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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Scommesse legali:

il vero scandalo

del calcio italiano

Ma l'ho visto solo io il gioco d'azzardo

(un giro d'affari mostruoso, e ghiotto per la malavita)

pubblicizzato sulle magliette dei campioni?

di ENRICO MENTANA (VANITY FAIR | 6 GIUGNO 2012)

Caro Mentana

anche nel calcio c'è quella che Berlusconi chiama «giustizia a

orologeria»? Stiamo per partecipare agli Europei e spunta

fuori quest'inchiesta: arresti, avvisi, perquisizioni. Poi non

lamentiamoci se le cose andranno male...

MARCELLO, Torino

Non è detto che le cose debbano andare male. Anzi, se uno credesse alla

scaramanzia, o almeno ai ricorsi storici, dovrebbe ricordare che la Nazionale

italiana nel 2006 trionfò al Mondiale di Germania con la Federazione Calcio

commissariata dopo il Moggi-gate, e il capitano della Nazionale costretto a

lasciare il ritiro azzurro per sottostare a un interrogatorio: eppure quel

giocatore, Cannavaro, fu poi il migliore del torneo, e vinse pure a fine

stagione il Pallone d'oro. E il titolo mondiale precedente, quello del 1982,

lo conquistammo grazie ai gol di Pablito Rossi, che aveva potuto giocare

grazie a un provvidenziale sconto di pena: coinvolto nella clamorosa inchiesta

sulle scommesse (molto più grande di quella di oggi) restò fermo per due anni,

ma quella sì che fu una squalifica a orologeria. Infatti tornò disponibile

poche settimane prima delle convocazioni di Bearzot. Fece in tempo a giocare

le ultime tre partite di campionato con la Juventus, che vinse lo scudetto:

allora, come nel 2006, come oggi.

Certo. C'è stato un timing negli arresti e nelle perquisizioni. Ma è stato

quello del rispetto del campionato. Non essendoci necessità diverse, gli

inquirenti hanno aspettato la fine della stagione per agire. Tutti sapevano

quel che stava per avvenire: l'arresto di Mauri, bandiera della Lazio, era

stato preannunciato molte volte, e lui stesso era già stato interrogato dal

giudice sportivo. Potevano forse per questo risparmiargli l'ordine di custodia,

ma sono scelte che spettano al Giudice delle indagini preliminari: e quello

di Cremona, che ben conosco (eureka! ndt), non è certo un amante delle

manette facili, tant'è che ha detto no all'arresto del genoano Sculli (caspita! ndt).

Il fatto è che il rito della giustizia penale suscita un clamore diverso

quando tocca i campioni dello sport, quando «profana» il ritiro azzurro di

Coverciano, quando perquisisce l'abitazione dell'allenatore della Juventus,

fresco di scudetto.

Conte è l'ex campione bianconero diventato l'uomo che ha riportato la sua

squadra al vertice dei valori nazionali. Può questo stesso allenatore aver

accettato un risultato di comodo quando allenava il Siena? E lo stesso quesito

si pone per tutte le altre figure di livello rimaste a vario titolo impigliate

in questa brutta storia. A fine stagione può succedere che alcune squadre,

ormai appagate dalla situazione di classifica raggiunta, stacchino il piede

dall'acceleratore, magari quando affrontano altre squadre che invece hanno un

disperato bisogno di punti. Ma un conto è questo, un altro è addomesticare i

risultati per soldi, accettando denaro dai signori delle scommesse, o puntando

direttamente, grazie a prestanome, con i bookmaker.

La giustizia ordinaria e quella sportiva accerteranno le varie posizioni: una

cosa però la si può dire. Le scommesse sul calcio vennero legalizzate proprio

per sottrarle all'area dell'illecito e della criminalità. Oggi muovono un

volume d'affari mostruoso. Per come se ne parla in Tv, per come vengono

pubblicizzate (anche sulle maglie delle squadre!), sembrano confraternite

benemerite. Non per fare il moralista, ma invece credo che le scommesse (e

il poker online: che tristezza vedere i campioni che lo pubblicizzano) siano

piaghe ancor più pericolose perché legalizzate. Gonfiano movimenti di danaro

e creano appetiti a clan senza scrupoli.

Si è costruito un enorme casinò traboccante di milioni e di affaristi proprio

davanti alla palazzina del calcio, dove nessuno si è premurato di alzare il

muro di cinta e di rafforzare i controlli all'ingresso. Poteva andare

diversamente?

Modificato da Ghost Dog

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La vera storia di Calciopoli

Marco Travaglio - ilmegafonoquotidiano.globalist.it

Uscirà in libreria il 13 giugno il libro di Giuseppe Narducci sulla madre delle inchieste che hanno svelato il marcio del calcio italiano. In anteprima uno stralcio della lunga prefazione di Marco Travaglio

Non bisogna essere complottisti, eh!

In questo periodo di pace e serenità uscirà cotanta opera.

.oddio

N.b.

Narducci è autorizzato a rilasciare una pubblicazione del genere?

Inchiesta da lui gestita; processi non ancora terminati; fuoriuscita

temporanea dalla magistratura...

Modificato da Ghost Dog

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Ecco un altro incompetente, ma lo si sapeva da un pezzo.

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Joined: 13-Nov-2007
16219 messaggi

Non bisogna essere complottisti, eh!

In questo periodo di pace e serenità uscirà cotanta opera.

.oddio

N.b.

Narducci è autorizzato a rilasciare una pubblicazione del genere?

Inchiesta da lui gestita; processi non ancora terminati; fuoriuscita

temporanea dalla magistratura...

Fa come gli pare e si è visto.

E poi ha un salvagente pronto con la politica (sempre che non si liberi un posto in qualche cda della Saras per cotanto uomo).

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Si ma perchè poi non partono le querele?

Il figlio dell'onesto non ha aspettato un attimo a querelare De Santis, che pure diceva la verità.

Noi lasciamo che sparino qualsiasi favola e la società zitta.

Modificato da leo13

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Il presidente Abete potrebbe impugnare i verdetti giudicati troppo lievi

Figc e giudici divisi

sui patteggiamenti

Il caso Grosseto è il più eclatante

potrebbe intervenire la Corte di Giustizia

di STEFANO CARINA (Il Messaggero 04-06-2012)

ROMA - Non bastava il caos nazionale con le esternazioni del ct

Prandelli e i casi Criscito, Bonucci e Buffon. Trasferire venerdì

all'agenzia Ansa - in pieno processo calcioscommesse-bis -

l'indiscrezione proveniente da «ambienti Figc» di una voglia di

impugnazione da parte del presidente Abete delle sentenze (ritenute

miti) del giorno prima, è stato forse l'ennesimo autogol. I primi a

rendersene conto sono stati gli avvocati dei soggetti deferiti (molti

dei quali difenderanno anche i club di serie A nella seconda tranche

del processo che partirà a luglio) che tra lo stupore e il sarcasmo

hanno fatto notare come «parlare d'impugnazione dei patteggiamenti, è

come se la Figc impugnasse se stessa...». Di certo non l'hanno presa

bene né Palazzi tantomeno la commissione disciplinare presieduta dal

presidente Artico. E non è un caso che il procuratore federale, a fine

dibattimento, abbia risposto positivamente all'invito di presentarsi

davanti alla telecamere per mandare un messaggio (in codice) destinato

ai piani alti di via Allegri: «Non è giusto dire che giovedì è stata

la giornata della carota con i patteggiamenti e venerdì del bastone:

l'altro giorno abbiamo applicato un istituto giuridico previsto

dall'ordinamento sportivo, ma anche da quello statuale per il quale

sono libere anche persone che hanno commesso omicidi. Abete? È un

galantuomo...». Quello che temono dall'ufficio di Palazzi è che

l'indiscrezione fatta circolare dalla Figc sia esclusivamente figlia

del timore per l'indignazione espressa dall'opinione pubblica sul caos

scommesse. Qualora ci fosse infatti la sensazione di pene morbide,

potrebbe aumentare la disaffezione verso il mondo del calcio, ancora

scottato dal processo di calciopoli nel 2006.

Ma il pericolo è oramai incombente: il caso Grosseto (-6 per 8

illeciti da scontare l'anno prossimo, con scarsa afflittività) rischia

di fare giurisprudenza soprattutto il prossimo mese, quando a

presentarsi all'ostello della gioventù per essere giudicati saranno

molti club di serie A, con un peso politico differente rispetto alle

numerose società di serie B e Lega Pro ora inquisite. Domanda lecita:

ma Abete può impugnare le prime sentenze scaturite dai patteggiamenti?

Secondo i membri della commissione disciplinare e della procura

federale, ciò non può accadere. A confortare questa ipotesi c'è

l'articolo 23, secondo comma, del codice di giustizia sportiva che

spiega come il patteggiamento è un'intesa tra le parti che si basa su

accordi. La Disciplinare, in questo caso, deve solo valutarne la

«congruità», e dopo non emette una sentenza ma ratifica l'intesa con

un'ordinanza «non impugnabile». Il presidente della Figc, però,

nell'intervallo della gara tra Italia e Russia, ai microfoni della Rai

ha ribadito questa facoltà. E probabilmente non ha tutti i torti:

l’articolo 33, quarto comma, prevede «nei casi di illecito sportivo

come siano legittimati a proporre reclamo anche i terzi portatori di

interessi indiretti, tra i quali il Presidente federale». Non è dunque

impugnabile il cosiddetto patteggiamento da parte del procuratore

federale o della parte che ha lo ha richiesto «ma il terzo interessato

e il presidente federale - fa notare l'avvocato Stagliano, ex vice

capo della procura indagini della Figc - possono farlo qualora ci sia

una violazione della norma del codice di giustizia. E nel caso

specifico ce ne sono almeno due: in primis è stato consentito un

patteggiamento laddove c’era una contestazione che il codice esclude

di patteggiare. Poi è stato concesso alla società la diminuente

prevista dall’articolo 24 (che prevede la collaborazione degli

incolpati, ndc) avendo sette deferiti anche se a collaborare sono

stati solamente in due. E gli altri cinque?».

Il contrasto interpretativo è evidente. Qualora ci fosse una disputa

giuridica, a dirimerla sarebbe la Corte di Giustizia Federale a

sezioni riunite. Difficile che Abete voglia arrivare sino a questo

punto ma lo strappo fra federazione e gli organi della giustizia

sportiva è oramai consumato. Senza contare l’autostrada che si è

aperta per i club di serie A nel secondo filone di dibattimento che

sembra essere il prologo ad un’estate funestata dalle polemiche.

-------

L'INTERVISTA

«Quelle sentenze

sfiorano il ridicolo»

di STEFANO CARINA (Il Messaggero 04-06-2012)

ROMA – Mario Stagliano, avvocato ed ex vice capo della procura indagini della

Figc, è uno dei massimi esperti in materia di giustizia sportiva.

L’ha sorpresa questa duplice versione «bastone e carota» di Palazzi?

«Il messaggio era chiaro: per chi patteggia ci sarà la possibilità di

rimanere nel mondo del calcio, per gli altri le pene saranno durissime. Detto

questo, non mi aspettavo che ci potessero essere delle sanzioni così lievi,

qualcuna addirittura ridicola».

Si riferisce al caso Grosseto?

«Non solo. Ci sono dei calciatori che hanno preso 4 mesi che equivalgono a 4

giornate di squalifica se le squalifiche vengono comminate ora a giugno».

Ma Abete può impugnare le sentenze, anche quelle scaturite dai

patteggiamenti?

«Non è impugnabile il cosiddetto patteggiamento da parte del procuratore

federale o della parte che ha lo ha richiesto, ma il terzo interessato e il

presidente federale possono farlo qualora ci sia una violazione della norma

del codice di giustizia. E nel caso specifico ce ne sono almeno due: in primis

è stato consentito un patteggiamento laddove c’era una contestazione che il

codice esclude di patteggiare. Poi è stato concesso alla società la diminuente

prevista dall’articolo 24 avendo sette deferiti anche se a collaborare sono

stati solamente in due. E gli altri cinque?».

Qualora venisse deferita, alla Lazio converrebbe patteggiare?

«Assolutamente sì. Al club bianconceleste vengono contestati due illeciti

sportivi per altrettante gare vinte dove i suoi tesserati non hanno sinora

collaborato. Per come si è mosso Palazzi sinora, rischia almeno 6 punti di

penalizzazione. Patteggiando, invece, la Lazio si vedrebbe comminato un terzo

della pena. Se poi i suoi calciatori dovessero collaborare, la sanzione

potrebbe essere molto più esigua: forse anche un punto di penalizzazione».

La Juventus, alla luce di quanto accaduto a Spezia e Sampdoria, con

l’eventuale deferimento di Conte cosa rischia?

«Qualora emergessero elementi per essere deferito, Conte quasi certamente non

lo sarà per l’articolo 9, quello dell’associazione finalizzata alla

commissione di illeciti. Se dovesse rispondere di omessa denuncia o di

semplice illecito, il club non rischierebbe nemmeno una multa».

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Fa come gli pare e si è visto.

E poi ha un salvagente pronto con la politica (sempre che non si liberi un posto in qualche cda della Saras per cotanto uomo).

Secondo me Narducci s'infila (volutamente?) in un vicolo cieco con questo libro.

Non credo che i suoi colleghi magistrati saranno contenti dello strappo ulteriore.

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CALCIOPOLI II: BIGGER, WORSE

by FRANK TIGANI (IN BED WITH MARADONA | June 4, 2012)

“Plus ça change, plus c'est la même chose”, were the words of the famous

French novelist, Jean-Baptiste Alphonse Karr. The English translation; the

more things change the more they stay the same.

This sentiment is highly appropriate when reflecting on the events of the

past week in Italian football. Another major football tournament, another

major scandal; we have seen it all before.

It is almost six years to the day since the scandal of 2006 broke out on the

eve of the World Cup. In the end, Juventus were demoted, numerous clubs were

docked points and various penalties were handed out, to both clubs and

individuals alike. But, not before Fabio Cannavaro hoisted the world cup

trophy high into the Berlin night sky after the Azzurri defeated France in the

final. Another major football tournament, another major trophy for Italy. But,

we had seen this all before, too.

It was 1982. Italy headed into the world cup finals in Spain following two

troublesome years caused by a betting scandal. A number of players and

officials were implicated and none more famous than Paolo Rossi. For his part

he was handed a three-year ban from football. Conveniently, it was reduced to

two which allowed him to participate in the finals. He participated with some

distinction, too, guiding Italy to their third world title.

It was just four years later before it all happened again. The repercussions

of which were not so far reaching. It came to be known as Totanero II, in

reference to the first episode four years prior. This time, however, it did

little to help Italy on to glory as they bowed out in the second round.

It is now 2012, the European championships are upon us and yet Italian

football finds itself in a familiar position; immersed in web of its own

corruption, fraud and deceit, again seemingly bent on bringing about its own

destruction. How things have not changed.

But, this could be the biggest one yet according to Daniele De Rossi who

warned earlier this week: “This time it's worse….it’s more shocking this time,

with the police coming into Coverciano (Italy's training ground) and people I

know being arrested”, like Domenico Criscito.

The Zenit St. Petersburg player was withdrawn from Italy’s squad after the

police raid at Coverciano. Italy coach Cesare Prandelli has since insisted

that it was a necessary measure to take because the player would have felt

“pressure that no human being can deal with”. Giancarlo Abete, head of the

FIGC, echoed similar sentiments claiming that the “psychological problem”

suffered by the player as a result would make his presence troublesome within

the Italy camp. And, they (Abete and Prandelli) would know better than anyone

else, it seems.

But, one has to feel for the player. He will now miss a major international

tournament, one that he was set to play a big role in and one that he “worked

a lifetime to get to”. The player, understandably, has been left irate by the

whole affair following the initial shock. He feels that he been “made out to

be a scapegoat”, and, he has a point too. Question marks will also be raised

given his latest claims that, “I would have agreed that I would appear in

court when I got back. Even the prosecutor said that there wasn't anything to

stop me going to the European Championship.”

Criscito is one of 52 players along with 22 clubs and 33 matches – mostly

played in Serie B – being investigated in the trail that stretches across the

globe to the Middle East and as far away as Singapore. And more could yet

become embroiled in the ordeal including two more players set to travel to

Ukraine and Poland.

Juventus defender Leonardo Bonucci has been put under investigation but no

formal notification has been issued hence Prandelli’s decision to stick with

him. Gianluigi Buffon, the Juventus goalkeeper who a few days ago made this

curious comment in a television interview: “better two wounded than one dead”,

could also be called into the trial. Judging by his words, he seems to know

something.

While these players sweat over keeping their place in the Italy squad – in

addition to keeping their reputations intact, whatever is left of them –

reports have emerged that the Azzurri could be withdrawn from the tournament

altogether. Prandelli has already said: “the Italian team is ready to withdraw

from the European Championship, if it is for the good of football. ”

An even more drastic measure was mooted by Italy’s Prime Minister, Mario

Monti, who suggested that Italian football take a two to three year holiday to

sort itself out. While this is certainly not the answer, one has to be mindful

that he said this from the perspective of a football fan and not as PM.

The academic, Simon Martin, believes that such corruption could be dealt with

better if punishments were more severe and that those found guilty were forced

to serve the full length of their sentence, rather than have them too easily

reduced on appeal, as has happened often in the past.

"No-one pays for these crimes….and if crimes don't have to be paid for, then

in some ways you can understand why a footballer might want to take that

potentially life-changing opportunity because, at the worst, he's going to get

a two-year ban, which he can appeal," he said.

This is not a problem solely associated with Italy’s national game. It is a

problem that permeates throughout Italian society, in general. Trials tend to

go on for years in a country where, after a certain amount of time, trials can

elapse, meaning they end before a conclusion is reached. Hence, there is a

culture of appeal, of stretching out the process as long as possible to delay

possible charges in the hope that no charges will, ultimately, be made at all.

This perhaps explains why the criminal process triggered by the 2006 scandal

is still on-going today. Italian football has still yet to close the chapter

on Calciopoli, yet, it now faces another scandal which will, undoubtedly,

continue long into the future also.

That is, of course, unless radical changes are made in order to enable the

system to deal with such issues promptly and move on. This, however, would

require monumental political will and in a country that is teetering on

economic collapse, even if such will is found there are graver issues at hand.

Rocked by this new scandal, shackled by financial difficulties and having

‘officially’ lost its status as one of Europe’s ‘top three’ leagues last

season when it dropped to fourth in UEFA’s coefficient rankings system, the

future of Italian football, six years from Calciopoli, remains the same; glum.

While six years ago calcio fans were still given something to cheer about

amidst the chaos and despair – just as it happened in 1982 – this time around

it seems unlikely that they will have anything to be cheerful about. Those

that witnessed Italy’s 3-0 reverse to Russia will understand why. So poor were

Prandelli’s side that pundit Susy Campanale went as far to say: “anything

short of total disaster is to be considered a bonus. ” And, she is right.

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Offshore di IVO CAIZZI (CORRIERECONOMIA | LUNEDÌ 4 GIUGNO 2012)

Ue, la doppia linea

sul calcio indebitato

Tra caso scommesse e rischio crac

Hanno sorpreso a Bruxelles le dure critiche del premier Mario Monti sul calcio

professionistico, «malcostume continuo» che richiederebbe «una totale

sospensione» per due-tre anni. Nel 2001, da commissario Ue alla Concorrenza,

Monti la pensava diversamente. Gli fu contestata proprio una eccessiva

tolleranza sulle anomalie negative di questo settore, quando intervenne sulla

compatibilità con la normativa Ue dei contratti per i calciatori, insieme ad

altri due membri della Commissione Prodi, la lussemburghese Viviane Reding

e la greca Anna Diamantopolou.

Nel 2001 l’aspettativa era che l’istituzione di Bruxelles applicasse in pieno

le regole Ue, anche per ammonire un settore già profondamente inquinato.

Il Corriere, riportando le critiche alla linea morbida di Monti, evidenziò lo

scandalo dei «passaporti falsi dei campioni extracomunitari», «traffici di

calciatori-bambini dei Paesi più poveri gestiti da cosche criminali e da

pedofili», club, giocatori e mediatori con «società offshore nei paradisi

fiscali per evadere le tasse e creare fondi neri» a volte reinvestiti nelle

«scommesse calcistiche».

Ma Monti e le sue colleghe accolsero le pressioni di grandi squadre europee

super indebitate e dei rispettivi governi. Concessero così un compromesso

agli organismi del settore, Fifa e Uefa, che sostanzialmente accettò uno dei

principi fondamentali su cui si è sviluppata la degenerazione del calcio

professionistico: cioè che va trattato come «un mondo a parte», non

soggetto alle regole valide per tutti gli altri.

