque il loro mestiere? Non si potrebbe rispettare anche l'equilibrio degli altri, tutti gli altri che di questo mondo fanno parte ma sono condannati solo ad ascoltare chi grida di più? Non si potrebbe tornare a giocare a calcio?

Si deve ancora cominciare e già siamo tutti sudati, fieri della nostra bile, praticamente ciechi rispetto a quello che accade sul campo. Incapaci di fare del calcio una cosa sola, una lobby dei padroni ma anche della gente, una forza che ci riporti dentro il tempo e cominci ad adeguarci agli altri. Sapete qual è la prima ragione per cui i grandi giocatori se ne vanno e gli altri si rifiutano di arrivare? Perché abbiamo gli stadi vuoti. Il calcio italiano suscita tristezza, non dà più l'immagine di grandezza e avanguardia, un calcio vivo come un'eterna tecnologia avanzata che siamo sempre stati. Stiamo sbagliando il modo di viverlo, non di giocarlo. Proviamo da oggi con «il pallone che rotola». Il gioco è sempre fantastico, speriamo sia lui a cambiare noi. Non più viceversa.

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POLEMICHE E INSULTI

IL REUCCIO DEI MALEDUCATI DI SUCCESSO

Cassano,Conte, Zeman

La Serie A è già al veleno

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 26-08-2012)

È davvero un calcio brutto, sporco e cattivo. Ce lo dobbiamo tenere, in linea con il resto del Paese. Ieri non ci siamo fatti mancare nulla, a parte i due incontri di apertura con tutti gli annessi e connessi. Mazzarri, Carrera, Zeman hanno provveduto a tenere alto il vociare del condominio, poi ci ha pensato il signor Antonio Cassano a farsi riconoscere, urlando dalla tromba delle scale, spiazzando gli inquilini dei piani alti e chi nutre ancora affetto per lui. Appena ha svoltato l’angolo di Milanello ha dimenticato tutto o quasi, ha fatto la furbastra riverenza (non si sa mai nella vita) ai padroni che gli hanno garantito denari e salute ma ha insultato Adriano Galliani, secondo repertorio della propria «ineducazione», come disse il presidente Garrone. In verità non ha mai citato il nome e il cognome del vicepresidente del Milan, a conferma del disprezzo, ma non è questo il problema. Il problema, semmai, è ritenere, o aver ritenuto Antonio Cassano un campione, addirittura un fuoriclasse. I campioni (il Milan ne ha visti, conosciuti e celebrati moltissimi, fra i migliori al mondo) sono quelli che risultano decisivi, per vincere un titolo, per firmare una stagione, rappresentando, per stile, eleganza, classe, un momento storico di una squadra, di un club. Cassano appartiene alla tribù dei buoni calciatori spacciati, in crisi di astinenza, per grandi calciatori. Ha avuto tutto a disposizione dalla carriera e tutto ha bruciato o buttato via. Ha avuto ingaggi e popolarità, li ha usati secondo sue cultura e sensibilità. Le parole pronunciate nei confronti del massimo dirigente milanista stupiscono soltanto i romantici, i sognatori e qualche tifoso. Non possono sorprendere chi ha letto il curriculum comportamentale del calciatore. Chi ha avuto la fortuna di giocare in serie A a diciassette anni, nel Bari, poi nella Roma, nel Real Madrid, nella Sampdoria e nel Milan, oltre alla nazionale, dovrebbe ringraziare Iddio e i presidenti per avergli concesso tanta grazia. Cassano, arrivato all’Inter, dice di avere realizzato un sogno, uno dei mille come le donne da lui frequentate. Mi sarei aspettato che tra i suoi progetti ci fosse quello di riportare il Bari, la sua squadra, la sua città, ai livelli di un tempo, questo dovrebbe fare un vero ragazzo di borgata. Attesa inutile, Cassano continua a inseguire se stesso, promette amore ad ogni porto dove attracca il suo panfilo, poi se la svigna e insulta. Per capire quale sia il livello di guardia del nostro football basti pensare che nell’ultimo campionato d’Europa abbiamo depositato le nostre speranze nei piedi di Cassano e Balotelli, coppia e prodotto tipici dell’ultima generazione, scostumata, ingrata, viziata. Probabilmente l’Inter, che aveva rinunciato proprio a Balotelli per motivi disciplinari, guarda un po’ i casi della vita, ha fatto un affare, probabilmente Cassano regalerà gol e assist (ridicolo e volgare il bonus contrattuale), ma posso già prevedere che tra un anno o due, Moratti e i suoi collaboratori si ritroveranno nello stesso luna park di Matarrese, Sensi, Perez, Garrone, Galliani. Tutta gente presa a pernacchie e palle in faccia, tutta gente che non ha capito di avere a che fare, invece, con un fenomeno, un artista, un talento, un genio, un campione. Ma questo è il bello del nostro calcio che è finalmente incominciato. Si accettano prenotazioni per il derby di Milano.

