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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Gene Gnocchi da denuncia

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Gene Gnocchi da denuncia

Why? .penso

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Why? .penso

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La partita dei tifosi

La truffa e i veleni

"Sembra un complotto all´amatriciana"

di MATTEO PINCI (la Repubblica - Roma 19-03-2012)

Se la Roma scende in campo con il Genoa per i tre punti, già da tempo la

procura è entrata in tackle sulla presunta truffa ai danni dei dirigenti

romanisti Franco Baldini, Walter Sabatini e Mauro Baldissoni. Un episodio

"circoscritto", secondo gli inquirenti, ma per il quale è ancora tutto da

verificare il coinvolgimento di altre persone, oltre a quello dei quattro nomi

circolati in queste ore: il giornalista Roberto Renga, il figlio Francesco, il

guru radiofonico Mario Corsi e Giuseppe Lomonaco, considerati "vicini" alla

vecchia proprietà della Roma.

Da accertare se l´inchiesta possa estendersi ulteriormente: questo

l´obiettivo del procuratore Giancarlo Capaldo e del sostituto Paola Filippi,

in attesa che venga stilato il calendario di convocazione degli indagati

(forse già in settimana).

Unico a tornare sulla vicenda è proprio Roberto Renga, che al Fatto spiega:

«Allo stato sono indagato per ricettazione». Non abbastanza per soddisfare la

curiosità di Roma in cui, senza il campionato, l´inchiesta è un fantasma che

aleggia per le strade. La gente ne parla nei bar, dove fino a poche ore fa

discuteva se fosse meglio far giocare Lamela o dare una nuova chance a Bojan.

«Solidarietà a Mario Corsi», si limita a offrire Fabrizio su Facebook. Meno

equilibrato Alessio, che esplode in una strenua quanto preventiva presa di

posizione: «Chi dice la verità è sempre scomodo: Marione siamo con te». Su

Twitter le voci critiche non mancano, invece: «Complotto all´amatriciana di

buffoni di prima categoria», la "verità" twittata da Giordano. In attesa di

una verità definitiva.

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il commento

STAGE, MILAN E JUVE A

RAPPORTO DA PETRUCCI

di FRANCO ORDINE (il Giornale 19-03-2012)

Mancava solo l’ultimo «disobbedisco » della Lega di serie A alla federcalcio e

alla Nazionale, per rendere plastica l’idera di un settore, già peraltro

diviso da rivalità di ogni tipo e polemiche feroci, ingovernabile. Il ct

Prandelli ha chiesto, in punta di piedi, di poter apparecchiare due-tre stage

con gli azzurri a Coverciano da qui alla fine della stagione e prima del

ritiro canonico al fine dichiarato di affinare tecniche e strategie, limare

difetti tattici e coltivare il senso dell’appartenenza. La risposta, brutale e

definitiva, giunta dalla trincea del presidente di Lega Beretta è stata la

seguente: non se ne parla nemmeno. A questo punto è dovuto intervenire il

presidente del Coni Gianni Petrucci prima con un appello «ai presidenti di

buona volontà» perché correggano la rotta, poi con un paio di iniziative

diplomatiche. Di fatto il capo dello sport italiano sta supplendo al vuoto

politico provocato dal presidente federale Giancarlo Abete, il cui potere di

persuasione nei confronti dei presidenti di serie A, è ridotto ai minimi

termini. La stessa scena si è ripetuta puntualmente all’epoca del tavolo della

pace convocato dall’inquilino del foro italico per mettere fine alla guerra

post-calciopoli: l’iniziativa, col niet di Della Valle, si concluse con un

buco nell’acqua. Questa volta Petrucci non si è limitato a firmare l’appello.

Ha fatto di più, a fari spenti.

Sabato mattina ha interpellato al telefono prima Galliani vice-presidente del

Milan e poi il presidente della Juve Agnelli per suggerire un compromesso

soddisfacente. Non solo. Nel pomeriggio, allo stadio Olimpico per il rugby, ha

parlato a lungo con Prandelli e riferito dello spiraglio aperto. La soluzione

potrebbe essere articolata su due punti: 1) ridurre a uno solo lo stage

azzurro; 2) procedere a una convocazione ridotta, reclutando uno, massimo due

esponenti per i club impegnati sui fronti di scudetto e Champions. Come si

capisce al volo la questione riguarda in particolare la Juventus (ecco il

busillis, ndt) che ha ben sei azzurri coinvolti nell’operazione euro 2012. In

qualche caso sono stati gli stessi calciatori a suggerire il no avendo a cuore

più un lunedì libero che un viaggio di andata e ritorno a Coverciano. Se ne

riparlerà nei prossimi giorni ma la sensazione è che questa volta la missione

di Petrucci avrà un parziale successo. Se così fosse, ci sarebbe da chiedersi

molto semplicemente: ma non sarebbe meglio eleggere direttamente Gianni

Petrucci prossimo presidente della federcalcio?

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Della serie: "Conte si lamenta degli arbitraggi"

Pozzo: "L'arbitro era in condizioni pietose"

di Luigi Russo Spena, pubblicato il 18/03/2012 alle ore 22:52

Gino Pozzo, presidente dell'Udinese, ha rilasciato le seguenti dichiarazioni nel postpartita di Udinese-Napoli (2-2): "Ciò che è successo stasera l'ha visto tutta Italia, l'arbitro era in condizioni pietose, era impresentabile, devo presupporre la buona fede, quindi dico che oggi Rocchi era in condizioni disastrose. In 26 anni di calcio ne ho viste tante, ma credo che difficilmente potrò dimenticare questa partita nella mia vita. L'arbitro è stato assolutamente determinante ai fini del risultato, e non ci sono dubbi.

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SPY CALCIO

Abete sveglia Palazzi. "Fare presto. E bene"

Fulvio Bianchi - repubblica.it - 20-03-2012

Oggi il superprocuratore Figc, Stefano Palazzi, di professione magistrato militare, sente Catinali e Pederzoli. Non certo due big. Prosegue così, a scartamento ridotto, l'inchiesta-bis sul Calcioscomesse e con questi tempi biblici, degni del miglior Palazzi (ci sono precedenti agghiaccianti), chissà mai quando e se finirà. Ma c'è un problema, per il superprocuratore in scadenza a giugno. Sia il Coni che la Figc si sono stancati e vogliono che l'inchiesta, questa inchiesta, venga chiusa entro la fine stagione e le condanne dei club, le penalizzazioni, siano scontate (quanto possibile: dopo vedremo il perché) in questa stagione sportiva. Per questo Abete, prima di partire per Istanbul per il congresso Uefa, ha dato la sveglia a Palazzi. Con il suo consueto garbo. Abete non è certo tipo che prevarica, e ha grande rispetto delle istituzioni, a cominciare dalla giustizia sportiva. Ma ha ricordato a Palazzi che bisogna fare "presto, bene, e bisogna fare anche pulizia". Un consiglio che è anche un ordine. Per questo è stato spiegato anche al Superprocuratore che deve delegare ad altri (cosa che gli riesce male) tutta l'ordinaria amministrazione e concentrarsi, lui e il suo staff, solo sull'inchiesta del Calcioscommesse. E per questo, la Figc gli ha messo a disposizione altri uomini e mezzi. Sì, perché la struttura della Superprocura non regge quando viene travolta da una mole di lavoro così ingente. E questo non è certo colpa di Palazzi: lui magari, essendo un magistrato estremamente serio e rigoroso (e questo, è chiaro, che è un pregio) ci tiene a fare le cose nel migliore dei modi, in modo da presentarsi davanti alla Disciplinare con deferimenti che possano reggere all'urto di avvocati particolarmente agguerriti. In più, Palazzi è anche un accentrato e il fatto che sia stata creata (ripeto: non certo per colpa sua) una Superprocura, che accorpa anche l'ex Ufficio Indagini, non lo agevola di sicuro. Ma ora dovrà darsi una svegliata. Sinora ha interrogato una trentina di tesserati, alcuni nemmeno indagati, che gli sono serviti sicuramente per capire la situazione nel suo complesso, e soprattutto per incastrare molti calciatori. Sì, perché il fatto nuovo è che stavolta ci sono molti pentiti: siccome sperano di restare prima o poi nel mondo del pallone (come dirigenti, o manager, o agenti, eccetera), ecco che "cantano" manco fossero al Festival di Sanremo. Sinora sono stati sentiti questi personaggi minori, ma importanti per Palazzi: ora però dovrà fare un salto di qualità. Non può sempre aspettare notizie da Cremona o Bari (a Napoli è silenzio totale): la giustizia sportiva ha necessità di chiudere in fretta. Palazzi si augura comunque che la Procura di Bari presto gli dia il via libera per interrogare almeno Masiello, che ha molte cose da dire, le vuole dire e potrebbe incastrare tanti calciatori. C'è il rischio (sia a Bari che a Cremona) che presto vengano arrestati altri calciatori: ma Palazzi non può aspettare all'infinito, semmai farà un altro processo la prossima estate. La Figc (e il Coni è pienamente d'accordo) gli ha chiesto- imposto è una brutta parola- di chiudere la maxi-inchiesta entro maggio. La mole di lavoro che attende lui e il suo staff è impressionante: domani, mercoledì 21 marzo, il pool della Superprocura terrà un summit, e stilerà il calendario dei prossimi interrogatori. Previsto un salto di qualità: l'indagine (finalmente) entrerà nel cuore della serie A. I processi si terrebbero in pieni campionati europei, ma il calcio italiano è giù abituato (vedi 2006, con Calciopoli...). E le condanne? Qui, è il problema: dovendo essere afflittive potrebbero toccare sia questa stagione che la prossima. Salva la lotta scudetto, potrebbe essere sconvolta la zona Champions (ed Europa League) e anche e , soprattutto, quella retrocessione. Un bel caos. Un esempio: se venisse punito un club che galleggia a metà classifica, lontano dalla zona Europa e quella retrocessione, la penalizzazione di 3 o 6 punti (che deve essere appunto afflittiva) sarebbe da scontare nella prossima stagione. Ricordiamo inoltre che se un club è punito per illecito, in base alle norme Uefa non può partecipare alle Coppe Europee. Un bel caos. L'ideale sarebbe tenere i processi sportivi a stagione chiusa in modo che le condanne vengano scontate solo nella prossima: ma questa ipotesi non piace né al Coni, né alla Figc, né agli eventuali terzi interessati che si augurano di trarre giovamento dai guai altrui. E' presto per fare i nomi della società coinvolte (la responsabilità oggettiva è ancora in vigore, meglio ricordarlo), ed è per questo che molti club stanno in silenzio, ma è probabile che ci sia davvero un terremoto a fine stagione (in A, B e Lega Pro...). Sempre che, ovviamente, Palazzi faccia in tempo...

