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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Paese, specchio del pallone

La giustizia spettacolo

scende in campo, ma il

calcio è marcio come noi

___

Pm da Tangentopoli e reati da corruzione

sistemica. Ma non è la politica, sono

le star del popolo e dello sport-business

___

Denari svizzeri e di Singapore

di PIERO VIETTI (IL FOGLIO 29-05-2012)

Roma. Il blitz nel ritiro di Coverciano alle sei di mattina nel giorno in cui

il commissario tecnico della Nazionale Cesare Prandelli doveva rendere nota la

lista dei prescelti per l’Europeo di giugno; l’arresto di giocatori famosi

come Stefano Mauri, capitano della Lazio, e Omar Milanetto, per anni bandiera

del Genoa; i nomi di Antonio Conte e Leonardo Bonucci, allenatore e difensore

della squadra campione d’Italia, tra gli indagati; la sensazione che da un

momento all’altro possano cadere altre teste, uscire altri nomi importanti.

Gli elementi per qualcosa di dirompente nel mondo del calcio e sull’opinione

pubblica c’erano tutti, e così è stato: ieri mattina gli uomini della polizia

di Cremona, Brescia, Alessandria, Bologna e del Servizio centrale operativo

(Sco) hanno eseguito 19 arresti per custodia cautelare e numerose

perquisizioni in tutta Italia e all’estero nei confronti di appartenenti a una

organizzazione transnazionale che sarebbe dedita alla combine di partite di

calcio in Italia e in diversi altri stati. Le indagini sul calcioscommesse,

iniziate un anno fa, sono arrivate a scoperchiare, se le accuse saranno

confermate, un calcio che definire “malato” sarebbe eufemistico, oltre che

retorico. Certo, tempi e modi degli arresti di ieri sono da manuale della

giustizia- spettacolo, e il fatto che il tutto succeda nel paese di

Tangentopoli non depone a favore di indagini basate per lo più su confessioni

di altri indagati (è il caso di Antonio Conte, accusato da un suo ex giocatore

del Siena di essere al corrente di una combine tra la sua squadra dell’anno

scorso, il Siena appunto, e il Novara, mentre altri tre sostengono che Conte

non sapesse nulla) e portate avanti a ondate mediatiche (sempre lo stesso

Conte sapeva da oltre un mese di essere “sotto osservazione”, ma è stato

perquisito soltanto ieri, peraltro senze essere mai stato sentito dalla

procura). In attesa di capire se avrà la meglio chi vuole la gogna o chi grida

al complotto, ecco le parole di Gilberto Caldarozzi, direttore del Servizio

centrale operativo della polizia di stato: “Il pianeta calcio ha fatto

registrare in tre fasi distinte infiltrazioni criminali”. Enormi flussi di

denaro partiti da Singapore per conti cifrati in Svizzera e poi riversati su

quelli personali, in particolare il cosiddetto gruppo dei bolognesi. L’accusa

più grave, penalmente parlando, è proprio quella di riciclaggio (in concorso),

poi c’è l’associazione per delinquere finalizzata alla frode sportiva (eredità

di Calciopoli), fino all’omessa denuncia. L’attività investigativa ha

coinvolto l’Interpol e l’Europol come accade per la criminalità organizzata,

con scambio di documenti tra polizia ungherese e italiana e la rogatoria

internazionale, con la Svizzera che si è dimostrata particolarmente

collaborativa, la quale ha permesso di scoprire il passaggio di 289. 000 e

434.000 euro su un conto facente capo all’ex giocatore Giuseppe Signori; la

seconda tranche, secondo gli inquirenti, sarebbe servita per manipolare

Brescia-Lecce. Perché se è vero che il periodo in questione è la stagione

2010-11, non è vero che l’inchiesta riguarda solamente serie B e Lega Pro, ma

anche la A.

La politica questa volta non c’entra

Per una volta lo scandalo non coinvolge i brutti ceffi della politica, ma gli

idoli delle folle, le società di calcio, persino i tifosi (a Bari gli ultras,

accortisi che i giocatori biancorossi scommettevano sulle proprie sconfitte,

hanno deciso di scommettere pure loro, minacciando i giocatori). Questa volta

è la società civile – o almeno parte di essa – a essere truffalda, menzognera,

sporca e doppiogiochista. L’impressione è che si sia andati oltre, che la

prassi non bella ma consolidata di “aggiustare” certi risultati soprattutto a

fine stagione sia diventata regola, con l’aggravante del controllo della

criminalità organizzata. Secondo l’accusa i giocatori avrebbero creato una

rete di relazioni per raggiungere lo scopo illecito di combinare i risultati

delle partite. Accuse da verificare, ma che se confermate aprirebbero un

capitolo inquietante nella già travagliata storia del calcio italiano. Quanto

sia vasto il sistema lo ignorano gli stessi inquirenti, anche se la sensazione

è che dovunque si buttino le reti si possa pescare qualcosa di grosso. Se

l’indagine si allargherà ancora potrebbero venire coinvolti club più grandi di

quelli attualmente colpiti (che le operazioni di questi giorni siano anche un

avvertimento?). Arresti e indagini rovineranno non poche carriere, a

prescindere da quale sia la verità. Il calcio ha i suoi tempi, e mai come

questa volta la fretta potrebbe portare cattivi consigli. Che ci sia qualcosa

di marcio nel sistema è sicuro, che basti un’operazione spettacolare per

purificarlo è da dimostrare.

-------

IL FOGLIO.it 29-05-2012

'ste banane lasciate in redazione

20120529_1.gif

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Le balle su Criscito

Qualche nota per esaminare come si trasforma in poche ore

un indagato – fra i meno centrali nelle ricostruzioni, con un

ruolo davvero tutto da capire e dimostrare – in un colpevole.

Nel colpevole perfetto, quello che gioca in Nazionale e

dorme a Coverciano.

di FEDERICO SARICA (Studio 29-05-2012)

criscitoOK.png

Ecco come titolava ieri il sito del Corriere della Sera un pezzo

d’approfondimento sulla notizia della perquisizione del giocatore della

nazionale Domenico Criscito: “Il summit al ristorante chiuso – in un

ristorante di Genova Criscito, Sculli, il bosniaco e l’ultrà per combinare

Lazio-Genoa”. Articolo introdotto in homepage dallo strillo: “Le immagini

dell’incontro a Genova nel maggio 2011 con il clan degli zingari in un

ristorante chiuso”. E ancora, di fianco a una delle foto con Sculli e

Criscito: “Cosí é stata combinata Lazio-Genoa, i due giocatori indagati per

associazione a delinquere finalizzata a frode sportiva”.

Il lettore da ció deduce che quelle sono le foto di un incontro in cui Sculli

e Criscito hanno combinato la partita, li hanno beccati, fotografati di

nascosto e per questo indagati. Giusto? Sbagliatissimo.

Ci torniamo dopo.

Su ġazzetta.it sempre ieri, pezzo (il link potrebbe essere stato modificato)

sullo stesso argomento dal titolo: “L’accordo per Lazio-Genoa, e Mauri

usava Sim d’altri”. L’articolo é illustrato in homepage con una delle foto

che ritraggono Sculli, Criscito e altri personaggi di cui parleremo dopo, intenti

presumibilmente a chiacchierare fuori dall’ormai celebre ristorante chiuso

genovese. Il pezzo poi inizia cosí: “Il Gip di Cremona, Mario Salvini, ha

firmato l’ordinanza che prevede la custodia cautelare (in carcere o agli

arresti domiciliari) in base a un voluminoso rapporto presentato dal pm De

Martino il 7 maggio. Nell’ordinanza emergono tutti i perché Lazio-Genoa e

Lecce-Lazio del campionato 2010-2011 sono finite nel mirino della

magistratura. Ecco gli stralci salienti”. Segue poi un resoconto alquanto

approssimativo delle ricostruzioni contenute nell’ordinanza relative

soprattutto ai presunti accordi per combinare Lazio-Genova del 14 maggio 2011.

A circa metà dell’articolo vengono inserite intercettazioni presumibilmente

legate alla partita in questione, nell’ordine fra Kaladze, giocatore del Genoa

e un certo Altic, lo stesso Altic e un non identificato “pregiudicato”, Sculli

e di nuovo Altic. Di Criscito nessuna menzione.

Nei due paragrafi successivi si snoda una riassunto delle ricostruzioni

dell’ordinanza sulla presunta combine. Vengono nominati e coinvolti, oltre ad

alcuni esponenti del clan dei cosiddetti zingari e di uno di Singapore, i

calciatori: Mauri, Milanetto, Sculli e Zamperini.

Criscito no.

Ma perché quella foto allora? Così chiosa la ġazzetta nello stesso articolo:

“tutti i personaggi coinvolti si sono poi incontrati al ristorante. Con Sculli

e Criscito insieme ai personaggi stranieri coinvolti”.

Il lettore deduce che una serie di calciatori, in combutta con delle

organizzazioni criminali hanno alterato il risultato della partita, scommesso,

vinto molti soldi e poi si sono incontrati tutti insieme. Criscito compreso.

Giusto? Neanche per sogno. O meglio, pare che si siano incontrati sí, ma

non a Genova bensì a Milano. Quattro giorni dopo la data in cui sono state

scattate le fotografie. E Criscito, stando agli atti, non c’era.

Almeno un paio di enormi inasettezze, per non dire balle, messe

diligentemente in fila, quelle su Criscito. Basta leggere le pagine

dell’ordinanza per rendersene conto.

Quali? Queste:

Balla n.1

Quella del titolo del corriere.it , sul summit, alla faccia del garantismo,

“per combinare Lazio-Genoa”. Balla perché nelle immagini di quell’incontro,

non c’è nessun appartenente al clan cosiddetto degli zingari, che a quanto

sta emergendo era il cervello di questo scandalo del calcioscommesse,

come strillava ieri il Corriere. Nessuno zingaro sí, avete letto bene. Nelle foto

che riguardano quell’incontro si notano, oltre al personale del ristorante:

Criscito, due ultrà del Genoa, tali Massimo Leopizzi e Fabrizio Fileni, e tali

Safet Altic e Kujtim Qoshi. An, eccoli quelli del clan degli zingari. No.

Sbagliato di nuovo. Safet Altic é un personaggio noto a Genova, già finito in

scandali simili nel 2005 e recentemente arrestato per spaccio di stupefacenti.

É persona considerata da anni vicina sia ad alcuni ambienti accesi del tifo

genoano che a Sculli (nell’ordinanza compare infatti quasi sempre legato al

nome dello stesso Sculli, di Milanetto e di Kaladze per manovre di recupero e

distribuzione di somme di denaro). Non risultano, agli atti disponibili, suoi

rapporti con Criscito. Un delinquente certo. Ma non un membro dei celebri

zingari. Qoshi risulta essere un suo uomo.

Parentesi su Altic. Le foto, le celebri foto che tutti abbiamo visto, sono

state scattate nell’ambito di un’inchiesta che riguarda lui e il suo spaccio

di stupefacenti. Gli inquirenti, quel giorno, stavano seguendo lui, erano lí

per altro, non per il calcioscommesse né per Criscito (e nemmeno per Sculli).

Solo successivamente sono state acquisite dal Gip di Cremona. Ma questo

l’articolo di corriere.it non lo dice.

Balla n.2

L’articolo della Ġazzetta, copia e incolla la notizia dell’incontro delle foto

alla fine della ricostruzione sui presunti accordi e lo colloca temporalmente

come chiosa finale della combine su Lazio-Genoa. Falso. Lazio-Genoa si gioca

il 14 maggio del 2011, la cena delle foto si svolge martedì 10 maggio. Che

fanno alla giornalaccio rosa, si inventano l’incontro finale? No, ma lo sostituiscono

con la cena delle foto di Criscito, quasi a dimostrare che, sebbene il

difensore della Nazionale non compaia mai negli atti e nelle intercettazioni

acquisite fin’ora, comunque qualcosa c’entra. É sporco.

Un incontro a chiosa della presunta combine in effetti avviene stando agli

atti. Dice l’ordinanza: “il 16/05 lo Sculli era presente a Milano in occasione

del summith ( con la H, testuale) conseguente alla partita Lazio-Genoa, al

quale partecipavano Ilievski, Zamperini Milanetto e Dainelli del Genoa, nonché

Bellavista”.

E Criscito? Non risulta agli atti, ma per la Ġazzetta sì, che trasforma così

l’incontro clou: “Tutti i personaggi coinvolti si sono poi incontrati al

ristorante. Con Sculli e Criscito insieme ai personaggi stranieri coinvolti”.

E se lo dice la Ġazza

Balle Spaziali.

Complimenti a tutti per il mostro in prima pagina, per le foto messe lí dove

si parla d’altro tanto per infamare un po’, per il blitz all’alba del lunedì a

Coverciano con conferenza all’ora del secondo caffè a Cremona a mesi di

distanza dai fatti contestati.

Utile per gli indignados a scatto fisso e riflesso incondizionato, molto meno

per la giustizia.

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CALCIOSCOMMESSE

Gasport - 29-05-2012

Procura di Cremona.

Dall'acqua avvelenata ai siti esteri

L'indagine che ha scoperchiato il marcio

È la Procura che si è trovata a indagare sullo scandalo del calcioscommesse quasi per caso. Tutto nasce dalla denuncia della Cremonese per un presunto avvelenamento ad opera dell’ex portiere della squadra lombarda Marco Paoloni ai danni dei suoi compagni. Da quel momento partono le indagini, le intercettazioni, gli accertamenti.

TRE FILONI Da queste indagini partono i primi provvedimenti. Si comincia con le partite della serie B e della Lega Pro che catalizzano l’attenzione dei procedimenti sportivi dello scorso luglio. Entrano nell’inchiesta anche nomi noti: Beppe Signori, Cristiano Doni. Ma il Procuratore capo di Cremona avverte: «Siamo sollo all’inizio». Ed è buon profeta, meglio sarebbe dire conosce le carte. Un’analisi delle partite e dei flussi di giocate, fatta anche grazie alla documentazione del bookmaker austriaco Sks365, soprattutto sui flussi di scommesse sui siti esteri, porta alla seconda ondata di arresti, e si tratta dell’operazione più importante: Doni, Gervasoni, Carobbio, ma anche tanti stranieri finiscono nelle maglie della giustizia. Un passo importante, cominciano le prime ammissioni, le prime confessioni e l’indagine esplode. Il pm Di Martino lancia una frase (ieri dirà che è stata strumentalizzata): «La Federcalcio pensi ad una amnistia». Apriti cielo. Il mondo dello sport non fa un solo passo indietro e intanto il registro degli indagati della Procura di Cremona

«lievita».

GLI ARRESTI Ieri l’ultima, in ordine di tempo, operazione. Probabilmente gli esperti dicono che manca ancora qualche tassello per poter dire che tutto è finito anche se Di Martino deve ammettere: «Non possiamo andare avanti all’infinito». Purtroppo è anche un allarme, il problema è ben lontano dall’essere circoscritto e ancora meno dall’essere risolto. In attesa che Cremona chiuda l’indagine e passi alle richieste di rinvio a giudizio, si muove il resto d’Italia.

Procura di Bari

Nel mirino dieci partite dei biancorossi

E spuntano le minacce degli ultrà

Tre arresti eccellenti: l’ex capitano del Bari Andrea Masiello e due suoi amici. La Procura di Bari si è mossa soltanto sulle partite dei biancorossi della scorsa stagione. Nel mirino le ultime nove partite della squadra, ormai retrocessa in B, più una di Coppa Italia (Bari-Livorno denunciata sempre da Sks365).E tutto parte proprio da quella partita con le indagini che portano a scoprire come dallo stadio San Nicola siano arrivate telefonate a parenti di affiliati al clan Parisi in giro per l’Italia (soprattutto in Toscana) per le scommesse tra il primo e il secondo tempo.

RICICLAGGIO Il Procuratore capo Antonio Laudati e il sostituto Ciro Angelillis ipotizzano il reato di riciclaggio, ma su questo le indagini che puntano sulla malavita organizzata sono ancora aperte. «Sul calcioscommesse, ci sono varie indagini. Il punto lo faremo alla fine. C'è un coordinamento delle Procure e una delimitazione delle competenze. Poi tireremo le somme». Vicini alla conclusione delle inchieste? «Penso di sì», ha detto ieri Laudati. E Laudati ha già consegnato al Procuratore federale Stefano Palazzi una parte della documentazione, sufficiente per fargli iniziare l’inchiesta sportiva.

IL PRIMO FILONE Tutto si concentra sul derby Bari-Lecce, sulla combine e sui soldi ricevuti da Masiello per quella combine. Una situazione che potrebbe coinvolgere anche la società salentina visto che tra gli indagati c’è anche l’allora presidente Pierandrea Semeraro. Poi ci sono le minacce che i calciatori avrebbero ricevuto dagli ultrà che volevano «partecipare» alle combine per scommetterci (tre finiscono in carcere o ai domiciliari). Ma Masiello non parla solo del derby, arrivano le segnalazione sulle altre partite. Si parla anche di Udinese-Bari. Masiello parla anche di altri suoi compagni tra cui Bonucci (che sarebbe iscritto nel registro degli indagati). Ma anche qui potrebbero arrivare novità nei prossimi giorni.