L’allora commissario alla Concorrenza rispose alle critiche riportate dal

Corriere giudicandole «pessimistiche» e definendo l’intervento Ue sui

contratti comunque un «miglioramento» rispetto al passato. Ma poi le

perdite di molte squadre professionistiche sono esplose. Il contesto si è

ulteriormente deteriorato. Ora il commissario alla Concorrenza, lo spagnolo

Joaquin Almunia, e il numero uno dell’Uefa, il francese Michel Platini, hanno

annunciato una linea molto più rigorosa e determinata. L’Europarlamento

ha sollecitato la Commissione europea a legiferare contro l’allarmante

proliferazione delle partite truccate per incassare scommesse, spesso in

accordo con la criminalità organizzata.

Nel 2001 proprio il dossier sui contratti dei calciatori iniziò a far

definire, nella sala stampa di Bruxelles, «autogol» (own goal in inglese) gli

errori del commissario di Varese, che era soprannominato «Supermario»

dai giornali anglo-Usa entusiasti del suo iper-liberismo deregolamentato.

L’espressione calcistica «Monti’s own goal» si diffuse ancora di più quando il

commissario subì pesanti bocciature di suoi provvedimenti sulla concorrenza

da parte della Corte europea di giustizia. Tra i giornalisti italiani Monti venne

paragonato informalmente a Comunardo Niccolai, un buon calciatore di

serie A degli anni '60 e '70, che vinse lo scudetto e collezionò perfino

alcune presenze in Nazionale, ma provocò anche clamorosi autogol.

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"Arrossire per Danzica?"

di OLIVIERO BEHA (tv.ilfattoquotidiano.it 04-06-2012)

Se lo chiedevano le forze anti-naziste nel ’39 quando Hitler invase la

Polonia: “Morire per Danzica?”. Oggi l’interrogativo, molto più ridicolo,

riguarda la partecipazione dell’Italia ai prossimi Europei di calcio,

che per gli azzurri iniziano proprio a Danzica domenica prossima. E’

curioso che alla questione, in un paese disastrato come l’Italia, venga

dato tutto questo risalto. Forse la domanda più opportuna è un’altra,

quella che ha posto il premier Mario Monti: vogliamo sospendere per

un periodo l’intero calcio italiano? E voi cosa ne pensate?

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Calcioscommesse

Ruolo di Bellavista e ultrà

vertice tra le due procure

Laudati incontrerà il procuratore di Cremona

Chieste le migliaia di intercettazioni che coinvolgono anche Masiello e Angelo Iacovelli

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica - Bari 03-06-2012)

CREMONA-Non soltanto Leonardo Bonucci. C'è un filo, nemmeno troppo

sottile, che continua a legare le due grandi inchieste sul calcioscommesse

italiano. Un filo che potrebbe portare nei prossimi giorni, come risulta agli

atti dell'inchiesta, anche a una riunione di coordinamento tra i due procuratori,

quello di Bari Antonio Laudati e quello di Cremona, Roberto Di Martino. Quel

filo sono qualche migliaio di intercettazioni telefoniche registrate lo scorso

anno a Cremona che ora, riascoltate dai carabinieri di Bari, potrebbero

servire a delineare meglio alcuni aspetti dell'inchiesta barese. C'è una

figura in particolare sulla quale gli inquirenti pugliesi vogliono fare

chiarezza: Antonio Bellavista.

È cronaca che Bari sta per chiudere la prima parte dell'inchiesta,

quella che riguarda in particolare il ruolo di Andrea Masiello nelle

partite combinate nel finale di stagione dello scorso campionato di serie A.

Tutte, tranne una, quella con la Sampdoria che invece dovrebbe essere

stata stralciata. Fuori dall'indagine è rimasto anche il filone che riguarda

gli ultras (il Riesame li ha appena fatti uscire dal carcere e sono ai domiclliari):

da ricostruire non è tanto cosa è accaduto, quanto piuttosto chi mandava

i tifosi dai giocatori per chiedere di perdere. «Gli ultras - ragionano gli

investigatori - non avevano una grande capacità economica. È evidente

che dietro dovevano avere qualcuno».

Sì, ma chi? In alcuni verbali spunta proprio il nome di Bellavista, l'ex

capitano biancorosso. E soprattutto, documentano le indagini, in una

delle partite nelle quali gli ultras minacciano i giocatori affinché perdano

(la trasferta contro il Cesena) sugli spalti, per seguire live l'incontro, c'è

proprio Bellavista. Che poi pagherà anche Masiello. Ora, che il secondo

filone dell'indagine riguardi Bellavista trova un riscontro oggettivo negli

atti appena depositati dalla procura di Cremona.

Tra gli allegati c'è una lettera datata 23 aprile, poco più di un mese fa,

nella quale il procuratore Antonio Laudati chiede al collega Di Martino

«la trasmissione di tutte le intercettazioni e degli altri atti di indagine

riguardanti le posizioni di Bellavista Antonio, Iacovelli Angelo e Masiello

Andrea. Si chiede - continua Laudati - di ottenere anche tutta la

documentazione relativa alle vicende che hanno interessato la squadra

di calcio del Bari». La risposta arriva quattro giorni dopo. «Appena

possibile trasmetterò quanto avete richiesto» scrive Di Martino. Ma c'è di

più. Nella sua lettera Laudati «rinnovava l'invito a effettuare una riunione

di coordinamento al fine di agevolare lo scambio di atti e informazioni.

Richiesta immediatamente accolta. «Sono disponibile verso la fine di

maggio» risponde il capo di Cremona. La riunione non è ancora arrivata.

Ma sicuramente sarà questione di giorni.

Prima probabilmente verrà notificato l'avviso di conclusione dell'indagine

della prima tranche. Avviso che vede tra gli iscritti anche l'ex presidente

giallorosso, il figlio del patron Pierandrea Semeraro. È la sua posizione che

rischia di inguaiare la squadra, che potrebbe (se riconosciuta colpevole di

responsabilità diretta) essere retrocessa in serie B (Il Lecce è già

retrocesso di suo in serie B, ndt). A inchiodare Semeraro sono le dichiarazioni

di Gianni Carella, uno degli amici di scommesse di Masiello: «Io e Giacobbe

(ndr, l'altra persona arrestata) ci recammo a Lecce dove avevamo

appuntamento con Carlo Quarta, non ricordo il nome della piazza, ricordo

il bar, o il bar Centomila o Trecentomila, una cosa del genere (...) Io sono

sceso dalla macchina quando è arrivato Carlo, gli ho detto: "Guarda che mi

devi dare una garanzia, io devo fare vedere, o mi dai dei soldi o mi dai un

assegno, perché io devo farlo vedere ai ragazzi, perché sennò non mi credono,

mica mi credono sulla parola (...) Dopodiché lui si è allontanato, ha detto:

"Aspetta un attimo". Io sono tornato verso la macchina da Fabio e ho visto

lui che parlava con il figlio di Semeraro - perché l'ho riconosciuto - con il figlio

del Presidente. Io però con lui, con il figlio del Presidente, non ho mai parlato.

Ho visto che parlava con lui (...) L'ho riconosciuto perché l'avevo visto in

televisione».

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UN GOVERNO TECNICO NEL PALLONE

di TITO BOERI (lavoce.info 31-05-2012)

Il mondo del calcio viene investito da una nuova ondata di scandali.

L'economia può aiutare a comprendere cosa sta avvenendo e come

prevenire che si ripeta? Proviamo a rispondere con un estratto da. . .

"Parlerò solo di calcio". . . in cui Tito Boeri viene intervistato da

Sergio Levi.

Domanda. Non mi sembra vero di poter parlare di calcio (e non di

lavoro, né di economia) con un economista del lavoro! Ma scherzi a

parte, da cosa nasce la sua decisione di applicare al pallone i metodi

rigorosi dell’economia?

Può sembrare strano che un economista si interessi di calcio. In

realtà, ci sono varie ragioni per cui altri economisti, prima di me,

si sono dedicati allo studio di questo sport, benché dal punto di

vista industriale abbia un’importanza relativamente marginale. Il

motivo principale è che il calcio catalizza una delle risorse più

scarse che ci siano al mondo, vale a dire l’attenzione umana, e in

questo momento poche altre cose riescono a farlo così bene. Nell’era

di Internet siamo continuamente bombardati da ogni sorta di messaggi,

avendo accesso a innumerevoli fonti d’informazione. In questa selva di

stimoli, il calcio riesce a esercitare un forte appeal, attirando su

di sé l’attenzione di molti individui. Cito solo un dato: la finale di

Coppa del Mondo del 2010 è stata seguita, in 200 paesi, da circa 700

milioni di persone. Si tratta di una risorsa che altre attività umane

semplicemente non riescono a catalizzare. Forse perché il calcio

suscita in noi istinti primordiali, rivalità sopite: fatto sta che il

calcio cattura l’attenzione umana e, come tale, merita grande

attenzione da parte di chi, come l’economista, studia l’allocazione di

risorse scarse. (...)

Prima di immergerci nel racconto dei fatti di Calciopoli, mi

piacerebbe chiederle da cosa è nata l’idea di applicare a quelle

vicende gli strumenti dell’economia.

Nel giugno 2006 aspettavamo tutti l’inizio dei Mondiali di calcio,

quando incominciarono ad arrivare le prime rivelazioni sulle

telefonate fra Luciano Moggi e alcuni arbitri di serie A.

Gli inquirenti avevano messo sotto controllo i telefoni di alcuni

manager nel corso di un’indagine sull’uso di doping nella Juventus.

Scoprirono che il direttore generale della Juve, Luciano Moggi, aveva

esercitato pressioni su arbitri, funzionari di federazione e

giornalisti, alla vigilia di partite decisive della stessa Juventus o

di qualche sua rivale. Allora gli arbitri venivano selezionati da un

team di ex arbitri chiamati «designatori», con cui Moggi era solito

intrattenere lunghe conversazioni telefoniche, benché ciò fosse

espressamente vietato dalle regole della federazione. L’indagine fu

subito estesa a tutti i designatori e ai manager che li chiamavano in

violazione delle norme federali. In quel periodo stavo leggendo un

lavoro di Steve Levitt (conosciuto per la sua freakonomics) che

riusciva a identificare esami scolastici truccati guardando a

deviazioni da una distribuzione di voti tipo. Qualcuno ha denigrato

queste tecniche parlando di «economia dell’immaginazione», perché

compie inferenze su fenomeni che non è possibile osservare. Ma il

metodo si è rivelato spesso molto efficace nel segnalare possibili

episodi di corruzione; nel nostro caso, avevamo il vantaggio di sapere

dalle intercettazioni quali partite erano state manipolate. A

quell’epoca avevo cominciato a raccogliere dati sulla produttività dei

calciatori. La caratteristica fondamentale dei dati sportivi (caso

raro nel mercato del lavoro) è infatti che permettono di misurare con

relativa precisione la produttività dei calciatori: attraverso vari

indicatori, come il numero dei gol e dei calci d’angolo, i falli

commessi e subiti, nonché parate, rigori e chilometri percorsi, è

possibile avere una stima abbastanza precisa di quanto riesce a

«produrre» ogni singolo calciatore. Ebbene, quando vennero alla luce i

primi episodi di Calciopoli, chiesi a Battista Severgnini, con cui

stavo raccogliendo questi dati sulla produttività dei calciatori, se

non potevamo indirizzare i nostri sforzi sull’analisi di questi

episodi di corruzione che cominciavano a venire a galla. Abbiamo così

deciso di analizzare metodicamente il caso di Calciopoli, cercando di

capire quanto sia diffusa la corruzione nel calcio italiano. E abbiamo

scoperto delle cose molto interessanti. Questa indagine ci ha permesso

di capire che il modo con cui venivano alterati gli esiti delle

partite era molto fine: non si pagavano gli arbitri, ma si esercitava

una pressione molto forte su di loro, quando questi si trovavano in

una fase particolarmente delicata della loro carriera, in attesa di

essere promossi allo status di arbitri internazionali. Messi di fronte

all’alternativa fra collaborare con manager senza principi e non fare

il salto di carriera, alcuni arbitri (che non a caso si trovavano in

quella posizione) hanno scelto la prima opzione. I nostri studi

mostrano che sono proprio gli arbitri in questa fase cruciale della

loro carriera a essere stati coinvolti nelle partite oggetto di

indagine. Ma per apprezzare i meriti di queste analisi bisogna capire

come funzionava il sistema corruttivo che si era cristallizzato

intorno agli arbitri negli anni che precedono l’esplosione di

Calciopoli.

III. La cattura dei regolatori

Prima di entrare nei dettagli di Calciopoli, vorrei capire come sia possibile

che gli arbitri abbiano avuto un ruolo così determinante in quella vicenda.

Ci sono almeno due ragioni per cui gli arbitri hanno avuto (e in generale,

possono avere) un ruolo cruciale nella manipolazione delle partite. In primo

luogo, dispongono di un ricco ventaglio di strumenti per alterare l’andamento

di una partita abbastanza equilibrata: calci di rigore, cartellini gialli e

rossi, fuorigioco e durata dei tempi di recupero. In secondo luogo, nelle

vicende di Calciopoli la loro collaborazione nella manipolazione delle partite

veniva ottenuta a un costo relativamente basso. Mentre un arbitro di livello

medio guadagna circa 50 mila euro a stagione, un giocatore di medio calibro di

una squadra di prima divisione guadagna almeno dieci volte tanto. I giocatori

che da soli (cioè con le loro giocate) possono alterare il risultato di una

partita guadagnano solitamente cifre da superstar, fino a cento volte il

guadagno medio di un arbitro. I direttori di gara, in altre parole, sono

l’anello debole dell’industria calcistica. Questa circostanza è stata

ampiamente sfruttata nell’alterazione delle partite molto prima di Calciopoli.

La novità di Calciopoli sta nel fatto che in quel sistema la collaborazione

degli arbitri veniva ottenuta minacciando di escluderli dalle partite della

cosiddetta Griglia A, che risultavano cruciali ai fini della loro carriera.

Possibile che un intero sistema di corruzione ruoti intorno al ruolo

dell’arbitro?

È così. Chi non segue il calcio, pensa che l’arbitro sia ininfluente: sembra

impossibile che una sola persona possa avere il potere di alterare il

risultato di una partita. Le racconto un aneddoto: uno degli articoli che

abbiamo scritto sul calcio, l’abbiamo mandato a una rivista referata a livello

internazionale, e abbiamo avuto la cosiddetta desk rejection, che si ha quando

l’editor legge l’abstract e, senza neanche leggere il paper o sottoporlo ai

referee, decide che non gli interessa. Ebbene: la motivazione della sua desk

rejection diceva che è impensabile che un solo arbitro possa alterare il

risultato di un match in cui sono coinvolte 22 persone. Mi chiedo se questo

editor abbia mai visto una partita di calcio in vita sua; probabilmente no,

altrimenti si sarebbe reso conto dell’importanza dell’arbitro. Negli stadi

italiani l’arbitro viene sistematicamente fischiato non appena fa ingresso in

campo, tanto che un marziano potrebbe pensare che sia lì per quello.

Bisognerebbe apprezzarli di più, non solo perché ci sono arbitri davvero bravi,

ma perché il loro compito è estremamente importante.

Ma allora perché si lascia che tutte le colpe ricadano su di loro?

Sono l’anello debole della catena, in quanto sono i meno pagati. Inoltre, la

loro carriera dipende (oggi come ai tempi di Calciopoli) dalle scelte

discrezionali dei designatori e dall’atteggiamento dei media. Mancando una

valutazione trasparente della performance dei singoli direttori di gara da

parte dell’Associazione italiana arbitri (Aia), i commenti dei giornalisti

incidono fortemente sulla loro carriera, decidendo del loro accesso a

competizioni internazionali, la strada maestra per incrementare i loro

redditi. Questo meccanismo ha contribuito a trasformare la cosiddetta

«sudditanza psicologica» in una vera e propria forma di corruzione ai danni

degli arbitri e della sana competizione sportiva.

Al di là di questa immagine dell’arbitro come anello debole, è possibile

stabilire una connessione fra carriera degli arbitri e manipolazione delle

partite?

È quello che abbiamo fatto negli articoli di cui parlavo, scritti con

Battista Severgnini, dove abbiamo analizzato la relazione fra corruzione e

carriere arbitrali utilizzando le informazioni raccolte sulla manipolazione

delle partite, le promozioni e la performance degli arbitri nel contesto di

Calciopoli. A differenza di studi precedenti sulla corruzione negli sport

professionistici, abbiamo potuto basarci su evidenze di pressioni esercitate

dai manager ai danni degli arbitri, pressioni documentate da molte

intercettazioni telefoniche. Abbiamo anche potuto guardare ai fattori che

determinano l’allocazione degli arbitri a quelle partite che risultano

cruciali ai fini della loro carriera e porre in relazione queste scelte con

una valutazione ufficiale delle prestazioni passate e presenti degli arbitri.

I nostri risultati indicano che gli avanzamenti di carriera sono stati in

molti casi il sostituto delle tangenti monetarie, riducendo in modo netto

l’esborso economico richiesto per aggiustare gli incontri.

In un libro dal titolo «Come il calcio spiega il mondo», il giornalista

americano Franklin Foer ha descritto in termini molto pittoreschi queste

pressioni sugli arbitri italiani: «Durante le partite i giocatori crollano al

suolo nella speranza di ingannare l’arbitro e farsi assegnare un rigore. . .

Dopo ogni rete, i difensori alzano un braccio per indurre il guardalinee a

sollevare la bandierina per segnalare un fuorigioco. . . Se la stampa lancia

una crociata contro un certo arbitro, questi è costretto a stare molto

attento. Farà qualsiasi cosa per dimostrare di essere imparziale. . .

Anche le squadre fanno tutto il possibile per influenzarli. Quasi ogni anno

viene messo in discussione il metodo di designazione arbitrale. . . e Juve e

Milan riescono sempre a influire sul sorteggio in modo che vengano loro

assegnati arbitri mediocri, dalla mentalità provinciale e che soffrono di una

forma di sudditanza inconscia nei confronti del loro prestigio». Un ritratto

lucidamente impietoso del nostro calcio.

Purtroppo, stando a quanto è poi emerso dalle intercettazioni telefoniche, la

situazione era ancora più grave di quanto supposto da Foer; ed è interessante

notare che il suo libro è del 2004. Più che essere inconsciamente deferenti,

gli arbitri erano direttamente o indirettamente minacciati dai manager di

alcune squadre. Mentre non ci sono prove di pagamenti in denaro a favore degli

arbitri coinvolti in Calciopoli, c’è evidenza di arbitri ricattati da

dirigenti implicati nei casi di frode sportiva. Le pressioni indirette sono

state ancora più forti. Queste si esercitavano agendo sulla selezione degli

arbitri per le partite più importanti, le partite della cosiddetta Griglia A,

che costituivano un passo decisivo per diventare arbitri di livello

internazionale. Per influenzare le decisioni arbitrali si faceva ricorso a

campagne diffamatorie: le principali trasmissioni televisive di sport e i

giornalisti che vi partecipavano usavano criticare pesantemente (sempre

secondo i giudici) le decisioni di quei direttori di gara che non

collaboravano. La reputazione è essenziale nella carriera di un arbitro ed

essere pesantemente criticati in una trasmissione televisiva, come Il processo

del lunedì, poteva ridurre la probabilità di essere selezionati per le partite

internazionali.

Quanto guadagnava mediamente un arbitro ai tempi di Calciopoli?

Nel periodo a cui si riferiscono i nostri dati, gli arbitri italiani erano

pagati principalmente a partita. In particolare, ricevevano in serie A circa

5. 100 euro a partita e in serie B 2.500 più il rimborso delle spese sostenute

«nell’esercizio delle funzioni». Accanto a questo schema di pagamento a

partita, esisteva uno stipendio fisso legato allo status dell’arbitro: gli

arbitri internazionali avevano diritto a 37 mila euro l’anno, gli arbitri

della fascia più alta (ma non internazionali) a 31 mila euro, mentre i nuovi

arrivati (o emergenti) di serie B prendevano 13 mila euro. La partecipazione

alle partite più importanti aumentava in modo sostanziale la probabilità di

accedere al ruolo internazionale, e ciò implicava un forte incremento nel

guadagno totale nella vita di un arbitro. Solo chi riusciva ad accedere al

rango internazionale poteva infatti continuare ad arbitrare in serie A fino

all’età di 45 anni, mentre gli arbitri di livello non internazionale andavano

in pensione (o venivano esclusi dagli incontri importanti) molto prima, in

certi casi 10 anni prima. Inoltre, le competizioni internazionali pagano il 20

per cento in più delle partite di serie A. Se si considera che i guadagni

annui degli arbitri internazionali erano dell’ordine di 200 mila euro, e

assumendo un tasso di sconto del 3 per cento, l’aumento nell’arco di una vita

nei compensi associati al raggiungimento del rango internazionale può essere

stimato (in termini di valore netto presente) intorno a 1 milione e 750 mila

euro.

Come si faceva a conseguire questo rango internazionale?