Stages azzurri, forse la spunta Prandelli

I calciatori sono d'accordo, così come (molti) allenatori: è possibile quindi che Cesare Prandelli riesca a spuntarla ed avere così i due stages azzurri che voleva in aprile. Per ora l'assemblea di Lega di A, all'unanimità, ha detto no: uno schiaffo più alla Figc che al ct azzurro. Ma ora si sono mossi il Coni (Petrucci ha parlato con Galliani e Andrea Agnelli) e anche il sindacato calciatori con Demetrio Albertini. Giancarlo Abete ci è rimasto molto male per il no, ma non essendo date ufficiali non poteva muoversi diversamente: non poteva, insomma, imporre gli stages ma solo cercare di concordarli con la Lega. Ora si cerca una soluzione di buon senso. Resta il problema, questo antico, di una Lega di A che si mette sempre contro e che chissà quando mai troverà un suo assetto stabile. Fra un paio di mesi ad esempio c'è da scegliere il presidente, al posto di Maurizio Beretta in scadenza, e non sarà per niente semplice: Ernesto Albanese (vedi Spy Calcio del 10 marzo) ha molti estimatori, è vero, ma essendo manager di area Coni non gode certo dell'appoggio di Lotito e dei suoi fedelissimi (e quanto conti il n.1 della Lazio in Lega si è visto anche ultimamente). Gli altri candidati (Carraro, Camiglieri, Simonelli, Cardinaletti, eccetera) hanno tutti pro e contro. Come si farà a mettere d'accordo venti presidenti litigiosi? Il problema vero è che in questi anni si sono defilati quelli che hanno carisma. Un nome? Adriano Galliani. Che ora cinguetta su Twitter...

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Ricominciamo...

GaSport 20-03-2012

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Sotto dettatura di Meani...

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EXTRATIME 20-03-2012

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“Padovano conosceva

il codice dei trafficanti”

Le motivazioni della condanna a 8 anni dell’ex attaccante della Juventus

di ALBERTO GAINO (LA STAMPA - Torino 20-03-2012)

È ben vero che, come ripetutamente evidenziato dalla difesa, l’imputato ha

sempre svolto anche un’attività lavorativa, gestito propri affari, soprattutto

nel settore immobiliare, effettuato investimenti di vario genere in diverse

attività lecite. Ma ciò non toglie che lo stesso Padovano partecipasse ai

traffici del sodalizio coordinato dall’amico di infanzia, finanziandoli

parzialmente».

Motivazioni della sentenza di condanna a 8 anni, 8 mesi e 15 giorni di

Michele Padovano, l’ex attaccante di Juve, Napoli, Genoa e di altri club. Con

il suo arresto l’inchiesta sull’import da Spagna e Francia di grossi

quantitativi di hashish, gestito da una banda di sprovveduti fra il 2004 e il

2005, divenne clamorosa. Ed evocativa di una punizione esemplare è stata la

richiesta di condanna di Padovano a 24 anni di carcere. Alla fine, un caso

giudiziario complicato per molti aspetti.

Le telefonate

I giudici della terza sezione penale hanno ritenuto di condannare «oltre ogni

ragionevole dubbio» l’ex calciatore definendo criptiche e allusive alcune sue

conversazioni telefoniche con l’amico d’infanzia preso nel 2005 in Spagna con

una gru, appena acquistata, nei cui contrappesi erano stati nascosti 1300 kg

di hashish. E scrivono: «Padovano dimostra di conoscere alcuni codici di

comunicazione interna al gruppo organizzato, i cui componenti sono soliti

evitare di fare nomi o di indicare numeri telefonici parlando al telefono con

altri. Hanno, anzi, l’abitudine di usare codici diversi per trasmettere tale

tipo di informazione».

Per il tribunale è «emblematica la telefonata fra Padovano e un certo

ragioniere, che gli chiede: «Ti capita di vedere il dottore?.. Ti do un numero

di telefono, glielo puoi dare?...». Segue una sequenza di «sì», un «349.. . » e

«va bene» finché il «ragio» non aggiunge un «digli di girarlo». Chiudono i

saluti. Per i giudici la telefonata era tutt’altro che innocente e rivelava

«l’affidamento su Padovano» del non identificato «ragio» di far pervenire

tramite suo il proprio numero di telefono all’amico di infanzia dell’ex

calciatore. I loro rapporti proseguiti nel tempo inguaiano il calciatore.

Seduti in cremeria

Gli investigatori scrivono, e il tribunale ne dà atto, di essere piombati per

caso su un telefono e sulla cremeria di San Gillio, di aver riconosciuto

seduto al tavolo prima Padovano e poi identificato l’altro, con un piccolo

precedente (una multa da 200 euro), solo più tardi. Aggiungono di essere stati

insospettiti dalla «modalità» di quegli uomini di «fermarsi alle cabine

telefoniche per comunicare». Ma poi li intercettano a iosa e sequestrano ben

due carichi di hashish nascosti fra le arance d’importazione.

Padovano è un po’ il Girardengo della situazione e l’amico il bandito Sante

Pollastri. In aula sostiene di non essere stato a conoscenza dell’attività

dell’altro: «Sapevo che non lavorava in banca, lo vedevo ben vestito e con

auto importanti, ma ignoravo di che si occupasse».

I soldi

I giudici non gli credono e lo fanno un po’ meno Girardengo. Padovano,

comunque, non ha mai «sparato» sull’amico di infanzia. Paga l’affitto alla

moglie di lui quando l’uomo viene arrestato. Sostiene di avergli prestato 25

mila euro per l’acquisto di «cavalli» e altri 10 mila per «l’avvocato». Per i

giudici erano un «finanziamento parziale» dell’import di hashish e definiscono

sospetta la fattura di acquisto di un cavallo prodotta dalla difesa.

Scrivono: «Non gli ha versato alla luce del sole i 35 mila euro, ma per

contanti e attraverso la moglie dell’uomo». Padovano: «Ricorrerò in appello».

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Tempo scaduto

IL SOSTITUTO DI ABETE

Aligi Pontani - repubblica.it -20-03-2012

Pare di stare a scuola, e non fosse tragico sarebbe da ridere: essendo il titolare assente, non pervenuto, forse svenuto, arriva il preside supplente a provare tenere a bada la scolaresca scatenata.

Il titolare, presidente della Federcalcio, è come si sa Giancarlo Abete, e la lezione saltata era quella che riguardava la Nazionale, cioè la materia teoricamente più importante di sua competenza. Il 7 settembre (pensateci un momento: settembre. Poi ci sono stati ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio e un pezzo di marzo) il ct Prandelli aveva chiesto i famosi stage: in pratica, avere per un paio di giorni a disposizione i giocatori che probabilmente porterà agli Europei, per una full immersion di schemi, tattiche, motivazioni. Ora, tutti sono d'accordo nel dire che non è certo con uno stage che si vince un Europeo. Ma lo schiaffo dei club di serie A, virilmente compatti nel loro no alla richiesta, è stato così sonoro da far intervenire di corsa il presidente del Coni, Gianni Petrucci. Il supplente appunto, dal momento che Abete aveva affrontato lo schiaffo attingendo al suo leggendario codice di comportamento di fronte alle emergenze: esprimendo cioè "rammarico e delusione", insomma quel linguaggio lì.

