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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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IL CASO INDAGINI A UNA SVOLTA

Ora è ufficiale:

Bergamini ucciso

I Ris confermano

Per i Carabinieri l'ex giocatore del Cosenza

era già morto quando fu investito dal camion

di FRANCESCO CENITI & ALESSANDRO RUSSO (GaSport 23-02-2012)

Donato Bergamini è stato ucciso. C'è l'ufficialità alle anticipazioni fatte

dalla giornalaccio rosa. Ieri i Ris di Messina hanno consegnato alla Procura di

Castrovillari la perizia sugli esami effettuati in questi mesi: smontata la

«verità» del suicidio alimentata in questi lunghissimi 22 anni da inchieste

superficiali e lacunose, ma soprattutto dalle parole dei testimoni oculari,

l'autista del camion e Isabella Internò, l'ex ragazza di Donato. La fuga dal

ritiro senza motivo, l'ultima litigata in auto, il «tuffo a pesce» sotto le

ruote del pesante mezzo, il corpo trascinato per 60 metri e una serie

d'incongruenze rimaste nel tempo a offendere la memoria della famiglia

Bergamini che ha sempre lottato per avere giustizia, fino a ottenere la scorsa

estate la riapertura del caso sulla base del memoriale dell'avvocato Eugenio

Gallerani.

Le novità Adesso la «giustizia» invocata dai genitori e dalla sorella dell'ex

centrocampista, non sembra una chimera. I Ris partono da un punto che ribalta

tutta la storia: Bergamini era già morto quando è stato travolto dal camion.

In altre parole è stata una messinscena: il corpo messo sulla strada dai suoi

assassini che poi hanno cercato di alterare la scena del delitto, facendogli

passare sopra l'autocarro. La certezza è arrivata analizzando (attraverso

delle foto) le ferite riportate dal corpo di Donato e alcuni oggetti che

indossava al momento della morte. Per il reparto d'investigazioni scientifiche

dei carabinieri è praticamente impossibile che scarpe, orologio e catenina non

abbiano riportato alcun danno nel trascinamento.

I possibili moventi Il lavoro dei Ris si unisce a quello della Procura che in

questi mesi ha sentito diversi testi, tra i quali molti ex compagni di squadra,

come Michele Padovano. Le domande ora sono due: chi ha ucciso Bergamini e

perché? Le piste seguite dagli inquirenti portano alla droga oppure a motivi

passionali. Di sicuro il procuratore Franco Giacomantonio potrebbe nelle

prossime settimane formalizzare una incriminazione legata all'omicidio

volontario. A Cosenza gli ultimi sviluppi sono seguiti con attenzione. Da

sempre il caso Bergamini ha appassionato la città che non ha mai dimenticato

il suo ex giocatore: la battaglia del papà è stata sostenuta da un vasto

movimento di opinione che non ha mai creduto al suicidio. Gianni Di Marzio, ex

allenatore dei rossoblù e di Bergamini, ricorda: «Al funerale di Donato avevo

detto al padre che ci voleva l'autopsia. Ora comincia ad emergere la verità.

La famiglia merita giustizia».

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laRovesciata di ROBERTO BECCANTINI (GaSport 23-02-2012)

Allegri, Conte e

il complottismo

L'etica protestante e lo spirito del complottismo. Siamo lontani dalle manette

di José Mourinho, e dai suoi ponderosi trattati sulle nequizie arbitrali (a

meno che non fossero a favore, tipo il Mejuto Gonzalez di Inter-Chelsea);

nello stesso tempo, però, qualcosa si muove. E qualcuno, ogni tanto, ristampa

i sacri testi. Agnelli, per esempio, ha bacchettato Abete che aveva

bacchettato Conte. Il quale Conte, prima di Juventus-Catania, aveva denunciato

la carenza di rigori suscitando l'ira funesta del Ranieri interista, dimentico,

costui, del liscio e busso che il Ranieri juventino dedicò alle papere di

Bergonzi, una sera a Napoli: «Basta, abbiamo già pagato per Calciopoli».

L'Allegri che ironizza sul gol della «maestrina» Chiellini (in sintesi: se

l'arbitro lo avesse annullato, mi sarei proprio divertito) dovrebbe essere —

così, a naso — lo stesso Allegri che bisticciava con il moviolista Paparesta,

colpevole di aver sminuito il penalty su Pato a Bergamo, censura che costò a

Mediaset (sic) l'embargo televisivo pre-derby.

A Cremona, nemmeno gli «zingari» accettavano scommesse su quale dei tre

presunti rigori non concessi in Parma-Juventus — Biabiany su Giaccherini,

Barzagli su Giovinco, Santacroce su Pirlo — Zeman avrebbe fatto il nido:

Barzagli su Giovinco, avevate dei dubbi? Il guru boemo resta il simbolo del

calcio pulito, ma quando Sensi gli preferì Capello, perché «caro al palazzo»,

e insieme vinsero lo scudetto, la Roma romanista sciamò comunque per il Circo

Massimo, parcheggiando il martire dietro alla ragion di stato.

In attesa del verdetto (Ibra sì o Ibra no), Milan-Juventus prospera

all'insegna del solito bar sport. Galliani potrebbe raccontare al suo mister

quanto durarono le dimissioni («Irrevocabili») che diede nel dicembre del 1995,

sullo slancio di un rigore negato da Tombolini in una sfida con il Toro: due

giorni scarsi. Naturalmente, il detonatore era stata la somma degli sgarbi,

non il singolo episodio (mano di Angloma).

Memorabili i dossier della casta Inter e il «C'è posta per te» della Juventus

cobolliana al designatore Collina. Non meno variopinti, e vaporosi, i

brogliacci diffusi dal Napoli: ai tempi di Ferlaino, si spingevano fino alle

amichevoli, oggi non più. Un passo avanti? Forse, a patto di non chiederlo ai

tifosi. Il buon Lotito, scottato da un rigore negatogli contro la Juve quando

la Lazio era ancora in lizza per la Champions, parlò di «tintinnìo di manette»

(lui quoque) e invocò una «task force» che tenesse d'occhio moventi e

movimenti degli avversari. Arrivato casualmente quinto, a un pelo

dall'obiettivo (toh), si consolò appendendo al muro il ritratto di Petrucci e

un plastico dell'Olimpico.

Da che pulpito. Sono gli indignati a orologeria, eredi e naufraghi di

Calciopoli dalla memoria lunga, in alcuni casi, undici metri e, in altri,

addirittura 444 milioni di euro. Tutti a caccia degli arbitri, scudi umani del

nostro scontento. Mourinho, da Madrid, prende nota dei progressi (Conte, meno

vago; Allegri, più sciolto) e sottolinea le carenze: Marotta, poco belva;

Galliani, troppo serpente; Beretta, troppo Beretta. Lo immagino annoiato,

cupo: che barba, queste vigilie; che noia, queste lezioni. Bambini infiniti. E,

quando fa comodo, incompetenti.

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controinchiesta

Calciopoli: trame, suggeritori

e intercettazioni scomparse

Lo strano asse Baldini-carabinieri contro Moggi. Su 171mila

telefonate, trascritte 3mila. Il giallo sul «salvataggio» della Roma

di GIAN MARCO CHIOCCI (il Giornale 23-02-2012)

Ma cos’è stata davvero l’inchiesta di Calciopoli che ha portato alla condanna

di Moggi e compagnia arbitrale? È stata eterodiretta come sospettano i

condannati? E da chi? E perché lo scandalo ha travolto solo la Juve e non

altre società e dirigenti che colloquiavano allo stesso modo con la classe

arbitrale e funzionari Figc? Proviamo a scoprirlo spulciando gli atti

processuali. A partire dall’ultimo, depositato il 6 febbraio scorso. Pagina 52

delle motivazioni della sentenza penale di condanna: «Il teste Baldini Franco,

in atto general manager della nazionale inglese (oggi Dg della Roma Calcio,

ndr), grande suggeritore di accusa, per collaborazione con l’investigatore

Auricchio dichiarata da entrambi ». I teorici del gran complotto anti-Juve si

sfregano le mani per il virgolettato sul Grande Suggeritore perché mette una

pietra tombale su Franco Baldini nemico giurato di Moggi (si sono insultati e

denunciati a vicenda durante il processo) «ispiratore» delle indagini contro

Lucianone.

