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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Da Rimini al titolo in pugno

il viaggio del riscatto bianconero

Di nuovo padroni, dopo i traumi della B e di Calciopoli

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 23-04-2012)

Quello scudetto che rimaneva e resisteva sulle vecchie maglie dei tifosi, sui

petti stinti, sotto le pance bene arrotondate, quel tricolore che faceva da

bordo a striscioni, bandiere, drappi vari, insomma quei tre colori così amati

e perduti, adesso ritrovano un po’ il senso della loro storia. Perché la Juve

ha di nuovo lo scudetto in pugno. Come quando ci giocavano Combi e Viri

Rosetta, Boniperti e Carapellese, Bobby gol e Cuccureddu, e naturalmente

Sivori, Baggio, Platini. L’avventura di un secolo sta tornando a casa, però

che fatica, ragazzi. Non ieri. Ieri è stato facile. Prima.

Lo scudetto a un passo, a mezzo sospiro. Lo scudetto a portata di zanne, di

ferocia, di pazienza esaurita e di vendetta. È l’uscita ufficiale dal viaggio

a Rimini e Crotone, e poi – sarebbe bello – la fine dei rancori su carta

bollata, delle vere o false ingiustizie da sanare in tribunale, Guido Rossi e

Moratti, lo scudetto di cartone e quello degli onesti, “Ibra/sei uno zingaro”

e il pallone spettrale di Muntari (mica l’unico). Anche questo significa una

partita a suo modo storica come Juventus- Roma: essere di nuovo Juve sul campo,

padrona di partite, destino e avversari, e tornare laddove tutto si vince o

si perde: uno stadio. Dal 2006 non succedeva più. È questa la grande,

insospettabile impresa della Juve di Antonio Conte.

«Ogni tanto ripenso alla serie B, e mi torna in mente l’odore delle piadine e

del fritto nell’aria». Così Del Piero ricorda quel pomeriggio a Rimini (1-1),

la prima volta della Juve in purgatorio, anche se poi fu una bella avventura

non priva di scopo e sentimento. Forse, i bianconeri hanno finito davvero

quella partita solo ieri sera.

Lo scudetto in pugno è ritrovare la propria dimensione. La Juve ci abita da

più di un secolo e ci sarà un motivo. Anche se dovrebbe finalmente accettare

il computo statistico della Federcalcio: i titoli sono 27, e probabilmente

saranno 28, non 30. Non è il caso di pensare alla terza stella da cucire sul

petto, perché quello sarebbe un modo per tornare indietro, di nuovo al tempo

(era ieri l’altro) in cui la Juve, per vincere e riavere i suoi tre colori,

doveva domandare permesso a un giudice, e poi chiedere un risarcimento

economico senza senso. Ora le basta battere quasi tutti e non farsi battere

mai. Meglio adesso.

La Juve è tornata a casa, e l’ha accompagnata un cileno che sarebbe stato

benissimo con Boninsegna e Tardelli, Bettega e Gentile. Perché Arturo Erasmo

Vidal Pardo detto “il guerriero” sembra uscito dalla prima Juve capace di

vincere una Coppa internazionale, la Uefa nel ’77 col Trap, anche se allora

non c’era neppure uno straniero: ma la tempra era proprio quella di Vidal.

Perché va bene la classe cristallina, però l’anima di questa squadra è sempre

stata anche grezza, una robustezza di spirito senza la quale non vai da Rimini

al paradiso col biglietto di sola andata. Ci vuole un cuore grosso così, e mai

paura. Un cuore mica diverso da quello di tanta gente che per sei anni l’ha

trasportato di qua e di là, dentro maglie sbiadite, con appeso uno scudetto

che pareva una macchia di sugo, una medaglia da reduci. Ma adesso brilla come

se fosse appena cucito, ed è quasi così.

Ma che catzo dice?

Mi sembra propio un provocatore.

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DOSSIER - Milan ancora penalizzato, ma senza errori arbitrali la Juve sarebbe a + 4

Giovanni Capuano - panorama.it - 23-02-2012

Una stagione combattuta a colpi di dossier, nessuno depositato eppure tutti sbandierati per rivendicare i torti subiti dimenticando magari qualche vantaggio. Un dossier che il Milan dopo il pareggio stentato contro il Bologna tiene chiuso in un cassetto ma che secondo Adriano Galliani si è arricchito di un nuovo e decisivo capitolo con l’errore dell’assistente Alessandroni in occasione del gol annullato a Ibrahimovic e che avrebbe regalato al Milan un secondo tempo all’assalto. Rabbia in silenzio.

“Quest’anno siamo stati sfortunati” ha abbozzato Allegri. E Galliani ha lasciato San Siro scuro in volto, forse consultando il cellulare dove - lo aveva confermato anche venerdì all’assemblea dei soci - conserva i filmati dei gol di Muntari e Robinho che secondo i vertici rossoneri hanno indirizzato stagione e scudetto verso Torino.

Ha ragione? Panorama.it ha provato a mettere in fila torti e favori delle duellanti e ha scoperto che senza sviste alla fine sarebbe la Juventus a guadagnarci. In una classifica ideale i bianconeri (che oggi hanno 71 punti) ne avrebbero 75 mentre il Milan (oggi a quota 68) salirebbe fino a 71.

Prima avvertenza: nell’elenco non troverete e non è stata valutata la sfida di San Siro del 25 febbraio, quella del gol di Muntari non visto da Romagnoli e Tagliavento. Quella sera la Juve si lamentò per una rete di Matri ingiustamente annullata per fuorigioco. Il raddoppio di Muntari avrebbe chiuso la partita come sostiene il Milan? Ai lettori il giudizio.

FAVORI ALLA JUVENTUS - La galleria inizia alla 4° giornata in Juventus-Bologna (1-1 il finale): il gol di Vucinic scaturisce da una punizione battuta con palla in movimento da Pirlo. C’è anche il rigore concesso e poi cancellato per fallo di Portanova su Chiellini: il difensore è in fuorigioco. Alla 7° a Verona contro il Chievo finisce 0-0 ma i veneti hanno ragione a lamentarsi per un gol annullato misteriosamente a Thereau da De Marco: avrebbe spinto Pirlo recuperando il pallone. Le immagini smentiscono. Il 4 dicembre 2011, 14° giornata, è il giorno dell’unico rigore a favore dei bianconeri. Accade in Juventus-Cesena (2-0) e si tratta di un clamoroso errore perché Antonioli tocca il pallone prima di abbattere Giaccherini. Viene anche espulso ma la svista di Doveri non incide sul risultato.

Il 21 dicembre nel recupero della 1° giornata Udinese-Juventus (0-0) Tagliavento grazia Barzagli per una spinta a Di Natale in area di rigore. Il nuovo anno si apre con le polemiche per Juventus-Cagliari (1-1): Guida non fischia due falli di mano abbastanza evidenti di Bonucci su colpo di testa di Larrivey e Pirlo su conclusione dalla distanza di Cossu. Entrambi erano meritevoli di calcio di rigore. Passa una settimana e in Atalanta-Juventus (0-2) Denis protesta per una trattenuta di Chiellini alle sue spalle. Poteva essere penalty ma la vittoria cancella tutto.

Nel recupero della 21° giornata Parma-Juventus (finale 0-0) ci sono i due episodi che scatenano Conte ma manca anche un penalty per i locali (spinta di Barzagli su Giovinco) ed è la Juventus a potersi lamentare di più. In Juventus-Catania (3-1) alla 24° giornata è da annullare il vantaggio di Chiellini che si appoggia a Bergessio. Ininfluente perché mediato anche da un rigore su Padoin di Gomez non visto. Alla 26° in Juventus-Chievo (1-1) De Ceglie è in fuorigioco mentre realizza la rete dell’1-0 poi pareggiata da Dramè che avrebbe però dovuto essere espulso in precedenza da Gervasoni. Bocciato.

FAVORI AL MILAN - La prima partita discussa per i fischi pro-Milan arriva all’(° giornata ed è Lecce-Milan (3-4): sarebbe da annullare il secondo gol di Boateng per un fuorigioco attivo di Aquilani, ma è anche inesistente il rigore per i salentini nel primo tempo chiuso sul 3-0 per il Lecce. Alla 10° inMilan-Roma 2-3 è in leggerissimo fuorigioco Ibrahimovic quando realizza la rete dell’1-3. Errore veniale ma che vale un paio di punti. Completamente falsata invece Bologna-Milan (2-2). Rocchi la sbaglia da cima a fondo ma i rossoneri sembrano leggermente favoriti dalla giornata-no del direttore di gara che grazia Seedorf per un netto fallo di mano (accadrà anche al bolognese Morleo) e non vede il fuorigioco di partenza di Pato nell’azione del rigore su Ibrahimovic che lo stesso Allegri definisce “generoso”. Manca anche un rigore ad Aquilani.

In Milan-Inter del 15 gennaio (finale 0-1) è buono il gol di Thiago Motta annullato su segnalazione di Copelli. Alla fine l’Inter vince comunque. In Novara-Milan (0-3) sarebbe da cancellare il raddoppio nato da un controllo di mano di Nocerino. Non influisce. Da discutere il fischio di Mazzoleni che concede rigore in Milan-Roma (2-1): nessun dubbio sul fallo di mano preceduto però da un’entrata pericolosa di El Shaarawy su Heinze. Il 7 aprile in Milan-Fiorentina il rigore del vantaggio rossonero (blanda trattenuta di Nastasic su Maxi Lopez) è più che generoso. Alla fine risulta non decisivo e bilanciato dall’atterramento di Cassano nel finale che viene invece lasciato correre.

TORTI CONTRO LA JUVENTUS - Le proteste e i sospetti di Conte iniziano subito all’alba del campionato. E’ l’11 settembre 2011 in Juventus-Parma (4-1): manca un rigore a Matri al quale viene anche negato un gol regolare. Ininfluenti. A San Siro in Inter-Juventus (1-2) Rizzoli nega un netto penalty con espulsione per un intervento scomposto di Castellazzi su Marchisio. La Juventus vince ugualmente. Non è decisiva nemmeno la disattenzione di Bergonzi in Lecce-Juventus (finale 0-1) con un’entrata da rigore di Oddo su Vucinic perdonata. E’ l’ultima volta che accade. Alla 22° giornata in Juventus-Siena (0-0) il mani di Vergassola su traversone di Chiellini non fischiato da Peruzzo costa due punti e le proteste di Marotta che chiede “arbitri esperti”.

Poi c’è la rabbia di Parma-Juventus (0-0) con i rigori non visti su Giaccherini e Pirlo su cui si discute davanti alla moviola ma che lasciano la sensazione di ingiustizia e provocano lo sfogo di Conte in sala stampa (”Gli arbitri hanno paura a fischiare a nostro favore perché condizionati ancora da Calciopoli”). Nel recupero della 23° Bologna-Juventus (1-1) c’è un rigore su De Ceglie non concesso che fa infuriare Conte espulso e squalificato pur senza aver profferito insulti su indicazione del quarto uomo Bergonzi. Si va a Marassi e Genoa-Juventus (0-0) è la partita del gol regolare annullato a Pepe per un fuorigioco inesistente in una gara in cui bianconeri possono discutere anche per la trattenuta (peraltro reciproca) di Carvalho su Matri.