Ora, uno si chiede: ma in questi sei mesi, Abete ha parlato con i presidenti dei club? Ha provato, più o meno calorosamente, a convincerlui a mollare per 48 ore i loro tesserati in nome del bene calcistico comune? Ha esercitato la moral suasion che di ogni bravo presiente dovrebbe essere l'arma discreta e irresistibile? Insomma, cosa ha fatto il presidente della più importante (e più finanziata) federazione sportiva italiana nei 180 (centottanta) giorni trascorsi dalla richiesta del suo sconfortato ct?

La discesa in campo del supplente - che essendo il presidente del Coni, di Abete è anche un po' il preside - è già una risposta. Petrucci ha dovuto alzare il telefono, chiamare i presidenti dei club (almeno quelli più importanti), mettere in moto una trattativa, cercare una data di compromesso, invitare alla ragionevolezza. Ha fatto bene, e speriamo anche che la scolaresca gli dia retta e molli i giocatori, almeno per un paio di notti. Abete potrà così tirare un sospiro di sollievo, esprimere "vivo compiacimento per il senso di responsabilità", ringraziare Petrucci "per la sensibilità". Poi tornerà alle sue consuete e misteriose attività, aspettando la prossima burrasca: il barometro (e il capo della polizia) la prevedono in arrivo molto presto.

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DUE PALLONI SGONFIATI - MORATTI HA DILAPIDATO UN SUPERPATRIMONIO PER AVERE UNA SQUADRA CHE GIOCA PEGGIO E VINCE MENO DELL’UDINESE IN ATTIVO - LO SCARPARO A PALLINI HA TRATTATO LA FIORENTINA, CHE CERCA DI VENDERE DA DUE ANNI, COME UN MANICHINO PER LA SUA GRIFFE - LA SUA UNICA PREOCCUPAZIONE ERA ED È L’IMPIANTO SPORTIVO SU CUI FARE SOLDI: UN OUTLET TRAVESTITO DA STADIO IN ZONA DI GRADIMENTO COMMERCIALE…

Oliviero Beha per il "Fatto quotidiano"

Prima di parlare di Massimo Moratti e di Diego Della Valle, moderni Schettino senza concordia ed eponimi di un calcio naufragato, vorrei cominciare da due altre categorie: precisamente allenatori e arbitri. Dettagli, in confronto ai Pluti Rotondocratici, ma interessanti comunque perché hanno qualcosa a che vedere con l'andamento del torneo e la gestione dei club. Cominciamo dagli allenatori: il pessimo andazzo di un pallone sgonfio dentro al campo (cfr. le Coppe europee) e fuori (cfr. lo scandalo scommesse in dirittura d'arrivo, ma trascurato dai media che trattano il campionato "come se fosse vero") è dato anche dalla questione allenatori.

Cacciarne stagionalmente una quindicina solo in Serie A attaccando i record assoluti in materia significa che quasi tutte le squadre hanno sbagliato all'inizio. Come è possibile? Chi sceglie, chi decide, chi valuta? I dirigenti, che invece rimangono solitamente assai di più? Per di più ci sono casi in cui si riprende quello già cacciato e sotto contratto, ad esempio Tesser al Novara e Ficcadenti al Cagliari: e quelli fanno punti? Il "mister" variabile è un evidenziatore dello sfascio, o naufragio (basta vedere i numeri della scorsa stagione).

C'è poi la questione arbitri. Qui non c'è l'hit parade delle cacciate come per le panchine , bensì la solita "faccenda". Quella che innesca polemiche da "sudditanza" da sempre, che è passata per le lunghe stagioni di supremazia juventina, che ha gonfiato "Calciopoli" e che non ha poi smesso di spargere veleni.

Dimostrando così almeno (ripeto, almeno...) che se c'erano delitti prima ce ne sono anche adesso: e quindi... Prendete l'ultima domenica. Un tal Gava di pomeriggio bagna il suo pedigree giovanile al Meazza dando un rigore ammissibile all'Inter, che lo sbaglia, e negandone uno ancora più evidente all'Atalanta. Scusate, ma allora Moggi lavora adesso per Moratti "a sua insaputa"?

In serata, il superchiacchierato Rocchi (cliccate, cliccate, qualcosa resterà...) fa una serie di numeri da circo in sfavore dell'Udinese, con un'espulsione mirata e un rigore ultrageneroso, dimostrando che Moggi non riposa mai. Dunque le spie di panchine e fischietti sono accese: calcio in riserva, e magari scogli segnalati a prua (anche a poppa...). Così che il comandante Moratti ha preso l'abitudine di mollare gli ormeggi in tribuna molto prima di quanto non lo facesse l'eroico Boniperti in arte "Marisa", che se ne andava all'intervallo per non rischiare la salute.

No, qui c'entra un altro tipo di salute. C'è il modo in cui si amministra un club importantissimo come l'Inter, a me caro anche per antiche questioni familiari, in cui ci si è ridotti al lumicino dopo i fasti del "triplete". Chi decide cosa, chi acquista, chi vende, quale è la trasparenza negli acquisti dall'estero vecchia tabe di tutto l'ambiente ecc. Chi divora come Crono i tecnici, chi cambia giocatori come figurine, chi dilapida un superpatrimonio per avere una squadra che gioca peggio e vince meno dell'Udinese in attivo?

Chi ha rischiato (eufemismo!!!) la reputazione nello scandalo accentrandolo su Moggi mentre poi (cito il superprocuratore Palazzi) l'Inter veniva "solo" prescritta e non assolta da nulla in fattispecie analoghe? Chi ha trovato il modo di onorare la memoria di un galantuomo come Giacinto Facchetti prendendone le distanze nella causa per danni intentata a Moratti e Co. dagli "spiati" con la formula (dell'ex vicepresidente Ghelfi) "nessuno lo aveva autorizzato a farlo"? E potrei continuare.

C'è qualcuno che invece ha pensato bene di involarsi addirittura quando la nave era in navigazione: dico di Diego Della Valle, che si è ritirato formalmente nell'autunno del 2009 dalle responsabilità della Fiorentina pur possedendone il 99% delle azioni (e l'azionariato popolare annunciato all'inizio?). Si è dato quando la squadra andava bene, il ciclo di Prandelli era beneaugurante, in Champions faceva come e forse meglio di questo Napoli al timone del quale c'è invece sempre e visibilmente il comandante De Laurentiis.

Mi ricordo il periodo perché qui (Il Fatto era appena uscito) gli rivolsi pubblicamente 5 domande tese a capire dove volesse andare a parare (lui, non Frey...), la metà di quelle che all'epoca venivano rivolte a Berlusconi... Non mi ha mai risposto anche se aveva promesso telefonicamente di farlo (oltre a invitarmi al suo "show room", invito non accettato ma da me ricambiato: ho uno show room che se lo sogna).

Un anno dopo mi convocò addirittura unilateralmente a discutere di Fiorentina, a Firenze, in un albergo. Controproposi un "duello" in prima serata tv con tutte le cifre della sua impresa fiorentina. Niente. Missing. Ogni tanto si è affacciato il fratello Andrea... che è come se al Meazza per il Milan andasse Paolo... capite che non è proprio la stessa cosa. E comunque l'unica preoccupazione dei "brothers" marchigiani era ed è l'impianto sportivo, l'outlet travestito da stadio a Firenze in zona di loro gradimento commerciale.

Per carità, tutto legittimo o quasi, basta dirlo. Anche Pozzo con l'Udinese ci guadagna, facendolo di mestiere. Il punto è che il Cavaliere Tessile ha trattato la Fiorentina come una cosa, precisamente come un manichino col foulard, e se ne vedono i risultati anche caratteriali in campo.

La verità è che cerca di vendere la società da due anni, invano. Dice dei soldi che ha investito: a parte i conti da sciorinare, pubblicità e terreni a Incisa compresi, forse dimentica che anche i tifosi si svenano regolarmente e amerebbero che lui si prendesse le sue responsabilità invece che delegare, demandare, signoreggiare senza volto. Non lo si è visto sul ponte di comando nemmeno dopo il naufragio contro la Juventus, al massimo volteggiava in elicottero. E la squadra ha le dita di un piede in B. È il Paese degli Schettino, non c'è rimedio.