Procura di Napoli

Le infiltrazioni della camorra nel calcio

Ipotesi di tentato illecito in Samp-Napoli

È la Procura più prolifica di inchieste: sono ben tre i pool che operano a Napoli. Cominciamo da lontano, l’inchiesta più corposa, quella della Dda diretta da Rosario Cantelmo coi sostituti Filippelli e Siragusa. Lavora sulle infiltrazioni camorristiche del clan D’Alessandro di Castellammare di Stabia nel mondo delle scommesse. Un lavoro a talmente ampio raggio che dopo gli arresti di alcune persone (tra cui il calciatore Biancone) per una combine in Lega Pro, lavora sugli sviluppi delle infiltrazioni nei campionati del Sudamerica e della Spagna. In questo filone è stato sentito come indagato anche l’allenatore Hector Cuper. Ma sono molti anche allenatori, presidenti e dirigenti del campionato italiano di serie A. A

breve ci dovrebbero essere novità e la chiusura di una parte dei filoni aperti.

REATI DA STADIO Il pool «reati da stadio» ha l’inchiesta che sportivamente ha un grande interesse. Partendo dalla presenza in campo del figlio di un presunto camorrista, i sostituti che rispondono all’aggiunto Giovanni Melilli, sono arrivati a iscrivere nel registro degli indagati i fratelli Federico e Michele Cossato, Silvio Giusti e l’ex portiere di riserva del Napoli Gianello. Si tratta di un illecito tentato in Sampdoria-Napoli. L’inchiesta è aperta da circa due anni e tra poco dovrebbe anche arrivare a conclusione.

TERZA INCHIESTA Dipenda dai pm Raffaele e Teresi, aggiunto Zuccarelli, l’inchiesta che la Guardia di Finanza di Casalnuovo sta portando avanti sempre sulla infiltrazione camorristica nel mondo delle scommesse. Nell’inchiesta sono finite molte delle partite che sono state «attenzionate» dalla Procura di Cremona. Il cerchio si chiude con la prova che molte partite sulle quali sono state avviate le indagini per combine, sono arrivate alle orecchie della criminalità organizzata campana che le ha sfruttate per riciclare soldi di provenienza illecita.

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Un business da 2,4 miliardi

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 29-05-2012)

Il "Pil" del Calcio italiano Spa è stato, nelle ultime tre stagioni, di 7,2

miliardi di euro. Un giro d'affari che ha risentito soltanto in misura minima

della crisi che ha travolto l'economia europea.

Gli attori del mercato calcistico, variegati per dimensioni e obiettivi, sono

però ancora incapaci di tradurre in utili i rilevanti fatturati per colpa di

una gestione dei costi – specie quelli per gli ingaggi dei tesserati – non

oculata.

Il valore della produzione "aggregato" di serie A, serie B e Lega Pro è stato

di 2.349 milioni nella stagione 2008/09, 2.506 in quella successiva e di

2.477 nell'annata 2010/11.

I ricavi medi dei club della massima serie – come certificato nel "Report

Calcio 2012", il secondo rapporto sulla situazione economica del calcio

tricolore presentato qualche settimana fa da Figc, Arel e

PricewaterhouseCoopers – hanno superato i 100 milioni di euro annui, quelli

delle società di cadetteria i 15 milioni, mentre quelli delle società della

vecchia serie C viaggiano sui 2,5 milioni in prima divisione e sul milione di

euro per la seconda divisione.

Tuttavia, sempre prendendo in esame le ultime tre stagioni le società

professionistiche hanno "bruciato" un miliardo e cento milioni di euro.

Soltanto nell'annata 2010-2011 il rosso è stato di 428 milioni.

Le entrate

Per quanto riguarda le entrate il valore della produzione si è attestato nella

stagione 2010-2011 a quota 2.477 milioni (in calo dell'1,2% rispetto alla

scorsa stagione). Un valore che depurato dai ricavi legati alle plusvalenze da

calciomercato scende poi a 2.033 milioni (-0,8% rispetto al 2009-2010). Nel

dettaglio risultano in diminuzione i ricavi medi per società nella Serie A (-3,1%

rispetto al 2009-2010), nella Lega Pro Prima Divisione (-7, 4%) e Seconda

Divisione (-23%), mentre va in controtendenza la Serie B che ha visto un

aumento dei ricavi medi del 6,3% (da 14,2 milioni nel 2009-2010 a 15,2 milioni

nel 2010-2011). Queste cifre, lette in controluce, confermano la dipendenza

del calcio italiano dai diritti radiotelevisivi e soprattutto da quelli

nazionali.

Questa voce che comunque pesa sui bilanci dei club per 971 milioni. Dalle tv

le 20 squadre di A percepiscono mediamente 41 milioni (53% del fatturato e

solo il 10% dai diritti tv internazionali), quelle della Premier 64 milioni

(48% del fatturato, ma per oltre un terzo legato ai diritti internazionali),

quelle della Bundesliga 28 milioni (31%) e le squadre della Liga 30 milioni

(37%).

Continuano a crescere, in ogni caso, i ricavi da sponsor e attività

commerciali, saliti nel triennio da 317 a 387 milioni. I ricavi medi da

sponsor arrivano per i club di serie A a 17 milioni (22% del fatturato). In

Premier league si incassano per sponsor e merchandising 28 milioni (21% del

fatturato), in Bundesliga 34 milioni (38% del giro d'affari) e in Spagna 19

milioni (24%).

Fanalino di coda tra le entrate delle società di calcio tricolori è quella

dipendente dal botteghino. I ricavi prodotti dallo stadio (biglietti e

abbonamento) coprono solo il 10% del fatturato totale e ammontano tra serie A,

B e Lega Pro a 253 milioni. Nella stagione 2008/09 erano pari a 272 milioni.

Una riduzione determinata principalmente dalla progressiva disaffezione degli

sportivi italiani. Nella scorsa stagione, in serie A gli spettatori sono stati

9 milioni, con una media a giornata di 24mila e una percentuale di riempimento

degli impianti del 59 per cento. Dati sconfortanti se raffrontati con quelli

europei. L'affluenza totale per la Bundesliga è stata di 13 milioni di

spettatori per una media a giornata di 42mila e una percentuale di riempimento

degli stadi pari al 91 per cento. In Premier ci sono stati 13, 4 milioni di

spettatori nello scorso torneo con una media a giornata di 35mila e una

percentuale di riempimento degli impianti del 92. Mentre nella Liga si sono

staccati 14,3 milioni di biglietti con una media a giornata di 28mila e una

percentuale di riempimento degli stadi del 75 per cento.

Le uscite

I costi aggregati del Calcio italiano Spa sono stati di 8,3 miliardi di euro

nelle stesse ultime stagioni. Nel campionato 2010/11 le spese delle oltre 120

società professionistiche sono state pari a 2.881 milioni di euro. l'1,6% in

più rispetto alla stagione immediatamente precedente. Esiste, dunque, un

disequilibrio strutturale che nonostante le promesse e i diktat del fair play

finanziario si fa fatica a correggere. Basti pensare che nel torneo 2010/11 i

costi direttamente collegabili ai "dipendenti" hanno assorbito oltre due

miliardi. Tra stipendi, premi e imposte i club professionistici hanno sborsato

1.450 milioni di euro, e hanno dovuto stanziare per ammortamenti e

svalutazioni per 568 milioni (pari al 20% del totale dei costi).

Più nello specifico sono diminuiti i costi medi per società nella Serie B

(-3% rispetto al 2009/10) e nella Lega Pro Prima (-4,5%) e Seconda

divisione (-27,8%). Invece, sono risultati in crescita i costi medi della Serie

A passati in due anni, da 103 milioni di euro a 115.

Patrimonio dimezzato

Questo disequilibrio gestionale ha provocato un'erosione del patrimonio netto

dei club che a parte l'esempio virtuoso della Juventus, peraltro, non

possiedono stadi di proprietà.

Il patrimonio netto dell'intero sistema calcio professionistico italiano è

calato nel 2010/11 del 50% rispetto alla stagione precedente attestandosi a

202 milioni. Una contrazione dovuta soprattutto al deficit registrato dai club

di Serie A, salito dai 197 milioni del campionato 2009-2010 ai 300 milioni

accumulati al termine della stagione 2010/11. Il patrimonio netto iscritto a

bilancio è ora per la massima serie di 150 milioni. Quello della B di 50

milioni. In Lega Pro prima divisione si scenda a 3 milioni, mentre in seconda

divisione si passa addirittura in territorio negativo (-1).

-------

L'Oscar scaligero del bilancio

Le big in profondo rosso

Milan, Inter, Juventus e Roma in coda alla graduatoria dei conti

di GIANNI DRAGONI (Il Sole 24 ORE 29-05-2012)

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Vince il Chievo. Undici anni dopo essere approdato alla serie A del calcio, il

club veronese guida la classifica virtuosa dei costi per ogni punto

conquistato. Ultime Inter e Milan.

Per ogni punto conquistato nell'ultimo campionato (ne ha fatti 49) il Chievo

ha speso 722mila euro. Il Catania è secondo, 756mila euro a punto. Terzo il

Bologna, 865mila euro. Queste squadre conquisterebbero il diritto a giocare la

Champions League dei virtuosi dei conti.

L'Inter, ultima in questa graduatoria, ha speso poco più di cinque milioni per

ogni punto, ne ha fatti 58. ll Milan, secondo in campo ma penultimo in questa

classifìca, ha speso quattro milioni e 11mila euro. Terzultima la Roma, con

poco più di tre milioni spesi per ogni punto. Per queste tre scatterebbe la

retrocessione.

La Juventus, tornata a vincere lo scudetto sei anni dopo le vergogne di

Calciopoli, ma di nuovo attraversata dai brividi per le indagini dello

scandalo scommesse su Antonio Conte riferite a quando allenava il Siena in B,

è quart'ultima nella graduatoria dei costi riferiti alle prestazioni: due

milioni e 362mila euro spesi per ogni punto.

E una classifìca sostanzialmente rovesciata, rispetto a quella del campo

(scommesse permettendo), la graduatoria elaborata dal Sole 24 Ore. Sono stati

utilizzati dati molto semplici: i costi della produzione dichiarati nei

bilanci dai club di serie A divisi per i punti conquistati (con una

semplifìcazione, i punti sono dell'ultimo campionato, i bilanci dell'anno

precedente). Sono inclusi tutti i costi di gestione, eccetto quelli finanziari

(interessi sui debiti) e oneri straordinari. Qualcuno potrebbe definirla una

classifica lunare, così lontana dai valori espressi in campo. E in effetti lo

è, come è lunare un mondo di scialacquatori che continua a spendere più di

quanto incassi.

Nell'ultima stagione per la quale sono disponibili i bilanci, il campionato

2010-2011 (vinto dal Milan), la serie A nell'aggregato delle 20 squadre ha

accumulato 300 milioni di perdite nette, circa il 18% dei ricavi escluse le

plusvalenze, che sono stati pari a 1.652 milioni, secondo lo studio «Report

Calcio 2012», elaborato dalla PriceWaterhouseCoopers (Pwc) insieme all'Arel e

alla Figc.

Il buco della massima serie in realtà è più profondo, perché le perdite sono

state contenute attraverso le plusvalenze del calciomercato, pari a 348,5

milioni. Spesso le plusvalenze sono realizzate con operazioni tra squadre

della stessa serie A, esclusi i pochi casi di cessioni all'estero, quindi in

un ideale bilancio consolidato della serie A questi guadagni straordinari

andrebbero sommati alle perdite nette dichiarate nei bilanci. Si potrebbe

pertanto affermare che il rosso effettivo della massima serie è di 648 milioni

di euro, cifra composta dai 300 milioni di perdite nette aggregate dei bilanci

dei 20 club più i 348 milioni di plusvalenze.

Questo vale per la stagione 2010-2011. Dell'ultima stagione sportiva non

conosciamo ancora i conti, i bilanci chiudono al 30 giugno prossimo per la

quasi totalità dei club. Alcune squadre seguono l'anno solare e complicano un

po' l'analisi: è stato il Milan ad inaugurare questa deroga alla data del 30

giugno spostando la data di chiusura del bilancio al 31 dicembre quando

Adriano Galliani era presidente della Lega e Silvio Berlusconi presidente del

Consiglio, quindi imitato dalla Fiorentina di Diego Della Valle, dal Genoa di

Enrico Preziosi, dal Torino di Urbano Cairo che ha appena riconquistato la

serie A e altri.

Il calcio ha bisogno di più trasparenza. Questa si migliora anche ristabilendo

una data uguale per tutti per chiudere i bilanci. Come andrebbe anche

stabilito l'obbligo di rendere più tempestive le comunicazioni sui conti. Se

si eccettuano le tre squadre quotate in Borsa (Juventus, Roma e Lazio,

quest'ultima l'unica ieri colpita da un ribasso delle quotazioni -4,8% a 0, 34

euro), i rendiconti sono disponibili al pubblico nell'archivio

Infocamere-Cerved per molte squadre solo dopo sei-otto mesi dalla fine

dell'esercizio.

La graduatoria elaborata dal Sole 24 Ore sui costi per ogni punto non tiene

conto del volume dei ricavi, quindi al virtuosismo del Chievo nei costi

rispetto ai risultati non corrisponde il miglior bilancio in assoluto. Il

piccolo club veronese ha dichiarato 35,9 milioni di euro di ricavi al netto di

plusvalenze e una perdita di circa 300mila euro al 30 giugno 2011.

Nella stagione 2010-2011 solo otto club in serie A avevano il bilancio in

attivo. I conti migliori sono quelli di As Bari (14,2 milioni) retrocessa in B,

Ss Lazio (quasi 10 milioni) e Us Palermo (7,8 milioni), quindi Catania (6,4

milioni) e Napoli (4,2 milioni): l'utile deriva però da plusvalenze per

cessione di calciatori, non dal contenimento delle spese entro la soglia dei

ricavi. L'80% circa della perdita complessiva della serie A è stata causata da

tre squadre, Juventus con il peggior bilancio della sua storia (95, 4 milioni

di perdita), Inter(83,1) e Milan (69,8).

-------

Bundesliga virtuosa

con la regola «fifty-fifty»

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 29-05-2012)

La regola aurea per mantenere i conti in ordine e issarsi nell'Olimpo del

calcio continentale la insegnano in Germania: bisogna resistere alle

tentazioni ed evitare di elargire stipendi e premi ai calciatori per somme che

oltrepassino il 50% del fatturato del club.

Attenendosi a questo principio di prudenza la Bundesliga è diventata in pochi

anni un modello per il calcio europeo. Un modello non solo finanziario, se è

vero che l'anno scorso proprio la Germania ha sopravanzato l'Italia nel

ranking Uefa assicurandosi un posto un più in Champions league (che significa

risorse aggiuntive per l'intero sistema per almeno 25 milioni a stagione).

Il Bayern Monaco che la scorsa settimana ha ceduto solo ai calci di rigore la

Coppa dei campioni al Chelsea dell'oligarca russo Roman Abramovic, può essere

a tutti gli effetti considerato, in quest'ottica, il leader di un calcio più

sano.

Nella stessa Nba, il clamoroso sciopero che fino allo scorso dicembre ha

bloccato l'avvio del torneo, è stato superato con un accordo tra proprietari e

atleti che prevede una ripartizione degli introiti proprio in base alla regola

del "fifty-fifty".

Se i club della massima divisione tedesca spendono per il costo del personale

in media 47 milioni di euro, pari al 51% del giro d'affari, le 20 società di

serie A in media versano ai propri tesserati 60 milioni pari al 74% del

fatturato. Mentre in Spagna ogni team paga 48 milioni in stipendi e premi (con

una percentuale del 59% del giro d'affari).

D'altro canto, più si oltrepassa la soglia del 50% più è facile che i conti

traballino. Anche se i fatturati sono alti e in apparenza ci si potrebbe

permettere di corrispondere compensi ultramilionari. La Premier league, per

esempio, primeggia in Europa con un giro d'affari che al netto delle

plusvalenze vale circa 2,7 miliardi di euro. Ma i club inglesi spendono in

ingaggi in media 85 milioni (pari al 63% del fatturato) e hanno denunciato

mediamente, al termine della stagione 2010, perdite per oltre 25 milioni di

euro.

Le società della serie A hanno registrato in media, nello stesso periodo,

perdite per 12 milioni. In Germania, invece, i deficit mediamente non hanno

superato i 4,3 milioni di euro. Un rosso decisamente invidiabile.

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Adesso fatti e niente show

Non ripetiamo Calciopoli

Se i piedi non sono puliti, il tifoso ha diritto di avere delle sentenze

La cosa peggiore è tirare una riga per arrivare a condanne immediate

di GIUSEPPE DE BELLIS (il Giornale 29-05-2012)

Ora tutti. Le scommesse sono la fine definitiva di qualunque verginità

calcistica: allora i magistrati vadano avanti. Hanno arrestato il capitano

della Lazio, hanno toccato il Genoa, mettono il naso nelle stanze del Chievo e

della Sampdoria, hanno travolto Lecce, Bari, Novara, Atalanta. Arrivano alla

Juve, via Siena. Dicono: «Potremmo andare ancora avanti, ma non possiamo. Ci

fermiamo. Non abbiamo la gente che ci faccia le fotocopie ». E no. Perché

questa storia adesso è troppo grande per non proseguire. Chissenefrega delle

fotocopie: se le facciano da soli. Qui non si scherza più, ammesso che

qualcuno abbia avuto voglia di farlo. Il calcio è una cosa troppo seria per

rimanere sospesa, il tifo è troppo sacro per essere lasciato in balia

dell’irrisolto: se c’è altro, devono continuare. L’Italia sa che cosa succede

quando le indagini puntano solo in una direzione, o in due, o in tre, ma non

in tutte. L’abbiamo visto vent’anni fa con Tangentopoli: si fermarono per non

colpire l’ex Pci e fu la fine dell’inchiesta, la fine della pulizia mai

realizzata davvero. Fu il male di una giustizia che non funzionava e non

funziona. La politica non s’è ancora ripresa, la magistratura neanche: due

decenni vissuti così hanno creato la cultura della diffidenza costante, lo

scontro istituzionale totale, il giustizialismo usato come arma di distruzione

di massa.