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E’ stato un sabato

di troppe parole

E per fortuna di gol

Una raffica di stucchevoli polemiche

poi finalmente Jovetic e Lichtsteiner

di LUCA CALAMAI (GaSport 26-08-2012)

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E’ stato un sabato di gol, di emozioni e di parole. Troppe. Dopo scommessopoli, la Supercoppa di Pechino e la partenza di alcuni giocatori simbolo siamo andati incontro come assetati a questo inizio di campionato. Avevamo-abbiamo voglia di chiudere con le storie tristi e di godere per i colpi dei nostri giovani talenti e per l’equilibrio di un torneo che ha una favorita scritta (la Juve) ma tante realtà competitive. Vecchie e nuove. Invece una raffica di stucchevoli polemiche ci ha riportato indietro nel tempo: le accuse di Cassano al Milan, i soliti attacchi di Zeman alla Juve, il botta e risposta velenoso tra Carrera e Mazzarri.

Il fastidio e l’imbarazzo dei tifosi per questo campionario di parole dimostra che nessuno dei protagonisti scende dal «ring» da vincitore. Ed è normale che sia così. Prendete le critiche di Cassano a Galliani e al Milan: possibile che Fantantonio abbia già dimenticato quello che ha fatto per lui la società rossonera? Prima lo ha aiutato a restare nel calcio da copertina e dopo ha combattuto al suo fianco il problema al cuore. Perché in questo mondo memoria e riconoscenza finiscono spesso in un angolo? Cassano trascini l’Inter alla conquista dello scudetto a suon di gol e di magie lasciando perdere inopportuni dribbling verbali.

E Zeman? Nel suo caso basta la parola «Juve» ad accendere un disco che propone spesso la stessa musica. Un tormentone. Perché a volte non cambiare tattica? Perché non ignorare eventuali domande insidiose? Anche il silenzio può essere una buona arma. Zeman ha tra le mani una delle realtà più intriganti del campionato. Il suo obiettivo, come quello di Mazzarri deve essere quello di vincere lo scudetto per far impazzire di gioia Roma e Napoli e per far rimangiare a Carrera certe valutazioni (pure queste fuori luogo) sull’albo d’oro dei colleghi. Basta guardare in casa altrui. Dobbiamo tornare a sfidarci lealmente. Attaccando gli avversari palla al piede e non con le parole.

Per fortuna, in questo primo sabato di Serie A c’è anche qualche piacevole storia di calcio da raccontare. A esempio la formidabile doppietta di Jo-Jo che gela l’Udinese (distratta dal preliminare-Champions) e riaccende l’entusiasmo di Firenze. Andrea Della Valle ha ribadito che il fuoriclasse slavo non è vendita. Il gentlemen’s agreement tra la società e l’attaccante è congelato fino al giugno 2013. Chi aveva pronti i 30 milioni previsti dal vecchio accordo per «liberare» Jovetic ora dovrà orientarsi verso altri obiettivi. Questo vale per il City di Mancini, per il Chelsea e anche per la Juve che ha corteggiato il giocatore per un paio di mesi. Certo che uno come Jo-Jo avrebbe fatto comodo alla squadra bianconera che è ripartita come un campionato fa: vittoria, primo posto in classifica ma anche qualche dubbio sulla consistenza del reparto offensivo. Marotta ha ancora qualche giorno di tempo per regalare a Conte (nascosto in tribuna) quel top-player in attacco necessario a difendere lo scudetto e a proporsi con le giuste ambizioni in Champions League. Il goleador Pirlo non chiede di meglio di avere davanti agli occhi un campione a cui consegnare i suoi deliziosi assist. La Serie A ha presentato anche la novità dei cinque arbitri, primo campionato a raccogliere l’invito dell’Uefa. Una piccola vittoria di cui andare fieri. E queste non sono parole.