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Newsweek

26-03-2012

02-04-2012

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Repubblica SERA 19-03-2012

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Repubblica SERA 19-03-2012

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Il Sole 24 ORE

20-03-2012

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CALCIOPOLI

Slitta ancora l’appello

del processo Giraudo

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 21-03-2012)

ROMA. Non riesce a partire il processo d’appello e rischia una paralisi che

porta verso la prescrizione dei reati di frode sportiva il rito abbreviato

della vicenda Calciopoli: dopo il lungo rinvio del 16 novembre causa sciopero

degli avvocati, ancora uno sciopero dei legali a impedire oggi che il

procuratore generale (chissà se sarà ancora Gerardo Arcese, apprezzato

magistrato e marito della giudice del rito ordinario, Teresa Casoria) cominci

la sua requisitoria contro Antonio Giraudo, condannato a tre anni per

associazione a delinquere e alcune frodi sportive il 14 dicembre 2009, come

condannati a pene minori furono l’ex presidente Aia, Tullio Lanese, e gli

arbitri Tiziano Pieri e Paolo Dondarini, ma anche gli assolti del primo grado,

gli arbitri Rocchi, Messina, Cassarà, Gabriele e gli assistenti Baglioni e

Griselli. La prescrizione si interrompe in caso di stop per sciopero, non per

mancate notifiche: proprio quello che stamattina il giudice Stanziola,

presidente della IV sezione dell’Appello di Napoli (aula 314, un piano sopra

la mitica 216 di Calciopoli) potrebbe registrare. Pare infatti che due dei

chiamati in appello dalla Procura, assolti, non avrebbero ricevuto le

notifiche. Il che potrebbe far saltare anche la seconda data prevista per

questo appello, in programma il prossimo 3 aprile. Ci sono altre due udienze

fissate, l’11 e il 18 aprile, ma tutto è in alto mare se non si riuscirà a

portare avvocati e giudici in un’udienza valida. Oggi in aula se ne saprà di

più, mentre proprio in queste ore si stanno depositando - pm Capuano, che

potrebbe non appellare tutti i capi d’imputazione, e avvocati - i ricorsi in

appello per il processo a Moggi e agli altri, il filone principale di

Calciopoli, andato a sentenza l’8 novembre scorso e le cui motivazioni sono

state pubblicate lo scorso 6 febbraio.

___

GaSport 21-03-2012

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FALKLAND-MALVINAS

QUELLA PARTITA

NON È ANCORA FINITA

A trent’anni dalla guerra L’Argentina non dimentica, il Lanus gioca con

lo stemma sul braccio. Per le Olimpiadi di Londra pronte magliette polemiche

di FRANCESCO CAREMANI (l'Unità 21-03-2012)

«Prohibido olvidar. Las Malvinas son argentinas ». Il 19 marzo è caduto il

trentennale della guerra delle Falkland, tanto tragica quanto ridicola, che

mise di fronte Argentina (che rivendica da sempre la sovranità sull’arcipelago)

e Inghilterra (che continua a sostenere il proprio ego imperiale). Un

conflitto durato 74 giorni capace di produrre 907 morti: 255 militari inglesi,

649 argentini e 3 civili.

Agli inizi degli anni Ottanta l’inflazione argentina raggiungeva il 90% e la

crisi economica aveva acuito le tensioni sociali contro la giunta militare che

in poco tempo aveva visto succedersi Jorge Videla, Roberto Eduardo Viola e

Leopoldo Galtieri. Quest’ultimo pensò bene d’invadere le isole Falkland (o

Malvinas) per recuperare credito nei confronti della popolazione ed evitare la

fine della dittatura, che avrebbe inevitabilmente aperto la resa dei conti di

una società spaccata in due dalla tragedia dei desaparecidos.

In Inghilterra la situazione era simile. La crisi economica mordeva la working

class e Margaret Thatcher vedeva avvicinarsi le elezioni come il D-Day della

sua capitolazione politica. Senza dimenticare che le Falkland rappresentano

uno snodo strategico fra Atlantico e Pacifico, con un mare ricco di pesce e,

da qualche anno a questa parte, sono stati individuati giacimenti petroliferi

stimati in otto miliardi di barili.

LA PROPAGANDA

Sarà anche per questo che in Argentina da qualche mese a questa parte la

propaganda anti inglese si è improvvisamente riaccesa, nelle piazze, nei

palazzi e anche nello sport. Pare che la corona britannica abbia deciso di

celebrare in pompa magna il trentennale del conflitto con una messa nella

cattedrale di St. Paul e inviando sull’arcipelago una delegazione del

ministero degli Esteri. La Raf ha già mandato una nave da guerra, ma già dopo

la fine del conflitto un sottomarino nucleare staziona nelle acque intorno

alle isole.

La presidentessa Kirchner ha gridato alla provocazione, ribadendo la volontà

di coinvolgere l’Onu per cercare di riportare le Malvinas sotto la propria

sovranità. Ma già a dicembre è stato presentato un progetto di legge perché la

spedizione argentina alle Olimpiadi di Londra abbia cucito sulle proprie

maglie uno stemma con scritto: «Las Islas Malvinas son Argentinas». In ogni

comune argentino esiste un monumento ai caduti di quella guerra, molte strade

sono state chiamate “Malvinas Argentinas” e lo stadio di Mendoza è stato

ribattezzato Estadio Malvinas Argentinas.

Ma è il calcio che sta dando il meglio (o il peggio) di sé, dal presidente Afa

Grondona alla squadra del Lanus, impegnato nel Clausura. La squadra in cui

milita Mauro German Camoranesi, ex campione del mondo azzurro, per l’occasione

ha rifatto le maglie con un particolare che non poteva passare inosservato:

sulla manica sinistra c’è uno stemma con le isole Falkland stilizzate. È così

che l’azienda produttrice Olympikus e il club hanno deciso di commemorare e

ricordare i trent’anni del conflitto.

Ma non finisce qui, perché alla squadra vincitrice del campionato sarà

assegnato il trofeo “Gaucho Rivero” in onore di Antonio “El Gaucho” Rivero,

abitante delle Malvinas che il 26 agosto 1833 uccise due coloni britannici.

L’impresentabile presidente dell’Afa, Julio Grondona, ha addirittura deciso

d’intitolare il Clausura 2012 “Torneo Crucero General Belgrano”, come

l’incrociatore argentino affondato da un sottomarino inglese, provocando 300

morti: crimine di guerra secondo gli argentini, azione bellica secondo gli

inglesi.

La Fifa è stata così costretta a scrivere a Grondona, uno dei suoi vice

presidenti, ricordando che «è chiaramente proibita la discriminazione di altri

Paesi, persone e gruppi per ragioni politiche, religiose, di origine etnica,

di sesso o lingua» e che «sono altrettanto proibite le affermazioni politiche

sulle divise e sull’attrezzatura delle squadre». Lo stesso Grondona, durante

l’assegnazione dei Mondiali 2018 e 2022, ha detto chiaramente che appoggerà

una candidatura inglese solo quando l’Inghilterra restituirà le Malvinas

all’Argentina.

Diego Armando Maradona, dopo aver sconfitto l’Inghilterra con una doppietta

nei quarti del Mondiale messicano dell’86, la mano de Dios e poi il gol dei

gol che replicherà in semifinale contro il Belgio, dichiarò che l’aveva fatto

con i morti del conflitto delle Malvinas nel cuore. In questi primi giorni di

campionato, in tutti gli stadi argentini, sale continuamente il coro «El que

no salta es un inglés». Se gli argentini avessero messo altrettanta foga nel

condannare la giunta militare e le violazioni dei diritti umani, portando a

galla la tragedia dei desaparecidos, la democrazia argentina oggi sarebbe più

matura e non avrebbe bisogno di un’isola per sentirsi tale.

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il caso di MARCO ZUCCHETTI (il Giornale 21-03-2012)

Dopo i 140 anni di storia e i 114 trofei vinti dalla squadra scozzese

Rangers vicini alla bancarotta

I tifosi del Celtic fanno festa

Debiti con il fisco, 90 milioni di rosso, punti di penalizzazione

Entro fine mese i protestanti del Glasgow rischiano la chiusura

Dio avrà pure salvato la Regina, ma per salvare anche i suoi Rangers dovrà

fare i miracoli. Perché se Elisabetta II a 86 anni è ancora vispa e arzilla

sul trono come inno comanda, i Glasgow Rangers - club calcistico

filobritannico nell’indipendentista terra di Scozia - rischiano di sparire.

Gli Highlander della Scottish Football League hanno messo in bacheca 54

campionati, 33 Coppe di Scozia e 27 Coppe di Lega in 140 anni di storia.

Eppure tutto sta per crollare sotto i colpi della crisi economica e di una

gestione sconsiderata. In dieci anni, i Rangers hanno accumulato oltre 50

milioni di sterline di debiti con la Hmrc, l’agenzia del fisco britannico.