All’ex maggiore dei carabinieri di Roma Attilio Auricchio conosciuto nel 2003

nell’inchiesta sulle false fidejussioni che puntò alla Roma, Baldini ha

offerto l’input a indagare in più e più incontri (non verbalizzati) nel 2004 e

nel 2005, indicando personaggi da sentire e filoni da esplorare. Baldini si

confessò a verbale il 15 aprile 2005 con il solo maggiore che, cosa rarissima

per un ufficiale, verbalizzò personalmente il lunghissimo interrogatorio.

Sulla frequentazione con l’ex maggiore, in aula Baldini s’è contraddetto

sostenendo di aver frequentato al massimo «una o due volte» Auricchio nel 2005

smentendo quanto da lui stesso affermato nel 2008 al processo Gea allorché

giurò di non aver più incontrato il colonnello dall’agosto 2003 (inchiesta Gea)

all’aprile 2005 (inchiesta Calciopoli). In aula, il carabiniere l’ha smentito

osservando come tra l’agosto 2004 e il marzo 2005 incontrò il Ds della Roma «4

o 5 volte prima» dell’interrogatorio ufficiale, e «3 o 4 volte dopo». Baldini

portò al maggiore anche una giornalista economica sua amica per illuminarlo

ulteriormente sul «funzionamento delle società di calcio dal punto di vista

economico». L’incontro Baldini non lo sa collocare temporalmente ma la difesa

lo individua tra la prima informativa del maggiore Auricchio alla procura di

Napoli, del 18 settembre 2004 (dove si ipotizzavano quegli scenari

apocalittici sul mondo del pallone in quel momento ancora non emersi in alcuna

attività che serviranno a dare il là alle intercettazioni) e la telefonata a

Baldini del 4 aprile 2005, trascritta integralmente e depositata solo al

processo non dai carabinieri di Auricchio ma dai periti tecnici della difesa.

Il giudice di Calciopoli la ritiene gravissima, almeno quanto quelle di Moggi.

Scrive: «La conversazione è significativa anche perché presenta la comunanza

di fiume di parole e discorsi di ampia portata, da cui il pm ha tratto

elementi per dimostrare l’esistenza dell’associazione avente il capo in

Moggi». La chiamata è quella col vicepresidente federale Innocenzo Mazzini

(poi radiato) dove Franco Baldini preannunciava il ribaltone, poi puntualmente

avvenuto: «Forse, se tu ti comporti bene, quando farò il ribaltone e tanto lo

farò perché io vivo per quello, fare il ribaltone e butterò tutti di sotto

dalla poltrona (...) io ti salverò, forse». Baldini dice che con Mazzini stava

scherzando. Per i suoi detrattori è invece l’ennesimo indizio

dell’eterodirezione romana. Checché ne dicano i cultori del complotto, sul

fronte «fughe di notizie» che sputtanò Juve, Lazio e Fiorentina niente è

emerso sul duo Baldini-Auricchio: non risultano in contatto con chi fece il

vero scoop di Calciopoli, e cioè il Romanista, giornale di tifosi non abituato

a pubblicare atti coperti dal segreto. Ad Auricchio ci si arriva

indirettamente solo attraverso un cronista della Ġazzetta dello sport ,

impegnato a tempo pieno a collaborare con i carabinieri romani di via in Selci.

Nel processo è emerso che delle 171mila telefonate intercettate il pool dei

carabinieri di Auricchio ne ha sentite tante trascrivendone, a dire tanto,

tremila. E le ha segnalate sulla base di «baffi» colorati messi sui brogliacci

accanto alle telefonate. Verdi, poco interessanti. Gialle/arancioni,

interessanti. Rosse, molto interessanti. Il perito della difesa, Nicola Penta,

con enorme fatica è riuscito ad ascoltarne 30mila in più ( arriviamo così a

33mila su 171mila) trovandone tante (Roma, Inter, Cagliari ecc) che pur avendo

baffi gialli e rossi sui brogliacci, non sono state ritenute meritevoli di

approfondimento.

Addirittura il pm Giuseppe Narducci replicò sdegnato nella requisitoria

nell’«abbreviato » a Giraudo, il 27 ottobre 2008, a chi paventava favortismi:

«Piaccia o non piaccia» di telefonate di Bergamo e Pairetto con Moratti, Sensi

o Campedelli, disse, «non c’è traccia». Piaccia o non piaccia invece quelle

telefonate c’erano, ma son saltate fuori solo quattro anni più tardi grazie ai

testardi consulenti difensivi. E non è un caso che il procuratore sportivo

Palazzi ha concluso il suo supplemento di indagini ammettendo che se il reato

non fosse stato prescritto anche l’Inter avrebbe dovuto essere sanzionata,

anziché premiata.

Ma è tutta l’inchiesta un mistero. Atti decisivi per le condanne o sono state

nascosti o sono stati fatti sparire (il video dei sorteggi falsamente

taroccati oppure l’audio dell’incontro a Villa La Massa a Firenze tra i Della

Valle, Bergamo, Mazzini). Alcuni testi hanno mentito in aula e sono prossimi

destinatari di avvisi di garanzia. Tante telefonate o non sono state mai

trascritte o sono state mal trascritte. Si è evitato di riportarne alcune

devastanti per trascriverne di inutili come il gossip sulla giornalista

D’Amico, il peso e il nome di un neonato, il ragù nei rigatoni di casa Bergamo,

i piatti lavati a casa Pairetto. Perché? Ancora dalla sentenza di Calciopoli:

«La difesa è stata (...) molto ostacolata nel compito suo proprio dall’abnorme

numero di telefonate intercettate, oltre 170mila, e dal metodo adoperato per

il loro uso, indissolubilmente legato a un modo di avvio e sviluppo delle

indagini per congettura...». Per congettura. Allo stesso modo, ragionando per

congettura è lecito domandarsi perché non si è approfondito il «ribaltone »

annunciato da Baldini o la telefonata tra l’allenatore Sandreani e il manager

Zavaglia sull’intenzione dello stesso Baldini di prendere il posto di Moggi

alla Juve col placet di Montezemolo. O perché non sono finite al processo le

dieci e passa telefonate con la voce dei giallorossi Baldini e Pradè. Non si

tratta di fare un processo alla Roma, piuttosto che all’Inter, al Cagliari, al

Palermo, al Milan o a chicchessia. C’è da capire perché si è indagato a senso

unico, quale fu il criterio della selezione delle chiamate, come mai i pm

napoletani hanno lavorato coi carabinieri di un’altra regione. C’è da capire

la genesi delle intercettazioni attivate a seguito dell’imbeccata sulla

«combriccola romana» degli arbitri pro Moggi quando lo stesso Auricchio, in

aula, le ha ridimensionate a un gruppo d’amici che nemmeno arbitravano a

favore della Juve. Già, l’abuso delle intercettazioni. Criticato nel lontano

1996 dall’allora procuratore generale di Catanzaro, Giuseppe Chiaravalloti,

che denunciò l’allora giovane capitano Attilio Auricchio (impegnato a indagare

con un giovane pm Luigi De Magistris), perché anziché trascrivere

correttamente «Provveditore generale » nei brogliacci, l’ufficio da lui

diretto mise «Procuratore generale » col nome di Chiaravallotti accanto.