Nel pallone è uguale. Calciopoli è rimasta incompleta: abbiamo scoperto a

posteriori che non c’era tutto, che a un certo punto s’era tirata una riga per

arrivare alle sentenze in fretta. Questo ha creato il caos: sei anni dopo

siamo ancora qui a parlarne, interisti e juventini si scannano tra scudetti

revocati e non assegnati, oppure dati a tavolino. Se dai un alibi al tifoso è

finita: c’è sempre un teorema, c’è la dietrologia, c’è la sindrome del

complotto. Allora non ci si può fermare. Se le scommesse sono il demone che si

sta mangiando lo sport si deve raschiare tutto, bisogna dragare ogni sospetto.

Seriamente e veramente. Non basta coinvolgere un big, altre due squadre

importanti di A, e così convincersi che l’operazione è riuscita. Così si

arriva sui giornali e in tv, non alla verità. Non serve neanche la

spettacolarizzazione folle da reality: il blitz nel ritiro della Nazionale a

Coverciano è un’idiozia inutile. Serve a dire: ci siamo, eccoci. Ma che cosa

potrà mai custodire nell’armadietto della sua stanza un giocatore? Nulla. Però

fa scena. È come in quei film, dove per fermare il ladro di caramelle arrivano

con l’elicottero e con i cecchini sui tetti. Il risultato ottenuto è che

Domenico Criscito (indagato) non andrà agli Europei. E poi? Qui non bisogna

giocare a fare i commissari tecnici, non ci sono toghe che devono decidere la

formazione della Nazionale. C’è da scoprire se, chi, come, dove, quando e

quanto ha truffato i tifosi. Suoi e di altre squadre. Fatti, non show.

La gogna è il vizio dal quale non si esce ed è anche il limite della

magistratura. Quella maledetta voglia di dimostrare di essere Stato

trasformando in colpevoli tutti quelli su cui si indaga. I calciatori sono

detestati perché avidi, ricchi, ignoranti, sbruffoni. Farli passare per

truffatori e criminali è facile. Però dev’essere vero. Il tifoso è più saldo

dell’elettore: chi si sente tradito da un partito, la prossima volta vota

qualcun altro. Il tifoso non cambia amore: s’indigna fino ad arrivare all’odio

nei confronti del calciatore che gioca contro la propria squadra. Perché

quello è l’infame. Ce ne sono già diversi così. C’è persino chi ha ammesso,

c’è chi ha parlato di quanto prendeva per aggiustare una partita. Per gli

altri serve serietà: forse è vero che il calcio fa schifo tutto e forse è vero

che i venduti sono molti di più di quanto si pensi.

Ecco: bisogna togliere quel forse. Perché non ci possono essere cose in

sospeso in questa vicenda che sta ammazzando il pallone. I conti vanno chiusi,

senza trovare colpevoli facili e senza la presunzione di pensare che punendo

un gruppo gli altri capiscano com’è lastoria: la giustizia che deve educare fa

molto regime. Il calcio ha bisogno di certezze, non di nuovi appigli per

giustificare le proprie rivalità. Avremo un campionato sconvolto. Non sapremo

fino all’ultimo quale squadra giocherà in quale serie. Avremo punti di

penalizzazione a pioggia, dati come quando il nonno estrae i numeri della

Tombola a Natale. E questa è già una condanna, per tutti.

-------

il Giornale 29-05-2012

poi scivolano su una buccia di banana pure qua

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Mi dispiace davvero non aver salvato questa pagina dal blog Colpo di reni, ieri sera.

Roba vergognosa. E' rimasto solo l'incipit del feed ricevuto. Le foto e le didascalie

erano da denuncia.

Il calcioscommesse in foto…

Criscito perquisito a Coverciano e fuori dalla Nazionale, Bonucci indagato e

rischia anche lui gli Europei, perquisita l’abitazione di Conte. «Ma sia

chiaro, la Juve non c’entra». «Avevo scommesso che se Amauri fosse riuscito a

segnare mi sarei messo un …

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Il pallone, la salute e il denaro

Contro la retorica anti-monetaria: il calcio sta benissimo, e ha bisogno di soldi e investitori

di DAVIDE COPPO (Studio 28-05-2012)

Ciclicamente ritornano: sono tempi gravidi per la retorica del “calcio malato”,

del “pallone sgonfio”, delle metafore vetuste di uno sport corrotto dal

business, dal vil danaro, dalla speculazione e dalle scommesse. Tra un odierno

Criscito mediaticamente colpevole (garantismo, questo sconosciuto) e un Buffon

connivente, su La Lettura del Corriere della Sera di domenica ha trovato

spazio un articolo sulla forbice della ricchezza nel mondo dei club, «i ricchi

sempre più ricchi, e i poveri restano ultimi» il sottotitolo eloquente.

Messaggio subliminale, invece, è quello dell’abbruttimento di un gioco

trasformatosi in puro affarismo, in cui sceicchi e oligarchi la fanno da

padroni riducendo la competizione meramente sportiva ai minimi termini. La

sconfitta del Bayern Monaco nella finale casalinga dovrebbe esserne il massimo

insegnamento. Gli imputati principali, manco a dirlo, il Manchester City e il

Chelsea.

Roman Abramovic acquistò il Chelsea nel 2003, si dice dopo aver apprezzato la

vista di Stamford Bridge durante un tragitto in elicottero, investendo

sessanta milioni iniziali in una squadra che in novantotto anni di storia

aveva in bacheca un campionato, tre FA Cup e poco altro. Con gli innesti di

Mourinho, Drogba e altri Abramovic creò un team capace di interrompere il

dominio del Manchester United per due anni consecutivi (tornando a vincere poi

nel 2009/10 con Ancelotti), conquistare quattro secondi posti e la

qualificazione per la Champions League per nove anni di seguito. Creò,

sostanzialmente, un nuovo competitor. Lo stesso è accaduto a Manchester, dove

i cugini scarsi della Juventus d’Inghilterra sono stati rilevati da Mansour

bin Zayed Al Nahyan dopo una storia decennale fatta di sconfitte, pochissimi

onori e qualche visita alla Second Division. Quest’anno è arrivato il primo

posto in Premier League, non accadeva dal 1968. Ma nel modo in cui Chelsea e

City hanno vinto le rispettive competizioni c’è qualcosa che non ha a che fare

con i soldi, qualcosa che rende il calcio una disciplina che spesse volte

mantiene pochi appigli con la nozione così riduttiva di intrattenimento: il

City sembrava completamente padrone del destino, suo e del Manchester United,

fino a quel maledetto uno-due del Queen Park Rangers. Il trionfo con il

pareggio di Dzeko e il sorpasso di Aguero nei minuti di recupero non ha nulla

a che fare con i 400 milioni investiti dallo sceicco, ma con l’imprevedibile

assurdità del pallone. È retorica anche questa, ma spettacolare, e positiva.

Il capitolo Chelsea, poi, è la dimostrazione di quanto i soldi, se disuniti

dalla competenza e dalla pianificazione, possano non fare affatto la felicità.

Sesto posto in campionato, una accozzaglia di presunti ex-campioni, età media

alta, un allenatore inadatto (AVB, of course) e una serie di incidenti di

percorso superati rocambolescamente: il 3-1 al San Paolo di Napoli, il

parziale 2-0 al Camp Nou, lo stesso 1-0 dell’Allianz Arena. Il Chelsea era la

più improbabile delle cenerentole, nonostante la presidenza milionaria, di

tutta la Champions League 2011/12. La spettacolare vittoria negli ottavi di

finale, l’impresa catenacciara contro la squadra più forte del mondo, la

perfezione tattica messa in campo in finale, senza John Terry, con Bertrand

entrato nella storia come unico giocatore ad aver esordito in una finale di

Champions League, la rimonta, i rigori. Come scrive su Grantland Brian

Phillips, i blues hanno conquistato l’Europa grazie alla stessa

imprevedibilità che avevano cercato di eliminare con i milioni del loro

presidente. Seguendo la metafora biblica di Pellizzari sul Corriere, il

Chelsea era allora Davide, con Barcellona prima e Bayern Monaco poi a vestire

i panni di Golia. La profonda e stupenda ironia sta nella vittoria delle

seconde linee, dei panchinari, dell’allenatore precario e traghettatore. La

vittoria del caso, della fortuna e del cuore, e non la vittoria del denaro.

Sulla meschina sporcizia della banconota, poi, ci sarebbe da aprire un altro

capitolo. «Se Davide non batte mai Golia (…) il calcio inizierà a perdere

appassionati, insieme alla sua essenza» si legge nell’articolo. Ma gli

appassionati, il seguito di pubblico, si mantengono (e si accrescono) anche e

soprattutto grazie all’investimento monetario, ai servizi offerti, alle

infrastrutture che necessitano, più che mai in questo campionato che un tempo

si vantava di essere il più bello del mondo, di migliorie; la Juventus ne è

l’esempio lampante: stadio, tifo, vittorie. Ma se ne rende benissimo conto

anche Pellizzari, quando, a fondo pagina, indica il modello Bundesliga come

quello da seguire: «Con i suoi splendidi stadi nuovi e sempre pieni, costruiti

per il Mondiale 2006, e le sue squadre multietniche e autosufficienti quello

tedesco è il modello che fa e dovrebbe fare scuola». Tralasciando

l’esaltazione della multietnicità del campionato teutonico in evidente

contraddizione con una traballante critica alla Premier League («La nazionale

inglese, teoricamente espressione di uno dei due campionati migliori del mondo,

è piena di calciatori di livello medio, perché le squadre principali sono

piene di stranieri»), c’è da convenire almeno nell’ammirazione per le finanze

del Bayern Monaco, da 19 anni in ordine.

In definitiva, il calcio non può guardare al denaro come allo sterco

dell’immancabile diavolo: il calcio del denaro ha bisogno, come ha bisogno di

investitori, sponsor e infrastrutture adeguate all’epoca. È ovvio e scontato

che un fair play finanziario sia necessario, ma per favore non crocifiggiamo

gli imprenditori che investono: ditelo al Napoli prima di De Laurentiis, al

Malaga, anche al Palermo o al Parma che i soldi fanno male. Erano tutte

piccole, ora non lo sono più, e possono ragionevolmente puntare a traguardi

più o meno ambiziosi. La bellezza riesce sempre a venire fuori: lo dimostrano

le lacrime di Drogba, l’esaltazione di Mancini, le strade piene di passione di

Manchester e Londra, le due squadre che dovevano essere ciniche schiacciasassi

e sono diventate vincitrici folli e rocambolesche. Hanno vinto come vincono

tutti, da sempre.

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INCHIESTA ABRAMOVICH CON IL CHELSEA HA

IMPIEGATO QUASI 10 ANNI A VINCERE LA CHAMPIONS.

NEL FRATTEMPO IL FENOMENO DEI PROPRIETARI

EXTRA UNIONE EUROPEA SI È MOLTO DILATATO

UN QUINTO

D'UROPA

IN MANI STRANIERE

Nelle 8 leghe più importanti della Ue (9.517 milioni

di fatturato) hanno un proprietario extra Ue 18 club

su 144, per 1.913 milioni di fatturato. Ecco come

la crisi dell'euro sta alterando i rapporti di forza

di MARCO IARIA (EXTRATIME 29-05-2012)

Quando Roman Abramovich, sorvolando Londra in elicottero, rimase folgorato

dallo Stamford Bridge e decise d'acquistare il Chelsea, l'Europa era ancora

una tabula rasa. Sì, l'egiziano Mohammed Al Fayed aveva condotto il Fulham

dalla terza serie alla Premier, ma il suo sogno di farne il «Manchester United

del Sud Inghilterra» era rimasto nel cassetto. Dal 2003, primo anno d.A. (dopo

Abramovich), tutto è cambiato: il Vecchio Continente è diventato il terreno di

caccia preferito di magnati (o presunti tali) stranieri, che sono arrivati a

detenere un quinto della ricchezza del pallone. Negli 8 campionati di prima

divisone più importanti dell'Unione Europea, 18 società su 144 vantano un

proprietario o un azionista di maggioranza col passaporto extra Ue: il giro

d'affari annuo che producono, 1.913 milioni, è pari al 20% dei 9.517 milioni

generati complessivamente da quei tornei.

La bacheca si riempie

Business, visibilità, geopolitica, pura vanagloria: i pretesti sono i più

disparati, dirompente è l'effetto sui rapporti di forza. Perché a quasi un

decennio di distanza, una squadra (il Chelsea) si è laureata per la prima

volta campione d'Europa, un'altra (il Manchester City) ha conquistato la

Premier dopo 44 anni, un'altra ancora (il Malaga) ha brindato allo storico

ingresso in Champions (seppur ai preliminari). L'equazione straniero uguale

spendaccione non vale sempre, ma la globalizzazione combinata alla crisi

dell'euro rende già vecchio il ciclone Abramovich. Se è vero che l'oligarca

russo ha ridimensionato i fasti dei primi tempi, i petro(gas)-dollari

provenienti dal Medio Oriente stanno alzando l'asticella delle spese per

trasferimenti e stipendi. Il City dello sceicco Mansour ha mandato in archivio

il deficit più elevato della storia del calcio d'élite: 218 milioni di euro.

Oltremanica, nel cuore della finanza, sotto il vessillo della lega più seguita

al mondo, sono transitati pure thailandesi, serbo-americani, islandesi. Metà

Premier è in mani forestiere: 10 club su 20, non lontani dal quorum di 14

necessario per riformare il campionato, tanto da far dire al presidente

dell'asso-allenatori inglesi, Richard Bevan, che tra di loro «stanno già

discutendo sull'eliminazione di promozioni e retrocessioni». Nel 2012-13 il

Blackburn della multinazionale indiana Venky's, caduto in Championship,

verrà rimpiazzato dalla matricola Reading del russo Anton Zingarevich.

Una preda facile

In Spagna 3 ingressi negli ultimi 2 anni, e un'ulteriore spinta potrebbe

arrivare dal crac della Liga e dell'economia nazionale. L'economista José

Maria Gay de Liébana, docente all'Universidad de Barcelona, spiega a

Extra Time: «In Spagna ci sono solo due veri giocatori, il Real e il Barça, e per

un prezzo relativamente conveniente si può entrare. La crisi del debito che vive

il Paese e la debolezza dell'economia favoriscono gli investimenti esteri.

Diversi club della Liga sono al centro di possibili operazioni: interessati

gli arabi ma anche i cinesi». Le prede più facili sono quelle in difficoltà

con i conti, come in Scozia i Glasgow Rangers: nella cordata guidata da

Charles Green, che sta tentando di salvarli, ci sono un indonesiano e un trust

di Singapore.

La diversità americana

Intrecci molto più complessi alla base dell'avvento degli Al Thani in Francia.

Dopo aver sborsato subito 100 milioni per Pastore & Co., il Psg potrebbe

seguire le orme del City. Un'incommensurabile immissione di liquidità nel

sistema calcio per diversificare gli affari, tessere alleanze, accreditarsi

politicamente. In questo, i patron arabi nulla hanno da spartire con i

colleghi a stelle e strisce. I businessmen alla Kroenke (Arsenal) e Henry

(Liverpool) inseguono profitti. Se Mansour, in 4 anni, ha speso nel City 1, 2

miliardi (incluso il progetto del nuovo campus), il contestatissimo Malcolm

Glazer è ricorso nel 2005 al leverage buyout per prendersi il Manchester

United: ha chiesto i soldi alle banche, scaricando sulla squadra un debito da

oltre 700 milioni. E ora spera d'incassarne altrettanti collocando il 30%

delle azioni nella Borsa di Singapore. Lo spettro che s'aggira per l'Europa è

multiforme: spendi, spandi... oppure speculi.

-------

I BANDITI

NON SEMPRE È TUTTO ORO

I CASI POMPEY E XAMAX

di MARCO IARIA (EXTRATIME 29-05-2012)

Non è tutto oro ciò che luccica. Ne sa qualcosa il Portsmouth: il Pompey è

sprofondato dalla Premier alla League One e finito due volte in

amministrazione controllata dopo essere passato di mano dal serbo-americano

Milan Mandaric al franco-russo Alexandre Gaydamak, all’emiratino Sulaiman Al

Fahim, al saudita Ali Al Faraj, al businessman di Hong Kong Balram Chainrai,

al russo Vladimir Antonov, poi in manette. Dall’ex premier thailandese

Shinawatra al City in giù è lunga la lista dei fallimenti forestieri.

L’iraniano Majid Pishyar guida ora la portoghese Beira-Mar; in precedenza

aveva fatto cadere l’Admira Wacker in Regionalliga (terza serie austriaca) e

ridotto sul lastrico il Servette. Proprio in Svizzera il Neuchâtel Xamax è

stato escluso dalla Super League ed è andato in bancarotta: il proprietario

Bulat Chagaev e il n.2 Islam Satujev, entrambi ceceni e arrestati, pare che

prelevassero i soldi dalle casse del club per finanziare le associazioni

islamiche locali.