Magheggi finanziari, conti non saldati e ipoteche sugli abbonamenti che prima

hanno spinto il vecchio proprietario David Murray a cedere il club al

businessman Craig Whyte per una sterlina, e poi sono degenerati in un buco che

­tra multe e interessi- è lievitato fino ai 90 milioni. Troppi per poter

sopravvivere.

In amministrazione controllata da febbraio e già penalizzati di 10 punti in

classifica, per i Rangers il futuro è comunque più oscuro del Loch Ness. Se

entro il 31 marzo non si trovano nuovi compratori (troppo fumosi gli interessi

cinesi e americani), saranno esclusi dalle coppe europee. Ipotesi rosea se

confrontata con il destino prospettato dal manager Dave King, per il quale «la

liquidazione sarà inevitabile». In tal caso la società di Ibrox Park fallirà e

verrà sostituita da una «newco» con un nuovo nome (l’avvilente proposta è

«Rangers 2012»). I Light Blues ripartirebbero così dalla quarta serie, a meno

che i presidenti di club concedano la loro partecipazione alla prima divisione,

la Scottish Premiership. I nemici di sempre hanno potere di vita e di morte.

Eppure l’orgoglio dello spicchio protestante del pallone di Glasgow non si

spegne. Gente fiera e battagliera, i Blue Noses le stanno provando tutte. I

giocatori di prima fascia (come Naismith e Whittaker) hanno accettato tagli

dello stipendio del 75%, i giovani hanno lasciato il club senza neppure un

contratto per salvare il posto di lavoro ai magazzinieri e agli addetti allo

stadio e c’è anche chi - come Lee Mcculloch - è disposto a giocare gratis. Nel

frattempo i tifosi cantano a squarciagola «Rangers till we die» e sono pronti

ad abbonarsi in tremila al Dunfermline, uno dei club creditori, per dare il

loro contributo in cuore, kilt e sterline.

Ma, come spesso è accaduto nella storia di Scozia, il coraggio si inchina al

settarismo. Già, perché gli avversari si sentono truffati e chiedono in blocco

sanzioni severe. A capitanare la rivolta gli arcirivali cattolici del Celtic,

la cui tifoseria ormai da mesi balla la conga (una specie di trenino) per i

cugini lealisti in bancarotta. D’altronde l’Old Firm, uno dei derby più

sentiti del mondo e di sicuro quello più intriso di significati politici,

culturali e religiosi, non ammette galanterie. Nel marzo scorso, la sfida si

era conclusa con 3 espulsi e 34 arresti tra gli hooligans e la minaccia di far

giocare le successive sfide a porte chiuse. Era il segnale di una tensione

infinita e latente tra le due anime di Scozia e- col senno di poi - la cartina

tornasole di quel che sta accadendo oggi, quando l’odio per il rivale ha la

meglio sulle prospettive calcistiche nazionali.

Già, perché in un calcio bipenne come quello scozzese (è dal campionato

’84-’85, vinto dall’Aberdeen con Sir Alex Ferguson in panchina, che il titolo

va alternativamente a Rangers e Celtic), il fallimento di una delle due

potenze sarebbe l’inizio della fine anche per l’altra. Il campionato

perderebbe attrattiva, gli introiti dai diritti tv crollerebbero, il Celtic

sarebbe di nuovo tentato dalla «migrazione» nella Premiership inglese e un

intero movimento calcistico glorioso finirebbe decapitato come l’eroe

nazionale William Wallace. Eppure il tifo contro è più forte della ragione.

Celtic, Hearts, Dundee, Motherwell: tutti uniti, tutti seduti sulla riva del

fiume Clyde ad attendere il passaggio del cadavere blue dei Rangers decaduti.

E pazienza se a esequie concluse, quando la cornamusa avrà finito le ultime

strazianti note di Amazing grace , tutti si troveranno a ballare la conga

sulle macerie del calcio scozzese.

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Calcio in default. Così la Svizzera è diventata la Grecia del pallone

TRA FALLIMENTI E BODYGUARD. I DISASTRI SPORTIVI DEL PAESE DEL RIGORE HANNO MESSO IN CRISI I VERTICI DEL CALCIO MONDIALE

La storia del Neuchâtel Xamax, già scomparso. I quattro allenatori licenziati dall’ex squadra

di Sylvio Bernasconi. Il caso Sion che ha messo in imbarazzo persino Joseph Blatter. E poi

quella lettera inviata al ministro delle Finanze contro i privilegi fiscali goduti da Uefa e Fifa

di BEPPE DI CORRADO (IL FOGLIO 21-03-2012)

Il Servette ha ancora un mese di vita. Poi? Poi deciderà Fabienne Geisinger,

giudice del tribunale di Ginevra. Salvezza o fallimento. La data è il 19

aprile. Fino ad allora il giudice si guarderà i libri contabili del club

pallonaro di Ginevra, compreso l’atto di trasferimento tra il vecchio

proprietario, Majid Pishyar, e il canadese Hugues Quennec che ha comprato la

squadra qualche tempo fa sperando di farla sopravvivere. Senza volerlo e anche

senza saperlo col Servette, Quennec s’è caricato il peso della credibilità

dell’intero calcio svizzero. Poca cosa sportivamente, grande cosa

simbolicamente. Perché il paese delle certezze, della solidità, del rigore,

della ricchezza, delle banche, del cioccolato, degli orologi e di mille altri

luoghi comuni eppure verissimi, è pieno di guai pallonari. Come

l’inimmaginabile che si realizza: senza avere campioni milionari e senza avere

follie particolari, il calcio è disastrato come nient’altro. Il Wall Street

Journal s’è chiesto come mai e ha trovato una risposta. Disinteresse della

società elvetica? Possibile. Così come è possibile che uno sport che non è il

più praticato nella confederazione non abbia il sostegno della politica e

della gente. Comunque siamo qui, sul ciglio di un precipizio che sembrava

impossibile. In Svizzera non hanno ancora accettato che la compagnia aerea di

bandiera sia andata in bancarotta dieci anni fa, ma non si preoccupano che il

calcio sia all’ultimo giro. I simboli del disastro vestono la maglia amaranto

del Servette. Perché non è la squadra più popolare e più vincente, ma è il

club di Ginevra. Cioè del centro del centro. I giocatori che lo scorso weekend

sono usciti dal campo senza sapere neanche se la settimana successiva

avrebbero giocato, sono come i dipendenti di Lehman Brothers che escono dalla

sede della banca con gli scatoloni in mano. E’ la punta di un fenomeno, di

un’anomalia, di una degenerazione. Fallimenti, cause giudiziarie,

penalizzazioni: la serie A svizzera (la Super league) ha dieci squadre e tre

sono nei guai veri. Grossi. E’ il 33 per cento. E’ un’enormità. Il Servette

rischia di sparire perché non ha soldi e non c’è un solo istituto di credito

che per il momento abbia voglia di salvarlo davvero. Poi c’è il resto. C’è il

Neuchâtel Xamax, che è già scomparso. Il club non gioca più da quasi due mesi:

tutti i calciatori a casa, niente più stipendi e niente più mercato. Il 18

gennaio scorso, mentre i giocatori si preparavano per un’amichevole a Dubai

contro la nazionale olimpica irachena, la lega calcio svizzera ha deciso di

escludere la squadra dalla Super League. Il girone di ritorno del campionato,

partito il 4 febbraio, si sta giocando con 11 partecipanti: 5 partite e una

squadra che riposa. Ciao Xamax e ciao anche al pezzetto di storia che

rappresenta con due scudetti vinti e 72 gare europee. Dicono che la Lega abbia

fatto di tutto per evitare la radiazione e che però non si potesse proprio

fare di più: troppe le inadempienze finanziarie del nuovo proprietario Bulat

Chagaev, che in poco più di sei mesi di presidenza è riuscito ad accumulare

oltre 6 milioni di euro di debiti. Da ottobre, nessun impiegato del club

(giocatori e tecnici compresi quindi) riceveva più il proprio stipendio.