TORTI CONTRO IL MILAN - L’elenco comincia con Napoli-Milan (3-1) alla 3° giornata: su cross di Nocerino c’è un tocco di braccio non visto di Cannavaro. Alla 12° in Fiorentina-Milan (0-0) Mazzoleni e i suoi assistenti ne combinano di tutti i colori: mancano due rigori (mani di Behrami e fallo di Nastasic su Pato) e a Seedorf viene annullato un gol regolare per fuorigioco. Alla 21° giornata inLazio-Milan (2-1) c’è il giallo del rigore per fallo di mano di Dias prima concesso da Damato e poi ritrattato su segnalazione dell’assistente. Aveva ragione l’arbitro. Proteste laziali su un possibile rigore di Thiago Silva.

Pesa molto l’errore di Rizzoli in Milan-Napoli (0-0) alla 22°: c’è rigore per un’entrata scomposta di Gargano su Robinho e anche in occasione dell’espulsione di Ibrahimovic manca il rosso ad Aronica. Si arriva a Catania-Milan (1-1). Il gol fantasma di Robinho fa discutere: per Galliani è un errore inaccettabile ma il presidente dell’Aia Nicchi e alcune moviole iper-tecnologiche dicono il contrario e promuovono la scelta di Ghiandai e Bergonzi di non assegnare la rete. Poi la gara contro il Bologna e il fuorigioco inesistente di Ibra segnalato da Alessandroni con i felsinei in vantaggio ma una bella fetta di secondo tempo da giocare. Errore pesantissimo, forse decisivo.

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IL COMMENTO

Il segreto Juve: l'obbedienza totale al tecnico

Mario Sconcerti - corriere.it - 23 -02 - 2012

Il Milan ha le sue consolazioni, per esempio anche ieri c'è stato un gol cancellato dagli arbitri, ma la Juve sta ormai dimostrando di avere qualcosa di più. La storia cambia dalla trasferta di Firenze quando finisce la Juve dei pareggi. Si passa da 8 reti in sette partite, a 18 reti in 6 gare. Un cambio verticale, con la stessa formazione, un ritorno di condizione molto forte, soprattutto un ritorno ai suoi livelli di Pirlo dopo una pausa di stanchezza. Il campionato non è finito, ma è molto ben orientato. Soprattutto sono rovesciate le convinzioni, oggi è chiaro che la Juve ha di più e che il Milan non basta.

Non è chiaro se la Juve sia migliore del Milan, Allegri ha per esempio un giocatore capace di segnare 14 reti più del miglior attaccante della Juve. È chiaro però che la Juve gioca meglio, ha una velocità diversa.

Si vede nella Juve un'innocenza che è fuori dal calcio, l'obbedienza totale verso un allenatore. Non giocano secondo istinto ma secondo regola. O meglio, sono riusciti a forza di sudditanza al tecnico, a far diventare regola il proprio istinto. Non c'è dubbio che questa sia la Juve di Conte. Si sapeva che fosse bravo, nel calcio lo dicevano in molti. Non era chiaro fosse così bravo. Forse la Juve è il suo elemento, si aiutano a vicenda. Forse si ragiona da juventini tutta la vita se si è rimasti tanto nella Juve e altrettanto si è vinto. Dovrebbe a mio parere, smetterla di dire che le notizie del calcio scommesse nascono per destabilizzare lui e la Juve. Destabilizzano almeno una ventina di società e un centinaio di calciatori. È evidente che la storia non è stata inventata per Conte. Né si può scambiare per un pettegolezzo anti-juventino, un verbale compilato in procura. Di questo Conte dovrebbe tener conto, oppure scegliere di ignorare tutto e lasciare le cose in mano ai suoi avvocati. Ma non mescolare le acque patriottiche. Meglio una voce come questa o tre gol dentro la porta annullati come è successo al Milan? È giusto recuperare la realtà e vincere con la coscienza dei forti, senza vittimismi.

La Roma è alla quarta trasferta in cui subisce quattro reti, segno di una squadra mai nata. Qualcuno deve dire a Luis Enrique che 50 punti la Roma li aveva fatti raramente negli ultimi vent'anni. Due anni fa, con progetti di molta più sopravvivenza, aveva 18 punti in più ed era prima. Il problema è la mancanza di crescita, si è data importanza a giocatori che non sanno reggerla. L'Inter fa quello che può, il problema non è il presente, è ricostruire. E bisogna dare atto a Stramaccioni che quattro partite senza perdere all'Inter quest'anno erano capitate solo un'altra volta. Resta la lunga volata per non retrocedere. Il Genoa oggi ha rilanciato, ma c'è ancora molta strada per tutti.

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Ma che catzo dice?

Mi sembra propio un provocatore.

non cediamo alle sirene

la vittoria sul campo una cosa

la giustizia per il passato un altra

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Abete, Beretta e Preziosi troppo tardi per protestare

Aligi Pontani - Tempo scaduto - repubblica.it - 23-04-2012

Ci ha pensato bene, lo sport italiano, alle cose da dire su quanto accaduto a Genova. Il presidente del Coni Gianni Petrucci, che dello sport è il capo supremo, ha voluto parlare per ultimo, a tarda serata, mettendo a fuoco lo slogan a effetto da usare: "Vergogna, vergogna, vergogna", come se quel triplicare il concetto, divenuto ormai figura retorica italiana buona per ogni stagione, bastasse per chiarire l'enormità dell'accaduto. Giancarlo Abete, invece, capo solo del calcio, ha visto in tv lo scempio dei giocatori passare sotto le forche caudine, piangere, cedere, umiliarsi, ha preparato il suo comunicato di dura condanna (si dice così) e ha fatto sapere che avrebbe aspettato la fine della partita per divulgarlo. Parole di fuoco: mai più quella gente in uno stadio. Di Maurizio Beretta, capo della Lega calcio, proprietaria dello spettacolo andato in scena ieri a Marassi, si sono invece perse le tracce fino a quando, rintracciato da un'agenzia di stampa, ha chiarito il suo pensiero: episodio grave e triste, ha detto, ma il calcio italiano è forte e si rialzerà. Evviva.

Hanno naturalmente ragione tutti e tre: una vergogna pazzesca, quegli avanzi da galera vanno fatti sparire dagli stadi, serve un rinascimento del pallone. Resta da capire dove fossero, tutti, mentre il presidente di un club professionistico affiliato alla Lega di cui Beretta è presidente, decideva di accettare il rito della svestizione, mandando al macero definitivamente l'immagine di uno sport ridotto a contenitore del peggio. Resta da capire perché nessuno, non solo le forze dell'ordine, pure pagate per far rispettare una legalità ieri calpestata - come si comporterebbero se un qualsiasi lavoratore fosse costretto, mentre lavora, a spogliarsi in un luogo pubblico da una trentina di persone poco più che vocianti? - ma soprattutto nessuno del calcio, dirigenti, presidenti, giocatori, arbitri, abbia saputo dire la più semplice delle cose: no. Così no. Così mai. Nessuno, durante quegli interminabili 40 minuti di incredibili trattative in diretta, ha pensato che stava morendo la dignità. Tutti a guardare Sculli (Sculli, sì, proprio lui) discutere con la banda ultrà, di fatto legittimandola, addirittura parlare all'orecchio con il capo: magari risolve lui, avranno pensato. Sculli.

Ora lo dicono tutti: così mai più. Ma, ancora una volta, è troppo tardi. E' tardi per chi ha guidato il calcio italiano nella in questa stagione di disastri, dal vertice di una federazione troppo spesso assente, passiva, in balia dell'anarchia imposta dai club professionistici e incapace di proporrre in tanti anni lo straccio di un programma di rinnovamento, di cambiamento, crivellato dagli scandali, dalle liti, dai fallimenti sportivi. E' tardi per chi continua ostinatamente a scaldare una poltrona, quella della Lega, pagato uno sproposito per non esserci mai, né quando si ferma tutto come per Morosini, né quando tutto continua come a Marassi. Lui non c'è, non telefona, non decide, non sa. E' tardi per chi aveva raccontato che la tessera del tifoso avrebbe cambiato tutto, cacciato i mostri e fatto entrare gli angeli negli stadi. I mostri invece non solo ci sono ancora, schedati, pochi, arrabbiati, ma sono ormai gli unici clienti di luoghi spettrali dove le famiglie non si azzardano a mettere piede: anche perché, come accaduto ieri, non ci sono tornelli e tessere in grado evidentemente di evitare che i mostri passino da un settore all'altro, picchino gli steward, dettino le loro condizioni. E' tardi per i presidenti, come Preziosi, che quella gente hanno coltivato per anni, e che più in generale non hanno alcuna idea di cosa sia lo sport, ma proprio nessuna: sanno come si fanno affari col mercato dei giocatori, come si spremono soldi dalle tv, come si licenziano gli allenatori - e infatti, per dire, Preziosi subito dopo l'osceno show (la sera stessa, capite?) ne ha licenziato un altro - come si triplica il prezzo dei biglietti per una finale o una partita importante. E sanno anche che gli ultrà sono clienti, per loro, anche se sommergono di cori razzisti quelli di colore, anche se alla vigilia del 25 aprile fanno cori antisemiti, anche se capita che aspettino i giocatori fuori dallo stadio per pretendere "un confronto". Loro, i presidenti, sono sempre stati zitti. Sempre. Per anni, e ancora oggi, il calcio ha chiuso gli occhi prima e gridato alla vergogna dopo. In mezzo, un romanzo degli orrori che adesso si è arricchito dell'ultimo capitolo: quello della resa. Per sperare in un lieto fine, bisognerebbe cambiare paese, lingua, facce. Noi ci terremo le nostre. Domani si gioca.

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IL CASO

Calciopoli, sanzionata la Casoria

diceva ai colleghi: "Mi abboffate le palle"

La Cassazione ritiene il comportamento di Teresa Casoria scorretto e ingiurioso. Comminata la censura

repubblica.napoli.it 24-04-2012

Confermata, dalla Cassazione, con l'accusa di aver tenuto un "comportamento abitualmente e gravemente scorretto, e in alcuni casi anche ingiurioso" verso i colleghi, la sanzione disciplinare della censura a carico di Teresa Casoria, il presidente della nona sezione del Tribunale di Napoli che ha guidato il processo a 'Calciopoli'.

La decisione della Suprema Corte è stata pubblicata oggi con la sentenza 6328. Tra gli addebiti mossi al magistrato, compaiono le parole della Casoria che durante una camera di consiglio del processo che ha condannato Luciano Moggi, avrebbe iniziato ad urlare, essendo sorti disaccordi nel collegio, dicendo che "non occorreva fare le cose perbene" poichè "il sistema della giustizia non funziona ed è inutile impegnarsi".

Quindi si rivolgeva a uno dei giudici a latere e lo apostrofava con un "ma tu che ca... vuoi? Che ca... devi leggere? Vuoi fare le cose alla perfezione? Tanto qui finisce sempre tutto con dichiarazioni di prescrizione! ... Mi avete abboffato le palle!".

Senza successo, il presidente Casoria, ha cercato di difendersi chiedendo che le sue sfuriate fossero giustificate in nome dello stress provocatole dal processo. La Cassazione le ha risposto, però, di non poterla scusare perchè Calciopoli non c'entra, essendo stata accertata la "abitualità" del suo comportamento sfociato in "mancanza di controllo, aggressività verbale e impiego di espressioni particolarmente offensive nei confronti dei colleghi".

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Dov'e' finita la bellezza di giocare?

Calcio italiano, il giocattolo si e' definitivamente rotto

I fatti di Genova hanno dato il colpo di grazia

Luca Innocenti - voced'italia.it - 23-04-2012

Genova - Il calcio italiano è passione. No, non stiamo parlando dell'amore dei tifosi nei confronti della propria squadra, ma di passione cristiana, di fustigate, corone di spine e croci portate a fatica dal Calcio, quello vero, quello con la "c" maiuscola. Il paragone è ardito, quasi blasfemo, ma le umiliazioni che sta subendo il pallone nostrano sono troppe e troppo gravose per potere di far finta di nulla.