-------

DOVE NON SFONDANO

LA GERMANIA NON SI SCALA

LA SPAGNA CORRE AI RIPARI

di MARCO IARIA (EXTRATIME 29-05-2012)

Un sondaggio di Havas Sports & Entertainment ha rivelato che il 63% dei tifosi

europei è contrario ai proprietari stranieri: non hanno a cuore il bene

primario della squadra o, peggio, se ne vanno lasciando tutto nel caos. E poi,

aggiunge il Ceo della Bundesliga Christian Seifert, «hanno un conflitto di

interessi con le nazionali dei Paesi d’origine». La Germania ha eretto una

barriera contro le «invasioni barbariche». Lì vige la regola del 50%+1: le

società sono in mano ad associazioni legate al territorio, che detengono la

maggioranza dei voti ed esercitano un controllo sul club. Così il giordano

Hasan Ismaik s’è dovuto accontentare del 49% del Monaco 1860, tenendo in

tasca un altro 11% di azioni senza diritto di voto. In Spagna Real, Barcellona,

Osasuna e Athletic Bilbao sono cooperative possedute dai soci-tifosi, ma non

basta. Florentino Perez ha proposto di cambiare lo statuto per evitare che uno

sceicco possa scalare la società col supporto di un gruppo di soci (che

eleggono i dirigenti).

-------

Decatrends di ALESSANDRO DE CALÒ (EXTRATIME 29-05-2012)

NON CONTA LA PROPRIETÀ

È IMPORTANTE LA QUALITÀ

Abramovich, City e Psg sono un problema ma anche uno stimolo per migliorare il calcio

Ci sono linee di tendenza contro le quali opporsi non è sbagliato: è inutile.

Travolgono ogni ostacolo, seguono percorsi che disegnano il presente e

annunciano schegge di futuro. Possiamo solo registrarli. Da anni la Rolls

Royce, sinonimo del made in England, è nelle mani tedesche di Bmw. Altro

marchio britannico: la Rover, quella delle jeep più famose del mondo, è sotto

il controllo degli indiani. Ci sono percorsi di andata e ritorno, come la

griffe di Valentino, significativo esempio di made in Italy: venduto a una

casa tedesca alla fine degli anni Novanta, è tornato in mani italiane

all'inizio di questo secolo.

Possiamo stupirci se diversi club del calcio che conta sono terreno di

conquista per miliardari russi, sceicchi arabi o uomini d'affari

nordamericani? Nessuno stupore. La tendenza c'è, conviene considerarne

gli effetti. Si calcola che Abramovich, in una decina di anni, abbia speso due

miliardi di euro per prendere giocatori e tecnici (pensate a Villas Boas) e per

pagarne gli stipendi. Certo, ha alzato l'asticella dei prezzi e dei compensi,

mettendo in difficoltà qualche concorrente, ma ha anche distribuito soldi a

palate. Il Porto — per dire — non può lamentarsi. Ma pure chi gli ha venduto

David Luiz e Torres, ha finito col rimettere in circolo un po' delle milionate

ricevute.

Ci sono correnti diverse, dentro alla stessa tendenza. Quella del flusso dal

Nord America — attratta dal ritorno di Londra al centro finanziario della

scena mondiale — si è inaridita con la crisi. Gli sceicchi, invece, hanno

un'altra marcia. Manchester City e Psg sono una bella scommessa e non

solo perché il loro progetto parla un po' di italiano. Possono toglierci qualcosa

ma anche aggiungere stimoli per migliorare il calcio di alto livello.

Aspettiamoci l'arrivo di cinesi e indiani, sapendo che anche in queste sfide

può esserci un'andata e un ritorno, e non necessariamente in rosso, come

per Valentino.

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BIBLIOTECA

Il doping tra diritto e morale

della redazione del CorSport 29-05-2012

Proseguendo nel suo viaggio sul doping nello sport, Sergio Rizzo - per anni

vicedirettore del nostro giornale - affronta il tema ancora una volta dal

punto di vista morale. Non manca un ampio studio giuridico (tra leggi dello

sport e leggi dei Paesi che considerano il doping un reato penale) con

interventi di Raffaele Guariniello, Alessandro Donati e del compianto Gianni

Benzi. Ma “Il doping tra diritto e morale”, che segue di sei anni l’opera

precedente di Rizzo (“Bioetica e sport”), va oltre quelli che sono gli

argomenti più usuali, e non si limita a parlare di tutela della salute e di

regole (dello sport) da rispettare.

Il tema base è che il doping sarebbe da rifiutare anche se - per assurdo -

non facesse male alla salute. E uno sport che liberalizzasse il doping sarebbe

peggiore di quello che oggi lo combatte con grande difficoltà e dopo molti

ripensamenti.

Perché vietare il doping solo agli atleti e non agli artisti e, in generale,

alle altre categorie di lavoratori? Perché oggi è possibile rifiutare le cure

ma non utilizzare liberamente i farmaci? Perché non sfruttare nello sport le

opportunità offerte dalla scienza e dalla tecnica, opportunità che ci

permettono di vivere più a lungo e in modo migliore?

Il libro cerca di rispondere a queste domande, in parte antiche, in parte

recenti. Il tentativo è quello di esaudire tutte le richieste, soprattutto

quelle provenienti dal mondo anglosassone, per il quale il principio di

autonomia non può mai essere violato, a meno che non si rechino danni a terzi.

Passando in rassegna il pensiero dei filosofi che si sono occupati del

problema (da Kass a Sandel, da Harris ai maggiori bioeticisti italiani), il

libro propone alcune soluzioni. In particolare: il doping è vietato dallo

sport ed ogni individuo, quando inizia la sua carriera agonistica, accetta

questa regola liberamente; chi si dopa viola l’autonomia di chi ha deciso di

fare sport senza ricorrere a farmaci vietati ed è poi costretto ad assumerli

per essere competitivo; se il doping fosse liberalizzato, la ricerca

scientifica avvantaggerebbe gli atleti dei Paesi o dei club più potenti,

creando un’ulteriore e determinante discriminazione.

La conclusione definitiva è che lo sport di oggi deve “laicizzarsi”,

smettendola di considerarsi una sorta di religione civile. Da questo punto di

vista, una svolta fondamentale è arrivata dal caso Pistorius, un’altra

decisiva arriverebbe dall’applicazione della tecnologia in tutti gli sport

professionistici (in particolare il calcio).

___

L’intervista Parla il sostituto procuratore di Torino ieri in Puglia per un libro sul doping

Al convegno con Guariniello:

«È bene fare un po’ di pulizia»

di GINO MARTINA (Corriere del Mezzogiorno - Bari 29-05-2012)

BARI — L’occasione per incontrarlo è stata la presentazione del libro «Il

doping tra diritto e morale: le norme giuridiche e le riflessioni bioetiche

sul fenomeno che avvelena lo sport» di Sergio Rizzo, vicedirettore del

Corriere dello Sport, ieri, nella sala Murat di piazza Ferrarrese a Bari.

Raffaele Guariniello, sostituto procuratore di Torino, alla fine degli anni

Novanta è divenuto celebre per aver condotto le indagini e l'accusa nel

processo sull’abuso di farmaci nel mondo del pallone e in particolare sulla

Juventus vincente di quel decennio. Con Guariniello è intervenuto Antonio

Laudati, procuratore capo di Bari. La presentazione del libro è stata

organizzata dalla fondazione Benzi, nell’ambito della tre giorni «Arte e

scienza insieme contro il doping» che si concluderà domani. È il giorno degli

arresti e delle perquisizioni decisi dalla Procura di Cremona per il

calcioscommesse.

Dottor Guariniello, per gli appassionati di calcio è un brutto momento.

«Credo sia invece un buon momento. È positivo che arrivino queste inchieste.

Vuol dire che qui si cerca di fare almeno un po’ di pulizia e chiarezza ».

Perché, altrove non accade?

«Sono convinto che la corruzione, le scommesse illegali e il doping esistano

anche in altri Paesi. Ma in Italia la magistratura controlla maggiormente. C’è

più possibilità che si arrivi alla verità e che il sistema rimanga il più

possibile pulito».

Lei ha conosciuto dirigenti e giocatori, crede che il mondo del calcio

non sia pulito?

«Sono convinto che il calcio sia un gioco ancora sano. E che ciò che non sia

corretto vada fatto emergere. Per il resto è un mondo molto chiuso in se

stesso. Con delle dinamiche proprie, non sempre facili da comprendere».

Alcuni pensano che questa serie di provvedimenti giudiziari siano

esagerati.

«Un magistrato, se arriva a emettere certe ordinanze vuol dire che è in

possesso di elementi concreti, importanti e determinanti».

Tra doping e calcioscommesse qual è il male maggiore?

«Il doping. Perché ha a che fare con la salute e la vita delle persone. Ed è

quello su cui più si deve impegnare la magistratura ordinaria».

È ancora presente il doping nel calcio?

«Sì. Il problema è che si evolve ed è difficile individuarlo. Bisogna creare

una super procura italiana per debellarlo».

Lei è un appassionato di calcio?

«Certo. Ho anche giocato da ragazzo a discreti livelli».

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Il caso

Giovedì il processo-farsa

Giudicati solo i pentiti?

Appuntamento con la prima fase processuale della federazione

sul calcioscommesse legato alla serie B: sette imputati sono

in carcere e non possono partecipare, si rischia la sospensione

di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 29-05-2012)

ROMA - Giovedì 31 maggio rischia di essere celebrato il processo-farsa del

calcio: sette imputati sono in carcere (fra questi il sampdoriano Bertani,

Acerbis, eccetera) e non possono certo presentarsi all'ex ostello della

Gioventù, al Foro Italico. Stefano Palazzi, come noto, ha deferito 22 club

(tra cui tre di A: Atalanta., Siena e Novara) e 61 tesserati. Ma adesso, dopo

il blitz di Cremona, le cose si complicano maledettamente e la fretta della

Figc di fare subito un processo, per dare un segnale, potrebbe costringere la

Disciplinare a rinviare le udienze e trovare un nuovo calendario (quando non

si sa). Gli avvocati dei calciatori arrestati infatti sono pronti a chiedere

lo stralcio, per difetto di difesa. Che fare, allora? Giudicare solo gli

altri? Situazione quasi grottesca, complicatissima. Si sa che, per la prima

volta, almeno una quindicina di imputati (fra cui Micolucci Passoni, Conteh,

Ferrario, eccetera) chiederanno il patteggiamento: bisogna vedere che ne

pensano sia l'accusa (Palazzi) che la commissione disciplinare presieduta da

Artico. Sarà il processo solo ai pentiti del calcio? Una caos totale: conviene

rinviare. Anche se i tempi ormai saranno molto ristretti e si rischia di

finire con i processi al calcioscommesse in agosto (ma viene escluso, al

momento, il rinvio del campionato). Intanto la Figc si è impegnata a chiarire,

sempre se fosse necessario, la posizione della Juventus davanti all'Uefa: il

club bianconero non rischia quindi di saltare la prossima Champions League,

partecipazione che si è conquistata meritatamente sul campo. La norma del

"trascinamento" che ha coinvolto anche la Sampdoria per Bertani (proveniente

dal Novara) è fortemente contestata infatti da tutti gli avvocati esperti di

diritto sportivo: potrebbe portare solo ad un'ammenda. Da verificare invece

ancora la posizione di Antonio Conte: ci sono riscontri a suo favore anche se

è indagato a Cremona per associazione a delinquere. Delicatissima invece la

situazione del Siena, club accusato per molte partite.

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Una totale sospensione di questo gioco

di LUCA SOFRI dal blog Wittgenstein 29-05-2012

Se ne accorgerà anche qualcun altro, ma per ora non vedo nei commenti alle

parole di Mario Monti sull’inchiesta nel calcio una riflessione semplice

semplice: ovvero che l’idea della sospensione per due anni di un sistema che

si dimostra palesemente inadeguato e contaminato da irregolarità e

malfunzionamenti – il commissariamento, insomma – è esattamente quello che

ha portato Monti a essere oggi Presidente del Consiglio. Non stupisce che voglia

replicare la soluzione.

___

IL GRAFFIO di Emilio Marrese (Repubblica.it 29-05-2012)

Autogol

Avvisare Monti che se toglie il calcio agli italiani,

poi si accorgono che c'è lui al governo

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il cazzzzzzo di ricorso al TAAAAAAAAAAAAAARRRRRRR!

Voglio aggiornamenti *****aaaaaa.

E quando stra C***O comincia il processo d'appello a MOGGI??????

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Il codice (pat)etico

di ROBERTO BECCANTINI dal blog Beck is Back 29-05-2012

Domenico Criscito no e Leonardo Bonucci sì ribadiscono quanto il confine tra

etica ed etichetta sia labile e subdulo. Un avviso di garanzia con

perquisizione in camera (a Coverciano) batte, dunque, un avviso di garanzia

(spiccato e non arrivato): l’importante è saperlo. Avrei portato Criscito,

scritto ieri; e per la proprietà transitiva della logica, anche Bonucci. Nel

rispetto totale di coloro che non la pensano come me – e, quindi, avrebbero

bloccato entrambi per questioni di opportunità, di morale o quant’altro –

credo che Cesare Prandelli abbia adottato la scelta sbagliata.

La voce del popolo non sempre è la voce di Dio, ma è chiaro che la cesura del

ct fomenterà pissi pissi da bar sport, Bonucci è della Juventus e Criscito lo

era, Bonucci è un pesce e Criscito un pesciolino. Non toccare il tasto della

presunzione di innocenza – che, viceversa, andrebbe pigiato, sempre –

significa mettersi dalla parte del torto, a maggior ragione di fronte a una

decisione così politica e così ipocrita. La «pressione disumana» con la quale

Cesare aveva addobbato l’Europeo di Criscito, per giustificarne l’esclusione,

ha tutta l’aria di un alibi cucinato al volo e al dente, su ricetta di

Giancarlo Abete.

Cesare resta un allenatore che studia il calciatore attraverso l’uomo.

Lo avrei gradito più coraggioso: o tutti dentro o tutti fuori; sia che l’uno,

Criscito, abbia ricevuto l’avviso di garanzia, e l’altro, Bonucci, non ancora;

sia che il reato contestato al secondo risulti meno grave di quello notificato

al primo.

Siamo alle solite: gli esempi che vengono dall’alto – e in questo caso,

l’alto è Prandelli – lasciano spazio alle capriole dell’incoerenza e alle

acrobazie del codice (pat)etico. Tutto il mondo ride di noi. Come alla vigilia

dei Mondiali 2006, ultima stampella alla quale aggrapparci.

___

CORSIVO da LINKIESTA 29-05-2012

Bonucci, ovvero la giustizia secondo Prandelli

La legge non è uguale per tutti, almeno per Cesare Prandelli. Per il ct della

Nazionale un indagato non equivale a un altro. Ma se per Criscito l’arrivo di

un avviso di garanzia si traduce in un’esclusione dal gruppo per gli Europei

(con tanti saluti alla presunzione d’innocenza); di fronte a Bonucci, invece,

si fa quadrato e lo si porta in Polonia. Come mai per lui la presunzione

d’innocenza vale? Pare che la motivazione sia meramente burocratica: allo

juventino l’avviso di garanzia non è formalmente arrivato. Ah, vabbè, allora

cambia tutto. Di fronte ai valori, al senso di giustizia, non possiamo che

inchinarci.

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Nuova puntata di calcioscommesse, con arresti e indagati. Eppure...

Questo calcio duro a morire

di UMBERTO FOLENA (Avvenire.it 29-05-2012)

Partite pilotate, ancora. Scommesse con il trucco, un’altra volta. Calciatori

in manette, e dai. Blitz dei carabinieri all’alba, se possibile alla vigilia

di qualche importante evento sportivo per aggiungervi drammaticità, già visto.

L’ennesimo fattaccio legato al calcio si sta consumando secondo un rito

consueto. Esecrazione verso i presunti rei: guadagni da nababbi, popolarità

alle stelle, eppure a loro non basta, la fame di denaro innesca una deriva

bulimica: di più, di più, di più; e con ogni mezzo, a costo di rompere il

giocattolo che certamente hai amato, un remoto giorno nel passato; e ora

tradisci come il peggiore degli amanti. E poi: speranza, cinica, che la

propria squadra se ne tragga immacolata e le squadre altrui ne escano luride;

la falsa promessa – «basta calcio, non vedrò più una partita in vita mia, sono

disgustato!» – di chi a fine agosto sarà di nuovo lì a gioire e patire con gli

occhi fissi al rettangolo verde.

In realtà, questo ennesimo atto della periodica rappresentazione del marciume

pallonaro è diverso dal passato. C’è qualche grosso nome, ma i veri grossi

nomi non sono coinvolti; e se lo spettacolo s’è avvantaggiato del raduno degli

Azzurri a Coverciano, alla vigilia degli Europei, con perquisizioni – a che

scopo? – nelle stanze di qualche giocatore, di diverso c’è la piena

collaborazione di chi, tesserato venuto a conoscenza di presunti reati, ha

rotto l’omertà e ha sporto denuncia. Insomma, la sporcizia potrebbe esserci

(condizionale di prudenza, mai eccessiva), è diffusa, ma non generalizzata.