Denunce e controdenunce finirono in archiviazioni reciproche. Quattordici anni

dopo De Magistris è diventato sindaco di Napoli. Come capo di gabinetto s’è

preso proprio il benemerito Attilio Auricchio. Come assessore ha nominato

Giuseppe Narducci, il pm di Calciopoli amico di Auricchio e di De Magistris.

’O sindaco tifa Napoli, anche se da piccolo era interista. Sarà stato felice

come un bimbo per non aver letto le intercettazioni del suo idolo di un tempo,

il compianto Giacinto Facchetti, a cena con Bergamo, in contatto con l’arbitro

Nucini e...

(2. Continua)

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Sport & Business. Le società della Lega Pro (ex serie C) hanno proposto di applicare

anche in ambito sportivo questo contratto, per accedere a sgravi fiscali e contributivi

Conti in rosso,

l'apprendistato tenta i club di calcio

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 23-02-2012)

Quella del calciatore-apprendista sarà pure una figura atipica. Ma per i club

della vecchia serie C – oggi Lega Pro – già falcidiati dalla crisi che ne ha

fatti saltare solo nell'ultimo anno 13 su 90, il ricorso all'apprendistato è

cruciale per salvare i bilanci e dare un futuro a un movimento che dà lavoro a

circa 2mila atleti professionisti e conta oltre 6.500 "giovani di serie".

Proprio per agevolarne l'"assunzione", la Lega Pro ha proposto martedì scorso,

in un convegno a Roma dedicato alle «nuove strategie di gestione delle

società di calcio», di applicare anche in ambito sportivo il contratto di

apprendistato. Quel contratto che per il Governo Monti dovrà diventare la

forma privilegiata di ingresso nel mercato del lavoro per i giovani.

Certo, si tratterà di adottare e adattare un modello che per tradizione e

natura è più congeniale alle fabbriche che ai rettangoli verdi. Ma gli spazi

di manovra, secondo il presidente della Lega Pro, Mario Macalli, e il

direttore generale Francesco Ghirelli, ci sarebbero.

«Lo so bene – spiega al riguardo il vicepresidente della Lega Pro, Archimede

Pitrolo, imprenditore e proprietario di un'industria meccanica – che

all'interno di un'azienda, l'apprendista segue un percorso di formazione e può

contare sull'esperienza di altri operai specializzati. Mentre l'ala sinistra

non è che impara a fare l'ala dal centravanti. Ma noi chiediamo di poter

usufruire di una formula contrattuale ad hoc per i giovani calciatori oggi non

prevista né dalla legge, né dal contratto collettivo».

L'attuale normativa sull'apprendistato (il decreto legislativo 167 del 2011)

non ne vieta l'estensione al settore sportivo. Anche se in Lega Pro nessuno

nasconde le difficoltà di renderne coerente l'impianto – finalizzato al

raggiungimento di una qualifica professionale – con la carriera sportiva. Per

questo sarebbe preferibile il varo di una disciplina speciale per i giovani

calciatori (dai 16 ai 21/22 anni) magari da inserire nell'ambito della

revisione della legge 91 dell'81 sul professionismo sportivo. Eventualmente,

dato che solo una parte dei giovani di serie prosegue nel mondo del calcio, il

"programma formativo" del contratto dei baby calciatori potrebbe anche essere

finalizzato al conseguimento di un diploma o comunque di una qualifica

professionale extra-sportiva.

I vantaggi dell'adozione di un contratto di apprendistato calcistico per i

club di Lega Pro in cronica carenza di risorse (mediamente nel biennio

2008-2010 hanno fatturato meno di due milioni di euro all'anno, spendendone

tre) sarebbero evidenti. Dalla possibilità di derogare al minimo contrattuale

(oggi fissato a 18mila euro annui in Prima Divisione e 16mila in Seconda),

alla facoltà di accedere a sgravi fiscali e contributivi, alla chance di

valorizzare i giovani, ottenendo gli aiuti riservati dalla Figc (16 milioni a

stagione) a chi schiera under 20 e di ritornare a fare mercato per la serie A

e B, come avveniva fino a una decina di anni fa.

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LA TELEFONATA. LE PUNZECCHIATURE TRA ALLEGRI E CONTE NON COINVOLGONO I DUE CLUB

Agnelli e Galliani rinsaldano l'asse. Scudo anti-polemiche per il big-match

Sempre gelo tra il boss bianconero e Abete, Petrucci media: "Solo un equivoco".

Carlo Laudisa (Gasport 23-02-2012)

Una telefonata tira l’altra. Quelle tra Andrea Agnelli e Adriano Galliani sono frequenti. Anche la settimana della grande sfida è iniziata con una chiacchierata cordiale. Distensiva? Non certo per gli interessati. I contatti tra il presidente della Juventus e l’a.d. rossonero sono regolari: tra loro c’è una confidenza di anni. Le polemiche degli ultimi giorni tra Conte e Allegri non sfiorano le loro conversazioni. A riprova degli ottimi rapporti tra i club. Un legame lievitato dal ’94. Cioè da quando il club bianconero passò sotto l’influenza di Umberto Agnelli, con l’a.d. Antonio Giraudo a tessere la tela dei rapporti politici in grande sintonia con Galliani, appunto.

La politica Allora Andrea già respirava l’aria juventina ed è naturale che il feeling con i vertici di via Turati sia rimasto intatto. Nella partita in Lega Juve e Milan sono sempre a braccetto. E la chiacchierata di lunedì è servita a fare il punto soprattutto su questo fronte. Inevitabile il riferimento anche alla temperatura in rialzo sulla sfida di sabato: con la reciproca volontà di evitare polemiche tra i club. E in effetti le società sono rimaste neutre. Soft pure le punzecchiature tra Allegri e Conte. Diverso è il discorso tra Agnelli e Giancarlo Abete. Il numero uno bianconero non ha preso bene il commento del presidente federale su Conte e lo ha criticato in pubblico.

La chiamata E non solo. Andrea Agnelli ha pure chiamato il presidente del Coni Gianni Petrucci per esporre le sue ragioni. Intervenendo a Sky ieri il numero uno dello sport italiano ha ammesso: «Ho spiegato ad Andrea Agnelli che s’è solo trattato di un equivoco. Presto gli interessati si chiariranno, se non l’hanno già fatto…». Auspicio non suffragato dai fatti. Sebbene Giancarlo Abete ritenga chiuso l’incidente, sul versante bianconero resta l’amaro in bocca. L’episodio in sè lascia il tempo che trova, ma è chiaro che in corso Galileo Ferraris non considerano chiusa la partita di Calciopoli, nonostante gli effetti concilianti del tavolo della pace. Quindi è sempre gelo con il timoniere di via Allegri. I veleni di Milan-Juve paiono solo un pretesto.

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Modificato da huskylover

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e bravo il nostro gian marci chiocci

quel continua mi affascina

è solo ???

vedremo

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e bravo il nostro gian marci chiocci

quel continua mi affascina

è solo ???

vedremo

Dici che ne abbiamo trovato uno che va alla ricerca della verità?

Che sia un giornalista?

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Joined: 14-Jun-2008
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IL SISTEMA CALCIO, FRA

SCOMMESSE E POTERE

Nel capitolo calcioscommesse entreranno molto presto le società. Si

scopriranno casi di presidenti conniventi. Perché nonostante i debiti

conviene avere una squadra di calcio? Perché dà notorietà e potere. Si

può contare sul supporto di milioni di persone. Vi ricordate Cragnotti...

