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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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il Giornale 06-06-2012

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Il ritorno di Zeman, l’eretico del pallone. “Vorrei che la Roma offrisse emozioni”

L'allenatore boemo si siede di nuovo sulla panchina giallorossa dopo 13 anni e parteciperà alla serie A dopo 7: un lungo esilio dopo i j'accuse contro il "calcio delle farmacie". “In questi anni si era già prospettata la possibilità di un mio ritorno a Roma - dice - ma tutto fu poi bloccato: non si poteva. C’è scritto in qualche interrogatorio del 2006...”

di Luca Pisapia - Il fatto quotidiano.it .| 5 giugno 2012

L’eterno ritorno di Zdenek Zeman si compie in un pomeriggio alle porte dell’estate. Fuori, nelle strade, i tifosi in festa. Dentro il centro sportivo della Roma una sfinge marmorea, silenziosa, il cui unico vizio è quello di concedersi un ironico sorriso, si ripresenta al calcio italiano che conta. Assente dalla serie A da sette anni (stagione 2004-05 con il Lecce), assente dalla lotta al vertice da tredici anni (stagione 1998-99 con la Roma), il tecnico boemo è ritornato per portare il suo verbo: “Vorrei che la mia squadra riuscisse a divertire la gente e ad offrire emozioni. Poi le emozioni sono di due tipi (si può vincere o perdere, ndr), ma restano sempre sentimenti importanti”. Osare l’impossibile, osare perdere. L’importante è che la gente si diverta. Questa l’eresia zemaniana.

Fu in un altro pomeriggio di mezz’estate di tredici anni fa (ultima stagione alla Roma) che il tecnico lanciò il suo j’accuse al mondo del pallone. “Il calcio deve uscire dalle farmacie” disse. E cominciarono le indagini e i processi sull’abuso di farmaci. Zeman si fece dei nemici, troppi, e per lui allenare in Italia divenne quasi impossibile. L’inquisizione pallonara cominciò la persecuzione di questo anabattista boemo che di parole ne ha sempre pronunciate poche, ma taglienti come la lame. Zeman fu allontanato, deriso, umiliato. L’esilio lo portò in Turchia, poi di nuovo in Italia, ma in serie B. Dopo una pessima esperienza col Napoli in serie A adombrò il sospetto che quel fallimento glielo cucirono addosso apposta. Poteva sembrare paranoia, il tempo ha dimostrato che fu verità.

“In questi anni si era già prospettata la possibilità di un mio ritorno a Roma, ma tutto fu poi bloccato: non si poteva. C’è scritto in qualche interrogatorio del 2006…” racconta. Già: il 2006, l’anno della notte magica di Berlino, l’anno in cui esplose Calciopoli. Quell’anno, coincidenza, Zeman non allenava già più in serie A. Della stagione precedente alla guida del Lecce è rimasta un’immagine: Zeman, sconsolato, che gira le spalle al campo mentre la sua squadra pareggia 3-3 contro il Parma (arbitro De Sanctis…). In una di quelle partite di fine stagione dove “mancano le motivazioni”, come racconta la vulgata ufficiale. Il profeta aveva capito: quello non era più il suo calcio, non poteva esserlo. Girare le spalle al campo fu il suo modo di urlarlo al mondo.

Quell’anno l’inquisizione pallonara – sempre loro, i soliti noti, nelle farmacie come nei rapporti pericolosi con arbitri e dirigenti – anche nel momento della sua rovinosa caduta si premurò che il boemo che l’aveva sconfitta non riuscisse a rientrare in gioco. Ma loro non ci sono più, e lui è di nuovo qui. “Sono tornato, l’avevo promesso”, mormora felice oggi con un filo di voce. Dopo il secondo esilio è ripartito dalla Serbia. Poi la Lega Pro, il ritorno a Foggia, la città dove all’inizio degli anni Novanta l’eretico e godereccio paradiso in terra zemaniano si guadagnò l’attenzione del grande calcio: lì nacque Zemanlandia, laboratorio del divertimento dove si dimostrò che un altro calcio è possibile.

Poi Pescara, una stagione strepitosa, condita dalla promozione e dal lancio di nuove promesse del firmamento calcistico, come al suo solito. Sempre uguale. Fedele alla linea del suo 4-3-3 iper offensivo fatto di sovrapposizioni, fuorigioco e triangoli laterali rapidissimi. “Anche se a qualcuno piace dire che io sia cambiato, e allora glielo lascio credere. Ma preferisco sempre costruire che distruggere: sono un uomo di pace”. Se nel 1999 il primo esilio coincise con le denunce contro il doping e il secondo nel 2006 con Calciopoli, nel 2012 il suo ritorno avviene nell’anno delcalcioscommesse. “Diciamo che in questo periodo nel calcio qualcosa è cambiato. Anzi, se non fosse cambiato non sarei tornato. E’ migliorato sotto i primi due aspetti, mentre per il terzo (le scommesse, ndr) ci vorrà ancora molto per uscire”.

Zeman è tornato per insegnare il calcio e il rispetto, ai suoi ragazzi, agli avversari e anche ai tifosi. E’ tornato per fare divertire, per regalare emozioni. Ieri il Wall Street Journal, di solito poco propenso ad occuparsi di calcio, ma che per un artista come Zeman si è concesso volentieri un’eccezione, gli ha dedicato un articolo e una foto con la didascalia “Il ritorno dello Jedi”. Perché il boemo è tornato per combattere contro le forze oscure che minacciano il gioco più bello del mondo. Anche se lui si schernisce, e sottovoce risponde: “Troppo difficile fare il cavaliere. Sono solo una persona normale, cui piace insegnare calcio e cercare di trasmettere quello che sa per migliorare il prossimo”. Umano, troppo umano. Anche questa è l’eresia zemaniana.

**********************************************************

Ero vicino, ma non si poteva

Luca Pelosi - Ilromanista.it - 06-05-2012

C’è scritto in qualche interrogatorio del 2006 che ero abbastanza vicino ma non si poteva». Ha risposto così Zdenek Zeman ieri a chi gli ha chiesto se c’è stato un momento in cui è stato vicino al ritorno alla Roma. La storia, peraltro, era già nota. Nell’estate del 2005 la Roma contattò Zeman, anzi si accordò verbalmente con lui poi, dopo un incontro nella sede di Capitalia tra un rappresentante della società, Luciano e Alessandro Moggi, non se ne fece più nulla. Già, Moggi. Facciamo un salto indietro nel tempo, tra intercettazioni e, appunto, interrogatori. Il 22 dicembre 2004 Moggi discute con Giraudo di Zdenek Zeman. E dice: «Bisogna fargli qualcosa, non so un sistema... bisogna dargli una legnata...bisogna prendere le emorragie dandogli un danno a questo qua, inventandoci qualcosa, portandogli via un giocatore, trovargli qualche...».

Ripetiamo: Moggi, quello che la Roma incontrava nella sede di Capitalia. Com’era il clima in quel periodo, l’ha raccontato proprio Zeman, come si legge negli atti depositati dai magistrati di Napoli: «Altro metodo utilizzato per realizzare la mia estromissione dal mondo del calcio è sempre stato quello di persuadere vari presidenti di società calcistiche a non assumermi come allenatore... Al termine della stagione 2004/05 e allorché era chiaro che non avrei allenato il Lecce, il vicepresidente dei salentini, Moroni, mi disse testualmente che aveva partecipato a un’assemblea di Lega e che in quella circostanza Antonio Giraudo aveva detto ai presidenti di Palermo e Cagliari, Zamparini e Cellino, che io non dovevo essere assunto come allenatore... ». E alla Roma come ci si arriva? Con altre intercettazioni, sempre agli atti di Calciopoli. Nel 2005 la piazza vuole Zeman. A maggio però Luciano Moggi incontra Rosella Sensi. La situazione è sempre la stessa: il direttore generale della Juventus vuole mettere suo figlio nella Roma. Il 19 maggio Moggi parla della Roma con Capello: «Hanno accettato il principio di collaborazione. In questo momento si pone in essere in maniera diversa, loro sono disponibili a prendere giocatori, non hanno soldi ma fare scambi di giocatori lo fanno!». Capello, che ha nel mirino qualche giocatore della Roma, è soddisfatto: «Va bene». Moggi continua: «Questa ragazza si sente sola e la nostra compagnia gli fa comodo. Lunedì ci rivediamo, speriamo facciano risultato a Bergamo». A Bergamo la Roma vince e si salva. Il 25 maggio Capello richiama Moggi: «Con Rosella ci vediamo martedì, e penso che con lei non ci siano problemi grossi se non stabilire quali siano i giocatori e poi, soprattutto, metterci l’allenatore! Questo è il punto cruciale! Dopo si parte in tromba! Senza nessun problema!». Moggi rivela anche a Capello di aver convinto definitivamente la Sensi a rinunciare a Zeman. «Adesso la situazione lì sta a posto, perché so andati alla Banca a parlare… gli ho fatto mettere tutto a posto! Quindi dovrebbero stare agli ordini». Ma erano altri tempi. I tempi in cui la Roma stava agli ordini.

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Fifa alarmed at widespread 'abuse' of painkillers

By MATT McGRATH, Science reporter (BBC World Service 05-06-12 Last updated at 01:24 GMT)

Fifa's chief medical officer has said the "abuse" of painkillers is putting

the careers and long-term health of international footballers in jeopardy.

Dr Jiri Dvorak found that almost 40% of players at the 2010 World Cup were

taking pain medication prior to every game.

Ahead of Euro 2012, Dr Dvorak has urged football to wake up to the problem.

He told the BBC that younger players are imitating the seniors and taking

painkillers far too frequently.

Fifa's medical team asked team doctors to provide a list of medications that

players were taking ahead of each game in the 2010 World Cup.

Previous surveys at international tournaments established that many players

were using large numbers of pain killing and non steroidal anti inflammatory

drugs (nsaids).

But the results from South Africa 2010, published recently in the British

Journal of Sports Medicine, show higher levels of use than ever before.

Thirty-nine percent of all players took a painkilling agent before every

game.

There were huge differences between countries with some teams doling out

over three medications per player per game.

Teams from North and South America had the highest reported use of

medications per match and per player.

"I think we can use the word abuse - because the dimension is just too much, "

Dr Dvorak told the BBC.

"Unfortunately, there is the trend to increase the intake of medication. It

is something that we have to really take seriously and ask what is behind it?"

Experts say that painkilling medication can be particularly dangerous in

professional sport. In high-intensity exercise like football, a player's

kidneys are continuously working hard, making them more vulnerable to

damage from strong drugs.

Dr Dvorak believes that a major factor in the growing use of painkillers in

football is the pressure on team doctors to get injured players back on the

pitch quickly.

"The team doctors, most of them they are under pressure between the diagnosis

and the appropriate treatment between the pressure to bring the player on the

pitch, if they take them too long out they might be out of a job. "

Former German international player Jens Nowotny knows from his own experience

that there is pressure on everyone.

"It's hard when someone from the club comes and says it's important that you

play and the team and the club needs you - it's your decision but the pressure

from people around - you can't ignore it.

"And the doctors are under pressure too."

Other scientists agree that the Fifa research is concern.

Dr Hans Geyer, deputy director of the Wada (World Anti-Doping Agency)

accredited anti-doping laboratory in Cologne, said: "This is an alarming

signal. We have co-operated with Fifa also in this field and we can confirm

their data."

"What we have seen from the Fifa studies is that often athletes take the pain

killers as a preventive. They take them to prevent a pain which may occur, to

be totally insensitive.

"The problem is, if you switch off alarm systems that protect your tissues,

you can have irreversible destruction of tissue."

Jens Nowotny says players want to play more than anything. To be out injured

means someone else is playing and you may not get your place back.

In his view, footballers are willing to do what ever it takes to stay on the

pitch.

"It's part of the job - maybe it would be better to take no pain killers, to

not ignore the body' s signal to stop, but it is part of the job and we earn a

lot of money - it's part of the business."

Other forms of football are also coming to terms with the use of painkilling

medications.

In the United States, 12 former NFL players are now suing the league over the

use of the powerful anti-inflammatory drug Toradol.

They argue that the medication masked the pain of head injuries and led them

to play on and suffer concussions as result.

The players say that sometimes they were lined up in what they termed a

'cattle call' and injected with the drug whether they were injured or not.

Dr Tanya Hagen is from the University of Pittsburgh medical centre. She works

with many teams in different sports and has acted as a consultant to the

Pittsburgh Steelers in the NFL for 10 years. She says that the easy

availability of powerful pain medications contributes to the problem of abuse.

"Even though the use of painkillers is a hot issue for me, I guarantee that

many of the athletes I work with are taking nsaids without my knowledge or I'm

not even asking them about it.

"Sometimes we don't even see the athletes unless they think it's a severe

enough injury to come see the doctor."

And the risks of using nsaids are not just confined to the kidneys and liver.

There are also worries over their impact on hearts. Dr Stuart Warden from the

University of Indiana is an expert in the use of these drugs by athletes.

"There is an elevated risk of cardio vascular side-effects with almost all

nsaids and the risk increases with duration of use. It is best to limit nsaid

use to when it is indicated - such as the treatment of acute pain and

inflammation.

However, cardio vascular side effect risk does depend on the presence of

other risk factors and the type nsaid being taken. "

As well as concerns about senior players using pain medications at

tournaments like the upcoming Euro 2012, Dr Dvorak is increasingly worried

about younger players.

"Football has to wake up because the youngsters are mimicking the older ones.

We have nsaid abuse in the under-17 age competitions by something like 16-19%

of players. This for me is even more alarming."

"We have to change the attitude. It is a cultural phenomenon because the

medications are so easily accessible."

-------

Is pain medication in sport a form of legal doping?

By MATT McGRATH, Science reporter (BBC World Service 05-06-12 Last updated at 00:32 GMT)

The deputy director of the World Anti Doping Laboratory in Cologne says

that painkillers fulfil all the requirements of a doping substance.

Dr Hans Geyer has been evaluating doping control forms and urine samples

for a decade looking for evidence of pain medication.

He found that athletes in many fields are taking large quantities of these

drugs both in and out of competition.

He says that controlling these drugs in sport is impossible.

Dr Geyer says that as well as the analytical data he has been told directly

by players that abuse of medications is widespread.

"In a world championship in handball I have an original citation from one of

the best players who said 50% of the team that won the championship took

diclofenac - therefore we have to ask what is going wrong? Is the training too

hard? Can a normal person not do these sports without painkillers? This is

very alarming.

"It's well known that Andreas Erm who won a bronze medal in the 50km walk

in the 2003 world athletic championship in Paris received pain killers several

times during the walk - can you tell me this is not performance enhancing?

"His body was not able to walk 50km on this day in such a speed but he won

the bronze medal because he was treated with pain killing medications!"

Doping grey zone

Dr Geyer says that competitors like Erm were not doing anything wrong.

There is obviously a need to treat competitors in an event if they are in pain.

But out of competition he is worried that about the use of medicines. Athletes

may be able to improve their training performance because they don't need

such a long recovery time after a hard session.

"It is a grey zone. In my opinion pain killers fulfil all requirements of a

doping substance because normally pain is a protection mechanism of the

body and with pain killers you switch of this protection system, like if you switch

off fatigue, which is also a protection mechanism of the body.

"Painkillers really enhance performance but they have negative effects on

body tissues, maybe irreversible effects."

But while pain killing medications may have performance enhancing effects,

Dr Geyer believes it will not be possible to limit their use in sport.

"I think the control of these substances is impossible, as they are easily

available in society. Therefore it is not possible to treat the use of

painkillers in the same way as other doping substances. "

Who is responsible?

There are issues relating to the supply of these medications as many of

the most powerful pain killing drugs are available only on prescription.

Dr Geyer argues that the medical community often has no choice but to give

in to the demands of high profile athletes.

"Doctors know that there may be problems with tissues and bones and the

knees and they also know that if they allow the athlete to continue his training

and competing with pain killing medications there will most probably be

irreversible or long-term effects.

"This should be discussed. There a question of ethical responsibility and the

motivation of sports medicine.

"But you know if an athlete doesn't receive the medication from one doctor

he goes to the next and if he is a famous athlete he will receive everything.

This is also a question that should be discussed."

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Processo Telecom, in aula il testimone chiave Tavaroli

Capo della security all'epoca di Tronchetti Provera, conosce tutti i segreti dei dossier su politici, giornalisti e concorrenti

di Luca Fazzo - 06 giugno 2012, 15:16

Un processo che si trascinava stancamente da quasi un anno, con le accuse che una alla volta si avviavano verso la prescrizione, e la sensazione che la vera storia dei dossier illegali di Telecom non sarebbe mai stata scritta. Invece questa mattina nell'aula bunker della Corte d'assise milanese si materializza l'uomo che della creazione di quei dossier conosce tutti i segreti: Giuliano Tavaroli, capo della security di Telecom all'epoca di Marco Tronchetti Provera, l'uomo sotto la cui direzione vennero commissionati e raccolti decine di migliaia di dossier su politici, giornalisti, concorrenti, e persino sui familiari di Tronchetti.

Tavaroli é uscito dalla scena del processo principale patteggiando una condanna a quattro anni di carcere, ma fino all'ultimo sembrava che fosse destinato a non venire mai interrogato in pubblico. Invece, dopo una lunga incertezza accompagnata da qualche manovra sotterranea, il presidente della Corte d'assise Pietro Gamacchio ha deciso: Tavaroli deve rispondere alle domande. Le uniche domande cui potrà opporre il silenzio sono quelle che riguardano i reati fiscali per cui é ancora sotto inchiesta. E tra le domande che lo attendono ce n'é una decisiva: chi fu, nei vertici di Telecom, a ordinare la creazione dei dossier? L'ufficio Security era una "scheggia impazzita" o invece, come sostiene anche una recente sentenza della Cassazione, agiva per conto della proprietà?

11:33 - Tavaroli ha iniziato a rispondere alle domande del pubblico ministero Stefano Civardi. Il pm chiede di ricostruire la genesi degli incarichi che la security di Telecom assegnava agli investigatori privati Cipriani e Bernardini. Tavaroli: "Tutti gli incarichi venivano dall'interno dell' azienda, un manager o una funzione aziendale ci segnalava una esigenza e noi la trasmettevamo al professionista più idoneo". Per le indagini sui parenti di Tronchetti Provera, il cosiddetto dossier " brothers" sui fratelli di Afef Jenin, Tavaroli dice che l'incarico venne direttamente da Tronchetti.

11:53 - Il pm affronta il tema del dossier sull'acquisto di Telecom da parte di Pirelli nel 2001 e del fondo Oak Fund, il Fondo della Quercia che figurava come azionista di minoranza di Bell e che secondo il dossier portava ai vertici del Pds. Tavaroli: "Questa attività è stata chiesta da Buora e da Tronchetti. Esistevano sospetti e chiacchiere che dietro questo socio di Bell non meglio specificato ci fossero dirigenti di Telecom che avessero tratto vantaggio da questa operazione. Si voleva capire chi ci fosse veramente dietro questo fondo che poi liquidò la sua partecipazione in Bell. Fu una attività che Cipriani svolse in modo molto professionale ricostruendo partecipazioni incrociate di società offshore fino a giungere a una ipotesi di proprietà. Questa ipotesi fu oggetto di conversazione tra me e Tronchetti che si sorprese molto e decise di dimenticare questa circostanza". Tavaroli non fa il nome del Pds e il pubblico ministero rinuncia ad approfondire.

12:18 - Il pm interroga Tavaroli sui rapporti tra Telecom e servizi segreti, e in particolare sul ruolo di Guglielmo Sasinini, giornalista di Famiglia Cristiana e consulente di Telecom. Dice Tavaroli: "Sasinini é un professionista che aveva relazioni con tutte le istituzioni di sicurezza del paese, aveva rapporti dal direttore del a funzionari di polizia e carabinieri. Mi ha presentato persone sue amiche che poteva essere importante per noi conoscere. Tra questi il generale Mori del Sisde. Grazie lui organizzammo un incontro istituzionale tra il dottor Tronchetti e il generale Mori". La security di Telecom riceveva informazioni dai servizi di sicurezza? "Telecom riceveva informazioni con le modalità informali con cui questi rapporti vengono tenuti nel nostro paese".

12:44 - La Procura ha concluso il suo interrogatorio di Tavaroli, sfiorando appena i temi chiave. Ma la parola adesso passa alle parti civili.

13:10 - I legali di Massimo Mucchetti, vicedirettore del Corriere della Sera e oggetto di un dossier, chiedono a Tavaroli di spiegare la genesi del dossier sul giornalista. "Un venerdì sera sono stato convocato in via Negri (uffici della presidenza di Telecom) dove mi fecero vedere un articolo del Mondo che ipotizzava la cessione del gruppo Pirelli Cavi, questo anticipava decisioni che erano in corso estremamente riservate di cui i manager potevano essere chiamati a rispondere alla Consob. Mi chiesero di analizzare eventuali rapporti e fughe di notizie che potessero essere andati verso la stampa. Nei giorni successivi venne fatta una riunione in cui si ragionò del Corriere e delle fughe di notizie. Venne chiesto di iniziare a capire le attività che ruotavano intorno ai giornalisti. Anche Carlo Buora mostrò grande determinazione nel dire: voi della sicurezza dovete capire da dive escono queste informazioni e come vengono trasferite all'esterno, trovate il sistema di capire chi, come e quando". L'incursione nei computer di Rcs, dice Tavaroli fu "una stupidaggine sesquipedale di cui mi prendo la responsabilità. Nessuno ha detto mai a Ghioni di entrare nei computer di Rcs. Purtroppo è successo, ma i dati che vennero prelevati non furono mai divulgati a nessuno".

14:17 - "L'operazione Ladroni mi venne commissionata dall'Inter nella persona di Moratti, poi la feci con Facchetti": lo ha detto Tavaroli rispondendo alla domanda del legale dell'ex arbitro De Santis.

L'operazione "Ladroni" portò l'ufficio sicurezza di Telecom a indagare sui rapporti tra Luciano Moggi e alcuni arbitri di serie A.

15:03 - "Non fu Tronchetti Provera a dirmi di indagare sui Ds". Tavaroli lo ha detto rispondendo all'avvocato dei Democratici di sinistra che torna a chiedere dell'operazione sull'Oak Fund, il fondo che, secondo il dossier realizzato dall'investigatore Cipriani, portava al partito di D'Alema e Fassino. L'indagine, spiega Tavaroli, era partita perché si temeva che dietro il fondo ci fossero in realtà manager infedeli di Telecom.

"L'operazione - dice Tavaroli - andò avanti a lungo. Solo all'ultima pagina dell'ultimo rapporto mi resi conto che la attività investigativa riguardava un partito italiano". Il legale dei Ds chiede: perché comunque disse di andare avanti? "Non ricordo se dissi di andare avanti. C'era una struttura di società che rimandavano ad altri. Quando si ipotizzo quel risultato finale il report fu chiuso, ultimato e non utilizzato".

Il legale dei Ds ricorda a Tavaroli che in una intervista disse che il dossier sui Ds era stati ordinato da Tronchetti. "Non l'ho mai dichiarato. Non smentii l'intervista perché in quel momento avevo altre preoccupazioni. Ma nell'intervista c'erano anche altre inesattezze. Comunque Tronchetti non mi diede mai incarico di indagare su nessun partito italiano, estero o extraplanetario. Quando gli portai il risultato dell'indagine Tronchetti si preoccupò molto e si arrabbiò perché non c'entrava nulla con le motivazioni del incarico". Che utilizzo faceste del dossier? "Nessuno".

"L'operazione di controsorveglianza su Kroll fu richiesta da Buora che era il mio capo e dal dottor Tronchetti Provera". Lo ha detto Tavaroli rispondendo alle domande sulla incursione informatica ai danni dell'agenzia investigativa privata Kroll, che assisteva i rivali di Telecom nella lotta per il controllo dei cellulari in Brasile.

15:16 - Udienza chiusa: ma Tavaroli dovrà tornare in aula mercoledì prossimo per gli interrogatori dei legali degli imputati. E a quel punto forse si comincerà davvero a capirci qualcosa.

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Le tre stelle lasciamole ai tifosi

di MATTEO MARANI (GUERIN SPORTIVO.it 30-05-2012)

Prima che tutto il dibattito venisse assorbito dal Calcioscommesse, l’unico

altro tema degno di interesse sembrava la terza stella della Juventus. In

questi giorni, tra una chiusura e l’altra del giornale, mi è capitato di

ripensarci a lungo, quasi come se dello straordinario successo di Conte

rimanesse come unico ricordo l’ossessione dei 30 scudetti, ragione di

spaccatura tra juventini e antijuventini.