Chi ama davvero il calcio chiede scusa agli «agnostici» per il disturbo,

scuote il capo ma non si scompone. Il gioco ha radici troppo profonde nel

cuore delle società, non solo dei singoli individui, per essere abbattuto

dalla miserabile grandinata di un’alba di fine maggio. Proprio perché vibra

nelle corde misteriose e profonde dei popoli, a capirlo e spiegarlo meglio non

sono sociologi o psicologi, ma scrittori e poeti. Come Jorge Luis Borges:

«Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì comincia

la storia del calcio». Che cosa volete che importi a quel bambino, ai mille

diecimila centomila bambini che in questo momento prendono a calci un pallone

di cuoio o di stracci, o un barattolo vuoto, di Mauri e Doni e degli altri

presunti «spacciatori di scommesse»? Per quanto gli sciagurati provino ad

ammazzarlo, e i denigratori godano di tanto micidiali mazzate, se Pier Paolo

Pasolini aveva ragione quarant’anni fa, figuriamoci adesso: «Il calcio è

l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo». Una sacralità laicissima,

ma come non intravedere le modalità del rito (profano) nella folla che si

avvia allo stadio-santuario a celebrare la partita, o s’incolla davanti al

televisore-totem, e si riversa in strada in sciami di pellegrini festanti in

caso di vittoria?

Con buona pace dei ragionevoli e saggi agnostici e miscredenti pallonari, il

calcio resisterà anche a questa buriana, imparando – è la speranza – a

proteggersene meglio. E magari a coltivare una dote troppo rara tra calciatori,

allenatori, dirigenti e giornalisti (ah, i talk show!): l’ironia. Quella di

cui era maestro il nazionale scozzese e mitico allenatore del Liverpool, Bill

Shankly: «C’è chi dice che il calcio sia questione di vita o di morte: non

concordo con questa affermazione; posso assicurare che è una questione molto,

ma molto più seria». È chiaro perché per liquidare il calcio non bastano i

blitz all’alba e le manette a un calciatore o i sordidi maneggi per pilotare

partite di serie B? Ma se ancora coltivassimo in cuor nostro un dubbio,

passiamo di fianco al campetto di un oratorio, un pomeriggio di sole; i

ragazzini che inseguono la palla, lanciandosi grida di gioia e di delusione e

di speranza, sono una calamita irresistibile, più di qualsiasi

rappresentazione televisiva, più di ogni altra cosa. Impossibile non fermarsi

a guardarli, sorridendo a noi stessi e cedendo al loro ineffabile fascino.

Anche senza aver letto Borges.

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CorSera 29-05-2012

Lapo, sarà per la prossima...

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«Mezzaroma disse al Siena di perdere»

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Gervasoni e Carobbio:

«Partite concordate

da dirigenti e tecnici»

Il presidente tentò di pilotare a tavolino la gara con il Varese, ma

i giocatori si rifiutarono. Ora il Torino rischia il coinvolgimento

di FRANCESCO CENITI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 30-05-2012)

Accadeva di tutto nella passata stagione a Siena, quella della «cavalcata

trionfale» per utilizzare le parole di Antonio Conte, ex tecnico dei toscani

che lunedì scorso in una accorata difesa ha respinto ogni accusa. Altre parole,

quelle dei pentiti Carobbio e Gervasoni, vanno però nella direzione opposta.

Negli atti investigativi ci sono passaggi delicati che chiamano in causa il

presidente Mezzaroma che avrebbe persino chiesto ai suoi giocatori e allo

staff tecnico (quindi anche a Conte) di perdere la partita contro il Varese.

Il motivo? L'intenzione del dirigente era quella di scommettere su quel

risultato. Nell'informativa si legge: «Il dato che emerge è che in più

occasioni l'alterazione delle gare non era solo frutto dell'infedeltà dei

tesserati corrotti, ma sarebbe stato indirizzato da vere e proprie direttive

espresse da organi dirigenziali e tecnici che avrebbero direttamente

concordato "a tavolino" il risultato finale». Significativi sono i verbali di

Gervasoni e Carobbio davanti al pm Di Martino, spesso le due versioni si

sovrappongono alla perfezione.

Dovete perdere Il fattaccio sarebbe accaduto prima del 21 maggio 2011 giorno

di Siena-Novara. Così Carobbio: «Il portiere Ferdinando Coppola entrò negli

spogliatoi sbiancato in volto rappresentandoci che poco prima, all'esterno

degli spogliatoi, era stato avvicinato da una persona vicina al presidente che

gli aveva chiesto se c'era la possibilità di perdere la partita. Questa

persona, di cui Coppola mi fece anche il nome ma che in questo momento non

ricordo, gli aveva detto che il presidente Mezzaroma intendeva scommettere o

aveva scommesso sulla nostra sconfitta. La squadra oppose un netto rifiuto

suggerendo al Coppola di rappresentare a chi lo aveva contattato di non aver

voluto riferire la proposta in quanto lui stesso non era d'accordo. Coppola

era quasi sconvolto». Nell'interrogatorio Carobbio aggiunge anche che

Mezzaroma si era mosso nella stessa direzione anche con Conte e i suoi

collaboratori. «In seguito ho appreso da Stellini (vice di Antonio Conte, ndr)

che la proposta era stata fatta dal presidente pure allo staff tecnico: si

erano rifiutati. Era la prima volta che ci proveniva una richiesta del genere

dalla dirigenza». Gervasoni, pur giocando nel Piacenza, sapeva dei movimenti.

Dice al pm: «Pesoli, centrocampista del Varese, mi chiese via Skype di

verificare se il Siena era disposto a pareggiare con loro. L'accordo era

funzionale a dare il via libera aun'altra combine su Varese-Piacenza. Chiamai

Carobbio per un sondaggio, mi disse che non potevano fare nulla».

Pellicori e il Toro Ci sono però spunti investigativi giudicati molto

interessanti anche per Siena-Torino 2-2 del 7 maggio 2011. Di mezzo c'è un

altro degli arrestati, l'attaccante Pellicori. Nell'interrogatorio Carobbio in

sostanza fa capire che quel pari è stato ottenuto con un accordo tra le

squadre. Ecco il racconto: «Il 2-2 era un risultato scontato, si respirava

nell'aria. Senza neanche che ci fosse bisogno di un input da parte

dell'allenatore, scesi in campo per la ricognizione e cercammo di metterci

d'accordo con gli avversari. I miei compagni mi dissero che l'accordo era

stato raggiunto. Il 2-2 è poco rappresentativo di un intento da parte delle

due squadre di defilarsi dall'impegno? E' accaduto per questa gara e anche per

Novara Siena che l'attaccante Calaiò ha segnato un non voluto 2-1 provvisorio,

costringendo a rivedere in alto il risultato del pari». Gervasoni aggiunge il

carico: «Per Torino-Siena mi chiamò Pellicori: voleva, tramite Gegic,

concludere un accordo per un Over con pari. Penso che Pellicori fosse

d'accordo con qualcuno dei suoi compagni. Gegic rispose che la quota era

troppo bassa...». Carobbio messo a conoscenza di questa dichiarazione, dice al

pm: «Ne prendo atto e confermo che si trattò di un accordo solo tra le

squadre». Se Pellicori ammetterà, anche il Torino rischia un coinvolgimento.

-------

La procura a Conte

«Avvisare? Mai...»

Investigatori ironici sulla perquisizione a casa del tecnico

Le telefonate preoccupate tra giocatori bianconeri (senesi ndt)

Cara Gazza, non così: siete veramente ed ironicamente stronzi

di FRANCESCO CENITI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 30-05-2012)

«Ho letto il provvedimento, ma la prima domanda che mi è sorta è: come mai non

sono stato chiamato dal pm? Mi sarei aspettato che almeno mi convocasse». La

curiosità di Antonio Conte per ora resta insoddisfatta. Ieri nessun commento

ufficiale da parte del procuratore Roberto Di Martino, impegnato nei primi

interrogatori. Fonti investigative hanno però lasciato trapelare uno stupore

misto all'ironico: «Ma quando mai si è visto che un indagato è avvisato di un

accertamento... Semmai i chiarimenti li dovrà dare a indagini concluse». Anche

perché negli ultimi mesi sono state fatti diversi passaggi per capire se

davvero l'allenatore della Juventus era parte in causa delle combine, come

sostiene Carobbio. Molti gli incroci eseguiti: le perquisizioni, per esempio,

hanno riguardato anche i diversi giocatori coinvolti: la polizia ha fatto

visita ai vari Terzi, Vitiello e Coppola. Ma anche al presidente Mezzaroma e

ai dirigenti Perinetti e Faggiano. Non solo, ci sarebbero anche delle

intercettazioni che avrebbero rafforzato l'accusa.

Il ruolo di Coppola In pratica, dopo le prime indiscrezioni uscite sulle

rivelazioni fatte da Carobbio, gli investigatori si sarebbero mossi,

monitorando i tesserati coinvolti. In particolare l'utenza di Coppola sarebbe

stata messa sotto ascolto: secondo Carobbio, era stato proprio il portiere a

ricevere la «proposta indecente» da parte di un uomo del presidente che

chiedeva la sconfitta del Siena contro il Varese. All'amo buttato dagli

inquirenti avrebbero abboccato un paio di «pesci». Le conversazioni

preoccupate tra i vari compagni avrebbero confermato la versione di Carobbio

per le combine con Novara e AlbinoLeffe (i calciatori dei lombardi hanno già

confermato l'illecito a Palazzi). Se fosse vero la posizione di tutti sarebbe

seriamente compromessa, specie in sede di processo sportivo.

Il contatto mai avvenuto Gli inquirenti in questa continua ricerca di

riscontri hanno anche esaminato la richiesta che Bellavista aveva fatto al

giornalista Raimondo: contattare Conte perché aveva saputo della volontà del

Sassuolo di perdere la sfida di Siena. Come sappiamo Raimondo in realtà non

chiamò l'allenatore, nonostante nella telefonata dica il contrario. Ma per gli

inquirenti è significativo come «Bellavista in modo spregiudicato cerchi con

insistenza un contatto con il "vertice" del Siena. L'allenatore o piuttosto i

dirigenti per avere conferma dell'avvenuta combine». Quasi sapesse che aria

tirasse da quelle parti. Per gli investigatori alla fine sono 8 le gare

sospette dei toscani: Novara-Siena 2-2; Siena-Torino 2-2; Siena-Varese 5-0;

Albinoleffe-Siena 1-0; Siena-Ascoli 3-0; Siena-Piacenza 2-3; Modena-Siena 0-1

e Siena-Sassuolo 4-0. Carobbio, però, al pm dice di essere a conoscenza di

accordi o tentati illeciti solo per le prime quattro.

Perinetti: dimissioni respinte A proposito di dirigenti: come scritto anche

Giorgio Perinetti, ex d.g. del Siena, è stato oggetto di una perquisizione.

Subito dopo ha telefonato a Zamparini, suo nuovo datore di lavoro, presentando

le dimissioni: «Mi ha chiamato disperato — ha ammesso il patron del Palermo —,

ma gli ho detto di stare tranquillo e di andare avanti nel suo lavoro».

-------

Criscito forse non sapeva

Ora la polizia vuol capire

a cosa alludeva Buffon

Contro il difensore c'è solo la foto con gli ultrà e il pregiudicato

«Meglio 2 feriti di un morto»: il portiere atteso per spiegazioni

Il difensore si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato? E' probabile

E bravi, dopo aver rovinato Criscito, ora vi sorge un ragionevole dubbio ma continuate ad infamare altri

di FRANCESCO CENITI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 30-05-2012)

I sommersi e i salvati. Oppure Domenico Criscito e Leonardo Bonucci. Si è

molto discusso sulla posizione dei due azzurri: il primo indagato e perquisito

a Coverciano su ordine di Cremona; il secondo formalmente all'oscuro di

qualunque atto formale, nonostante il provvedimento che lo riguarda c'è, ma è

diventato competenza della Procura di Bari. Criscito non giocherà all'Europeo,

Bonucci partirà a giorni per la Polonia. E c'è un ulteriore sviluppo su Gigi

Buffon. La frase «Meglio due feriti di un morto» ha suscitato la curiosità

anche della polizia. Si trattava di un'uscita spericolata oppure Gigi è a

conoscenza di fatti legati alle inchieste? E' ciò che vuole appurare la

polizia, che potrebbe sentire il numero 1 azzurro prima di Euro 2012 come

persona informata sui fatti.

La foto fatale Al di là degli aspetti legati al codice etico, in questa fase

iniziale delle indagini si può tentare di soppesare le posizioni. Qualcosa non

torna. L'ex giocatore del Genoa entra nell'ordinanza e dunque nell'inchiesta

«New last bet» per alcune foto che lo ritraggono in compagnia di Sculli (il pm

voleva arrestarlo), capi ultrà e un pregiudicato. Stop. Non c'è altro. La

domanda è una: si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato? Leggendo

le carte, sembrerebbe proprio di sì. In sostanza Criscito va al «summit»

credendo di parlare con i «tifosi» e si ritrova con Sculli e il pregiudicato

bosniaco. Probabilmente non sa nulla della combine che si sta orchestrando su

Lazio-Genoa. Certo, gli inquirenti trovandolo nel posto sbagliato hanno il

dovere di accertare la verità. E dunque la perquisizione e tutto il resto è

funzionale a sgomberare ogni sospetto, dimostrando l'innocenza del giocatore

(in caso contrario, aggravandone la posizione). Se fosse andata così, Criscito

dovrà comunque fare il mea culpa per le compagnie pericolose. Da evitare

sempre. Come gli ha ricordato il presidente Abete: «Fra i comportamenti

inaccettabili c'è sicuramente anche il frequentare personaggi "al limite". Se

si ha un ruolo, bisogna anche avere la capacità di tenere comportamenti in

linea con lo stesso. A volte, fanno più danni gli ambienti che si frequentano

dei propri limiti o mancanze». La sola foto basta e avanza alla Figc per

spiegarne l'esclusione. Sarà utilizzato con tutti lo stesso metro?

Le accuse di Masiello Su Bonucci pesano, invece, le accuse di Andrea

Masiello: prima di essere arrestato, ai pm di Cremona e Bari aveva svelato tra

le tante combine anche quella tentata per la trasferta di Udine. «C'era il

consenso dei miei compagni Belmonte, Bonucci e Salvatore Masiello, che poi

aveva telefonato a Pepe per trovare una sponda. Rifiutata». Una accusa diretta

di un giocatore che ha collaborato con i magistrati. Bonucci è stato ascoltato

due volte a Bari: ha sempre negato ogni addebito. Ma le indagini sono ancora

in corso: in particolare si aspetta un accertamento tecnico su un telefonino.

Questo passaggio potrebbe rafforzare le accuse di Masiello e inguaiare

Bonucci. Oppure smontarle: in quel caso potrebbe arrivare l'archiviazione. Nel

frattempo sarà notificato l'avviso di garanzia al difensore? E' quello che la

Federcalcio ha chiesto direttamente alla Procura di Bari. Il timore era che

arrivasse durante l'Europeo. Abete ha avuto rassicurazioni: non accadrà. Forse

se ne parlerà tra 40/45 giorni. E la finale di Kiev si gioca il primo

luglio...

-------

L'AVVOCATO BUONGIORNO

«Vieri, nessun reato

Scommetteva ma

non è tesserato»

di FRANCESCO CENITI & ROBERTO PELUCCHI (GaSport 30-05-2012)

CREMONA «Christian Vieri non ha commesso reati e sarà prosciolto». Lunedì è

arrivata la notizia che l'ex attaccante era tra gli indagati di questa nuova

ondata dello scandalo Calcioscommesse e ieri in Procura si è presentato il suo

avvocato Danilo Buongiorno.

«Vieri non ha mai avuto contatti con questa gente - ha detto - Al massimo può

essere un testimone. Siamo convinti di arrivare all'archiviazione». Ma le

carte parlano chiaro. C'è l'intercettazione di una telefonata tra l'ex

giocatore del Bari, Antonio Bellavista, e l'ex calciatore Ivan Tisci (ora in

carcere) in cui si parla di scommesse. «Tisci riferiva a Bellavista di essersi

recato a Milano e di aver appreso dai giocatori, ai quali si era unito Bobo

Vieri, che la squadra dell'Inter aveva fatto danni in quanto tutti avevano

scommesso sull'Over per la notizia che si era sparsa in giro». Puntate da 700

mila euro sul circuito Betfair. Insomma, ci si riferisce a lui come a uno

scommettitore incallito.

«E' la tesi del gip, la contesteremo». Salvo aggiungere: «E comunque

scommettere non è reato, lui non è tesserato».

-------

In arrivo l'inchiesta di Napoli

Oggi o domani il procuratore Melillo chiude. Europa a rischio per gli azzurri

Cambiate titolista senza passare dal via

di MAURIZIO GALDI (GaSport 30-05-2012)

L'attesa è finita, oggi o domani il pool «reati da stadio» della Procura di

Napoli chiuderà ufficialmente l'inchiesta aperta, nella quale sarebbero

indagati l'ex portiere del Napoli Matteo Gianello, i fratelli Federico e

Michele Cossato, Silvio Giusti, e invierà gli atti «per competenza» alla

Procura federale di Stefano Palazzi con il quale il capo del pool, l'aggiunto

Giovanni Melillo, ha da tempo un rapporto di collaborazione.

Perché interessa la Figc L'inchiesta era partita dopo la scoperta che il

figlio di un presunto boss della camorra era a bordo campo per una partita di

campionato del Napoli. Da questo si era risaliti alla «distribuzione» dei

biglietti tra i calciatori, poi si era passati alle intercettazioni

telefoniche e da queste era emerso che Gianello, sembra su pressione di Giusti,

avrebbe offerto soldi ai suoi compagni di squadra (Paolo Cannavaro e Gianluca

Grava) per perdere la partita Sampdoria-Napoli del 16 maggio 2010 (1-0).