Intervista a Gianfrancesco Turano della redazione di Cado in piedi 23-02-2012

Hai scritto un libro sul calcio che forse tutti vorrebbero leggere ma che

nessuno, fin qui, aveva avuto il coraggio di scrivere. Si chiama Fuori Gioco.

Ecco, partendo da qui, cosa ne pensi del caso calcioscommesse?

I magistrati si stanno chiedendo se è possibile che un gruppo di giocatori,

tutto sommato di secondo piano (con l'eccezione di Cristiano Doni), e di

dipendenti altrettanto di secondo piano di alcuni club calcistici, potessero

essere in grado di organizzare un giro di scommesse nei 4 angoli del mondo

con il coinvolgimento di soggetti e società straniere. La risposta i magistrati la

stanno cercando, ovviamente attraverso gli interrogatori. Ed è una risposta

difficile da trovare perché il calcio è un sistema omertoso come e più della

criminalità organizzata, ma è evidente che la pista che i giudici seguono

porta molto in alto, porta al livello dei dirigenti delle squadre di serie A.

Questo sta emergendo con forza per esempio nella questione del Bari (il Bari

che è nel mirino adesso come era l'Atlanta e alcuni tesserati dell'Atalanta

fino a qualche settimana fa) è sicuramente una delle squadre che sembra più

penetrata da questo fenomeno criminale, per cui abbiamo visto che i cosiddetti

slavi addirittura giravano per il ritiro del Bari.

Credo che francamente sia impossibile che tutta questa macchinazione sia

avvenuta all'insaputa dei Presidenti e dei dirigenti della società calcistica,

questo perché le società calcistiche hanno una forma di controllo molto

stretto sui loro dipendenti. Basta ricordare, per fare un esempio, il caso di

Vieri che era intercettato dall'Inter.

I Presidenti vogliono sapere dove vanno a ballare i loro giocatori, a fronte

di questo tipo di attenzione mi sembra molto difficile che i Presidenti

non sapessero quali erano i giocatori che scommettevano. Le procure

che indagano stanno cercando di capire se questa era una semplice omissione

di controllo sui dipendenti o se ci possa essere dietro qualcosa di più grave.

Vogliono capire se dietro questo giro di scommesse clandestine e di partite

truccate che portavano denaro e benefici economici illeciti ai calciatori e agli

scommettitori clandestini, ci fosse non solo una forma di tolleranza da parte

dei Presidenti, ma in alcuni casi una vera e propria connivenza. C'è il

sospetto che in un sistema economico come quello del calcio, un sistema

(tranne poche eccezioni) in perdita strutturale, le scommesse clandestine

offrano una facile occasione per rientrare dalle perdite di bilancio.

A proposito di presidenti. Ci tornano in mente i casi molto simili di

Cragnotti e Tanzi...

Sono due casi che appartengono a una fase del calcio in cui l'esempio del

Milan di Berlusconi, quindi delle spese folli per l'ingaggio dei migliori

giocatori, aveva contagiato un po' tutta la serie A. In quegli anni Tanzi e

Cragnotti che sono due bancarottieri che hanno la squadra e nello stesso

tempo stanno devastando rispettivamente la Parmalat e la Cirio, ma si

trascina anche altri imprenditori come Cecchi Gori che fa bancarotta con la

Fiorentina. Diventa tutto un circuito vizioso che viene messo in piedi in quel

periodo, gli anni 90 grossomodo fino ai primi del 2000.

Adesso il problema è diverso. Adesso c'è una sorta di marcia indietro. Si va

verso una cosiddetta virtù economico - finanziaria. La prima conseguenza di

questa virtù economico - finanziaria è che il campionato di serie A non è

più il campionato più bello del mondo, perché i giocatori più ricchi e più

quotati, con poche eccezioni, sono ormai in Spagna e in Inghilterra. Poi in realtà

ci accorgiamo che questa virtù economico - finanziaria è ancora ben lontana

dall'essere raggiunta perché l'Inter attuale, l'Inter del famoso triplete è

una squadra che ha totalizzato durante la gestione di Moratti perdite per

oltre 1.350.000.000 di Euro, una cosa abnorme che soltanto la grande

ricchezza della famiglia Moratti ha potuto consentire.

Lo stesso Berlusconi un paio di anni fa aveva annunciato la via all'austerità,

salvo poi pentirsi (perché si è accorto che gli serviva a fini elettorali) e

comprare in gran fretta Ibrahimovic e Robinho.

Un altro esempio lampante di questo sistema caotico è quello della legge

sugli stadi nuovi, una legge che annaspa in Parlamento nonostante sia una

bipartisan. Una legge che non riesce a passare perché ci sono lobbismi

incrociati che la bloccano: i Presidenti tentano di emendare questa legge in

modo da poter costruire nelle aree archeologiche, nelle aree a rischio di

dissesto idrogeologico.

La cosa più assurda, infine, è che questa banda di buon temponi ha delle

grandi ambizioni politiche. Recentemente hanno più o meno annunciato

discese in campo Lotito, Zamparini, lo stesso Della Valle con la pubblicità

comprata su Il Corriere. Questo perché in qualche modo loro si sentono,

sempre sulla scia di Berlusconi, un po' il vertice di questo sistema Paese.

Ma alla fine queste società di calcio sono sempre in perdita? Questi

presidenti ci rimettono e basta?

Se noi prendiamo per buoni i bilanci sicuramente sono pochi quelli che

guadagnano e questo non solo in Italia ma in generale. La domanda è:

possiamo prendere per buoni i bilanci delle squadre di serie A? La mia

risposta è no, non li possiamo prendere per buoni perché è per la natura

delle transazioni estero su estero che sono legate all'acquisto, alla

compravendita di calciatori, ci sono infinite possibilità di falsificarli questi

bilanci. A fronte di ciò, qual è il beneficio? Il beneficio è l'immunità diplomatica

e politica che il calcio garantisce. Prendiamo ad esempio il caso Cragnotti: lui

va in carcere 15 mesi dopo la dichiarazione di fallimento della Cirio, una

cosa veramente assurda, nel senso che al finanziere viene consentito di

continuare a occuparsi della sua società in qualche maniera anche dopo il

fallimento e per 15 mesi, dopodiché la Lazio, che è controllata dalla Cirio,

non fallisce e non fallisce perché il governo Berlusconi vara una legge ad hoc

per cui garantisce alla Lazio 23 anni di rate su un'enorme evasione fiscale.

Allora è evidente che fare il Presidente di una società di calcio conviene:

conviene perché dà enorme notorietà, dà potere. Ti mette a disposizione un

pubblico che sono i tifosi di quella squadra e quindi in alcuni casi stiamo

parlando della Juventus, del Milan, dell'Inter, di 10/15/18 milioni di tifosi.

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CONI News

ALTA CORTE DI GIUSTIZIA:

Il 27 marzo le udienze dei ricorsi presentati

da Giraudo, Mazzini e Moggi contro la FIGC

L’Alta Corte di Giustizia Sportiva ha fissato per il giorno 27 marzo 2012, a

partire dalle ore 17, una sessione di udienze di discussione nell’ambito della

quale verranno trattati i ricorsi presentati da Antonio Giraudo, Innocenzo

Mazzini e Luciano Moggi contro la FIGC.