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Il commento

Non è ancora iniziata

ed è già polemica

sugli inutili 6 arbitri

di ALESSANDRO DELL’ORTO (Libero 26-08-2012)

In astinenza di dribbling, tackle e gol, noi malati di football non vedevamo l’ora che si riprendesse con campionato, Coppe e coppette. Quasi un conto alla rovescia e in attesa ci siamo pure appassionati alle bufale di mercato, al calcio delle Olimpiadi e al calcio femminile. Ora che ci siamo, però, ci assale il grande dubbio. Riusciremo a divertirci come sempre? O rischiamo di stufarci, travolti da noia ed eccessive polemiche? Già, perché l’avvio è abbastanza inquietante e lasciamo perdere la storia del calcioscommesse, dei processi e della credibilità sempre più fragile del nostro pallone. L’avvio è inquietante per una questione di qualità, innanzitutto: meno soldi uguale meno acquisti uguale meno giocatori di classe. E più cessioni eccellenti. Non potremo più ammirare Del Piero e Inzaghi, Nesta e Thiago Silva, Ibra e Lavezzi, Di Vaio e Seedorf, Gattuso e Van Bommel e non potremo nemmeno scoprire il talento del baby Verratti che ha scelto l’estero. Pure lui. Allora che fare? Magari ci sarà più spazio per altri emergenti o giovani italiani e poi, quando si fa sul serio, il pallone sasemprestupirci in positivo. A patto che si riesca a far parlare davvero il campo, però.

Sì, perché le polemiche iniziano a stufarci, quando diventano prevedibili, costanti, banali. L’isterica finale di Supercoppa giocata a Pechino ha lanciato il primo allarme. Così come continuano a nausearci gli attacchi a distanza, Mazzarri contro Carrera, Carrera contro Mazzarri, Zeman contro Conte e bla bla bla. Basta. Dateci un taglio che i veleni del dopo partita a volte possono anche essere simpatici, ma i tormentoni lunghi una stagione sono pesanti.

Certo, poi ci sono gli ultimi colpi di mercato. Che dovrebbero dare adrenalina ed entusiasmo e invece finiscono per portarci ancora alle guerre dirette e indirette. Prendete lo scambio Pazzini-Cassano. Tutti felici e contenti? Non proprio. A parte che i calciatori dovrebbero smettere di annunciare - ogni volta - che la loro nuova squadra è quella che sognavano da sempre, quella per la quale hanno sempre tifato, quella che li ha sempre segretamente affascinati. Poi, dovrebbero avere il coraggio di dire subito ciò che pensano, non dopo. Perché assistere allo sfogo di Pazzini contro l’Inter e di Cassano contro il Milan (anzi, contro «quello là» come Fantantonio ha detto riferendosi a Galliani) quando si sono appena invertiti le maglie, fa sorridere. Ma anche tristezza.

Ecco perché oggi, che è appena iniziato il tanto atteso campionato, noi malati di calcio ci facciamo assalire dai dubbi. Poca qualità, pochi soldi e troppo polemiche: qui si rischia di stufarsi. Potrebbe salvarci solo il football giocato (e sì che gli anticipi di ieri hanno fornito buoni spunti: l’ottima Fiorentina che rimonta l’Udinese, la spietata Juventus che, nonostante Conte in tribuna, viaggia in automatico e confeziona gol e occasioni a memoria), peccato che la novità dei sei arbitri, il modulo tanto amato da Platini, abbia già fallito: prima nel concedere un rigore alla Juve viziato da netto fuorigioco sotto gli occhi di guardalinee e assistente di porta (per fortuna Vidal aveva fallito...); poi per il gol convalidato a Pirlo, visto dentro dal sesto uomo ma senza che una-telecamera-una abbia chiarito se era dentro o no. E pensare che eravamo già stanchi delle polemiche.

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MENO MALE CHE C’È LA ROMA

di CARMINE FOTIA (IL ROMANISTA 26-08-2012)

La nuova arroganza juventina sgangherata e irrispettosa di ogni regola, mascherata dietro lo sguardo da tecnocrati dei nuovi rampolli della famiglia Agnelli. La rivoluzione gentile romanista, celata dietro il fumo delle sigarette di Sabatini e Zeman e la signorilità di Baldini. Un allenatore condannato dalla giustizia sportiva che insulta i giudici e un altro che della voglia di riscatto e di giustizia è divenuto il simbolo. La Juventus e la Roma, Conte e Zeman. Due visioni del mondo, non solo del calcio, contrapposte.