Cannavaro e Grava si rifiutarono e risposero anche male a Gianello (lo

riferisce lo stesso portiere del Napoli nel suo verbale ai magistrati), ma il

tentativo ci fu e su questo ora dovrà indagare la Procura federale. Gianello

nel verbale dell'interrogatorio reso ai magistrati lo ammette, e per questo il

Napoli sarà chiamato a rispondere per responsabilità oggettiva. Una vera

disdetta per i partenopei che potrebbero perdere l'Europa conquistata con la

vittoria nella finale di Coppa Italia. L'Uefa, infatti, vieta l'iscrizione

alle Coppe europee a società «coinvolte in maniera diretta o indiretta nelle

ipotesi di frode sportiva».

I tesserati Oltre a Gianello, Cannavaro e Grava rischiano un eventuale

deferimento per omessa denuncia. Qualcosa di più rischiano i fratelli Cossato

per scommesse e per il presunto illecito. Silvio Giusti, già colpito da

provvedimenti della giustizia sportiva per il fallimento di una società di

calcio non è più tesserato.

Il ruolo dei Cossato Il gip di Cremona, Guido Salvini, nella sua ordinanza

scrive che per la «partita Atalanta-Piacenza si ha conferma del fatto che

almeno due organizzazioni (il "Gruppo degli Zingari", collegato al cartello

singaporiano, e un "Gruppo veronese", riconducibile agli ex calciatori del

Chievo Federico e Michele Cossato) si adoperano, in contemporanea, per

alterare l'incontro e scommettere sull'esito "prefissato"». Un ruolo ribadito

dall'inchiesta di Napoli. Su Giusti, anche lui ex calciatore del Chievo e

molto amico di Stefano Bettarini, si è soffermata l'inchiesta della Dda di

Napoli (aggiunto Cantelmo, sostituti Filippelli e Siragusa) da cui emerge che

si «adopera per far tesserare Bettarini col Chievo», un tesseramento che costò

un deferimento ai veneti lo scorso anno al precedente calcioscommesse.

L'inchiesta di Bari Intanto, dopo la decisione di trasmettere a Bari il

fascicolo che riguarda il verbale dell'interrogatorio reso da Andrea Masiello,

la Procura di Cremona ha trasferito anche gli atti su Bonucci e su quanti

altri Masiello aveva coinvolto nelle sue ammissioni. La Procura barese, però,

non ritene che ci siano novità di rilievo oltre quanto detto loro dallo stesso

Masiello in un verbale che è ancora secretato. Per questo la posizione di

Leonardo Bonucci non cambia e «potrà giocare tranquillamente il suo Europeo»,

sorridono in Procura.

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PERSONA INFORMATA SUI FATTI

BUFFON CONVOCATO. DAI PM A

CREMONA (PRIMA DELL’EUROPEO)

Ve state a mozzica' i gomiti: su Conte ne sparate a salve e lo sapete bene

di ANTONIO MASSARI & MALCOM PAGANI (il Fatto Quotidiano 30-05-2012)

E ora anche il capitano della Nazionale, Gigi Buffon, dovrà lasciare il ritiro

di Coverciano e presentarsi in procura. Sarà ascoltato a Cremona, come persona

informata sui fatti, per spiegare il senso della sua dichiarazione: “Chi

conosce il calcio e lo vive giorno dopo giorno sa cosa succede. In alcuni casi

si dice: meglio due feriti che unmorto. Ogni tanto, se qualcuno si fa un conto,

è giustificato”. Adesso sarà lui a dover giustificare il significato di

queste parole.

Siena e Mezzaroma nel baratro

Nel frattempo, dagli atti si scopre che il presidente del Siena, Massimo

Mezzaroma, avrebbe puntato un’ingente somma sulla sconfitta della sua stessa

squadra. È Filippo Carobbio, ex bianconero, ad accusare il presidente del

Siena e, sottolineano gli investigatori in un’informativa, “tali dichiarazioni,

coinvolgono, ancora una volta e sotto diversi aspetti, l’ intera struttura

societaria toscana”. Uno scenario che merita di essere verificato, certo, ma

le parole di Carobbio sono devastanti: “Qualche giorno prima della partita

Siena-Varese, Ferdinando Coppola, giocatore del Siena, entrò negli spogliatoi

sbiancato in volto rappresentandoci che poco prima (…) era stato avvicinato da

una persona vicina al presidente che gli aveva chiesto se c’era la possibilità

di perdere la partita. (…) Questa persona (…) gli aveva detto che il

presidente intendeva scommettere o aveva scommesso sulla nostra sconfitta.

Intendo riferirmi al presidente Mezzaroma. La squadra oppose un netto rifiuto”.

Secondo Carobbio, della stessa vicenda, era al corrente anche Cristian

Stellini, oggi collaboratore di Antonio Conte sulla panchina della Juventus:

“In seguito – continua Carobbio – ho appreso da Stellini che la proposta era

stata fatta da Mezzaroma anche allo staff tecnico e che anche loro si erano

rifiutati. Era la prima volta che ci proveniva una richiesta del genere dal

presidente”. Per gli inquirenti, la dirigenza del Siena, avrebbe agito più

volte contro le regole: “Ta l e club – si legge negli atti – viene più volte

evocato, nel corso delle indagini, come partecipante a incontri caratterizzati

da precisi tentativi di manipolazione, alcuni dei quali andati a buon fine”.

L’elenco delle partite incriminate annovera Novara-Siena 2 a 2 del 1° maggio

2011; Siena-Torino 2 a 2 del 7 maggio 2012; Siena-Varese 5 a 0 del 21 maggio

2012 e Albinoleffe- Siena 0 a 1 del 29 maggio 2011. Dalle dichiarazioni di

Carlo Gervasoni, invece, emerge il tentativo di una doppia combine fallita

anche perché, nell’ultima giornata di campionato, la squadra di Conte

intendeva onorare l’allenatore: “Contattai Pesoli del Varese (…) con

riferimento alla partita del 29 maggio Varese-Piacenza, per verificare se il

Varese fosse disposto a perdere. Astrattamente il Varese sarebbe stato anche

disponibile a combinare una sconfitta, nel caso di un adeguato compenso (…).

Pesoli mi chiese se conoscevo qualcuno del Siena per verificare se fossero

disposti a pareggiare con il Varese”. La combine però non andò in porto:

“Carobbio mi disse che non potevano fare nulla in quanto si trattava

dell’ultima partita casalinga del Siena con Conte come allenatore”.

Sculli, Nar e Magliana

Mentre Conte – indagato per associazione a delinquere finalizzata alla frode

sportiva – ha incassato la solidarietà della famiglia Agnelli, altri dettagli

emergono sull’ex laziale, oggi genoano, Giuseppe Sculli. Gli investigatori –

convinti che abbia avuto un ruolo nella manipolazione della partita

Lazio-Genoa – l’hanno pedinato mentre incontrava, prima della gara, nel marzo

di quest’anno, un uomo rasato a bordo di una Smart. E dopo aver effettuato i

controlli sulla targa dell’auto, hanno scoperto che, sulla stessa Smart, il

giorno prima viaggiava un estremista di destra, Massimo Carminati, già in

contatto con i Nar e addirittura affiliato alla banda della Ma gliana.

-------

Ci vorrebbe il Grillo del calcio

O forse più di uno, visto quanto ci sarebbe da fare. Non lo stop

totale ipotizzato da Monti, ma abolire la Lega, rinnovare la casta

del pallone, riformare i tribunali sportivi, sfoltire i campionati...

di ROBERTO BECCANTINI (il Fatto Quotidiano 30-05-2012)

Riassunto delle “puntate” precedenti, dal 1980 a scommessopoli: toto nero uno

e due, passaportopoli, doping amministrativo, doping farmaceutico, premiopoli,

calciopoli una e due, giocatori spogliati dagli ultras. Temo di aver

dimenticato qualcosa. Resta il tanfo tipico degli sport avariati. Resta,

soprattutto, una domanda: cosa fare? “Quando gli uomini non credono più in Dio,

non è che non credano più a nulla. Credono a tutto”. Parole sante, di Gilbert

Keith Chesterton, scrittore e giornalista inglese. E quando non credono più

nel calcio, credono a tutto, a tutti: anche agli ‘zingari’, persino agli

‘ungheresi’. Che fare, allora. Ci provo.

1. Rinnovare la casta. Sinceramente, dei Petrucci, degli Abete e dei Carraro

non se ne può più. Servirebbe un Grillo, al calcio italiano, ma non esiste. O

meglio, uno ci sarebbe: Zdenek Zeman. Il suo problema è stato ridurre il

marcio, esclusivamente, a Moggi e Giraudo quando i fatti dimostrano che il

marcio è continuato, e sta continuando, anche dopo di loro.

TROPPI Ponzio Pilato, ha ragione Marco Tardelli (Repubblica). Gli esempi

dovrebbero arrivare dall’alto, ma quanto può essere “alto” un Abete che non ha

il coraggio di entrare a piedi giunti sugli scudetti della Juventus e sul

tavolino dell’Inter? E quando il gatto non c’è, o si appisola, i topi ballano.

Elementare, Doni.

2. Abolire la Lega. Il Belgio è stato senza governo per 540 giorni e figura

sempre sulle mappe. Giochiamo a fare a meno della Lega, dai. Ai presidenti

interessano soltanto due cose: i soldi delle tv e i rigori (da non confondere

con il rigore). Per distribuire i primi, basta che la Federazione chieda il

ragionier Spinelli a Berlusconi e lo arruoli; a spalmare i secondi, provvedono

da secoli gli arbitri, pagati a parte. Maurizio Beretta è il presidente della

Lega, dimissionario da troppi mesi perché gli affiliati non lo trattino come

un burattino. E allora: meglio un taglio netto.

3. Sfoltire i campionati. Vero, il toto nero dell’80 esplose in regime di

sedici squadre (quattro in meno di oggi) e trenta partite (otto in meno), ma è

vero, altresì, che la quantità moltiplica le tentazioni, specialmente a fine

stagione, soprattutto in Italia. È da almeno una decina d’anni che si parla di

Serie A a sedici (e di Serie B a diciotto, contro le ventidue attuali).

Sarebbe il caso di impugnare le forbici: da una parte, Abete o chi per lui;

dall’altra, Damiano Tommasi e il sindacato. Venti squadre, tra parentesi,

costituiscono un fardello tecnico che pure inglesi e spagnoli faticano a

trasportare, figuratevi un Paese come il nostro fondato sulle eccezioni.

4. Difendere la responsabilità oggettiva. Se il fango nel quale ci muoviamo

non è ancora arrivato al tetto, lo dobbiamo alla responsabilità oggettiva che,

sadicamente o no, fissa i lestofanti ai club di riferimento. Si va per gradi –

presunta; oggettiva, appunto; diretta – e, quindi, non è proprio il caso di

gridare al destino cinico e baro; semmai, ai bari. Naturalmente, molti boss da

Lotito in su vorrebbero depotenziarne gli effetti. Hanno paura. Pensate cosa

sarebbe successo, e dove saremmo finiti, se avessero vinto i talebani della

responsabilità “soggettiva”. Servirebbe una classe di dirigenti con un

briciolo di classe. Merce rarissima.

5. RIFORMARE la giustizia sportiva. Non può fare tutto Palazzi, o il Palazzi

di turno. Ne risentono i tempi e la credibilità. Un paio di mesi scarsi per

liquidare la Calciopoli del 2006 e una vita per far luce sul buio di

Padova-Torino. Il presidente Monti propone di sospendere il calcio per due o

tre anni, addirittura. Sarebbe come arrendersi ai teppisti di Marassi o agli

spacciatori di risultati. Viceversa, bisogna lavorare sull’autonomia dei

giudici sportivi e sui loro “tempi”. Prendetela per una provocazione, ma una

Serie A a sedici squadre offrirebbe più spazio agli eventuali, o inevitabili?,

processi.

6. Rilanciare l’inchiesta giornalistica. Al primo posto mi ci metto io: siamo

troppo pigri, noi giornalisti (non tutti, per fortuna). D’accordo, non

possiamo intercettare né pedinare, ma il doping lo scoperchiò Zeman, un altro

che non poteva intercettare o pedinare. Dare potere alla voce è più difficile,

e scomodo, che dare voce al potere: da controllori a controllati, o

controllabili, il passo è breve e la fine nota (l’inciucio, come minimo). Per

limitare le inchieste che stanno sventrando il calcio, urge recuperare

l’inchiesta e il coraggio del “no”.

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Il caso

Lo schiaffo del Prof

di FABRIZIO BOCCA (la Repubblica 30-05-2012)

"Bisognerebbe chiudere il calcio per due o tre anni" ha detto alla fine uno

sdegnato Mario Monti.

Quella di Monti potrebbe sembrare una provocazione da bar ma in realtà è il

sasso di un tecnico cresciuto alla Bocconi scagliato nello stagno di uno sport

ormai assuefatto ai suoi periodici scandali. E dunque anche un durissimo

schiaffo in faccia alle istituzioni e agli uomini che governano il calcio da

troppi anni, gli stessi che molto italianamente galleggiano da uno scandalo

all´altro. Sia il processo di Calciopoli tutt´ora in corso, siano gli ultrà

che ormai dettano legge non solo in curva ma anche negli spogliatoi e nelle

società (vedi il caso Genoa), sia l´inchiesta sulle scommesse con gli stessi

meccanismi e i pacchi di soldi che viaggiano di mano in mano come trent´anni

fa.

Non li ha nominati direttamente ed esplicitamente ma di sicuro alcuni dei

dirigenti poltronati più illustri dello sport italiano - il presidente del

Coni Gianni Petrucci, quello della Federcalcio Giancarlo Abete, quello della

Lega di serie A Maurizio Beretta - devono aver sentito ieri un leggero

pizzicore al fondoschiena. Ce l´avrà per caso con noi il presidente del

Consiglio? Beh, si direbbe proprio di sì. E se rassegnaste i vostri mandati

nel suo ufficio, probabilmente fareste un favore al paese intero e di sicuro

al presidente Monti, che un po´ l´ha sparata grossa ma insomma ve la siete

proprio cercata.

Certo quando si leggono le violente reazioni del presidente del Palermo

Zamparini - «Monti si vergogni. L´unica cosa indegna in questo Paese è che uno

come Monti osi dire quello che ha detto: ci sta massacrando, sta distruggendo

l´Italia, dice solo delle stupidaggini» - verrebbe voglia di mettere davvero i

sigilli agli stadi, ai campi d´allenamento e alle società di calcio. Ma è

comunque difficile che il presidente del Consiglio pensi realmente che il

calcio si possa davvero chiudere. E´ un´attività privata innanzitutto, molto

popolare e coinvolgente, addirittura secolare, ma non è quella che si dice

un´azienda pubblica. E anzi allo Stato versa circa un miliardo di tasse l´anno

(quando le versa e non le trattiene sottobanco, ovvio…). Anche se poi i

politici lo accarezzano e gli fanno favori notevoli, come la famigerata legge

spalmadebiti o salvacalcio che non a caso Monti ha citato come a lui

particolarmente indigesta.

La gente si svena per pagare le tasse e i club potevano dilazionare i debiti

verso l´erario praticamente all´infinito. La gente comune con questa crisi

fallisce e chiude bottega, poveraccia, il grande calcio ha mezzo miliardo di

perdite e tira avanti tranquillamente di partita in partita. Vendendosele

pure. No non si può andare avanti così, ed è giusto che un presidente del

Consiglio parli adesso con un linguaggio esplicito e duro, in modo da farsi

capire.

Ma di calcio campano non solo qualche centinaio di ricchissimi professionisti

(al cui top c´è il signor Ibrahimovic con il suo stipendio di circa due

milioni lordi al mese pagati dall´ex presidente del Consiglio Silvio

Berlusconi), ma anche parecchie migliaia di famiglie che vivono dell´indotto.

Dai giardinieri, agli impiegati delle società, agli operai delle fabbriche di

scarpini da pallone e così via. Come si fa a fermarlo per due o tre anni se

non mandando a spasso qualche centinaia di migliaia di lavoratori?

No, difficile che il calcio possa chiudere. Ma è anche difficile che la sua

crisi morale e il suo lato delinquenziale, diciamolo pure, si possano

estirpare se tutto rimane com´è. Se i suoi dirigenti incapaci si

autosostengono reciprocamente per rimanere al loro posto, un po´ come accade

ai politici incapaci. Se i processi e le inchieste diventano un modo perfino

pittoresco, fatto di polemiche e litigi furibondi e veleni, di riempire

l´estate tra un campionato (fasullo) e l´altro. Se insomma mai nulla cambia.

Se veramente Monti volesse, potrebbe mettere alle corde tutti quelli che

nulla hanno fatto e cambiare il volto dello sport e del calcio in pochissimo

tempo, e forse gettare le basi per uno migliore. Senza togliere a nessuno il

piccolo piacere di tifare per la propria squadra e di guardarsi la partita in

santa pace. Con la certezza che sia vera e non taroccata.