Roma, 23 febbraio 2012

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Nota a sentenza 14.02.12

Commento alla recente sentenza di Napoli sul c.d scandalo Calciopoli

Avv. Andrea Bazzichi

http://www.filodirit...zza&iddoc=2650#

Non troppo dettagliato, perché evita giustamente di mettere sotto la lente le testimonianze e le teorie delle difese, avendo come obiettivo solo la sentenza, ma mi sembra un buon pezzo. ;)

Modificato da CRAZEOLOGY

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CALCIOSCOMMESSE

Parla Gegic

«Pronto a tornare

L'Italia è il Paese

delle combine»

Per i magistrati il latitante è il capo degli Zingari

«Non è vero, chiedete a giocatori e società...»

di FABIO BIANCHI & FRANCESCO CENITI (GaSport 24-02-2012)

«Sono pronto a costituirmi anche domani e sono disposto ad andare agli arresti

domiciliari. Chiedo solo ai magistrati di Cremona di togliere il mandato

internazionale. Basta un accordo con il mio avvocato, Vitali. Non voglio e non

posso più aspettare. Questa non è vita, ho una figlia di 4 anni. . . Torno in

Italia a raccontare quello che so, ha tante cose da dire sul calcio italiano e

anche su di me. In questi mesi si è scritto di tutto sul mio conto, cose

assurde. Ora vi chiedo di ascoltare la mia verità. Non sono il capo di nulla.

Non esiste la banda degli zingari. Non sono uno zingaro. Facevo da interprete

a Ilievski, perché parlo bene l'italiano. Ma se il calcio italiano è marcio,

la colpa non è mia. Lo sanno tutti come vanno le cose: sono le società in

difficoltà a cercare accordi e a scommettere per pagare gli stipendi. Poi ci

pensano i giocatori a vendere le informazioni al miglior offerente. Sono

malati di gioco, scommettono tantissimi e fanno puntare amici, parenti e

conoscenti... Dalla B in giù, le ultime cinque gare del campionati sono una

farsa. Adesso hanno tutti paura, ma sono sicuro che tra un paio di mesi

inizieranno i soliti giochini. Altro che zingari. Troppo facile fare il topo

che balla quando il gatto non c'è. Chi è il topo? Gervasoni e qualche altro

giocatore che adesso fa il furbetto. Ma il gatto sta per arrivare. . . ».

Il gatto è lui, Almir Gegic, che sarebbe un giocatore tesserato per il

Rancate, squadra dilettantistica svizzera. Invece è il latitante più ricercato

del calcioscommesse. Che ora sembra avere davvero l'intenzione di rientrare in

Italia correndo anche qualche rischio. Dopo l'amico Ilievski, si confessa pure

lui. E dice le sue verità. Che contrastano quasi in toto a ciò che scrivono i

magistrati di Cremona. Il pm Di Martino ha sempre sostenuto: «Su Gegic ho un

fascicolo alto così...». Per gli inquirenti è lui il capo della banda che

scorazza in Italia assoldando giocatori e offrendo soldi in contanti per

alterare le partite. Ed è sempre lui, con Ilievski, ad avere i contatti con il

livello superiore, quello che porta a Singapore e alla possibile mafia cinese.

Ci sono tantissime intercettazioni e gli inquirenti hanno ricostruito i suoi

spostamenti in Italia. Gegic tiene per il pm le questione fondamentali (ci

risponde «questo preferisco discuterlo con il pm Di Martino»), ma racconta

molto. A partire dall'ultimo giallo.

Gegic, ci tolga una curiosità: ma è vero che è rientrato pochi giorni

fa in Svizzera per fare il trasloco?

«Un'altra grande bugia. Ma se non posso uscire dal Paese. . . Sono furioso con

la stampa svizzera. Scrivono anche che ho conti bloccati. Ma quali conti?

Questo è un vero incubo. Mi sento malissimo, non sono riuscito a dormire per

lungo tempo. Io sono un giocatore che ha fatto qualche scommessa e ha pure

perso dei soldi. Altro che boss: tra l'altro ai tempi giocavo nel Chiasso e

facevo due allenamenti al giorno. Come potevo manovrare una banda? Non ho mai

avuto il minimo problema con la polizia, prima di questo».

Ma perché parla soltanto ora di costituirsi se pensa di essere pulito?

«Io ero già pronto a parlare appena uscita la vicenda, quest'estate. Ero in

vacanza ma sono rientrato in Svizzera apposta, mi sono messo d'accordo col mio

avvocato per andare a Cremona, ma dall'Italia mi dicevano d'aspettare. Ho

aspettato una, due, tre, quattro volte, passavo la frontiera spesso e

volentieri per fare la spesa e nessuno mi ha mai fermato. Poi, il 19 dicembre

è arrivato il mandato di cattura internazionale. A quel punto ho avuto paura.

Guardate cosa è successo al mio amico Rade (Traikovski, ndr) che veniva con me

in Italia a fare shopping. L'hanno preso e trattato come un assassino, per poi

rilasciarlo 13 giorni dopo».

Insomma, Gegic, lei non c'entra con le partite truccate?

«Io traducevo per Ilievski, che ho conosciuto perché vendeva auto, quando si

doveva parlava con qualche giocatore per avere informazioni, e scommettevamo.

Tutto qui. E' sbagliato, sono stato ingenuo, ma da lì a truccare le partite ce

ne corre. Gervasoni è quello che aveva la situazione sotto controllo, lui

conosceva tanti giocatori e faceva tutto».

Che ci dice di Singapore?

«Mai parlato con qualcuno di Singapore, mai fatto telefonate».

Masiello e Iacovelli raccontano ai magistrati che siete state voi ad

offrire 250 mila euro per alterare Palermo-Bari. Proprio lei avrebbe

telefonato a Iacovelli per prendere accordi...

«Sì, ma di questo particolare preferisco parlare con i magistrati».

E dell'incontro ad Ascoli con Micolucci oppure la telefonata nella

quale Gervasoni si scusa per un gol che aveva salvato?

«Anche questi sono temi che affronterò con il pm, ma la storia di Gervasoni è

vera: mi aveva dato un'informazione sbagliata facendoci perdere dei soldi.

Cosa accaduta anche per Siena-Piacenza: dovevano perdere 2-0 e invece hanno

vinto 3-2 dopo essere andati sotto di due gol. Non è un caso. . . ».

Che cosa vuol dire, Gegic?

«Non prendiamoci in giro: dietro l'invenzione degli zingari si nascondono

tanti altri gruppi che avvicinano i giocatori, pagandoli. E sono italiani. Io

amo l'Italia, lo considero il mio Paese. Ma è anche il Paese delle scommesse.

Ho giocato in 5 nazioni diverse a quello che è accade qui è unico. Per non

parlare della vera criminalità: ho letto di camorra e mafia, e scaricano tutte

le colpe su di me e Ilievski. Assurdo».

Come lo vede il suo futuro?

«Di sicuro ci troveremo a Cremona. Poi, se Di Martino mi lascia tornare a

giocare... Ma come farò? in tutto il mondo la mia faccia ora è sinonimo di

boss».