Il passo decisivo per accedere al rango internazionale era arbitrare partite

della Griglia A. Se si compara il numero medio di partite della Griglia A

assegnate ad arbitri promossi a incontri internazionali a un certo punto della

loro carriera prima della promozione con il numero di partite assegnate ad

arbitri che non hanno mai ottenuto lo status internazionale nella loro

carriera, si vede che in media gli arbitri promossi avevano arbitrato,

rispetto agli altri, una quota più ampia di partite della Griglia A (circa il

20 per cento in più) in ogni campionato, erano più vecchi di circa 3 anni e

avevano anche 3 anni in più di esperienza in serie A o B.

Cosa non ha funzionato nella valutazione degli arbitri e nelle loro regole di

promozione?

A differenza di altre professioni, il lavoro dell’arbitro è soggetto a

valutazioni molto frequenti, e le informazioni su cui si basano le valutazioni

sono di pubblico dominio. Si conosce quasi tutto della prestazione di un

arbitro in una data partita. Inoltre, accanto alle valutazioni formali

compiute (ma non rese pubbliche) dall’associazione calcistica, ci sono i voti

e le «pagelle» compilate da molti giornali e da molte trasmissioni televisive.

Perciò è possibile analizzare i voti assegnati ai direttori di gara in quegli

incontri su cui esistono evidenze di manipolazione dei risultati. Ora, la

disponibilità ad aggiustare qualche partita (fatto certificato dalle

intercettazioni) aumentava la probabilità di vedersi assegnare gli incontri

più importanti del torneo, e questo incremento riguardava proprio i direttori

di gara candidati alla promozione come arbitri internazionali. Passando alle

valutazioni formali degli arbitri fornite dalla federazione, abbiamo scoperto

che i voti non erano affatto inferiori (come ci si potrebbe aspettare) in

quelle partite in cui sussistevano forti evidenze di manipolazione. In queste

valutazioni una conduzione di gara favorevole alla squadra di casa, misurata

per esempio dal numero di cartellini gialli e rossi rifilati agli ospiti, non

veniva sanzionata, anche se i documenti della federazione raccomandano di

evitare ogni atteggiamento deferenziale nei confronti delle squadre ospitanti,

ciò che gli economisti definiscono home bias, distorsione a favore della

squadra di casa.

Possibile che sia stata tutta colpa del sistema di selezione degli arbitri?

È stato un concorso di cause a rendere possibile la costruzione di quel

sistema corruttivo. Un ruolo centrale lo ha avuto però il meccanismo di

allocazione degli arbitri, anche prima del campionato 2004-2005. Secondo

quanto emerge dal libro di Luigi Garlando sui rigori della Juventus dal 1929

al 2005, Nostra Signora del dischetto, almeno 20 partite potrebbero essere

interessate da manipolazione e dubbie decisioni arbitrali nel decennio

1994-2004. La cosa interessante è che Garlando non ha identificato neanche un

episodio di potenziale manipolazione nel campionato 1998-1999, quando la Figc

modificò il sistema per l’assegnazione degli arbitri, passando da assegnazioni

discrezionali ad assegnazioni casuali. Nel campionato successivo, il sistema

di allocazione degli arbitri fu nuovamente modificato, diventando più

complesso e discrezionale. Le partite venivano classificate in un certo numero

di griglie, a seconda dell’importanza ai fini del torneo. A ciascuna di queste

griglie venivano assegnati solo alcuni arbitri, in base a una valutazione

delle loro prestazioni passate. Gli arbitri venivano quindi pescati da questo

sottoinsieme associato alla griglia e assegnati a ciascun match. C’erano però

diverse «preclusioni». Per esempio, un arbitro potenzialmente candidato ad

arbitrare le partite della griglia più elevata poteva essere escluso prima di

una partita per motivi imprecisati. Ogni griglia aveva in media 5 partite e 5

arbitri e la combinazione di griglie e preclusioni permetteva in molti casi di

scegliere a quale direttore di gara affidare la partita più importante.

In concreto, come facevano gli arbitri a incidere sul risultato di una

partita?

Dai documenti giudiziari emerge una varietà di metodi. A volte un giocatore

forte veniva espulso senza una ragione credibile proprio nella partita che

precedeva l’incontro con la Juventus; un caso emblematico fu l’espulsione del

giocatore dell’Udinese Marek Jankulowski durante la partita Udinese-Brescia, a

pochi giorni dal match fra Juventus e Udinese. In altri casi, l’arbitro

concedeva un rigore o non dava un fuorigioco favorendo così una delle due

squadre. In tutti questi casi, le conversazioni intercettate certificano la

sussistenza di contatti diretti fra i manager coinvolti nella manipolazione, i

designatori e in certi casi gli stessi arbitri.

In che cosa consistevano le minacce?

Alcune conversazioni intercettate chiamano in causa diversi giornalisti

sportivi, frequentatori di trasmissioni televisive. I manager che truccavano

le partite minacciavano per telefono gli arbitri di distruggere la loro

reputazione usando il potere che avevano sui media se non avessero esaudito le

loro richieste. Con la sola eccezione della Reggina, tutte le squadre

coinvolte in Calciopoli erano proprietà di personaggi che avevano un controllo

diretto o indiretto sui media e detenevano una porzione significativa di

diritti televisivi. Questo potere mediatico era anche esercitato nelle più

importanti trasmissioni televisive sul calcio, come Il processo del lunedì, la

Domenica sportiva e Controcampo: i giornalisti ospiti (più o meno fissi) di

queste trasmissioni erano rappresentanti (più o meno espliciti) degli

interessi di questa o quella squadra. Un arbitro con una cattiva reputazione,

e in queste trasmissioni era facile renderla tale, faceva fatica a ottenere

una promozione al rango internazionale.

Come era finito il campionato sotto inchiesta?

Il campionato 2004-2005 era stato vinto dalla Juventus; Milan, Inter e

Udinese si erano qualificate per la Champions League; e Bologna, Brescia e

Atalanta erano finite in B. L’elenco degli incontri sotto inchiesta è lungo.

Diciamo che i risultati di queste partite possono essere confrontati con un

indice chiamato Ivs (Indice di Valutazione di Squadra) che misura la forza

relativa delle due squadre che si affrontano basandosi sulla misura delle

prestazioni individuali. Questo indice si basa sulla rosa dei giocatori di cui

un allenatore effettivamente dispone (escludendo quelli colpiti da misure

disciplinari o infortunati) come anche sulla prestazione collettiva della

squadra nelle partite precedenti. In quel campionato ci sono un totale di 78

partite, circa due alla settimana, che appaiono manipolate. La cosa

interessante è che pur non essendo soltanto partite della Juve, sono quasi

sempre manipolate a suo vantaggio. Le altre squadre coinvolte nello scandalo

erano Milan, Fiorentina, Lazio e Reggina. Il Milan fu accusato di avere

influenzato la scelta dei guardalinee per la sua partita contro il Chievo

nell’aprile 2005. Mentre la Fiorentina di Diego Della Valle e la Lazio di

Claudio Lotito furono accusate di aver usato metodi simili a Luciano Moggi nel

manipolare le partite attraverso la designazione arbitrale. Le imputazioni a

carico della Reggina erano dello stesso tipo.

Quali sono state le sanzioni irrogate dalla giustizia sportiva?

Mentre l’inchiesta della magistratura è ancora in corso, la giustizia

sportiva ha già emesso il suo verdetto e ha comminato le sue (miti) sanzioni.

Anche se le partite della stagione 2005-2006 non erano sotto inchiesta, lo

scudetto vinto dalla Juventus fu invalidato e successivamente assegnato

all’Inter. Altre sanzioni furono comminate. In particolare la Figc ha deciso

che la Juventus doveva essere retrocessa alla Serie B con una deduzione di 9

punti nel campionato 2006-2007. Il Milan rimase in A ma subì una penalità di 8

punti. La Fiorentina fu esclusa dalla Champions League e penalizzata con una

deduzione di 15 punti. La Lazio fu sanzionata con una riduzione di 3 punti e

l’esclusione dalla coppa Uefa. Infine, la Reggina fu sanzionata con una

deduzione di 15 punti in serie A.

Fra le varie obiezioni mosse all’inchiesta di Calciopoli c’è l’accusa di

incompletezza (o parzialità) del dato. Quali informazioni avete preso in

considerazione nella vostra analisi?

I dati che abbiamo raccolto provengono da diverse fonti. Le informazioni

riguardanti le caratteristiche personali e le carriere di arbitri e

guardalinee, come anche le loro decisioni durante ogni partita, le abbiamo

ricavate dai siti e dalle edizioni cartacee dei quotidiani «La Ġazzetta dello

Sport» e «la Repubblica». I voti dati ad arbitri e guardalinee provengono

dalle valutazioni ufficiali fornite dall’Associazione italiana arbitri (Aia) a

cui abbiamo potuto accedere. Il già citato Indice di Valutazione di Squadra

(Ivs) è fornito dal gruppo Panini, l’azienda che produce i principali album di

figurine italiane. L’elenco delle partite manipolate è tratto dalla

documentazione giudiziaria ufficiale (tabulati di Carabinieri, Ros e

Antimafia). Va detto che le intercettazioni telefoniche erano molto chiare ed

eloquenti, e l’accusa ne ha fatto ampio uso per dimostrare l’esistenza di una

vera e propria organizzazione volta ad alterare i risultati delle partite, con

finalità di natura sportiva e indirettamente economica. Ci sono quindi le

registrazioni (alcune passate in televisione) e ci sono i tracciati che

permettono di capire come veniva esercitata questa pressione e quali erano le

persone coinvolte. Per avere un’idea dei tabulati, si pensi a una mappa della

metropolitana di Parigi, dove al posto delle fermate ci sono i nomi di arbitri,

designatori, direttori sportivi e in qualche caso giornalisti. Ebbene, questi

diagrammi riproducono abbastanza fedelmente il network dei rapporti messi in

piedi a seconda delle diverse partite. Il manager di una squadra non dovrebbe

mai parlare con un arbitro, secondo il codice deontologico. Invece, i

direttori sportivi delle squadre coinvolte parlavano eccome, sia con la terna

sia con gli arbitri; e naturalmente, con gli onnipresenti giornalisti. Credo

che la forza della nostra analisi stia in due aspetti. In primo luogo,

l’accesso a evidenze forti di aggiustamenti di partite, vale a dire le

trascrizioni di conversazioni telefoniche. In secondo luogo, lo sviluppo di

una banca dati sui voti che gli arbitri si sono visti assegnare con

riferimento alle loro prestazioni (anche quelle manipolate) nelle partite

precedenti e nel corso della loro carriera.

Fatti e informazioni non precedono le interpretazioni, ma le rendono

necessarie. Quali tecniche di analisi avete usato per «far parlare» i dati

raccolti?

Cercando ispirazione in altri campi di ricerca, ci siamo imbattuti in uno

studio interessante fatto da uno statistico belga, Adolphe Quetelet, che a

metà Ottocento aveva studiato la statura dei giovani francesi, sulla base dei

dati raccolti nelle visite mediche necessarie per essere arruolati

nell’esercito. Quetelet aveva notato una sorprendente assenza di persone con

stature fra 1,57 e 1,597. Il fatto è che a quel tempo l’altezza minima per

essere ammessi al servizio di leva era 1 metro e 60. Lo statistico belga si

chiese se non fosse operante qualche fenomeno di corruzione: se qualche

militare non fosse stato pagato per chiudere un occhio e falsificare le

altezze. Applicando lo stesso metodo, abbiamo pensato di analizzare i dati

riguardanti le vittorie e le sconfitte di tutte le squadre, per vedere se

erano distribuiti secondo un pattern regolare, o secondo qualche altra

distribuzione, che potesse rivelarsi tipica nel mondo dello sport. Di solito,

per capire e identificare i casi di corruzione gli economisti cercano i

cosiddetti outlier. Si osservano i comportamenti tipici e si stabilisce cosa

ci si aspetta da certe competizioni sportive, sulla base dei dati storici, o

del merito sportivo o ancora della forza e competitività dei giocatori delle

varie squadre. Nel momento in cui emergono deviazioni troppo grandi (dette

appunto outlier) rispetto alle predizioni del modello, è possibile che ci

siano delle irregolarità. È un metodo che può portare a fare degli errori,

perché nel calcio c’è una forte componente di aleatorietà. Tuttavia, è il

metodo seguito quando non si ha nessun dato che consenta di identificare a

colpo sicuro i casi di corruzione. Pensiamo, per esempio, agli studi di

settore utilizzati nel contrastare l’evasione fiscale: si basano su un

principio molto simile in quanto permettono di identificare deviazioni

significative rispetto al reddito che può essere presunto sulla base di

comportamenti generali, per diverse tipologie di attività. È chiaro che questo

metodo funziona solo se i comportamenti devianti, la corruzione o l’evasione

fiscale, non sono la norma. Nel nostro caso, lavorando sui fatti di Calciopoli

avevamo qualcosa di meglio da cui partire, perché sapevamo quali partite erano

state truccate, perciò abbiamo potuto guardare alle caratteristiche di queste

partite, capire il meccanismo che c’era dietro, e poi sviluppare un modello

per identificare potenziali episodi (non visti) di corruzione. Il nostro

vantaggio, rispetto a studi precedenti, è stato proprio avere a disposizione i

dati emersi dalle inchieste. Indipendentemente dal loro valore probante nel

processo, le informazioni tratte dalle intercettazioni sono molto importanti

dal punto di vista dell’analisi economica. Siamo partiti dalle notizie di

reato relative al campionato sotto inchiesta (2004-2005) dove avevamo una

corrispondenza diretta, perché sapevamo cosa era avvenuto nelle partite

manipolate. Così abbiamo costruito un modello di previsione, e lo abbiamo

fatto «girare» sul campionato 2004-2005, fingendo di non sapere quali partite

erano state truccate. I risultati ci sono subito apparsi molto promettenti,

perché permettevano di predire un gran numero di partite che effettivamente

sono state corrotte. Il secondo passo è stato assumere che questa

corrispondenza fosse valida in generale, per avere indicazioni di partite

corrotte in altri campionati. Abbiamo anche usato altre tecniche per misurare

i tempi della corruzione. Spesso in economia del lavoro si usano modelli

econometrici che provengono dalla biologia e dall’oncologia. Noi abbiamo usato

dei modelli di duration per misurare la durata massima o minima dei tentativi

di corruzione: per comprendere quando sia meglio agire per manipolare un

determinato evento sportivo, in questo caso un incontro di calcio.

E cosa avete scoperto?

Che le partite manipolate si localizzano molto spesso nei mesi invernali.

Questo corrisponde a una scelta efficiente: è in questa fase che si decidono

le sorti del campionato. La gerarchia si sta definendo, alcune squadre si

stanno sfilando dal gruppo delle potenziali vincitrici del torneo. La logica

alla base di questi interventi sembra chiara: se devi intervenire con la

corruzione per condizionare l’esito finale del campionato, e se puoi farlo

(per motivi economici) una sola volta (o un numero limitato di volte) per

stagione, ti conviene agire nelle partite centrali del torneo. Seconda regola:

scegli possibilmente quegli incontri il cui risultato sulla carta sia

abbastanza equilibrato. È così che queste partite venivano condizionate a

favore di una squadra, ma la cosa non era talmente stridente da suscitare

particolare attenzione da parte del pubblico o dei media. Si condizionavano i

risultati di partite abbastanza incerte, anche perché l’arbitro non può

alterare il risultato di una partita in cui i valori in campo sono molto

diversi. Infine, come abbiamo visto, la terza regola dice: parla direttamente

con arbitri e designatori, anziché ricorrere a pagamenti monetari a favore dei

calciatori: primo, perché può essere molto costoso se questi sono delle star;

poi perché dovresti trovare un calciatore disponibile a farsi corrompere, il

che non è scontato; infine, come detto, per condizionare una partita di calcio

bisognerebbe corrompere giocatori che hanno un ruolo decisivo, per esempio un

portiere o un attaccante di punta, altrimenti è difficile che incida sul

risultato di un match.

Perché è così importante agire a metà campionato?

A inizio campionato c’è una squadra favorita, poi le gerarchie si modificano,

e il grosso del cambiamento e della gerarchia finale si determina a metà

stagione. È quello il momento in cui si divaricano le probabilità nelle

quotazioni degli scommettitori sulla vittoria finale nel campionato; quindi,

se qualcuno vuole incidere sull’esito finale di un campionato a favore di una

squadra, deve cercare di alterare le partite in questo periodo. Ci sono

processi cumulativi che vengono a crearsi: la squadra che comincia a perdere

punti, perde motivazione, si creano tensioni all’interno della squadra; allo

stesso tempo, chi va bene e vince continua a essere motivato. Ciò sembra

confermato dall’andamento delle probabilità di vittoria finale, stando alle

quote degli scommettitori: è in genere verso la metà del campionato che la

valutazione delle probabilità di vittoria delle diverse squadre tende a

diversificarsi.

Quali conclusioni si possono trarre (ed eventualmente generalizzare ad altri

contesti) da questo studio sulla cattura dei regolatori?

Nell’insieme i nostri risultati suggeriscono che le preoccupazioni di

carriera sono molto importanti ai fini della corruzione. Sono anche coerenti

con una possibile collusione fra il team che valutava e selezionava gli

arbitri e i manager coinvolti nella manipolazione delle partite.

Un’implicazione dei nostri risultati è che i deterrenti contro questa forma di

manipolazione si trovano rendendo più trasparenti le valutazioni e

l’allocazione degli arbitri alle partite, ma anche fornendo maggiore sicurezza

finanziaria agli arbitri: per esempio, passando a sistemi di remunerazione

basati su un salario fisso, come in parte è stato fatto. Anche se questa

indagine riguarda l’industria del calcio, ha implicazioni che vanno al di là

dell’economia dello sport. Il ruolo delle aspirazioni di carriera nei fenomeni

di corruzione non è stato molto indagato dalla ricerca empirica.

La corruzione permea il nostro calcio e Calciopoli ha illuminato solo la

punta di un iceberg o le aberrazioni scoperte dai magistrati sono un virus

ormai debellato?

Il metodo scientifico con cui era organizzata la corruzione, cioè il modo con

cui si alteravano le partite nel 2004-2005, fa pensare che questo metodo fosse

in vigore da anni. Applicando il metodo che ho descritto, abbiamo identificato

alcune partite sospette nei campionati precedenti a quello di Calciopoli,

dopodiché siamo andati a riguardarci gli articoli e i resoconti giornalistici

di quelle giornate sportive, e in effetti in alcune partite c’erano stati

episodi contestati e scelte arbitrali molto discutibili, che facevano pensare

che gli errori avessero qualcosa di metodico. Calciopoli non è stato un

incidente occasionale o estemporaneo, perché alcuni manager hanno agito

alterando scientificamente gli esiti delle partite, e le proprietà

probabilmente erano al corrente di queste manovre. Ancora in questi giorni

leggiamo sui giornali che le proprietà giustificano l’operato dei loro manager

e continuano a non fare i nomi dei responsabili. Il fatto stesso che i manager

abbiano continuato a guadagnare, anche quando le società sono state

penalizzate (sul piano sportivo e quindi economico) la dice lunga sul reale

coinvolgimento dei vertici. Alla fine, a perderci sono stati soprattutto i

tifosi, e non solo quelli delle squadre retrocesse per via di torti arbitrali.

I sostenitori delle squadre «colpevoli» hanno appreso di aver gioito per

titoli conquistati e partite vinte con l’aiuto di pratiche illecite. I tifosi

delle altre hanno scoperto di aver sofferto invano, perché la loro squadra era

stata fatta perdere o retrocessa per favorirne irregolarmente un’altra. Sono

dunque gli appassionati di calcio le vere vittime di Calciopoli. Eppure, non

solo non hanno riavuto i soldi spesi per i biglietti dello stadio, per le

trasferte e per l’abbonamento alla pay per view, ma hanno pure subito gli

effetti delle (miti) sanzioni della giustizia sportiva: le retrocessioni e i

punti di penalità tolgono interesse al campionato e fanno fuggire altrove i

giocatori migliori.

(...) quali conclusioni si possono trarre sul calcio italiano dalla

vostra analisi dei fatti di Calciopoli?

Ne indicherei due. In primo luogo, in Italia la competizione

calcistica è falsata dalla preminenza del potere mediatico, che incide

sul potere sportivo ed economico e ne distorce le dinamiche. In

secondo luogo, coloro che dovevano regolare il sistema, vale a dire la

terna che selezionava gli arbitri, e gli stessi arbitri, sono stati

sistematicamente catturati da coloro che dovevano essere regolati. Per

cercare di ovviare a questo specifico problema, bisogna intervenire

sugli incentivi delle carriere arbitrali e potenziare ulteriormente i

compensi fissi. Soprattutto, bisogna che sia un’autorità esterna al

mondo del calcio a monitorare l’attività dei direttori di gara e

valutarne le prestazioni. Una delle falle del nostro calcio era (ed è)

la mancanza di adeguati controlli esterni. (...)