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Monti: se il calcio si fermasse 2-3 anni

PUNITE I CALCIATORI COLPEVOLI

MA NON TOGLIETECI IL CAMPIONATO

di PIERLUIGI BATTISTA (CorSera 30-05-2012)

Due, tre anni senza calcio, suggerisce (beninteso, uno sfogo, non un programma)

il presidente del Consiglio Mario Monti. Certo, per due, tre anni non ci

sarebbero partite ufficiali truccate, o risultati ufficiali aggiustati. Ma il

proibizionismo ha una controindicazione inesorabile, come nell'America degli

anni Venti in guerra con l'alcol.

Ci sarebbero risultati aggiustati, ma clandestini, partite truccate, ma

clandestine. L'Italia tifosa ma pulita vivrebbe tre anni di atroce astinenza.

Quella che imbroglia troverebbe un nuovo canale da inquinare. E avrebbe vinto

la partita decisiva, cancellando dal tabellone uno spettacolo che resta

avvincente e trascinante, malgrado gli imbroglioni (presunti).

E poi non è che tutto si possa sospendere per decreto. Il governo tecnico di

Monti ha momentaneamente «sospeso» la politica dei partiti onnipotenti. C'è

chi sostiene che abbia sospeso la democrazia, ma è un'esagerazione polemica.

Sospendere il calcio, prendere come paradigma quel pugno di partite sporcate

per cancellare a tempo con atto di imperio tutto il resto, questo sì sarebbe

un modo di fare irrealistico, superproibizionistico, punitivo. In una parola,

come si sarebbe detto una volta: antipopolare. Se la magistratura riuscirà a

trovare prove circostanziate e precise di reati commessi, allora i colpevoli

(accertati) dovranno subirne le conseguenze. Se qualcuno ruba, non sono tutti

ladri. Se qualcuno imbroglia, non sono tutti imbroglioni. Dire «è tutto

marcio», non è «tecnico»: è demagogico, qualunquista, giustizialista. Spande

una nube di sospetto su tutto e su tutti. Salva i veri mascalzoni che

deturpano lo sport, immergendo le loro specifiche (e presunte) malefatte in

una nebbia indistinta che non conosce più il confine tra il lecito e

l'illecito, il leale e lo sleale.

Dunque no, bisogna continuare. Trovare le prove e non alzare polveroni.

Continuare con il calcio, e vincere il disgusto. Non è vero che «così fan

tutti». E dunque non è necessario abolire o sospendere una competizione

sportiva, criminalizzandola in blocco. Essere severi con chi ha violato un

codice penale e un codice morale, ma non dissolvere le differenze. Prove e non

proclami: non c'è bisogno di sospendere la logica e il buonsenso.

-------

L'analisi

IL MALE C'È MA ANCHE LA MEDICINA

di MARIO SCONCERTI (CorSera 30-05-2012)

Un mondo senza calcio è possibile, ma non sarebbe per questo un mondo

migliore. Personalmente mi sentirei più solo nello stesso Paese di sempre. La

mia squadra è un'amica con cui mi va di dividere la strada. Vorrei decidere io

le mie frequentazioni, dato ai giudici quello che è dei giudici. Le scommesse

nel calcio sono adesso un problema criminale mondiale vicino a quello della

droga. Sono sotto attacco quarantatrè Paesi. Il primo è la Finlandia proprio

per la sua lontananza, la sua trasversalità. Seguono Israele, Grecia e Italia.

Le ultime indagini dell'Interpol dicono che buona parte della mafia che si

occupava di droga sta cambiando competenze, si occupa ora di scommesse.

Perché i guadagni sono comunque alti e le pene eventuali decisamente

inferiori. Questo sta facendo delle scommesse sportive uno dei più grandi

affari criminali al mondo. Noi ci stiamo occupando dei resti del nostro calcio,

ma stiamo percorrendo la circonferenza, non siamo dentro al cerchio. La

casa madre di Singapore è ancora attiva, continua ogni giorno a falsare risultati

e a incassare. Niente può dire che, fermati i cattivi di questa volta, tutto

ricomincerà illuminato dal bene. Le possibilità di contaminazione sono grandi.

Dobbiamo rassegnarci al relativismo di sempre. Ma c'è di più. Sotto attacco

adesso sono i ragazzi del settore giovanile. Costano molto meno, promettono

una scolarizzazione seducente e causano pochi rischi. Ma pagano quasi come

le partite di serie A perché le quote sono le stesse. Ai giovani vanno aggiunti

gli arbitri. Sono più importanti dei giocatori, hanno in mano tutte le

scommesse che una partita genera. I risultati sono infatti tre: uno fino al

settantacinquesimo minuto, di solito quello regolare. Uno per l'ultimo quarto

d'ora, e uno per i tempi di recupero. Se pensiamo all'importanza del numero

dei gol e alle scommesse sul primo calcio d'angolo, la prima punizione, il

primo fallo di mano, capiamo quanto l'arbitro sia importante per la mafia del

gioco. E anche qui è difficilissimo distinguere tra vero e falso. La diversità

del calcio, la sua bellezza, è proprio la sua capacità di ribaltare in un

attimo i risultati. C'è una difesa possibile da qualcosa che sembra naturale?

Forse. La Lega Pro, la vecchia serie C1 e C2, zona fra le più colpite, si è

affidata a un'agenzia internazionale che monitorizza i movimenti su qualunque

partita e segnala quelli anomali. Forse è un termometro contro un male

incurabile, segnala solo la febbre, ma in una stagione le partite sospette

sono scese da 14 a 5. Almeno un inizio.

-------

La storia Calendario, accordo collettivo, Lega paralizzata, arbitri inadeguati, giudici sportivi, ultrà: calcio fuori controllo

Un anno di liti e violenza:

il pallone è sgonfio

Bonjour stronzesse!

di FABIO MONTI (CorSera 30-05-2012)

Il campionato non verrà fermato, perché non sarebbe tecnicamente possibile

e il calcio professionistico, come ha precisato il presidente della Figc,

Giancarlo Abete, «non riceve un euro di fondi pubblici. È finanziato da

risorse provate e introiti commerciali. Versa 1. 100 milioni all'anno

all'Erario. I 64 milioni di contributo, che arrivano alla Figc, sono per

dilettanti, giovani, giustizia sportiva e settore arbitrale». Resta il fatto

che, nonostante i richiami, di insolita durezza, del presidente Petrucci (Coni)

e dello stesso Abete, il calcio ha offerto anche in questa stagione una

pessima immagine di sé, scommesse a parte.

Un'annata iniziata con lo sciopero/serrata del 28 agosto 2011, perché la

Lega di A e il sindacato calciatori non erano riusciti a trovare l'intesa

sull'accordo collettivo, una specie di contratto di lavoro di carattere

normativo e non economico, indispensabile per dare validità ai contratti. Un

argomento che era sul tavolo da più di un anno; scongiurato il pericolo di

sciopero nel 2010, per l'intervento di Abete, la questione si era trascinata

fino ad agosto, salvo accorgersi che la firma era necessaria. Del resto la

pubblicazione del calendario, in uno studio tv, si era trasformata in una

telerissa, con De Laurentiis che, infuriato per dover giocare con Milan e

Inter dopo la Champions, aveva urlato, scappando in motorino senza casco:

«Qui è tutto combinato, mi vergogno di essere italiano; me ne vado».

L'attività della Lega di A è stata concentrata su questi punti fondamentali:

1. mantenere in carica un presidente (Beretta) dimissionario da mesi (ha

un altro incarico prestigioso), così ognuno ha potuto muoversi in autonomia;

2. litigare in continuazione sui criteri di divisione degli introiti derivanti

dalla cessione dei diritti tv; 3. salire sulle barricate in difesa del

presidente della Lazio, Lotito, condannato (primo grado) per frode sportiva e

poi (secondo grado) per aggiotaggio, dunque inibito a presentarsi in consiglio

federale; 4. cercare di eleggere, come vicepresidente, Enrico Preziosi, già

condannato per illecito sportivo (Genoa in C nell'estate 2005); 5. parlare

della necessità di avere stadi di proprietà, senza atti concreti (Juve a parte);

6. chiedere la revisione della responsabilità oggettiva che è la pietra

angolare dell'ordinamento sportivo in tutto il mondo. Non un'idea, non un

progetto anche tecnico per il futuro. In serie A sono stati cambiati 17

allenatori; in B si sono alternati 19 tecnici; l'ultima moda è richiamare chi

è stato esonerato. Il livello di litigiosità è rimasto alto per l'intera

stagione, con un'impennata in occasione di Milan-Juve 1-1 (25 febbraio, gol

non visto di Muntari). Gli arbitri hanno confermato di essere mal preparati;

hanno commesso errori giganteschi, collocati nella centrifuga di un sistema,

dove il presidente (Nicchi) vuole fare il designatore e il designatore

(Braschi) subisce tutto, per salvare il posto.

Una serie A a 20 squadre e una B a 22 non hanno senso, né tecnico,

né economico e in più si crea una zona grigia di inutili partite fra squadre che

non hanno più obiettivi concreti. Ma nessuno interviene. Non lo può fare per

statuto Abete; non lo fa nemmeno il sindacato calciatori (per salvare posti di

lavoro), dove i propri iscritti non hanno ancora perso l'abitudine di chiedere

ritocchi di ingaggio su contratti già firmati, appena il rendimento è alto. In

Lega Pro cambiano in continuazione le proprietà e vengono iscritte le società

pur sapendo che non potranno pagare gli stipendi nella stagione.

La giustizia sportiva, in questa stagione, ha offerto sentenze sconcertanti.

Di fronte allo spettacolo agghiacciante di Genoa-Siena (22 aprile), con i

giocatori costretti dagli ultrà a togliersi le maglie in mezzo al campo, il

club rossoblù se l'è cavata con due giornate a porte chiuse; Delio Rossi, che

ha preso a pugni un suo giocatore che lo aveva insultato, ha avuto tre mesi di

squalifica, che sconterà per 2/3 quando non si gioca (giugno/luglio); per

deliberare sul blackout di Padova-Torino ci sono voluti cinque mesi. E i

rapporti fra club e ultrà, che dovrebbero essere vietati, sono sempre stretti,

salvo alcune eccezioni.

Ultima perla (in ordine di tempo). Ieri il presidente Monti aveva appena

finito di parlare e De Laurentiis ha tuonato sulla Supercoppa, che la Juve

vorrebbe giocare a Torino e il Napoli a Pechino: «La Supercoppa si deve

giocare a Pechino, altrimenti giochiamo con qualcun altro. Con la Juve abbiamo

già giocato qualche giorno fa. Se non sono d'accordo su Pechino vuol dire che

risparmieremo una partita...». Incoraggiante.

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Lo scandalo delle combine nei campionati di calcio alza il velo sul mondo

delle puntate sportive in Italia. Sempre meno legali e sempre più clandestine

Lo scommettitore

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Addio agenzie e bookmaker, calano le scommesse legali:

-11%. Mentre aumentano quelle clandestine e le giocate

online. Lo scandalo del calcioscommesse fa emergere il

lato oscuro del mondo delle puntate. Che sta

cambiando. E arriva il borsino del “betting exchange”:

ognuno potrà decidere se diventare allibratore

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Quando il gioco

si fa sporco

Secondo i dati della Fifa, il 70% della posta finisce in un giro d’affari non regolare

E il business legale dei pronostici guarda agli Europei come a una chance per risollevarsi

di GIANLUCA MORESCO & CORRADO ZUNINO (la Repubblica 30-05-2012)

Nei primi quattro mesi del 2012 sul circuito legale sportivo sono stati

puntati 1,279 miliardi di euro. È una cifra poderosa, ma in calo dell´11%

rispetto allo stesso periodo del 2011. Il calcioscommesse deprime le scommesse

(lecite) sul calcio. Ed è l´intero comparto delle scommesse sportive che fa

registrare un´evidente flessione: 1,433 miliardi raccolti, -9,42% rispetto ai

primi quattro mesi dell´anno scorso. Se si va in dettaglio sulle discipline,

il calcio resta prepotentemente il gioco più puntato, ma fino al 2010 era

sopra il 90% (92,29%), ora è un po´ sotto (89,15%).

La poca credibilità del nostro football è una prima risposta a questa

decrescita, poi c´è la crisi economica che non mostra luci in fondo.

Se il calcio declina - -11 per cento anno su anno, abbiamo visto - il resto

dello sport crolla. La spesa in termini di scommesse generali è in calo

rispetto ad aprile 2011 del 29,1%. Nei primi quattro mesi del 2012 gli

italiani hanno investito 1,443 miliardi con una spesa effettiva pari a 302,4

milioni di euro (1,131 miliardi sono stati restituiti sotto forma di vincite).

E a leggere i dati dalle regioni si scopre un sinistro parallelo tra legale e

illegale: in Campania il fatturato 2011 è stato superiore ai 536 milioni, in

Lombardia pari a 372 milioni, nel Lazio 339 milioni. Quindi la Puglia, 246

milioni. Su questi quattro territori essenzialmente stanno indagando le tre

procure del calcioscommesse (Cremona, Napoli e Bari).

Nel 2011 le scommesse autorizzate hanno registrato il primo calo, dopo anni

di costante crescita e consolidamento. Nel 2012, per le molte ragioni che

abbiamo visto, sono andate in picchiata. Sul fronte del gioco regolare ma non

regolarizzato la "sentenza Stanley" (la concessione europea che consente a un

provider registrato a Malta di aprire corner telematici in Italia senza

chiedere permesso ai nostri Monopoli né pagare tasse da noi) ha reso il

sistema delle scommesse una babele: chi non paga tasse, è ovvio, può offrire

quote più alte. Di più. Il sommerso nelle puntate sul calcio è impressionante.

Non è vero che la regolamentazione del gioco, la moltiplicazione dei premi e

delle possibilità (gli "over" che stanno alla base degli ultimi scandali),

abbiano fatto emergere scommettitori e giocate. Seguendo dati resi pubblici

dalla Fifa, il 70% delle puntate sportive in Italia passa ancora attraverso

bookmaker non registrati. Se il circuito legale genera un volume d´affari

intorno ai 4 miliardi di euro l´anno, il movimento complessivo è di 12

miliardi, tre volte tanto. Esiste una ramificata rete di allibratori

clandestini che si muove tra gli ippodromi e le vicinanze delle sale corse, di

bookmaker non autorizzati che agganciano gli scommettitori via web fornendo

quote più accattivanti e rialzate. Nel dossier "Azzardopoli" di Libera,

presentato a gennaio, emerge poi come il gioco illegale in mano alle

organizzazioni criminali valga 10 miliardi e coinvolga 41 clan tra mafia,

camorra e ´ndrangheta.

Ecco, il gioco (lecito) tira ancora in Italia, produce introiti soprattutto

per i grandi concessionari e l´Erario, ma nelle ultime due stagioni non ha

premiato le scommesse classiche, quelle nelle agenzie e nei corner. È

cresciuto l´online, il 31 per cento delle scommesse ormai viaggia in digitale,

ma è scesa la frequentazione del punto pubblico. Gli italiani sempre più si

affidano alle giocate di fortuna pura (videolotteries e slot machine d´ultima

generazione) perdendo il gusto per la conoscenza e la previsione. Sale, in

controtendenza, il poker online, gioco pur sempre di abilità. A fronte di un

mercato globale che ha chiuso il 2011 toccando i 79,9 miliardi di raccolta,

primato di sempre, le puntate sulle partite di calcio, di basket, di volley

hanno subito una forte erosione da parte dei giochi concorrenti. È stata la

stessa industria del gaming nazionale a cambiare strategie e a marginalizzare

nel tempo la scommessa sportiva. L´industria si è rivolta a mercati più

redditizi, meno soggetti a condizionamenti. Sale bingo, schedine del

Superenalotto, lotterie istantanee, Win for Life, room dedicate a

videolotteries e slot machine, poker cash e in formula torneo, rosso e nero

sul computer, black jack con un croupier che interagisce attraverso la tv. È

come se il Paese intero, lasciando vecchi e più recenti "picchetti", si fosse

trasformato alla velocità dell´espansione della cultura internet in una

gigantesca casa da gioco. Grande come uno schermo. Ed è solo l´inizio. Gli

esperti di marketing, gli ingegneri informatici, i disegnatori grafici stanno

lavorando sulle applicazioni per smartphone e tablet. Con il cellulare puoi

chiamare, mandare una mail e puntare sulla partita che si giocherà entro dieci

minuti.

La ricerca di nuove idee, o di idee scopiazzate dagli altri Paesi, per

portare soldi allo Stato resta alta. Alla fine dell´anno nascerà la Borsa

delle scommesse, il "Betting exchange". Utilizzando una piattaforma digitale

gli scommettitori potranno scegliere se piazzare una puntata o diventare loro

stessi bookmakers presentando in prima persona una quota sul match. Si

sottoporranno a un nuovo rischio e dovranno prendere confidenza con la

variazione dei flussi, l´analisi dei grafici, le operazioni di ricopertura,

questioni finora riservate alle operazioni finanziarie. La scommessa minima

sarà fissata a 50 centesimi, la vincita massima sarà a quota 10 mila euro. «Il

Betting exchange è uno strumento fondamentale per evidenziare eventuali

anomalie nei flussi di gioco», spiega Massimiliano Bancora, amministratore

delegato di Betfair Italia, azienda leader mondiale in questa particolare

puntata. «Abbiamo contratto accordi ufficiali con cinquanta federazioni

sportive europee e mondiali. Fifa e Comitato olimpico controlleranno

costantemente il fenomeno del gioco illegale e noi potremo collaborare più

strettamente con le procure italiane segnalando con tempestività problemi

rilevati nel flusso delle scommesse».