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L'ostile Agnelli

Stefano Olivari (Guerin Sportivo blog -22-02-2012)

Siamo nel 2012, ma forse Andrea Agnelli crede di vivere ancora nell’Italia degli Agnelli: quella della grande industria che privatizzava i profitti e socializzava le perdite, quella che trattava la Famiglia con lo stesso rispetto che avrebbe riservato ad una monarchia nascondendo una quantità di notizie in una maniera che fa sembrare il giornalismo di oggi degno del Pulitzer. Diciamo forse, anche se le sentenze come quella del Tribunale di Torino nei confronti della Rai, che ad Anno Zero aveva osato affermare che la gente compra meno Fiat perché altre auto sono migliori (da leggere e conservare l’articolo di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera di oggi), fanno pensare. Di sicuro Andrea Agnelli pensa di vivere ancora nell’Italia di Moggi, visto il modo in cui ha attaccato il presidente federale Abete (vicepresidente di Carraro ai tempi di Moggi, fra l’altro) che durante una trasmissione radiofonica aveva risposto in maniera peraltro molto soft a una domanda sui sospetti anti-arbitrali lanciati da Conte dopo alcuni episodi che hanno penalizzato la Juve. Quello che il leone Agnelli non dice è il mandante del presunto complotto, che nella sua logica altri non potrebbe essere che il Milan. Unico concorrente per lo scudetto, anch’esso come tutte le altre 19 squadre della A lamentoso di default nei confronti degli arbitri ma con una caratteristica particolare: è il principale alleato politico della società bianconera, come prova la difesa a spada tratta del doppioincarichista Beretta alla presidenza di una Lega che in molti (Juve e Milan di sicuro) vedono solo come organismo notarile che ratifichi decisioni prese altrove. Non crediamo alla buona fede di alcuno, nemmeno nella nostra, quindi è senz’altro possibile che nel calcio accadano cose sporche come sono accadute in passato (Moggi potrebbe raccontarne qualcuna, anche agli incolpevoli Agnelli che lo avevano assunto senza conoscere le sue caratteristiche) e accadranno in futuro: di sicuro se la Juventus ritiene che ci sia un complotto contro di lei deve denunciarlo, ma con mandanti e moventi. Non minacciando a destra e a manca, tanto per mettere pressioni all’arbitro della prossima partita (che sia Milan-Juventus?). E’ roba da Italietta, quell’Italietta che esaltava l’orologio sopra i polsini e la cravatta sopra al maglione.

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SIAMO FORTI, SIAMO LA JUVE

"Sogno di battere il MIlan con due gol di Pirlo"

"Finalmente in alto, là dove dobbiamo stare. Conte il nostro profeta: bravo Agnelli a volerlo"

MIrko Graziano - G.B. Olivero - Gasport 24-02-2012

GASPORT (M. GRAZIANO / G.B. OLIVERO) – Da Varese a Milano ci sono circa 60 chilometri. In macchina meno di un’ora. Beppe Marotta ci ha messo una vita: una vita intensa da bravo dirigente, che a Varese è nato e cresciuto professionalmente e a Milano si gioca la partita più bella e importante. Domani Milan-Juve: in palio c’è lo scudetto. Al solo pensiero, gli occhi dell’amministratore delegato bianconero brillano.

Marotta, che sapore ha questo Milan-Juve?

«Un sapore inaspettato: pur essendo ottimista, non immaginavo di vivere una vigilia così importante. E poi un sapore dolce perché la Juve torna a essere al centro dell’attenzione generale. Domani tutto il mondo avrà gli occhi puntati su Milan-Juve: il nostro brand è tornato là dove deve stare».

Non ci sarà Ibrahimovic. Soddisfatti?

«Indifferenti. Il Milan, purtroppo, è fortissimo con o senza Ibra. La gara resta difficilissima. Affascinante, ma dura».

Qual è stata la svolta nel processo di crescita della Juve?

«Il primo confronto con Conte: quel giorno capimmo che lui sarebbe stato il nostro “profeta” e avrebbe potuto mettere in pratica la nostra filosofia».

Pirlo è il vostro leader. Quando l’avete contattato?

«Appena il regolamento ce lo ha consentito. Il Milan è stato molto corretto. Al di là delle sue qualità tecniche, Andrea è fondamentale nello spogliatoio per il suo carisma e la carriera. Il dubbio era legato alle sue condizioni fisiche, ma a parte l’ultimo anno nel Milan ha sempre giocato oltre 30 gare a campionato».

E’ più difficile riformare o rifondare una squadra?

«E’ più difficile capire dove sei e se il gruppo esprime le sue potenzialità. Durante il primo colloquio con Andrea Agnelli, discutemmo di un ambiente demotivato. Un ciclo era finito e bisognava intervenire».

La frase di Agnelli su Del Piero le creò un problema?

«Tra Ale e la Juve il rapporto è ottimo. Quel giorno il presidente non fece altro che parlare pubblicamente di un accordo tra le parti».

Qual è il rischio più grande che corre chi fa il suo lavoro?

«I giudizi gratuiti: nel calcio si fanno bilanci settimanali, non stagionali. Ho imparato che quando le cose vanno bene il grande problema diventa piccolo e viceversa. E non esiste una squadra vincente con alle spalle una società debole».

In quasi due anni alla Juve qual è la cosa più importante che ha fatto?

«Scegliere dei bravi collaboratori. Abbiamo completamente rinnovato l’azienda calcio Juventus: è rimasto un solo dirigente del passato. Abbiamo cambiato medici, allenatori, giocatori, magazzinieri, direttore commerciale e marketing. Della rosa di due anni fa ci sono appena cinque giocatori».

Contro il Catania è scesa in campo una Juve tutta italiana. E’ una filosofia?

«No, è stato casuale. Però è vero che dovendo ricostruire in tempi ristretti gli italiani non hanno il problema dell’ambientamento».

State già cercando il top player per l’ultimo salto di qualità?

«Il nostro modello è il gioco di squadra, ma vorremmo aggiungere qualità. E’ difficile non solo per la Juve ma per tutte le squadre italiane approcciare giocatori che costano più di 30 milioni e guadagnano in proporzione».

Però un grande campione in attacco è necessario.

«Si sottolineano le difficoltà del nostro attacco senza contare l’enorme lavoro tattico e fisico delle punte. E poi per quanto riguarda la differenza reti siamo secondi dietro al Milan: significa che abbiamo un buon gruppo e una squadra equilibrata».

La Champions vi garantirebbe gli introiti necessari per un grande colpo?

«Di sicuro vogliamo tornare in Champions per essere competitivi. Non possiamo dimenticare di aver registrato uno dei fatturati più bassi degli ultimi anni, ma grazie anche allo stadio siamo convinti di poterci muovere bene sul mercato. Ci confronteremo con il nostro allenatore per capire le sue esigenze».

Il gruppo attuale della Juve sta già dando il massimo o può ancora crescere?

«Volendo fare un paragone, noi abbiamo creato un modello di auto in cui è vincente il pilota, ossia Conte, che ha trasmesso la giusta mentalità. Noi siamo affamati e vogliamo continuare a esserlo. Tra gli obiettivi c’è il progressivo inserimento di quattro o cinque prodotti del settore giovanile. Dal 1996 a oggi c’è il solo Marchisio titolare e De Ceglie nella rosa: non è accettabile. Per i prossimi 5 anni abbiamo previsto un investimento di 30 milioni 6 milioni all’anno, ndr per ingaggiare nuovi talenti».

Chi ha scelto Conte? E chi erano gli altri allenatori in ballo?

«Il nostro team dirigenziale si confronta di continuo. Ma l’intuizione fu di Andrea Agnelli che ne ha parlato con me, Nedved e Paratici. Ci siamo trovati d’accordo in fretta. Gli altri candidati? I nomi li avete fatti sul giornale…».

Avete rinnovato la rete di osservatori. Ma la Juve può permettersi di andare a pescare un piccolo campione come, ad esempio, Sanchez e aspettare che cresca.

«La Juve è obbligata a vincere. L’Udinese, che comunque fa ottimi risultati, può scegliere i giocatori, farli crescere e rivenderli. Certo, anche noi dobbiamo trovare i campioni del futuro».

Buffon ha detto in tv che si vede alla Juve per altri tre anni. La Juve che ne dice?

«Gigi è un campione con grandissime qualità tecniche, fisiche e umane. E’ tornato il vero Buffon e il suo desiderio è comune al nostro. Se vuole restare a vita per noi è ok».

Quella di domani è la partita più importante della sua carriera?