Non è un caso se, nell’era del governo delle oligarchie tecnocratiche e dell’assedio contro i giudici che vogliono semplicemente fare il proprio dovere, il campionato di calcio, il più grande spettacolo popolare italiano, l’evento che più di ogni altro riflette l’animo della nostra gente, cominci con questa sfida che viene dal passato ma che sa tanto di presente e di futuro. Con un antagonismo che sembra riflettere anche i conflitti che attraversano la nostra vita quotidiana.

Fateci caso, le pagine dei giornali e non solo di quelli sportivi quest’estate sono state dominate da un lato dagli attacchi sconsiderati di Conte e dei dirigenti juventini contro i giudici e la giustizia sportiva, dall’altro dalle parole di Zeman che evoca un calcio bello e pulito. Parallelamente le cronache politiche e giudiziarie riportavano gli attacchi contro i giudici di Palermo che cercano la verità sulla trattativa tra stato e mafia e che sono delegittimati proprio da quelle istituzioni che dovrebbero difenderli, mentre, su iniziativa del Fatto Quotidiano, diretto da un romanista doc come Antonio Padellaro, decine di migliaia di cittadini, tra cui anche il sottoscritto e (cosa assai più significativa) il direttore generale di Aesse Roma, Franco Baldini, firmavano un appello in difesa dei magistrati di Palermo.

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Poi, quella prima pagina di Repubblica con la vignetta di quel genio di Altan con il suo omino che indossa una maglia giallorossa e, invitato a esprimersi sul momento del paese, prorompe in un "Viva la Roma". E ancora, l’ultima pagina del quotidiano più impegnato politicamente che c’è, Il Manifesto, che titola "Zeman o non Zeman", e l’intervista su Repubblica di ieri in cui Sdengo tiene insieme etica ed estetica del calcio.

Fin qui le parole, che indicano una suggestione troppo forte per non essere colta, di una Roma che diventa simbolo di una voglia di pulizia e moralità non solo nel calcio. Da oggi il campo, e allora oltre i pensieri ci saranno anche la passione, la gioia di trovarsi tutti insieme a vibrare come un cuore solo. Orgogliosi dei nostri giovani e dei nostri campioni, non solo Francesco l’Highlander, ma anche Capitan Futuro che ha dimostrato ancora una volta che per noi esistono valori che non hanno prezzo, che l’amore non si compra con il denaro.

Insomma, "Meno male che c’è la Roma", ci verrebbe da dire ricordando il titolo di una canzone di Paolo Pietrangeli degli Anni Settanta.

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UN CALCIO SENZA PACE

Ed è solo l’inizio

La figuraccia di Pechino è stata l’antipasto. Siamo alla prima giornata

e il campionato italiano è già inquinato da polemiche e regolamenti di conti.

Perché da noi il passato torna sempre

di GUIDO BOFFO (LA STAMPA 26-08-2012)

Avevamo sperato che potesse essere un inizio diverso e invece i veleni della Supercoppa italiana, con la defezione del Napoli alla premiazione, sono stati premonitori. È il nostro calcio, bellezza, intossicato sin dalla primissima giornata, con troppi conti da regolare, con troppo passato sulle spalle. Non dietro, purtroppo. Pentiti attendibili, anzi no, patteggiamenti rinnegati, Juve contro tutti, Zeman contro la Juve (c’era da scommetterci), Conte e il fumus persecutionis, Mazzarri versus Carrera, giù le mani dai giudici. Ma è vera giustizia? Last but not least, Antonio Cassano che dopo aver battuto inutilmente cassa con Galliani, lo ha liberamente insultato al cospetto dell’uditorio interista. Quasi quasi rimpiangiamo lo sciopero dell’anno scorso.

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CALCIO D’ESORDIO

La Juve passeggia tra pioggia e veleni

Torna il Campionato. Un nubifragio precede il 2-0 dei bianconeri con il

Parma: sugli spalti, cori contro Palazzi e striscioni in favore di Conte

Il debutto della Serie A è il 2-1 di Fiorentina-Udinese con una bella doppietta di Jovetic

di PAOLO ZILIANI (il Fatto Quotidiano 26-08-2012)