Alla cosa aveva contribuito molto la società, almeno fino alla frenata di

qualche giorno fa. I dirigenti bianconeri hanno ideologizzato secondo me

all’eccesso quel 30, arrivando a fissarlo nelle insegne del nuovo stadio,

nelle bandiere fuori dalla sede e persino nello champagne stappato dopo la

vittoria. Lo dico oggi, per non arrivare tra i ritardatari: è stato, almeno

fino a un certo punto, un errore grossolano quello compiuto da Andrea Agnelli,

in questo nipotino ideale di Antonio Giraudo. Esattamente come sbagliò Massimo

Moratti nel volere dare una connotazione di superiorità morale allo scudetto

2006, quello che lui considerava un risarcimento del complotto subito. Ricordo

ancora Materazzi in smoking bianco, poi è arrivata la prescrizione per

illecito. Su quel titolo – d’onestà per gli uni, di cartone per gli altri – si

è spezzato il calcio italiano. E oggi si corre lo stesso rischio su questa

guerra delle tre stelle.

Ognuno si forma una propria verità personale e ne esiste persino una storica

più ampia, che impegna la ricerca negli anni e nei decenni. Voglio dire che

ogni juventino è libero – forse anche con fondati motivi – di ritenere gli

scudetti vinti 30 e non 28. La Juve del biennio di Capello avrebbe vinto anche

senza le telefonate di Moggi, colpito a sua volta dalla paranoia di una

congiura milanese. Però rimane una verità istituzionale, riconosciuta, che nel

nostro caso passa dalla Federcalcio e si riassume in un albo d’oro valido per

tutti. Anch’io ritengo che il Bologna abbia moralmente otto scudetti e non

sette, perché nel 1927 Arpinati (bolognese, per dire dei tempi cambiati) non

fece quanto fatto da Guido Rossi nel 2006. Però mi devo piegare all’albo

ufficiale e quando conteggio i titoli rossoblù, ne riporto sette.

Lo abbiamo fatto anche nel poster della Juve Campione d’Italia, fissando i

28 ufficiali e non i 30 della propaganda. Apriti cielo. Oltraggio al popolo

bianconero. Anzi, per diretta conseguenza, servi noi tutti di dentimarci

Moratti. Così va l’Italia nel 2012. In cui la pubblicità è pronta a sostenere

la tesi del 30 pur di accontentare i tanti clienti bianconeri. Chi se ne frega

se pure questo sgretola l’unità?

Non ho voluto accodarvi il Guerin Sportivo. Nelle nostre pagine, si discute

di storia più che in qualunque altra testata. Ma in maniera seria, profonda.

Abbiamo sollevato noi, e non altri, il discorso relativo agli scudetti della

Juve 1908 e 1909, chiedendo alla Federcalcio una risposta in merito. Ma finché

questa non avverrà, nessuno potrà mai arrogarsi il diritto di autoproclamare

il proprio numero di titoli. Altrimenti salta il tavolo, svanisce un piano

condiviso, un codice comune. E si va ognuno per la propria strada, senza più

grammatica che ci faccia riconoscere gli uni con gli altri, producendo la

violenza verbale di siti internet trasformati in latrine di odio. Per questo,

e lo ripeto, Andrea Agnelli ha sbagliato a fare il capopopolo, a cercare il

consenso con la facile demagogia. Ho preferito le parole di Antonio Conte:

«Per me è lo scudetto numero 1 come allenatore».

Se un principio non sta più bene, si esce da quel mondo, si va altrove. Chi

non accetta un sistema, ancorché ingiusto e fallace, lo abbandona. Lo ha fatto

la stessa Juve all’indomani della condanna di Luciano Moggi, scaricandolo alle

sue responsabilità. Non possiamo francamente assistere a un club che si appone

30 scudetti sulla maglia, magari con un espediente di marketing grafico, e che

fa parte di una Federazione che gliene attribuisce 28. È incoerente. Di più: è

schizofrenia. Le tre stelle lasciamole ai tifosi, i tesserati hanno altri

obblighi. In tutto questo ho tenuto in fondo la Federcalcio, la sempre più

accerchiata Federcalcio. Da anni assiste in beata solitudine alla protervia

dei grandi club, disquisendo come i savi dottori di Bisanzio sulla liceità

degli atti. A volte spiace che Abete sia una persona troppo perbene.

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SCENARI ITALIA (Panorama | 13 giugno 2012)

TALK SHOW

Qual è la ricetta giusta

per salvare il calcio

Le ultime inchieste sul calcioscommesse

accrescono delusione e irritazione nei tifosi.

Ci si chiede quali strade bisogna intraprendere

per risanare lo sport più amato del mondo.

-------

Eliminare i contatti con il mondo degli ultrà

e fissare penali salate a carico dei giocatori

di GIUSEPPE CRUCIANI, giornalista

Ricominciamo da Gigi Buffon. Il portierone ha suggerito piccole regole

per limitare i danni (il calcio non è un mondo a parte, i truffatori

ci sono stati, ci sono e ci saranno sempre): penali economiche

fortissime nei contratti dei calciatori, se sgarrano, e bloccare le

giocate sulle partite che alla fine del campionato sono più facili da

truccare. Cose di buon senso, ma nessuno ne parla.

La chiave sono i soldi. Se rischia di perderli, anche il più

disonesto può avere un ripensamento. Va vietato ogni contatto col

mondo ultrà. Vie-ta-to. Sono raccapriccianti le immagini di calciatori

(e dirigenti) in balia del primo delinquente che passa E se certi

figuri dominano le curve, l'unica ricetta è quella di chiuderle per un

lustro lasciando quello spazio ai bambini. E poi stadi privati,

sicurezza affidata alle società, cancellare quella roba medioevale che

è la responsabilità oggettiva nel processo sportivo. Se un giocatore è

un malandrino, perché devono pagare tutti?

-------

Credibilità perduta da riconquistare,

ricordando che il gioco è divertimento

di RINO GATTUSO, calciatore del Milan dal 1999 al 2012

L'obiettivo del calcio italiano dev'essere quello di riconquistare

credibilità. Innanzitutto è desolante vedere le condizioni in cui sono

ridotti gli stadi, paragonati a quelli di altre nazioni. Ma

soprattutto occorre più attenzione verso i bambini.

Quando ero piccolo giocavo parecchie ore al giorno e fino a 12 anni

nessuno mi ha insegnato la tecnica. Oggi, invece, i bambini sono

tesserati dalle scuole calcio che, a pagamento, li fanno giocare al

massimo tre ore la settimana facendoli correre fra i birilli e di

fatto annoiandoli. Secondo me è sbagliato: dai 6 agli 11 anni devono

giocare per divertirsi. Andrebbe a tutto vantaggio delle stesse scuole

calcio, con un duplice risultato: sarebbe più facile scovare i talenti

di cui abbiamo bisogno, riuscendo magari a ridurre le ore passate

davanti ai videogiochi, e toglieremmo molti ragazzi dalle strade. Nel

nostro sport i problemi seri esistono da tempo, da prima di

Calciopoli. Anche se la gente ci seguirà sempre, è nostro dovere

costruire una base solida per riconquistare la credibilità.

-------

Giustizia ordinaria diffusa e capillare.

Così il male sarà debellato

di RAFFAELE GUARINIELLO, procuratore aggiunto della Repubblica di Torino

Bisogna fare un'analisi spietata dei fatti: dopo i casi di

condizionamento degli arbitri, di doping e di scommesse, il calcio è

malato. Bisogna dunque combattere una battaglia contro la frode

sportiva. Questa battaglia si può combattere su due fronti: quello

della giustizia sportiva e quello della giustizia ordinaria. Sarebbe

molto bello se il calcio fosse capace di rigenerarsi con le sue forze,

però oggi non ci riesce. Come non mi sembra che la giustizia sportiva

sia in grado di combattere fino in fondo questa battaglia.

Resta allora la giustizia ordinaria, che sta lavorando bene e sta

scoprendo molte cose che non vanno. Quel che si deve fare è rendere

l'azione della giustizia ordinaria molto più diffusa, capillare,

sistematica. Solo così riusciremo a debellare la malattia. Le procure

devono continuare a lavorare e a smascherare i colpevoli, ma il mondo

del calcio deve sapere cogliere questi segnali e fare qualcosa per

difendere quello che è ancora il gioco più bello del mondo.

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Inviato (modificato)

DAL CASO TELECOM UNA NUOVA GRANA PER PALAZZI

Tavaroli ribadisce

«Operazione Ladroni

ordinata da Moratti»

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 07-06-2012)

ROMA. Clamoroso a Milano: al processo Telecom depone, dopo un’udienza

andata buca per malore, Giuliano Tavaroli. E manda in frantumi la tesi di Moratti

e dell’Inter sul dossieraggio illegale ai danni dell’arbitro De Santis e di

altri attenzionati nell’Operazione Ladroni. Ricordiamo che in un appunto della

segretaria dell’ex investigatore Telecom, Adamo Bove (morto suicida nel 2006

allo scoppiare dello scandalo), comparivano come utenze telefoniche da

attenzionare quelle intestate alla Juventus in uso a Giraudo e Moggi, quelle

targate Figc in uso a Bergamo e Pairetto, due telefoni della Gea e il numero

dell’ex arbitro di Tivoli intestato all’amico e assistente Ceniccola, quella

di Mariano Fabiani. «L’Operazione Ladroni mi venne commissionata dall’Inter

nella persona di Moratti, poi la feci con Facchetti», ha detto sotto

giuramento lo spione al centro dello scandalo Telecom. Esattamente il

contrario di quanto riferito da Moratti all’Ufficio Indagini della Federcalcio

il giorno 3 ottobre 2006 a Francesco Saverio Borrelli, allora capo degli

investigatori Figc, ai suoi vice Loli Piccolomini, Leonelli e Scquicquero.

«Non ricordo se avvenne o meno un incontro a tre, vale a dire con Tavaroli, il

Facchetti e il sottoscritto - mette a verbale il numero uno dell’Inter -, non

ho mai dato alcun mandato al Tavaroli per redigere un dossier sull’arbitro De

Santis né ho mai visto un documento in merito. Ho appreso solo dalla recente

lettura dei giornali dell’esistenza del cosiddetto “Dossier Ladroni”. In

termini più espliciti confermo di aver contattato il Tavaroli per consultarmi

su quanto stava avvenendo col Nucini, m a escludo di avergli dato alcun

mandato per svolgere indagini sul De Santis (?) l’incontro col Tavaroli

(avvenne, allora? Ndr) non aveva avuto alcun concreto seguito».

ARTICOLO 39 Quanto basta perché la Procura federale chieda (sono emersi

fatti nuovi) la revisione ex articolo 39 di quell’archiviazione e creare i

presupposti per rivedere il criterio di illibatezza previsto dal parere

federale del 2006, anche se a posteriori.

Una contraddizione che poteva emergere molti anni fa, questa: sarebbe

bastato chiedere a Moratti di commentare nel marzo 2007, prima dell’archiviazione

per prescrizione e improcedibilità nei confronti del già defunto Facchetti, gli

interrogatori di Tavaroli che la stessa versione fornita ieri sotto giuramento

la sciorina da sei anni. Ma la Figc non lo fece. Bastò la versione Moratti. E

archiviò la pratica col procuratore Palazzi a fine giugno del 2007. Certo,

viene in mente che di recente - il 30 marzo 2011 - Palazzi si scomoda e va a

Milano a sentire Moratti sulle telefonate scoperte da Moggi e dalla sua difesa,

sulla vicenda Calciopoli 2: la questione Nucini era stata sviscerata in aula

a Napoli, aveva già riempito i giornali dal 2006 (mai attenzionata e creduta

sui rapporti segreti con Facchetti). Ha, Palazzi, fatto la domanda a Moratti

sul Dossier Ladroni? E ora, di fronte a tutto questo cosa farà la Figc, in

attesa del duello al Tar con la Juventus proprio sulla dis-par condicio

investigativa e sullo scudetto assegnato a Moratti?

CONTRADDIZIONE Un’udienza, quella di ieri, che andrà aggiornata a

mercoledì prossimo, quando Tavaroli - dopo le domande dei pm e delle parti

civili che chiedono i risarcimenti per le azioni di intelligence illegale del

gruppo guidato proprio da Tavaroli nella gestione Tronchetti Provera -

dovrà rispondere alle domande degli avvocati difensori. Riduce la portata

delle responsabilità ascritte a molti chiamati in causa. Amplia a dismisura,

invece, la posizione relativa al dossieraggio illegale effettuato ai danni

dell’arbitro De Santis, ma anche di quelli che vennero attenzionati da Adamo

Bove. Insomma, a Moratti non fa sconti, Tavaroli.

LE DIVERSE VERSIONI E manda in pesantissima contraddizione anni di

versioni interiste e di Moratti soprattutto sulla vicenda dello spionaggio ai

danni delle utenze dei dirigenti juventini Giraudo e Moggi, dell’arbitro De Santis

(che chiede all’Inter 21 milioni di risarcimento per lo spionaggio Telecom), i

designatori Bergamo e Pairetto e alcune utenze Gea. Tavaroli sotto giuramento

ai giudici di Milano conferma quanto asserito in fase d’indagine e contestato

(con la Figc a credere al numero 1 interista) che fu proprio Moratti e l’Inter

a commissionare l’Operazione Ladroni. «L’operazione Ladroni mi venne

commissionata dall’Inter nella persona di Moratti, poi la feci con Facchetti»:

lo ha detto Tavaroli rispondendo alla domanda dei legali dell’ex arbitro De

Santis, Irma Conti, che assiste la parte civile De Santis con Paolo Gallinelli.

DOMANDE Ora le domande che riemergono sono tante: quell’indagine

privata illegale venne datata dallo stesso Moratti alla Figc tra il 2002 e il

2003, due anni prima dell’inizio del lavoro di Auricchio e dei pm di Napoli.

Che attorno alle stesse identiche figure si muovono: Moggi, Giraudo,

Bergamo, Pairetto, De Santis (unico arbitro intercettato), la Gea? Un caso? E

perché la pm Bocassini non ha mai voluto rendere pubblico il

contenuto dell’archiviazione della “chiacchierata” in Procura con Nucini? E

la Figc ha mai chiesto copia di quell’atto? E perché da ultimo il

vicepresidente interista Ghelfi, in rappresentanza del club milanese nella

recente causa civile promossa da De Santis ha dichiarato - come da memoria

depositata - che Facchetti avrebbe agito autonomamente nella vicenda

Tavaroli-Nucini? E negato ogni interessamento dell’Inter? Le risposte a

queste domande interessano molto alla Juventus, che in sede Tar chiede

un maxirisarcimento da 443 milioni alla Figc. Certo, la Procura federale è

ora in altre faccende affaccendata, ma un quarto d’ora per rispondere prima

della chiamata al Tar del Lazio, forse è il caso che lo si trovi.

___

IL CASO

«Spiavo De Santis

per conto di Moratti»

Tavaroli in aula ammette: «Il dossier Ladroni mi venne

ordinato dal patron dell'Inter e lo gestii con Facchetti»

Fatti prescritti per la giustizia sportiva, ma si riapre la questione etica

di MARCO IARIA (GaSport 07-06-2012)

«L'operazione Ladroni mi fu commissionata da Massimo Moratti, poi io la gestii

con Giacinto Facchetti». Nel bel mezzo di una deposizione-fiume al processo

sui dossier illegali Telecom ai danni di politici, imprenditori, giornalisti,

sono bastate queste parole di Giuliano Tavaroli a riaprire il pentolone delle

polemiche su Calciopoli. Perché per la prima volta l'ex capo della sicurezza

di Telecom e Pirelli ha detto in un'aula di tribunale, in qualità di testimone

(dopo aver patteggiato 4 anni) e quindi sotto giuramento, ciò che aveva

riferito ai pm di Milano nell'autunno del 2006. A porgergli la domanda i

legali dell'ex arbitro Massimo De Santis, parte civile nel procedimento in

Corte d'assise, che nella causa per risarcimento danni rinviata ad ottobre

chiederà all'Inter 21 milioni di euro. De Santis è stato oggetto di

investigazioni riservate tra il 2002 e il 2003, realizzate anche dall'agenzia

Polis d'Istinto di Emanuele Cipriani, sulla cui scrivania fu trovato il

dossier Ladroni: l'input sarebbe partito dopo una denuncia dell'ex arbitro

Danilo Nucini all'allora presidente nerazzurro Facchetti sull'esistenza di una

presunta combriccola romana.

Meccanismo È stata una dipendente Telecom, Caterina Plateo, a raccontare

agli inquirenti come funzionava il dossieraggio, producendo gli appunti

manoscritti sui tabulati «spiati» (con orario, durata e destinatari delle telefonate),

in particolare «gli sviluppi del traffico in entrata e in uscita su utenze

telefoniche intestate a Figc, Ceniccola (ex guardalinee, ndr), Juventus e Gea

World. Mi sono stati richiesti come al solito da Adamo Bove (allora dirigente

Telecom, poi suicidatosi, ndr) in data 11-2-2003 e dopo la mia elaborazione

sono stati consegnati allo stesso». Non intercettazioni, cioè ascolto delle

conversazioni, ma dati sui traffici magari per scoprire connessioni tra vari

soggetti, attraverso il cosiddetto sistema Radar, programma antifrode nelle

intenzioni, rivelatosi strumento di controllo illecito in grado di non lasciar

traccia in azienda. Tavaroli, in uno degli interrogatori, aggiunse che

l'attività sul calcio riguardava anche accertamenti bancari.

Moratti L'Inter ha sempre respinto qualsiasi addebito. Ascoltato il 3 ottobre

2006 dall'allora capo dell'ufficio indagini Figc Francesco Saverio Borrelli,

Massimo Moratti dichiarò che sulla scia delle rivelazioni di Nucini a

Facchetti «ritenni opportuno fare delle verifiche in merito e a tal fine mi

rivolsi al Tavaroli, che conoscevo come persona capace che curava la sicurezza

della Pirelli (...) Non ho mai dato alcun mandato al Tavaroli per redigere

dossier sull'arbitro De Santis né ho mai visto alcun documento in merito». Per

l'Inter nessun coinvolgimento in sede penale e un fascicolo aperto dai

procuratori federali (relativo anche a presunti pedinamenti di Vieri, Mutu,

Jugovic e Ronaldo) e archiviato il 22 giugno 2007, con un'ulteriore coda senza

esito dopo l'esposto della Juventus sullo scudetto 2006 revocato ai bianconeri

e assegnato all'Inter a tavolino. È vero che la fattura da 50 mila euro per

l'operazione Ladroni venne pagata a Cipriani da Pirelli e non dall'Inter, ma

lo stesso investigatore privato ha fatto mettere a verbale: «Tavaroli spiegò

che era opportuno che l'investigazione non risultasse». A quei tempi, tra

l'altro, Pirelli era socia dell'Inter col 19,5% delle azioni.

Intrecci Anche se ieri Tavaroli non ha fatto che confermare la deposizione

resa ai magistrati, la portata delle sue dichiarazioni è evidente.

Innanzitutto per il contesto (davanti ai giudici) ma anche e soprattutto per

l'eco sull'opinione pubblica. Sullo sfondo dei tradizionali legami tra Inter e

Pirelli-Telecom, dossieraggi illegali su una serie di soggetti (compreso

Mariano Fabiani, ex d.s. di Messina e Genoa) vicini all'ex direttore generale

della Juve Luciano Moggi, avvenuti tra il 2002 e il 2003. Poi, nel 2004,

l'avvio delle indagini della Procura di Napoli che svelarono l'esistenza di

una cupola tale da condizionare arbitri e apparati delle istituzioni

calcistiche e condussero nel 2006 alla retrocessione in B della Juventus e

alla decapitazione dei suoi vertici dirigenziali. È una successione di fatti

che, agli occhi del popolo bianconero, rimette in discussione perfino la

genesi di Calciopoli. Quel che è certo è che si riapre l'eterna questione

etica sottesa a cavilli e formalismi. Per la giustizia sportiva i fatti

riemersi ieri sono coperti da prescrizione. L'Inter non rischia nulla. Moratti,

semmai, deve preoccuparsi per la richiesta milionaria di risarcimento danni

di De Santis (oltre a quella di Vieri). E per il dibattito che giocoforza si

riaccende sull'opportunità di aver assegnato il titolo 2006 all'Inter.

-------

LE REAZIONI

Club in silenzio

Ma sul web i tifosi

si scatenano

di ANDREA FANÌ (GaSport 07-06-2012)

Quella testimonianza, sulle operazioni di dossieraggio ai danni dell'ex

arbitro De Santis e altri soggetti «per conto di Moratti e dell'Inter» che

ieri Giuliano Tavaroli ha rilasciato al Tribunale di Milano, ha scatenato una

serie di reazioni uguali e contrarie.

Il silenzio Zero movimenti dai canali ufficiali dei due club, il cui

antagonismo si è decisamente inasprito dopo i fatti di calciopoli. Né la

Juventus né l'Inter ieri hanno commentato la testimonianza dell'ex capo della

sicurezza di Telecom e Pirelli, società riconducibili entrambe a Marco

Tronchetti Provera all'epoca dei fatti rivelati da Tavaroli (primi sette mesi

del 2003).

Il rumore A fare da contrappunto al silenzio delle società, le numerose

reazioni dei tifosi, specie in rete. «È finalmente arrivata l'ora di dire la

verità su calciopoli: è stata tutta una montatura» sostiene la maggioranza del

popolo juventino, che chiede ai vertici dell'Inter, di «rinunciare alla

prescrizione» che ha congelato il fascicolo aperto la scorsa estate dal

procuratore Figc, Stefano Palazzi. «Ho sempre creduto nell'operato e

nell'onestà della Juventus» si spinge a dire Vincenzo su un forum. Fanno muro,

compatto, i tifosi dell'Inter, la cui «strategia» difensiva è sintetizzata da

quel «Tavaroli getta fango su Tronchetti Provera solo per vendetta», postato

da Davide su un sito di sostenitori nerazzurri. «Piuttosto la Figc ci assegni

anche gli altri scudetti rubati dalla Juve negli anni precedenti» ha scritto

un altro tifoso interista.

___

IL CASO DE SANCTIS

Tavaroli: «I dossier

me li chiese Moratti

Li feci con Facchetti»

L’ex responsabile della sicurezza di Pirelli e Telecom coinvolge il mitico giocatore scomparso

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 07-06-2012)

MILANO - «L’“Operazione Ladroni” mi venne commissionata dall'Inter nella

persona di Moratti, poi la feci con Facchetti» : ecco l’accusa lanciata ieri

da Giuliano Tavaroli durante il processo sul caso dei dossier illegali

celebrato nell'aula bunker della Corte d'Assise di Milano. L’ex responsabile

della sicurezza di Pirelli e Telecom, rispondendo come testimone a una domanda

di Irma Conti, legale di De Santis (l’ex arbitro ha chiesto 21 milioni di euro

come risarcimento danni per essere stato spiato), non ha avuto incertezze nel

sottolineare che l’input proveniva dal patron nerazzurro e ha ribadito

un’accusa che aveva già formulato nell’ottobre 2006 quando era in carcere a

Voghera.

I FATTI - Agli atti dell'inchiesta, risultano più dossier, tra i quali quelli

di De Santis, dell’ex direttore sportivo di Messina e Genoa Mariano Fabiani e

del guardalinee Enrico Cennicola, confezionati tra il gennaio e il luglio del

2003. Della vicenda ha parlato anche l'investigatore privato Emanuele Cipriani

che aveva portato avanti parte dell’opera con la sua società, la Polis

d’Istinto. «Tavaroli si limitò a dirmi che De Santis era un arbitro che

probabilmente prendeva i soldi - ha fatto mettere a verbale Cipriani - e che

occorreva controllare società sportive in Calabria per verificare un possibile

collegamento con De Santis. L'incarico mi venne conferito da Tavaroli in

Pirelli e io fatturai alla Pirelli su richiesta espressa di Tavaroli» .

Moratti ha più volte spiegato, anche davanti alla giustizia sportiva, che «un

uomo si offrì di mettere sotto osservazione De Santis sottolineando che

conosceva alcune persone in grado di darci informazioni, ma non ne uscì nulla.

Zero su tutta la linea. L’Inter però non ha dato nessun mandato per seguire

qualcuno» .

IRRITAZIONE - Dalla sede dell’Inter nessun commento ufficiale, ma viene fatto

rilevare che Moratti non ha mai ordinato qualcosa di illegale, tanto meno

l’Operazione Ladroni, e che quel dossier non è mai stato visionato né pagato.

In corso Vittorio Emanuele, insomma, non c’è preoccupazione, trattandosi di

una vicenda sulla quale la giustizia sportiva ha fatto accertamenti a

ripetizione, piuttosto profonda amarezza perché viene coinvolta ancora una

volta la figura di chi (Facchetti) non c’è più.