Umiliazione numero uno: calciopoli. Fenomeno non totalmente chiarito, condito dai risvolti più vari, tra gli insulti di moggiana memoria verso il compianto Facchetti, all'omertà di alcune persone circa i metodi poco ortodossi di alcuni dirigenti. In più, la guerra per un campionato che vale poco o nulla, se non tanti litigi tra Moratti e il rampollo Agnelli, presidente di una Juventus piuttosto diversa in termini di eleganza da quella di nonno Gianni. I tempi sono cambiati e battibeccare per un titolo dal nullo valore è persino imbarazzante.

Umiliazione numero due: il calcioscommesse. A trent'anni di distanza, la macchia si ripresenta. All'epoca, aveva fermato un certo Paolo Rossi, che due anni più tardi divenne Pallone d'Oro. Oggi il fenomeno sembra enormemente più ampio. Per ora, ha fermato l'ex capitano dell'Atalanta, Cristiano Doni, alcuni calciatori "minori" (ma molto dannosi) come Carlo Gervasoni e Filippo Carobbio, l'ex portiere del Napoli, Matteo Gianello, oltre che Andrea Masiello, vero e proprio centro del sistema criminoso. Questi sanno e stanno facendo molti nomi. Nomi che si sono resi colpevoli di silenzio, il quale, per la giustizia sportiva, porta alla squalifica e, a parte le cifre ricevute dai giocatori sopracitati, sembra che i personaggi che sapevano ma non parlavano fossero moltissimi. I nomi sono piuttosto pesanti: Antonio Conte, Stefano Mauri, Cristian Brocchi, Giuseppe Sculli, Paolo Cannavaro. Detto ciò, non c'è alcuna certezza che essi, come altri, conoscevano le diverse combine, ma la tempesta sembra davvero dietro l'angolo.

Umiliazione numero tre: i fatti di Genova. Non bastava che a Marassi si presentasse tal Ivan Bogdanov, l'energumeno serbo che rovinò la reputazione di tutta una nazione, sempre molto attenta al calcio, durante Italia - Serbia, ma dovevano aggiungersi un centinaio di delinquenti che imponessero le loro leggi. "Via le maglie!", ordinano. E i giocatori obbediscono. Premettendo che la paura (chiara nelle lacrime del genoano Mesto) è comprensibile, le domande sono tante. Perché dare a questi "tifosi" certe soddisfazioni? Dov'era la polizia? Perché non si è interrotta la partita? Mille domande, tutte legittime, ma probabilmente solo una è realmente pertinente: perché permettere a pochi di imporre condizioni, regole e tempistiche di una gara che dovrebbe durare novanta minuti? Ci vuole coraggio, ma oggi è venuto meno. A parte ad uno: Enrico Preziosi. La conferenza stampa del dopo-partita è stata decisa, sfacciata, quasi cattiva: che trasmetta questa rabbia a tutti i suoi "dipendenti".

Umiliazione numero quattro: oggi la giornata doveva essere dedicata a Piermario Morosini. Invece, si sono viste minacce e situazioni che definire "ributtanti" è riduttivo, per chi ama questo sport. La sua memoria, ad una settimana dalla sua morte in diretta, è già stata infagata: bravi, fatevi un bell'applauso.

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Modificato da huskylover

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Genoa-Siena, moralismi sfrenati. Io sono dalla parte degli Ultras - CONTROCORRENTE

Cesare Lanza - panorama.it - 23-04-2012

Nuova ondata di retorica e di indignazione moralistica, pressochè unanime, nel mondo del calcio. Sotto accusa, con processo sommario, gli ultrà del Genoa, colpevoli di aver provocato l’interruzione della partita col Siena (0-4 al momento della sospensione) e di aver intimato ai calciatori del Genoa di togliersi la maglia perchè “indegni di indossarla”. Al grido di “vergogna!”, “delinquenti”, “arrestateli”, “non entrino più in uno stadio di calcio!”, una impressionante invettiva contro quei tifosi esaperati.

Ilaria D’Amico - elegante e sobria di consueto, la presentatrice mia preferita - dagli studi di Sky si è spinta a definire l’incidente genovese una sorta di “stupro del calcio”. Per favore, non esageriamo.

Mi schiero con gli ultrà o, almeno, vorrei sostenerne le ragioni, ignorate fino ad ora da tutti.

Il mondo del calcio è diventato ormai, da tempo, ANCHE (non solo, specifichiamo bene) un orribile luogo di cinismi, malaffare, pasticci e imbrogli d’ogni genere, accordi illegali per truccare le partite, ecc.

C’è un interesse supremo, ovviamente quello dei soldi. In un oceano di guadagni o speculazioni sguazzano i calciatori, molti avventurieri che guidano alcuni club al solo scopo di arricchirsi, i procuratori che governano un mercato senza fine, le televisioni che accontentano ogni curiosità morbosa, anche minima, di milioni di cosiddetti appassionati, i dirigenti incapaci di restituire al calcio i connotati nativi di un fenomeno pulito, trasparente, sportivo, giornalisti che si eccitano ed eccitano, stigmatizzano e deprecano, cambiando umore come banderuole al vento; e potrei continuare a lungo, se si volesse entrare nei meandri delle strumentalizzazioni, delle sponsorizzazioni, o dei farmaci che hanno ucciso fior di giovani inconsapevoli di essere sfruttati e logorati fino all’ultimo respiro.

Pur di sbattere il mostro in prima pagina, ho letto sciocchezze autentiche: per dimostrare la “maledizione” di Genova e del Genoa, si è arrivati a rievocare un Genoa-Milan (accoltellato e ucciso un tifoso del Genoa) e la sospensione della partita della Nazionale (gli incidenti furono provocati dai tifosi serbi!).

In questa infernale cornice ci sono - gli unici, sicuri innocenti - i tifosi - non solo quelli, straordinari, del Genoa. Pagano un biglietto, quasi sempre salato, e sognano di veder la propria squadra vincente o, quanto meno, questo è il punto, impegnata a sudare e lottare, per il migliori risultato possibile. E tra i tifosi ci sono gli ultrà, gli estremisti: se commettono violenze, sono il primo a infuriarmi e a pretendere - inutilmente, visto come funziona la giustizia - che siano puniti e condannati in modo esemplare.

Ma se non commettono violenza, anche io, da sessant’anni, sono un ultrà, per il sentimento del tifo. In particolare, sono un ultrà genoano: cioè legato, per misteriose motivazioni (se interessa, ne parleremo un’altra volta) alla propria squadra, storicamente ormai sofferente e perdente da decenni. In maniera indissolubile. Se non fosse per ragoni di età e di salute, e perchè vivo a Roma e non più a Genova, ogni domenica in cui il Genoa gioca in casa, sarei lì, allo stadio, confuso tra gli ultrà, a gridare il mio entusiasmo e le mie speranze.

Noi genoani siamo una specie unica: siamo quelli che hanno imbandierato la città il giorno della beffarda retrocessione in serie C, quando avevamo appena riconquistato la serie A. Siamo quelli che hanno applaudito la nostra squadra - pochi anni fa! - quando a Genova è stata messa sotto dall’Inter di Mourinho con un punteggio superiore a quello che ci ha inflitto il Siena. Ricordo perfino uno 0-8 (otto gol in casa!) presi dal Milan di Nordhal negli anni cinquanta. Ricordo uno 0-5 incassato dall’Udinese di Zico. Ebbene? Mai si è avuta, nella storia del Genoa, una protesta popolare come quella di domenica.

Perchè oggi, allora? Perchè domenica si è passato il segno. Era, per il Genoa e per il Siena, la partita della salvezza. E i toscani l’hanno affrontata con cuore, con aggressività sportiva, consapevoli dell’importanza dei punti in gioco.

E i nostri? Poveracci, presi a legnate dagli avversari, senza capacità nè di lotta nè di reazione. Una vergogna, questa sì. E cosa hanno fatto gli ultrà? Qual è stata la loro colpa? La sola ”violenza” è stata quella di provocare l’interruzione di una mezz’ora…

Dov’erano i dirigenti, il presidente, l’allenatore? Dov’erano le forze dell’ordine? Gli ultrà hanno preteso che i giocatori si togliessero le sacre maglie rossoblù. Ebbene, da qualche annO il Genoa non è una squadra di calcio: è diventata una pensioncina dalle porte girevoli, in cui i calciatori entrano ed escono, a decine ad ogni stagione, i più deboli restano, i più forti vanno via: Milito, Thiago Motta, Borriello, El Sharawy, solo per citare i primi che mi vengono in mente. Addrittura alcuni, come Bonucci e Boateng li abbiamo visti in transito, neanche un giorno vissuto a Genova, acquistati per essere subito ceduti, dirottati alla Juventus e al Milan.

Qual è l’identità della squadra, qual è il valore della maglia? Esiste forse il valore della maglia genoana per i dirigenti del club, per le televisioni che infuriano e insultano, per i giornali, per i procuratori, per i calciatori? Ma via!

Che gliene frega ai migliori calciatori, un Palacio o a un Gilardino - che probabilmente sono già venduti o certamente saranno venduti - di togliersi di dosso la maglia, o ad altri che vanno e vengono come pacchi postali?

Il valore della maglia contava - conta - solo per noi ultrà, per tutti gli altri tifosi d’accordo con gli ultrà. E perciò è partita l’intimazione di togliersela, quella maglia, con una manifestazione che può diventare di grandiosa importanza per chi ama il calcio. Non per quelli che ci sguazzano, nel calcio, per convenienza e interessi a volte perfino impronunciabili. Ma per chi ama davvero il calcio, come gli ultrà, gli ultimi mohicani romantici. Viva gli ultrà!

Si è oltrepassato il limite del diritto di protesta? Forse. Ma sono orgoglioso che dal mio Genoa parta finalmente una rivendicazione popolare dai toni forti: è il tifoso che può reclamare i suoi diritti, è il tifoso l’unico che ancora paga, e crede, in questo sport, diventato e deformato come un business-show.

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L'avevo adombrato anch'io qualche mese fa...

___

AL POSTO DI PALAZZI

Procura federale a Lepore?

Guidava i pm di Calciopoli...

di ALVARO MORETTI (TUTTOSPORT 24-04-2012)

ROMA. Stefano Palazzi continua il suo duro lavoro e la sua corsa contro il

tempo sul caso scommesse, ma il suo incarico - in deroga annuale - è in

scadenza. A dire il vero sono in scadenza tutte le cariche della giustizia

federale e la stessa “legislatura Abete 2” si avvia verso il semestre bianco

(elezioni a marzo 2013, probabilmente). Il presidente federale aveva avuto

tempo fa l’idea di chiamare a guidare la futura Procura Federale (che il caso

scommesse richiede potenziata) Vittorio Martusciello, ex inquirente Figc e

presidente della Commissione tesseramenti e ora - al vertice della carriera -

procuratore generale a Napoli. La pensione per Martusciello è ancora lontana e

così ad Abete è venuta l’idea di chiamare un grande amico di Martusciello per

potersi mettere a disposizione della struttura federale, come procuratore

federale o come alto giudice (corte di giustizia federale) niente meno che a

Giandomenico Lepore: sì, proprio il procuratore capo di Napoli, in pensione

dallo scorso dicembre, e capo dei pm Beatrice, Narducci e Capuano nei giorni

di Calciopoli. Era l’uomo che coordinava le indagini: la sentenza di novembre

era stata per Lepore la conclusione di un lavoro. Anche se va detto che

proprio nelle interviste del giorno dopo e ancora al netto della sorprendente

motivazione di quella sentenza, Lepore dichiarò che avrebbe indagato anche

sull’Inter avesse saputo di quelle telefonate. Un nome importante, ma che

potrebbe creare non pochi mal di pancia per chi ha criticato duramente

l’operato degli investigatori di Calciopoli. Lepore ha sempre appoggiato le

iniziative di Narducci, Beatrice e Capuano, ma ha coordinato anche il lavoro

dei tre pool che stanno operando sulle partite incriminate per la

scommessopoli napoletana. Decisiva può essere la questione dei tempi: per

condurre i processi estivi a Palazzi servirà una deroga (magari fino a marzo),

ma l’idea di coinvolgere Lepore (ora presidente della camera arbitrale del

commercio napoletano) ha attecchito - grazie ai buoni uffici di Martusciello -

nell’ex procuratore che ha combattuto i casalesi, con la passione per i motori

e per lo stesso calcio. E Palazzi? Potrebbe prendere l’incarico di Giudice

Sportivo.