Che cosa bisogna fare per evitare che nuove Calciopoli si ripetano in

futuro?

È una delle domande che hanno guidato la nostra analisi. Da un punto

di vista normativo, i nostri risultati suggeriscono che per ridurre il

rischio di nuove Calciopoli bisogna monitorare molto attentamente il

comportamento degli arbitri, soprattutto di quelli che attraversano

una fase cruciale della loro carriera. Più in generale, serve maggiore

trasparenza in almeno tre ambiti: in primo luogo, nelle decisioni

relative alle assegnazioni di partite agli arbitri; in secondo luogo

nella promozione di questi ultimi al rango internazionale; in terzo

luogo, nelle valutazioni ufficiali delle prestazioni degli arbitri.

Migliorare il loro sistema di retribuzione può servire a

disincentivare il ricorso ai direttori di gara per manipolare le

partite. (... )

A chi spetta il compito di attuare queste riforme?

Un po’ alla federazione, un po’ al governo. Ma si tratta di un

compito ingrato e almeno a breve termine impopolare, perché in Italia

le squadre di calcio, oltre a essere too popular to fail, sono

istituzioni sacre che nessuno può toccare, dove prevale il

campanilismo per definizione. Bisogna che la politica si leghi le mani

come Ulisse, perché quel che serve non sono minimi ritocchi, ma

riforme e interventi che riducano drasticamente il numero di squadre

obbligando quelle che non sono in grado di presentare un bilancio

serio a chiudere i battenti. Ancora, bisognerebbe radiare a vita chi

ha commesso atti illeciti e chi ha dato loro copertura. Forse ci

vorrebbe un governo tecnico anche nel calcio per fare queste cose. Non

bisogna dimenticare che oltre al bene pubblico (il calcio) bisogna

tutelare il pubblico dei tifosi. Già, e l’attuale governance del

calcio non li tiene affatto in considerazione. Servono figure che

rappresentino davvero gli interessi degli appassionati di calcio. Ci

vorrebbe una tessera del «bravo tifoso»: non parlo della tessera del

tifoso introdotta dall’ex ministro Maroni, che si è presto rivelata

una sorta di card dei gruppi organizzati; ma di una tessera per i

singoli tifosi che vanno pacificamente allo stadio (come la fidelity

card proposta dal ministro Cancellieri). Questa tessera dovrebbe

permettere ai supporters di eleggere dei propri rappresentanti nelle

strutture di governo del calcio che devono assicurare il rispetto

delle regole sportive. Perché è vero, come a volte si dice, che gli

individui possono sempre votare con i piedi, in questo caso cessando

di andare allo stadio o non guardando più le partite in televisione,

ma è bene che facciano anche sentire la loro voce. Un recente studio

econometrico di Babatunde Buraimo, Giuseppe Migli e Rob Simmons (dal

titolo eloquente Corruption Does Not Pay) fa vedere che dopo

Calciopoli le squadre che erano state coinvolte in episodi di

corruzione hanno subito cospicue perdite di spettatori allo stadio.

Purtroppo, la delusione degli spettatori che cessano di andare allo

stadio rischia di passare inosservata, perché i redditi da stadio

occupano una piccola fetta nei fatturati delle squadre italiane. Se

imponessimo alle società di calcio di avere dei bilanci più

trasparenti, spingendole a ridurre la quota dei diritti televisivi,

anche le reazioni degli spettatori alla corruzione servirebbero come

disciplining device: a quel punto le società ne pagherebbero lo

scotto. Andando in questa direzione, avere biglietti più cari sarebbe

un prezzo che varrebbe la pena pagare.

IV. Un governo tecnico per il calcio

Fin qui abbiamo visto i diversi ingredienti che hanno contribuito a generare

un sistema di corruzione basato sulla cattura degli arbitri. Con il 2011 siamo

caduti dalla padella degli arbitri nella brace delle scommesse truccate. Si

direbbe che la lezione non ci sia servita.

Non sarà l’ultimo episodio, temo. Nella storia del calcio italico ci sono

stati moltissimi episodi di corruzione. Nel 1927 fu revocato il titolo vinto

dal Torino perché i suoi dirigenti avevano corrotto un giocatore della

Juventus prima di un derby. Nel 1982 Milan e Roma furono retrocesse in serie B

per aver aggiustato una partita e alcuni loro giocatori furono giudicati

colpevoli di scommesse illegali sulle partite. Nel 2004-2005 abbiamo avuto

Calciopoli, di cui abbiamo già parlato. Infine, nell’estate 2011 abbiamo

assistito al ritorno del calcioscommesse. Questo nuovo scandalo è molto più

esteso di quello dell’82 e presenta qualche analogia con episodi simili

avvenuti in altri paesi, per esempio, con lo scandalo emerso in Germania nel

2009, che ha coinvolto giocatori di seconda divisione in 9 paesi, alterando

l’esito di circa 200 partite. Da noi però l’intreccio fra illecito sportivo e

criminalità è stato più forte, dato il coinvolgimento della camorra nel racket

delle scommesse.

Abbiamo visto che il fulcro di Calciopoli era la cattura dei regolatori. Come

si differenzia da questo metodo la logica del calcioscommesse?

I due fenomeni hanno aspetti comuni, ma ci sono alcune differenze importanti.

In primo luogo, in Calciopoli erano coinvolti gli arbitri, mentre qui ad agire

sono stati i calciatori. In secondo luogo, si tratta spesso, benché non sempre,

di partite minori di squadre minori, iscritte in serie B o addirittura in

Lega Pro. Anche le finalità con cui si è proceduto ad alterare l’esito delle

partite sembrano tendenzialmente diverse. Sono raramente ragioni di classifica;

per esempio, non si è alterato l’e sito delle gare per consentire a una

squadra di vincere il campionato, di accedere alla Champions League, o di

evitare di essere relegata nella divisione inferiore; lo si è fatto per

truccare le scommesse, talvolta sul risultato della singola partita, molto più

spesso sul numero di gol segnati. Di solito, è questo l’oggetto delle

scommesse: per esempio, si scommette che in una certa partita verranno segnati

almeno tre gol, una scommessa molto comune che in gergo si definisce «over 2,5».

Quali altre differenze si possono notare fra Calciopoli e calcioscommesse?

Mentre la manipolazione delle partite realizzata attraverso gli arbitri

agisce sul risultato finale, quella finalizzata alle scommesse agisce sui gol

fatti e subiti. Nel secondo caso il metodo di alterazione dei risultati è più

semplice, ma non per forza più facile da realizzare: bisogna fare pressioni

sui singoli giocatori, sperando di riuscire a convincere soprattutto

attaccanti e portieri. Nelle squadre di seconda o terza divisione, la

decisione di truccare le partite in vista delle scommesse può venire dal

direttore sportivo, che si rassegna a considerarlo un modo come un altro per

pagare gli stipendi ai calciatori. Ma capita pure in prima divisione, quando

gli stessi calciatori decidono di sfruttare le scommesse per fare lauti

guadagni. Sugli episodi recenti di calcioscommesse non è ancora possibile

articolare una compiuta analisi econometrica, che richiederebbe dati con una

lunga estensione temporale. Inoltre, non sappiamo ancora quali siano le

partite manipolate: sappiamo che hanno coinvolto squadre di Lega Pro, ed è per

questo difficile avere dati precisi riguardo ai giocatori e alle loro

performance passate. Leggendo i verbali della procura di Cremona si ha la

sensazione di avere a che fare con personaggi che si vantano di aver

manipolato qualche partita, il tipico vizio un po’ italiano del millantato

credito. In ogni caso, se si osserva il profilo dei calciatori coinvolti (e

lasciando fuori quelli di serie A, che richiederebbero un discorso a parte),

si nota che appartengono a squadre con fortissimi problemi economici. Da mesi

non percepivano lo stipendio, quindi dovevano trovare altre fonti di reddito.

In secondo luogo, sono giocatori che potremmo definire «insoddisfatti»: molti

di loro ambivano a giocare in serie B o in serie A, ma si trovano relegati

nelle serie inferiori. Così cercano di usare questa nuova fonte di reddito, e

soprattutto questo network di conoscenze per cercare di cambiare club,

sognando di passare a squadre più blasonate. Anche in questo caso, i

calciatori non troppo giovani né troppo anziani hanno una forte spinta a

trovare fonti per arricchirsi. Un calciatore di Lega Pro guadagna fra i 3. 000

e i 4.000 euro al mese, che non è male se comparato al salario di un operaio,

ma di fronte agli stipendi di serie A è un guadagno relativamente basso.

Alcuni di loro cercano di fare il possibile per farsi pubblicità anche in

questo modo illecito, e qui ritroviamo lo stesso influsso delle preoccupazioni

di carriera.

Quali sono le squadre che tendono a cadere in tentazione?

Sono in genere le squadre in crisi, minacciate da difficoltà finanziarie. Per

loro le scommesse possono essere una fonte di entrate molto importanti. Queste

squadre hanno spesso giocatori che non vengono pagati per diversi mesi. Gli

stessi giocatori sono ricattabili perché il direttore sportivo può far

arrivare il seguente messaggio: se non fate come vi dico, non possiamo pagarvi

lo stipendio. In Italia la situazione economica delle squadre di calcio è

peggiorata. I dati di un recente rapporto di Arel e Pricewaterhouse ci dicono

che il debito delle squadre di A, B e Lega Pro è aumentato di più del 20 per

cento dal 2007 al 2011, passando da 2,2 a 2,7 miliardi. La cosa da notare è

che questi debiti finanziari, di solito con le banche, non vengono contratti a

fronte di investimenti immobiliari (come la costruzione o l’acquisizione di

stadi o strutture sportive) che permetterebbero di generare futuri ricavi. No:

si tratta di finanziamenti della spesa corrente. In questi casi c’è una forte

tendenza alla collusione fra direttore sportivo e dirigenza per trovare dei

modi per fare cassa e pagare stipendi e bollette. Per dare un’idea dell’entità

delle potenziali entrate: il business delle scommesse è di circa 4 miliardi di

euro solo in Italia. E le quote delle scommesse sono indipendenti

dall’importanza della partita, dal numero di spettatori e dal numero di

scommettitori. Ciò vuol dire che si possono scegliere partite minori, in serie

minori, partite che pochi vedono e sfuggono perciò al controllo del pubblico.

Scommettendo su queste partite si possono realizzare guadagni importanti.

Perché le società di calcio vivono in questo stato di perenne indebitamento?

Di solito, chi investe nel pallone, non lo fa per ragioni strettamente

economiche. Non si compra una squadra di calcio per fare soldi. C’è chi riesce

a fare dei buoni risultati e a centrare il pareggio di bilancio, ma le società

di calcio sono quasi tutte in passivo. Ben altri sono i rendimenti attesi:

popolarità e immagine. Per esempio, se non avesse comprato il Chelsea,

probabilmente Abramovic, non essendo inglese, non sarebbe mai diventato così

popolare tra i londinesi. Per non parlare di chi entra nel calcio con finalità

di natura politica. Il problema è che quando i debiti diventano troppo grandi,

non rimarrebbe che portare i libri in tribunale e chiudere le squadre. Invece,

in Italia si permette che sopravvivano: le società di calcio trovano sempre il

modo di ottenere delle proroghe nei pagamenti, degli interventi a sostegno, o

della fiscalità di vantaggio, perché sono molto popolari e i politici (delle

più diverse istituzioni locali o nazionali) sono sensibili alle pressioni dei

tifosi, come dimostra il caso della Lazio.

L’indebitamento delle squadre è un problema grave, soprattutto se a salvarle

interviene il prestatore pubblico. Chi paga di solito?

A fronte di questi debiti ci sono sempre dei creditori, a vari livelli.

Possono essere i fornitori, gli istituti di credito o gli stessi calciatori,

che in certi casi non ricevono lo stipendio. Nelle squadre di terza o quarta

divisione, di solito è il presidente che mette i soldi. Quando lo stato

interviene per salvare le società di calcio, è chiaro che il problema riguarda

in modo diretto la collettività. Tuttavia, nella misura in cui ci sono banche

che investono nelle squadre, c’è già un costo per la collettività, nel senso

che vengono spiazzate delle risorse. E in fasi come quella attuale in cui c’è

una forte stretta creditizia, in cui ci sono imprese che faticano ad accedere

al credito e famiglie che non riescono a farsi prestare soldi, se le banche

concedono fidi alle squadre anziché darli alle famiglie o alle imprese, questo

è sicuramente qualcosa che paghiamo tutti, anche se il debito pubblico non

viene toccato. Più in generale, ogni volta che ci sono imprese che dovrebbero

fallire, ma non vengono fatte fallire, c’è un costo per la collettività, e

adesso non parlo soltanto delle società di calcio.

È possibile porre un argine al crescente indebitamento delle società di

calcio?

Purtroppo in questo caso non c’è uno spread che faccia capire anche ai non

addetti ai lavori che occorre fare qualcosa, ma c’è un problema molto serio, e

occorre intervenire. Prima di tutto, bisognerebbe imporre dei vincoli più

rigidi sui bilanci, probabilmente a livello di Uefa; mentre a livello

nazionale bisognerebbe imporre un risanamento e rinforzare i patrimoni delle

società. In secondo luogo, bisogna ridurre il numero delle squadre, che in

Italia sono davvero troppe. Nei nostri campionati ci sono ufficialmente 132

squadre (di cui 42 in serie A e B), contro le 92 presenti in Inghilterra, le

56 della Germania, le 42 della Spagna e le 40 della Francia. I calciatori

professionisti tesserati sono in Italia circa 3.500. In serie A e B i

tesserati «scendono» a 1.600, una media di 38 giocatori a squadra. È chiaro

che non è possibile tenere in vita o rendere economicamente sostenibile un

simile esercito di calciatori professionisti. Purtroppo, quando si operano

tagli di questo tipo, si rischia sempre di rafforzare la concentrazione di

potere sportivo (e da noi mediatico). Per questo motivo le diverse misure

vanno assunte in contemporanea: bisogna introdurre e potenziare i meccanismi

ridistributivi e al tempo stesso favorire una riduzione nel numero delle

squadre che operano nei vari campionati professionistici.

Non si potrebbe istituire una sorta di Consob del calcio?

Bisognerebbe monitorare i bilanci, controllare che non ci siano strani

movimenti di persone legati a certe partite: per esempio, cessioni o

compravendite anomale di calciatori. In passato, alcuni giocatori coinvolti in

partite sospette hanno poi cambiato squadra, perché a volte si ricorre a

compensazioni in natura, anche per eludere il fisco: per esempio, una squadra

che ha collaborato, viene premiata con la cessione di un proprio giocatore a

prezzi stracciati, o con l’acquisto di un suo giocatore a prezzi gonfiati.

Bisogna controllare queste compravendite, stare molto più attenti ai bilanci

delle squadre, forzare anche le società di Lega Pro a certificare i bilanci,

cosa che oggi non avviene (in Lega Pro si certificano solo stipendi e

versamenti Irpef). Ci sono già restrizioni che impediscono l’iscrizione ai

campionati, e non permettono – con il Fair play fiscale introdotto da Platini,

che entrerà in vigore nel 2014 – di iscrivere una squadra al campionato, se

non riesce ad avere risorse proprie senza avere trasferimenti da parte del

proprietario. Ma ci vorrebbe una vera autorità indipendente: la Covisoc

(Commissione di vigilanza sui conti delle società) non ha molti poteri. Se

diventasse una sorta di Consob del calcio, potrebbe avere un ruolo nel

guardare a fondo i bilanci delle società. Sono invece contrario a creare nuove

agenzie ad hoc. Per quelle società che decidono di quotarsi, esiste già la

Consob che tutti conosciamo. E forse la domanda che bisogna farsi è un’altra:

come è stato possibile permettere a squadre come la Lazio, la Roma e la stessa

Juventus di quotarsi?

Giusto: perché la Consob non lo ha impedito?

In parte la Consob aveva le mani legate. Per quanto possa suonare strano, non

esistono requisiti patrimoniali minimi per entrare in borsa. La Lazio è stata

quotata nel 1997-1998 e la Consob difficilmente poteva impedirglielo. Tuttavia,

la Consob poteva pretendere massima trasparenza dalle aziende, e vigilare sul

loro operato una volta quotate. Col senno di poi sarebbe stato meglio non

quotarle: c’è chi pensa che bisognerebbe proibire a tutte le squadre di calcio

di quotarsi, perché sono troppo rischiose.

Cosa si può fare per evitare che (in questa fase di bilanci ancora fuori

controllo) il calcioscommesse diventi la regola?

Qualcuno suggerisce di cambiare le regole delle scommesse. Allo stato attuale,

non abbiamo un reato perseguibile penalmente, quindi c’è chi propone di

rafforzare le sanzioni. Occorre capire se ciò sia fattibile: bisogna sempre

porsi il problema dell’enforcement, della sua effettiva applicazione. Già oggi,

per esempio, i calciatori non possono scommettere sulle partite della propria

squadra; tuttavia, se un calciatore fa giocare un suo amico o parente, come

facciamo a scoprirlo? Ben altra efficacia si potrebbe avere cambiando le

regole delle scommesse, per rendere la vincita un po’ più difficile. Per ora

si scommette secondo la regola già citata dell’«over 2,5», che è facilmente

manipolabile: fare (o farsi fare) tre gol in una partita non è poi così

difficile. Se cominciamo a far salire a 4 o a 5 il numero dei gol su cui

puntare, forse vincere (e soprattutto manipolare) una scommessa diventa più

difficile. Ma devo dire che su questo sono abbastanza scettico. Anche perché

molte scommesse si svolgono in Asia. Quindi se restringiamo la possibilità di

fare scommesse qui da noi, in Asia continueranno a farle. La verità è che il

nuovo calcioscommesse ha fatto venire al pettine i nodi del nostro calcio; per

scioglierli non basta cambiare gli aspetti marginali, bisogna intervenire sul

sistema nel suo complesso. È chiaro che finché le società dipenderanno quasi

completamente dalle televisioni, finché ci saranno queste concentrazioni di

potere mediatico e queste forti diseguaglianze nel potere economico e sportivo,

finché i patrimoni delle società consisteranno unicamente nel parco giocatori

e finché ci saranno troppe squadre, il rischio di nuovi illeciti sportivi

rimarrà molto alto: le proposte elaborate per cambiare le cose devono puntare

a intervenire in modo organico, riformando il calcio dalle sue fondamenta.

Tornando alla corruzione basata sulla cattura degli arbitri, quali

conclusioni si possono trarre sul calcio italiano dalla vostra analisi dei

fatti di Calciopoli?

Ne indicherei due. In primo luogo, in Italia la competizione calcistica è

falsata dalla preminenza del potere mediatico, che incide sul potere sportivo

ed economico e ne distorce le dinamiche. In secondo luogo, coloro che dovevano

regolare il sistema, vale a dire la terna che selezionava gli arbitri, e gli

stessi arbitri, sono stati sistematicamente catturati da coloro che dovevano

essere regolati. Per cercare di ovviare a questo specifico problema, bisogna

intervenire sugli incentivi delle carriere arbitrali e potenziare

ulteriormente i compensi fissi. Soprattutto, bisogna che sia un’autorità

esterna al mondo del calcio a monitorare l’attività dei direttori di gara e

valutarne le prestazioni. Una delle falle del nostro calcio era (ed è) la

mancanza di adeguati controlli esterni. Gli arbitri coinvolti nei fatti di

Calciopoli ricevevano dalla terna valutazioni molto positive, mentre gli

episodi sospetti che li riguardavano avrebbero dovuto spingere le autorità di

controllo a dare valutazioni molto negative del loro operato. Parlando delle

strutture e delle associazioni che devono vigilare sul rispetto delle regole,

bisognerebbe incentivare (o anche imporre) delle nomine estranee al mondo del

calcio: persone che conoscono questo sport, ma che provengono da altri campi.

Invece, mi sembra che il metodo della cooptazione sistematica induca ancora a

scegliere persone del settore.

Che cosa bisogna fare per evitare che nuove Calciopoli si ripetano in futuro?

È una delle domande che hanno guidato la nostra analisi. Da un punto di vista

normativo, i nostri risultati suggeriscono che per ridurre il rischio di nuove

Calciopoli bisogna monitorare molto attentamente il comportamento degli

arbitri, soprattutto di quelli che attraversano una fase cruciale della loro

carriera. Più in generale, serve maggiore trasparenza in almeno tre ambiti: in

primo luogo, nelle decisioni relative alle assegnazioni di partite agli

arbitri; in secondo luogo, nella promozione di questi ultimi al rango

internazionale; in terzo luogo, nelle valutazioni ufficiali delle prestazioni

degli arbitri. Migliorare il loro sistema di retribuzione può servire a

disincentivare il ricorso ai direttori di gara per manipolare le partite.