___

PROCESSO TELECOM, TAVAROLI CONFERMA IN AULA

“Fu Moratti il mandante

del dossier De Santis”

Nelle carte riferimenti anche a utenze Juve

Il presidente dell’Inter ha sempre negato

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 07-06-2012)

L’operazione «Ladroni» parte da lontano, ha l’ex arbitro Massimo De Santis

come protagonista, o meglio, vittima di spionaggio (dai conti bancari alle

uscite a cena) e, da ieri, un mandante, secondo quanto affermato sotto

giuramento in un aula di tribunale - quello di Milano - da Giuliano Tavaroli,

ex capo della security di Telecom e Pirelli. «Sì, l’input per confezionare il

dossier Ladroni venne da Moratti. Per l’Inter...», la risposta di Tavaroli,

testimone-imputato al processo sui dossier illegali, alle domande dei legali

dell’ex fischietto De Santis, Irma Conti e Paolo Gallinelli.

Tavaroli racconta la sua verità, la stessa fatta mettere a verbale

nell’interrogatorio del 29 settembre del 2006 nel carcere di Voghera.

«...Attorno alla fine del 2002 ebbi un incontro con Moratti e Facchetti presso

la sede della Saras. Facchetti rappresentò a me e a Moratti di essere stato

avvicinato da un arbitro della delegazione di Bergamo che in più incontri

aveva rappresentato un sistema di condizionamento delle partite di calcio

facente capo a Moggi ed avente come perno essenziale l’arbitro De Santis... Si

raggiunse l’accordo - così Tavaroli - nel corso di quella riunione che

Facchetti dovesse incontrarsi nuovamente con l’arbitro (Nucini, ndr). . . .

Contestualmente, sulla base di alcuni numeri cellulari che Facchetti mi diede

dicendomi che erano riferibili a Moggi, chiesi a Bove (responsabile della

sicurezza della Tim, ndr) di verificare se quei numeri fossero attivi. . . ».

Eccoli i protagonisti: Tavaroli, l’investigatore privato Cipriani, a cui fu

dato il compito di agire, e la segretaria di Bove, Caterina Plateo, i cui

appunti contenevano riferimenti ad accertamenti sulle utenze anche

intestate alla Juve e alla Gea. Moratti ha sempre ammesso di «non aver

mai commissionato altre indagini oltre a quella fatta svolgere su Vieri».

Il patron nerazzurro davanti all’allora capo dell’Ufficio Indagini della

Federcalcio, Francesco Saverio Borrelli - interrogatorio del 3 ottobre del

2006 - ha negato «di aver dato alcun mandato al Tavaroli per redigere un

dossier sull’arbitro De Santis o di aver mai visto alcun documento in merito.

Ho appreso - raccontò il patron nerazzurro Moratti agli inquirenti federali -

solo dalla recente lettura dei giornali dell’esistenza del cosiddetto “Dossier

Ladroni”. In termini più espliciti, confermo di aver contattato Giuliano

Tavaroli per consultarmi su quanto stava avvenendo con Nucini, ma escludo di

avergli dato alcun mandato per svolgere indagini su De Santis.. . ». La Figc,

nel giugno del 2007 arrivò ad archiviare il procedimento e lo fece l’attuale

capo della procura Stefano Palazzi.

___

Milano «Ecco cosa feci per Moratti e l’Inter»

Dossier, Tavaroli difende Tronchetti

di LUIGI FERRARELLA (CorSera - Cronache 07-06-2012)

MILANO — Una difesa totale di Marco Tronchetti Provera, un pizzicotto

calcistico a Massimo Moratti, un accenno ma solo in generale a un ordine

dell'ex amministratore delegato di Telecom Carlo Buora, un attestato di

estraneità ai Ds: è la deposizione ieri di Giuliano Tavaroli al processo per i

dossier illeciti della Security di Pirelli-Telecom, dove torna in parte teste

avendo già patteggiato 4 anni.

Inter L'avvocato di parte civile dell'arbitro Massimo De Santis gli chiede da

dove nel 2002 venisse l'ordine dell'«operazione Ladroni», dossier a base

di pedinamenti e ricerche patrimoniali realizzato dall'investigatore privato

Emanuele Cipriani (e fatturato non all'Inter ma alla Pirelli, all'epoca

secondo azionista di Inter col 19%) a caccia di incongruità che nell'arbitro

potessero svelare o condizionamenti dal sistema-Moggi o prevenzioni verso

l'Inter: «Venne da Moratti, e poi io gestii la pratica con Facchetti» (morto),

è l'asciutta risposta di Tavaroli. Moratti, invece, alla Federcalcio nel 2006

e poi sempre, ha affermato d'avergli chiesto solo un consiglio, senza ordinare

nulla.

Oak Fund Era il dossier stilato nel 2002 con 13 report da Cipriani tramite

inverificabili carte bancarie internazionali di una sua asserita «fonte» ex

agente di Scotland Yard, e prospettava che dietro un fondo azionista della

Bell (protagonista nel 2001 della scalata a Telecom) vi fossero dirigenti dei

Democratici di sinistra, partito costituitosi parte civile per tutelarsi da

quello che denuncia come un clamoroso falso. L'operazione, premette Tavaroli,

partì perché Tronchetti voleva verificare voci che accreditavano profitti di

infedeli manager Telecom dietro l'Oak Fund: invece «solo all'ultima pagina

dell'ultimo rapporto mi resi conto che riguardava un partito. Cipriani alla

fine di un lavoro professionale giunse a una ipotesi di proprietà» (appunto i

Ds) «che riferii oralmente solo a Tronchetti». Ma costui «immediatamente

decise di non utilizzare la circostanza, dimenticare, "bruciare"». È proprio

quanto Tronchetti ha sempre affermato. L'avvocato dei Ds, Luongo, obietta

però a Tavaroli l'intervista a Repubblica in due puntate nel luglio 2008 in cui

diceva che a ordinargli un dossier sui Ds era stato Tronchetti: «Non l'ho mai

dichiarato — asserisce Tavaroli —, non ho mai indicato il senatore ds Nicola

Rossi come beneficiario, nelle carte che vidi non c'era alcuna prova di soldi

ai Ds, non ho mai fatto quell'intervista, erano conversazioni di mesi prima e

con molte cose inesatte e false. Non la smentii dietro consiglio del mio

legale e perché avevo altre preoccupazioni. Forse ho sbagliato. Ma deve essere

chiaro che Tronchetti mai mi ha chiesto di indagare su alcun partito del

mondo».

Giornalista Quanto al dossieraggio su Massimo Mucchetti del Corriere,

praticato dallo 007 privato Marco Bernardini e dall'hacker Fabio Ghioni,

Tavaroli attribuisce all'allora amministratore di Telecom «Buora e a De Conto»

solo l'ordine di «capire chi-come-quando dentro le aziende stesse alimentando

fughe di notizie alla base di articoli» sgraditi ai vertici aziendali, come

uno di Mucchetti. Ma Tavaroli scarica su Bernardini e Ghioni «le modalità

aggressive» sul giornalista e su Colao, quali l'intrusione informatica del

novembre 2004 ai pc del Corriere: «Non l'ho né ordinata né saputa, i dati

presi non sono stati mai letti o condivisi in azienda, fu una stupidaggine

sesquipedale di Ghioni, della quale come omesso controllo mi assumo la

responsabilità. Ma nessuno, né io né il management che pure aveva un interesse

per Mucchetti, ha mai ordinato a Ghioni un'attività così fuori luogo e priva

di senso».

___

la Repubblica ne parla, in un piccolo riquadro, solo per il riferimento a

Mucchetti, sull'edizione nazionale: più realista del re.

___

LO DICE TAVAROLI

«Moratti mi ordinò di spiare l’arbitro De Santis»

art.non firmato (Libero 07-06-2012)

MILANO L’incursione nei pc di Rcs fu una stupidaggine «sesquipedale di cui mi

prendo la responsabilità per difetto di controllo. Nessuno del management ha

ordinato mai a Ghioni (Fabio Ghioni, ex capo dell’ex Tiger team, ndr)di fare

un’attività così intrusiva. Purtroppo è successo, ma i dati prelevati non

furono mai divulgati a nessuno». A dirlo Giuliano Tavaroli, ex capo security

di Telecom sentito ieri nell’aula-bunker di San Vittore al processo sui

dossier illegali. Tavaroli è stato ascoltato come testimone imputato di

procedimento connesso.

«L’ex ad di Telecom, Carlo Buora, e l’allora direttore amministrativo,

Claudio De Conto » ha detto, «chiesero di indagare sulla fuga di notizie

interne all’azienda e poi pubblicate sulla stampa». Tavaroli ha aggiunto che

all’epoca dei fatti fu convocato negli uffici della presidenza di Telecom dove

gli fecero vedere un articolo del Mondo che ipotizzava la cessione del gruppo

Pirelli Cavi. «La notizia anticipava decisioni in corso, estremamente

riservate, cui i manager potevano essere chiamati a rispondere alla Consob».

Sempre ieri Tavaroli ha affermato che Massimo Moratti gli ordinò la pratica

«Ladroni», quella che riguarda in particolare l’ex arbitro De Santis. Moratti

disse che era «per l’Inter». Oltre a De Santis il dossier - confezionato tra

il gennaio e il luglio 2003 - riguardava altre 4 persone. Per i termini

organizzativi Tavaroli prese contatti con l’allora dirigente neroazzurro

Giacinto Facchetti.

___

TELECOM

TAVAROLI TIRA IN BALLO

TRONCHETTI E MORATTI

di ANTONELLA MASCALI (il Fatto Quotidiano 07-06-2012)

Giuliano Tavaroli, l’uomo chiave dei dossier illegali targati security

Pirelli-Telecom ieri ha deposto al processo di Milano. Ha tirato in ballo

Marco Tronchetti Provera, l’ex Ad di Telecom, Carlo Buora e il presidente

dell’Inter, Massimo Moratti. Tavaroli, che ha patteggiato, per la prima volta

esplicita chi gli diede l’ordine di spiare la società brasiliana Kroll:

“L’operazione di controsorveglianza su Kroll fu richiesta da Buora che era il

mio capo e dal dottor Tronchetti (indagato, ndr)”. Interrogato dagli avvocati

Mario Zanchetti e Domenico Pulitanò, per la parte civile Massimo Mucchetti,

racconta la genesi del dossier sul vicedirettore del Corriere della Sera: “Un

giovedì sera sono stato convocato in via Negri (presidenza Telecom, ndr) dove

mi fecero vedere un articolo del ‘Mondo’ che ipotizzava la cessione del gruppo

Pirelli Cavi. Anticipava decisioni estremamente riservate… Anche Carlo Buora

mostrò determinazione nel dire: voi della sicurezza dovete capire da dove

escono queste infor mazioni...”. Tavaroli, poi, scarica su Ghioni l’intrusione

nel Pc di Vittorio Colao, ex Ad di Rcs: “Fu una stupidaggine sesquipedale di

cui mi prendo la responsabilità per difetto di controllo. Nessuno del

management ha ordinato a Ghioni di fare un attività così intrusiva”. In aula

viene rievocato poi Calciopoli ai tempi di Moggi. L’avvocato Irma Conti, per

l’ex arbitro Massimo De Santis, parte civile, chiede chi gli commissionò

l’operazione “Ladroni”. Tavaroli coinvolge Moratti: “Mi venne commissionata

dall'Inter nella persona di Moratti. Per le questioni organizzative presi

contatti con Facchetti (lo scomparso dirigente neroazzurro, ndr)”.

___

Il caso Il processo sui dossier illegali

Tavaroli: «Nessuno ordinò lo spionaggio in Rcs»

L’ex capo della security Telecom: «Da Tronchetti mai avuto incarichi su partiti italiani o esteri»

di LUCA FAZZO (il Giornale 07-06-2012)

Si erano mossi mari e monti per evitare che Giuliano Tavaroli venisse a

testimoniare nell’aula del processo per i dossier illegali di Telecom: come se

dalla deposizione del vecchio capo dell’Ufficio sicurezza del colosso

telefonico dovessero arrivare chissà quali altre rivelazioni. Invece nell’aula

bunker, davanti alla Corte d’assise, si è materializzato un tranquillo manager

di mezza età, vistosamente privo di voglia di fare sfracelli. E anche le

domande che gli sono state poste sono suonate pacate e quasi timorose.

Così l’unico affondo lo ha tentato il legale di Massimo Mucchetti, vicedirettore

del Corriere della sera , vittima - insieme ai vertici dell’azienda - delle

incursioni informatiche del Tiger Team, gli hacker al servizio di Tavaroli.

Chi fu a dare l’ordine? Tavaroli racconta che Carlo Buora, ad di Telecom,

esasperato per le continue fughe di notizie, chiese di scovare le talpe:

«Buora mostrò grande determinazione nel dire: voi della sicurezza dovete

capire da dove escono queste informazioni e come vengono trasferite

all’esterno, trovate il sistema di capire chi, come e quando». Ma le modalità

dell’operazione furono un’iniziativa del team: «Una stupidaggine sesquipedale

di cui mi prendo la responsabilità». È ben vero che tutte le attività della

Security «venivano richieste dall’interno dell’azienda», dice Tavaroli, ma la

gestione poi era di mia competenza; in ogni caso «Tronchetti non mi diede mai

nessun incarico di indagare su alcun partito italiano o estero». E racconta di

come Tronchetti reagì malissimo alla scoperta che il misterioso Oak Fund, che

controllava una parte di Bell e che si temeva appartenesse a manager Telecom

infedeli, era in realtà riconducibile - secondo il dossier dell’investigatore

Cipriani - al partito dei Ds: «Tronchetti si sorprese molto e decise di

dimenticare questa circostanza e del dossier non venne fatto alcun utilizzo».

Tavaroli è apparso soprattutto desideroso di fare chiarezza sugli uomini che

lavoravano per lui, da Cipriani al giornalista Guglielmo Sasinini, «erano dei

veri professionisti ».Sul resto (Inter e Moratti a parte) non ha offerto

scoop. Ma una cosa, ha detto, Tronchetti e Buora la vollero: l’incursione

(«controsorveglianza», la chiama) contro l’agenzia investigativa Kroll, che

ribaltò a favore di Telecom la guerra per il controllo della telefonia mobile

in Brasile.

-------

calcio nella bufera Al processo Telecom parla l’ex capo della Security

«Moratti ordinò il dossier sugli arbitri»

Scommesse, il pm di Cremona e la verità sul derby di Genova: «Avrà effetti devastanti, sarà la cosa peggiore dell’inchiesta»

di LUCA FAZZO (il Giornale 07-06-2012)

«L’operazione Ladroni mi venne commissionata dall’Inter nella persona di

Moratti, poi la feci con Facchetti»: sono le due di ieri pomeriggio, quando

nell’aula bunker davanti al carcere di San Vittore, Giuliano Tavaroli risponde

senza tanti giri di parole alle domande dell’avvocato di Massimo De Santis,

ex arbitro,spiato e dossierato dall’ufficio Security di Telecom. Tavaroli, che di

quell’ufficio era il capo, aveva già detto la stessa cosa nel corso delle

indagini preliminari, durante i lunghi faccia e faccia con i pubblici

ministeri nel supercarcere di Voghera. Ma ieri è la prima volta che Tavaroli

appare in aula e risponde da uomo libero. Alle altre domande sui dossieraggi

di Telecom - dai fondi dei Ds ai rapporti con i servizi segreti - risponde

dicendo il minimo indispensabile. Ma quando l’avvocato di De Santis si alza

per chiedergli dell’inchiesta sul mondo del calcio risponde senza complimenti.

E chiama in causa il presidente dell’Inter Massimo Moratti, che quando nel

2006 fu interrogato dall’ufficio inchieste della Federcalcio (diretto allora

da Francesco Saverio Borrelli) diede della faccenda una versione assai diversa,

raccontando in sostanza di essere stato contattato da Tavaroli a cose già

fatte. Invece ieri Tavaroli va giù duro. E attribuisce senza sfumature a

Moratti l’iniziativa della inchiesta sotterranea contro il «giro» di Luciano

Moggi. Dalle risultanze di quella indagine Moratti partì per mandare Giacinto

Facchetti alla Procura della Repubblica di Milano, bussando alla porta di Ilda

Boccassini. L’inchiesta morì sul nascere. Chi ha ragione? Moratti che nega

ogni responsabilità nell’incarico a Tavaroli? O Tavaroli?

Giacinto Facchetti purtroppo non più dire la sua. Ma nel 2005, avvicinato

da due cronisti, non negò di avere incontrato Ilda Boccassini. E della

circostanza che Moratti possa avere dato una disposizione a Tavaroli la

spiegazione più logica restano i comuni rapporti con Marco Tronchetti Provera,

che era all’epoca presidente di Telecom- e quindi datore di lavoro di Tavaroli

- ma anche vicepresidente e principale sponsor della squadra nerazzurra.

Sull’altro fronte caldo del pallone, quello dello scommesse, il pm di Cremona,

Roberto Di Martino, dice che la verità sul derby Genoa-Sampdoria dell’8

maggio 2011 «avrà un effetto devastante. Sarà la cosa peggiore di quella che

è capitata in questa inchiesta».

___

Dossier illegali. L'ex capo della security di Telecom e Pirelli: «Nessun ordine di indagare su alcun partito»

Tavaroli: «Da Tronchetti

nessun incarico sui dossier»

di R.FI. (il Sole 24 ORE 07-06-2012)

«Tronchetti non mi diede mai nessun incarico di indagare su alcun partito

italiano o estero o extraplanetario». Lo ha affermato in aula Giuliano

Tavaroli, l'ex capo della security di Telecom e Pirelli, sentito come

testimone imputato di reato connesso nell'ambito del processo sui dossier

illegali. Vicenda per cui Tavaroli ha patteggiato poco più di 4 anni di

carcere. Rispondendo alle domande dell'avvocato dei Ds, parte civile nel

procedimento, l'ex capo della security delle due società ha negato che

l'allora presidente di Telecom, Marco Tronchetti Provera, gli avesse

commissionato qualsiasi tipo di attività di dossieraggio sui Ds in relazione

all'Oak Fund che, stando ai report confezionati dall'investigatore privato

Emanuele Cipriani, sarebbe stato riconducibile al partito allora guidato da

Massimo D'Alema. «Il dossier - ha proseguito Tavaroli - fu chiesto da Buora

e Tronchetti in quanto esistevano sospetti che dietro il fondo ci fossero

manager di Telecom e Pirelli.

Tavaroli è interventuo anche sull'intrusione nel sistema informatico di Rcs,

affermando che è stato un errore, «una stupidaggine». Davanti alla corte

d'assise del Tribunale di Milano, Tavaroli ha spiegato: «nessuno ha mai

chiesto a Ghioni di fare l'intrusione, non aveva ragione di esistere, non era

stata chiesta da nessuno, tantomeno dal management». Un giovedì sera

Tavaroli viene convocato e gli viene mostrata la copertina de Il Mondo in

edicola l'indomani in cui si da' notizia della cessione di Pirelli Cavi. «Incaricai

Ghioni di fare luce sulla fuga di notizie», ricostruisce l'ex capo della

sicurezza. Da chi arrivò l'ordine di fare chiarezza? «È partito da Lamacchia e

poi Buora e De Conto che volevano capire come queste informazioni uscissero

dall'azienda». Per Tavaroli, quindi, nessuno autorizzò l'intrusione che fu «un

grave errore» di cui «mi assumo la responsabilità» in quanto responsabile

della sicurezza. Quei documenti, in ogni caso, «non sono mai stati consultati

da nessuno, nemmeno da me».

Tavaroli inoltre, rispondendo a una domanda di Irma Conti, legale dell'ex

arbitro De Santis, ha affermato che Massimo Moratti commissionò la pratica

"Ladroni".

___

La rivelazione L'ex capo della security di Telecom e Pirelli e il «rapporto Ladroni»

«Moratti mi ordinò di spiare De Santis»

art.non firmato (IL MATTINO 07-06-2012)

MILANO Clamoroso rivelazione nel corso di un’udienza del processo Telecom

in corso di svolgimento al tribunale di Milano: in aula depone, dopo una

convocazione andata buca per malore, Giuliano Tavaroli.

L'ex capo della security di Telecom e Pirelli manda in pesantissima

contraddizione anni di versioni interiste e di Moratti soprattutto sulla

vicenda dello spionaggio ai danni di De Santis, ma anche di utenze dei

dirigenti juventini Giraudo e Moggi, dello stesso arbitro De Santis (che

chiede 21 milioni di risarcimento per lo spionaggio Telecom), i designatori

Bergamo e Pairetto e alcune utenze Gea. Tavaroli sotto giuramento ai giudici

di Milano conferma quanto asserito in fase d'indagine su Calciopoli e

contestato (con la Figc che credette al numero uno interista) che fu proprio

Moratti e l'Inter a commissionare la cosiddetta «Operazione Ladroni».

Il presidente dell’Inter, insomma, diede mandato a Giuliano Tavaroli di

preparare un rapporto illegale e di relazionarlo su ciò che riguarda in

particolare la vita dell'ex arbitro De Santis. Tavaroli lo ha ammesso

rispondendo a una domanda di Irma Conti, legale di De Santis.

Tavaroli, testimone-imputato di reato connesso, all' avvocato, parte civile

nel processo, che gli ha domandato da chi fosse stato contattato per il

dossier intitolato «Ladroni», ha risposto «da Moratti» aggiungendo che era

stato commissionato per conto «dell’Inter». Inoltre ha precisato di aver preso

contatti con l'allora dirigente neroazzurro Giacinto Facchetti per i termini

organizzativi dell’operazione. E quando il legale ha chiesto se dunque l’input

provenisse da Moratti, Tavaroli ha confermato con un deciso «sì».

Come risulta agli atti dell'inchiesta, il dossier che riguardava De Santis e

altre quattro persone, tra cui l'ex direttore sportivo del Messina e Genoa,

Mariano Fabiani, ed il guardalinee Enrico Cennicola, è stato confezionato tra

il gennaio e il luglio del 2003. Dell'operazione aveva anche parlato

l'investigatore privato Emanuele Cipriani, ora imputato al processo milanese

con una decina di persone.

Cipriani, il 13 ottobre 2006, aveva messo dichiarato a verbale: «Tavaroli si

limitò a dirmi che De Santis era un arbitro che molto probabilmente prendeva

i soldi e che occorreva controllare società sportive in Calabria per verificare

un possibile collegamento con De Santis. L'incarico - aveva sottolineato nel

corso della sua deposizione l’investigatore privato - mi venne conferito da

Tavaroli in Pirelli ed io fatturai alla Pirelli su richiesta espressa di

Tavaroli».

___

L’INTERROGATORIO

Tavaroli e dossier illegali: nessuno

ordinò l’incursione nei computer di Rcs

Moratti chiese all’ex capo della security di Telecom un report sull’arbitro De Santis

art.non firmato (Il Messaggero 07-06-2012)

MILANO - L'incursione nei computer di Rcs, fu «una stupidaggine sesquipedale

di cui mi prendo la responsabilità per difetto di controllo. Nessuno del

management ha ordinato mai a Ghioni di fare un attività così intrusiva.

Purtroppo è successo, ma i dati che vennero prelevati non furono mai divulgati

a nessuno». Lo ha affermato l'ex capo della security di Telecom, Giuliano

Tavaroli, che per la vicenda ha patteggiato 4 anni, sentito ieri

nell'aula-bunker di San Vittore al processo sui dossier illegali, come

testimone imputato di procedimento connesso.

L'ex ad di Telecom Carlo Buora e l'allora direttore amministrativo Claudio De

Conto, ha detto Tavaroli, chiesero di indagare sulla fuga di notizie interne

all'azienda e poi pubblicate sulla stampa. È in sostanza la genesi dello

spionaggio ai danni del giornalista del Corriere della Sera Massimo Mucchetti

e dell'ex sindaco di Telecom Rosalba Casiraghi. Rispondendo alle domande

dei legali di Mucchetti, che è parte civile, Tavaroli ha spiegato: «Un giovedì

sera sono stato convocato in via Negri (uffici della presidenza di Telecom)

dove mi fecero vedere un articolo del Mondo che ipotizzava la cessione del

gruppo Pirelli Cavi e che anticipava decisioni in corso estremamente riservate

di cui i manager potevano essere chiamati a rispondere alla Consob. Buora

mi chiese di trovare il modo di capire come nascono e vengono trasferite

dall'interno dell'azienda queste informazioni». Da qui i due dossier

commissionati all'investigatore Marco Bernardini chiamati Mucca pazza e

Clarabella. Tavaroli ha però affermato che nè lui nè il management sapevano

la modalità con cui vennero commissionati.

Convocato come testimone-imputato di reato connesso al processo sul caso

dei dossier illegali, per i quali ha patteggiato 4 anni, Tavaroli ha detto che fu

Massimo Moratti a commissionargli la pratica Ladroni, quella che riguarda l’ex

arbitro Massimo De Santis. Così ha risposto ad una domanda di Irma Conti

legale di De Santis. Inoltre ha precisato di aver preso contatti con l'allora

dirigente neroazzurro Giacinto Facchetti per i termini organizzativi

dell'operazione. E quando il legale ha chiesto se l'input provenisse da

Moratti, Tavaroli ha confermato con un «sì». Aggiungendo che «era per

l’Inter». Come risulta agli atti dell'inchiesta, il dossier che riguardava De

Santis e altre quattro persone, tra cui l'ex direttore sportivo di Messina e

Genoa Mariano Fabiani e il guardalinee Enrico Cennicola, è stato confezionato

tra il gennaio e il luglio del 2003. Dell'operazione aveva anche parlato

l'investigatore privato Emanuele Cipriani, ora imputato al processo milanese.