Messaggio ai naviganti. Per quest’anno si parla ancora di “Serie A Tim”, ma il campionato italiano potrebbe diventare, dalla stagione prossima, “Serie A Risiko”. Anche se qualche segnale incoraggiante c’è (ieri, per esempio, in Fiorentina-Udinese 2-1, strepitosa doppietta di Jovetic, Llajic è stato sostituito, non ha mandato aƒƒanculoo l’allenatore e Montella non lo ha preso a pugni; e il sindaco Renzi, in tribuna, non ha portato jella ed è tornato a casa incolume) è diventato una guerra planetaria, ormai, il gioco del pallone made in Italy: dove ad agosto ci si dichiara guerra per un’esibizione venuta male dall’altra parte del globo (Pechino, Juve-Napoli, Supercoppa), dove si scavano trincee per battaglie che dureranno mesi (squalifica di Conte), dove si lanciano bombe poco intelligenti senza che a nessuno, nel Palazzo, venga in mente d’invitare i belligeranti al disarmo. O di dichiarare il coprifuoco. Ieri, 25 agosto 2012, è ricominciato quello che una volta era il campionato più bello del mondo e che poi, a furia di dirlo, è diventato brutto per livello tecnico e orrido per livello morale. Mentre in Spagna, Inghilterra e Germania gli stadi sono pieni come un uovo, i campioni furoreggiano e le risse e le polemiche non sanno nemmeno cosa siano, noi siamo qui con una Juve che chiama alle armi i suoi tifosi, col Milan in mutande e l’Inter pure, con campioni che se ne vanno sputando veleno (Gattuso su Allegri, Cassano su Galliani, Pazzini su Stramaccioni, Ibra sul mondo) con giocatori che un giorno entrano in campo, un giorno in galera, e con processi per partite vendute che superano le puntate di Beautiful. Solo che Brooke e Ridge sono diventati vecchi conservando i loro fans, mentre Abete e Beretta - rimasti a dormire nelle loro celle frigorifere - gli aficionados del pallone li stanno perdendo tutti. Chi dà il suo contributo, arringando le folle un tanto al chilo, è Andrea Agnelli, boss della Juventus che ieri ha debuttato battendo il Parma 2-0 (Lichtsteiner-Pirlo). Partita moscia con l’arbitro Romeo che regala a Madama un rigore per fallo su Lichtsteiner, in fuorigioco non segnalato (ehm!), rigore che Vidal sbaglia; e poi concede il 2-0 per un gol fantasma che nemmeno il mago Silvan. La prima rete convalidata da un assistente di porta nel Campionato italiano. Non c’era Buffon, che però ha detto di voler entrare in politica (finalmente!); c’era, ma non si vedeva, Conte, nascosto chissà dove nello stadio. Carrera l’ha sostituito mostrando di avere una cosa in meno (il furore) e una in più (i capelli). Dimenticavamo: i tifosi hanno insultato Palazzi, quello che ha graziato Conte facendo finta di non vedere l’illecito.

COSÌ È. E mentre in Italia si va in campo con l’elmetto, all’estero se la spassano che è un piacere. In Francia stanno facendosi grasse risate alle spalle dello squadrone di Ancelotti, il Psg, che dopo aver speso un fantastiliardo per comprare Ibra, Thiago Silva e la luna, ha raccolto 2 miseri punti contro club diseredati tipo Lorient e Ajaccio: se stasera il Psg non mette sotto il Bordeaux, allo Sceicco che paga potrebbero cominciare a girare le balle. In Inghilterra sir Alex Ferguson ha visto i nuovi acquisti Van Persie e Kagawa andare a segno, ieri, nel 3-2 dello United al Fulham; mentre Di Matteo (Chelsea) ha brindato all’acquisto di Moses (12 milioni), 21enne attaccante nigeriano ex Wigan, col bel 2-0 sul Newcastle. Anche in Spagna ci si diverte grazie a Mourinho che pronti-via è riuscito nell’impresa d’incolpare il guardalinee per il k.o. in Supercoppa col Barça (fuorigioco millimetrico non visto sull’1-1). Che Mou sia pronto a rientrare in Italia per accapigliarsi con Lo Monaco & Barnetta? Oggi si completa il calendario della 1^ giornata. Le armate guidate dai comandanti Allegri e Stramaccioni, non esattamente le reincarnazioni di Rocco e di Herrera, somigliano molto a due Armate Brancaleone, ma l’importante è non dirlo: così i tifosi di Milan e Inter possono andare allo stadio credendo di vedere ancora il Milan e l’Inter. E si celebra anche il ritorno nelle praterie che contano di Toro Seduto Zeman, che il mondo del pallone – tenuto in scacco da Moggi – aveva gettato in cantina come un ferrovecchio. Toro Seduto (e Fumante) sfiderà il Catania, ma qualcuno gli ha già preparato l’elmetto per il 30 settembre, giorno di Juventus-Roma. “Una volta per dichiarazioni come quelle di Conte si veniva deferiti e squalificati”, ha borbottato Zeman, che di squalifiche e deferimenti se ne intende, di diplomazia no. Come diceva quello: armiamoci e partite (di pallone).