«Sì. La mia carriera è iniziata in provincia, adesso sto toccando il massimo anche se inizia il difficile. Ma per tutta la nuova Juve questa sfida ha un sapore speciale. Agnelli ha detto ai ragazzi della Primavera dopo il successo al Torneo di Viareggio: “Non dimenticherò mai la vostra vittoria, è il mio primo trofeo”. Galliani ha vinto tutto».

La Juve sembra serena. E’ una sensazione giusta?

«La nostra serenità nasce dalla compattezza. E ora dobbiamo avere la presunzione e l’arroganza di partecipare per vincere».

Se la Juve perdesse, lei sarebbe deluso?

«Ci rimarrei male. Sono ottimista, la squadra è in forma».

Le va bene la designazione di Tagliavento?

«E’ un ottimo arbitro. Io ho sempre parlato della gestione della gara, non degli episodi. E credo che Tagliavento, che ricordo nel famoso Inter-Sampdoria del gesto delle manette di Mourinho, sia una garanzia: un arbitro esperto per una partita di alto livello».

Le polemiche possono caricare la squadra?

«No, semmai c’è il rischio che le diano un alibi».

Crede ai complotti anti-Juve?

«No. Trovo però che ci sia l’impossibilità di comunicare con il settore arbitrale. Calciopoli è una ferita profonda che dà spazio a interpretazioni differenti. Resta il fatto che una situazione di iniquità non si può cancellare».

Esiste il peso politico di alcuni club?

«Mi auguro di no».

Va più orgoglioso dell’acquisto di Pirlo o di Barzagli?

«Di entrambi. E mi ha lasciato grande amarezza l’avventura di Martinez: un buon giocatore che ha sentito troppo il peso della maglia della Juve. Krasic invece non rientra negli schemi tattici di Conte. In un contesto differente resta un buon giocatore».

Sull’eventuale 1-0 per il Milan, la Juve potrebbe pensare al doppio confronto favorevole decisivo in caso di arrivo a pari punti e «accettare» il k.o. di misura?

«Conoscendo Conte mi sembra impossibile».

Se la Juve vince a San Siro, si prende anche lo scudetto?

«Non sarebbe decisivo, ma significherebbe essere alla loro altezza».

E se la Juve perde?

«Non so cosa dire, non siamo più abituati a gestire le sconfitte risata, ndr».

All’andata doppietta di Marchisio, in Coppa Italia doppietta di Caceres. Domani sera chi fa due gol?

«Sarebbe bello se li segnasse Pirlo. Entrerebbe nella leggenda del calcio. Sarebbe come chiudere il cerchio».

********************************************************************************************

«Serie A a 18 e una Lega da riformare»

Marco Iaria - Gasport - 24 febbraio 2012

C’è bisogno di riforme, non solo nel Paese ma anche nel calcio. Anche se i veti incrociati in Federazione e gli interessi economici in Lega rendono la strada tutta in salita. Realtà o utopia, a Beppe Marotta, ospite in giornalaccio rosa, interessa comunque lanciare dei messaggi, scuotere le coscienze, dettare le priorità dell’agenda. Ecco perché la Juventus, nella Lega delle geometrie variabili, s’iscrive senza indugi al partito dei riformisti, assieme all’alleato di sempre Milan, ma anche a Napoli, Roma, Udinese e Fiorentina. Intanto, c’è una scadenza importante: venerdì prossimo, cioè tra una settimana, l’assemblea di Lega sarà chiamata a discutere del suo presidente, Maurizio Beretta, al quale otto società su venti hanno chiesto di ratificare le dimissioni annunciate lo scorso marzo quando decise di accettare un incarico in UniCredit. «Quello che non capisco— dice l’amministratore delegato bianconero— è la posizione dell’Inter», unica tra le grandi ad aver sottoscritto la lettera e compagna di viaggio di Palermo, Cagliari, Bologna, Siena, Novara, Cesena e Lecce. Soldi La Juve è schierata sull’altro fronte, perché – al di là dei giudizi di merito sulla presidenza di Lega—teme che la prova di forza delle otto ribelli possa trasformarsi in qualcosa di esiziale per le casse del club, quando bisognerà discutere della ripartizione dei proventi tv del triennio 2012-15. Già nel 2010-12, col ritorno alla vendita collettiva, il salasso è stato pesantissimo per le big. Proprio l’estenuante telenovela sui bacini d’utenza fa dire a Marotta: «In Lega non si parla mai di politica calcistica, perché ci si occupa soprattutto dei soldi da distribuire. Eppure con Andrea Agnelli ci confrontiamo spesso su questi temi e sono tante le cose da fare». Intanto, proprio per restare all’interno della Lega, «va cambiata la governance, perché ora tutto passa dall’assemblea e il consiglio non conta». E poi, «bisognerebbe concepire una Serie A a 18 squadre e ridurre l’intera area professionistica italiana. Un modello economico da seguire? La Bundesliga, dove i ricavi sono diversificati e i conti in equilibrio».

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Su JF c'è un topic che parla di alcuni tweet di Alvise Cagnazzo su presunti coinvolgimenti di due-tre juventini nella vicenda calcioscommesse...

Qualcuno ne sa qualcosa?

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TANTI INFORTUNI (E POTEVA ANDAR PEGGIO) - QUATTRO RAGIONI PER CAPIRNE LE CAUSE

Enrico Castellacci (ortopedico e medico della Nazionale di calcio) - Gasport 24-02-2012

In fin dei conti finora è andata bene. Cosa? Pensateci: temperature siberiane, campi ghiacciati, partite ogni tre giorni. Poteva essere una catastrofe di infortuni, così non è stato. Ma il rischio è dietro l'angolo. Per quale motivo, specie in Italia, gli infortuni sono aumentati così tanto? Non c'è un motivo, ma un complesso di "perché".

1) La preparazione precampionato. E' troppo ridotta. I muscoli e il resto dell'organismo vanno preparati gradualmente. Oggi, invece, dopo 7-10 giorni si va subito in campo e bisogna vincere... anche le amichevoli. La verità è che il lavoro dovrebbe durare 20 giorni.

2) Il clima. Già giocare la sera, con un tasso elevato di umidità, è di norma pericoloso per i muscoli. Figurarsi su terreni ghiacciati, duri e scivolosi: quamto stress per le strutture muscolo-tendinee, quanti rischi di traumi contusivi e distorsivi per caviglie e ginocchia.

3) L e troppe partite ravvicinate. Giocare ogni tre giorni è fisiologicamente sbagliato. Durante una partita un giocatore si procure delle microlesioni muscolarei che necessitano di almeno 4 giorni per cicatrizzare. Ma non c'è tempo per recuperare tra una gara e l'altra.

4) La preparazione atletica. Il "troppo stroppia" ma i nostri preparatori sono all'altezza e adottano una filosofia più equilibrata. Non c'è più l'esasperazione di una volta: si guarda più alla preparazione selettiva e individuale a seconda delle esigenze di ogni calciatore.

A queste 4 cause può aggiungersi lo sbalzo termico che non aiuta. Passare dal caldo al freddo è più deleterio: perché provoca una diminuzione della vascolarizzazione periferica e, quindi, meno afflusso di sangue. Però è possibile aiutarsi indossando elementi con fibre di nuova concezione che permettono all'organismo di trattenere calore. L'abbassamento dei gradi va inoltre combattuto con l'alimentazione: più energetica e con più calorie da carboidrati e grassi insaturi (per esempio la frutta secca). SEnza dimenticare un'opportuna reintegrazione di sali minerali più sostanze alcaline per tamponare l'acidosi metabolica. Gli infortuni ci saranno sempre, ma infortunarsi di meno si può.

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Su JF c'è un topic che parla di alcuni tweet di Alvise Cagnazzo su presunti coinvolgimenti di due-tre juventini nella vicenda calcioscommesse...