GIUDICE CASORIA Le sezioni unite civili della Cassazione hanno confermato la

sanzione disciplinare della censura inflitta dal Csm nei confronti del giudice

Teresa Casoria, presidente della nona sezione penale del tribunale di Napoli,

a capo del collegio giudicante del processo Calciopoli. Lo stress del processo

Calciopoli - secondo la Suprema Corte - non giustificava le «espressioni

particolarmente offensive» rivolte ai colleghi della sezione. Non necessari

approfondimenti linguistici sulle parole usate.

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PUGNI e Caresse

L’urlo dei destini Crudeli

di ANDREA SCANZI (il Fatto Quotidiano 24-04-2012)

C’È UN UOMO nella tormenta, è milanista ma non è Allegri. Risponde al nome di

Tiziano Crudeli. Professione “tifoso rossonero”, anche se nella stagione

’88/’89 arrotondava lo stipendio come cronista nerazzurro a Radio Peter

Flowers. Ha giocato nelle giovanili del Milan, da piccolo tifava Forlì. Deve

la piccola fama a Gialappa’s, Biscardi, Chiambretti. Più ancora, alle

esultanze a Diretta Stadio (Italia 7 Gold). Su Youtube spopolano. Oltre a

dimostrare che la teoria evolutiva è oltremodo fallace, Diretta Stadio è un

brainstorming illuminato, al cui confronto un colloquio tra Lupi e Ghedini

pare per contrasto un simposio. In tal consesso, certo aulico, il prode

Crudeli è il capitano fiero. Il guitto lanciato a bomba contro se stesso.

L’urlo in cerca di una sciocchezza. Il volto, tra il dadaista e il paonazzo, è

sempre sgomento. Quando esulta piange, quando perde piange: più che un

giornalista, una statuetta votiva di Civitavecchia (o di Milanello). All’apice

della gioia, Crudeli si trasfigura: le parole si ripetono (“Goooool, goooool!”)

, i cognomi vivono di vita propria (“Il Paperino l’ha messa!”, “E brava la mia

fochina!”, “Bo-aaaaa- teng!”). Dotato di un tocco magico al cui confronto

Cassandra era maestra in liete novelle, Crudeli è un quadro di Munch dipinto

da Martufello. Ha dichiarato che il sogno più grande della sua vita è vedere

Cristiano Ronaldo in rossonero, asserzione che dà la misura di una vitalità

ormonale verosimilmente catacombale. Vive di Milan e per il Milan, quindi vive

male. Domenica, dopo il pareggio con il Bologna, ha assistito a Juventus-Roma

con approccio da martire. A ogni rete bianconera minacciava di abbandonare lo

studio, quasi che i gol di Vidal e Del Piero fossero la versione 2. 0 dei

lampioni di Marsiglia. Alla fine, stremato, ha fissato implorante la

telecamera. Occhi lucidi, voce rauca. La mano lisciava nervosamente il baffo

generoso. Straziato e straziante. Destini Crudeli. O forse solo ridicoli.

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I giochi proibiti dello sport

e gli allenatori che «non vedono»

«Un campione di Serie A

presto rivelerà: io gay»

Cecchi Paone sfida il bullismo machista del calcio italiano

«Con Prandelli qualcosa cambierà, altri tecnici sono omofobi»

di SERENA GENTILE (GaSport 24-04-2012)

Sono storie così terribili che mentre leggi hai bisogno di tornare indietro a

cercare senza trovare conforto nel tempo che fu. E invece scopri che è

successo l'altro ieri. Può essere che Gottfried von Cramm, tennista, venga

arrestato, processato, umiliato e cacciato da Wimbledon perché omosessuale? È

il 1938 e te la prendi con Hitler e le sue atrocità. Può essere che si stupri

in gruppo e si uccida una donna, Eudy Simelane, perché nera, calciatrice,

attivista lesbica? È il 2008. Ieri. Leggendo «Il campione innamorato» di

Alessandro Cecchi Paone, sull'omosessualità e l'omofobia, cerchi gossip e

trovi umanità. E una sofferenza che fa rabbia. Qui non si tratta di pari

opportunità o differenziali retributivi, ma di pura discriminazione per motivi

sessuali.

Spogliatoio e carezze Eppure con quel racconto dello spogliatoio tutto

coccole, qualcuno manderà lui velocemente a quel paese. «Lo spogliatoio è una

camerata, è lì che si fa gruppo. C'è intimità, complicità. E poi, il maschio

tocca i genitali di un altro regolarmente e lo fa per vari motivi: per

sfotterlo, per misurarsi» dice e sa che da domani in Serie A sarà più temuto

del procuratore Federale Palazzi e delle sue inchieste. Che in tanti

pagherebbero per non essere in questo libro. Che correranno a leggerlo, ma non

lo ammetteranno mai. «Lo so, sono terrorizzati. Del resto mi temevano anche

prima. Una volta incontrai Vieri in strada, mi fece i complimenti per il

coraggio che avevo avuto a raccontarmi. Ma a cena con me non ci sarebbe mai

venuto. I calciatori devono essere machos. Eppure sono anche gay». Vuole

espugnare il calcio, ma il calcio è inespugnabile. «Il costume del Paese è

condizionato dal pallone e il nostro ancora oggi nega, nasconde. È

pericolosissimo per tutti gli attaccanti di provincia, dell'oratorio: il 30%

dei suicidi, tra adolescenti, è per problemi a sfondo sessuale. Prima di

Prandelli, sensibile e intelligente, sembrava impossibile ipotizzare la

presenza di un omosessuale nel calcio». È vero, Lippi non ne ha mai incontrati

e Moggi non ne ha mai voluti. «E invece uno li ha allenati e l'altro

comprati». Lippi ha anche detto che «un gay farebbe fatica in uno spogliatoio

di calcio, per come sono fatti i calciatori».

Scimmie Ma come sono fatti? Cecchi Paone una risposta ce l'ha: «In Italia

presidenti e allenatori non hanno il coraggio di dirsi omofobi, quali sono,

fanno muro negando l'esistenza del terzo sesso o sconsigliando il coming out

per non turbare i compagni. Siamo ancora figli della cultura clerico-fascista

che ci ha insegnato che i gay sono malati, matti, perversi e pericolosi». Sono

più pericolosi i tifosi, a dire il vero, «le scimmie dietro le grate», per

citarlo. Ma se un arbitro è cõrnuto per un calcio d'angolo negato, cosa può

succedere a un calciatore gay? «Quello che è successo a Guti, gli hanno urlato

maricòn frõcio sino a quando non ha lasciato la Spagna. Ma c'è anche un

arbitro e ne parlo nel libro che ha accettato di diventare finocchio piuttosto

che cõrnuto. E c'è uno sfondo sessuale anche in quello che hanno fatto i

genoani domenica: togliere la maglia ai calciatori che l'hanno disonorata è

anche esporli al rischio di umiliazione sessuale. Ci vuole coraggio, lo so: io

l'ho fatto in tv e non è stato facile, in uno stadio è ancora peggio».

La linguetta di Mou Ma va fatto. «Prandelli dice che i tempi sono maturi.

Io aggiungo: lo farà un grandissimo della Serie A, a fine carriera. Farà da

parafulmine, aiuterà tutti gli altri». Doveva farlo uno di Lega Pro, suo ex

fidanzato. «Era giovane, aveva 26 anni, e molto dolce. Mi diceva, "sei stato

il primo e forse sarai l'ultimo". Aveva paura di essere etichettato, era del

Sud. Ma quando lo farà quel campione, lo farà anche lui. I ragazzi sotto i 30

anni vivono una sessualità dinamica, sono regolarmente bisessuali. E non è

giusto doverlo negare». Certe volte basterebbe dirlo diversamente. Se Mourinho

alla parola omosessuale avesse risposto «no» invece di «mai!», Cecchi Paone

non si sarebbe vendicato raccontando la linguetta che il bel Mou faceva

pensando a Nedved e tutti i suoi significati secondo il linguaggio del corpo.

«È talmente ridicolo ormai il negazionismo... Sono gli allenatori/padroni a

organizzare la copertura. Nascondono i gay e pure i crimini veri, le scommesse

ad esempio. Mio nipote ha 12 anni, ed è disorientato: non può credere che i

suoi miti siano capaci di vendersi una partita». E invece lo sono. «Ma se

persino Platini, un signore come lui, figlio della Francia liberté, egalité,

fraternité fa l'ingenuo... Che delusione. E poi, cosa gli costava dire: i gay

nel calcio ci sono e nessuno li tocchi». Ci vorrebbero più Piccinini, la

naturalezza che azzittisce: «Le lesbiche nel volley esistono e non danno

fastidio». Amen. Servirebbe normalità e forse non più Olimpiadi gay, così

autodiscriminanti. «In Canada sì. Noi siamo a zero: senza leggi». Noi siamo

ancora al non vedo e non sento. E Cecchi Paone lancia la sfida: «Vorrei che mi

invitassero nello spogliatoio del Milan per regalare a tutti il libro con

dedica e dimostrare che non turbo. Buttassero a terra pure tutti i saponi.. . ».

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MARKETTA di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 24-04-2012)

La nuova sfida di Petrucci

sindaco di San Felice Circeo

Cento chilometri da Roma, novemila abitanti: San Felice Circeo è una meta

importante di vacanza, e non solo per i romani. Ed è anche particolarmente

ambita dagli speculatori, proprio perché incastonata in un autentico gioiello

che si chiama Parco Nazionale del Circeo. Giovanni Petrucci detto Gianni ha

deciso con entusiasmo quando l'amico Pierferdinando Casini, leader dell'Udc,

gli ha proposto di candidarsi a sindaco di San Felice. Il n. 1 dello sport

italiano scenderà in campo per le elezioni amministrative del 6 e 7 maggio. La

sua lista si chiama "Gianni Petrucci sindaco". Dovrà vedersela con altri due

candidati: Emiliano Ciotti, appoggiato dalla destra, e Giuseppe Schiboni,

portato dal Pdl. Una bella sfida per Petrucci. La voglia di aprire un nuovo

percorso di vita e di lavoro. Sì, perché fare il sindaco a San Felice, realtà

complessa, è un autentico lavoro. E così Petrucci ha deciso di scendere in

politica, e chissà se questo è solo il primo passo: il prossimo anno, come

noto, scade il suo mandato al Coni, e non è più ricandidabile. In carica dal

29 gennaio 1999, chiude quindi con le Olimpiadi di Londra. Con l'obiettivo

dichiarato di tenere l'Italia nel G10 mondiale: e se le proiezioni ci danno 32

medaglie olimpiche, beh, credo che Petrucci firmerebbe subito. E' una

battaglia sempre più dura d'altronde restare ai vertici mondiali, e lasciarsi

alle spalle Nazioni più "portate" allo sport di noi, e magari più ricche e

anche più organizzate. Ha aperto un (piccolo) spiraglio allo sport nella

scuola, Petrucci, ma scontiamo ancora il ritardo rispetto ad altri Paesi. E la

crisi ha portato consistenti tagli anche allo sport. Ultimamente il n. 1 dello

sport italiano si è fatto anche paladino di una battaglia a favore dell'etica,

cosa che non guasta mai visto come è ridotto il nostro calcio. San Felice

Circeo potrebbe essere il primo passo verso una carriera politica (magari al

Senato, sempre con l'Udc), ma sarà molto difficile che Petrucci lasci del

tutto il mondo dello sport, il suo mondo. Lo aspetta la carica di presidente

della Federbasket. Anche se da qui a maggio 2013, chissà, potrebbero esserci

delle sorprese. Per intanto, ecco la sfida a sindaco di San Felice (e chi è

interessato a leggere il suo programma elettorale lo trova sul sito www.

comune. sanfelicecirceo. it).