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AFFARI IRREGOLARI BLOCCATO IL CODICE FISCALE DI 146 PROCURATORI

Argentina, lo scandalo cresce

Fuori squadra 12 calciatori

Si indaga sulle evasioni legate ai trasferimenti. Rischi per Atalanta e Fiorentina?

di LUCA BIANCHIN & MARTIN MAZUR (GaSport 26-08-2012)

In Argentina, in 24 ore, è nato un caso clamoroso. L'Afip, il fisco di Buenos Aires, ha rivelato un'indagine su presunte pratiche illegali nel trasferimento di calciatori. Si tratta di un triangolo tra società: molti club argentini, al momento di vendere un giocatore in Europa, chiudevano la cessione con una squadra uruguaiana o cilena, che a sua volta girava il calciatore all'acquirente finale. Secondo gli inquirenti, il doppio passaggio permetteva di pagare meno tasse e di riciclare denaro. I primi a essere colpiti sono stati i procuratori: a 146 agenti di calciatori è stato bloccato il codice fiscale, mentre 12 giocatori coinvolti sono stati tenuti fuori squadra dai loro club per non correre rischi. Nel gruppo ci sono Ignacio Piatti, ex Lecce ora al San Lorenzo, Pablo Ledesma, ex Catania ora al Boca Juniors, Jonathan Bottinelli, ex Sampdoria ora al River Plate, Emanuel Gigliotti, ex Novara ora al Colon, e Denis Stracqualursi, già obiettivo di mercato di alcune squadre italiane.

Atalanta e Fiorentina Ovviamente i casi sotto esame sono più di 12. Tre interessano l'Italia perché riguardano Facundo Roncaglia della Fiorentina, Carlos Matheu e Facundo Parra dell'Atalanta. Roncaglia, a differenza dei giocatori coinvolti in Argentina, ieri ha giocato, ma non è semplice capire se i club italiani rischino qualcosa. Ricardo Echegaray, numero uno dell'Afip, nel 2010 ha incontrato la Guardia di Finanza e dalla partnership potrebbe essere nata una collaborazione. Poi c'è la questione Locarno, altra società coinvolta nelle triangolazioni sospette: gli svizzeri, nella loro storia, hanno avuto tra i tesserati anche Gonzalo Higuain (!), passato nel 2007 dal River Plate al Real Madrid. Intanto, l'Argentina si preoccupa per la violenza ultrà — sparatoria per il controllo della curva del Boca, ci sono due feriti gravi — e si prepara a cambiare registro. Julio Grondona, presidente federale, si è schierato: «La Afa è felice che si indaghi. Abbiamo sempre chiesto chiarezza». La richiesta più importante però è stata quella della «presidenta» Cristina Kirchner, perché in Argentina è la tv statale a dare i soldi per i diritti ai club: l'impulso alle indagini, insomma, è arrivato dall'alto. Il caso più curioso al Racing: è uno dei club coinvolti e il presidente, Gaston Cogorno, è un dipendente... dell'Afip in aspettativa. Un po' indagato, un po' autore delle indagini. Cortocircuito.

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L’invisibile Conte

“Sicuri fosse nel box?”

Oggi gli avvocati depositano il ricorso d’urgenza

NELL’INTERVALLO Marchisio: «È bastato uno sguardo, certe cose le capisci da solo»

di MASSIMILIANO NEROZZI (LA STAMPA 27-08-2012)

I soliti sospetti restano dietro un pannello da riconoscimento poliziesco, e neppure fugano tutti i dubbi: «Ma siete poi sicuri che Antonio Conte fosse dentro quel box?», sorrideva ieri un amico del tecnico. Della serata rimane un’unica foto segnaletica: l’allenatore che s’infila nello stadio dal tunnel del pullman, in total black, stessa uniforme di Pechino, perché la cabala ha la sua importanza, poi scompare. C’è ma non si vede. Casomai, se ne deduce la presenza, con i movimenti dei collaboratori, qualche camminata in tribuna, il parlottare di Massimo Carrera, fedele e affidabile sostituto. «Le decisioni le prendo io - spiegava il tecnico pro tempore - in fondo è già un anno che siamo insieme: so come la pensa lui, come la pensiamo noi. Quindi, sono quasi scelte obbligate». E quando non lo fossero, magari dall’alto c’è chi vede e provvede. Dietro la privacy di quella copertura a specchio, un’intuizione davvero non male. Impensabile evitare le perlustrazioni di obiettivi a lunga gittata e telecamere, tanto vale rendersi invisibili. Del resto ci sono stati fior di presidenti, squalificati per cinque anni, che non hanno minimamente modificato le tradizioni domenicali.