Non è la prima volta che Tavaroli racconta la vicenda, sempre smentita dal

presidente dell’Inter e anche dall’ex presidente di Telecom Marco Tronchetti

Provera che, sentito come teste durante l’udienza preliminare nel marzo di due

anni fa, aveva parlato di «iniziativa autonoma» della Security.

Modificato da Ghost Dog

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11014 messaggi

Platini: «Razzismo? Non si gioca più»

«Appoggeremo l'arbitro se sospende la gara».

Sulle scommesse: «Radiato chi è coinvolto»

di FABIO LICARI (GaSport 07-06-2012)

«Se tutto va bene, il merito è mio. Se va male, colpa loro... ». E indica il

segretario Gianni Infantino e l'organizzatore dell'Euro, Martin Kallen, che un

mese fa s'era lasciato scappare: «Non esiste un piano-B». Dopo cinque anni di

ultimatum, tornei a rischio e scandali, Michel Platini può sospirare di

sollievo: «Ucraina e Polonia non si rendevano conto dei problemi quando

l'Esecutivo gli ha dato l'Euro: li abbiamo aiutati, ora anch'io so più di

aeroporti che di calcio. Non siamo lontani dalla perfezione: sarà una grande

festa e, per l'Ucraina, un salto di 30 anni. Parliamo di Tymoshenko, di

razzismo, di scommesse in Italia. Poi, però, solo calcio».

C'è uno spietato reportage della Bbc sul razzismo in Polonia e

Ucraina: preoccupato?

«Il nazionalismo cresce dovunque in Europa. Anche in Francia, in Inghilterra.

E negli Usa. Facile attaccare Varsavia e Kiev con un servizio a pochi giorni

dall'inizio. Noi abbiamo fatto tanto, sosterremo gli arbitri che sospendono le

partite per fatti gravi. Ma il razzismo è un problema della società. Non del

calcio».

Balotelli ha detto: «Se mi insultano, vado via».

«Spero sia titolare, ma non può lasciare il campo: anche perché, per

regolamento, andrebbe ammonito...».

Caro-biglietti, caro-hotel, caro tutto qui?

«Abbiamo preso critiche per i prezzi della Champions e siamo corsi ai ripari.

Invece i biglietti qui non sono costosi. Ma se uno spende 30 euro per la

partita, e poi parecchie centinaia per hotel e volo, rivolgetevi alle autorità

politiche».

C'è chi ha minacciato il boicottaggio per Yulia Tymoshenko.

«Il calcio non sia coinvolto in questioni politiche e religiose. I politici

decidano quello che vogliono, noi organizziamo tornei».

Per non farsi mancare niente, l'ennesimo scandalo scommesse italiano.

«Ora parlo da presidente Uefa: chi è coinvolto in scommesse e partite

truccate non deve giocare più! Fuori per sempre. Tolleranza zero. Noi

l'abbiamo fatto e spero succeda anche in Italia».

Cosa pensa di chi scommette, magari cifre enormi, su altri sport?

«Mah, se uno vuole puntare sul tennis, faccia pure: ma dobbiamo essere

severissimi con chi lo fa sulle proprie gare».

Giusto convocare giocatori in qualche modo «coinvolti»?

«I convocati li decide Prandelli, non io...».

Prandelli aveva detto: «Se serve, non andiamo all'Europeo».

«Gli piace scherzare... Inconcepibile che l'Italia decida di non partecipare

all'Euro».

Chi vince?

«Ah, bello, parliamo di calcio! Se sono al massimo, Spagna o Germania, le più

forti. Altrimenti, vedo tante pretendenti. E sorprese: ricordate Grecia e

Danimarca?».

Blatter ha detto: «I rigori sono una tragedia». E lei?

«Non so se l'ha detto, però ci abbiamo provato con silver e golden gol e le

nazionali ci hanno detto: preferiamo i rigori. Per fare più soldi la soluzione

è facile: ripetere la partita e vendere altri 70 mila biglietti... Ma, scherzi

a parte, credo non ci siano alternative».

Questo è l'ultimo Europeo a 16 squadre: dal 2016 si passa a 24.

Troppe? Nel 2008 non c'è stato grande spettacolo. . .

«No, credo ci potremo permettere 24 buone squadre: qui già mancano Svizzera,

Norvegia e altre. E poi è importante per lo sviluppo del calcio nei piccoli

paesi. Dello spettacolo parliamo alla fine. Ma, lo so, tutti i giocatori sono

un po' stanchi».

-------

ilCaso di FABIO LICARI (GaSport 07-06-2012)

RAZZISMO E ALTRI GUAI DEL MONDO

TOCCA ALLA POLITICA NON AL CALCIO

Fateci caso. Un lutto nazionale? Silenzio negli stadi. Succede qualcosa di

grave? Il «calcio» deve fermarsi. Si avvicina un Europeo o un Mondiale?

Puntuale, l'avviso che la prostituzione si organizza per «accogliere» i tifosi

e quindi va combattuta negli altri undici mesi dell'anno, liberi tutti. E poi:

le minacce di boicottaggio per razzismo, per deficit di democrazia, per

animali maltrattati… Insomma, lo sport — e naturalmente il calcio che fa

circolare più soldi e interesse – è l'alibi morale di un sistema mondiale che

fatica a risolvere i suoi problemi con la «cosa pubblica» e si nasconde dietro

il gesto demagogo e ruffiano. C'è finito dentro anche uno serio come Mario

Monti: il quale, se avesse applicato il suo paradigma anche alle inchieste sui

parlamentari, avrebbe chiuso le due camere per un paio di secoli.

Dimenticata per un po' la povera Timoshenko – sulla cui triste situazione le

diplomazie mondiali hanno fatto poco o zero – spunta ora il razzismo. Non

poteva mancare il servizio-denuncia della Bbc finito al centro della

conferenza di Michel Platini di ieri con sottinteso: perché l'Uefa va a

giocare in due stati così xenofobi? Già. E allora perché fare affari con chi

nega il voto alle donne, pratica la pena di morte, nega diritti civili, lascia

sterminare le foche…

Ma l'Europeo, e il calcio in genere, che cosa c'entrano? L'Uefa ha l'obbligo

di organizzare bene il torneo e in futuro di assegnarlo magari rispettando di

più i dossier tecnici e di evitare immagini sbagliate, questo sì, perché il

calcio è ancora un esempio. Se poi in partita arrivano i «buuu», il

regolamento prevede la sospensione, anche definitiva. Più di così? Forse

un po' di educazione civica nelle scuole e in tv.

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

I paradossi del mercato Il sistema creditizio spagnolo finanzia i debiti della Liga. E ora sarà salvato dall’Europa

I maxiprestiti di Bankia al Real

Gli aiuti Ue? Per Cristiano Ronaldo

di ANDREA NICASTRO (CorSera 07-06-2012)

MADRID — Dal punto di vista del tifoso (milanista) la buona notizia è che,

probabilmente, il Barcellona non avrà i soldi per comprare Thiago Silva. A

metà maggio, quattro giorni dopo la nazionalizzazione di Bankia e

nell'imminente «scoperta» del nuovo buco da 19 miliardi, il Barça bussò alla

porta delle banche finanziatrici alla ricerca del contante per la campagna

acquisti post Guardiola. Nel pool ci sono dieci istituti, dai più grandi e

solidi come Bbva e Santander, agli indebitati e claudicanti Caja Madrid e Cam.

Ma alla richiesta del presidente Rosell di alzare il fido milionario della

squadra, tutti hanno risposto «no». Un sussulto di dignità di fronte alla

prospettiva di dover chiedere all'Europa 100 miliardi di aiuti per tenere in

piedi il sistema finanziario spagnolo.

La cattiva notizia (per italiani, spagnoli e tutti gli altri contribuenti

dell'Eurozona) è che i 10,5 milioni di stipendio per Messi la «pulce», i 13

per la stella del Real Madrid Cristiano Ronaldo, i 14, 8 del suo irascibile

allenatore Mourinho e gli altri mega stipendi della Liga arriveranno dalle

loro tasche. Dalle nostre tasche, attraverso il pacchetto che l'Europa dovrà

concedere.

Il debito del calcio spagnolo, prima e seconda divisione, ronza attorno a 5

miliardi, un mezzo punto del deficit nazionale. Fosse una famiglia (o anche

solo un'azienda normale) avrebbe già i libri in tribunale visto che gli

incassi annuali sono dell'ordine dei 1,8 miliardi, ma le spese correnti sono

di 300 milioni più alte. Per andare in pari (senza neppure cominciare a

restituire i debiti) bisognerebbe liquidare i calciatori di un terzo della

Liga oppure il Real Madrid dimezzare il monte stipendi ai vari Ronaldo, Kaka e

co.

Solo di tasse arretrate e oneri sociali il futbol deve un miliardo al Regno

di Spagna. Il ministro dell'Educazione e dello Sport, José Ignacio Wert, ha

appena firmato un accordo con la Liga de Fútbol Profesional in base al quale,

dal prossimo campionato, il 35% dei diritti tv andrà a garanzia degli

arretrati. Per mettersi in regola con il Fisco, Real, Barça e gli altri hanno

tempo però fino al 2020. Otto lunghissimi anni. Cominciando a pagare dalla

stagione 2014-2015. «E' diffusa la sensazione - ha ammesso il ministro - che

il calcio abbia ricevuto un trattamento di favore».

I restanti 4 miliardi di debiti sono un altro «favore» che le banche spagnole

hanno concesso alle loro squadre: la commistione politico-finanza ne è la

causa. Le varie casse locali dipendenti dalle giunte regionali o dalle grandi

municipalità concedevano prestiti a imprenditori perché amici del partito o,

nel migliore dei casi, perché utili all'occupazione nel bacino elettorale,

indipendentemente dalla sostenibilità dei progetti. Il calcio con il suo

seguito popolare rientrava (rientra?) nelle priorità politiche. Questioni

spagnole? Non più visto che saremo tutti noi dell'Eurozona a coprire

l'insolvenza delle banche che finanziano la Liga. Bruxelles deve ancora

decidere come, ma di alternative ce ne sono poche.

Real Madrid e Barcellona sono le società più indebitate, 660 milioni uno, 548

il secondo, ma paradossalmente le più solventi grazie a fatturati in crescita

e a entrate appena inferiori al debito. Diverso il caso del Valencia che ha un

debito da 380 milioni e entrate per soli 120. Caso vuole, però, che sia il

fallimentare Valencia sia il galattico Real siano clienti di Bankia,

l'istituto che ha scoperchiato il vaso di Pandora.

Florentino Peres, patron dei blancos, ottenne 76,5 milioni da Caja Madrid per

comprare Cristiano Ronaldo e Kaka (90 e 67 milioni) nel 2009. Ottimo il tasso

d'interesse: 1,5 più dell'Euribor. Nella stessa estate il Valencia evitò il

fallimento grazie a un maxi prestito di Bancaja. Entrambe le banche vennero

poi fuse in Bankia per salvarle dall'esplosione della bolla immobiliare.

Allora fu lo Stato spagnolo a mettere i 4 miliardi necessari, ma siccome la

palla è rotonda e, soprattutto i soldi sono finiti, ora toccherà agli europei

metterne 19.

Dall'Ue hanno sollecitato più volte una rottura del triangolo

Liga-politica-finanza. Il Bayern Monaco, finalista di Champions e, da buon

tedesco, con i conti in ordine, ha parlato di concorrenza sleale. A che

squadra terrà l'arbitro, Angela Merkel?

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Joined: 08-Jul-2006
21389 messaggi

I

Ero vicino, ma non si poteva

Luca Pelosi - Ilromanista.it - 06-05-2012

C’è scritto in qualche interrogatorio del 2006 che ero abbastanza vicino ma non si poteva». Ha risposto così Zdenek Zeman ieri a chi gli ha chiesto se c’è stato un momento in cui è stato vicino al ritorno alla Roma. La storia, peraltro, era già nota. Nell’estate del 2005 la Roma contattò Zeman, anzi si accordò verbalmente con lui poi, dopo un incontro nella sede di Capitalia tra un rappresentante della società, Luciano e Alessandro Moggi, non se ne fece più nulla. Già, Moggi. Facciamo un salto indietro nel tempo, tra intercettazioni e, appunto, interrogatori. Il 22 dicembre 2004 Moggi discute con Giraudo di Zdenek Zeman. E dice: «Bisogna fargli qualcosa, non so un sistema... bisogna dargli una legnata...bisogna prendere le emorragie dandogli un danno a questo qua, inventandoci qualcosa, portandogli via un giocatore, trovargli qualche...».

Ripetiamo: Moggi, quello che la Roma incontrava nella sede di Capitalia. Com’era il clima in quel periodo, l’ha raccontato proprio Zeman, come si legge negli atti depositati dai magistrati di Napoli: «Altro metodo utilizzato per realizzare la mia estromissione dal mondo del calcio è sempre stato quello di persuadere vari presidenti di società calcistiche a non assumermi come allenatore... Al termine della stagione 2004/05 e allorché era chiaro che non avrei allenato il Lecce, il vicepresidente dei salentini, Moroni, mi disse testualmente che aveva partecipato a un’assemblea di Lega e che in quella circostanza Antonio Giraudo aveva detto ai presidenti di Palermo e Cagliari, Zamparini e Cellino, che io non dovevo essere assunto come allenatore... ». E alla Roma come ci si arriva? Con altre intercettazioni, sempre agli atti di Calciopoli. Nel 2005 la piazza vuole Zeman. A maggio però Luciano Moggi incontra Rosella Sensi. La situazione è sempre la stessa: il direttore generale della Juventus vuole mettere suo figlio nella Roma. Il 19 maggio Moggi parla della Roma con Capello: «Hanno accettato il principio di collaborazione. In questo momento si pone in essere in maniera diversa, loro sono disponibili a prendere giocatori, non hanno soldi ma fare scambi di giocatori lo fanno!». Capello, che ha nel mirino qualche giocatore della Roma, è soddisfatto: «Va bene». Moggi continua: «Questa ragazza si sente sola e la nostra compagnia gli fa comodo. Lunedì ci rivediamo, speriamo facciano risultato a Bergamo». A Bergamo la Roma vince e si salva. Il 25 maggio Capello richiama Moggi: «Con Rosella ci vediamo martedì, e penso che con lei non ci siano problemi grossi se non stabilire quali siano i giocatori e poi, soprattutto, metterci l’allenatore! Questo è il punto cruciale! Dopo si parte in tromba! Senza nessun problema!». Moggi rivela anche a Capello di aver convinto definitivamente la Sensi a rinunciare a Zeman. «Adesso la situazione lì sta a posto, perché so andati alla Banca a parlare… gli ho fatto mettere tutto a posto! Quindi dovrebbero stare agli ordini». Ma erano altri tempi. I tempi in cui la Roma stava agli ordini.

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qualcuno ci crede??

oramai neanche il boemo

I paradossi del mercato Il sistema creditizio spagnolo finanzia i debiti della Liga. E ora sarà salvato dall’Europa

I maxiprestiti di Bankia al Real

Gli aiuti Ue? Per Cristiano Ronaldo

di ANDREA NICASTRO (CorSera 07-06-2012)

MADRID — Dal punto di vista del tifoso (milanista) la buona notizia è che,

probabilmente, il Barcellona non avrà i soldi per comprare Thiago Silva. A

metà maggio, quattro giorni dopo la nazionalizzazione di Bankia e

nell'imminente «scoperta» del nuovo buco da 19 miliardi, il Barça bussò alla

porta delle banche finanziatrici alla ricerca del contante per la campagna

acquisti post Guardiola. Nel pool ci sono dieci istituti, dai più grandi e

solidi come Bbva e Santander, agli indebitati e claudicanti Caja Madrid e Cam.

Ma alla richiesta del presidente Rosell di alzare il fido milionario della

squadra, tutti hanno risposto «no». Un sussulto di dignità di fronte alla

prospettiva di dover chiedere all'Europa 100 miliardi di aiuti per tenere in

piedi il sistema finanziario spagnolo.

La cattiva notizia (per italiani, spagnoli e tutti gli altri contribuenti

dell'Eurozona) è che i 10,5 milioni di stipendio per Messi la «pulce», i 13

per la stella del Real Madrid Cristiano Ronaldo, i 14, 8 del suo irascibile

allenatore Mourinho e gli altri mega stipendi della Liga arriveranno dalle

loro tasche. Dalle nostre tasche, attraverso il pacchetto che l'Europa dovrà

concedere.

Il debito del calcio spagnolo, prima e seconda divisione, ronza attorno a 5

miliardi, un mezzo punto del deficit nazionale. Fosse una famiglia (o anche

solo un'azienda normale) avrebbe già i libri in tribunale visto che gli

incassi annuali sono dell'ordine dei 1,8 miliardi, ma le spese correnti sono

di 300 milioni più alte. Per andare in pari (senza neppure cominciare a

restituire i debiti) bisognerebbe liquidare i calciatori di un terzo della

Liga oppure il Real Madrid dimezzare il monte stipendi ai vari Ronaldo, Kaka e

co.

Solo di tasse arretrate e oneri sociali il futbol deve un miliardo al Regno

di Spagna. Il ministro dell'Educazione e dello Sport, José Ignacio Wert, ha

appena firmato un accordo con la Liga de Fútbol Profesional in base al quale,

dal prossimo campionato, il 35% dei diritti tv andrà a garanzia degli

arretrati. Per mettersi in regola con il Fisco, Real, Barça e gli altri hanno

tempo però fino al 2020. Otto lunghissimi anni. Cominciando a pagare dalla

stagione 2014-2015. «E' diffusa la sensazione - ha ammesso il ministro - che

il calcio abbia ricevuto un trattamento di favore».

I restanti 4 miliardi di debiti sono un altro «favore» che le banche spagnole

hanno concesso alle loro squadre: la commistione politico-finanza ne è la

causa. Le varie casse locali dipendenti dalle giunte regionali o dalle grandi

municipalità concedevano prestiti a imprenditori perché amici del partito o,

nel migliore dei casi, perché utili all'occupazione nel bacino elettorale,

indipendentemente dalla sostenibilità dei progetti. Il calcio con il suo

seguito popolare rientrava (rientra?) nelle priorità politiche. Questioni

spagnole? Non più visto che saremo tutti noi dell'Eurozona a coprire

l'insolvenza delle banche che finanziano la Liga. Bruxelles deve ancora

decidere come, ma di alternative ce ne sono poche.

Real Madrid e Barcellona sono le società più indebitate, 660 milioni uno, 548

il secondo, ma paradossalmente le più solventi grazie a fatturati in crescita

e a entrate appena inferiori al debito. Diverso il caso del Valencia che ha un

debito da 380 milioni e entrate per soli 120. Caso vuole, però, che sia il

fallimentare Valencia sia il galattico Real siano clienti di Bankia,

l'istituto che ha scoperchiato il vaso di Pandora.

Florentino Peres, patron dei blancos, ottenne 76,5 milioni da Caja Madrid per

comprare Cristiano Ronaldo e Kaka (90 e 67 milioni) nel 2009. Ottimo il tasso

d'interesse: 1,5 più dell'Euribor. Nella stessa estate il Valencia evitò il

fallimento grazie a un maxi prestito di Bancaja. Entrambe le banche vennero

poi fuse in Bankia per salvarle dall'esplosione della bolla immobiliare.

Allora fu lo Stato spagnolo a mettere i 4 miliardi necessari, ma siccome la

palla è rotonda e, soprattutto i soldi sono finiti, ora toccherà agli europei

metterne 19.

Dall'Ue hanno sollecitato più volte una rottura del triangolo

Liga-politica-finanza. Il Bayern Monaco, finalista di Champions e, da buon

tedesco, con i conti in ordine, ha parlato di concorrenza sleale. A che

squadra terrà l'arbitro, Angela Merkel?

sport spagnolo tutto drogato

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La scelta - Da settembre il quotidiano «Pubblico»

Telese: addio «Fatto», fondo il mio giornale

«È cambiato tutto ma Travaglio vuole solo demolire. E Grillo è trattato come Gesù»

La scelta - Da settembre il quotidiano «Pubblico»

Telese: addio «Fatto», fondo il mio giornale

«È cambiato tutto ma Travaglio vuole solo demolire. E Grillo è trattato come Gesù»

telese--180x140.JPG?v=20120607092534Luca Telese (LaPresse) MILANO - La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato un titolo. Che a Luca Telese, però, è sembrato «un rutto: "Parmacotti". Campeggiava sulla prima pagina de il Fatto il giorno dopo la vittoria del grillino Pizzarotti. Io tornavo dalla Francia, dalla festa per Hollande. L'ho letto e ho detto basta».

Il giorno della rottura ufficiale con il suo (oramai ex) giornale, Luca Telese, 42 anni compiuti ad aprile, sembra frastornato. Ma non impaurito. Va via, dopo aver contribuito a fondarlo («esperienza indimenticabile»), dal quotidiano diretto da Antonio Padellaro. E lo fa per un motivo: «La mission di quel giornale si è esaurita. Non è passato dalla protesta alla proposta. Quando il governo Berlusconi è caduto, ci siamo chiesti: ora cosa dobbiamo cambiare? Travaglio ha detto: nulla. Io ho risposto: tutto. Ecco perché vado via. Perché non puoi continuare, a guerra finita, a mozzare le teste di cadaveri sul campo. Non puoi solo demolire. È il momento di costruire».

Telese lascia il Fatto e fonda un nuovo quotidiano, che lui definisce «piccolo "centro studi" del cambiamento e della costruzione delle idee». Si chiamerà Pubblico : 20 pagine in edicola dal 18 settembre, a 1,50 euro («Il coraggio si paga, ma per questo chiediamo a tutti di abbonarsi»). Età media dei redattori: 35 anni. Con lui andranno una squadra di sette giornalisti del suo ex giornale, tra cui Federico Mello e Manolo Fucecchi. Ma anche Francesca Fornario ( l'Unità ), Tommaso Labate (già al Riformista ) e Stefania Podda ( Liberazione ). E poi firme come Ritanna Armeni, Corrado Formigli, Mario Adinolfi, Marco Berlinguer e Carlo Freccero. Ma «darei volentieri la rubrica del cuore alla mia ex collega di conduzione Luisella Costamagna». Tra gli azionisti, Lorenzo Mieli e Fiorella Mannoia. Oltre allo stesso Telese.

Un «divorzio» che ha fatto scalpore, frutto soprattutto di dissidi interni con Travaglio. Che Telese ammette tutti: «Diciamo che al Fatto eravamo divisi tra Bosnia-Erzegovina e Croazia. E che politicamente, a un certo punto, hanno preso il potere i croati. Così dopo il primo turno delle amministrative Beppe Grillo è diventato Gesù. Casaleggio un guru. Ma il povero Tavolazzi non lo si poteva intervistare... Troppo per me». Ci ha provato, dice, a cambiare la linea «nichilista-gesuitica» di Travaglio, «giovane vecchio che vive nei miti della sua infanzia. Due culture diverse avrebbero potuto convivere. Ma con Marco non si parla. In una discussione ha due reazioni: se è arrabbiato gira il collo a 37 gradi da un lato, tace e gli si gonfia una vena. Se non è d'accordo sorride. Non è interessato al dibattito democratico».

Tanti i punti di scontro tra i due. Telese ricorda «la destituzione di Roberto Corradi, ideatore dell'inserto satirico Il Misfatto ». E l'uscita dell'ex ad del Fatto Giorgio Poidomani, «un galantuomo costretto a dimettersi e che non collaborerà, purtroppo, con noi». In entrambi i casi «Marco ha applicato la tecnica del capo tribù. A Corradi ha preferito Disegni. Mentre nel nuovo cda ha messo suoi fiduciari. Come il produttore Carlo Degli Esposti. O la "musa" Cinzia Monteverdi. Ragazza simpatica, però da qui a farla diventare amministratore delegato... Diciamo che rientra tra i giovani cooptati». Ma come sarà Pubblico ? «Costruito sul modello di un garage della Silicon Valley. Voce ai giovani contro la casta dei 60enni. Cambiare l'agenda di sinistra. E finalmente non sarò più vittima dell'ossessione di Travaglio, e di tutti i mafiologi, del "papello" di Spatuzza. D'altronde Marco ammetteva: il 75% di quello che scrivete non mi interessa. Per dire, la frase di Stracquadanio sul "metodo Boffo" nasce da un'intervista al nemico che piace a Padellaro ma al quale Travaglio era contrario perché "a quelli non bisogna dare manco una riga". Ecco, nel nostro nuovo giornale si farà il contrario».