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I compari del calcio

Massimo Gramellini - lastampa.it - 24-04-2012

Chiunque di noi sparasse fumogeni in una via del centro sarebbe circondato dai passanti e arrestato. Allo stadio rimane impunito e diventa un personaggio». Era l’incipit di un Buongiorno datato 14 aprile 2005. Sette anni fa. In Italia i problemi non si risolvono mai. Invecchiano come il buon vino in botti di rovere, però a differenza del buon vino non diventano barolo ma aceto, lasciando in bocca il sapore acidulo della resa.

La gogna di Genova è l’ultima vergogna.

Giocatori che infischiandosene del pubblico perbene si tolgono la maglia sotto la minaccia dei violenti, riconoscendo loro uno status di tifosi «più tifosi degli altri» che essi rivendicano ma che non meritano. L’incredibile Sculli che abbraccia uno di questi tipacci e gli parla all’orecchio, da compare a compare. Sculli che andrebbe squalificato a vita solo per questo. Tranquilli, non succederà. Non succede mai nulla. Solo retorica a vagonate. Troppi dirigenti del calcio sono pavidi e mediocri, farebbero fallire qualunque società «normale» di cui per disgrazia diventassero i manager. Quanto ai reggitori della Federcalcio e della Lega appaiono come funzionari grigi del potere politico ed economico. Di loro non si ricorda un gesto, uno slancio vitale. Incapaci persino di proporre riforme ovvie come il campionato a 16 squadre e l’introduzione dei playoff, che fra un po’ sarà la tv a pretendere perché le troppe partite fra brocchi hanno nauseato il pubblico (tranne quello degli scommettitori). Tutti in prima fila nell’indignarsi e nell’auspicare, ma alla fine gli ultrà resteranno dove sono, a bordo campo, liberi di lanciare fumogeni e bombe carta, mentre a me e voi gli steward dello stadio continueranno a sequestrare il tappo dell’acqua minerale.

Si aspettava la risposta dura delle istituzioni. Eccola: due giornate di squalifica al campo del Genoa. Più che altro un regalo al presidente Preziosi: gli hanno risolto il problema fino al termine del campionato. Poi si vedrà. Intanto il testone pelato che a Marassi sbraitava a favore di telecamera mica è stato arrestato, nonostante fosse in flagranza di reato. E neppure i cinquanta scalmanati che hanno preso in ostaggio migliaia di spettatori normali. Quando la smetteranno i questori, per non avere grane, di lasciar circolare a piede libero dei teppisti conosciuti nome per nome?

Il sospetto che i giocatori si vendano la partita o pezzi di essa, scommettendo sul numero dei gol o dei calci d’angolo, si è trasformato in uno splendido pretesto per scatenare la furia vendicatrice degli ultrà, smaniosi di ergersi a grandi sacerdoti della religione tifosa. Fra questi giovanotti col fisico da buttafuori ci sono fanatici in buona fede, seriamente convinti di incarnare i valori del «Gladiatore», onore e dignità. La retorica del dodicesimo uomo in campo, colpevolmente alimentata da noi giornalisti, ha contribuito ad accrescere la loro convinzione di essere i custodi supremi della Purezza della Maglia. Un feticcio che va onorato ogni maledetta domenica con qualsiasi mezzo, compresi la minaccia e la violenza.

Accanto a questi templari del pallone, talmente compresi nella loro missione salvifica da avere ormai espulso dalle curve le armi benedette dello sberleffo e dell’ironia, si muovono personaggi ancora più torbidi. Razzisti, nazifascisti e autentici malviventi che si mescolano ai perdigiorno che nel tifo organizzato hanno trovato una professione ben remunerata. Pascolano intorno al campo di allenamento, fanno parte del panorama. I giocatori e le società li usano come camerieri o come scorta, compensandoli con biglietti e magliette che quelli poi si rivendono traendone utili consistenti. E’ un rapporto ambiguo, dove i ruoli di schiavo e padrone cambiano di continuo e il confine fra lecito e illecito risulta impalpabile. Ma è un rapporto vero e profondo, che fa parte dell’economia calcistica come le relazioni con la mafia fanno parte dell’economia di moltissime regioni italiane.

Come se ne esce? Vorrei poter dire: con la cultura sportiva. Trento ha perso lo scudetto della pallavolo all’ultimo punto dell’ultimo set per un errore clamoroso dell’arbitro, eppure il presidente del club ha accettato il responso del campo e fatto i complimenti agli avversari. In un prato simile l’erbaccia degli ultrà non riuscirebbe a crescere. Ma il calcio non è uno sport, lo sappiamo fin troppo bene noi che ne frequentiamo gli isterismi. Perciò si impone un cambiamento più spiccio. Società che denuncino i violenti e poliziotti che li sbattano fuori dagli stadi: una due tre dieci volte, finché si troveranno un altro passatempo, speriamo meno remunerativo. Ci saranno ritorsioni? All’inizio sì: nessun cambiamento è indolore. Ma è proprio per scansare la sofferenza che in Italia non si cambia mai nulla, condannandosi alla putrescenza.

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Tutti i debiti della Spagna semifinalista in Europa

Guardare i debiti dei club iberici e chiedersi che fine abbia fatto il fair play finanziario

di FRANCESCO CAREMANI (IL FOGLIO.it 24-04-2012)

La Spagna, campione d’Europa e del Mondo in carica, non ha mai

avuto cinque squadre nelle semifinali di coppa. Il calcio spagnolo potrebbe

così fare cappotto con due finali tutte iberiche, certificando una vera e

propria dittatura nel football continentale.

Nella storia delle coppe europee l’Italia e la Spagna sono le due nazioni con

più epiloghi casalinghi, cinque a testa. Segue l’Inghilterra con due, Germania

e Portogallo con una. A ben guardare le cifre del debito che i club della Liga

BBVA hanno nei confronti del fisco il record che, tra oggi e giovedì sarà

messo alla prova, è pagato a caro prezzo: 489 milioni di euro; 752 quello di

tutti i club professionisti spagnoli, più altri 60 dovuti alla previdenza

sociale.

Un rappresentante di Izquierda Unida ha interpellato il primo ministro

Mariano Rajoy: “Il calcio è considerato lo sport nazionale, ma questo non

giustifica che i club non paghino le tasse come tutti i normali cittadini”.

D’altra parte, in un paese investito dalla crisi economica, che conta 4, 7

milioni di disoccupati, il debito del calcio professionistico diventa

inaccettabile, quasi un insulto alla società spagnola. Decisamente più duro il

commento di Julio Senn, esperto di diritto fiscale e socio della Senn Ferrero

Sports & Entertainment, con sedi a Madrid e Pechino: “E' una situazione fuori

controllo, con le società che hanno vissuto al di sopra delle proprie

possibilità a colpi di prestiti e ricatti alle comunità autonome”, in una

nazione in cui Barcellona e Athletic Bilbao, per esempio, rappresentano

qualcosa che va molto oltre il calcio.

Atletico Madrid e Valencia (4-2 all’andata per i biancorossi in Europa League)

sono i portabandiera di questo manifesto debitorio, con 300 milioni di euro

di debiti totali i primi e 400 i secondi, perché non dobbiamo dimenticare che

quasi tutti i club spagnoli sono esposti verso le banche e questo crea un link

pericoloso legato alla crisi economica nazionale e globale.

L’Espanyol con 160 milioni ha dovuto vendere i diritti di quattro suoi

giocatori (Alvaro, Moreno, Amat e Marquez) a un fondo d’investimento

britannico: 4 milioni di euro per calmare i creditori. Qualche mese fa il

gruppo bancario Bankia aveva proposto di utilizzare i cartellini di Cristiano

Ronaldo e Kakà come garanzia verso la Bce per ottenere un prestito necessario

a finanziare il fondo d’investimento Madrid Activos Corporativos V: 773

milioni di euro in obbligazioni per sostenere alcune aziende, tra cui lo

stesso Real e l’impresa di costruzioni del presidente Florentino Perez.

Il sistema bancario spagnolo, al quale le squadre sono legate mani e piedi, è

esposto per 400 miliardi di euro verso il settore del real estate e sopravvive

solo grazie al denaro della Bce: secondo uno studio di Danske Bank la crisi

immobiliare in Spagna ha creato, dal settembre 2009 a oggi, un calo pari al 10

per cento del Pil. Intanto, Barcellona e Real Madrid (più volte abbiamo

sottolineato il potere logorante che la diarchia sportiva ed economica ha su

tutto il movimento nazionale) hanno fatto sapere che loro al fisco non devono

niente, confidando di continuare a ripianare i propri debiti verso privati

grazie ai ricavi che con, rispettivamente, 450.7 milioni e 479. 5 ne fanno i

due club più ricchi al mondo. Mentre Miguel Cardenal, segretario di Stato allo

Sport del governo Rajoy, ha fatto sapere: “Il piano di rimborso su dieci anni

del debito verso il fisco è già stato negoziato e firmato, sarà operativo a

partire dalla fine della stagione”. L’Atletico Madrid nell’ultima campagna

acquisti ha speso 69.5 milioni, di cui 40 per l’attaccante colombiano Falcao,

incassandone quasi 88.5 con le cessioni di Aguero, De Gea, Forlan, Elias e

altri. Il Valencia ne ha incassati 32.9 (cedendo Mata al Chelsea) ma ne ha

spesi 34. Il Real Madrid ha registrato un passivo di 46.8 milioni, di cui 30

per Fabio Coentrao; il Barcellona invece solo 12. 25, spendendone 60 per

Sanchez e Fabregas. Alla vigilia delle sfide di ritorno tutto può ancora

succedere, anche che le squadre spagnole non vincano niente. Splendori e

miserie di un calcio sull’orlo del baratro e lontano anni luce dal fair play

finanziario.

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Zanetti studia già da dirigente

"Il giorno dopo il mio ritiro tornerò a lavorare: nessuno lo sa, ma la scrivania e la targhetta in ufficio, nella sede dell'Inter, sono pronte...".

Quella che si sta per concludere, senza trofei alzati al cielo da capitano nerazzurro, non sarà l'ultima stagione in campo ma Javier Zanetti sta già lavorando per quella che sarà la sua vita dopo l'addio al calcio giocato.

"Non chiuderò occhio nella notte successiva al mio ritiro, ma il giorno dopo tornerò a lavorare: nessuno lo sa, ma la scrivania e la targhetta in ufficio, nella sede dell'Inter, sono già pronte", ha svelato l'uomo simbolo della formazione meneghina in un'intervista a "Chi".