Inoltre, l’adozione di uno schema di compensazione che preveda una maggiore

componente fissa può ridurre il potere dei designatori. Diverse federazioni

calcistiche si stanno muovendo in questa direzione, seguendo l’esempio del

Regno Unito. Anche in Italia è stato ampliato il raggio d’azione dei compensi

fissi, ma i salari differiscono ancora in base allo status del singolo

arbitro. Gli arbitri internazionali guadagnano quasi il doppio di quelli che

dirigono solo partite del Campionato.

E intervenire sui criteri di selezione degli arbitri?

Prima gli arbitri erano in buona parte remunerati partita per partita, e ciò

li poneva di fronte ai ricatti di cui sopra. Pagandoli principalmente sulla

base di un salario fisso, si riduce di molto il potere di chi cerca di

alterare gli esiti delle partite ricattandoli. Anche le procedure di selezione,

come abbiamo visto, sono state cambiate. Prima c’erano queste griglie, che di

fatto erano un sistema di lotterie camuffate, che permettevano ai

selezionatori di pilotare l’assegnazione degli arbitri alle partite, mentre

adesso c’è un solo selezionatore che si assume la responsabilità di eventuali

scelte sbagliate. Il designatore unico introduce un metodo in parte arbitrario,

ma è molto più trasparente, perché la persona incaricata è tenuta a spiegare

perché abbia fatto le scelte che ha fatto. Il sistema delle griglie era

pessimo, proprio perché non trasparente. Al limite si potrebbe introdurre un

sistema completamente stocastico, anche se così si rischierebbe di avere degli

arbitri giovani o inesperti assegnati a partite più grandi di loro, generando

la famosa sudditanza psicologica. Si avrebbe un minore rischio di corruzione,

ma più distorsioni a favore della squadra di casa. Alcuni studi hanno

documentato come negli stadi in cui c’è una pista di atletica intorno al campo

da gioco, e quindi c’è più distanza fra il pubblico e l’arbitro, quest’ultimo

tende meno frequentemente a prendere decisioni favorevoli alla squadra di

casa. Simile è il caso delle partite giocate a porte chiuse, senza pubblico,

dove lo home bias tende a sparire quasi del tutto. Detto questo, servono anche

sanzioni più forti nei confronti degli arbitri che si fanno corrompere. In

Germania un arbitro è stato condannato a 4 anni di reclusione, mentre nel caso

di Calciopoli non abbiamo visto niente di simile: gli arbitri coinvolti hanno

avuto soltanto sanzioni sportive. Alcuni di loro sono stati radiati dall’albo;

ma essendo quasi a fine carriera, non ci hanno perso molto.

Forse anche la figura del direttore sportivo andrebbe resa maggiormente

responsabile.

Bisognerebbe introdurre il concetto di responsabilità patrimoniale. Se una

squadra è danneggiata da illeciti del direttore sportivo, la proprietà

dovrebbe poter avere un risarcimento. Invece, gli ex amministratori delle

società coinvolte in Calciopoli, veri responsabili degli atti illeciti (almeno

secondo la giustizia sportiva), se la sono cavata benissimo. Sono usciti dal

sistema calcio, ma non hanno dovuto rispondere economicamente (se non per

cifre irrisorie) del loro comportamento: anzi, dimettendosi dalle loro cariche,

si sono sottratti alla giustizia sportiva. Anche nelle società non si sono

viste iniziative di responsabilità nei confronti degli amministratori. I

processi civili sono procedimenti particolarmente difficili, e non è nemmeno

chiaro se gli atti dei singoli amministratori potrebbero essere considerati

illeciti da un giudice. Inoltre, sembra difficile quantificare il danno

patrimoniale derivante dalla retrocessione o da ogni punto in meno. Infine,

anche se tali iniziative fossero messe in atto, gli amministratori potrebbero

sempre dire che le società sapevano, che erano al corrente delle loro

macchinazioni. Ecco perché dico che bisognerebbe introdurre la responsabilità

patrimoniale. Sarebbe un modo per disallineare gli incentivi della squadra con

quelli della proprietà: se un direttore sportivo è chiamato a rispondere dei

suoi errori, forse starà più attento la prossima volta, anche se magari è la

società che lo spinge a certi comportamenti.

In che modo andrebbe applicato all’operato dei direttori sportivi il concetto

di responsabilità patrimoniale?

Basterebbe pretendere che i contratti di lavoro stipulati tra le singole

società di calcio e gli amministratori contengano apposite penali legate ad

atti di illecito sportivo. In sostanza, il contratto dovrebbe contemplare la

possibilità che la società venga punita dalla giustizia sportiva per fatti

illeciti commessi dagli amministratori. A diverse sanzioni dovrebbero

corrispondere diverse penali. Se un club dovesse essere retrocesso per

comportamenti ascrivibili all’operato degli amministratori, questi ultimi

dovrebbero pagare alla società diversi milioni di euro, senza contenzioso

sulla responsabilità per il danno. Il contratto dovrebbe, in altre parole,

contenere una clausola in cui si stabilisce che un comportamento illecito di

un dirigente – sancito da una decisione definitiva della sola giustizia

sportiva – sarà sanzionato, per esempio, con 1 milione di euro per la

retrocessione, 100.000 euro per ogni punto di penalità, e così via. Sarebbe

un modo per risolvere ex ante il problema della quantificazione dell’illecito.

Ma prevedo già le obiezioni.

E quali sarebbero?

In primo luogo, si può obiettare che il dirigente in questione potrebbe

soltanto aver «concorso» all’illecito: avendo agito insieme ad altri, non

sembra giusto che a pagare sia solo lui. In questo caso la sanzione potrebbe

essere proporzionata al suo grado di coinvolgimento e la Figc potrebbe

prescrivere ai giudici sportivi di indicare chiaramente le «quote» di

responsabilità (per esempio, Moggi 60 per cento, Giraudo 40). La peculiarità

dell’ordinamento sportivo faciliterebbe la diffusione di simili clausole, se

ci fosse un discreto consenso sulla loro utilità: la Figc potrebbe

semplicemente imporle, tramite un’apposita modifica delle Norme Organizzative

Interne Federali (Noif). Seconda obiezione: i dirigenti posti di fronte a

contratti capestro potrebbero rifarsi richiedendo compensi più alti. Rispondo

che il problema esiste. Tuttavia, obbligando le società (anche quelle non

quotate) a rendere noti i compensi dei loro dirigenti, si avrebbe un freno a

questo fenomeno. Dopotutto, una società che paga bene il proprio

amministratore per compensare queste penali confessa che in casa sua gli

illeciti, se non proprio tollerati, non vengono identificati e prevenuti. In

terzo luogo, qualsiasi tipo di responsabilità patrimoniale è impotente di

fronte all’eventuale incapienza del patrimonio del debitore: basterebbe che il

dirigente di turno intestasse tutto a moglie e figli (a meno che siano essi

stessi agenti o dirigenti sportivi) per ridurre la penale. Ma questo è un

limite che si pone di fronte a qualsiasi provvedimento di giustizia civile,

non solo sportiva. Le clausole di cui sopra non sono alternative al possibile

coinvolgimento della giustizia penale. Potremmo introdurre le clausole e, allo

stesso tempo, rendere più incisive le sanzioni per frode sportiva, che già ci

sono. Quarta e ultima obiezione: invece delle clausole, non sarebbe meglio

prescrivere alle società di dotarsi di modelli di organizzazione volti alla

prevenzione delle frodi? La clausola contrattuale non esclude affatto questa

possibilità. Al contrario, incoraggia comportamenti di prevenzione

dell’illecito. Infatti, una volta firmato il contratto, si rompe la collusione

fra società e amministratore nell’avvantaggiarsi dell’illecito. Dopo aver

sottoscritto queste penali, c’è da scommettere che i dirigenti utilizzerebbero

il telefonino con molta più cautela. Morale: con la clausola noi tifosi

continueremo comunque a soffrire; ma almeno, la prossima volta, il conto del

cellulare lo pagheranno gli amministratori.

A chi spetta il compito di attuare queste riforme?

Un po’ alla federazione, un po’ al governo. Ma si tratta di un compito

ingrato e almeno a breve termine impopolare, perché in Italia le squadre di

calcio, oltre a essere too popular to fail, sono istituzioni sacre che nessuno

può toccare, dove prevale il campanilismo per definizione. Bisogna che la

politica si leghi le mani come Ulisse, perché quel che serve non sono minimi

ritocchi, ma riforme e interventi che riducano drasticamente il numero di

squadre obbligando quelle che non sono in grado di presentare un bilancio

serio a chiudere i battenti. Ancora bisognerebbe radiare a vita chi ha

commesso atti illeciti e chi ha dato loro copertura. Forse ci vorrebbe un

governo tecnico anche nel calcio per fare queste cose.

Non bisogna dimenticare che oltre al bene pubblico (il calcio) bisogna

tutelare il pubblico dei tifosi.

Già, e l’attuale governance del calcio non li tiene affatto in

considerazione. Servono figure che rappresentino davvero gli interessi degli

appassionati di calcio. Ci vorrebbe una tessera del «bravo tifoso»: non parlo

della tessera del tifoso introdotta dall’ex ministro Maroni, che si è presto

rivelata una sorta di card dei gruppi organizzati; ma di una tessera per i

singoli tifosi che vanno pacificamente allo stadio (come la fidelity card

proposta dal ministro Cancellieri). Questa tessera dovrebbe permettere ai

supporters di eleggere dei propri rappresentanti nelle strutture di governo

del calcio che devono assicurare il rispetto delle regole sportive. Perché è

vero, come a volte si dice, che gli individui possono sempre votare con i

piedi, in questo caso cessando di andare allo stadio o non guardando più le

partite in televisione, ma è bene che facciano anche sentire la loro voce. Un

recente studio econometrico di Babatunde Buraimo, Giuseppe Migli e Rob Simmons

(dal titolo eloquente Corruption Does Not Pay) fa vedere che dopo Calciopoli

le squadre che erano state coinvolte in episodi di corruzione hanno subito

cospicue perdite di spettatori allo stadio. Purtroppo, la delusione degli

spettatori che cessano di andare allo stadio rischia di passare inosservata,

perché i redditi da stadio occupano una piccola fetta nei fatturati delle

squadre italiane. Se imponessimo alle società di calcio di avere dei bilanci

più trasparenti, spingendole a ridurre la quota dei diritti televisivi, anche

le reazioni degli spettatori alla corruzione servirebbero come disciplining

device: a quel punto le società ne pagherebbero lo scotto. Andando in questa

direzione, avere biglietti più cari sarebbe un prezzo che varrebbe la pena

pagare.

Forse bisognerebbe anche incoraggiarli e sostenerli, i comportamenti virtuosi.

Certo, ci vuole la sanzione sociale per chi viola le regole e l’apprezzamento

diffuso per chi le fa rispettare. La storia di questi anni ci insegna che non

ci sono incentivi a denunciare atti illeciti. Immaginiamo un giocatore di una

squadra di calcio il cui direttore sportivo decide di vendere una certa

partita per migliorare la situazione finanziaria della squadra. Che incentivo

ha il giocatore per rifiutarsi di sottostare alla combine? Il primo passo

dovrebbe essere istituire un premio di reputazione per chi denuncia

comportamenti devianti. Sarebbe compito dei media dare notorietà a chi si

dissocia, e fare in modo che i giocatori corretti abbiano più spazio e siano

messi in buona luce. L’esempio lo ha dato il c. t. della Nazionale, Cesare

Prandelli, convocando Simone Farina, il giocatore del Gubbio che aveva

denunciato un tentativo di combine nella Tim Cup.

Pensa che i media possano fare qualcosa in tal senso?

In questo caso sì. Mentre nel caso del calcioscommesse (le cui pedine non

sono gli arbitri, ma calciatori di seconda e terza divisione) più cresce

l’attenzione mediatica, più è difficile truccare gli incontri passando

inosservati, nel caso di Calciopoli l’attenzione dei media aumentava,

paradossalmente, il rischio di corruzione, perché la pressione mediatica

faceva parte delle minacce esercitate sugli arbitri per indurli a collaborare.

Finché non si trova il modo di sciogliere l’intreccio fra potere mediatico e

potere sportivo, è difficile che i media possano esercitare quella funzione di

watchdog di cui c’è urgente bisogno. Una cosa è certa: la correttezza, la

fairness va valorizzata, bisogna ripristinare le sanzioni sociali per i

comportamenti disonesti. Ricordiamoci che i giovani sognano e si identificano

nei campioni, e questo dà al mondo del calcio una grande responsabilità,

perché la sanzione sociale contro chi viola le regole si plasma anche

(soprattutto nella mente dei giovani) sulla fermezza con cui si risponde agli

illeciti sportivi. In un paese in cui non c’è ancora abbastanza sanzione

sociale contro chi viola le regole e occupa indebitamente posizioni di potere,

dove c’è chi si compra le lauree con soldi pubblici e non si degna neanche di

dimettersi da cariche istituzionali dopo essere stato smascherato, questo è un

fatto importante. Ecco, per una volta (ma forse alla fine dell’intervista me

lo posso permettere) non ho parlato solo di calcio.

Modificato da Ghost Dog

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UN GOVERNO TECNICO NEL PALLONE

di TITO BOERI (lavoce.info 31-05-2012)

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Di chi sono le omissioni?

Giuseppe Fumagalli - BeppeGrilletto - blog.oggi.it - 5 giugno 2012

Non siamo ai livelli di Calciopoli, quando gli illeciti dell’Inter vennero prima occultati sotto una vergognosa cagnara mediatica e poi ignorati quel tanto che basta per far scattare la prescrizione. Non siamo ai livelli di Calciopoli, ma anche lo scandalo scommesse non scherza. E lentamente finisce per scivolare nella farsa. Mammolette come Filippo Carobbio che per vincere una scommessa avrebbero venduto anche la madre, ora che si sono pentiti vengono innalzati a simbolo di etica sportiva. Dal suo scranno di rappresentante dell’accusa, come un consumato giocoliere, il procuratore federale Stefano Palazzi agita bastoni e carote. Radiazioni, penalizzazioni e sospesioni ai reprobi, premi e sconti di pena ai pentiti. Ma siamo sicuri che Palazzi e la Federazione possano ergersi a giudici di questa penosa vicenda? Questa certezza io non ce l’ho. Anzi. Dopo aver recuperato un articolo apparso sulla giornalaccio rosa dello sport, comincio a pensare che la federazione più che accusare dovrebbe pensare a difendersi.

Il 23 dicembre 2010, a firma Francesco Ceniti, appare sulla Gazza un’intervista a Maurizio Ughi, che all’epoca era amministratore delegato di Snai, una delle maggiori concessionarie di scommesse sportive. Ughi parla a 24 ore dalla partita AlbinoLeffe e Piacenza, finita 3-3, con fiumi di puntate sul pareggio con più di tre gol.

Ecco, in sintesi, quel che Ughi disse al giornalista della giornalaccio rosa: «La Federcalcio non può restare a guardare: siamo di fronte a un problema che coinvolge direttamente le istituzioni. Le partite con flussi di puntate anomale sono in aumento. E guarda caso il risultato finale quasi sempre coincide con i nostri sospetti. Ecco perché serve un’ azione preventiva da parte della Figc. Una risposta forte per tutelare la credibilità dell’ intero sistema».

Presidente, la Figc ha aperto un’ indagine su AlbinoLeffe-Piacenza. Ci pare di capire, però, che la ritiene poco utile.

«Fare un’ inchiesta dopo? Semmai ci aspettiamo un’ inchiesta prima. Da anni segnaliamo agli organi preposti, Monopoli di Stato in primis, le partite a rischio proprio per cercare di risolvere il problema».

Ci spieghi.

«Prendiamo l’ ultimo caso, AlbinoLeffe-Piacenza. La Federazione nel momento in cui viene a sapere che su quella gara ci sono state scommesse sospette, dovrebbe attivarsi immediatamente. Convocare dirigenti, calciatori, allenatori e avvertirli di quello che sta accadendo. E mandare il giorno della partita degli ispettori a bordo campo e dentro gli spogliatoi. Insomma, far sentire la presenza delle istituzioni e ricordare che la frode sportiva è anche un reato penale».

Non le sembra un processo alle intenzioni?

«I soldi giocati non sono virtuali. Credo sia doverosa l’ azione preventiva della Figc per tutelare la credibilità del calcio e degli scommettitori onesti».

Tornando alle segnalazioni sulle gare sospette,.

«Ma è un fenomeno in costante aumento e per questo siamo preoccupati. Far finta di nulla è incomprensibile. L’ Uefa lo ha capito. In Italia bisogna fare lo stesso».

Le parole di Ughi mi sembrano abbastanza chiare. E mi sembra altrettanto chiaro il comportamento della Federazione. A fronte di decine di segnalazioni iniziate ben prima del dicembre 2010 («Da anni segnaliamo agli organi preposti, Monopoli di Stato in primis, le partite a rischio»), con centinaia di partite sospese dagli allibratori per flussi anomali di danaro, invece che l’allarme rosso è scattato il protocollo del «pesce in barile». La Figc ha ignorato il problema, non ha messo in atto quei meccanismi di prevenzione richiesti dagli allibratori e il paradosso è che adesso alla vigilia degli Europei, sbacchetta giocatori, allenatori e dirigenti per aver omesso denunce e informative. E cosa avrebbe fatto la Federazione in presenza di una denuncia? Questa intervista apparsa sulla giornalaccio rosa, non sul bollettino della mia parrocchia, costituiva già di per sé una clamorosa denuncia, no? Si può sapere cosa ha fatto la Figc dopo le parole di Ughi? Si può sapere cosa volevano di più i signori della Federazione per alzare le loro auguste chiappe e andare sui campi in odore di combine a vedere cosa capitava? Volevano le ricevute delle scommesse? Volevano i video di moglie e fidanzate dei giocatori in fila alla ricevitoria con i pacchi di euro da giocare e poi nelle gioiellerie a comprarsi solitari da tre o quattro carati? Comoda la vita. E vista la prontezza di reazione della Federazione, perché chi certe cose le sapeva avrebbe dovuto denunciarle? Per passare come un visionario e dover poi spiegare il perché di tanto zelo agli emissari di zingari e farabutti vari che aspettavano te sotto casa e i tuoi figli fuori da scuola? Questa è marmaglia della peggior specie e chi le ha spalancato i cancelli degli stadi, le ha permesso di scorazzare impunita sul nostro calcio? Ma Stefano Palazzi, quando parla delle omissioni degli altri, non prova un filo di imbarazzo?

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Calciopoli e il modello 231

informazione.it - 05-05-2012

È unanimemente avvertita una forte esigenza di ritrovare l’etica e l’integrità che devono sempre contraddistinguere il mondo dell’agonismo. Allo scopo di riaffermare i principi di lealtà, correttezza e probità a cui l’intero sistema calcistico è tradizionalmente ispirato e di riacquistare la fiducia e la stima del pubblico e dei sostenitori.

Milano, 04/06/2012 (informazione.it - comunicati stampa) Note inchieste giudiziarie e tristi notizie di cronaca hanno recentemente sconvolto il mondo del calcio.

Le vicende oggetto del procedimento “Calciopoli” e dei vari filoni giudiziari sul calcio scommesse, la morte sul campo di giovani atleti, il sempre più frequente verificarsi di illeciti sportivi rischiano di minare seriamente la credibilità del sistema federale e delle società sportive che in esso operano e di provocare la disaffezione dei tifosi verso questo magnifico sport.

È unanimemente avvertita una forte esigenza di ritrovare l’etica e l’integrità che devono sempre contraddistinguere il mondo dell’agonismo.

Allo scopo di riaffermare i principi di lealtà, correttezza e probità a cui l’intero sistema calcistico è tradizionalmente ispirato e di riacquistare la fiducia e la stima del pubblico e dei sostenitori, la FIGC, le Leghe ed alcune società sportive si stanno attivamente adoperando per prevenire la commissione da parte di tesserati e di altri soggetti a loro collegati di illeciti penali e sportivi, tramite l’adozione Codici Etici e di Modelli di organizzazione, gestione e controllo.

Il 27 aprile scorso il Consiglio federale ha approvato le linee guida per la redazione di un proprio Modello organizzativo ai sensi del D.lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle società e degli enti, che dovrebbe entrare in vigore a partire dal 1 Luglio 2012.

Solo pochi giorni prima, il 20 aprile, l’Assemblea della Lega di Serie A ha deliberato di adottare un Codice Etico ed un Modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del medesimo decreto e di prevedere quale fondamentale requisito per l’iscrizione al campionato di serie A, a partire dalla stagione sportiva 2013/14, l’adozione di un Modello organizzativo ex D.lgs. 231/2001 da parte delle società sportive militanti in tale categoria.