Per Conte, e la Juve, la sfida è comunque notevole: affrontare un’intera stagione, se la squalifica resterà, senza skipper a bordo. In campionato, Champions, Coppa Italia: a questi livelli, roba mai vista. Finora funziona benone: vittoria in Supercoppa, in Cina, replay sabato sera, all’esordio in campionato. Meglio non metterla sui paragoni però, visto che l’anno passato i bianconeri persero solo la finale di Coppa Italia. Per ora è bastata l’intesa, a sentire i giocatori: «Quando siamo rientrati negli spogliatoi all’intervallo - ha raccontato Claudio Marchisio - ci siamo guardati negli occhi, e certe cose le capisci da solo, senza che nessuno te le dica». Cioè che avevano giocato troppo sotto ritmo per essere veri. E lì parlò Carrera, «senza alcun videomessaggio di Conte», s’è messo a ridere lui stesso. All’inizio aveva arringato la squadra Storari, perché è consuetudine che il discorso d’avvio tocchi a un giocatore, a turno. «Ma quel che ha detto resta tra noi», ha chiarito Marchisio. Il resto sono già leggende da tribuna, steward, forum su internet: Conte dialoga via sms, via telefono, no, c’è un videocollegamento diretto con lo spogliatoio, o un passaggio segreto, comela tana di Batman. Impresa da supereroi sarebbe cancellare o ridurre la squalifica, cosa che tenteranno gli avvocati Bongiorno, Chiappero e De Rensis, depositando tra oggi e domani il ricorso alla segreteria del Tnas. Con richiesta di sospensiva, che potrebbe pure non essere concessa in caso di procedimento d’urgenza e decisione entro dieci giorni. Nel frattempo, farà il suo mestiere Carrera, che potrebbe sempre contare su un alibi da sit-com, davanti alle proteste di un cambio, come sabato Vucinic: Ehi, mica l’ho deciso io.

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«Il calcio paghi per la sua sicurezza»

Pressing dei partiti sul Viminale

Tutti con il Siulp: dalle società un contributo per i servizi di polizia

LA PROPOSTA «I soldi? Saltino fuori dagli stipendi milionari». Mozioni in Parlamento

di ALESSANDRO FARRUGGIA (Il Giorno 27-08-2012)

PROTEGGERCI dagli ultras ci costa 40 milioni di euro all’anno: è l’ora che a pagare questo conto non siano più i contribuenti ma le società calcistiche che staccano ingaggi milionari ai loro campioni (e non) e fatturano quasi 2,5 miliardi all’anno. Parlamentari del Pd, Fli, Udc sono pronti a presentare mozioni per impegnare il governo a introdurre una norma che obblighi le società calcistiche o sportive (e più in generale chi organizza spettacoli di massa a scopo di lucro) a pagare un contributo per i costi che devono sostenere le forze dell’ordine per coprire i loro eventi. Partite di calcio quindi, ma anche grandi concerti.

ADESIONE alla richiesta del sindacato di polizia Siulp viene anche da parlamentari di altre forze politiche: dal Pdl all’Idv. E si può quindi parlare a buon titolo di proposta che gode di un’attenzione, se non di un consenso, bipartisan. Da parte sua il Viminale non prende ancora posizione, ma certo segue la vicenda con attenzione.

«Sono assolutamente d’accordo con la proposta — osserva Emanuele Fiano, deputato e responsabile sicurezza del Pd — e credo che visto il giro d’affari delle società calcistiche sarebbe assolutamente fattibile una copertura dei costi per la sicurezza da parte delle società. Presenterò una mozione in commissione Affari Costituzionali per invitare il governo a presentare una proposta in questa direzione». Pronto a presentare una mozione anche l’ex sottosegretario alla Difesa Francesco Bosi, dell’Udc: «Se ne parla da troppo tempo — dice — ma non si è mai riusciti ad ottenerlo. Visti i tagli al comparto sicurezza, è questo il momento».