Angela Frenda

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Il sito delle scappatelle

non riesce a tentare la Juve

Il nuovo impianto bianconero non verrà battezzato con il nome del sito internet specializzato in relazioni extraconiugali. Nonostante i 25 milioni di offerta

di TIMOTHY ORMEZZANO

Non si chiamerà Ashley Madison Stadium. Il nuovo impianto della Juventus non verrà battezzato con il nome del sito internet specializzato in... scappatelle. Ieri è circolata la notizia di una proposta di sponsorizzazione quinquennale dal valore complessivo di 25 milioni, per brandizzare la nuova casa della Juve con il logo e il colore rosa shocking di ashleymadison.com. “La vita è breve. Concediti un'avventura”, lo slogan che campeggia sulla home page del portale riservato agli oltre 14 milioni di anonimi iscritti all'agenzia “leader mondiale per incontri discreti tra persone sposate”

Così Noel Biderman, titolare del sito per incontri extraconiugali: “Parte del nostro investimento sarà sotteso alla realizzazione di un piano di sviluppo che porti all'interno dello Juventus Stadium anche qualche grande evento extracalcistico”. L'anno scorso il manager canadese aveva provato ad abbinare il suo marchio alla Virtus Roma, la società di basket del presidente Claudio Toti: “La loro sponsorizzazione ci avrebbe giovato economicamente, mettendo però in forte discussione alcuni principi morali”.

Secondo Walter Crippa, ad di SportFive Italia, società che si è aggiudicata per 75 milioni di euro i diritti di denominazione dello Juventus Stadium fino al 2023, la proposta non sarebbe nemmeno arrivata sulla scrivania di Andrea Agnelli: “Dopo un primo contatto esplorativo, Ashley Madison non ha formalizzato la sua fantomatica offerta. In ogni caso, l'ultima parola sarebbe comunque toccata alla Juventus, forte del diritto di first refusal. Tranquilli, l'azienda che darà il nome allo Stadium dovrà soddisfare diversi requisiti, economici ma anche etici”. Sollievo per i tifosi bianconeri e un po' di pubblicità gratuita per il portale dedicato ai fedifraghi.

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INTERVISTA A TITO BOERI

"Vittoria non aiuta l'economia ma

all'Italia servirebbe, a patto che..."

L'economista della Bocconi parla di bilanci pubblici e di conti delle

società, di rigore economico e di fair play finanziario dei club. Quanto

all'ipotesi di un successo degli azzurri, dice: "Può essere un'occasione

di crescita, ma solo se non sarà minimizzato lo scandalo scommesse"

di TIZIANA TESTA (Repubblica.it 07-06-2012)

ROMA - L’Europa del calcio riunita, per tre settimane, intorno a un pallone

mentre quella della politica si incontra – e si scontra – al capezzale della

moneta unica. Non è un campionato come gli altri, quest’Europeo 2012,

vissuto in bilico tra gioco e dramma della crisi. “Di sicuro le partite non saranno

un collante”, dice con un sorriso amaro Tito Boeri, economista alla Bocconi

e autore di Parlerò solo di calcio, libro sui mali del football nostrano. “Anzi

– aggiunge - c’è il rischio di ravvivare ulteriormente le identità nazionali.

E non ne abbiamo certo bisogno”. Comincia così una chiacchierata - a metà

tra economia e sport - in cui si passa dai bilanci pubblici a rischio ai conti

in rosso dei club, dall’impatto dei successi calcistici sul Pil al loro effetto

sulla mentalità di un Paese. Fino all’ipotesi di una vittoria degli azzurri,

che però “rappresenterà un’occasione di crescita solo se non ci saranno

sconti e minimizzazioni sul calcioscommesse”.

Secondo uno studio della banca olandese Abn Amro, per un

rafforzamento dell’identità europea dobbiamo augurarci un successo

della Francia perché è un membro originario dell’euro e perché si

tratta di un Paese di frontiera tra Stati ricchi e poveri dell’Ue.

Che ne pensa?

“In generale non credo che si possano applicare al calcio modelli

econometrici. Già nel 2006 questa banca olandese ci aveva provato,

accreditando al Paese che vince i mondiali una percentuale in più di crescita

del Pil. Su Lavoce.info abbiamo dimostrato invece che la tendenza è opposta

e che il Paese vincitore cresce meno, in media, dell’altro finalista. Esiste

semmai un effetto psicologico sulle popolazioni: ci sono studi epidemiologici

che provano l’incremento del tasso di suicidi in occasione di disfatte

calcististiche, soprattutto in Paesi come il Brasile. E viceversa la riduzione

di questa percentuale, durante i mondiali, quando la propria squadra si

qualifica per la fase finale della Coppa del mondo”.

E quindi non crede neppure che una vittoria della Germania agli

Europei darebbe più forza al modello tedesco fondato sul rigore?

“Calcio e rigore? Parlerei al massimo della maggiore lucidità dei tedeschi

nel tirare dal dischetto, anche se nella finale del Bayern contro il Chelsea

in Champions non sono stati all'altezza della loro fama. A parte le battute,

smettiamola di credere in un nesso tra affermazioni sul campo e scelte

economiche, tra vittorie e crescita. Tra l’altro l’industria del calcio viene

spesso sopravvalutata: nell’Ue, come ricavi complessivi, vale solo lo 0,1 per

cento del Pil. E poi non è un buon affare. Basta chiedere ai presidenti di

club che hanno per lo più i bilanci in rosso. Il calcio insomma, dal punto di

vista economico, non conviene. Serve piuttosto a garantire un buon ritorno

d’immagine, a catalizzare l’attenzione, a suscitare passioni. In questo senso

può influenzare i comportamenti del Paese".

Quindi il calcio ha un impatto più sulla cultura che sull’economia?

“Sicuramente”.

E allora che effetto potrebbe avere una vittoria degli azzurri in questo

momento particolare per l’Italia?

“Può essere un’occasione di crescita per il Paese, ma dipende dalla linea che

la nazionale saprà tenere sull’ultimo scandalo: la vicenda calcioscommesse. In

particolare, conta quello che farà Prandelli. Il nostro ct finora si è

dimostrato molto attento, ha dato un messaggio importante invitando Simone

Farina, il calciatore del Gubbio che ha denunciato un tentativo di corruzione.

Ma deve essere coerente fino in fondo. C’è stata qualche incertezza sul caso

dei giocatori indagati: con Criscito che è andato a casa mentre Bonucci resta

nel gruppo. Certo, si è parlato di un ritardo nella notifica per il giocatore

juventino, ma insomma è stato tutto un po’ strano. Ricordiamoci che i nostri

giovani plasmano i loro comportamenti sul modello dei campioni”.

Esiste una simmetria tra finanze pubbliche allegre e campionati

dalle spese pazze, in cui cioè i club non rispettano il fair play?

“Non direi, per fortuna nel caso dell’Italia. Perché le assicuro che le

società di calcio da noi sono molto più indebitate, in media, delle imprese

nazionali”.

E’ stato calcolato che 20 calciatori su 100 – tra quelli convocati

per il prossimo Europeo - giocano nella Premier League. Un successo

per il campionato inglese. E la Gran Bretagna è fuori dall’euro.

Solo un caso?

“Più che l’euro contano le difficoltà fiscali dei singoli Paesi. Quelli

costretti ad aumentare la tassazione indubbiamente diventano meno attrattivi

anche agli occhi di certi campioni. Per esempio, quando sono state introdotte

riduzioni fiscali, il calcio spagnolo ha avuto grossi benefici almeno per i

primi tre anni”.

Torniamo al calcio italiano. Nel suo libro lei analizza alcuni suoi mali

cronici: dalla corruzione, alla sottovalutazione dei giovani, al potere

enorme dei media, ai conti fuori controllo. Crede che il nostro mondo

del pallone riuscirà mai ad autoriformarsi?

“L’attuale governance del pallone riproduce i rapporti di forza esistenti nel

mondo del calcio. Io credo che anche in questo campo ci sarebbe bisogno di

un governo tecnico, per interventi urgenti: innnanzitutto per la situazione del

debito che è incontrollabile, a cause delle spese correnti e non degli

investimenti. E poi, tecnici a parte, sarebbe già importante se il governo del

calcio avesse un volto un po’ più giovane”.

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Inviato (modificato)

Inchiesta

La grande truffa

del pallone

Lo sport più popolare del mondo è anche il più corrotto. Indagini in 25

paesi rivelano un giro d’affari illegale da centinaia di milioni di dollari

di BRETT FORREST, ESPN The Magazine, Stati Uniti (Internazionale 952 | 8 giugno 2012)

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La mattina del 20 febbraio 2011 un uomo di Singapore è entrato in un

commissariato di polizia di Rovaniemi, in Finlandia. Rovaniemi è una città

vicino al circolo polare artico. L’uomo ha detto agli agenti che un altro

cittadino di Singapore, Wilson Raj Perumal, si trovava a Rovaniemi con un

passaporto falso. Poi è scappato senza aggiungere altro.

Nonostante le perplessità per una soffiata apparentemente senza senso,

gli agenti di Rovaniemi hanno deciso di sorvegliare Perumal. Tre giorni dopo

lo hanno seguito in un ristorante francese vicino allo stadio di calcio dove il

Rovaniemen Palloseura aveva appena pareggiato una partita per 1-1.

I poliziotti hanno osservato Perumal mentre era seduto al tavolo con tre

giocatori del Palloseura. Lo hanno visto rimproverare i calciatori, che

sembravano aver paura di lui. Il giorno dopo, con la scusa del passaporto

falso, la polizia finlandese ha fermato Perumal. Gli agenti hanno avvertito la

federazione calcistica finlandese, che a sua volta ha contattato la Fédération

internationale de football association (Fifa), il più importante organismo di

governo del calcio.

Una settimana dopo Chris Eaton, il responsabile della sicurezza della Fifa, è

arrivato a Rovaniemi. Eaton sapeva molto bene chi era Perumal: gli

investigatori finlandesi avevano appena catturato l’uomo che aveva truccato

più partite di calcio nel mondo. Eaton gli dava la caccia da sei mesi.

Perumal aveva truccato centinaia di partite, facendo vincere centinaia di

milioni di dollari in scommesse alle organizzazioni criminali asiatiche ed

europee. Alla fine era stato preso. Ed era stato proprio uno dei suoi complici

a consegnarlo alla polizia.

Lo sport più popolare del mondo è anche quello più corrotto. In più di

venticinque paesi ci sono inchieste in corso su partite truccate. Ecco alcuni

piccoli esempi di quello che sta succedendo dall’inizio del 2011: l’operazione

Last bet ha travolto la federazione calcistica in Italia, dove ventidue club e

52 giocatori sono in attesa di essere processati per varie combines.

L’Associazione gioco calcio dello Zimbabwe, invece, ha già escluso 80

giocatori corrotti dalle selezioni per la nazionale. Lu Jun, il primo arbitro

cinese di un incontro dei Mondiali, è stato condannato a cinque anni e mezzo

di carcere per aver condizionato alcune partite della massima serie del

campionato cinese, incassando 128mila dollari.

Il mercato cinese

In Corea del Sud, invece, i magistrati hanno incriminato 57 persone per

presunte combines nella K-League e quattro di queste sono poi state trovate

morte in apparenti suicidi. Il manager della squadra Reac di Budapest (che

gioca nella seconda divisione ungherese) si è buttato da un palazzo dopo

che sei giocatori sono stati arrestati per aver truccato delle partite. Infine, in

un'amichevole tra nazionali under 21, il Turkmenistan avrebbe vinto 3-2 contro

le Maldive in quello che è stato definito un “match fantasma”: nessuno dei due

paesi, infatti, era a conoscenza della partita per il semplice fatto che non è

stata mai giocata. Nonostante questo i bookmaker l’hanno quotata e le

organizzazioni criminali ci hanno lucrato sopra.

Per la criminalità, truccare le partite di calcio è diventato un business su

scala mondiale, come il narcotraico, lo sfruttamento della prostituzione e il

commercio illegale di armi. Secondo i dati dell’Interpol, le scommesse

sportive sono diventate un affare da mille miliardi di dollari e il 70 per

cento di queste scommesse riguarda il calcio. Le scommesse online

hanno trasformato degli allibratori locali in uomini d’affari globali pieni di

denaro proveniente da ogni continente. Secondo Eaton, i bookmaker

asiatici hanno un giro di affari di due miliardi di dollari a settimana. “È

diventato un mercato gigantesco e con molta liquidità”, dice David Forrest,

professore di economia dell’Università di Salford a Manchester. “Questo giro

di denaro favorisce le combines. Si possono scommettere molti soldi senza

rischiare più di tanto”.

Chi scommette sul calcio può scegliere tra molte opzioni. Su Sbobet. com,

uno dei siti di scommesse legali più importanti del sudest asiatico, si può

puntare su decine di partite ogni giorno, dalla Premier league inglese alla

Super league indonesiana, fino ai campionati giovanili ucraini. E le

possibilità crescono esponenzialmente se si considerano le propositional bets,

le puntate in tempo reale durante una partita.

Intorno alla metà degli anni novanta le organizzazioni criminali cinesi,

dette “triadi”, hanno creato un sistema internazionale di scommesse truccate.

Ma perché tutto è partito dalla Cina? L’economia in grande espansione e la

sua intrinseca cultura del rischio hanno fatto sì che la Cina diventasse il

mercato ideale per le scommesse. Ma per sfruttare questo mercato a livello

mondiale le triadi avevano bisogno di emissari per truccare le partite

all’estero. Avevano bisogno di persone che parlassero un inglese fluente e

che potessero viaggiare liberamente. Per questo si sono rivolte alle

organizzazioni criminali di Singapore, lo snodo occidentalizzato del business

asiatico.

Dalla criminalità di Singapore proviene il personaggio più abile: Wilson

Raj Perumal. Carismatico e di bell’aspetto, Perumal è un ex ladruncolo che

si è dedicato alla missione di truccare le partite di tutto il mondo. Non si

è dovuto sforzare più di tanto per trovare degli obiettivi raggiungibili: basta

considerare che ci sono diecimila squadre professionistiche nel mondo.

Ai giocatori, poi, si aggiungono gli arbitri, i dirigenti dei club e quelli delle

federazioni. Per un esperto di combines come lui chiunque poteva

essere comprato al giusto prezzo. Grazie a intermediari come Perumal

le organizzazioni criminali cinesi e di Singapore hanno truccato tante di quelle

partite da mettere in discussione l’integrità del calcio. Per risolvere il

problema gli appassionati di questo sport si sono rivolti all’unica

organizzazione che sembra avere l’autorità per farlo: la Fifa. Il 28 marzo, a

poco più di un anno dall’arresto di Perumal in Finlandia, Chris Eaton è salito

su un palco a Manchester, in Gran Bretagna, durante SoccerEx, la più

grande fiera mondiale del settore. Il superpoliziotto della Fifa era stato invitato

a parlare del fenomeno delle scommesse nel gioco più bello del mondo.

“È impossibile gonfiare la portata del problema, perché stiamo parlando di

una quantità enorme di denaro”, ha affermato Eaton. Sessant’anni, caparbio

e con alle spalle una carriera da poliziotto lunga più di quarant’anni, Eaton

è entrato nell’Interpol nel 1999. Con la Fifa ha cominciato a lavorare nel 2009

come consulente per la sicurezza di un torneo giovanile in Egitto. Alla Fifa

ha fatto un’impressione così buona che l’organizzazione lo ha strappato

all’Interpol per dargli un ruolo a tempo pieno ai Mondiali di calcio in

Sudafrica nel 2010, visto che i dirigenti della Fifa temevano attacchi

terroristici e truffe. Dopo che il torneo si è concluso senza intoppi, Eaton è

diventato il capo della sicurezza della Fifa, con l’obiettivo di creare una

nuova divisione all’interno dell’organismo internazionale per combattere il

fenomeno delle partite truccate.

Ingannare le federazioni

All’inizio della sua nuova sida, Eaton ha messo su una squadra di

investigatori, tutti poliziotti come lui, scegliendoli in base alla loro

“energia e al loro odio per il crimine”. Li ha disseminati in tutto il mondo

lasciandogli ampia libertà di azione. Gli investigatori di Eaton sono entrati

in contatto con alcuni informatori, che alla ine li hanno fatti arrivare a

un’organizzazione criminale di Singapore. Piano piano hanno scoperto in

che modo personaggi come Perumal erano riusciti a iniltrarsi nel mondo del

calcio. “Avevano smesso di condizionare le partite e hanno cominciato a

condizionare le persone”, dice Eaton.

Secondo gli investigatori, Perumal aveva perfezionato le sue tattiche

criminali alla fine degli anni novanta in Ghana e Zimbabwe. Il suo obiettivo

non era solo corrompere i singoli calciatori ma ingannare intere federazioni.

Fingendosi rappresentante di società fittizie dai nomi come Footy Media e

Football4U, Perumal si rivolgeva ai dirigenti delle federazioni per

organizzare amichevoli tra le nazionali. “Gran parte delle federazioni

calcistiche sono in rosso”, ha poi scritto Perumal al giornalista di Singapore

Zaihan Mohamed Yusof dal carcere in Finlandia. “Quando ti presenti con

una squadra che è pronta a giocare un’amichevole, ti accolgono a braccia

aperte. Non sanno cosa c’è sotto”.

Mentre la sua rete criminale cresceva, Perumal firmava accordi regolari

con federazioni nazionali di paesi dove non era conosciuto, come Bolivia

e Sudafrica, pagando anche centomila dollari per le amichevoli, spesso

contro nazionali di livello superiore che volevano risparmiarsi la fatica

di organizzare un incontro. Perumal si occupava dell’organizzazione,

della pubblicità e della scelta degli arbitri. Molte amichevoli si giocano

senza l’ok della Fifa. Dunque, spesso tutto quello che doveva fare

Perumal era trovare uno stadio e pagare l’affitto per un giorno. Queste

partite attiravano l’attenzione dei bookmaker internazionali nonostante un

numero insolito di espulsioni, rigori concessi o fuorigioco fischiati. Per match

del genere, gli arbitri sono pagati dalla Fifa solo 350 dollari, quindi

era facile corromperli. “Ogni federazione calcistica iscritta alla Fifa è

responsabile dell’organizzazione e della supervisione delle partite nel suo

paese”, spiega il portavoce della Fifa Wolfgang Resch. “Il controllo degli

arbitri e dei dirigenti rientra nei doveri delle singole federazioni”.

Corrompere gli arbitri era un modo per manipolare i risultati, ma per

raggiungere quello che i criminali chiamano un lavoro eccellente, Perumal

doveva accordarsi anche con giocatori e allenatori. Per riuscirci ha vestito i

panni del Robin Hood del calcio, pagando oltre cinquemila dollari a partita a

molti giocatori di Africa, America Centrale e Medio Oriente che con i loro

compensi regolari riuscivano a stento a sfamare le famiglie. Perumal si è

infiltrato così bene nei campionati professionistici che, secondo fonti di

Singapore, parlava con gli allenatori in panchina durante le partite. Perumal

si è vantato del fatto che “controllava il calcio siriano più di quanto Assad

controlli il paese”.

Di fronte a organizzazioni criminali che operavano in piccoli centri africani

e negli spogliatoi del Medio Oriente, Eaton ha deciso che bisognava

combatterle con un approccio da “antiterrorismo”. Ma quando ha proposto

due iniziative – un numero di telefono speciale per le soffiate e l’amnistia

per chi confessava le truffe – la Fifa le ha subito scartate. “La Fifa è

un’organizzazione non profit che vigila sulle squadre, le istituzioni e i vari

campionati. La sua autorità si applica solo ai suoi affiliati, è impossibile

per l’organizzazione controllare chi agisce fuori dal sistema”, dice Resch

della Fifa.

Ogni volta che ne ha l’opportunità, il presidente della Fifa Sepp Blatter

sottolinea il suo impegno nell’estirpare il fenomeno delle combines nel

calcio. Ma Eaton alla fine si è ritrovato con le mani sempre più legate.

“L’approccio di Chris è di tipo olistico”, sostiene Ronald Noble, un suo ex

collega all’Interpol. “Vuole un programma di protezione dei testimoni e una

squadra di investigatori della Fifa pronta a volare in ogni parte del mondo,

in qualsiasi momento. Ma tutte queste cose sono impossibili per istituzioni

come la Fifa che non hanno compiti di polizia”.

Eaton, invece, la pensa così: “Stiamo parlando dello sport più diffuso del

mondo, dunque deve essere un modello. Il punto è la sua gestione. Allora

c’è solo un business con un pizzico di controllo o c’è un sistema di controllo

con un pizzico di business?”.

A Singapore il fenomeno delle partite truccate si è trasformato in un’impresa

strettamente controllata dalla criminalità. Alla sua guida ci sono quattro

boss, con a capo un uomo di nome Dan Tan Seet Eng. Una volta che si è

deciso come finirà una partita, le triadi cinesi usano delle “fabbriche di

scommesse” nel sudest asiatico dove schiere di persone davanti a un

computer fanno puntate da circa tremila dollari ognuna il più velocemente

possibile, per non insospettire i bookmaker. I boss spesso agiscono insieme,

usando il sistema hawala, una struttura di credito clandestina a cui si

affidano le organizzazioni criminali internazionali per scambiarsi denaro

senza lasciare tracce. La crescita del giro delle scommesse truccate ha

fatto aumentare i gruppi criminali con organizzazioni simili in altri paesi,

come Italia, Ungheria, Croazia e Bulgaria.

Ignorati dalla polizia, i boss di Singapore sono diventati sempre più

spudorati al punto da organizzare partite fantasma come quella tra le

nazionali under 21 di Maldive e Turkmenistan. Visto che sono le federazioni

dei singoli paesi, e non la Fifa, ad annunciare le amichevoli, i bookmaker si

basano su osservatori locali per ottenere le informazioni su queste partite.

Ma gli osservatori sono corrotti dalle organizzazioni criminali per

imbrogliare gli allibratori, che ricevono i resoconti di partite mai giocate.

Un folle megalomane

Per Wilson Raj Perumal truccare le partite stava diventando troppo semplice.

Così ha preso anche lui il vizio di scommettere, puntando sui Chicago Bulls o

sul Manchester United; squadre che per quanto ne sapeva non erano corrotte.

Ma come scoprì presto, Perumal era molto più bravo a truccare le partite che

a scommetterci sopra. Secondo un investigatore del gruppo di Eaton, in tre

mesi Perumal ha perso circa dieci milioni di dollari.

Per recuperare i soldi persi Perumal ha deciso di ingannare l’organizzazione

criminale di cui faceva parte. Ha cominciato a tenere per sé i 500mila dollari

che i suoi capi gli davano per organizzare le combines, sperando che la

squadra giusta vincesse regolarmente e con il punteggio che serviva. Presto,

però, Perumal si è ritrovato nei guai: secondo alcune fonti della Fifa, doveva

un milione di dollari a un boss, 500mila a un altro e un milione e mezzo a un

altro ancora. A quel punto era disperato e ha cominciato a commettere degli

errori. Il 7 settembre 2010 ha pensato di far passare alcuni impostori come

calciatori della nazionale del Togo e fargli giocare un’amichevole contro il

Bahrein. Ma la messinscena è stata così sfacciata che dalle cronache dei

giornali sembrava proprio una partita truccata. Il commissario tecnico del

Bahrein, Josef Hickersberger, disse a fine partita che la nazionale del Togo

non “era abbastanza in forma per giocare i 90 minuti”.

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La finta nazionale del Togo prima dell’incontro con il Bahrein, 2010

Qualche mese dopo Perumal era già in Finlandia, dove truccava le partite

con la squadra del Rovaniemi almeno dal 2009. Doveva seguire un affare

per conto di Dan Tan. Negli anni il club del Rovaniemi aveva

procurato all’organizzazione criminale tanto di quel denaro che Dan Tan

aveva deciso di rilevare la squadra per garantirsi introiti costanti. Ma,

visto che aveva ancora bisogno di soldi per finanziare le sue scommesse,

Perumal ha fatto saltare l’affare. I proprietari finlandesi, infatti, avevano

accettato di vendere il club per 500mila dollari. Ma Perumal ne ha offerti

solo 200mila, tenendosi il resto per sé. Dopo alcune telefonate infuocate

tra i dirigenti del Rovaniemi e i boss di Singapore, è stato subito chiaro dove

erano finiti i 300mila dollari scomparsi.

Perumal aveva troppi contatti con il Rovaniemi, che era una gallina

dalle uova d’oro, perché Dan Tan potesse tagliarlo fuori. Ma perfino

prima che saltasse l’acquisto del club, i boss avevano voluto incontrare

i due assistenti di Perumal, Danny Jay Prakash e Anthony Santia Raj. I due

avevano confessato che Perumal ormai era diventato un folle megalomane.