Come chiarito dal Presidente Beretta, occorrerà che tutte le società iscritte al campionato siano dotate di un Modello volto sia alla prevenzione dei reati di cui all’elenco contenuto nel D.lgs. 231/2001 (quali ad esempio i reati contro la pubblica amministrazione, i reati commessi in violazione delle norme sulla sicurezza sul lavoro, i reati di associazione per delinquere, ecc.), che possono dar luogo alla responsabilità amministrativa della società in caso di illecito penale commesso da soggetto ad essa legato, sia alla prevenzione della commissione degli illeciti sportivi che, a norma del Codice di Giustizia Sportiva, possono dar luogo alla responsabilità oggettiva della società sportiva per il fatto del proprio tesserato o di altro soggetto ad essa collegato.

Lo scopo del provvedimento della Lega è quello di far sì che le società militanti nella massima serie, i loro tesserati e tutti gli altri soggetti ad esse collegati operino secondo un sistema di protocolli e procedure volto a minimizzare il rischio di illeciti, in modo tale da garantire il rispetto della legalità e della correttezza sia in ambito sportivo in generale che nello svolgimento del campionato in particolare.

Operàri s.r.l., da sempre attiva nella consulenza in materia di responsabilità amministrativa delle società e degli enti ai sensi del D.lgs. 231/2001, con all’attivo numerosissime implementazioni di Codici Etici e Modelli di organizzazione, gestione e controllo per società operanti in svariati settori di attività, è già stata nominata consulente da società sportive di primaria importanza e di grande fama.

Il team di lavoro, fortemente specializzato in materia, sta già predisponendo tutti gli strumenti necessari per l’implementazione di sistemi di prevenzione specifici per il mondo del calcio e dello sport in generale, in modo tale da garantire alle società sportive Modelli organizzativi su misura, che, conformemente a quanto previsto dalle linee guida di settore, affianchino alla tradizionale struttura sui reati di cui al D.lgs. 231/2001 un’apposita parte speciale volta a garantire l’efficace prevenzione degli illeciti sportivi.

Per maggiori informazioni: www.operari.it

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Presidenza Lega

spunta Paolillo

Forte del credito raccolto a livello europeo, l’ex amministratore

delegato dell’Inter potrebbe prendere il posto di Beretta

di STEFANO PASQUINO (TUTTOSPORT 05-06-2012)

MILANO. Ernesto Paolillo presidente della Lega di serie A. Per ora si tratta

di una semplice suggestione, in un futuro neanche troppo lontano l’idea

potrebbe trasformarsi in un’ipotesi di lavoro assolutamente concreta. Perché

Maurizio Beretta , l’attuale presidente della Confindustria del calcio, è da

tempo dimissionario nonché osteggiato da una serie di club che fanno capo

alla cordata Cellino - Zamparini (che ne avevano chiesto pubblicamente l’uscita

di scena) e perché l’ormai ex amministratore delegato dell’Inter non ha

intenzione di disperdere tutto il patrimonio maturato in un’onorata carriera

anche nelle segrete stanze di via Rosellini dove per anni ha rappresentato

gli interessi di Moratti . Il nome di Paolillo, tra l’altro, sarebbe alquanto

spendibile anche a livello europeo considerato che l’ex direttore generale

della Banca Popolare di Milano è stato pure “papà” del financial fair play,

avendone scritto le regole su input di Michel Platini insieme a Jean-Michel

Aulas , presidente del Lione.

MODELLO PREMIER La Lega che verrà, dovrà giocoforza sposare in toto

il modello della Premier League, ovvero diventare una macchina in grado

di produrre ricchezza e valorizzare un prodotto che è stato svilito dagli

scandali degli ultimi anni, ultimo quello legato al calcioscommesse. E

Paolillo, forte della sua esperienza e di una personalità che può garantire

piena imparzialità nonostante i trascorsi nerazzurri, potrebbe essere l’uomo

giusto per imprimere una forte spinta manageriale alla Confindustria del

pallone. L’ad, seppur dimissionario, dell’Inter, in queste settimane seguirà

tutte le finali scudetto in cui saranno impegnate le varie squadre del settore

giovanile (dopo la Primavera, toccherà ad Allievi e Giovanissimi Nazionali).

Quindi, una volta chiusa la stagione, si metterà sul mercato in attesa di

proposte. E chissà che la telefonata giusta non arrivi proprio da via

Rosellini.

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BARI IL PROCURATORE

Laudati «Va cambiato il regolamento»

di GIUSEPPE CALVI & MAURIZIO GALDI (GaSport 05-06-2012)

Toh, un ghostwriter di Galdi!

E' necessario cambiare le norme, per sollecitare la collaborazione di società

e calciatori. Sin qui lo avevano chiesto, per i loro interessi, soprattutto i

club. Ora il messaggio è lanciato anche da Antonio Laudati, procuratore capo

di Bari, in un'intervista alla rubrica Rai «Mattina Sport». «Vanno cambiate le

norme dell'ordinamento sportivo su responsabilità oggettiva e omessa denuncia.

Solo così può aumentare la collaborazione di società e calciatori,

indispensabile per arginare il fenomeno delle scommesse», è la proposta di

Laudati, per abbattere l'invalicabile muro di omertà. «Oggi club e giocatori

non hanno interesse ad aiutare gli organi di giustizia, perché, nel caso si

scopra qualcosa, rischiano pesanti sanzioni per via della responsabilità

oggettiva — continua il procuratore capo —. Un paradosso. Club che hanno

già avuto grossi danni, collaborando con la giustizia ordinaria rischiano

ulteriori penalizzazioni. Se vogliamo aiutare i magistrati ordinari, non è

possibile che chi collabora rischi poi sanzioni di natura sportiva per omessa

denuncia». Il procuratore capo accende il faro sul riciclaggio, emerso proprio

dall'inchiesta di Bari: «La criminalità organizzata non si accontenta di

ripulire il denaro sporco e vuole guadagnare. Ci sono Paesi dove è possibile

scommettere in ogni modo e così vengono utilizzati bookmaker stranieri. Tra

l'altro col traffico di stupefacenti si rischiano fino a 30 anni di carcere,

con la frode sportiva pochi mesi o una multa». Laudati sottolinea il

«tradimento». Intanto il Bari ha già incontrato la Procura federale: il club

di Matarrese avrebbe manifestato l'intenzione di richiedere il patteggiamento.

La Procura federale ha fatto le sue valutazioni sui documenti forniti da

Laudati e sta cominciando a programmare le prime audizioni. Sarebbero 44 le

persone da interrogare in preparazione della seconda «tranche» di deferimenti,

tra metà e fine luglio. L'obiettivo è concludere i procedimenti che riguardano

le società di A prima dei sorteggi.

-------

Carraro: «Non è bello

impugnare sentenze»

Abete: «Mai detto»

Botta e risposta tra il membro Cio e il presidente Figc

che annuncia: «Proporrò la conferma di Palazzi»

di MAURIZIO GALDI & TIZIANA BOTTAZZO (GaSport 05-06-2012)

Toh, un altro ghostwriter di Galdi!

Ore 14: ci va giù duro Franco Carraro, ex presidente della Federcalcio: «Non

conosco tutti i regolamenti e i relativi cavilli ma non penso sia bello che il

presidente federale possa impugnare le sentenze. Se non gli piacciono, casomai

le norme le cambia. Inoltre, far trasparire divergenze tra organismi politici

e giudiziari di una federazione all'inizio di procedimenti che sono tutt'altro

che brevi, non mi sembra un fatto positivo». Sceglie Radiorai e la rubrica «La

Politica nel Pallone» di GrParlamento per dire la sua su Scommessopoli e

dintorni, e quello che riserva a Giancarlo Abete è tutt'altro che un assist.

Ore 17 Messaggio ricevuto «In termini concettuali nessuno ha mai detto che si

sarebbe fatto ricorso», ha dichiarato il presidente della Figc Giancarlo Abete

precisando: «L'impugnazione è un istituto operante stabilito per statuto nel

2007, non è una novità, io personalmente l'ho effettuato 14 volte. Serve per

chiedere ad un organismo superiore di fare ulteriori considerazioni. Ritengo

però che non si debba invadere aree di competenza degli organi di giustizia

sportiva. Una cosa è che l'istituto di impugnazione esista, altro che sia

stata espressione di una mia volontà».

La gaffe Eppure venerdì qualcuno avrà pure detto all'Ansa: «Potrebbero

tornare in discussione le sanzioni decise nell'ambito del processo sportivo in

corso a Roma per le scommesse illecite. Alla luce del dispositivo e valutate

le motivazioni — si apprende in ambienti Figc — su singoli casi potrebbe

scattare il potere di impugnazione in capo al presidente federale». Abete,

probabilmente no, ma sicuramente l'Ansa non avrebbe riportato voci di

corridoio non «autorevoli» e che ci fosse qualcosa di strano emergeva anche

dall'imbarazzo con il quale lo stesso presidente federale si apprestava,

nell'intervallo di Italia-Russia, a manifestare la sua piena fiducia negli

organi di giustizia federale. Fino ad annunciare ieri: «È previsto un bando

per il rinnovo quadriennale, proporrò i loro nomi in sede di consiglio

federale secondo una linea di continuità».

Chi si appellerà? Alla fine qualcuno farà ricorso contro i patteggiamenti

di giovedì. In prima linea c'è la Nocerina che già ieri ha presentato la sua

richiesta. Ma alla luce di quanto emerge dall'interrogatorio di Joelson

davanti al Gip Guido Salvini (ne leggete a parte) è ipotizzabile che sia,

invece, proprio la Procura federale a chiedere la «revocazione» del

provvedimento per le nuove risultanze investigative: al Grosseto potrebbe

essere contestata una responsabilità diretta. Questa sicuramente non

patteggiabile. Sicuramente nasceranno ulteriori problemi: è applicabile o no

la revocazione al patteggiamento?

Finalino Carraro Extra-tema su stelle e stelline: «Blatter ha detto la

verità. Gli scudetti della Juventus sono 28. Punto e basta. Se chi fa parte

del sistema calcistico mette continuamente in discussione le sentenze della

giustizia sportiva, dimenticando che tra l'altro nel 2006 ci fu un

patteggiamento, si finisce col mettere in discussione tutto. Ad Agnelli e

Moratti dico "non parliamone più e guardiamo avanti"».

-------

Tutti all'attacco

di Gervasoni

«E' un bugiardo»

Gli avvocati si scagliano contro il «pentito»

Il Novara: «Ci siamo persino autodenunciati»

di ROBERTO PELUCCHI (GaSport 05-06-2012)

Più che a un processo sportivo sembra di stare sul cantiere di una demolizione

di palazzi, con la p minuscola e maiuscola. Gli avvocati stanno provando, uno

dopo l'altro, a sbriciolare la credibilità di Gervasoni e, di conseguenza, a

scalfire il teorema accusatorio messo insieme dal procuratore federale.

Ma quale pentito Chi ha attaccato a testa bassa, sputando un rospo rimasto

in gola per un anno, è stato Eduardo Chiacchio, che la scorsa estate difendeva

Micolucci, grande accusatore del difensore: «Gervasoni non è un vero pentito,

di quelli limpidi, seri, che parlano spontaneamente. Io non ho dimenticato il

lungo intervento del suo avvocato, tutto mirato a calunniare Micolucci.

Gervasoni non disse una parola, ha cominciato a confessare dopo l'arresto».

Anche gli avvocati dei giocatori del Novara coinvolti (Ventola, Shala, Fontana)

hanno impostato le loro arringhe facendo emergere le contraddizioni del

«Gerva». «E' l'unico che parla di Ventola per Chievo-Novara di Coppa Italia —

ha detto Mariella Micheletti —. Prima "presume" ci sia il suo coinvolgimento,

poi ha la certezza e ottiene i domiciliari. Dice che Ventola ha incontrato

Ilievski, ma poi i soldi chissà perché li prende Shala, e che il Novara è

stato nel solito albergo, mentre ci è stato soltanto quella volta. Dove è

l'attendibilità "intrinseca" di un soggetto che in tre interrogatori ricorda

ogni volta qualcosa di nuovo?». Gianluca Guerrasio, difensore di Shala, si è

spinto oltre. «Ricordo di avere appreso — racconta Gervasoni al gip Salvini —

che gli slavi si incontrarono con Ventola nell'albergo e consegnarono a un

albanese che giocava nel Novara (ora che me ne fate il nome confermo, dovrebbe

trattarsi dell'albanese Shala) la somma di circa 150 mila euro che gli stessi

divisero anche con altri giocatori, tra i quali il portiere Fontana». «Peccato

— ha detto Guerrasio — che Shala non sia albanese. E' di origine kosovara e di

nazionalità svizzera. Gervasoni non ricordava il nome, gli è stato suggerito

con una domanda suggestiva, anzi, nociva». E ha concluso: «Non facciamo di

Shala un altro caso Tortora».

Noi denunciamo C'è stato anche l'intervento dell'a.d. del Novara, Massimo

De Salvo, che non ha ridicolizzato come altri la responsabilità oggettiva

(«Le regole ci sono, si applicano e si accettano»), ma ha spiegato

alla Disciplinare come la società, dal 2006 in avanti, abbia sempre alzato

il livello di attenzione, anche istituendo un codice antifrode: «Ci siamo

affidati a Federbet per monitorare ogni partita del Novara. Su dodici

controllate nel girone di ritorno, ce n'è stata una anomala (Napoli-Novara,

ndr) e l'abbiamo subito denunciata alla Procura federale». Proprio questa

attività preventiva è stata utilizzata dall'avvocato Cesare Di Cintio per far

valere le ragioni del Novara: «Una società che vuole un calcio etico e

pulito». Pesante l'attacco alla Procura federale da parte di Flavia Tortorella,

legale di Nicco (ex Pescara): «Questo è un posto nel quale dovrebbe essere

insegnata la lealtà. Bene, io ricordo la pacca sulla spalla che un procuratore

diede a questo ragazzino, dicendogli di non preoccuparsi che non avrebbe

rischiato neanche l'omessa denuncia. Lui ha detto tutta la verità e voi

l'avete ripagato con la richiesta di tre anni di squalifica».

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Parma, lo strano caso

della ricevitoria “fortunata”

Troppe vincite, i pm di Torino ipotizzano la frode sportiva

di NICCOLO’ ZANCAN (LA STAMPA 05-06-2012)

Una ricevitoria particolarmente fortunata, quella gestita a Parma da

Massimo Alfieri. La percentuale di vincita, negli ultimi quattordici mesi, si

attesta attorno all’83 per cento. Fare il calcolo è semplice: tutti i soldi

scommessi meno tutti i soldi incassati. Poche ricevitorie italiane hanno risultati

così lusinghieri. Ed è proprio questa «anomalia» il vero succo dell’indagine,

rimasta segreta fino alla scorsa settimana, coordinata dalla procura di Torino.

Parte da 14 assegni firmati da Gianluigi Buffon e scopre Alfieri. Si

appassiona. Studia i suoi successi professionali. Segue i soldi. Controlla

i movimenti in entrata e in uscita. E infine, arriva a ipotizzare il reato di

frode sportiva. Lo stesso giro di sempre, per intenderci.

Quello che richiama alla mente la ricevitoria di Massimo Erodiani a Pescara,

uno dei protagonisti della prima fase di «scommessopoli». Per la Guardia di

Finanza anche a Parma, in via Garibaldi, potrebbe esserci una specie di

collettore di denaro per giocate sporche. E già si intravedono, oltre al muro

alzato dagli investigatori, i nomi di alcuni clienti affezionati. Anche

calciatori, parrebbe. Insomma, l’ennesimo bubbone.

Massimo Alfieri è indagato, Gianluigi Buffon non lo era e non lo è. E forse

davvero non c’entra, se non assai marginalmente, in tutta questa vicenda.

Perché i suoi assegni fanno riferimento a un periodo di nove mesi,

gennaio-settembre 2010. Mentre nel decreto di perquisizione notificato

ad Alfieri si tiene conto di un periodo di tre anni di scommesse. «E poi - dice

l’avvocato Marco Corini, che assiste il portiere della Juventus - mi sembra

evidente che usare degli assegni sia il modo più sicuro per farsi tracciare.

Gigi Buffon non c’entra nulla con questa storia. Si è sempre mosso alla luce

del sole. Ha dato dei soldi a un amico per acquisti privati. Tutto il resto

non lo riguarda». Nel decreto di perquisizione Buffon non è citato. Neppure

sono citate delle partite sospette. È difficile sapere di più.

A proposito della riservatezza dell’inchiesta: ieri, nei corridoi della

procura di Torino, qualcuno era ancora pronto a giurare che la perquisizione

di venerdì fosse stata disposta «d’iniziativa» dalla guardia di finanza di

Parma. Come per dire: qualcosa di lontano e imperscrutabile. E invece, il

provvedimento è firmato dal pm di Torino Cesare Parodi e controfirmato dal

procuratore capo Giancarlo Caselli. L’impressione è che stessero lavorando

da mesi sotto traccia, su un giro largo. E finora, inedito. Poi, quella richiesta

di informazioni alla procura di Cremona, con un’informativa allegata, ha di

fatto pubblicizzato il fascicolo. Perché tutti gli atti, dopo gli ultimi

arresti, sono stati messi a disposizione delle parti. Lì si è capito che anche

Torino ha un’indagine sul calcioscommesse. Il fatto è confermato dalle scelte

difensive di Massimo Alfieri, che appena tornato da una vacanza a New York,

si è rivolto a Gilberto Lozzi, noto penalista e professore universitario

torinese. «Ci incontreremo presto e deciderò se accettare l’incarico», è

l’unica frase che si può stanare dalla sua proverbiale riservatezza.

A Torino si cerca di minimizzare. Ma il provvedimento di venerdì non sembra

«poca cosa». Forse erano in corso «attività tecniche», come gli investigatori

chiamano le intercettazioni telefoniche. E così, proprio mentre il Monopolio

di Stato si affrettava a dichiarare che la ricevitoria di Parma «ha un flusso

di scommesse molto elevato ma costante», si è reso necessario un blitz

per congelare la situazione contabile. Sequestrati scontrini, ricevute

di pagamento, tutta la documentazione. Anche la casa di Alfieri è stata

perquisita. Si ricomincia, quindi. Un’altra volta. E chissà se pensava a

questo, il procuratore di Cremona Roberto Di Martino, quando diceva:

«Lavorare sul calcioscommesse, è un po’ come svuotare il mare con il

cucchiaino».

___

GaSport 05-06-2012

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Il pallone di Luciano

Azzurri ai minimi, scandali al top:

eppure nessuno molla la poltrona

di LUCIANO MOGGI (Libero 05-06-2012)

Tanto tuonò che piovve. La situazione del calcio è caotica, da ogni parte

si odono squilli di tromba, è addirittura un susseguirsi di squilli, trombe e

tanti, troppi tromboni. Peggio di così il calcio italiano non poteva ridursi e

non c’è sfaccettatura che ne esca indenne. Una torre di Babele, ognuno

esce fuori dal suo binario ed accentua la confusione. Che ci fa Prandelli

a ipotizzare uno scenario di ritiro dall’Europeo invadendo un campo che non

gli appartiene? E Buffon? Parla di tutto fuorchè di calcio (di motivi ne aveva,

ma erano motivi che su indirizzi e metodi di indagine dovevano balzargli

agli occhi già sei anni fa...).Forse starà meditando che era meglio stare

zitto, vista la risposta ad orologeria subìta...

Torre di Babele dove chi dovrebbe fare chiarezza si nasconde dietro le

cortine dell’ovvio, preso com’è a difendere la propria poltrona. Un comandante

dovrebbe sapere quando è il momento di passare la mano, ma da questo

orecchio Abete non ci sente. Per lui «addà passà ‘a nuttata», dubito però

che gli basti: la Nazionale è al minimo della considerazione. Chi pensa ad

un’operazione salvifica, come quella del 2006, in ragione di una concomitanza

di eventi esterni (peraltro assai diversi), sbaglia di molto. Quella che

trionfò ai Mondiali era una Nazionale forte, basata su una Juve vincente,

questa è una piccola Italia. Non si arriva per caso a vincere, ed ancor meno

per caso si scivola sul fondo nella scala dei valori. Del resto questo è il

risultato di una gestione che ha seminato incapacità ed errori con una

ripetitività impressionante: c’era Abete nell’eliminazione dell’Italia nei

quarti dell’Europeo ’08, c’era nel fallimento ai Mondiali 2010 e della

Confederations Cup che li aveva preceduti, c’era pure nella mancata

qualificazione dell’Under 21 che ora ci toglie il palcoscenico delle Olimpiadi,

c’era Abete anche nella bocciatura della candidatura italiana all’Europeo.

E c’è Abete anche nella conversione di Palazzi da Mr. Hyde a Dr. Jekill

(risibili pene a fronte di prove e confessioni nella Scommessopoli di oggi).

Un colpo di spugna? Molto di peggio: è la legalizzazione delle scommesse,

pochi mesi per cavarsela, poi di nuovo in campo.