"Volevo essere più vicino alla società con un ruolo da dirigente. Ringrazio Massimo Moratti per avere esaudito questo mio sogno. Comunque c'è ancora tempo, tempo per vincere: negli ultimi sette anni ho sempre alzato un trofeo, questa volta non capiterà e vogliamo ripartire da zero", ha rilanciato però già la sfida con gli sparpini ai piedi in vista della prossima stagione

Modificato da totojuve

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24-04-2012

Tommasi in visita ai giocatori del Genoa

"Volevo capire perche' tolta maglia: girava voce penalizzazione"

(ANSA)-ROMA, 24 APR- "Volevo capire perché si sia arrivati a dare la maglia, un gesto sbagliato: ma da fuori ci sono troppe certezze, da dentro certe cose diventano un po' meno impossibili". Così Damiano Tommasi, presidente dell'Assocalciatori, racconta il suo incontro con i giocatori del Genoa oggi a Milano. I calciatori hanno raccontato di essersi tolti la maglia perche' in quel momento era l'unico modo di sperare di riprendere il gioco ed evitare cosi' l'interruzione della gara e la conseguente penalizzazione

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ESCLUSIVO - Albertini: “Terza stella? Forzatura. La Juve non ha vinto quegli scudetti”

di Giovanni Capuano - panorama.it - 24-04-2014

La terza stella sulla maglia della Juventus in caso di scudetto? “Una forzatura senza valore” risponde senza esitazioni a Panorama.it il vicepresidente della Figc, Demetrio Albertini: “Ci sono regolamenti e sentenze della giustizia sportiva che hanno determinato alcune situazioni e anomalie come succede nello sport. Non mi metto a dire chi ha ragione e chi no perché non sono il magistrato, però dico che Ben Johnson non ha vinto la medaglia d’oro”. Quindi la Juventus non ha vinto quegli scudetti… “Per le sentenze sportive no”. Il ritorno della Juventus al tricolore rischia di creare un momento di forte imbarazzo ai vertici sportivi italiani.

Cosa accadrebbe se davvero Agnelli decidesse di festeggiarlo mettendo la terza stella sulla maglia e considerando così ‘veri’ e non ‘virtuali’ i due titoli cancellati dal ciclone di Calciopoli? Non è una domanda da poco considerato il disagio che accompagnò ad esempio la presenza del presidente federale Abete alla cerimonia di inaugurazione dello Juventus Stadium in cui lo stesso Agnelli attaccò le istituzioni. E nei corridoi degli spogliatoi continuano a far mostra di sè anche gli scudetti 2004-2005 (revocato) e 2005-2006 (assegnato all’Inter).

Albertini come la prenderebbe una scelta di questo genere?

“Sinceramente a oggi rimango ai regolamenti sportivi che dicono una cosa differente”.

Che ne ha vinti 27 e sarebbe il numero 28…

“Il regolamento sportivo dice questo”.

Sarebbe una forzatura?

“Sarebbe una forzatura secondo me senza valore, pur nella stima che ho della società. Ci sono regolamenti e sentenze della giustizia sportiva che hanno determinato alcune situazioni e anomalie come succede nello sport. Non mi metto a dire chi ha ragione e chi no perché non sono il magistrato, però dico che Ben Johnson non ha vinto la medaglia d’oro”.

Quindi la Juventus non ha vinto quegli scudetti…

“Per le sentenze sportive no”.

Si può fare un richiamo ad Agnelli a fare eventualmente una scelta di buon senso?

“Ripeto, sarebbe una forzatura”.

Anche se nei regolamenti non esiste nulla in merito…

“Sarebbe una provocazione. Uno può fare la maglietta come vuole e solo lo scudetto o la Coppa Italia vanno messe in caso di vittoria”.

E’ pensabile che la Figc faccia un passo anche informale entro la fine del campionato per evitarsi l’imbarazzo?

“Ad oggi non possiamo basarci su quello che potrebbe accadere ma bisogna aspettare i fatti. Personalmente se dovesse accadere la riterrei una forzatura ma non posso fare considerazioni su un’ipotesi di una terza stella sulla maglietta. Credo che la Juventus stia facendo un percorso importante e stia dettando i passi del rinnovamento del nostro calcio partendo dalla stadio e dalla gestione sportiva. Rispetto e stima nella nuova dirigenza”.

Agnelli farebbe bene a sfruttare l’eventuale vittoria dello scudetto per chiudere anche a livello simbolico con il passato?

“Sceglieranno loro le strategie giuste. Non le conosco”.

Il ritorno della Juventus a questi livelli è in ogni caso una bella notizia?

“E’ una società che ha puntato su un progetto sportivo e non solo gestionale lasciandolo ad allenatore, Marotta e giocatori. Raccogliere i risultati fa parte dello sport. E poi ha puntato su tanti italiani e la storia insegna che le grandi squadre sono nate sempre dal proprio settore giovanile”.

Molti criticano oggi la risposta del mondo del calcio e delle istituzioni ai fatti di Genova. E’ stata adeguata?

“E’ il primo passo e andrà fatto altro. Quello che è accaduto è la conseguenza delle libertà esagerate lasciate negli stadi per tanti anni”.

Il presidente dell’Aic Tommasi ha detto che ci sono gruppi di ultras che mirano a gestire le società…

“Non so se sia così, ma che vogliano essere protagonisti può essere e Tommasi non ha torto anche se non penso ci si riferisca ai fatti di Genova”.

Preziosi e tanti altri stanno evocando il modello inglese con processi rapidissimi e carcere per gli ultras. Dobbiamo fare un altro salto in avanti?

“Noi abbiamo una situazione strana perché la difficoltà ad acquistare biglietti non ha pari nel resto d’Europa e in più gli stadi non sono adeguati. Però in Inghilterra si tratta solo di rispetto delle regole e delle sanzioni”.

In Italia ci sono undici Daspo per i tifosi identificati. Servirebbe il modello inglese?

“Io non vedo nei fatti di Genova, che sono condannabili, gli estremi per parlare di carcere. I tifosi hanno parlato con i giocatori, non sono entrati in campo. Il gesto della minaccia e della resa delle maglie è da condannare ma abbiamo assistito a fatti ben più gravi e non solo in Italia”.

Petrucci parla di punto di non ritorno…

“Me lo auguro. Dovremo guardare con umiltà a quello che succede all’estero e per noi rimane un sogno e un punto d’arrivo con le nostre prerogative. Ci sono situazioni di rispetto dei doveri e dei diritti che all’estero sono maggiori”.

Sculli è un eroe da applaudire o un calciatore da criticare per la vicinanza con quegli ultras?

“Chi vive il mondo del calcio sa che la conoscenza tra giocatori e tifosi esiste. Non si tratta di convivenza negli atteggiamenti, ma condivisione di una fede. Quindi Sculli ha avuto il coraggio di andare a spiegare ai tifosi che cosa sarebbe potuto accadere dal punto di vista disciplinare…”.

Quindi è una figura positiva?

“In ogni squadra c’è chi ha la possibilità di parlare con i tifosi. Il problema è che secondo me non doveva farlo lui ma la società. Bisognava rispettare il regolamento”.

Doveva essere il presidente Preziosi?

“C’era il presidente, la sicurezza, gli steward. Non bisognava cedere al ricatto. Io non avrei mai tolto la maglia”.

Preziosi ritiene di non aver avuto solidarietà dal mondo del calcio…

“Non capisco cosa significhi. Penso che chiunque ha convinto i giocatori a togliersi la maglia ha commesso un errore e il resto è venuto di conseguenza”.

Petrucci continua a criticare i presidenti del calcio italiano. Ieri ha addirittura detto che ‘chi è stato condannato non può parlare di etica’. Non sta esagerando?

“Petrucci cerca di fare da stimolo chiedendo di tornare a pensare a un progetto sportivo e non solo economico e gestionale. Si parla solo di diritti tv, legge sugli stadi, marketing, bilanci e stipendi e mai di una costruzione di un progetto anche dove girano centinaia di milioni di euro. Altrove non succede così”.

Quindi è una buona notizia che la Lega Calcio non abbia partorito una proposta di revisione immediata della norma sulla responsabilità oggettiva…

“E’ come iniziare a giocare un campionato e dire che alla fine vince il terzo in classifica. Non si possono cambiare le regole in corso”.

E’ consolante che ci siano arrivati?

“Il problema è che la Lega deve essere consapevole del suo ruolo. Si è creato un muro con le istituzioni che non capisco. Si parla di cambiamenti e ci limitiamo alla semplice gestione”.

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Juve: 443 milioni di motivi per mettere la terza stella

laterza.stella - panorama.it - 25-04-2012

Terza stella sì, terza stella no. Il campionato è tutt’altro che chiuso ma tutti ormai parlano di ciò che potrebbe accadere se lo scudetto tornasse a Torino dopo sei anni (e soprattutto dopo Calciopoli). Se il vice presidente della Figc, Demetrio Albertini, considera l’ipotesi di una terza stella cucita sulle maglie bianconere della stagione 2012-2013 come “una forzatura senza valore”, Andrea Agnelli sembra fare pretattica: “È abitudine di casa Juve affrontare i problemi quando si creano”, ha commentato il presidentissimo bianconero.

In realtà, nonostante la dichiarazione appaia piuttosto prudente e sobria, siamo convinti che la risposta a questa domanda in Corso Galileo Ferraris ci sia già: se la Juve vincerà questo scudetto sarà il trentesimo della sua storia, senza “se” e senza asterischi.

Lo pensiamo noi, tifosi juventini, ma lo pensa in cuor suo anche Agnelli. Tifoso anch’egli e anche molto di più. Legato alla Juventus da un vincolo che va ben oltre quello affettivo, quello sportivo e quello manageriale. Andrea Agnelli era presidente della Juventus ben prima dell’incarico ufficiale. Era il presidente del popolo bianconero. Lo era per acclamazione, per genesi, per vocazione.

Andrea Agnelli ha iniziato la sua crociata contro la revoca degli scudetti e contro l’atteggiamento rinunciatario, per non dire colpevolista, della gestione Cobolli-Blanc-Elkann ben prima di insidiarsi alla presidenza. Era il primo marzo 2009 e al Sole 24 Ore diceva: “Non ho condiviso la scelta di azzerare il vertice della Juventus. Avrei difeso la Triade fino all’ultimo grado di giudizio”.

Da allora nulla è cambiato nelle idee, molto nei fatti. Andrea Agnelli è presidente e anima della nuova Juventus. Ha iniziato una battaglia legale con Federazione e Lega Calcio per ri-ottenere gli scudetti. Ha depositato un ricorso al TAR del Lazio contro la FIGC con una richiesta danni per oltre 443 milioni di euro.

Nuove intercettazioni hanno rivelato telefonate dell’Inter che, secondo la procura federale, costituirebbero illecito sportivo. Ma nulla è cambiato su quelle della Juventus che a norma di regolamento sarebbe dovuta essere penalizzata per ripetuta violazione dell’art.1, ma mai dell’art. 6. Quindi nè retrocessione, nè revoca degli scudetti.

Anche in campo le cose sono molto diverse. La timida Juventus che come massima ambizione poteva avere quella di essere la “rompiscatole del campionato” (copyright Claudio Ranieri) ha lasciato il posto a quella di Antonio Conte che non ha paura di pronunciare la parola scudetto. E che proprio per questo lo vincerà (al diavolo la scaramanzia, noi lo diciamo da tempi non sospetti). E così un cerchio sembra chiudersi.