Aveva perfino creato una pagina Facebook con le foto che ritraevano lui

e i giocatori corrotti, per non parlare delle informazioni che aveva postato

online per contattare altri criminali in Europa. Con i suoi azzardi Perumal

si era giocato la credibilità. Mentre la sua reputazione andava a rotoli, il suo

vice Santia Raj stava organizzando la più grande combine della sua carriera,

ovvero due amichevoli nella località turistica di Adalia, sulla costa turca:

Lettonia contro Bolivia ed Estonia contro Bulgaria. Quello che Santia Raj non

sapeva è che le due partite avevano fatto nascere dei sospetti prima del fischio

di inizio. Janis Mezeckis, segretario generale della Federazione calcistica della

Lettonia, era preoccupato per il modo in cui erano stati scelti gli arbitri:

l’inesperto Santia Raj, infatti, si era rifiutato di rivelare i nomi dei

direttori di gara prima del match. Allora Mezeckis aveva contattato la Fifa. A

sua volta Chris Eaton aveva contattato Sportradar, un osservatorio sulle

scommesse con sede a Londra che, tra i suoi clienti, ha anche la Fifa, l’Uefa

e le federazioni calcistiche di Germania, Francia e Repubblica Ceca. I nodi

stavano venendo al pettine.

Sportradar sorveglia trecento siti di scommesse nel mondo, sfruttando

degli algoritmi per indentificare i flussi insoliti delle puntate. Quando lo

staff di Sportradar ha controllato quello che succedeva ad Adalia si è

accorto che le scommesse su entrambe le partite erano identiche. “C’era

un grande flusso di giocate per più di tre gol su tutti e due i match”, racconta

Darren Small, il direttore operativo di Sportradar. “La cosa era piuttosto

strana, considerando i cinque milioni di euro puntati su ogni partita”. Alla

fine nelle due partite furono segnate complessivamente sette reti, tutte su

calci di rigore. E quando un giocatore lettone aveva sbagliato un calcio di

rigore, l’arbitro glielo aveva fatto ripetere.

Dopo i match di Adalia, la Fifa ha contattato Santia Raj via email attraverso

la società di facciata del truffatore. Dan Tan e gli altri boss hanno pensato

che Perumal avesse fatto una soffiata alla Fifa. È stato questo il momento in

cui Dan Tan ha autorizzato Santia Raj a consegnare Perumal alla polizia. Per

farlo, Santia Raj ha spedito un suo uomo al commissariato di Rovaniemi,

mettendo la parola fine alla lunga carriera di Perumal.

Perumal ha deciso di collaborare con gli inquirenti, mentre le prove contro

di lui si accumulavano . Ha rivelato diversi segreti sulle combines che nel

dicembre 2011 hanno portato un tribunale italiano a incriminare Dan Tan.

Perumal è stato un anno in carcere in Finlandia, poi è stato consegnato a

febbraio alla polizia ungherese, il primo dei paesi dell’Unione europea che lo

vogliono processare per aver truccato le partite.

Perumal ora si trova in un luogo sicuro di Budapest, dove, dicono i ben

informati, starebbe svelando le operazioni dell’organizzazione di Singapore

con altri gruppi criminali.

La Fifa deve imparare

Eaton non sarà alla Fifa per vedere come finirà questa faccenda. Il primo

maggio ha lasciato il massimo organismo del calcio mondiale per lavorare

all’International centre for sport security, un osservatorio finanziato

generosamente con sede nel Qatar.

Mentre è al bar del Radisson Edwardian hotel di Manchester dopo un

giorno passato a SoccerEx, Eaton sembra sollevato dal suo nuovo lavoro:

“La Fifa deve imparare ancora molto sul crimine organizzato e le scommesse”,

dice. “Il business del calcio è diventato così grande che ha soffocato la

sportività. Ecco perché quando vuoi andare a fondo nel mondo del calcio, c’è

chi storce il naso”.

Perumal ora ha una nuova e lunga lista di nemici. Da Singapore un suo ex

collega lancia un avvertimento: “Custodia cautelare. Se rimane quindici minuti

da solo e va al bagno, è un uomo morto. Non ci vuole niente. Mi hanno offerto

300mila dollari per andare in Ungheria, mettermi su un tetto con un cecchino e

dirgli chi è Perumal”. Ma Perumal gioca ancora d’azzardo. Come ha scritto dal

carcere: “Sono io che ho la chiave del vaso di Pandora. E non ci metto nulla

ad aprirlo”.

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Il fastidio del fastidio

di ROBERTO BECCANTINI dal blog Beck is Back 07-06-2012

Deve essere stata grave, la deposizione di Giuliano Tavaroli, se ne hanno

parlato perfino Sky e la giornalaccio rosa. Titolo della rosea: «Spiavo De Santis

per conto di Moratti». Sommario: Tavaroli in aula ammette: «Il dossier Ladroni

mi venne ordinato dal patron dell’Inter e lo gestii con Facchetti». Ho

controllato: Facchetti, non Tronchetti. Ho ricontrollato: non Tronchetti,

Facchetti. Siamo nel 2003, su per giù a tre anni dallo scoppio di Calciopoli.

Con Claudio Sabelli Fioretti (prima lui, poi io) intervistammo Moratti

sull’argomento. Fu vago. Agli inquirenti federali, negò.

In attesa di essere pesata e verificata, la deposizione di Tavaroli – in

tribunale, sotto giuramento, al processo Telecom – conferma la mia tesi

della guerra per bande. Lo è sempre stato, il calcio italiano, ma con

l’accelerazione imposta da Berlusconi da una parte e dalla Triade dall’altra

lo è diventato ancora di più. In mezzo, l’Inter e le romane. Ognuno, per

giustificare le proprie mosse e il proprio marcio, ha invocato il diritto alla

legittima difesa: l’ho fatto prima che lo facessero a me. Ci sono sentenze

sportive (definitive) che hanno fissato il podio; e verdetti penali che, in

attesa degli appelli, hanno riportato Calciopoli a Moggiopoli. Ci sono

prescrizioni che, come nel caso dei farmaci evitarono alla Juventus il

tormento di un altro processo, così hanno salvato l’Inter dal rinvio a

giudizio (sportivo) per articolo 6 (Facchetti) e articolo 1 (Moratti). Ci sono

dirigenti imbelli come Abete, con gli aggettivi al posto degli attributi.

[...] Ogni tanto ripenso a una frase di Massimo Fini: «Ci sono i carnefici, le

vittime e le finte vittime. Queste sono le peggiori perché hanno l’apparenza

delle seconde e la sostanza delle prime». Una cosa però mi dà fastidio: il

fastidio di Moratti quando si nomina «invano» il grande Giacinto. Ma se sono

loro, i primi.

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Mi pare che...

Tavaroli ha «cantato», ora tutti

sanno: con le Sim mi difendevo

di LUCIANO MOGGI (Libero 08-06-2012)

L’articolo di martedì era titolato «tanto tuonò che piovve» in riferimento

alle nefandezze perpetrate dalla Giustizia Sportiva su Calciopoli. Dopo la

testimonianza di Tavaroli, possiamo dire tranquillamente che adesso «grandina».

Di fronte ad affermazioni così nette e decise, dette sotto giuramento, c’è

poco da arzigogolare, significa che Moratti non ha detto il vero.

L’«operazione ladroni», i dossieraggi illegali sull’arbitro De Santis, il

sottoscritto, le utenze Juve e quant’altro, fu tutto commissionato

direttamente dal patron dell’Inter e rinviato a Facchetti solo per i dettagli

operativi. Tavaroli, l’ex capo della security Telecom, l’aveva più volte

dichiarato, noi avevamo avvertito dell’esistenza di uno spionaggio industriale

ancor prima che venisse fuori la bufera Telecom, nessuno di noi fu creduto,

meno che mai dalla Figc e dal procuratore Palazzi: ora dovrebbero spiegare

perché hanno giudicato come verità le bugie di Moratti senza tenere conto di

chi lo chiamava ripetutamente in causa con narrazioni di fatti precisi,

dettagliati e mai contestati.

L’«operazione Ladroni» risale alla fine del 2002, ben prima delle indagini di

Napoli, quelle monitorate ad personam e a nostro esclusivo riferimento da

Auricchio e Company, che vollero vedere nelle utenze riservate il passepartout

di chissà quali magagne ed erano invece un tentativo di difendersi da chi

spiava in maniera abusiva e illecita fatti commerciali e di mercato della

Juve. Che fosse solo una difesa della politica aziendale l’hanno dimostrato

prima la sentenza sportiva Sandulli («non c’è traccia di partite alterate») e

successivamente le motivazioni del processo ordinario di primo grado

(«campionato regolare , sorteggio regolare»). Ma anche loro (Moratti e

Tronchetti), nonostante il grande dispiego di mezzi per cercare “fatti” che

non esistevano, avevano capito che tutto era regolare, ma tacevano la verità

perché, come dice una celebre canzone «la verità fa male». Non si leggono

finora reazioni di Moratti, le vediamo difficili. Quelle dichiarazioni sono un

duro scorno per chi si è ammantato sempre dalla figura di Ottimo e Massimo,

nascondendosi tutte le volte in cui ha portato l’Inter e se stesso oltre la

legalità. Per chi non lo sapesse c’è stato anche un risibile tentativo

contenuto in una memoria difensiva, «se c’è stato qualcosa, l’ha fatto

Facchetti, che però non ne aveva le deleghe». Così intaccata la figura in

precedenza sempre corazzata del dirigente dell’epoca e nessuna reazione

da parte del figlio, sempre causidico in altri casi.

Gli sviluppi del processo sono uno svegliarino per Palazzi da una parte e

per Abete dall’altra. Significa che le conclusioni prese nel giugno 2007 dal

procuratore federale, archiviazione del procedimento per «la non emersione

a carico dell’Inter e dei suoi dirigenti di fattispecie di rilievo disciplinare

procedibili ovvero non prescritte» e anche per improcedibilità per la

prematura scomparsa di Facchetti, allora indicato come il principale tramite

dell’operazione ladroni, non sono corrette ed impongono un giudizio di

revisione in sede sportiva per il ruolo ora definito di Moratti, quale

“mandante” smascherato dei dossieraggi. Ad Abete ricordiamo la frase

dell’etica che non va in prescrizione. Se è così, il presidente della Figc ha

il dovere di riprendere in mano tutta la pratica.

Su Carraro che ha fatto un richiamo ad Agnelli sui 28 scudetti e non 30, ma

che nella realtà ha voluto fare piaggeria alle tesi di Blatter, ci limitiamo a

dire che chi si è salvato da Calciopoli nella maniera che sappiamo (è sempre

quello che ebbe a dire al designatore «mi raccomando che non si aiuti la Juve,

per carità di Dio» - e ancora «bisogna aiutare la Lazio fin dalla prossima

domenica») avrebbe fatto bene a starsene zitto. Su una cosa possiamo

convenire: la Juve non patteggiò la pena da un punto di vista formale, ma in

misura sostanziale sì, per bocca dell’avv. Zaccone. Quella posizione significò

mancata difesa e fu un grande sbaglio. E se l’Inter ha potuto sconfinare

nell’illecito (così configurato da Palazzi) ammantandosi nello stesso tempo

dei panni dell’onestà, così facendosi assegnare anche uno scudetto di cartone,

ciò è avvenuto sempre in conseguenza di quella mancata difesa della Juve

che, così facendo, espose i suoi dirigenti alla gogna. Il risultato è quello che

sappiamo, potrebbe correggerlo solo una Figc capace di riconoscere i propri

errori...

Dice JU29RO: «Le parole di Tavaroli sono uno schiaffo alla credibilità

dei vertici della Figc, uno schiaffo alla credibilità di tutto il sistema, un

sistema che archivia o condanna in base al colore della maglia». Che fine

ha fatto l’etica?

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L’ANTICIPAZIONE NELLA NUOVA DIVISA NON COMPARIRÀ LA TERZA STELLA PER EVITARE SCONTRI ISTITUZIONALI

Il segreto di Agnelli:

c’è un trenta sulla maglia

Il riferimento solo implicito ai titoli: sotto

lo stemma un motto del tipo «Trenta sul campo»

di MARCO IARIA (GaSport 08-06-2012)

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Andrea Agnelli aveva promesso una «sorpresa» per i tifosi, in spasmodica

attesa della nuova maglia della Juventus 2012-13. Quella sorpresa siamo in

grado di anticiparvela, a qualche giorno di distanza dalla presentazione

ufficiale, che dovrebbe avvenire la prossima settimana. Non ci sarà la terza

stella, evocata nelle celebrazioni del post-scudetto dagli stessi dirigenti ed

elevata dal popolo bianconero a vessillo della stagione del riscatto, dopo

l'inferno di Calciopoli. Né verrà modificato il logo della società per

mettercela dentro, sfruttando il fatto che quello è un territorio privato

della Juve, dove le istituzioni non potrebbero intervenire. E nemmeno

diventerà un elemento grafico del design della maglietta, non fosse altro

che per una questione di tempi: Nike aveva già avviato da parecchi mesi

l'iter progettuale ed esecutivo.

No allo scontro Agnelli, che nelle ultime interviste, a freddo, aveva già

smorzato i toni, ha voluto evitare lo scontro frontale con Coni e Federcalcio.

Ma per accontentare i sostenitori e perpetuare la battaglia legale sulla

«parità di trattamento», ecco la soluzione che sa di compromesso: nello

spazio riservato allo stemma e alle due stelle, cioè sul lato sinistro della divisa,

troverà posto una scritta contenente la parola «trenta». Riferimento implicito

al numero degli scudetti che la Juventus «sente» di avere vinto, sebbene

due le siano stati revocati dalla giustizia sportiva per i fatti del 2006.

Implicito perché il «trenta» non sarà accompagnato da alcun sostantivo:

né scudetti né stelle né campionati o quant'altro. Trenta come l'incipit di uno

slogan del tipo (possiamo immaginare) «trenta sul campo». Che poi è ciò che

società, calciatori, staff tecnico hanno ripetuto ossessivamente subito dopo

l'ultimo trionfo. Trenta sul campo o trenta nel cuore, o comunque qualcosa di

simile. Quel che è certo è che la scritta, diventerà una specie di refrain,

come il motto del Barcellona «Més que un club». Tecnicamente, si tratta del

nuovo payoff del brand Juventus, elemento verbale che accompagna nelle

iniziative di comunicazione e marketing il logo di un'azienda e che ne esprime,

in maniera concisa e suadente, la filosofia. Se il Barça fa stampare la sua

frase all'interno del colletto, i bianconeri la piazzeranno presumibilmente

sotto lo stemma (alla maniera della dicitura «il club più titolato al mondo»

sulle divise del Milan), o in alternativa tra le due stelle e lo stemma stesso.

Riflessioni La scelta definitiva è giunta al termine di un percorso

non facile. Valutazione di fattibilità e rischi che ha portato a ritardare il

varo ufficiale: la Figc, per dire, non avrebbe mai avallato la terza

stella. Agnelli ne ha tenuto conto, anche considerato che è in predicato

di diventare consigliere federale. E ha trovato il grimaldello per uscire

dall'impasse: la scritta con il trenta.

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L’INCHIESTA

Una colletta per il pari nel derby

la “storia devastante” di Genova

Ipotesi di frode sportiva: nel 2011 i giocatori della Samp raccolsero soldi da versare ai cugini

di FABIO POLETTI (LA STAMPA 08-06-2012)

Più che un «biscotto» una torta. Una torta bella grande, forse addirittura

milionaria, così grande da ingolosire i giocatori del Genoa. Nelle pieghe

dell’indagine sul calcioscommesse spunta una colletta organizzata negli

spogliatoi tra i calciatori della Samp per «comperarsi» il derby sotto la

Lanterna dell’8 maggio dell’anno scorso ed evitare di finire in serie B. «Se

avessimo le prove ci sarebbe da azzerare le due squadre...», si fa scappare

un investigatore alla ricerca di tutti gli elementi su questa «storia devastante»,

anche se non inedita per la serie A, già sentita nell’inchiesta di Bari sul

derby Bari-Lecce comperato dai leccesi. Un reato grande così per il passaggio

di danaro, figuriamoci il problema etico. Ma in questa «storia devastante»,

per dirla con le parole del pubblico ministero Roberto Di Martino, devastato

pure lui nella sua veste di tifoso della Samp, le questioni etiche sono

davvero le ultimissime.

Il capitolo del derby della Lanterna è l’ultimo a spuntare in questa storia

infinita. E ci spunta quasi per caso a fine maggio, dopo la terza retata di

arresti, in una intercettazione telefonica, una delle tante. Al cellulare è

Massimo Leopizzi, uno dei capi degli ultrà del Genoa. Al telefono ricorda i

tanti capitoli di questa vicenda e parla pure del derby dell’anno prima,

rivelando di avere personalmente incontrato uno dei calciatori coinvolti che

gli avrebbe raccontato della combine, con un pagamento di 350 mila euro

a testa per cinque calciatori del Genoa, una cifra talmente esagerata che

in procura la stanno ancora verificando. La chiamata gli costa l’iscrizione nel

registro degli indagati per associazione a delinquere finalizzata alla frode

sportiva. Ma davanti al pubblico ministero Roberto Di Martino, in due ore di

interrogatorio, Massimo Leopizzi, vestito di nero dalla testa ai piedi, nega

tutto o quasi: «Mai avuto quell’incontro.. . Quel giocatore non lo conosco

nemmeno... Devo avere solo riportato una voce che girava tra noi tifosi. . . »,

la sua difesa minimalista, che convince meno di niente gli investigatori. Il

nome di quel calciatore mai uscito in questa inchiesta è agli atti, quel

giorno non aveva nè la maglia del Genoa nè della Sampdoria ma era un ex.

Ed è su di lui che ora stanno lavorando gli investigatori. Il calciatore

potrebbe essere interrogato ma gli inquirenti per ora vanno cauti.

Preferiscono ricostruire i contorni di questa vicenda che, allo stato degli

atti, non coinvolge i vertici delle squadre ma solo i calciatori. E tra loro

pure Domenico Criscito, il difensore della Nazionale che si è fumato gli

Europei dopo aver ricevuto un avviso di garanzia. I contorni della vicenda

sono tutti da chiarire ancora, anche perché alla fine il derby si concluse non

come avevano sperato i giocatori della Sampdoria che puntavano al pareggio

e vennero travolti da un gol al 96’ segnato dall’attaccante del Genoa Mauro

Boselli. Un gol accolto dagli spalti con cori di scherno - «Non lo sapeva,

Boselli non lo sapeva...», gridavano i tifosi tanto erano di dominio pubblico

le combine.

Partite manipolate che agli ultrà non sono mai andate giù. Tanto da far

partire proprio dagli spalti le contestazioni dopo Genoa-Siena dello scorso

aprile. Con i giocatori genoani costretti a togliersi la maglia perché

«indegni» di indossarla. Con le minacce, l’anno prima, a Omar Milanetto del

Genoa che poi corre a chiedere protezione a uno degli ultrà in un incontro

dove sono presenti pure alcuni degli «zingari» del calcioscommesse. Una

presenza casuale sembra di capire. Perché l’ultrà Massimo Leopizzi nel suo

verbale chiede che venga messa nero su bianco una cosa sola: «Gli ultrà del

Genoa sono totalmente estranei ad ogni partita combinata per il

calcioscommesse».

___

Per i Monopoli

nessun sospetto

sui dati del 2010

art.non firmato (GaSport 08-06-2012)

Nei giorni scorsi sembrava che le indagini sull'agenzia di scommesse di Parma

di Massimo Alfieri (salita agli onori della cronaca per l'amicizia con Buffon

e gli assegni girati dal portiere) dovesse portare a chissà quali scoperte. In

realtà, sebbene a due anni dalla segnalazione, è stata fatta una verifica del

movimento scommesse e della regolarità della gestione della documentazione

antiriciclaggio. Le notizie degli investigatori parlavano di attenzione sulla

percentuale di «scommesse vincenti» vicine all'80%.

Secondo quanto emerge dai dati dei Monopoli di Stato, come riporta Agipronews,

nel punto vendita sono state effettuate nel 2010 scommesse per oltre 7

milioni di euro, con una percentuale di vincite (e non scommesse vincenti)

pari al 77%, giudicata sospetta dagli investigatori ma in realtà inferiore a

quella riscontrata presso migliaia di punti scommessa in tutta Italia: 81%. In

linea con il dato nazionale è anche il numero di ticket vincenti (contenenti

scommesse singole e multiple): 7% del totale, contro un dato nazionale del

5%; in sostanza, su 100 ticket giocati nel 2010 7 sono risultati poi vincenti.

___

Portanova conferma tutto

Il Bologna paga in blocco?

«Misi al corrente l’intera squadra». Si rischia l’omessa denuncia

Per Bologna-Bari rifiutò le proposte di Masiello senza avvertire la Figc

Almiron e Gillet parlano del loro ex compagno

di ETTORE INTORCIA (CorSport 08-06-2012)

ROMA - Il Bologna è in ansia e quanto accaduto ieri in Procura Federale

non fa che legittimare le preoccupazioni del club rossoblù. Perché, inutile

girarci intorno, se il metro utilizzato da Palazzi sarà severo e inflessibile,

la società emiliana si ritroverà a correre davvero il rischio di un maxi

deferimento collettivo per omessa denuncia, un episodio senza precedenti.

La gara che metterebbe nei guai i rossoblù è Bologna-Bari 0-4 del 22 maggio

2011, quella dell’incontro, a pochi giorni dal match, tra i faccendieri legati

a Masiello e Daniele Portanova, difensore rossoblù che oppone un netto

rifiuto a qualsiasi proposta illecita. Ieri il giocatore è stato ascoltato dagli

007 di Palazzi. Cosa ha detto? Il suo legale, l’avv. Gabriele Bordoni, dopo due

ore e mezza di interrogatorio, ha spiegato che Portanova «ha raccontato le

cose in maniera trasparente e leale, niente di diverso rispetto a Bari, con

qualche approfondimento per le necessità della giustizia sportiva».

LA CONFERMA - Dunque, Portanova ha confermato quanto dichiarato ai pm

di Bari nell’interrogatorio del 5 marzo. E qui può nascere il problema sul

profilo sportivo, perché ai magistrati pugliesi Portanova disse anche questo:

«Di tutta questa vicenda io misi al corrente l’intera squadra del Bologna il

venerdì, cioè il giorno dopo l’incontro con i tre baresi, intimando a tutti di

stare attenti (...) Vorrei precisare che feci queste affermazioni palesando

chiaramente il mio dubbio su quello che era stato il senso di quell’incontro

(.. . )» . E sono proprio quelle parole «l’intera squadra» ad esporre

potenzialmente tutti i rossoblù alla contestazione di omessa denuncia.

Sanzioni? Sei mesi di stop, ma collaborando si può patteggiare una squalifica

di 4 mesi. Nel caso del Bologna, sarebbe una contestazione senza precedenti:

un’intera squadra nei guai per una leggerezza. Sul punto, ieri l’avvocato

Bordoni ha precisato la linea rispetto all’eventuale addebito di omessa

denuncia: «Non c’era una percezione tale che imponesse a Portanova

l’attivazione. Se il dato percepito non è una certezza, non si possono fare

denunce che potrebbero avere poi conseguenza penali» . Come dire: non

poteva denunciare Masiello per un timido sospetto, rischiando una querela

per calunnia. Ed è su questo punto che si basa la difesa di Portanova e del

Bologna.

GLI ALTRI ROSSOBLU’ - Sull’episodio raccontato da Portanova ieri sono

stati ascoltati anche Mudingayi e Morleo (assistiti sempre dall’avv. Bordoni, il

che ha fatto sollevare alla Procura dubbi di un conflitto d’interesse, dubbi

messi a verbale) e Della Rocca. Poche domande, le loro audizioni sono

durate una ventina di minuti. Oggi toccherà ad altri due rossoblù del presente,

Cherubin e Gimenez, più un rossoblù di ieri, Viviano. La domanda, per tutti,

sarà sempre la stessa.

ALMIRON E GILLET - In Procura è stato ascoltato anche Gillet, ma in

“quota” Bari, visto che quella gara l’aveva giocata in biancorosso. Con lui

gli 007 di Palazzi si sono soffermati sulle partite contestate al Bari ma,

probabilmente, anche sui rapporti con Andrea Masiello. Si spiega così

anche l’audizione di Almiron, uno dei leader di quel Bari, oggi in forza

al Catania che gli ha messo a disposizione il suo pool di avvocati

(Chiacchio e Cozzone). Con l’argentino le domande si sono concentrate

sui rapporti con il “pentito” più che sulle partite. Anche alla polizia giudiziaria

Almiron aveva già negato di aver accusato esplicitamente Masiello di condotte

illecite, confermando però che, dopo un litigio, i suoi rapporti con il difensore

si erano interrotti definitivamente e nello spogliatoio vivevano da separati in casa.

Come ex Bari oggi saranno ascoltati Bentivoglio e il tecnico Mutti. E, a sorpresa,

oggi sarà ascoltato anche il ds Andrea Iaconi (ex Grosseto) che nel processo

aveva chiesto lo stralcio durante l’ultima udienza.