La disponibilità a collaborare e a patteggiare si confonde con la licenza di

scommettere e truccare, perché qui si tratta di gare truccate a danno anche

di terzi. Il confronto con il 2006 è devastante: allora l’ergastolo a fronte di

chiacchiere, di reati inesistenti e anche inventati, così stabilito non solo

dalla Corte Federale di Sandulli, ma anche dal giudizio penale di primo grado;

ora qualche punticino di penalizzazione e qualche mese da scontare. Uno

scandalo nello scandalo: Palazzi e Abete dovrebbero spiegarci perché.

Sicuramente il nostro presidente non dormirà sonni tranquilli, non può

riuscirci chi ha voluto comminare l’ergastolo sportivo senza che nessuna

accusa sia mai stata provata, ma anzi addirittura esclusa, mentre si accinge

ora ad avallare questa conversione ad «U» dei tribunali sportivi. Molto più

che due pesi e due misure, peraltro già utilizzato da Abete a proposito di

radiazioni, cancellata anche a chi aveva il capo di accusa di una valigetta

piena di soldi. Già, i soldi, è la materia che nel 2006 non c’era e che adesso

è connaturata al calcioscommesse. Strano che Petrucci stia zitto, forse è

frenato dall’Europeo (ci sono anche le Olimpiadi) o dal mandato in scadenza.

Il capo dello sport italiano dovrebbe sentirsi in dovere di intervenire, anche

per non restare invischiato nella colata di fango caduta sul calcio. Se si è

arrivati a questo punto, è perché c’è chi si è adagiato, combattendo a 5 anni

di distanza ancora «la battaglia» (?) di Calciopoli, così non accorgendosi che

tutto il resto crollava. Se n’è accorto anche Mennea, «servono facce nuove»,

dice, «ci sono dirigenti che sono lì da 30/40 anni».

A Moratti, che in certe fantasiose elucubrazioni pro domo sua sosteneva

che Calciopoli era stata più grave, ricordo quel che ha detto Luca Pancalli,

già commissario della Figc e attuale vicepresidente del Coni: «Rispetto

a Calciopoli è uno scandalo molto più grande, è il malessere di un intero

sistema, bisogna intervenire in maniera forte». E quale se non un

commissariamento, oltre a pene adeguate?

Il procuratore aggiunto antimafia Antonio Ingroia ha liberato i veli della

sua fede calcistica, sentenziando di un’Inter «campione di legalità». Trascuro

la professione di tifoso, già molto inopportuna, ma chiedo al magistrato se ha

mai saputo dei documenti taroccati di Recoba e della relazione di Palazzi con

la conclusione di un’Inter colpevole di illecito sportivo e quindi di

possibile retrocessione, pratica non andata avanti per prescrizione. Ingroia,

bravissimo nel suo campo, non vada oltre per non incorrere in falle.

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Il doping invisibile

Gli atleti geneticamente modificati sono ancora solo un'ipotesi. E

se invece i primi "esemplari" stessero già tirando calci agli Europei

o allenandosi per le Olimpiadi? Mauro Giacca sta studiando come beccarli

di DANIELA CIPOLLONE (WIRED | GIUGNO 2012)

QUESTO MESE, TRA POLONIA E UCRAINA, si disputano gli Europei di calcio,

e le Olimpiadi a Londra sono dietro l'angolo. Mentre la maggior parte degli

italiani si abbandonerà a maratone non-stop sul divano, con il telecomando

in una mano e la birra fresca nell'altra, Mauro Giacca sta in allerta. Ogni tiro

in porta memorabile, ogni record che sposta un po' più in alto l'asticella

del limite umano, oltre a dargli motivo di esultare, gli insinua sempre quel

dubbio che, nelle competizioni sportive, il peggior scenario immaginabile

possa essere già realtà. Doping genetico: questo lo spettro che s'aggira

per i campi di pallone, le piste di atletica, i circuiti di ciclismo, le piscine e

le palestre di tutto il mondo. È l'ultima frontiera del baro: manipolare

direttamente il dna per potenziare le prestazioni fisiche, aumentare la

resistenza, annullare la fatica. In tre parole: creare super atleti.

Giacca è stato ingaggiato apposta per impedirlo. «Un giorno, mentre ero

in laboratorio, ho ricevuto una telefonata», racconta il direttore dell'Icgeb

(International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology), polo

d'eccellenza per l'ingegneria genetica dell'Area Science Park di Trieste.

«All'altro capo della cornetta ha risposto un funzionario della Wada, la

World Anti-Doping Agency, l'organismo canadese che vigila sulle pratiche

illecite nello sport». Da scienziato, nonché ex atleta («Quand'ero più

giovane, giocavo nella serie B di pallavolo»), Giacca ha intuito subito il

motivo della chiamata. Davanti a sé, i topolini-Hulk, geneticamente

modificati, scorrazzavano instancabili nelle gabbie, mostrando una

capacità di correre, nuotare, portare pesi, tre volte superiore rispetto

alle cavie normali, visibilmente spompate dagli sforzi.

«Da anni, presso il laboratorio di medicina molecolare dell'Icgeb studiamo

la terapia genica nei modelli animali come possibile cura contro l'infarto.

Abbiamo visto che, trasferendo specifiche sequenze di dna nelle cellule, si

può stimolare la produzione di sostanze capaci di rafforzare clamorosamente

il muscolo cardiaco», spiega Giacca. Le applicazioni terapeutiche sono

ancora lontane e non mancano rischi di effetti collaterali, anche gravi.

Ma è evidente che la stessa tecnica, se usata impropriamente, potrebbe

migliorare l'efficienza di qualunque muscolo del corpo. «La Wada è

preoccupata», ammette Giacca. «Per questo ci ha chiesto di sviluppare

test innovativi per smascherare chi, nel prossimo futuro, tentasse il ricorso

al doping genetico».

Il progetto, capitanato dall'Icgeb in collaborazione con le università di

Milano, Firenze e il Cnr di Pisa, è stato avviato nel 2008, con un primo

finanziamento triennale da 420 mila dollari, seguito da un altro di 500 mila

dollari, da qui al 2015. Ma la strada è lunga. E una cosa è certa: se ai

prossimi campionati europei scenderà in campo un calciatore geneticamente

modificato, magari grazie alla connivenza di qualche medico spregiudicato

dei paesi dell'Est (difficile non ricordare il "doping di stato" dei paesi dell'ex

blocco sovietico), non lo sapremo mai. Perché un test adeguato ancora

non esiste e quel giocatore avrebbe la garanzia di farla franca.

«Non credo che il doping genetico sia già entrato negli ambienti sportivi,

è una tecnica sofisticata», dice l'esperto. Non si tratta di ingoiare una

pillola o farsi un'emotrasfusione (quella, per capirci, che ha bruciato la

carriera del ciclista Riccardo Riccò, recentemente squalificato per 12 anni):

«Si sfruttano virus innocui, detti virus adeno-associati (Aav ), che vengono

privati del loro materiale genetico ed equipaggiati con il gene da trasferire.

Dopo di che si somministra il preparato con iniezioni intramuscolari. Una

volta in circolo, i virus fanno semplicemente il loro mestiere: infettano le

cellule, innestando nel nucleo la copia extra del gene e costringendole a

eseguire gli ordini».

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SI CONOSCONO CIRCA 200 GENI che potrebbero migliorare il rendimento

atletico. Uno dei più efficaci è l'Igf-1: stimola il rilascio di un ormone (un

fattore di crescita simile all'insulina) che fa lievitare la massa magra. Senza

nemmeno bisogno di massacranti allenamenti. È quello che impiega Giacca

sui topolini infartuati, ovviamente con tutt'altri fini. Alla fine degli anni '90,

il primo laboratorio al mondo che ha osservato questo effetto sui topi mutanti,

mentre conduceva esperimenti contro la distrofia muscolare, è stato subissato

di telefonate da parte di atleti (tutti sani come pesci) che supplicavano di

fare da cavie. Un allenatore del college è arrivato a offrire in dote la sua

intera squadra di calcio. «Cercavano di persuaderci in tutti i modi, dicendo

che avrebbero contribuito all'avanzamento della ricerca scientifica e che

sarebbero stati disposti a pagare qualunque somma», ha rivelato Lee

Sweeney, professore di fisiologia dell'università della Pennsylvania, a

Philadelphia.

UN RISULTATO SIMILE ALL'IGF-1 si può ottenere spegnendo il gene

della miostatina, proteina il cui compito fisiologico è frenare la proliferazione

delle cellule muscolari. «Se si inibisce la miostatina, le fibre crescono a

dismisura», spiega Giacca. È successo a un bambino in Germania, figlio di

una centometrista. Un piccolo Ercole, con il doppio dei muscoli rispetto ai

suoi coetanei. Solo che lui c'è nato, con questa anomalia congenita, non se

l'è mica andata a cercare. A cinque anni sollevava tre chili con ciascuna delle

due braccia tese. Probabilmente è il baby-culturista più invidiato della

storia del doping (per quanto ci sia ben poco da invidiare: secondo i medici

il suo cuore, crescendo, potrebbe collassare).

Un'altra strategia per imbrogliare è stimolare la produzione dei globuli

rossi, le cellule del sangue che trasportano ossigeno ai tessuti: più

carburante arriva ai muscoli, più la resistenza aumenta. Oggi si

ricorre all'eritropoietina (Epo). Domani basterà iniettare il gene dell'Epo.

«La differenza è che nel primo caso la sostanza sintetica è rilevabile attraverso

gli esami del sangue o delle urine, mentre nel secondo no: l'eritropoietina, o

qualunque altro composto dopante, sarebbe prodotto dall'organismo stesso

e quindi indistinguibile dalla controparte naturale», prosegue Giacca.

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ECCO COME FUNZIONA IL TRUCCO: anziché prendere un farmaco, si

modifica il codice genetico perché il corpo possa produrlo da sé. E il gioco,

sporco, è fatto. Il doping c'è, ma non si vede. «Solo una biopsia muscolare

potrebbe rilevare l'eventuale alterazione del dna. Ma è impensabile sottoporre

gli atleti a un esame così invasivo per controlli di routine». L'Agenzia mondiale

antidoping sta facendo il possibile per cogliere in flagrante i truffatori.

Intanto, già dal 2003 ha inserito ufficialmente il doping genetico nella lista

nera delle sostanze proibite, in compagnia di anabolizzanti, amfetamine,

ormoni, stimolanti, trasfusioni (per avere l'elenco sotto mano c'è persino

un'app). E sono in corso decine di progetti che danno la caccia al doping

genetico: frammenti di virus, porzioni di proteine, micro sequenze di dna o

rna, qualsiasi cosa possa segnalare la manipolazione genetica. Purtroppo è

peggio che cercare un ago in un pagliaio. «Recentemente, in uno studio

pubblicato su Human Gene Therapy abbiamo dimostrato che, inserendo una

copia extra di Igf-1 nei topi, s'induce una produzione di proteine muscolari

dieci volte superiore alla norma», riferisce Giacca. «È possibile che il fisiologico

sfibramento dei tessuti, che avviene durante l'esercizio fisico, possa

rilasciare nel sangue tracce di questi cambiamenti».

LA LOTTA AL DOPING SI FA DURA, ma la scienza non intende alzare

bandiera bianca. Tanto per cominciare, alle prossime Olimpiadi di Londra

si farà ricorso al passaporto biologico, la profilazione sanguigna degli atleti,

aggiornata nel tempo per controllare eventuali cambiamenti, come un

aumento dei globuli rossi. Nel frattempo, si stanno studiando le espressioni di

tutti i 25 mila geni umani. «Prima o poi, verranno messi a punto test efficaci

contro il doping genetico », insiste Giacca. E a quel punto, gli atleti

fraudolenti potrebbero ritrovarsi con un marchio incancellabile e

identificabile scritto sul corpo.

Al momento, nessuno sa davvero se qualcuno abbia mai osato tanto. «Mi

auguro di no, potrebbero insorgere danni al sistema cardiovascolare e tumori»,

mette in guardia Giacca. Eppure, guadagnare una marcia in più per vincere

può sembrare una prospettiva troppo accattivante, che porta in secondo

piano anche i rischi per la salute. È sempre stato così per circa il due per cento

degli atleti positivi che, puntualmente, risultano positivi ai controlli antidoping,

pur sapendo di poter essere beccati. Figurarsi se non si corre neppure questo

pericolo.

Insomma, che il doping genetico al momento sia l'oggetto del desiderio nel

mondo dello sport (quello marcio, se non altro) ci sono pochi dubbi. Basta

sfogliare una qualunque rivista di bodybuilding, o semplicemente navigare

su internet, per trovare pubblicità di prodotti che promettono "di alterare i

geni dei muscoli". Quasi sicuramente si tratta di prodotti farlocchi, ma nel

2006 un allenatore di atletica tedesco, Thomas Springstein, è stato beccato

sul serio mentre cercava di procurarsi sul mercato nero il Repoxygen, una

terapia genetica sperimentale per la cura dell'anemia (poi abbandonata dalla

casa farmaceutica) che utilizzava un virus per indurre le cellule a produrre

l'Epo. Due anni dopo, alle Olimpiadi di Pechino, un servizio della tv tedesca

ha documentato che centri medici cinesi offrivano terapia genica a base di

cellule staminali. Quest'anno i tempi potrebbero essere maturi.

C'è un altro risvolto inquietante della faccenda. «Doping o no, è ormai

chiaro», osserva Giacca, «che il profilo genetico sia una componente

cruciale nel successo di un atleta, più importante anche dell'allenamento,

del sacrificio, della dedizione». In un futuro non lontano, potremmo assistere

alla selezione delle migliori promesse dello sport, sin dai bambini, con un

banale test del dna. E dire che uno voleva solo starsene in pace davanti alla

tv e godersi gli europei di calcio...

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Utile un replay, a volte

di SPORTIVAMENTEMAG 05-06-2012

Segnalazione opportuna, per noi che la tv la vediamo di rado:

ci dicono che il tema Fermiamo il calcio corrotto è stato

corposa parte della trasmissione L’aria che tira, in onda su

La7. Siamo andati a rivederla e, a parte le vistose

concessioni alla napoletanità (la Merlino è partenopea e in

studio era presente un’infermiera tifosissima del Napoli, un

po’ fuori contesto, anche se incarnava un tipo umano

particolare), tutto è corso via speditamente in compagnia di

Carlo Porceddu, vicepresidente della Corte di Giustizia della

Federcalcio, Paolo Liguori, direttore di Tgcom (e tifoso

romanista) e Roberto Bernabai, caposervizio sport a La7.

L’invito è semplice: collegatevi al seguente indirizzo. Dopo

un paio di pubblicità parte il servizio sui terremotati (da

vedere) , poi c’è il calcio corrotto.

Utile, un replay, a volte. Più utile di molte moviole e

moviolone di biscardiana memoria.

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il Fatto Quotidiano 06-06-2012

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___

E la Cassazione tira le orecchie al giudice

Travaglio colpevole ma assolto per un cavillo

di LUCA ROMANO (Libero 06-06-2012)

È uno dei colpi di spugna più clamorosi che si siano mai registrati nei

tribunali italiani. A concederlo è stato il giudice dell’udienza preliminare

del Tribunale di Roma, Giovanni De Donato, e a beneficiarne - manco a dirlo -

Marco Travaglio e Antonio Padellaro, editorialista (nonché vicedirettore) e

direttore de Il Fatto Quotidiano. Per entrambi il gup di Roma aveva stabilito

il non luogo a procedere nella querela per diffamazione che era stata presentata

dalla giornalista del Tg1, Grazia Graziadei e per associazione dall’allora suo

direttore, Augusto Minzolini. È la motivazione del gup a fare di quella

sostanziale assoluzione un caso del tutto speciale: perché il giudice aveva

riconosciuto e perfino citato dei brani dell’articolo di Travaglio che

riteneva «diffamatori» nei confronti della Graziadei. Ma non li ha rinviati a

giudizio appellandosi a un cavillo: quegli stessi brani del breve articolo non

erano stati citati nella richiesta di rinvio a giudizio scritta dal pm.

Il caso era nato per un servizio del Tg1 che illustrava tutti i costi

esorbitanti delle intercettazioni telefoniche effettuate dalle varie procure

della Repubblica italiana. Cifre ufficiali- per altro appena ricordate dal

nuovo governo di Mario Monti come vera emergenza nel documento sulla

spending review- ma che non sono piaciute naturalmente a Travaglio. A

commento di quel servizio è apparso infatti il giorno dopo un corsivo sul Fatto

Quotidiano dal titolo «Tg1, la Minzolina di complemento », in cui si criticava il

servizio e l’autrice con parole pungenti, definendo «truffaldine anche le cifre

sulle spese per intercettare». Frase che secondo il gup di Roma era

effettivamente diffamatoria: «risulta trascendere il diritto di cronaca e di

critica giornalistica e il correlato parametro della cosiddetta continenza in

quanto aggettivare come truffaldine informazioni riscontrabili come reali (…),

appare una illegittima distorsione del diritto di cronaca e di critica e quindi

appare integrare plausibilmente una ipotesi di diffamazione a mezzo stampa ai

danni di Graziadei Grazia». Dunque il magistrato riconosceva che Travaglio

aveva compiuto un reato, e in barba all’obbligatorietà dell’azione penale, lo

assolveva perché proprio quella frase non era stata citata ad esempio nella

richiesta del pm (che ovviamente allegava l’intero breve articolo citandone ad

esempio altri passi). Un po’ troppo, davvero. Tanto che dopo alcuni mesi ci ha

pensato la suprema Corte di Cassazione, a cui si era rivolto il legale dei

giornalisti del Tg1, Fabio Viglione, a rimettere in carreggiata una vicenda

così strampalata. La Cassazione ha tirato le orecchie al giudice così tenero

con Travaglio: «effettivamente incorso in un errore di interpretazione del

capo di imputazione », facendo notare che il pm aveva ritenuto diffamatorio

l’intero articolo, citandone «fra l’altro» alcune frasi. Illegittimo quindi il

non luogo a procedere nei confronti di Travaglio e Padellaro, tanto più che il

gup stesso aveva individuato passaggi diffamatori dell’articolo. Risultato: il

processo riprenderà dall’inizio davanti a un altro giudice. Cui sarà chiesto

di essere imparziale anche di frontea un giornalista beniamino dei magistrati

come Travaglio. Perché anche per lui vale il principio della «legge uguale per

tutti».

Modificato da Ghost Dog

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Inviato (modificato)

È finita un’epoca?

Fondi tagliati: ma per Moratti

e Berlusconi big più lontane

Negli ultimi 5 anni 777 milioni versati dai soci di Inter e

Milan: ora c'è lo stop Juve diversa, però occhio al deficit

C’è la recessione e incombe il fair play ma sceicchi e russi continuano a spendere

Bilanci in rosso e stipendi esagerati rispetto ai ricavi: le italiane sono in un circolo vizioso

di MARCO IARIA (GaSport 06-06-2012)

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Il mecenatismo all'italiana è al crepuscolo, come se volesse adeguarsi allo

spirito del tempo. Recessione, spread alle stelle, allora basta con le spese

folli. E poi fair play finanziario, pareggio di bilancio da rincorrere, taglia

di qua, guadagna di là. Altrove, però, la trottola dei soldi continua a girare

impazzita. Gli sceicchi e gli oligarchi, adesso pure i cinesi. La domanda è:

come faranno a resistere le nostre squadre nello scenario internazionale?

Con una puntualizzazione doverosa: mentre Inter e Milan si sono votate

all'austerity, la Juventus ha investito a più non posso per potenziare la rosa

e rientrare nel giro. Tutte e tre le big, a ogni modo, fanno una fatica

terribile a competere con gli Abramovich e i Mansour nelle aste dei top

player: magari ti sveni per pagare uno stipendio da favola industriandoti per

abbassare il costo del cartellino (Ibrahimovic), il gioco però non può

funzionare sempre. Quel che più preoccupa è lo sguardo in prospettiva.

Perché se il nostro calcio è già retrocesso da ristorante di lusso a pizzeria

(copyright Galliani), cosa ne sarà una volta che Berlusconi e Moratti — come

hanno annunciato — limiteranno le iniezioni di denaro nei rispettivi club?

Coperta corta È un circolo vizioso quello che stiamo per raccontarvi. Parla

di due società, Inter e Milan appunto, che sono state storicamente sostenute

dagli azionisti di riferimento. Limitandoci agli ultimi cinque anni, i soci

nerazzurri hanno effettuato versamenti in conto capitale (o ricapitalizzazioni)

per 567,3 milioni; quelli rossoneri per 209,5. Nonostante ciò, nella giostra

del mercato hanno dovuto fare di necessità virtù vendendo pezzi pregiati e

puntando su qualche scommessa. Basta guardare il saldo acquisti-cessioni dal

2009-10 al 2011-12: +25 milioni Milan, +15 Inter, stesso livello del

Manchester United (+24), impegnato a ripagare gli interessi del maxi-prestito

con cui Glazer rilevò i Red Devils. Perché tutto questo? Semplice, nell'ultimo

quinquennio i finanziamenti di Moratti e Berlusconi sono serviti per ripianare

i buchi di bilancio (665,3 milioni in totale per l'Inter, 245,4 per il Milan),

figli di un'epoca di vacche grasse fatta di diritti tv in espansione e

conseguente impennata degli emolumenti. Ora che i ricavi dalle televisioni,

per effetto della spartizione collettiva, si sono contratti e quelli da

marketing (nonostante le apprezzabili performance rossonere) e stadio non sono

decollati, restano sul groppone monte-stipendi non più tollerabili. Uno perché

i magnati milanesi vogliono chiudere i rubinetti, due perché l'Uefa impone una

gestione equilibrata, all'insegna dello slogan «spendi solo quanto incassi».