«Ogni domenica — sottolinea il deputato del Fli Enzo Raisi, che presenterà un ordine del giorno — seimila uomini vengono impiegati per garantire la sicurezza delle partite di calcio. È un servizio che viene dato a società private che hanno ricchi bilanci, ed è bene che sia introdotto il principio che questo servizio non può essere gratis. Oltretutto questo contribuirà anche a responsabilizzare le società». D’accordo è anche il capogruppo a Montecitorio dell’Idv, Massimo Donadi: «Mi pare un’idea molto corretta e apprezzabile. Il mondo del calcio ha la capacità finanziaria per non scaricare sulla collettività i costi per la sicurezza determinati dai propri supporter, e in tal modo potremmo recuperare risorse per far fronte ai tagli alla sicurezza».

FAVOREVOLI — ma senza annuncio di mozioni, forse perché pesa il fatto che Berlusconi sia presidente del Milan — anche diversi dirigenti del Pdl. «L’uso degli steward — osserva l’ex sottegretario agli Interni Alfredo Mantovano — ha già dato benefici, ma l’introduzione di questo principio, purché applicato non solo alle partite di calcio ma a tutte le attività che presentano un profilo simile, è da valutare in termini positivi». «Non è un’eresia — osserva il deputato Pdl Riccardo Mazzoni — sostenere che le società facciano, oltre agli steward, un ulteriore sforzo finanziario per la sicurezza. È una sorta di tassa di scopo che l’industria calcio, visto quello che fattura, può permettersi. Purché le società non scarichino poi l’onere sui tifosi aumentando il prezzo dei biglietti».

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I CLUB GESTISCONO LA SICUREZZA NEGLI IMPIANTI DURANTE LE GARE. «COLLABORIAMO CON IL MINISTERO»

«Stadi più tranquilli grazie ai nostri steward»

di ALESSANDRO FIESOLI (Il Giorno 27-08-2012)

STADI italiani più in stile ‘british’, grazie alla presenza degli steward. Ma quanto investono, i club di serie A, nella sicurezza all’interno degli impianti? Possiamo prendere come esempio un grande club, l’Inter, tenendo presente che la normativa prevede la presenza di uno steward ogni 250 spettatori, e che il calcolo della spesa varia in base al numero di tifosi.

LA SOCIETÀ presieduta da Massimo Moratti ha nel proprio bilancio un milione e 600 mila euro alla voce steward. Ne vengono impiegati 600-800 a partita, in base anche all’importanza della gara, con un orario lavorativo di otto ore. Il Milan spende più o meno la stessa cifra. E il clima all’interno dello stadio di San Siro è notevolmente cambiato, come testimonia Pierfrancesco Barletta, direttore area stadio e sicurezza dell’Inter: «In questi ultimi anni — spiega — sono stati fatti enormi passi in avanti per quanto riguarda l’ordine pubblico e i club hanno sicuramente contribuito, attraverso la presenza degli steward, a migliorare la situazione all’interno degli stadi. Le direttive del ministero degli Interni sono state recepite e si sono dimostrate molto efficaci».

Nella sostanza: con gli steward a vigilare sulle tribune e nelle zone interne dello stadio, diminuiscono le forze dell’ordine all’esterno, con una spesa ridotta per lo stato in occasione delle partite, e con un un netto calo per quanto riguarda i reati da stadio.

Vengono in aiuto, in questo senso, i dati dell’ultima stagione calcistica riferiti allo stadio Olimpico, alle partite casalinghe di campionato in casa di Roma e Lazio: steward più 4 per cento (15.735 in totale), forze dell’ordine meno 14 per cento (14.790 unità), nessun ferito fra agenti e tifosi e nessun lacrimogeno, denunce in calo del 31 per cento, arresti meno 44 per cento, e a fronte un più 26 per cento come sanzioni amministrative, a ulteriore conferma del lavoro di prevenzione.

ALLA base di tutto, la grande professionalità dei responsabili dell’ordine pubblico, a cominciare dai vertici del Viminale, dai prefetti, dai questori, dai comandanti dei carabinieri. I club, anche se non tutti nello stesso modo, negli ultimi anni stanno facendo un po’ di più la loro parte rispetto al passato, anche se l’obiettivo, nel passaggio dalla tessera del tifoso alla fidelity card, deve restare quello di riportare, il più possibile, la gente negli stadi.

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