Basta? No, ovviamente. L’imprenditore ceceno è accusato di aver fornito una

falsa garanzia bancaria e di aver fatto sottoscrivere doppi contratti ad

alcuni giocatori e allenatori. E’ partito un procedimento penale, Chagaev è

stato arrestato alla fine di gennaio. Diceva di avere beni e liquidità per 38

milioni di dollari depositati in Bank of America. Parole. Soldi zero. Fatti

tanti, anche troppi. Dal 5 maggio scorso, quando prese il club da Sylvio

Bernasconi, Chagaev ha licenziato quattro allenatori, ha cambiato due volte il

proprio staff dirigenziale e ha minacciato più volte i giocatori. Cominciando

dalla finale della Coppa svizzera, fine maggio, quando alla pausa fra primo e

secondo tempo, entrò negli spogliatoi della propria squadra (che perdeva 2-0

dal Sion) gridando “I’ll kill you all” ai giocatori. Poi ad agosto, dopo un

pareggio casalingo col Losanna, entrò con guardie del corpo armate negli

spogliatoi a fine gara. I suoi guardaspalle lo fermarono un secondo prima che

picchiasse l’allenatore Joaquin Caparros, che però fu licenziato per essere

sostituito dall’ex sampdoriano Victor Munoz. Prima del fallimento, Chagaev si

è anche separato da tutti gli sponsor del club. Parlava di milioni, sì. Sempre

quei 38 milioni di dollari della Bank of America. “Io ho una fortuna”, diceva

ai giornali, aggiungendo di essere un intimo amico del presidente ceceno

Ramzan Kadyrov. Peccato che non fosse un né garanzia di onestà intellettuale e

reale, né tantomeno di solidità finanziaria. Ad agosto, tre mesi dopo aver

comprato lo Xamax, Kadyrov lo ha buttato fuori dal Terek Grozny, di cui era

vicepresidente, per inadempienze finanziarie. Buchi su buchi, in sostanza.

Buchi riempiti sempre e soltanto di provocazioni: attacchi ai giornali, agli

ex dirigenti, agli ex dipendenti, a chiunque osasse criticarlo. La Lega

avrebbe anche voluto salvare il Neuchatel, ma come? Fuori dal campionato e

fuori anche dal tempo: ripartirà dai dilettanti, come una squadra italiana

qualsiasi.

Meno trentasei, la retrocessione

Servette, Xamax, poi il Sion. Altra storia da imbarazzo collettivo, per la

Svizzera. Ha fatto 39 punti sul campo, sarebbe potenzialmente secondo in

campionato, invece è nono, cioè ultimo, visto che il Neuchâtel non gioca più.

I punti ufficiali sono tre perché la federazione ha punito il club con un meno

36. La storia è complicata e comincia nel 2008: il Sion ingaggia un portiere

egiziano che però risulta essere ancora sotto contratto col vecchio club. La

Fifa condanna gli svizzeri a due periodi di divieto di trasferimenti per il

tesseramento irregolare. Il presidente e proprietario del club, Christian

Constantin, architetto con una fortuna stimata attorno ai due miliardi di euro,

comincia la battaglia: si rivolge alla magistratura ordinaria, violando la

clausola compromissoria, amatissima dai capoccioni del calcio globale di Uefa

e Fifa, che esclude il ricorso ai tribunali ordinari per questioni sportive.

Eccola là, un’altra storia alla Jean Marc Bosman, il calciatore belga che ha

stravolto le regole del calcio europeo a metà degli anni Novanta. Qui, però,

la partita politica è anche tutta una cosa interna alla Svizzera: la guerra di

Constantin è contro le due istituzioni più importanti del calcio globale, che

però vivono e governano il mondo dalla Confederazione. Perché l’Uefa sta a

Nyon e la Fifa sta a Zurigo.

Il caso Sion ha rischiato di far vacillare il presidente del calcio mondiale

Joseph Blatter più di tutte le accuse di corruzione subite in vent’anni.

Constantin ha trascinato davanti a un giudice il presidente dell’Uefa Michel

Platini, e ha ingaggiato un duello lungo ed estenuante. Per dirne una: ha

inviato una lettera al ministro delle Finanze svizzero chiedendo che venissero

aboliti i privilegi fiscali goduti da Uefa e Fifa, cioè il motivo per cui le

due organizzazioni hanno sede in Svizzera. Perché uno se lo chiede, no? Come

mai il calcio mondiale è rappresentato da una nazione che ha lo sci come sport

nazionale? La risposta sta nella provocazione caduta nel vuoto di Christian

Constantin. Mister Sion ne è uscito come potenziale paladino di un ipotetico

Occupy Football, ma è stato sconfitto dal sistema. Aveva torto, d’altronde.

Nelle partite di Europa league di quest’anno aveva schierato sei giocatori che

non avrebbe potuto neanche comprare. Ha vinto qualche tappa, ha perso

clamorosamente la gara. Risultato: una valanga di quattrini spesi, la

credibilità del pallone svizzero crollata sotto terra e meno trentasei punti.

Uno per uno sono la condanna per la sua squadra a una retrocessione

praticamente certa. Terzo caso di delirio da pallone in Svizzera. Non

c’entrano crac finanziari, non per il momento. Però non è detto: nel 2003,

appena acquistato il Sion, Constantin fece subito ricorso contro l’esclusione

della squadra dalla Challenge League (la B elvetica) per inadempienze

finanziarie. Ottenne il reintegro quattro mesi dopo l’inizio del campionato,

con stravolgimento dei calendari. Piaceva, l’architetto miliardario di

Martigny. Piaceva al pubblico compassato e molto distratto dello sport

svizzero. Sembrava un tipo interessante: vivace, eclettico, artistoide. Poi

l’hanno conosciuto: in nove anni ha licenziato 23 allenatori e in un paio di

occasioni ha voluto addirittura andare lui in panchina. Aveva il tesserino da

allenatore? No, ovviamente. Altra regola stracciata per interesse personale e

per egocentrismo. L’ha scampata allora, non adesso. Meno trentasei, la

retrocessione, la figuraccia con il suo pubblico e con il resto del mondo. Il

Sion ha avuto un momento di popolarità perché sembrava la sfida del piccolo

contro il grande. Solo che funziona se il piccolo è pulito e sano e gioca

contro il sistema. Non se vive dentro il sistema e s’insinua nei vuoti

lasciati dalle norme. E’ finita male. Come per il Neuchâtel Xamax e come

potrebbe accadere per il Servette. Storie diverse eppure uguali. Le tiene

insieme la Svizzera che si vergogna un po’ di se stessa.

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Abete: «Gli stage azzurri?

Non farò alcun baratto»

Il n.1 della Figc: «Mi accusano di non avere influenza sulle società

però sto gestendo con successo i rapporti internazionali, senza aiuti»

di FABIO LICARI (GaSport 21-03-2012)

«Gli stage della Nazionale? Sono una cosa di interesse generale nella quale

spero e credo ancora. Ma si scordino che possano essere merce di scambio:

possiamo andare all'Europeo anche senza, è già successo». Non è facile sentire

Giancarlo Abete così duro. Istanbul, hotel nel quartiere Besiktas, zona

europea, protetto da una security quasi mai vista per un Esecutivo Uefa. Una

sosta tra le numerose riunioni di questa tre giorni fittissima: la questione

degli stage non è andata proprio giù al presidente federale, anche se in

queste ore il vicepresidente Demetrio Albertini si sta impegnando per

strappare il «sì» di Adriano Galliani e poi quello di Andrea Agnelli (per il

23 aprile): al Consiglio di Lega di lunedì l'argomento non è in agenda. Ma

chissà che, dopo l'appello della Ġazzetta, il rilancio di Gianni Petrucci e le

parole di Abete, non ci siano novità importanti.

A che punto siamo, presidente?

«Al punto che lo svolgimento degli stage sarebbe una cosa d'interesse

generale. Ci tenevamo e ci teniamo ancora a farli. La nostra era semplicemente

una richiesta d'attenzione verso la Nazionale e verso un c. t. che ha

un'immagine etica apprezzatissima. Ma non posso né voglio far diventare

obblighi quelli che non lo sono».

Appunto: il calendario internazionale non prevede stage.

«Siamo qui a Istanbul per ampliare e regolare meglio i rapporti tra club e

federazioni, i diritti e i doveri: ci mancherebbe. Ma è ridicolo dire che la

Federcalcio abbia chiesto la disponibilità per gli stage soltanto venerdì

mattina: non è che qualcuno ha interesse a pensarlo? Ne abbiamo discusso al

Consiglio federale il 7 marzo, da mesi ne parliamo, abbiamo soltanto

formalizzato la richiesta dopo la fine degli impegni di coppa. Per rispetto

dei club. E non c'erano neanche dubbi sul periodo».

Deluso?

«Siamo stati sempre molto attenti alle richieste e alle esigenze dei club,

dalle convocazioni ai tempi di rientro eccetera. Ma una cosa dev'essere

chiara: non stiamo chiedendo un favore per darne un altro in cambio.

L'argomento non è una merce di scambio. Questo mai. Se per tutelare

l'interesse generale deve sembrare che mi metta in debito, non ci sto: sarebbe

più pericoloso che andare in Polonia senza stage. E poi un'altra cosa. . . ».

Prego.

«Stiamo parlando di dirigenti che hanno vissuto tante epoche sportive e

appartengono a tutte le leghe, all'Aic, all'Aiac e all'Aia, tutte di pari

dignità: non è più tempo di patteggiamenti. . . ».

È intervenuto anche il presidente del Coni.