A questo punto non resta che riformulare una domanda che a suo tempo fece Christian Rocca , attuale direttore de IL Magazine - Il Sole 24 Ore a Giovanni Cobolli Gigli dalla prima pagina di Tuttosport, e che non ebbe mai risposta: “Signor presidente, quanti scudetti ha vinto la Juventus”?

La risposta di Andrea Agnelli, a differenza di quella del suo predecessore, la conosciamo:ventinove.

Ma cosa dice la Lega Calcio? “Una squadra può mettere quante stelle vuole sulla sua maglia, non esiste un regolamento che definisce la questione e non è la Lega che impone o dispone sull’argomento”, ha spiegato a suo tempo a a Tuttosport il vice-segretario della Lega Fabio Santoro.“Diciamo che è una questione etica. Se la Juventus volesse mettere la terza stella nel momento in cui rivincesse un campionato sarebbe una sua scelta, non certo una violazione delle regole. L’unica cosa che va però ricordata è che per quanto riguarda l’albo d’oro ufficiale della Lega Calcio gli scudetti dei bianconeri sono 27 e non più 29″.

Insomma, mettere o non mettere la stella è una decisione completamente nelle mani della Juventus, sempre che Lega o Figc non decidano di rivedere la normativa, ma ci soprenderemmo non poco se anche su questo tema alla fine non si dichiarassero tutti incompetenti.

E quindi ci piace citare ancora una volta Andrea Agnelli: “Questo non è il tempo della burocrazia, questo è il momento della sostanza”, cioé è davvero inutile interrogarsi su quante stelle avrà la prossima maglia della Juve; ci sembra più utile interrogarsi su quali effetti potrebbe sortire questa decisione sui vincitori, sui vinti e su quella never-ending-story chiamata Calciopoli.

Sicuramente le tre stelle sulla maglia della Juve sancirebbero indelebilmente la diversità di vedute sulla questione tra la società più importante d’Italia e il resto del mondo calcistico. E porterebbero laquerelle ben fuori dai confini nazionali, mettendo i vertici del calcio italiano in una condizione ridicola e paradossale. Insomma una piccola stella gialla su un maglia bianconera potrebbe sortire più effetto del tavolo della pace di Petrucci.

Oppure non accadrà nulla, la Figc e la Lega faranno finta di non vedere, Moratti sì dirà indignato e Juventus e Calcio Italiano continueranno la loro vita da separati in casa.

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Scommesse, chi accusa, chi minimizza; ma alcune verità

Mario Sconcerti - lo sconcerto quotidiano - corriere.it -24-04-2012

Ora che il campionato sta finendo sembra quasi esserci una spinta perché i media si occupino di scommesse. Petrucci oggi è stato chiaro: “Nessuno ne parla eppure sta per succedere di tutto”. E’ curioso che il presidente del Coni si lamenti visto che quello che è uscito sulle scommesse è uscito solo attraverso i giornali, il mondo dello sport non ha detto niente. A chi va allora il rimprovero di Petrucci se non a se stesso?

Se vogliamo sia un’operazione corretta, dobbiamo cominciare dubitando di tutti e ricordando che l’onere della prova d’innocenza spetta a chi è accusato.

Ci si può chiedere se chi avrebbe ascoltato di combine e non ne parlato con nessusno abbia responsabilità concrete, pur non avendo fatto niente. Secondo me no. Ma se uno allena una squadra il cui presidente compra giocatori avversari è più difficile non sapere niente.

Ci sono in sostanza molti punti da chiarire, senza caccia alle streghe, solo capendo che un’indagine così vasta non può essere stata preparata contro nessuno. Molto più semplice che stia implodendo. E se scoppia, macchia molti. Ai molti è dovuto un proceso corretto, a noi è dovuta chiarezza. Chiunque siano i colpevoli.

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Champions League - Guardiola "Accetto verdetto del campo"

mar, 24 apr 23:21:00 2012

Ecco tutte le dichiarazioni a caldo della semifinale di Champions. Il tecnico del Chelsea è al settimo cielo per il passaggio del turno, Guardiola difende Messi, accetta la sconfitta fa i complimenti al Chelsea e respinge le domande sul suo futuro

Ecco tutte le dichiarazioni a caldo dei protagonisti della semifinale di Champions League tra Barcellona e Chelsea.

PEP GUARDIOLA (allenatore Barcellona) "Abbiamo fatto tutto il possibile in 180' ma la palla dovevamo metterla dentro, loro sono stati bravi a difendersi. Contro l'Inter due anni fa non abbiamo avuto tante occasioni, le occasioni questa volta le abbiamo avute ma abbiamo fatto molti errori e a questi livelli questo si paga. Alla fine conta chi va avanti e quindi complimenti al Chelsea e in bocca al lupo per la finale. Quello che abbiamo fatto negli ultimi anni è strepitoso, vincere così tanto. L'importante è sapere in che modo sei uscito, noi abbiamo provato in ogni modo ad andare avanti ma si vede che nel gioco del calcio non toccava a noi quest'anno. Il mio futuro? Quando avrò deciso quello che farò, lo saprete tutti. Nei prossimi giorni vedremo, mi incontrerò con Rosell e e decideremo cosa è meglio per il Barcellona. Messi? Io lo ammiro, è grazie a lui se abbiamo costruito tutto questo, è un esempio per tutti. Ora starà attraversando un brutto momento ma è anche la parte bella di questo sport, a volte si ride e a volte si piange, bisogna saperlo accettare".

SANDRO ROSELL (presidente Barcellona) - "Voglio fare i complimenti al Chelsea. Hanno giocato una partita cui siamo abituati, con gli avversari chiusi dietro. Ci abbiamo provato, ma non ci siamo riusciti. Noi non rinunciamo al nostro stile di gioco e sono orgoglioso dei giocatori. bisogna accettare la sconfitta, anche se non sono contento del rislutato. Questo è un gioco".

ANDRES INIESTA (centrocampista Barcellona) - "Il calcio in questa occasione è stato ingiusto con noi. Dopo una batosta così, siamo molto abbattuti".

ROBERTO DI MATTEO (allenatore Chelsea) - "Quando si gioca col Barça bisogna difendersi bene, perché creano tante occasioni. Prima delle due partite erano favoriti, hanno vinto lo scorso anno e hanno giocatori straordinari. La nostra è stata una prestazione di carattere, avevamo una grande voglia di andare in finale a Monaco. Gioco all'italiana? Si può dire ciò che si vuole, l'importante è essere arrivati in finale. Questo è un gruppo straordinario, ha grande motivazione di vincere questa coppa. L'espulsione di Terry? Siamo tutti essere umani, non mi sono arrabbiato. E' il nostro leader, può capitare a tutti, sono sotto pressione e ogni tre giorni giocano queste partite. Se telefonerò a Villas Boas? Andre è mio amico e rimarremo amici a vita, si è creato un rapporto fantastico nei nove mesi che abbiamo lavorato assieme. Il mio futuro? La societè prenderà la propria decisione al momento giusto e sarà quella più opportuna".

DIDIER DROGBA (attaccante Chelsea) - "Un sogno ma anche una realtà. Abbiamo meritato di qualificarci, dovevamo segnare e lo abbiamo fatto, meritiamo la finale. Un'ossessione per tutte le squadre d'Europa, adesso vogliamo vincere la finale, anche se non sarà' facile. Ho parlato con Mourinho? No, ci ha fatto gli in bocca al lupo ma penserà alla sua partita, gli auguro buona fortuna, speriamo di vederci in finale".

FERNANDO TORRES (attaccante Chelsea) - "Il calcio è così, non sempre vince il migliore. Abbiamo fatto ciò che dovevamo fare per battere il Barça, non era il calcio più bello, però erano le nostre armi e ci è andata bene. Loro hanno avuto occasioni e noi invece abbiamo segnato. Sono venuto al Chelsea per giocare partite così. roveremo a vincere contro qualunque delle due avversarie si qualifichi, Real Madrid o Bayern Monaco, anche se avremo molte assenze. Quella che poteva essere una brutta stagione potrebbe invece trasformarsi in una stagione memorabile".Eurosport

Dichiarazioni di un campione di sportività

Modificato da totojuve

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Calcioscommesse Convocazione in arrivo, mentre slitta quella del presidente del Siena Mezzaroma

Conte in Figc, la partita più difficile

di ARIANNA RAVELLI (CorSera 25-04-2012)

MILANO — Lo scudetto potrebbe non essere l'impresa più dura di Antonio Conte.

La sua Juve avanza sicura come l'Invincibile Armata, e — scaramanzie a parte —

il più sembra fatto. Ma — stando a quanto filtra da Roma — sarà molto

difficile che al tecnico bianconero venga risparmiato il fastidio di una

convocazione davanti alla Procura federale. Per la verità è lo stesso Conte ad

aver auspicato una convocazione, proprio per poter chiarire.

Come si sa, è stato il suo ex giocatore al Siena Filippo Carobbio a fare il

nome di Conte nell'audizione del 29 febbraio. E poi l'ha ripetuto davanti al

pm di Cremona Roberto Di Martino: in ambienti investigativi il coinvolgimento

di Conte è stato confermato. Pur non essendo un «pentito» vero e proprio (la

sua verità arriva a puntate), Carobbio si è però rivelato abbastanza

collaborativo e in Procura lo ritengono attendibile.

L'ex del Siena ha raccontato che l'allenatore sapeva di una combine,

probabilmente quella di Novara-Siena (2-2, del 1° maggio 2011). Il giocatore

parla di un accordo tra le squadre, in cui non sono girati soldi, anche se,

sempre secondo il centrocampista, i capi degli slavi Gegic e Ilievski avevano

inizialmente mostrato un interesse per un pareggio con over, il risultato che

poi si è realizzato. Un racconto che vale poco per la Procura di Cremona, che

— in assenza di scambi di denaro — non ravvisa nessuno reato, ma che può

valere molto per Stefano Palazzi. L'omessa denuncia — nel caso venisse

confermata — di recente è stata punita con un anno di squalifica.

Quel che è certo è che per racconti molto meno dettagliati, la convocazione

di Palazzi è scattata in automatico. E quindi è logico pensare che arriverà

anche in questo caso. Anche perché essere sentiti per chiarire la propria

posizione non significa che si andrà incontro a un deferimento. In Figc si fa

solo presente che, fino a oggi, in calendario erano già stati inseriti

moltissimi nomi, come dimostrano le venti audizioni di domani. Il presidente

del Siena Massimo Mezzaroma ha dovuto rinviare l'appuntamento, però saranno

ascoltati Juri Tamburini e Armando Perna, i due calciatori del Modena, che,

secondo l'altro «pentito» Gervasoni, avrebbero preso soldi dal presidente.

Sotto la lente di nuovo il derby Bari-Lecce (sarà sentito Vives), e il Chievo,

attraverso l'ex Federico Cossato.

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Il caso Iscrizione a rischio per la prossima stagione: coinvolti anche Lugano, Chiasso e Bellinzona

La crisi sgonfia il calcio nel Canton Ticino

di FABIO MONTI (CorSera - Milano 25-04-2012)

MILANO — Pensare che il calcio in Svizzera possa avere seri problemi economici

è come immaginare che il presidente della repubblica di uno degli Stati

europei annunci di essere monarchico. Eppure anche il pallone elvetico deve

fare i conti con bilanci sempre più difficili da far quadrare. Soprattutto nel

Canton Ticino. Perché la crisi non risparmia nessuno. Lunedì la Commissione

licenze della Federcalcio svizzera ha rifiutato a 11 club l'iscrizione al

prossimo campionato: quattro di prima divisione (Young Boys, Servette, Sion e

Zurigo); sette di seconda e fra questi, con Bienne, Etoile Carouge, Kriens e

Winterthur, ci sono anche Bellinzona, Chiasso e Lugano. Il verdetto è

appellabile, con la decisione finale che verrà presa il 25 maggio.