TUTTI PER MICCOLI - Un po’ di rapporto con la sana realtà lo ha ristabilito

Fabrizio Miccoli, ascoltato su Palermo-Bari 2-1 per sentire le sue

impressioni. «Vuol dire che farò una vacanza a Roma» , scherza all’ingresso,

accompagnato dal manager Caliandro e poi dall’avvocato Malagnini. Prima

di entrare in procura, si era fermato con una scolaresca di Aprilia ospite in

Figc. Quei ragazzi sono rimasti ad aspettarlo per due ore, intonando cori nel

silenzio di via Po.

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L’Uefa insiste: «Niente Coppe col -1»

Il segretario generale Infantino: «Valutiamo caso per caso, esclusioni pure a torneo in corso»

di FABIO LICARI (GaSport 08-06-2012)

Domanda da un milione di zloty (visto che l'Uefa è qui in Polonia): chi andrà

alle prossime coppe? Quanto rischiano i club coinvolti, o sfiorati, dal

calcioscommesse? Nel regolamento disciplinare è stato introdotto, cinque anni

fa, un articolo molto rigoroso. Che si può sintetizzare così: 1) per giocare

le coppe un club non deve essere coinvolto direttamente o indirettamente nella

«manipolazione» di un risultato; 2) l'Uefa può estendere il divieto anche a

chi non è punito dalla federazione se, con le sue indagini, pensa che la

squadra sia in qualche modo coinvolta. Ne parliamo con il numero 2 dell'Uefa,

il segretario generale Gianni Infantino.

Preoccupato per quello che accade in Italia?

«Tanto. Le scommesse non sono un fenomeno soltanto italiano, vanno prese

con serietà. Complimenti a magistrati e federazione: non è facile agire con

fermezza».

Oltretutto, per l'Interpol, l'Italia è la migliore al mondo.

«Perché c'è una legge dello Stato. L'Uefa chiede che la frode penale in campo

sportivo sia legge: il che consente a magistrati e federazioni di lavorare

assieme e applicare sanzioni penali e sportive. Le partite truccate non sono

doping, non basta un esame medico: qui c'è di mezzo la criminalità, serve la

polizia».

Andiamo all'articolo del 2007. Perché?

«Per garantire un'uniformità di giudizio in Europa. Altrimenti sa cosa poteva

accadere? Dentro le coppe club di federazioni che controllano male, fuori

invece squadre di federazioni che fanno il loro dovere. Tutti sanno: se un

club è coinvolto direttamente o indirettamente, deve essere escluso».

Esclusione possibile anche senza punizione federale?

«Sì, la Disciplinare può analizzare un caso e non iscrivere un club perché lo

considera coinvolto. Comunque senza giocatori e/o arbitro una gara non si

può truccare, il club va valutato a parte».

Una penalizzazione, anche -1, significa niente coppe?

«In linea di principio, sì. A meno che il club non dimostri alla Disciplinare

la sua completa e totale estraneità. Ma ogni caso va valutato singolarmente».

Com'è la procedura?

«Ogni club deve dichiarare per iscritto di non aver partecipato ad alcuna

manipolazione di gare. Se questo succede, va alla Disciplinare. Che può

decidere subito o aver bisogno di tempo».

Come si esclude un club?

«Se la responsabilità è accertata subito, niente iscrizione. Se le indagini

sono più lunghe, può partecipare sub-judice ed essere escluso a torneo

in corso: è appena successo ai greci del Volos. Erano nelle coppe, poi

la federazione li ha penalizzati di 10 punti e noi li abbiamo esclusi. Se infine

le indagini sono lunghissime, la penalizzazione può essere inflitta l'anno

dopo».

Platini chiede la radiazione anche per omessa denuncia.

«Abbiamo già squalificato a vita due arbitri che sono stati contattati e non

hanno denunciato il fatto. In Italia è diverso e rispettiamo le regole interne,

però la nostra politica è: tolleranza zero».

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Ucraina, caccia ai bambini fantasma

Operazione pulizia, migliaia di piccoli homeless spostati nelle periferie

di ANDREA SORRENTINO (la Repubblica 08-06-2012)

Col manganello che penzola e sbatte sul fianco, i due gendarmi salgono a tre

a tre i gradini che dai sotterranei di Maidan conducono alla luce, alla grande

piazza dell´Indipendenza, l´anima di Kiev. In cima alla scalinata si fermano,

guardano in tutte le direzioni, parlottano.

Poi spariscono tra la folla. Altri ne abbiamo visti, in questi giorni di

vigilia, affannarsi per le vie del centro, guardinghi, sospettosi, furtivi e

all´inseguimento. Si immergono nel mondo sommerso e buio delle enormi

isole pedonali che stanno sotto la piazza più famosa di Kiev e vanno a

caccia. Di bambini. Bambini che bisogna allontanare dalle vie dello struscio,

dei negozi griffati, per spingerli in periferia. I bambini vagabondi di Kiev,

che sono migliaia ma che nessuno, per almeno un mese, deve vedere.

Hanno sei, otto, nove, dodici anni. Facce annerite dalla vita, raggrinzite

dalle privazioni e dalle notti all´addiaccio, anime perse nel ventre della

città.Vivono di elemosine, furtarelli e razzie nei bidoni della spazzatura,

folletti solitari che si animano quando fa buio, ed è in quel momento che

inizi a vederli in giro: «Prima regola: dormire di giorno e vivere di notte»,

perché di sera aumentano le possibilità di raccogliere mance o elemosine,

fuori dai locali alla moda, fuori dai ristoranti che costano un sacco. Se va

male, ci sono sempre i bidoni della spazzatura all´esterno dei fast food, e di

quelli con la M stilizzata a Kiev ce ne sono a decine. Se va malissimo,

qualcuno vende il proprio corpo, e un´altra notte è passata.

I bambini vagabondi di Kiev, in una città da tre milioni di abitanti, sono

migliaia, anche se nessuno è mai riuscito a censirli perché è impossibile:

molti non esistono perché non sono mai stati registrati all´anagrafe. Dicono

che sarebbero almeno diecimila in questo periodo, ma anni fa erano il triplo,

il quadruplo. Ora sono di meno solo perché in parecchi vivono, anzi

sopravvivono da homeless in altre città ucraine e non vengono più a Kiev,

un tempo l´unica grande metropoli del paese.

È la Londra di Dickens centocinquant´anni dopo, e a due ore e mezza

d´aereo dall´Italia. I bambini di Kiev vengono da famiglie disgraziate, con

genitori poverissimi o alcolizzati, o entrambe le cose. Un giorno se ne sono

andati di casa, semplicemente perché i loro genitori non li volevano, o li

picchiavano, o peggio. Alcuni sono andati negli orfanotrofi e sono scappati

anche da lì, hanno preferito la libertà alla prigione. Dormono dove capita,

e neppure troppo distanti dalle vie del centro, spesso a poche centinaia di

metri dal grande stadio Oliympiysky: vicino ai canali, sotto i ponti, nei vagoni

dei treni abbandonati, nei pressi degli enormi tubi di riscaldamento sotterranei,

perché qui d´inverno si scende anche a -25. Ci sono organizzazioni non

governative che si occupano del problema, da anni provano a svuotare il

mare di disperazione accogliendo i bambini, provando a inserirli nella società

o a ricongiungerli con le proprie famiglie. Tra le altre, c´è "Father´s Care", con

due donne americane che vivono qui da vent´anni, Jane Hyatt e Barbara Klaiber.

La loro struttura è nella periferia ben curata di Kiev, a nord, tra boschi di

betulle, ospita alcune decine di bambini per volta, non c´è alcun aiuto dal

governo ma autofinanziamento con donazioni dagli Usa e dalla Svizzera:

«Abbiamo restituito alle famiglie circa 150 bambini negli ultimi anni.

Sappiamo che è poco rispetto all´enormità del problema, ma è qualcosa.

Rispetto alla fine degli anni Novanta ci sono meno bambini per strada, perché

il governo ha iniziato a muoversi, ma rimangono tantissimi lo stesso».

Adesso, comunque, nessuno li vedrà. Perché le città ucraine devono

apparire belle, vivibili, senza problemi o fastidi. Arriva l´Europeo e l´immagine

è tutto, anche se la vicenda della prigionia dell´ex premier Tymoshenko l´ha

sporcata assai (ieri anche il governo inglese ha annunciato che non sarà

presente alle partite in Ucraina). La bonifica, com´è noto, è iniziata da

mesi: via i cani randagi dalle periferie delle città, fatti scomparire in un

modo brutale che ha sollevato le proteste degli animalisti di tutta Europa;

via addirittura, è storia di oggi, i baracchini coi venditori di caffè lungo

le vie, stanno lì da sempre ma non danno un´immagine glamour della città.

Ora via anche i bambini vagabondi: tra poco si gioca, e il mondo non deve

sapere che oltre il pallone c´è altro, c´è tutto questo dolore.

-------

Ultras contro l´Olanda

è già allarme razzismo

di FRANCESCO SAVERIO INTORCIA (la Repubblica 08-06-2012)

Lo slogan non ha bisogno di traduzioni: "Fuck Euro". Al diavolo l´Europeo

2012 e tutti questi turisti che vengono alla partita mangiando popcorn come

al cinema. La frangia calda del tifo polacco non è per nulla contenta di ospitare

il torneo. Quelli del Wisla Cracovia si sono imbucati al primo allenamento

dell´Olanda e hanno portato la protesta all´interno della manifestazione. Il

resto dello stadio all´inizio ha pensato a un´accoglienza calorosa, poi si è

dissociato quando ha inteso il senso dei cori. Ieri, di nuovo, gli ultras

hanno accompagnato l´allenamento degli Oranje con insulti e versi della

scimmia per i calciatori di colore. Il ct van Marwijk ha ironizzato: «Almeno

adesso sappiamo cosa ci aspetta: un ambiente stupendo». L´Uefa è informata,

ma non ha ricevuto denuncia dall´Olanda. Nel frattempo le famiglie di

Oxlade-Chamberlain e Walcott hanno deciso di rimanere in Inghilterra per

paura di aggressioni razziste.

Cracovia è ribattezzata "la città dei coltelli" per l´abitudine degli ultras

di Wisla e Ks di usarli negli scontri. Una lama lanciata dagli spalti del

Wisla ferì Dino Baggio in Coppa Uefa, quattordici anni fa: cinque punti

di sutura al giocatore del Parma e un anno di squalifica al club polacco.

La protesta contro Euro 2012 è verso le regole imposte dalla federazione

polacca per estirpare gli hooligans. I kibole, come li chiamano i media,

odiano i nuovi stadi in cui è vietato tifare in piedi, portare fumogeni,

appendere striscioni. Per la polizia sono cinquemila i facinorosi polacchi

da tenere d´occhio. Un mese fa ha arrestato 35 tifosi dopo gli scontri

fra Pogon Szczecin e Piast Gliwice, seconda divisione. E a due settimane dal

via, altri 42 arresti. Fra i divieti c´è anche quello di bere alcolici in strada

e di avvicinarsi allo stadio a volto coperto. Gli agenti hanno in dotazione

pistole 9 mm, bastoni elettrici, fucili a pompa che sparano proiettili di

gomma, diffusori acustici che possono essere settati anche sul tono

deterrente ad alta frequenza (usati in Iraq, arriveranno anche ai Giochi di

Londra), un cannone ad acqua blindato noto come Typhoon e soprattutto

"cani addestrati a mordere direttamente nei testicoli", come avvisa il Kracow

Post, esagerando un po´.

___

Hooligan avvisati

Armi a ultrasuoni

contro i teppisti

In Polonia tolleranza zero: fucili ad acqua,

legacci per ubriachi, cani-poliziotto in libertà

Sarà vietato bere alcolici all'aperto

Il tifo violento e razzista qui è ormai un pericolo

di STEFANO BOLDRINI (GaSport 08-06-2012)

Sono pronti a prenderli per le palle. Non è uno scherzo: tra le misure che la

polizia polacca ha preparato per fronteggiare gli hooligans, ci sono cani

addestrati per azzannare i testicoli. È il Krakov Post, giornale bilingue con

una versione in inglese, a fornire una serie di dettagli sulle tecniche che le

forze dell'ordine sono in grado di usare. Cannoni a ultrasuoni. Cannoni ad

acqua. Fucili armati per uccidere. Celle equipaggiate con letti dove gli

ubriachi saranno legati come nei manicomi lager, in attesa che passi la

sbronza. «La polizia sarà durissima. Meglio non trovarsi da quelle parti

quando scoppieranno i disordini», avverte il giornale.

Rabbia Cracovia Le camicie nere della polizia stanno già pattugliando

Cracovia, esclusa come sede del torneo, ma scelta come campo base da

diverse nazionali, compresa quella italiana. Da queste parti si allenano anche

inglesi e olandesi. «Una scelta politica», dicono a Cracovia, dove ieri pomeriggio

il sindaco Jacek Majchrowski ha invitato la delegazione inglese a un aperitivo di

benvenuto alla 19th Century Polish Art Galery. La risposta di Cracovia allo

smacco degli organizzatori è invadere festosamente le tribune dei campi di

allenamento: in 25 mila per l'Olanda, 10 mila per l'Italia.

Scarfers Cracovia è la culla del «movimento» hooligan. Qui, il 2 giugno 1935,

dopo la gara Cracovia-Ruch Chorzow, gli agenti dovettero intervenire e

circondare il campo. E sempre qui, nel pieno della tragedia dell'occupazione

nazista, il 17 ottobre 1943 i tifosi di Wisla Cracovia e del Cracovia si

scontrarono durante un derby, giocato nonostante il divieto dei tedeschi. Nei

decenni della dittatura comunista, l'hooliganismo fu compresso, ma con la

caduta del regime e sotto l'influenza della cultura skinhead sono ricominciati

i problemi. In Polonia, gli hooligans sono definiti «scarfers», dall'inglese

scarf (sciarpa). Negli anni Novanta, il fenomeno è degenerato. Le battaglie

tra tifosi, denominate «ustawka», si svolgono nei parchi e in campagna. Il

2006 è stato l'anno peggiore: l'hooliganismo polacco è stato giudicato più

grave di quello inglese del periodo più violento. Ha assunto connotati

razzisti vergognosi. Nell'allenamento di ieri dell'Olanda si è avuto un primo

assaggio, con i «buuu» ai giocatori di colore che hanno indignato l'allenatore

Van Marwijk e Van Bommel: «Ora sappiamo che bell'ambientino troveremo qui».

Euro 2012 I report sui tifosi in arrivo tranquillizzano però le autorità. La

crisi economica colpisce le tasche. Le difficoltà negli spostamenti tra

Polonia e Ucraina, oltre alla limitata disponibilità degli alberghi, fanno il

resto. Dall'Inghilterra sbarcheranno solo 3 mila tifosi. La brutalità della

polizia è un deterrente e qui ci vuole poco per finire in cella. Nel decalogo

pubblicato dal Krakov Post, s'invitano i pedoni a non attraversare le strade

all'infuori delle strisce pedonali: scatta una multa pesante. È vietato bere

all'aperto. Il pacchetto di misure potrebbe ridurre alla ragione gli hooligans

stranieri. Ma a preoccupare bastano, e avanzano, quelli di casa.

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La scelta - Da settembre il quotidiano «Pubblico»

Telese: addio «Fatto», fondo il mio giornale

«È cambiato tutto ma Travaglio vuole solo demolire. E Grillo è trattato come Gesù»

il Fatto Quotidiano 08-06-2012

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Grazie di tutto, Buffon.

Ora, però, a casa

di GIANFRANCESCO TURANO dal blog RAGÙ DI CAPRA 01-06-2012

Gigi Buffon, il migliore portiere italiano dopo Dino Zoff, deve essere

rimandato a casa. Ha scommesso, e pesantemente, per interposto tabaccaio.

Ha violato una norma del regolamento Figc introdotta nel 2005 e non si vede

come possa essere il capitano dell’Italia agli Europei.

Né si vede perché dovrebbe rimanere nel ritiro di Coverciano soltanto perché,

a differenza di Mimmo Criscito, non risulta indagato sul piano penale.

Per la giustizia ordinaria, scommettere non è un reato. Ogni cittadino può

farlo. Dunque, Buffon non può essere messo sotto inchiesta per avere puntato

1,5 milioni di euro alla Lottomatica. Ma la violazione, in termini sportivi, è

molto grave, soprattutto da parte di un calciatore che, pochi giorni prima,

aveva espresso il suo parere su certe partite aggiustate di fine campionato

con la frase “meglio due feriti che un morto”.

Il portiere della Juventus, al momento, non ha commentato i movimenti

di denaro ricostruiti dalla Guardia di Finanza. Lo ha fatto per lui il club di

Andrea Agnelli che, ispirandosi al proprietario del Milan, ha invocato strane

coincidenze temporali e la mitica “giustizia a orologeria”, visto che le

puntate del campione del mondo risalgono al 2010.

E allora? È scattata la prescrizione della martingala? O, nel frattempo, Gigi

si è redento?

Purtroppo Buffon è uno dei non pochi calciatori (vedi Beppe Signori o

Cristian Vieri) con il vizietto delle scommesse. È un vizio che ha portato il

calcio italiano al punto di non ritorno creando un mercato parallelo di

faccendieri nazionali ed esteri pronti a puntare per conto e dai conti dei

tesserati Figc.

La colonna portante di questo sistema è proprio nella frase di Buffon. Col

morto non si guadagna. Con i due feriti, sì. E quando proprio il morto non si

riesce ad evitare, la famiglia del caro estinto può sempre consolarsi

giocandosi un over o un risultato a sorpresa come accadeva con il Bari avviato

alla retrocessione in B nel torneo 2010-2011.

Che fare? La reazione al caos del presidente Federcalcio Giancarlo Abete è

quella di un uomo confuso, incapace di reggere la pressione dei club espressa

dalla Lega calcio, commissariato nei fatti, in affanno tra i buchi di una

giustizia sportiva che da anni garantisce una giustizia parziale, saltuaria e

a corrente alternata.

In quanto alla campagna di moralizzazione, non si capisce perché Criscito sia

stato espulso da Coverciano e Bonucci, pure indagato, resti in ritiro.

Dopo gli arresti di Bari e di Cremona, il caso Buffon è la mazzata finale.

Non c’è bisogno di mosse drastiche, come quella annunciata da Prandelli (”se

serve non andiamo agli Europei”). C’è un modo più semplice per presentarsi

negli stadi dell’Europeo evitando la patente di nazionale Magliari&Taroccatori.

Quindi, grazie Gigi. Sei sempre il numero uno. Ora, però, vai a casa.

Per i Monopoli

nessun sospetto

sui dati del 2010

art.non firmato (GaSport 08-06-2012)

Nei giorni scorsi sembrava che le indagini sull'agenzia di scommesse di Parma

di Massimo Alfieri (salita agli onori della cronaca per l'amicizia con Buffon

e gli assegni girati dal portiere) dovesse portare a chissà quali scoperte. In

realtà, sebbene a due anni dalla segnalazione, è stata fatta una verifica del

movimento scommesse e della regolarità della gestione della documentazione

antiriciclaggio. Le notizie degli investigatori parlavano di attenzione sulla

percentuale di «scommesse vincenti» vicine all'80%.

Secondo quanto emerge dai dati dei Monopoli di Stato, come riporta Agipronews,

nel punto vendita sono state effettuate nel 2010 scommesse per oltre 7

milioni di euro, con una percentuale di vincite (e non scommesse vincenti)

pari al 77%, giudicata sospetta dagli investigatori ma in realtà inferiore a

quella riscontrata presso migliaia di punti scommessa in tutta Italia: 81%. In

linea con il dato nazionale è anche il numero di ticket vincenti (contenenti

scommesse singole e multiple): 7% del totale, contro un dato nazionale del

5%; in sostanza, su 100 ticket giocati nel 2010 7 sono risultati poi vincenti.

Tessile.
A rischio la continuità aziendale della società partecipata da Buffon

Il bilancio Zucchi bocciato da Kpmg

di SIMONE FILIPPETTI (Il Sole 24 ORE 08-06-2012)

Non ci saranno solo i tiri in porta della Spagna campione del Mondo

da parare, domenica sera. Per Gianluigi Buffon il campionato più

difficile da giocare non sono gli Europei in Polonia ma quello a

Piazza Affari e lì dovrà mettere una toppa a ben altri buchi. Quelli

di bilancio della Zucchi, di cui è oggi il primo azionista singolo

(con una quota del 19%, pari a quella della famiglia fondatrice,

divisa però tra i vari discendenti). La storica griffe tessile e

arredo casa viene da anni di crisi e bilanci in perdita. Come se la

situazione non fosse già abbastanza difficile, ieri è arrivata anche

la bocciatura dei revisori dei conti: il bilancio del 2011, chiuso

con una perdita di 11 milioni, non è stato certificato. Kpmg non è

stata in grado di esprimere un giudizio: troppe le incertezze, a

detta dei revisori, che mettono a rischio la continuità aziendale,

ossia la capacità di andare avanti. Il 2011 è stato nero e poiché

Zucchi ha bruciato più di un terzo del capitale dovrebbe, per legge,

ripianare le perdite. Ma siccome di capitale non ce n'è più (il

patrimonio netto risulta in rosso per 8 milioni), non si può

compensare il passivo abbattendo il capitale stesso. Zucchi

dovrebbe incassare soldi dalla vendita degli immobili, ma la

stessa Kpmg osserva come questo non sia un obiettivo così facile

nell'immediato, vista la recessione e la crisi del settore

immobiliare.

L'anno scorso era stato raggiunto un piano di salvataggio,

ricorrendo alla legge fallimentare, una sorta di default pilotato

per negoziare i debiti. In più era stato chiesto ai soci di mettere

dentro l'azienda nuovo denaro, con un aumento di capitale. Ma

ora il peggioramento dei primi mesi dell'anno rischia di mandare

tutto all'aria e di rendere vana la ricapitalizzazione: sulla base dei

numeri a fine marzo, tra due settimane è probabile che i covenant

fissati dalle banche a garanzia della road map salteranno. L'unica

strada possibile è quella di chiedere una moratoria alle banche: una

tregua per evitare il dissesto. Dal canto suo il cda ritiene invece

che ci sia ancora la continuità aziendale e che ci siano

«ragionevoli» aspettative di ottenere «adeguate risorse». Sta

di fatto che da anni Zucchi promette un risanamento che non arriva

mai. Finora il portiere della Juventus e della nazionale è stato il

cavaliere bianco che ha investito nell'azienda, versando nuova

liquidità. C'è il fondato timore che possa doverne metterne ancora.

__________

Attualità

CAMPIONI DI OGGI / IL CAPITANO

Che tesoro di Buffon

Il gruzzolo milionario al titolare di una ricevitoria.

Il patrimonio immobiliare. Gli investimenti

in Borsa. Ecco il Paperone del pallone

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 14 giugno 2012)

Salvo imprevisti giocabili a quote molto alte, domenica 10 giugno nello stadio

di Danzica due portieri si presenteranno a centrocampo per scambiarsi i

gagliardetti. Iker Casillas consegnerà la bandiera spagnola e riceverà il

tricolore da Gianluigi Buffon, detto Gigi.

Due campioni, due simboli che cercheranno di alleviare la depressione

psicoeconomica dei loro Paesi con il metodo più rodato: un pallone da football.

L'italiano ha un compito ancora più ingrato. Fare dimenticare lo scandalo del

calcioscommesse. Non facile, soprattutto per chi ha consegnato 1,6 milioni di

euro al tabaccaio parmense Massimo Alfieri, titolare di una ricevitoria.

Secondo il legale del campione, il denaro era destinato all'acquisto di Rolex

(forse dieci, forse venti), a imprecisate attività finanziarie e immobiliari o,

chi sa, a scommesse su basket e curling islandese.

A un tesserato della Federcalcio come Buffon è vietato soltanto scommettere

sul suo pane quotidiano. Ma se il Capitano voleva giocarsi l'over su un match

di polo in Argentina, allora non è chiaro perché ci sia stata l'interposizione

di Alfieri e della sua miracolosa ricevitoria in Strada Garibaldi. Lì, secondo

le prime analisi della Guardia di Finanza che ha sequestrato tre anni di

puntate da Alfieri, la proporzione delle giocate vincenti era dell'83 per

cento. È una proporzione sufficiente a dichiarare il fallimento della scienza

statistica e del calcolo delle probabilità.

Né è chiaro perché Alfieri, in viaggio negli Usa in questi giorni, abbia

agito da intermediario su investimenti di altro genere. Il tabaccaio di Parma,

città dove Buffon è cresciuto difendendo la porta del club emiliano ai tempi

di Calisto Tanzi, ha un breve passato di agente finanziario. Otto mesi nel

2009, poi è stato cancellato dagli elenchi della Banca d'Italia.