«In realtà Petrucci aveva parlato a favore degli stage anche prima: è sempre

stato molto attento alle esigenze della Figc. E, anche in relazione alla sua

posizione, insisteremo. Anche se qualcuno pensa forse che non siamo in grado».

In che senso?

«Ho sentito dire che la federazione non avrebbe delle capacità di moral

suasion. È un'opinione. Ma questa federazione assolve compiti istituzionali di

grande importanza, dal Consiglio alla giustizia sportiva, dagli arbitri alla

Nazionale, nel rispetto e a garanzia di tutti. E, se posso aggiungere, c'è un

presidente federale che sta gestendo con successo i rapporti internazionali

senza l'aiuto di nessuno e con il lavoro quotidiano».

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Il pentito Lo Russo: Pisani indagava su ex pm Narducci, restai sbalordito

Nel giorno in cui depone il collaboratore di giustizia si conosce il contenuto di un verbale che contiene nuove accuse verso l'ex capo della squadra mobile di Napoli

larepubblicaNapoli.it 20-03-2012

L'ex capo della squadra mobile di Napoli Vittorio Pisani indagò sull'ex pm Giuseppe Narducci, oggi assessore nella giunta De Magistris: lo ha dichiarato a verbale il collaboratore di giustizia Salvatore Lo Russo, ex confidente di Pisani. Il verbale in questione, in precedenza omissato, è stato depositato nei giorni scorsi in forma integrale dai pm Sergio Amato ed Enrica Parascandolo.

Pisani si sarebbe rivolto al suo confidente per acquisire informazioni sul magistrato, convinto - a dire del pentito - che facesse uso di droga. Il collaboratore ha sottolineato di essere rimasto "sbalordito" dalla richiesta in quanto sapeva, da quanto leggeva sui giornali, che Narducci era un pm molto attivo.

Narducci, attualmente assessore alla Sicurezza del Comune di Napoli, da pm ha svolto importanti inchieste, tra cui quella contro i clan Misso e Giuliano, attivi nel centro storico di Napoli, e l'indagine di Calciopoli. Negli anni '90 condusse, tra l'altro, indagini su presunte collusioni tra funzionari e agenti della polizia e clan della camorra.

Secondo Lo Russo (che ha deposto oggi al processo su riciclaggio e ristorazione) Pisani era convinto che Narducci facesse uso di droghe e che a rifornirlo fosse un carabiniere.

Nell'interrogatorio del 19 ottobre 2010, il pm Amato rilegge una dichiarazione che Lo Russo aveva reso precedentemente: "Ricordo che in un'occasione il dottor Pisani mi chiese informazioni circa il fatto che c'era un carabiniere che si recava nella zona della Torretta per acquistare cocaina per il dottor Narducci. Rimasi sorpreso".

Lo Russo aggiunge: "Diciamo sbalordito". Il pm riprende la lettura del verbale precedente: "Anzi sbalordito". Quindi chiede: "Rimaneste sbalordito perchè?". Il collaboratore spiega. "E perchè io il dottor Narducci lo conosco attraverso le cronache e cose, io sono sempre convinto che è una bugia per me, perchè non la vedo una persona così... che può far uso di stupefacenti".

Il pm Amato riprende la lettura del verbale precedente: "Rimasi sorpreso, anzi, sbalordito da quanto diceva, in quanto conoscevo la fama del dottor Narducci di magistrato integerrimo".

Lo Russo lo interrompe: "Non mi voglio sbagliare, il dottor Narducci era uno di quelli che stava spesso sul giornale, era uno che lavorava molto a quei temi". Il pm Parascandolo chiede a che periodo risalga la domanda di Pisani e il pentito spiega che era prima del 2000.

Amato continua a leggere il verbale precedente: "Risposi che non sapevo nulla e che nulla potevo fare in quanto quella (la zona di Mergellina, ndr) non era una zona in cui avessi particolari conoscenze. Il senso della domanda che mi fece il dottor Pisani era quello di individuare...".

Lo Russo si inserisce: "...il carabiniere, chi era questo carabiniere! Attraverso le piazze di spaccio se lo sapevano". Lo Russo aggiunse che chiese informazioni su questo all'ispettore Damiano Lisena, colui che gli aveva presentato Pisani e che per un periodo aveva lavorato nei ristoranti della famiglia Iorio.

Lisena, afferma Lo Russo, "disse che loro (i poliziotti, ndr) nell'ambiente lo chiamavano Peppe lo scemo". Il pm riprende la lettura del precedente verbale: "Di lì a poco chiesi a Damiano che tipo fosse il dottor Narducci e lui rispose che loro non lo tenevano in nessuna considerazione, precisandomi che anche nelle occasioni in cui operava direttamente con loro ne parlavano come Peppe 'o scemo".

(20 marzo 2012)

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Processo d'appello Giraudo rinviato al 12 ottobre

Tuttosport.com 21-03-2012

Il presidente della IV sezione del tribunale di Appello di Napoli, Maurizio Stanziola, deve prendere atto dei problemi procedurali e disporre un rinvio con aggiornamento dell'agenda del processo: niente udienze il 3, 11 e 18 aprile

Processo d'appello Giraudo rinviato al 12 ottobreIl presidente della IV sezione del tribunale di Appello di Napoli, Maurizio Stanziola, deve prendere atto dei problemi procedurali e disporre un rinvio con aggiornamento dell'agenda del processo: niente udienze il 3, 11 e 18 aprileTutto su Calciopoli

NAPOLI - Arrivederci a ottobre per il processo di appello su Calciopoli per Antonio Giraudo e altri: difetto di notifiche per gli ex assistenti Baglioni e Griselli, ma l'astensione dall'udienza della maggior parte dei legali che hanno aderito allo scioper nazionale. Il presidente della IV sezione del tribunale di Appello di Napoli, Maurizio Stanziola, deve prendere atto dei problemi procedurali e disporre un rinvio con aggiornamento dell'agenda del processo: niente udienze il 3, 11 e 18 aprile.

UDIENZE - Fissate, invece, le tre udienze nelle quali aprire e chiudere il caso per il 12, 19 e 26 ottobre, proprio la data in cui dovrebbe essere pronunciata la sentenza di secondo grado per Giraudo, Lanese, Pieri e Dondarini, condannati il 14 dicembre 2009, ma anche per gli assolti Baglioni, Cassarà, Foschetti, Gabriele, Messina e Rocchi. Per Baglioni, Griselli e Lanese (il cui avvocato Napoli ha dichiarato la non astensione per sciopero) il giudice ha disposto uno stralcio tecnico non si interrompono ii termini di prescrizione per il reato di frode sportiva, che senza sospensione sarebbero scattati a partire dal prossimo maggio. Il 12 ottobre prenderà la parola la relatrice, giudice Silvana Gentile, poi il procuratore generale (stavolta il pg Carmine Esposito e non il marito del giudice Casoria, Arcese come capitato a novembre) e le parti civili. Dal 19 parola alle difese, a partire dall'avvocato Krogh per Giraudo, chiusura con ultime arringhe e sentenza il 26 ottobre. Si spera... Eh sì perché il vero e proprio processo d'appello prenderà il via a tre anni dalla sentenza di primo grado, dopo le false partenze del 5 luglio, 16 novembre e 21 marzo.

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Comunicato congiunto tra

UEFA e Commissione europea

La Commissione europea ha confermato che le norme

sul fair play finanziario della UEFA sono in linea con

la politica di aiuti di stato dell'Unione europea (UE).

di UEFA News | Mercoledì, 21 marzo 2012, 10.45CET

Oggi, la Commissione europea ha confermato che le norme sul fair play

finanziario della UEFA sono in linea con la politica di aiuti di stato

dell'Unione europea (UE).

Il presidente UEFA Michel Platini e il vicepresidente della Commissione

europea e commissario per la concorrenza Joaquín Almunia hanno pubblicato un

comunicato congiunto al riguardo, evidenziando la coerenza tra le regole e gli

obiettivi del fair play finanziario e quelli della Commissione nel settore

degli aiuti di stato. Il comunicato è stato allegato a un carteggio tra

Platini e Almunia dopo l'incontro a Bruxelles a dicembre 2011.

Il presidente UEFA ha dichiarato: "Sono molto contento che la UEFA e la

Commissione europea abbiano compiuto insieme questo passo decisivo, per

assicurare un futuro prosperoso o stabile al calcio europeo e alla comunità

calcistica europea in generale. Il nostro comunicato conferma che le norme sul

fair play finanziario della UEFA sono pienamente coerenti con quelle sugli

aiuti di stato dell'Unione europea. Voglio ringraziare sinceramente il

vicepresidente Almunia e la Commissione europea per il loro impegno, lo

spirito costruttivo e la cooperazione in questo processo congiunto".