Vento di crisi È vero che il rapporto tra costo del lavoro e fatturato di

Inter (88%) e Milan (85%) viaggia sulla stessa lunghezza d'onda delle

dissennate Chelsea (85%) e Manchester City (114%). La differenza è che

Abramovich e Mansour non hanno alcuna intenzione di fermarsi, incuranti della

crisi e del fair play finanziario. Moratti e Berlusconi, invece, devono fare i

conti con le difficoltà delle rispettive aziende: il patrimonio borsistico

della famiglia dell'ex premier si è dimezzato (da 3,5 miliardi del 2011 a 1,9

nel 2012) e Mediaset ha archiviato il primo trimestre con un calo dell'85% dei

profitti; la Saras ha chiuso l'esercizio 2012 ancora in rosso e ha deciso di

non distribuire dividendi, quegli stessi con cui Moratti foraggiava la squadra.

Differenza Dopo Calciopoli, la Juventus ha seguito strategie diverse: non a

caso figura tra le società che hanno sborsato di più sul mercato, con un saldo

negativo di 139 milioni. Non sfugga però che il livello degli ingaggi è

abbastanza basso e colloca la Juve al 10° posto europeo. Le perdite più

contenute dei bianconeri (121,5 milioni dal 2007 al 2011) non hanno

prosciugato il tesoretto messo su con i due aumenti di capitale (224,8 milioni),

ma le recenti esclusioni dalla Champions sono state una mazzata per il

bilancio. È vero che Exor gode di ottima salute e ha in dote fino a un

miliardo da investire sulle sue attività, ma un'altra ricapitalizzazione per

il club calcistico non sarebbe di certo accolta col sorriso tra i denti.

-------

L’ALTRA FACCIA DELLA CRISI LA SPAGNA È IN GINOCCHIO E L’ECONOMISTA GAY DE LIÉBANA LANCIA L’ALLARME PER IL CALCIO

«Ma col crac delle banche tremano Real e Barça»

di MARCO IARIA (GaSport 06-06-2012)

L'Italia piange ma anche la Spagna ha i suoi problemi. Real Madrid e

Barcellona sono le società che fatturano di più al mondo, ormai vicine al

mezzo miliardo annuo. Vantano asset invidiabili, veicolano marchi che fanno

fortuna in ogni angolo della Terra, eppure temono ripercussioni per la crisi

delle banche iberiche. A lanciare il grido d'allarme è l'economista Jose María

Gay de Liébana, docente all'Universidad de Barcelona, che ogni anno fa i conti

in tasca alla Liga denunciandone tutte le storture.

I debiti del calcio spagnolo sono da tempo fuori controllo. Qual è la

situazione attuale?

«Se nel 2006-07 il debito della Primera División ammontava a 3,15 miliardi,

ora è arrivato a 3,53. Il problema del debito è sempre uno: si deve pagare. E

per farlo bisogna generare liquidità, produrre moneta sonante. La Liga non è

in grado: a fronte di 2,15 miliardi di debiti a breve termine, gli attivi

correnti per la loro copertura sono soltanto 1,1 miliardi».

Le banche hanno concesso trattamenti di favore a Real e Barcellona. Quelle

stesse banche che ora l'Unione europea si appresta a salvare dal fallimento.

Potrebbero esserci conseguenze sui due club?

«La situazione del sistema finanziario spagnolo è delicatissima. In queste

condizioni, si fa dura per il Real Madrid e Barcellona. Una delle banche che

più ha finanziato gli acquisti stellari del Real, Bankia-Caja Madrid, è oggi

nazionalizzata: i crediti dei merengues sono garantiti dalle tasse della

popolazione spagnola. Real e Barça dovranno stringere la cinghia in materia di

trasferimenti. Il buon senso e la logica impongono la fine degli acquisti

galattici».

Ma due colossi così potranno mai perdere terreno in campo internazionale?

«La loro forza deriva anche dal fatto che concentrano oltre la metà dei

ricavi generati dalla Liga. Nel momento in cui il campionato spagnolo resta

poco competitivo, le due hanno la strada spianata all'estero».

Modificato da Ghost Dog

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SCOMMESSOPOLI LA PAROLA ALLA DIFESA

«Si risolverà tutto»

Conte si rilassa a Ibiza con la famiglia: «Sono sereno»

Intercettato da “Chi” l’allenatore ribadisce il suo ottimismo. Ieri i

suoi legali hanno incontrato a Cremona il procuratore Di Martino.

«C’è grande sintonia con il lavoro che sta svolgendo»

di MARCO BO & GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 06-06-2012)

TORINO. Prove tecniche di avvicinamento, chiamiamole così. Sono passati

sette giorni dalla conferenza stampa di Vinovo, al fianco di Andrea Agnelli , in cui

Antonio Conte gridava al mondo, commosso, la rabbia provata nel vedersi

sbattere in prima pagina come mostro per «situazioni che non mi riguardano

essendo estraneo ai fatti». E il fatto, secondo l’ex calciatore senese Filippo

Carobbio , sarebbe stato una riunione tecnica con la squadra, prima di

Novara-Siena, in cui l’allenatore avrebbe rassicurato sul fatto che la partita

sarebbe finita in parità per volontà dei due club. Ieri, una settimana dopo, i

legali del tecnico campione d’Italia, gli avvocati Luigi Chiappero , torinese

e Antonio De Renzis , bolognese, si sono mossi in direzione di Cremona per

incontrare il procuratore che conduce le indagini di Scommessopoli, il dottor

Roberto Di Martino . «Un incontro che rientra nei rapporti normali tra le

parti quando c’è un’indagine in corso - spiega l’avvocato emiliano -. Del

resto il procuratore ha dimostrato gentilezza e sensibilità per come sta

lavorando su una situazione articolata che richiede grande impegno. C’è un

grande rispetto per il lavoro della Procura e una grande sintonia». Sulle

tempistiche che potrebbero riguardare un’eventuale chiamata di Conte per

illustrare la propria posizione non si sente di fare previsioni. «Al momento

posso dire che insieme al collega Chiappero lavoreremo con grande

determinazione per dimostrare l’estraneità di Antonio Conte ai fatti

contestati».

FRONTE FIGC Dal punto di vista sportivo, i tempi potrebbero essere più brevi.

Nei prossimi giorni verrà reso l’elenco delle audizioni per la nuova tranche

della Scommessopoli che si celebra davanti alla Disciplinare della Figc. In

quella lista potrebbe esserci anche Antonio Conte che, in teoria, potrebbe

essere sentito da Palazzi nel corso delle prossime due/tre settimane. Poi,

qualora arrivasse anche il deferimento, dovrebbe affrontare il processo

sportivo che, anche in questo caso nulla è ancora ufficiale, si dovrebbe

celebrare nella prima metà di luglio. Al momento, tuttavia, non c’è neppure il

deferimento. E tutti i giocatori del Siena finora sentiti hanno smentito la

circostanza raccontata da Carobbio e riguardante la famigerata riunione

tecnica nella quale il tecnico avrebbe annunciato la combine con il Novara.

QUI IBIZA Lo stesso tecnico, che ha scelto Ibiza per rilassarsi e provare a

staccare la spina, anche se internet è un diavolo maledetto come il cellulare,

che se vuoi ti rincorre pure in capo al mondo, è stato intercettato dal

settimanale “ Chi ”. E il rotocalco rosa propone questa sua dichiarazione

sotto il sole: “Sono tranquillo, tutto si risolverà. Abbiamo scelto questa

meta per rilassarci”, riferendosi alla moglie Elisabetta e la figlia Vittoria.

E a proposito di vittoria è ovvio che il popolo Juve aspetti la sua, in

tribunale, qualora dovesse passare da indagato a imputato.

LA MOGLIE DI CAROBBIO A proposito di Carobbio, ieri su un altro settimanale,

stavolta si tratta di “ Oggi ”, è stata pubblicata una intervista alla moglie

dell’ex calciatore del Siena in cui prende le difese del marito in questo

modo: «Antonio Conte era il mito di Filippo – spiega la signora Elena Ghilardi

-. Mio marito mi ha sempre parlato benissimo di lui… Adesso passa per essere

il grande accusatore di Conte e la rovina del calcio, ma lui ha solo descritto

un sistema. In un interrogatorio di tre mesi fa, si è vuotato la coscienza, ha

parlato per ore e ha detto, per fare un esempio, che anche Conte sapeva di

una partita aggiustata. Filippo ha sbagliato, non voglio difenderlo a tutti i

costi, ma so che ha fatto, almeno ora, la scelta giusta: collaborare. E invece

passa per un ‘infame’. Io sono orgogliosa di lui. So che non sono credibile,

con quel che è successo, però Filippo è sempre stato semplice, fin troppo

umile, attaccato alle cose vere della vita. Le sue cavolate, non le ha fatte

per soldi ma per ingenuità, perché è stato influenzato da gente con la

personalità più forte. Avete presente quando sei in branco, e hai la spalla

che ti tenta e allora dici: ‘Ma sì dai, faccio questa ca....ta’. Se lo mandano

al fresco scendo in piazza, faccio lo sciopero della fame. Ma credo nella

giustizia. Carobbio non è la pecora nera del calcio, perché il calcio è fatto

di pecore nere».

-------

«Buffon non scommette sulle partite di calcio»

Marco Valerio Corini, legale del portiere: «Sconcertante ciò che è

successo attorno alla sua persona. Si è innescato un processo

mediatico che non corrisponde a uno reale»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 06-06-2012)

TORINO. L’avvocato Marco Valerio Corini , legale di fiducia di Gianluigi

Buffon, in una situazione del genere non si è mai trovato. Se difendere i suoi

assistiti è senza dubbio il suo mestiere, trovarsi a praticarlo al di fuori di

un procedimento legale di qualsiasi tipo è una strana novità per lui. «Non

esiste nessun procedimento a carico di Buffon, né sotto il profilo penale, né

sotto quello sportivo», sospira: «Vale la pena ricordarlo, visto che dopo

l’impatto mediatico avuto in questi giorni sembra che Gigi sia al centro di un

processo. Anzi, stando alle ultime dichiarazioni delle varie procure la sua

posizione non risulta di essere di alcun interesse per la magistratura».

Effettivamente ha fatto molto rumore la storia del milione e mezzo di

euro versato alla tabaccheria di Parma.

«Si tratta di un’informativa che si riferisce al 2010 e che gli inquirenti di

Cremona avevano ricevuto circa sei mesi fa dalla Procura di Torino. In questi

sei mesi, né la Procura di Torino, né quella di Cremona hanno indagato Buffon.

Al momento, quell’informativa è stata solo resa pubblica... Non c’è niente di

illegale e se un magistrato fosse mai interessato a conoscere i dettagli di

quei movimenti, Gigi è pronto a spiegare».

Quei soldi sono legati a delle scommesse? Buffon non ha mai fatto

mistero di amare il gioco d’azzardo...

«Buffon non è stupido e conosce molto bene i regolamenti, quindi non ha mai

scommesso su partite di calcio. Nell’informativa c’è scritto: “Non è possibile

escludere a priori che Buffon abbia posto in essere un’intensa attività

finanziaria legata al mondo delle scommesse sportive”. E vale la pena

sottolineare che la formula “non è possibile escludere a priori” si può

applicare virtualmente a qualsiasi cosa. Tant’è che quell’informativa non ha

avuto seguito».

Buffon è tranquillo?

«Gigi è sconcertato per quanto è successo. E molti dovrebbero interrogarsi.

Non solo è stata calpestata la privacy, ma è stato innescato un processo

mediatico che non corrisponde a un processo reale. Di solito c’è un avviso di

garanzia, un’indagine e in seguito a quello si scatena il meccanismo dei

media. Oggi mi trovo nella paradossale situazione di giornalisti che mi

chiamano per sapere se è arrivato l’avviso o se è scattata un’indagine. E’

folle...»

___

A Torino cercano un'altra cricca

Giocatori nel mirino

Sospetti sulla ricevitoria di Parma, Buffon non è indagato.

Può spuntare una centrale di scommesse in più

di LUIGI PERNA (GaSport 06-06-2012)

Viene da pensare che le scommesse siano un virus che si riproduce. Non fai

in tempo a cercare il rimedio, come provano a fare i pubblici ministeri di

Cremona, Bari e Napoli che indagano da un anno sul fenomeno, ed ecco

che spuntano nuovi sospetti. Ora anche la Procura di Torino ha aperto

ufficialmente un'inchiesta sul calcio scommesse. L'ipotesi dei pm è che

potesse esistere un altro giro di personaggi, calciatori ma non solo, che

puntavano sulle partite avendo informazioni certe sul risultato. Così si

spiegherebbe la perquisizione di venerdì nella tabaccheria di Parma di cui è

titolare Massimo Alfieri, finora l'unico iscritto al registro degli indagati

con l'accusa di «frode sportiva». E i sospetti potrebbero essere legati al

flusso intenso di denaro e all'ammontare altissimo delle somme vinte rispetto

a quelle giocate nella ricevitoria (circa l'83%) negli ultimi 14 mesi. Un dato

«anomalo».

Spunto Si è partiti dagli assegni (14 bonifici tra 50 mila e 200 mila euro,

per un totale di 1 milione e 585 mila euro) versati da Gigi Buffon ad Alfieri

tra gennaio e settembre del 2010 (secondo la difesa «soldi a un amico

per acquisti privati»), ma poi si è andati oltre. Tanto che il portiere della

Juventus e della Nazionale non è indagato né citato nel verbale di

perquisizione consegnato ad Alfieri, e alla fine potrebbe anche risultare

estraneo alla vicenda. Di sicuro la Procura di Torino lavorava sotto traccia

da tempo. Il controllo della Guardia di Finanza sui conti correnti del

portiere azzurro sarebbe stato ordinato il 13 giugno 2011, a pochi giorni

dallo scoppio dello scandalo scommesse di Cremona. Mentre la richiesta

da parte del pm Cesare Parodi di trasmettere gli atti, in particolare

l'intercettazione in cui l'ex allenatore dei portieri ravennate Nicola Santoni

(coinvolto con Doni nelle presunte combine dell'Atalanta) cita Buffon dicendo

«gioca anche lui... 100-200 mila euro al mese», è datata 29 dicembre 2011.

Fase calda Nel frattempo le indagini a Torino sono continuate. Non è escluso

che vi siano state anche intercettazioni. La perquisizione di venerdì (anche

in casa di Alfieri) sarebbe legata alla necessità di «blindare» la situazione.

Sequestrando scontrini, ricevute di pagamento, moduli anti-riciclaggio, che

ora sono al vaglio della Finanza. Presto sapremo se è stato scoperchiato un

altro vaso di Pandora. E se c'era un'altra «centrale» per giocate come quelle

scoperte da Cremona oppure no. Su Buffon bisognerà invece capire se abbia

scommesso, anche avvalendosi di soggetti terzi, e che tipo di scommesse

eventualmente abbia fatto: l'illecito sportivo scatta infatti solo per le

puntate sul calcio. Avere usato assegni — «il modo più sicuro per farsi

tracciare», ha detto l'avvocato difensore Marco Corini — è un punto a suo

favore.

Sbalordito Intanto Alfieri ieri era a Torino per formalizzare la nomina a

difensore dell'avvocato Gilberto Lozzi, noto docente universitario. Per ora il

pm non l'ha convocato per interrogarlo, aspetterà l'esito degli accertamenti

sul materiale sequestrato. «Sono sbalordito», ha detto Alfieri al legale.

«Ritiene di essere perfettamente in regola — spiega Lozzi —. Ha ricevuto

delle scommesse sportive del tutto lecite. Tra l'altro quelle sul calcio erano

solo il dieci per cento del totale». L'avvocato considera «discutibile»

l'attribuzione della competenza territoriale a Torino ed è pronto a fare

ricorso contro il decreto di perquisizione. Inoltre Alfieri gli avrebbe

confermato di conoscere da tempo Buffon, spiegando che i Rolex acquistati dal

portiere con una parte delle somme provenivano da una sua collezione privata.

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

L’uomo della ricevitoria:

“Buffon? Gli assegni

provano la buona fede”

Parma, giocate e vincite record: “Puntiamo su sport minori”

di NICCOLÒ ZANCAN (LA STAMPA 06-06-2012)

Arriva trafelato da Parma, via Milano-New York, dov’era in vacanza con

la famiglia: «C’era mia figlia piccola, quando mi hanno detto della

perquisizione... Si immagini che situazione. Ero lontano e non riuscivo a

capire. È stato tremendo. Davvero. Non sono abituato a cose del genere».

Arriva sotto lo studio del suo avvocato con in mano l’avviso di garanzia

appena notificato dalla Guardia di finanza di Torino. L’ipotesi di reato è

frode sportiva. Massimo Alfieri è il titolare della ricevitoria di Parma dove

si concentra questo sospetto. Scommesse facili su partite combinate.

«Non esiste - dice Alfieri - in queste pagine si parla di calcio, ma il calcio

rappresenta poco più del 5% del nostro giro d’affari. La nostra ricevitoria ha

un flusso di scommesse importante, ma ci dedichiamo soprattutto agli sport

minori...».

Gli investigatori arrivano ad Alfieri seguendo 14 assegni del portiere della

Juve Gianluigi Buffon, che non è indagato e neppure citato nel decreto di

perquisizione. Scoprono la ricevitoria di Parma. Controllano i versamenti a

Lottomatica, chiedono lumi alla banca su cui si appoggia il conto della

tabaccheria. Girano molti soldi. Cifre notevoli giocate anche nello spazio di

due giorni. E una clamorosa percentuale di vincita, sempre intorno all’83%

negli ultimi tre anni. Ed è su questo presupposto, su questa fortunata

«anomalia», che sono andati a perquisire negozio e abitazione di Massimo

Alfieri: «Posso spiegare qualunque movimento. Sono tranquillo. Quanto a Gigi

Buffon, è un’altra cosa che non esiste e mi amareggia. Siamo amici. Mi sono

occupato di alcuni acquisti per lui. E proprio il fatto che mi abbia girato

degli assegni dimostra l’assoluta buona fede dell’operazione. Tutto a prova di

fraintendimenti». Alfieri va a parlare con il suo avvocato di fiducia, il

professor Gilberto Lozzi. Passano la mattinata insieme a discutere ogni

dettaglio, poi riparte per Parma. L’avvocato Lozzi: «Finora non abbiamo

ricevuto convocazioni da parte della Procura, siamo in attesa. La ricevitoria

movimenta importi rilevanti. Ma pochi soldi, percentualmente, sul calcio». Il

punto però, per gli investigatori del nucleo di polizia tributaria della

guardia di Finanza, è il doppio flusso: entrata e uscita. Cifre quasi da

record raccolte per le scommesse. Cifre senza uguali incassate dalle vincite.

Qui si gioca il mistero di questa storia.

-------

Processo sportivo, nel mirino Udinese-Bari del 2010

Al via la fase 2: convocati Pepe e Stellini, poi toccherà a Conte

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 06-06-2012)

Chiuso il dibattimento, da venerdì la camera di consiglio della Commissione

Disciplinare esaminerà le posizioni degli imputati nel primo procedimento

sportivo sulle scommesse. I verdetti sono attesi all’inizio della prossima

settimana quando saranno in pieno svolgimento gli interrogatori che porteranno

ai deferimenti per il secondo processo sulle partite truccate. La procura

della Figc convocherà tutti i tesserati, o ex, al centro del filone

d’inchiesta di Bari. Le audizioni cominceranno domani per finire il 14 giugno:

nel mirino del pool di Palazzi 8 partite del Bari del campionato 2010/11. Fra

i convocati, lo juventino ed ex friulano Pepe per Udinese-Bari del 9 maggio

2010 e Stellini. Dopo la metà di giugno, la procura si dedicherà agli atti di

Cremona non entrati nel primo processo e quindi alle audizioni, fra gli altri,

del presidente del Siena Mezzaroma e di Antonio Conte. «Sono tranquillo, tutto

si risolverà», dice il tecnico bianconero da Ibiza. «C’è grande sintonia con

il lavoro della procura di Cremona», così l’avvocato Antonio De Renzis, legale

di Conte, dopo l’incontro, ieri, con il pm DiMartino. Per Conte non è in vista

alcun interrogatorio da parte dei magistrati lombardi: la Juve ne affiancherà

la difesa con l’avvocato Luigi Chiappero.

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