In attesa di approfondimenti sulle matrici delle giocate, Buffon guiderà i

compagni nella spedizione agli Europei di Polonia e Ucraina. Alle controversie

è abituato e quella della tabaccheria di Parma è soltanto l'ultima in

carriera. Poco prima degli assegni ad Alfieri c'è stata la frase "meglio due

feriti che un morto" riferita alla consuetudine del calcio italiano per cui, a

fine campionato, si evita di inguaiare colleghi di altre squadre e si regalano

pareggi e vittorie. Prima ancora, la storia del falso diploma per iscriversi a

Giurisprudenza. E un'archiviazione della giustizia sportiva per avere

scommesso su cinque partite nel 2004-2005. Infine, una passione dichiarata

per il gioco che, a detta dell'interessato, gli è costata oltre 2 milioni di euro

fino al 2006.

Poi c'è il ramo politicamente scorretto: la scritta "Boia chi molla" sulla

maglietta, la scelta del numero 88 che i neonazisti usano come simbolo di

Heil Hitler, lo striscione guarnito di croce celtica e scritta "Fieri di essere

italiani" esposto al Circo Massimo dove l'Italia governata da Romano Prodi

festeggiava il quarto titolo mondiale.

Troppa ideologia per nulla. Gigi non è di sinistra, questo è sicuro. Ma,

all'atto pratico, è più sul me ne frego che sul tireremo dritto. Quando è

capitato di fare affari bipartisan, come per un investimento in terreni nella

sua Carrara, ha versato 400 mila euro su invito del socio Giuliano Lucetti,

un immobiliarista targato Pd.

Se c'è una cosa che Buffon sa fare, oltre a parare, è investire. Sotto il

profilo patrimoniale, non c'è dubbio che il numero uno della Nazionale e

della Juventus sia il calciatore italiano più ricco della storia. Altri fuoriclasse

come Totti, Del Piero, Cannavaro, al confronto, si arrabattano. A differenza

dei colleghi, Buffon non ha perso troppo tempo a vendere magliette o altri

gadget effimeri. La sua unica avventura, in società con Simone Sidoti del

marchio A-style, è stata chiusa un paio di anni fa con la liquidazione della

società. Mattoni, altro che jeans. Ettari, non felpe.

Messe da parte le scommesse perdenti, Gigi ha costruito un impero

immobiliare, con proprietà stimabili oggi in oltre 20 milioni di euro. Erano

6 milioni del 2005. Sono tutte cifre a valore di libro, registrate per difetto.

In termini di prezzi di mercato, bisogna calcolare più del doppio, oltre i

40 milioni.

Il catalogo è impressionante. La holding del capitano, un'azienda a

conduzione familiare gestita insieme ai genitori e alle sorelle ex

pallavoliste Veronica e Guendalina, possiede cinque villette nella stazione

sciistica di Limone Piemonte, cinque appartamenti a Parma, una villa di 14

vani a Forte dei Marmi, altri 20 appartamenti sparsi nelle aree più pregiate

della Sardegna settentrionale (Cannigione, Palau, Porto Rotondo, Santa

Teresa di Gallura, Liscia di Vacca) per un totale di 63 vani, due case a Rivoli

e una a Torino.

A questo bisogna aggiungere parcheggi, esercizi commerciali, un ristorante

in centro a Pistoia (Zerosei), terreni a non finire in Toscana, lo stabilimento

balneare della Romanina a Ronchi in Versilia e, sempre a Ronchi, un hotel

a quattro stelle (Stella della Versilia) inaugurato a luglio dell'anno scorso e

affidato, anche questo, a un familiare. È Stefano Turi, marito di Veronica

Buffon, testimone di Gigi alle nozze con Alena Seredova ed ex calciatore

della Carrarese, il club del cuore che gioca nell'ex C1 e che ha tra i

suoi azionisti il campione del Mondo di Germania 2006 con una partecipazione

del 20 per cento.

Questo è il tesoro della Buffon & Co srl. A livello personale, Gigi è

proprietario di due case a Parma e di una villa di 20 vani in strada Val San

Martino a Torino, sulla collina torinese, a breve distanza dalla residenza

dell'ex amministratore delegato della Juve Antonio Giraudo, gestore

immobiliare del presidente juventino Andrea Agnelli, e non molto lontano

da villa Frescot, la residenza dell'Avvocato e di donna Marella Agnelli.

A parte l'hotel e il lido in Versilia, è roba che rende poco. Poco in senso

relativo, si capisce. I ricavi complessivi della holding sono di circa un

milione di euro all'anno. Quanto serve per coprire le spese senza rimetterci.

Il resto lo fanno i contratti pubblicitari e, soprattutto, l'ingaggio.

L'ultimo stipendio annuale del capitano juventino raggiunge i 6 milioni di

euro netti, anche grazie al premio scudetto. Se, come appare certo, Buffon

rimarrà alla Juve oltre la scadenza del contratto nel giugno del 2013, dovrà

accettare una riduzione salariale drastica. Il suo agente, l'ex portiere

genoano Silvano Martina, si è accordato con il club per prolungare fino al

2015 con un salario annuale netto di 3,5 milioni di euro. L'annuncio ufficiale

sembrava imminente a fine maggio. Poi il caos degli arresti per le partite

truccate ha fatto passare tutto in secondo piano.

Nonostante la buriana, il giocatore non sarà abbandonato dal suo datore di

lavoro, come non sono stati abbandonati l'allenatore Antonio Conte e il

difensore della Nazionale Leonardo Bonucci, indagati per associazione a

delinquere per la stagione 2010-2011, quando non erano tesserati della Juve.

Sul passaggio di denaro tra Buffon e Alfieri, che risale al 2010, Agnelli si

è ispirato al collega Silvio Berlusconi e ha citato la giustizia a orologeria

che colpisce proprio prima degli Europei e dopo lo scudetto della Juve. Il

settore orologeria, inclusi i Rolex che Buffon dice di avere acquistato, non

c'entra niente. Se il portiere ha giocato per interposto tabaccaio, niente può

salvarlo da una squalifica sportiva in base a una norma introdotta dalla

Federcalcio nel 2005. Ma nei momenti difficili la solidarietà è gradita.

Buffon ha un rapporto profondo con la proprietà della Juventus dai tempi bui

di Calciopoli, quando la Juventus ha dovuto affrontare il primo campionato in

B della sua storia. Quell'anno c'è chi ha cambiato squadra per non retrocedere

e c'è chi è rimasto. Buffon è rimasto, si è fatto la serie B e a Torino non se

lo sono dimenticato. La fedeltà alla Zebra ha aperto a Gigi porte che non

tutti i campioni bianconeri riescono ad aprire. Lo dimostra l'unico

investimento finora sbagliato di Buffon, quello nella Zucchi.

La storica società di biancheria per la casa, che è anche uno dei partner

ufficiali della Nazionale di calcio, è stata praticamente salvata

dall'intervento in uscita spericolata del capitano italiano. Buffon ha

investito oltre 6 milioni di euro nel capitale dell'azienda quotata in Borsa.

Insieme a Gigi, che ha comprato il 19,6 per cento della Zucchi, un altro socio

di area bianconera è Riccardo Sebastiano Grande Stevens, figlio di Franzo,

cioè "l'avvocato dell'Avvocato", come lui stesso si definiva con tipico senso

dell'umorismo.

Grande Stevens junior ha comprato una quota oltre il 2 per cento della Zucchi,

non è chiaro se a titolo di investimento personale. Più probabilmente è un

acquisto per conto terzi dato che Riccardo Grande Stevens fa il promotore

finanziario per la Pictet & compagnie, la banca svizzera utilizzata dalla

famiglia Agnelli per i suoi investimenti all'estero attraverso la Simon

fiduciaria della famiglia Grande Stevens.

L'esordio di Buffon in Borsa ha comportato, una volta di più, qualche

incidente di percorso sotto forma di alcune multe della Consob per 70 mila

euro complessivi tra giugno e settembre del 2011. L'infrazione è chiamata

"market abuse". In parole povere, ogni volta che Gigi superava le soglie di

partecipazione fissate dall'organo di vigilanza si dimenticava di dichiararle.

Quisquilie. Non sono i verbali della Consob a fare male. Il titolo Zucchi è

stato acquistato a più del doppio di quanto vale adesso e la capitalizzazione

di Borsa della società è di 15 milioni di euro. Insomma, Gigi ha perso oltre

la metà di quello che ha investito in un'azienda che vale quanto un anno e tre

mesi del suo stipendio lordo corrente.

Cose che possono capitare quando si scommette sul capitale di rischio.

Altrimenti, uno va a giocare alla tabaccheria di Massimo Alfieri. Sul curling

islandese, a quanto pare, non c'è modo di perdere.

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Attualità

CAMPIONI DI OGGI / IL CAPITANO

Che tesoro di Buffon

Il gruzzolo milionario al titolare di una ricevitoria.

Il patrimonio immobiliare. Gli investimenti

in Borsa. Ecco il Paperone del pallone

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 14 giugno 2012)

Salvo imprevisti giocabili a quote molto alte, domenica 10 giugno nello stadio

di Danzica due portieri si presenteranno a centrocampo per scambiarsi i

gagliardetti. Iker Casillas consegnerà la bandiera spagnola e riceverà il

tricolore da Gianluigi Buffon, detto Gigi.

Due campioni, due simboli che cercheranno di alleviare la depressione

psicoeconomica dei loro Paesi con il metodo più rodato: un pallone da football.

L'italiano ha un compito ancora più ingrato. Fare dimenticare lo scandalo del

calcioscommesse. Non facile, soprattutto per chi ha consegnato 1,6 milioni di

euro al tabaccaio parmense Massimo Alfieri, titolare di una ricevitoria.

Secondo il legale del campione, il denaro era destinato all'acquisto di Rolex

(forse dieci, forse venti), a imprecisate attività finanziarie e immobiliari o,

chi sa, a scommesse su basket e curling islandese.

A un tesserato della Federcalcio come Buffon è vietato soltanto scommettere

sul suo pane quotidiano. Ma se il Capitano voleva giocarsi l'over su un match

di polo in Argentina, allora non è chiaro perché ci sia stata l'interposizione

di Alfieri e della sua miracolosa ricevitoria in Strada Garibaldi. Lì, secondo

le prime analisi della Guardia di Finanza che ha sequestrato tre anni di

puntate da Alfieri, la proporzione delle giocate vincenti era dell'83 per

cento. È una proporzione sufficiente a dichiarare il fallimento della scienza

statistica e del calcolo delle probabilità.

Né è chiaro perché Alfieri, in viaggio negli Usa in questi giorni, abbia

agito da intermediario su investimenti di altro genere. Il tabaccaio di Parma,

città dove Buffon è cresciuto difendendo la porta del club emiliano ai tempi

di Calisto Tanzi, ha un breve passato di agente finanziario. Otto mesi nel

2009, poi è stato cancellato dagli elenchi della Banca d'Italia.

In attesa di approfondimenti sulle matrici delle giocate, Buffon guiderà i

compagni nella spedizione agli Europei di Polonia e Ucraina. Alle controversie

è abituato e quella della tabaccheria di Parma è soltanto l'ultima in

carriera. Poco prima degli assegni ad Alfieri c'è stata la frase "meglio due

feriti che un morto" riferita alla consuetudine del calcio italiano per cui, a

fine campionato, si evita di inguaiare colleghi di altre squadre e si regalano

pareggi e vittorie. Prima ancora, la storia del falso diploma per iscriversi a

Giurisprudenza. E un'archiviazione della giustizia sportiva per avere

scommesso su cinque partite nel 2004-2005. Infine, una passione dichiarata

per il gioco che, a detta dell'interessato, gli è costata oltre 2 milioni di euro

fino al 2006.

Poi c'è il ramo politicamente scorretto: la scritta "Boia chi molla" sulla

maglietta, la scelta del numero 88 che i neonazisti usano come simbolo di

Heil Hitler, lo striscione guarnito di croce celtica e scritta "Fieri di essere

italiani" esposto al Circo Massimo dove l'Italia governata da Romano Prodi

festeggiava il quarto titolo mondiale.

Troppa ideologia per nulla. Gigi non è di sinistra, questo è sicuro. Ma,

all'atto pratico, è più sul me ne frego che sul tireremo dritto. Quando è

capitato di fare affari bipartisan, come per un investimento in terreni nella

sua Carrara, ha versato 400 mila euro su invito del socio Giuliano Lucetti,

un immobiliarista targato Pd.

Se c'è una cosa che Buffon sa fare, oltre a parare, è investire. Sotto il

profilo patrimoniale, non c'è dubbio che il numero uno della Nazionale e

della Juventus sia il calciatore italiano più ricco della storia. Altri fuoriclasse

come Totti, Del Piero, Cannavaro, al confronto, si arrabattano. A differenza

dei colleghi, Buffon non ha perso troppo tempo a vendere magliette o altri

gadget effimeri. La sua unica avventura, in società con Simone Sidoti del

marchio A-style, è stata chiusa un paio di anni fa con la liquidazione della

società. Mattoni, altro che jeans. Ettari, non felpe.

Messe da parte le scommesse perdenti, Gigi ha costruito un impero

immobiliare, con proprietà stimabili oggi in oltre 20 milioni di euro. Erano

6 milioni del 2005. Sono tutte cifre a valore di libro, registrate per difetto.

In termini di prezzi di mercato, bisogna calcolare più del doppio, oltre i

40 milioni.

Il catalogo è impressionante. La holding del capitano, un'azienda a

conduzione familiare gestita insieme ai genitori e alle sorelle ex

pallavoliste Veronica e Guendalina, possiede cinque villette nella stazione

sciistica di Limone Piemonte, cinque appartamenti a Parma, una villa di 14

vani a Forte dei Marmi, altri 20 appartamenti sparsi nelle aree più pregiate

della Sardegna settentrionale (Cannigione, Palau, Porto Rotondo, Santa

Teresa di Gallura, Liscia di Vacca) per un totale di 63 vani, due case a Rivoli

e una a Torino.

A questo bisogna aggiungere parcheggi, esercizi commerciali, un ristorante

in centro a Pistoia (Zerosei), terreni a non finire in Toscana, lo stabilimento

balneare della Romanina a Ronchi in Versilia e, sempre a Ronchi, un hotel

a quattro stelle (Stella della Versilia) inaugurato a luglio dell'anno scorso e

affidato, anche questo, a un familiare. È Stefano Turi, marito di Veronica

Buffon, testimone di Gigi alle nozze con Alena Seredova ed ex calciatore

della Carrarese, il club del cuore che gioca nell'ex C1 e che ha tra i

suoi azionisti il campione del Mondo di Germania 2006 con una partecipazione

del 20 per cento.

Questo è il tesoro della Buffon & Co srl. A livello personale, Gigi è

proprietario di due case a Parma e di una villa di 20 vani in strada Val San

Martino a Torino, sulla collina torinese, a breve distanza dalla residenza

dell'ex amministratore delegato della Juve Antonio Giraudo, gestore

immobiliare del presidente juventino Andrea Agnelli, e non molto lontano

da villa Frescot, la residenza dell'Avvocato e di donna Marella Agnelli.

A parte l'hotel e il lido in Versilia, è roba che rende poco. Poco in senso

relativo, si capisce. I ricavi complessivi della holding sono di circa un

milione di euro all'anno. Quanto serve per coprire le spese senza rimetterci.

Il resto lo fanno i contratti pubblicitari e, soprattutto, l'ingaggio.

L'ultimo stipendio annuale del capitano juventino raggiunge i 6 milioni di

euro netti, anche grazie al premio scudetto. Se, come appare certo, Buffon

rimarrà alla Juve oltre la scadenza del contratto nel giugno del 2013, dovrà

accettare una riduzione salariale drastica. Il suo agente, l'ex portiere

genoano Silvano Martina, si è accordato con il club per prolungare fino al

2015 con un salario annuale netto di 3,5 milioni di euro. L'annuncio ufficiale

sembrava imminente a fine maggio. Poi il caos degli arresti per le partite

truccate ha fatto passare tutto in secondo piano.

Nonostante la buriana, il giocatore non sarà abbandonato dal suo datore di

lavoro, come non sono stati abbandonati l'allenatore Antonio Conte e il

difensore della Nazionale Leonardo Bonucci, indagati per associazione a

delinquere per la stagione 2010-2011, quando non erano tesserati della Juve.

Sul passaggio di denaro tra Buffon e Alfieri, che risale al 2010, Agnelli si

è ispirato al collega Silvio Berlusconi e ha citato la giustizia a orologeria

che colpisce proprio prima degli Europei e dopo lo scudetto della Juve. Il

settore orologeria, inclusi i Rolex che Buffon dice di avere acquistato, non

c'entra niente. Se il portiere ha giocato per interposto tabaccaio, niente può

salvarlo da una squalifica sportiva in base a una norma introdotta dalla

Federcalcio nel 2005. Ma nei momenti difficili la solidarietà è gradita.

Buffon ha un rapporto profondo con la proprietà della Juventus dai tempi bui

di Calciopoli, quando la Juventus ha dovuto affrontare il primo campionato in

B della sua storia. Quell'anno c'è chi ha cambiato squadra per non retrocedere

e c'è chi è rimasto. Buffon è rimasto, si è fatto la serie B e a Torino non se

lo sono dimenticato. La fedeltà alla Zebra ha aperto a Gigi porte che non

tutti i campioni bianconeri riescono ad aprire. Lo dimostra l'unico

investimento finora sbagliato di Buffon, quello nella Zucchi.

La storica società di biancheria per la casa, che è anche uno dei partner

ufficiali della Nazionale di calcio, è stata praticamente salvata

dall'intervento in uscita spericolata del capitano italiano. Buffon ha

investito oltre 6 milioni di euro nel capitale dell'azienda quotata in Borsa.

Insieme a Gigi, che ha comprato il 19,6 per cento della Zucchi, un altro socio

di area bianconera è Riccardo Sebastiano Grande Stevens, figlio di Franzo,

cioè "l'avvocato dell'Avvocato", come lui stesso si definiva con tipico senso

dell'umorismo.

Grande Stevens junior ha comprato una quota oltre il 2 per cento della Zucchi,

non è chiaro se a titolo di investimento personale. Più probabilmente è un

acquisto per conto terzi dato che Riccardo Grande Stevens fa il promotore

finanziario per la Pictet & compagnie, la banca svizzera utilizzata dalla

famiglia Agnelli per i suoi investimenti all'estero attraverso la Simon

fiduciaria della famiglia Grande Stevens.

L'esordio di Buffon in Borsa ha comportato, una volta di più, qualche

incidente di percorso sotto forma di alcune multe della Consob per 70 mila

euro complessivi tra giugno e settembre del 2011. L'infrazione è chiamata

"market abuse". In parole povere, ogni volta che Gigi superava le soglie di

partecipazione fissate dall'organo di vigilanza si dimenticava di dichiararle.

Quisquilie. Non sono i verbali della Consob a fare male. Il titolo Zucchi è

stato acquistato a più del doppio di quanto vale adesso e la capitalizzazione

di Borsa della società è di 15 milioni di euro. Insomma, Gigi ha perso oltre

la metà di quello che ha investito in un'azienda che vale quanto un anno e tre

mesi del suo stipendio lordo corrente.

Cose che possono capitare quando si scommette sul capitale di rischio.

Altrimenti, uno va a giocare alla tabaccheria di Massimo Alfieri. Sul curling

islandese, a quanto pare, non c'è modo di perdere.

Da aggiornare con le ultime su Zucchi lette stamattina su il Sole.

Comunque, se Gigi vuole unirsi ad Andrea...

E dichiarare fallimento della professione giornalistica quando signor Gianfrancesco Turano?

Il reato di lesa maestà al partito dell'ANM con accusa di inciviltà a corredo ha trasformato Gigi in un personaggio da demonizzare.

Da Travaglio a Mensurati, da Ziliani (questo per mera idiozia perchè il suo mulino è altro) a Turano tutti hanno messo Buffon nel mirino come un piccione da abbattere.

Fatto sta che pare emergere l'assoluta illibatezza (ancora una volta) di Gigione e la notizia pareva (come al solito) scivolare in diciottesima pagina in basso a destra per la smentita delle accuse.

Bene, Turano ci ricorda che invece bisogna far restare "la notizia" in prima pagina.

Mi auguro che paghi in tutti i sensi questo (ennesimo) servo del potere e della gogna livorosa di una piazza che affoga nel proprio cirrotico fiele.

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CARTA CANTA

I biscotti non sono tutti uguali

Quando l'Italia fu buttata fuori dagli Europei con un pareggio sospetto

i nostri gridarono allo scandalo. Compreso Buffon. Che ora s'indigna

per le indagini sul calcio e perdona chi "fa i conti" sui risultati

di MARCO TRAVAGLIO (l'Espresso | 14 giugno 2012)

Il 22 giugno 2004, allo stadio di Oporto, Danimarca e Svezia disputano il

quarto di finale degli europei di calcio in Portogallo. Se una delle due vince,

passa il turno con l'Italia di Trapattoni. Se invece pareggiano, si

qualificano entrambe e l'Italia torna a casa. Alla vigilia il portiere della

Nazionale azzurra avverte: "Se fanno davvero 2-2, altro che Ufficio inchieste:

direttamente le teste di cuoio in campo ci vogliono!". Quella sera, sugli

spalti di Oporto, le due tifoserie srotolano striscioni beffardi: "2-2 e ciao

Italia". In campo i calciatori scherzano sul pareggio annunciato e sugli

italiani che sospettano il "biscotto". Finisce puntualmente 2-2, dopo una

partita molto combattuta, risolta però all'ultimo minuto con il gol dello

svedese Jonson favorito da una mezza papera del portiere danese

Sorensen. Seguono quattro minuti di melina, prima del fischio finale dell'arbitro.

Le due squadre vanno in semifinale, gli azzurri sono eliminati.

Del Piero alla fine non vuol fare polemiche: "Non cerchiamo scuse". Anche

Trapattoni, subito esonerato, dice: "Non voglio credere a una combine". Ma gli

altri azzurri, da Panucci a Zambrotta, da Pirlo a Cannavaro, fremono di sdegno

e sparano a zero sui colleghi scandinavi e il loro "biscotto" ammazza-Italia.

Il più indignato è sempre il portiere: "Il 2-2 è uno schifo, uno scandalo a

livello mondiale. Ha perso soprattutto lo sport. Provo vergogna, ma non per

noi: per gli svedesi e i danesi. L'hanno fatta proprio sporca. E pensare che

il calcio, non essendo solo soldi e business, dovrebbe dare insegnamenti ed

esempi. Ma dopo questo pareggio che cosa penseranno i giovani? Che è giusto

mettersi d'accordo anche a 13 anni per vincere la coppa della parrocchia".

E chi è questo portiere, autentica reincarnazione di Catone il Censore?

Gianluigi Buffon: toh, lo stesso che l'altro giorno se l'è presa con i pm che

indagano sul calcio scommesse e con i giornalisti che lo raccontano

denunciando la "vergogna" della presunta giustizia a orologeria. Poi ha

giustificato i pareggi in saldo da fine stagione: "Se a due squadre va bene il

pareggio, possono anche pareggiare. Sono affari loro. Alcune volte, se uno ci

pensa bene, che cosa devi fare? Meglio due feriti che un morto. E chiaro che

le squadre le partite se le giocano. Ma ogni tanto anche qualche conto è

giustificato farlo".

Ohibò: pareggiare per convenienza non è più uno schifo? E, dopo queste

dichiarazioni, che cosa penseranno i giovani? Che allora è giusto mettersi

d'accordo anche a 13 anni per vincere la coppa della parrocchia? Anziché

convocare Buffon e dargli qualche ripetizione di lealtà sportiva, il

presidente della Figc Abete s'è affrettato a giustificarlo: "Buffon ha sempre

adottato una linea di trasparenza: un conto è la necessità di vincere o

pareggiare, altro l'accordo che non è accettabile". Sarà, ma in un paese meno

smemorato, Buffon dovrebbe spiegare a cosa si deve e a quando risale la sua

improvvisa conversione al cinismo machiavellico. O aggiungere: "Il pareggio di

convenienza va bene solo se conviene a me". In attesa delle prove sulla

giustizia a orologeria, ecco una bella prova di moralismo a orologeria.

P. S. Nell'ultima giornata del campionato 2004-2005, il Parma pareggiò a

Lecce 3-3: la Fiorentina si salvò e, dopo lo spareggio, il Bologna retrocesse.

Molti giocatori leccesi, tra i fischi dei tifosi e gli urli dell'allenatore

Zeman, s'impegnarono ben poco. Nel processo di Calciopoli, per quel biscotto,

il tribunale di Napoli ha condannato i fratelli Della Valle, il designatore

Bergamo e l'arbitro De Santis. Sentito come teste, Zeman ha spiegato: "Secondo

me qualcuno del Parma ha pregato i miei giocatori di desistere, questo capita

spesso. Ma salvare qualcuno per condannare un altro non è nella mia mentalità

e quindi volevo che la mia squadra, che aveva giocato bene per un'ora,

continuasse a giocare". Sarà mica per questa mentalità deviata che Zeman non

allena in serie A da dieci anni?

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