Almunia, vicepresidente della commissione per la concorrenza, ha dichiarato:

"Appoggio pienamente gli obiettivi del fair play finanziario della UEFA e

ritengo essenziale che i club abbiano basi finanziarie solide. Le regole della

UEFA tuteleranno l'interesse dei singoli club e giocatori, oltre al calcio

eueopeo nella sua totalità. Vorrei congratularmi con il presidente Platini per

come ha condotto i lavori".

Dal meeting tra il presidente UEFA e il vicepresidente della Commissione, i

servizi della UEFA e della Commissione europea hanno lavorato insieme per

analizzare le modalità con cui le misure di fair play finanziario potessero

rientrare nel quadro della politica di aiuti di stato della UE. Il comunicato

odierno è il risultato di questo lavoro ed esprime, in modo concreto,

l'interesse e gli obiettivi comuni di entrambe le organizzazioni.

Come richiesto dalla comunità del calcio europeo, e dopo le consultazioni con

tutti i portatori di interesse, il Comitato Esecutivo UEFA ha approvato le

misure di fair play finanziario a maggio 2010. Queste includono l'obbligo per

i club di chiudere il bilancio almeno in parità in un determinato periodo e di

non spendere più di quanto guadagnino, tagliando gli eccessi che negli ultimi

tempi hanno messo a repentaglio la salute del calcio. Tali misure, dunque,

sono state studiate per tutelare il benessere e la fattibilità a lungo termine

nel calcio europeo.

La UEFA e la Commissione europea hanno anche sottolineato che è necessario

che garantire che le regole vengano applicate in un modo uniforme a tutti i

club, per evitare il rischio di discriminazione o trattamento impari. Infine,

il comunicato congiunto dichiara che la UEFA e la Commissione continueranno a

collaborare in questo campo, per risolvere questioni di interesse comune.

Norme sulle licenze per club e sul fair play finanziario della UEFA, edizione 2010

Testo del comunicato congiunto UEFA/Commissione europea

-------

Una "pietra miliare" per il calcio europeo

La UEFA ha accolto di buon grado la conferma da

parte della Commissione europea che esiste coerenza

tra gli obiettivi del fair play finanziario della UEFA e

le politiche di aiuti di stato dell'Unione europea.

di MARK CHAPLIN (UEFA News | Mercoledì, 21 marzo 2012, 13.56CET)

La UEFA ha accolto di buon grado la conferma da parte della Commissione

europea che esiste coerenza tra gli obiettivi del fair play finanziario della

UEFA e le politiche di aiuti di stato dell'Unione europea (UE). La conferma è

stata descritta come una "pietra miliare" per il calcio europeo nell'ottica di

una stabilità finanziaria duratura.

Mercoledì, il presidente UEFA Michel Platini e il vice presidente della

Commissione europea e commissario per la concorrenza Joaquín Almunia hanno

pubblicato un comunicato congiunto in materia. Platini ha ringraziato Almunia

e la Commissione europea per "l'impegno, lo spirito costruttivo e la

cooperazione in questo processo congiunto".

La UEFA è fermamente convinta che le regole sul fair play finanziario

salvaguarderanno il futuro benessere dei club calcistici. Il continuo sostegno

della Commissione europea – e quello degli altri principali portatori di

interesse – è un'ulteriore prova di validità delle misure di fair play

finanziario in corso di implementazione.

Gli obiettivi del fair play finanziario sono pubblicati sui Regolamenti sulle

licenze per club e sul fair play finanziario della UEFA. Il loro scopo

consiste nel disciplinare le finanze dei club e tagliare gli eccessi che hanno

portato vari club ad avere difficoltà finanziarie. Ai sensi di queste misure,

i club sono obbligati a chiudere i bilanci almeno in parità – ovvero a non

spendere più di quanto guadagnino – e ad agire responsabilmente per tutelare

la fattibilità a lungo termine nel calcio europeo.

Il Panel di controllo finanziario dei club è stato istituito per vigilare e

garantire che le società aderiscano alle regole di fair play finanziario.

Queste misure verranno implementate in un ciclo triennale: nel 2013/14, la

valutazione di parità dei bilanci riguarderà gli anni finanziari 2012 e 2013,

a partire dalla valutazione di tutti i trasferimenti e gli stipendi del

personale dei club dell'estate 2011.

"È un comunicato congiunto molto importante - ha commentato il segretario

generale UEFA Gianni Infantino mercoledì dopo il meeting del Comitato

Esecutivo UEFA a Istanbul -. Sono stati compiuti sforzi enormi e abbiamo

lavorato insieme ai servizi del commissario [Joaquín Almunia].

"L'importanza di questo comunicato è enorme. Per noi si tratta di un grande

passo in avanti, una pietra miliare nell'applicazione delle regole di fair

play finanziario, che hanno il sostegno di club, leghe e associazioni

calciatori. Si evince un impegno chiaro da parte della Commissione europea.

Inoltre, il comunicato invita a un'ulteriore cooperazione tra la UEFA e la

Commissione europea in altri ambiti. Per ora ci siamo occupati di fair play

finanziario, ma proseguiremo la collaborazione con la Commissione europea

perché finora è stata molto fruttuosa e produttiva".

Infantino ha ribadito che il fair play finanziario è necessario per

contrastare tendenze preoccupanti nel calcio, confermate dal recente Rapporto

comparativo sulle licenze per club UEFA. Il documento sottolinea i problemi di

debiti che affliggono i club, metà dei quali segnala costi e perdite in

aumento.

"Quando abbiamo sviluppato l'idea di fair play finanziario, abbiamo parlato

con club, federazioni e leghe e abbiamo iniziato a convincere tutti che

dovevamo agire in tal senso. Oggigiorno, è un peccato vedere che club dalla

grande tradizione stanno affondando. Ciò dimostra che servono un maggior

controllo, buone regole e l'applicazione rigorosa delle stesse. Questi casi

aprono gli occhi a coloro che finora li hanno tenuti chiusi e dimostrano che

occorre agire immediatamente".

___

Platini incassa l'ok dall'Unione

europea sul fair play finanziario

di MARCO BELLINAZZO dal blog Calcio & business (Il Sole 24 ORE.com 21-03-2012 15:46)

Michel Platini incassa il sì dall'Unione europea sulle regole del fair play

finanziario. Un duro colpo per chi è contrario al giro di vite sui conti delle

società e già profilava ricorsi alla Corte di Giustizia Ue per la possibile

lesione della libertà economica nel Vecchio Continente.

Il presidente Uefa Platini e il vicepresidente della Commissione europea e

commissario per la concorrenza, Joaquin Almunia, hanno infatti pubblicato un

comunicato congiunto per evidenziare la coerenza tra le regole e gli obiettivi

del fair play finanziario e quelli della Commissione nel settore degli aiuti

di stato.

Platini. "Sono molto contento che la Uefa e la Commissione europea abbiano

compiuto insieme questo passo decisivo, per assicurare un futuro prosperoso o

stabile al calcio europeo e alla comunità calcistica europea in generale - ha

dichiarato il presidente della Uefa che ha fatto di questa battaglia un

caposaldo della sua amministrazione -. Il nostro comunicato conferma che le

norme sul fair play finanziario sono pienamente coerenti con quelle sugli

aiuti di stato dell'Unione europea. Voglio ringraziare sinceramente il

vicepresidente Almunia e la Commissione europea per il loro impegno, lo

spirito costruttivo e la cooperazione in questo processo congiunto".

L'Unione europea. Per Almunia, vicepresidente della commissione per la

concorrenza "l'appoggio pienamente gli obiettivi del fair play finanziario

della Uefa e ritengo essenziale che i club abbiano basi finanziarie solide. Le

regole della Uefa tuteleranno l'interesse dei singoli club e giocatori, oltre

al calcio europeo nella sua totalità".

Il fair play. Il comitato esecutivo Uefa ha approvato le misure di fair play

finanziario a maggio 2010. Queste includono "l'obbligo per i club di chiudere

il bilancio almeno in parità in un determinato periodo e di non spendere più

di quanto guadagnino, tagliando gli eccessi che negli ultimi tempi hanno messo

a repentaglio la salute del calcio - spiega l'Uefa -. Tali misure, dunque,

sono state studiate per tutelare il benessere e la fattibilità a lungo termine

nel calcio europeo. La Uefa e la Commissione europea hanno anche sottolineato

che è necessario garantire che le regole vengano applicate in un modo uniforme

a tutti i club, per evitare il rischio di discriminazione o trattamento

impari".

Dal 2013/2014. In pratica nei prossimi tre anni i club che vorranno giocare

in Europa non potranno avere un rosso sopra i 45 milioni (a parte alcune spese

ammesse come quelle per gli investimenti in stadi e vivai. Il Panel di

controllo della Uefa però già dalla prossima estate potrà richiamare quei club

con deficit che già oltrepassano questo limite e che potranno essere

"invitati" a contenere costi e spese.

Modificato da Ghost Dog

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