In Svizzera è in atto un giro di vite, per evitare quanto è accaduto negli

ultimi mesi con il Servette (situazione disperata, mancano cinque milioni) e

il Neuchatel Xamax, club con proprietà cecena, che ha accumulato otto milioni

di franchi di debiti (6,6 milioni di euro) e al quale è già stata ritirata la

licenza a gennaio. Il presidente della Commissione delle licenze, che opera

all'interno della Federcalcio svizzera, Bernhard Welten, ha spiegato: «Ora non

è più possibile per l'azionista di maggioranza di un club firmare un semplice

foglio, nel quale dichiara che è pronto a ripianare eventuali debiti. Servono

solide garanzie bancarie. Così chi mette i soldi non può farsi da parte in

caso di debiti». La situazione dei tre club ticinesi è seria, perché in

Svizzera sono abituati al rispetto dei regolamenti, ma non drammatica. Mancano

alcuni requisiti infrastrutturali e finanziari, ma mettersi in regola non è

un'impresa impossibile. Angelo Renzetti, presidente del Lugano, squadra

allenata da Francesco Moriero, ex Inter, ha assicurato che la questione

finanziaria verrà risolta nei tempi previsti. E dello stesso parere è il

presidente del Bellinzona, Gabriele Giulini, già consigliere di

amministrazione dell'Inter, che ha garantito che «il ricorso ci darà ragione»,

così come è fiducioso il presidente del Chiasso, Davide Lurati, mentre il

Locarno può vantarsi di essere l'unico club del Ticino già in regola.

Per quanto rigido, meglio il sistema svizzero rispetto a quello italiano, con

le continue penalizzazioni soprattutto in Lega Pro, per stipendi non

corrisposti nei tempi previsti e irregolarità amministrative. Sanzioni che

rischiano soltanto di falsare i campionati, aggravando i problemi economici di

club già inguaiati. La serietà degli svizzeri resta anche un esempio di

rispetto del valore sportivo dei campionati.

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Il caso Iscrizione a rischio per la prossima stagione: coinvolti anche Lugano, Chiasso e Bellinzona

La crisi sgonfia il calcio nel Canton Ticino

di FABIO MONTI (CorSera - Milano 25-04-2012)

MILANO — Pensare che il calcio in Svizzera possa avere seri problemi economici

è come immaginare che il presidente della repubblica di uno degli Stati

europei annunci di essere monarchico. Eppure anche il pallone elvetico deve

fare i conti con bilanci sempre più difficili da far quadrare. Soprattutto nel

Canton Ticino. Perché la crisi non risparmia nessuno. Lunedì la Commissione

licenze della Federcalcio svizzera ha rifiutato a 11 club l'iscrizione al

prossimo campionato: quattro di prima divisione (Young Boys, Servette, Sion e

Zurigo); sette di seconda e fra questi, con Bienne, Etoile Carouge, Kriens e

Winterthur, ci sono anche Bellinzona, Chiasso e Lugano. Il verdetto è

appellabile, con la decisione finale che verrà presa il 25 maggio.

In Svizzera è in atto un giro di vite, per evitare quanto è accaduto negli

ultimi mesi con il Servette (situazione disperata, mancano cinque milioni) e

il Neuchatel Xamax, club con proprietà cecena, che ha accumulato otto milioni

di franchi di debiti (6,6 milioni di euro) e al quale è già stata ritirata la

licenza a gennaio. Il presidente della Commissione delle licenze, che opera

all'interno della Federcalcio svizzera, Bernhard Welten, ha spiegato: «Ora non

è più possibile per l'azionista di maggioranza di un club firmare un semplice

foglio, nel quale dichiara che è pronto a ripianare eventuali debiti. Servono

solide garanzie bancarie. Così chi mette i soldi non può farsi da parte in

caso di debiti». La situazione dei tre club ticinesi è seria, perché in

Svizzera sono abituati al rispetto dei regolamenti, ma non drammatica. Mancano

alcuni requisiti infrastrutturali e finanziari, ma mettersi in regola non è

un'impresa impossibile. Angelo Renzetti, presidente del Lugano, squadra

allenata da Francesco Moriero, ex Inter, ha assicurato che la questione

finanziaria verrà risolta nei tempi previsti. E dello stesso parere è il

presidente del Bellinzona, Gabriele Giulini, già consigliere di

amministrazione dell'Inter, che ha garantito che «il ricorso ci darà ragione»,

così come è fiducioso il presidente del Chiasso, Davide Lurati, mentre il

Locarno può vantarsi di essere l'unico club del Ticino già in regola.

Per quanto rigido, meglio il sistema svizzero rispetto a quello italiano, con

le continue penalizzazioni soprattutto in Lega Pro, per stipendi non

corrisposti nei tempi previsti e irregolarità amministrative. Sanzioni che

rischiano soltanto di falsare i campionati, aggravando i problemi economici di

club già inguaiati. La serietà degli svizzeri resta anche un esempio di

rispetto del valore sportivo dei campionati.

essere dei falliti è proprio nel dna dei prescritti .asd

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 25-04-2012)

Lo scempio di Marassi

le colpe di questura e calcio

C'è da rimanere sconcertati, e al Viminale aspettano e sperano ancora: ma

sinora non c'è stato nemmeno un arresto a Genova, dopo la vergogna di Marassi.

Solo una quindicina di Daspo che secondo il questore, Massimo Mazza,

potrebbero arrivare a venti, o poco più. A Roma, al Ministero degli Interni, e

anche nei Palazzi dello sport, si aspettavano qualche arresto e un centinaio

di Daspo, si aspettavano che venisse applicata la legge sulla flagranza

differita. Niente. Non è successo niente. Il capo della Procura genovese

assicura che, in fondo, ci sono cose più gravi: ha ragione, i delitti impuniti

sono tanti ( e non solo a Genova). Ma a Marassi, domenica, forse qualche reato

è stato commesso, o no?. Gli steward (che sono equiparati a incaricati di

pubblico servizio) spazzati via come fuscelli, costretti a consegnare le

chiavi che servono per entrare nel settore dei distinti. E' reato poi

scavalcare da un settore all'altro, è reato minacciare i calciatori (volevano

che si togliessero anche i pantaloncini, "in mutande, in mutande..."), è reato

lanciare fumogeni (previsto anche l'arresto) e/o interrompere la partita.

Tutta "robetta" secondo alcune Procure, compresa quella di Genova, che

considerano minori i reati da stadio (ma non lo sono, in qualche caso). La

questura di Genova è considerata un "vulnus", o una "pietra da inciampo": solo

lì d'altronde, ultimamente, ci sono stati problemi alla stadio (e fuori).

Scarsa capacità nel gestire l'ordine pubblico, con un vicequestore in campo

nella gara col Siena che veniva da Venezia, dove al massimo protestano quattro

gondolieri. Scarsa capacità nell'impedire ai calciatori di "trattare" con

certi personaggi (ma non confondiamo ultrà con i violenti, sono cose diverse).

Sono stati commessi errori gravi e ci aspettava, almeno dopo, una risposta

adeguata che non c'è stata e chissà mai se ci sarà. A giugno, probabile un

ribaltone alla questura genovese. Ma intanto il danno è stato fatto. Una

pessima pagina è stata scritta. Non pretendiamo che i calciatori siano degli

eroi: che ci stavano a fare i poliziotti? Se erano solo venti a delinquere,

come dice il questore Mazza, perché non sono stati fatti allontanare? Giusto

scongiurare l'assalto agli spogliatoi o fuori da Marassi, giusto evitare

feriti e lanci di lacrimogeni, ma all'interno di Marassi quella polizia che

guardava senza intervenire ha fatto davvero una pessima impressione. Le

responsabilità comunque non sono solo della questura genovese (a questo

penserà il capo della polizia, Antonio Manganelli). Anche il mondo del calcio

deve interrogarsi. Le norme ci sono, basta applicarle. Venerdì in consiglio

federale se ne parlerà. Non servono leggi speciali. Serve una rivisitazione

globale, attenta, del fenomeno-stadi. Il centro della curva, a Marassi, era

stato riservato dal Genoa proprio a "quei" tifosi lì, che non volevano la

tessera del tifoso, e che hanno minacciato i giocatori, obbligandoli a

togliersi la maglia. Così come a Napoli molti ultrà delle curve non hanno

voluto mai fare la tessera e De Laurentiis si è battuto perché fossero a Roma,

il 20 maggio, alla finale di Coppa Italia.

Il Viminale lamenta l'assenza totale della Lega di Serie A: non è certo una

novità. Ma a fine stagione bisognerà decidere che fare di questa tessera del

tifoso, che vogliono trasformare in fidelity card: ma in questo caso

dovrebbero occuparsene i club, che invece spesso e volentieri la vivono come

una costrizione di cui farebbero volentieri a meno e che cercano di

"bypassare" per venire incontro a certi tifosi. I rapporti a rischio fra club

e tifoseria organizzata sono vietati: ma chi controlla? Al Viminale c'è la

convinzione che esistano ancora sacche di collusione fra i club e i violenti:

ma chi deve indagare? Palazzi? Non esageriamo, con tutto quello che ha da fare

e coi mezzi che ha a disposizione. Ora la Figc farà un'inchiesta sullo scempio

delle maglie: Preziosi l'ha accettato e rischia di pagare con un'altra

inibizione (a proposito, la Figc si è guardata bene dallo spiegare perché lui

si è salvato dalla radiazione.. . ). Ma vogliamo punire i calciatori? Per

favore. Siamo seri. Qui bisogna rimettere mano a tutto, una "assunzione di

responsabilità" come sostiene Abete. Giusto, presidente: che cominci subito la

Figc, ma in fretta. Anche perché qui sta per arrivare una slavina (un'altra)

sul calcio italiano, i (primi) deferimenti per il calcio scommesse. Palazzi e

il suo pool stanno lavorando a pieno ritmo, e il 2 o 3 maggio conosceremo

quanti tesserati (una cinquantina?) e quante società di A, B e Lega Pro

andranno sotto processo. Intanto domani, giovedì 26 aprile, l'assemblea di

Lega di B discuterà sul tema, "politiche di integrità per l'etica sportiva".

Bravo Andrea Abodi, presidente attivo e con voglia di costruire. I codici

etici sono sì importanti, ma non bastano più: certi calciatori vanno toccati

nel portafoglio...

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Joined: 10-Sep-2006
5193 messaggi

13:41 25 APR 2012

(AGI) - Roma, 25 apr. - "Mi stupisce quando fa clamore una notizia che non dovrebbe essere notizia. Quando uno parla d'amore, quando si parla di sentimenti , ogni persona deve avere il diritto di amare chi vuole. Il mondo del calcio non e' fuori dalla societa', non e' fuori dal mondo, ma e' nel mondo, quindi quello che ho detto su certi argomenti, rientra nella normalita'". Lo ha detto il ct della Nazionale italiana Cesare Prandelli, tornando sulle polemiche sorte dalla sua prefazione all'ultimo libro di Alessandro Cecchi Paone, inerenti l'omofobia nel calcio. Il c.t e' intervenuto quest'oggi, presso il 'Giardino dell'Orticoltura' a Firenze, all'inaugurazione di un'installazione in un'aiuola di un monumento colorato alla solidarieta' ridipinto da Karin Engman. "Quando c'e' sentimento, quando c'e' amore, non bisogna avere paura dei propri sentimenti e bisogna rispettare ogni forma d'amore"ha aggiunto ancora Cesare Prandelli. (AGI) .

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