Il Betting Exchange, la Borsa, ci farà somigliare sempre più agli

scommettitori anglosassoni. La direzione di marcia è quella: giocate su tutto.

Dall´Unione europea è appena arrivata l´autorizzazione alle scommesse

virtuali: partite generate dal computer, corse di cani o di cavalli lunghe due

minuti. Anche cinquecento eventi al giorno. Un euro per giocare, vincita fino

al 90 per cento e, al massimo, di 10 mila euro. Ancora, entro tre mesi

Bruxelles potrebbe dare il via alle scommesse sullo spettacolo e il costume,

sul gossip. Oggi esistono alcune finestre extrasportive dettate dai Monopoli

di Stato: il Festival di Sanremo, le elezioni americane. Dal prossimo autunno

il puntatore potrà personalizzare il suo palinsesto quotidiano.

Le ultime tre settimane di giugno saranno decisive per i fatturati annuali

delle aziende di betting, gli Europei di calcio in Ucraina e Polonia. Si parte

dall´ultimo primato per cercare di superarlo: 211.075.301 euro giocati in

Italia nel 2008 sulla manifestazione continentale che si disputò in Austria e

Svizzera. Nell´attesa l´Assosnai, sindacato che cura gli interessi dei piccoli

e medi operatori, denuncia la liquefazione del punto scommessa italiano,

l´altra faccia del virtuale che avanza, del gioco solitario e notturno. «Siamo

stretti tra una concorrenza non regolamentata sempre più aggressiva e i troppi

oneri richiesti», dice il presidente Francesco Ginestra. «Entro l´autunno due

terzi delle nostre agenzie chiuderanno». Sono lavoro per 13 mila persone,

indotto compreso.

aakizKA8.jpg-------

IL LIBRO La testata lavoce.info compie 10 anni. Nasce da qui la serie

di interviste con i fondatori della testata pubblicata dal Mulino. Tra i titoli il

primo è “Parlerò solo di calcio” di Tito Boeri di cui qui anticipiamo un brano

L’economista autore di “Parlerò solo di calcio”: servirebbe un governo tecnico anche qui

Quell’intreccio fatale

tra potere sportivo e media

di TITO BOERI (la Repubblica 30-05-2012)

Il calcio catalizza una delle risorse più scarse che ci siano al mondo, vale a

dire l’attenzione umana. Nell’era di Internet siamo continuamente bombardati

da ogni sorta di messaggi, avendo accesso a innumerevoli fonti d’informazione.

In questa selva di stimoli, il calcio riesce ad attirare su di sé l’attenzione

di molti individui. La finale di Coppa del Mondo del 2010 è stata seguita, in

200 paesi, da circa 700 milioni di persone. Il 72 per cento degli italiani si

dichiara interessato o molto interessato al calcio, 32 milioni di nostri

concittadini seguono la nazionale, 28 milioni la serie A, 26 milioni la

Champions League.

In termini di audience televisiva, le trasmissioni calcistiche hanno pochi

rivali, con effetti importanti sulle tariffe dei break pubblicitari. In Italia

abbiamo anche un numero altissimo di squadre, quasi 70 mila; e si giocano ogni

anno la bellezza di 600 mila partite regolamentari, di cui 100 mila nella sola

Lombardia. In questo senso, il calcio italiano è uno sport vivo, non è solo

spettacolo: oltre a catturare molti spettatori, genera molti praticanti. […]

Nella storia del calcio italico ci sono molti episodi di corruzione. Nel 1927

fu revocato il titolo vinto dal Torino perché i suoi dirigenti avevano

corrotto un giocatore della Juventus prima di un derby. Nel 1982 Milan e Roma

furono retrocesse in B per aver aggiustato una partita e alcuni giocatori

furono giudicati colpevoli di scommesse illegali sulle partite. Nel 2004-2005

abbiamo avuto Calciopoli […] e adesso abbiamo assistito al ritorno del

calcioscommesse. Questo scandalo è più esteso di quello dell´82 e presenta

qualche analogia con episodi avvenuti in altri paesi, per esempio, con lo

scandalo emerso in Germania nel 2009. Da noi l´intreccio fra illecito sportivo

e criminalità è stato più forte, dato il coinvolgimento della camorra nel

racket delle scommesse. […]

In Calciopoli erano coinvolti gli arbitri, mentre nel calcio scommesse ad

agire sono stati i calciatori. Sono in genere le squadre in crisi a essere

coinvolte, quelle fortemente indebitate. Queste squadre hanno spesso giocatori

che non percepiscono lo stipendio per diversi mesi. Gli stessi giocatori sono

ricattabili perché il direttore sportivo può far arrivare il seguente

messaggio: se non fate come vi dico, non possiamo pagarvi lo stipendio. In

Italia la situazione economica delle squadre di calcio è peggiorata. I dati di

un recente rapporto di Price Waterhouse ci dicono che il debito delle quadre

di A, B e Lega Pro è aumentato di più del 20 per cento dal 2007 al 2010,

passando da 2,2 a 2,7 miliardi. La cosa da notare è che questi debiti

finanziari, di solito con le banche, non vengono contratti a fronte di

investimenti immobiliari (come la costruzione o l´acquisizione di stadi o

strutture sportive) che permetterebbero di creare situazioni sostenibili o di

portare futuri ricavi. No: si tratta di finanziamenti della spesa corrente. In

questi casi c´è una forte tendenza alla collusione fra direttore sportivo e

dirigenza per trovare dei modi per fare cassa e pagare stipendi e bollette.

Per dare un´idea dell´entità delle potenziali entrate: il business delle

scommesse è di circa 4 miliardi di euro solo in Italia. E le quote delle

scommesse sono indipendenti dall´importanza della partita, dal numero di

spettatori e dal numero di scommettitori. Ciò vuol dire che si possono

scegliere partite minori, in serie minori, partite che pochi vedono e sfuggono

perciò al controllo del pubblico. Scommettendo su queste partite si possono

realizzare guadagni importanti. [….]

Il nuovo calcioscommesse ha fatto venire al pettine i nodi del nostro calcio.

Quel che serve non sono minimi ritocchi, ma riforme e interventi che riducano

drasticamente il numero di squadre obbligando quelle che non sono in grado di

presentare un bilancio serio a chiudere i battenti. Forse ci vorrebbe un

governo tecnico anche nel calcio per fare queste cose. Servirebbe anche

istituire un premio di reputazione per chi denuncia comportamenti devianti.

Sarebbe compito dei media dare notorietà a chi si dissocia, e fare in modo che

i giocatori corretti abbiano più spazio e siano messi in buona luce. L´esempio

lo ha dato il c.t. della nazionale, Cesare Prandelli, convocando Simone Farina,

il giocatore del Gubbio che aveva denunciato un tentativo di combine nella

Tim Cup. Ma finché non si trova il modo di sciogliere l´intreccio fra potere

mediatico e potere sportivo, è difficile che i media possano esercitare quella

funzione di «watchdog» di cui c´è urgente bisogno. Una cosa è certa: la

correttezza va valorizzata, bisogna ripristinare le sanzioni sociali per i

comportamenti disonesti. I giovani sognano e si identificano nei campioni, e

questo dà al mondo del calcio una grande responsabilità, perché la sanzione

sociale contro chi viola le regole si plasma anche sulla fermezza con cui si

risponde agli illeciti sportivi.

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BLOOOOG! di FABRIZIO BOCCA (Repubblica.it 30-05-2012)

Buffon, lo scandalo scommesse e i

doveri doppi di un capitano azzurro

Io ammiro sinceramente il Buffon giocatore, ma – detto senza mezzi termini –

mi lascia interdetto il suo modo di fare il capitano della nazionale. E’ un

ruolo che comporta una particolare sensibilità pubblica e che ti pone

costantemente all’attenzione della gente non solo come calciatore, ma come

simbolo. Lui sa benissimo che si viene giudicati non solo per ciò che si è – e

sicuramente Buffon è un ottimo giocatore, anche specchiato e corretto – ma

soprattutto per ciò che si rappresenta. E quindi come fa a stupirsi e

indignarsi se gli viene chiesto conto di una frase buttata lì troppo alla

leggera, quale la famosa “meglio due feriti di un morto”? Un giocatore

qualsiasi forse o un tifoso al bar lo possono dire tranquillamente, un

capitano della nazionale, soprattutto in un momento complicato come questo,

no. Mi sembra chiarissimo.

La maglia azzurra rappresenta un sentimento comune e condiviso , un valore

molto elevato, addirittura una nazione (anche se detta così è un’assurdità, ma

la sostanza quella è) e Buffon, come capitano, ne è l’espressione più alta.

Buffon ha parlato sei mesi fa a nome della nazionale nell’incontro col

presidente della Repubblica Napolitano, in occasione delle celebrazioni del

150° anniversario dell’Unità d’Italia. “Siamo un popolo e una Nazione ancora

giovane e questo a volte ci fa cadere. Questa popolo ha bisogno dell’appoggio

di una classe politica coesa, colta e responsabile e di uno Stato presente da

lei rappresentato e dalla sua figura pulita e capace”. E ancora: “Tutti noi

attendiamo delle risposte per ripartire dopo momenti di grandissima

difficoltà. Cercheremo di fare il nostro sul campo e di onorare il nome

dell’Italia sempre e comunque”.

Ecco in quel caso Buffon rappresentò perfettamente la maglia e il ruolo, ma

un capitano azzurro non può andare a intermittenza. Certo che esiste la

libertà di parola ma un capitano della nazionale ha gli stessi diritti degli

altri e doveri doppi. E già secondo me gli fu passata fin troppo liscia

l’inaccettabile e famosa giustificazione del gol fantasma di Muntari: “Se

anche me ne fossi accorto non avrei certo aiutato l’arbitro”. Un brutto

esempio passato in cavalleria, senza alcuna conseguenza, accettato dai più

nella perfetta logica dei luoghi comuni del calcio. E secondo me affermazione

anche peggiore di quella che gli si rinfaccia adesso sui pareggi di comodo a

fine campionato. Ingannare consapevolmente l’arbitro non lo può fare nessuno,

tanto meno il capitano della nazionale. Anche in quel caso valeva lo stesso

principio: se lo dice un calciatore qualsiasi può essere l’indice di una

mentalità (sbagliata) molto diffusa, ma un capitano azzurro semplicemente non

può dirlo. E sinceramente non può nemmeno pensarlo, proprio perché il capitano

della nazionale è un riferimento per tutti.

Detto questo, essere convocati dal magistrato per “meglio due feriti che un

morto” sembra anche a me un’esagerazione. Però sinceramente da un capitano

azzurro mi aspetterei che mi spiegasse lui perché il calcio in questi anni si

è ridotto così, perché così tanti suoi colleghi comprano e vendono partite. Mi

aspetterei consigli e indirizzi da un campione che è anche vicepresidente del

sindacato calciatori. Non che mi rovesci la frittata e s’indigni perché i

giornalisti hanno saputo prima le notizie o che sappiano intercettare gli

spifferi delle procure: anche se pure a me l’effetto annuncio suscita sempre

perplessità… Mi sembra comunque francamente più vergognoso – per usare il suo

stesso termine – che il calcio sia ridotto in queste condizioni. E’ più

scandalosa la notizia? O è più scandaloso il modo in cui si è venuta a sapere

la notizia? E’ più scandalosa la sostanza? O è più scandalosa la forma? Anche

qui la risposta mi sembra evidente.

Al capitano della nazionale italiana Gianluigi Buffon sinceramente direi ciò

che lui stesso disse al Presidente della Repubblica. “Tutti noi attendiamo

delle risposte per ripartire dopo momenti di grandissima difficoltà”.

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Calcioscommesse, l'esclusione dalle Coppe

per il Napoli e gli altri club non è automatica

Quando non c'è la Juve di mezzo

di MARCO BELLINAZZO dal blog Calcio & business (Il Sole 24 ORE.com 30-05-2012)

Una eventuale esclusione del Napoli dalla Europa League, come effetto sul

piano sportivo del coinvolgimento di Andrea Gianello nel calcioscommesse non

appare realistico per Mattia Grassani, esperto di diritto sportivo e avvocato

del Napoli.

Lo stesso vale per gli altri club coinvolti nelle indagini e che hanno

guadagnato sul campo la qualificazione alla prossima edizione delle Coppe

europee. "L'esclusione non sarebbe affatto - ha spiegato Grassani - una

conseguenza automatica. Il regolamento dell'Europa League, per esempio, pone

come condizione per l'ammissibilità al torneo il non essere stati coinvolti

direttamente o indirettamente in illeciti sportivi, ma lo statuto attribuisce,

all'articolo 50, alla Uefa stessa un potere discrezionale, da valutarsi caso

per caso". Un elemento discrezionale, dunque, "valutativo anche in base alla

gravità dei fatti e alla singola fattispecie". Secondo Grassani "non si è di

fronte a un fatto conclamato di illecito sportivo ed è escluso alcun

coinvolgimento societario. Dovrebbe essere difficile escludere il club dal

torneo quando tutta la dirigenza è estranea" a quello che potrebbe essere, se

confermata l'accusa nei confronti di Gianello, un tentato illecito.

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BLOOOOG! di FABRIZIO BOCCA (Repubblica.it 30-05-2012)

Buffon, lo scandalo scommesse e i

doveri doppi di un capitano azzurro

Io ammiro sinceramente il Buffon giocatore, ma – detto senza mezzi termini –

mi lascia interdetto il suo modo di fare il capitano della nazionale. E’ un

ruolo che comporta una particolare sensibilità pubblica e che ti pone

costantemente all’attenzione della gente non solo come calciatore, ma come

simbolo. Lui sa benissimo che si viene giudicati non solo per ciò che si è – e

sicuramente Buffon è un ottimo giocatore, anche specchiato e corretto – ma

soprattutto per ciò che si rappresenta. E quindi come fa a stupirsi e

indignarsi se gli viene chiesto conto di una frase buttata lì troppo alla

leggera, quale la famosa “meglio due feriti di un morto”? Un giocatore

qualsiasi forse o un tifoso al bar lo possono dire tranquillamente, un

capitano della nazionale, soprattutto in un momento complicato come questo,

no. Mi sembra chiarissimo.

La maglia azzurra rappresenta un sentimento comune e condiviso , un valore

molto elevato, addirittura una nazione (anche se detta così è un’assurdità, ma

la sostanza quella è) e Buffon, come capitano, ne è l’espressione più alta.

Buffon ha parlato sei mesi fa a nome della nazionale nell’incontro col

presidente della Repubblica Napolitano, in occasione delle celebrazioni del

150° anniversario dell’Unità d’Italia. “Siamo un popolo e una Nazione ancora

giovane e questo a volte ci fa cadere. Questa popolo ha bisogno dell’appoggio

di una classe politica coesa, colta e responsabile e di uno Stato presente da

lei rappresentato e dalla sua figura pulita e capace”. E ancora: “Tutti noi

attendiamo delle risposte per ripartire dopo momenti di grandissima

difficoltà. Cercheremo di fare il nostro sul campo e di onorare il nome

dell’Italia sempre e comunque”.

Ecco in quel caso Buffon rappresentò perfettamente la maglia e il ruolo, ma

un capitano azzurro non può andare a intermittenza. Certo che esiste la

libertà di parola ma un capitano della nazionale ha gli stessi diritti degli

altri e doveri doppi. E già secondo me gli fu passata fin troppo liscia

l’inaccettabile e famosa giustificazione del gol fantasma di Muntari: “Se

anche me ne fossi accorto non avrei certo aiutato l’arbitro”. Un brutto

esempio passato in cavalleria, senza alcuna conseguenza, accettato dai più

nella perfetta logica dei luoghi comuni del calcio. E secondo me affermazione

anche peggiore di quella che gli si rinfaccia adesso sui pareggi di comodo a

fine campionato. Ingannare consapevolmente l’arbitro non lo può fare nessuno,

tanto meno il capitano della nazionale. Anche in quel caso valeva lo stesso

principio: se lo dice un calciatore qualsiasi può essere l’indice di una

mentalità (sbagliata) molto diffusa, ma un capitano azzurro semplicemente non

può dirlo. E sinceramente non può nemmeno pensarlo, proprio perché il capitano

della nazionale è un riferimento per tutti.

Detto questo, essere convocati dal magistrato per “meglio due feriti che un

morto” sembra anche a me un’esagerazione. Però sinceramente da un capitano

azzurro mi aspetterei che mi spiegasse lui perché il calcio in questi anni si

è ridotto così, perché così tanti suoi colleghi comprano e vendono partite. Mi

aspetterei consigli e indirizzi da un campione che è anche vicepresidente del

sindacato calciatori. Non che mi rovesci la frittata e s’indigni perché i

giornalisti hanno saputo prima le notizie o che sappiano intercettare gli

spifferi delle procure: anche se pure a me l’effetto annuncio suscita sempre

perplessità… Mi sembra comunque francamente più vergognoso – per usare il suo

stesso termine – che il calcio sia ridotto in queste condizioni. E’ più

scandalosa la notizia? O è più scandaloso il modo in cui si è venuta a sapere

la notizia? E’ più scandalosa la sostanza? O è più scandalosa la forma? Anche

qui la risposta mi sembra evidente.

Al capitano della nazionale italiana Gianluigi Buffon sinceramente direi ciò

che lui stesso disse al Presidente della Repubblica. “Tutti noi attendiamo

delle risposte per ripartire dopo momenti di grandissima difficoltà”.

Anche io mi aspetterei di più da giornalisti di una testata così importante.

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