Qualcuno ne sa qualcosa?

Qui trovi un articolo su Toni, che a maggio dello scorso anno, già della Juventus,

avrebbe festeggiato assieme ad altri ex compagni del Genoa, coinvolti in questo giro di

Scommessopoli, presso un hotel in cui alloggiavano pure i famigerati zingari-non zingari.

Poi c'è Stellini, collaboratore di Conte oggi alla Juventus, ma per alcuni trascorsi

riferibili al periodo senese in ordine a compagnie baresi.

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In arrivo il maxi-processo

al calciomercato italiano

di GIOVANNI CAPUANO dal blog Calcinfaccia 24-02-2012

Settimana di lavoro intenso per la Procura federale alle prese con il

calendario di audizioni che avvia di fatto il cammino della giustizia sportiva

verso il processo Calcioscommesse-bis. Un'attività frenetica che ha messo in

secondo piano l'autentico diluvio di deferimenti per società, dirigenti,

procuratori e calciatori che apre uno spaccato inquietante sul mondo del

calcio italiano. Dentro ci sono tanti nomi che contano del calciomercato: 20

società, 44 agenti, 36 dirigenti e 26 giocatori.

Il motivo? Una lunga indagine conoscitiva sulle modalità di incarico agli

agenti e lo svolgimento della loro attività di intermediazione in decine di

affari che hanno caratterizzato le ultime sessioni di mercato. Palazzi e i

suoi 007 hanno scoperto quello che da tempo si diceva a bassa voce e cioè

che le regole della Figc in materia vengono osservate solo in rare occasioni.

In particolare sembra che a nessuno dei protagonisti del nostro calcio interessi,

ad esempio, che per fare gli agenti o procuratori bisogna avere una licenza e

che non possono esserci commistioni tra il ruolo dei mediatori e quello dei

direttori sportivi.

A scorrere le centinaia di pagine che accompagnano i deferimenti e raccontano

trattative ed accordi si ha la conferma, invece, che il mercato italiano resti

un sottobosco privo di regole. Ci sono dirigenti inibiti che mantengono

contatti con altri dirigenti, giocatori che si fanno rappresentare da agenti

senza procura, società che versano compensi ai procuratori al posto dei

calciatori e che si affidano agli stessi sia per il reclutamento di futuri

campioni che per trattarne gli interessi. Un pastrocchio inaccettabile ma che

suona nuovo solo a chi non ha voluto in questi anni aprire gli occhi quando si

denunciava il potere ormai dominante dei procuratori sul calcio europeo e

italiano in particolare.

Non è un caso che nell'elenco dei deferiti ci sia la 'crema' del settore:

Raiola, Pastorello, Damiani, Mendes, Branchini, Bonetto, Pallavicino,

Martina, Bonetto e tanti altri. E lo stesso vale sul fronte dei dirigenti (Lotito,

Zamparini, la triade moggiana, Blanc, Oriali, Ghelfi, Sabatini, Preziosi,

Gherardi, Capozzucca, Marotta, Leonardi solo per citare i più famosi) e

delle società. A processo andranno Inter, Juventus, Napoli, Atalanta,

Palermo, Parma, Genoa, Bologna, Lazio, Siena, Cesena attualmente in

serie A, Sampdoria, Bari, Torino, Livorno, Padova, Crotone ed Empoli

che si trovano in serie B, più Benevento e Pescina.

Cosa rischiano? Difficile dirlo. A rigor di regolamento si va dalle semplici

ammende a pesanti squalifiche per dirigenti e procuratori fino anche a

penalizzazioni in classifica per i club. Ci sentiamo, però, di escludere che

si possa arrivare a tanto considerato come in passato altri casi 'clamorosi'

non portarono a ripercussioni sulle classifiche. Si tratterà comunque di un

vero e proprio maxi-processo al calcio italiano e ai suoi vizi più nascosti.

Tra le pieghe dell'inchiesta anche un paio di curiosità. Inter e Juventus per

una volta vanno a braccetto nella corsa alla prescrizione che è scattata

inesorabilmente per entrambe quando Palazzi si è misurato con le

stranezze dell'estate del 2006. Erano i giorni del passaggio di Ibrahimovic e

Vieira in nerazzurro gestiti da Raiola e dalla società Steve Kutner Management

Ltd senza alcun mandato formale. Le società sono state prosciolte per

prescrizione. Dirigenti, procuratori e calciatori sono stati invece deferiti.

E nei faldoni di Palazzi c'è anche la ricostruzione del famoso litigio tra

Preziosi e Panucci nei sotterranei dello stadio Marassi di Genova dopo

un accesissimo Genoa-Parma. Era il 6 dicembre 2009 e i due si presero prima

a male parole e poi a spintoni. All'origine dello scontro proprio una trattativa

saltata per la quale l'uno accusava l'altro di aver operato scorrettamente. La

Procura federale ora ne chiede conto ad entrambi. Preziosi era inibito (tanto

per cambiare) e comunque trattava, Ghirardi e Panucci parlavano con Damiani e

Pastorello senza mandato... Bene che se ne faccia luce anche se due anni e tre

mesi per arrivare al deferimento sono troppi anche per un ufficio alle prese

con la mole di lavoro del calcioscommesse.

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The Coolest Soccer Team in Europe

Why you should root for Napoli

By Brian Phillips on February 24, 2012 (GRANTLAND)

Napoli's startling 3-1 upset of Chelsea in the Champions League last Tuesday

accomplished three important things. It put a formal timestamp on the moment

everyone realized that Serie A had caught up to the Premier League.1 It

launched a thousand "Andre Villas-Boas DeathWatch" columns, to the point that

hasandrevillasboasbeensackedyet.com became a vital resource for soccer

journalists. And it cemented Napoli's status as the coolest club in Europe and

the default answer to the question, "If you're an American looking to get into

European soccer, which team should you support?"

Seriously, if you're a fan in search of a club, how do you not consider Napoli

at this point? Not only are the Azzurri not English — meaning you won't be

lumped in with the 40 trillion bros who picked a Premier League club because

that's what everyone else was doing — and not only are they a fun,

overachieving young team, they're also, and this is putting it mildly, a

sky-wide constellation of the elements that make sports amazing. They're

perennial underdogs who come packaged with a glorious history. They're the

agony object of a furiously loyal and continually heartbroken fan base,2 but

within living memory they've also been the trophy-winning home of the greatest

soccer player in the world. They're a team of crazy highs and pulverizing lows

— basically the entire sports-fan experience in its most extreme and operatic

form, all compressed into one club in a terrifying and fascinating city on a

gulf at the foot of a volcano. Really, you'd rather root for Arsenal?

If you're still not convinced, then it is for you, my reluctant friend, that

I have compiled the following list of aspects of the awesomeness of Napoli.

1. Naples

Most of the economic and political power in Italy is concentrated in the

north, around Milan and Turin. Naples is the de facto capital of the south.

Everything you need to know about this arrangement for soccer purposes is

contained in the sick old northern saying "Africa begins south of Rome," i. e. ,

the Neapolitans don't really factor in when it comes to assessing whom you

have to treat like white people. Soccer tends to flower in close proximity to

money, meaning that cartographically the top Italian clubs — Milan, Inter,

Juventus — look like they're waiting for dark before slipping on a tuxedo and

trying to sneak into Switzerland. Napoli is carrying the hopes of everybody on

the wrong side of that geographic/cultural divide.3

And Naples itself is a totally broken, beautiful, lush, and dangerous city,

run by the mob, with piles of burning trash in the streets (because the mob

controls waste management), packs of wild dogs … and, incidentally, a lot of

gorgeous architecture and an unbroken cultural tradition that predates the

Roman Empire. Picture New Orleans, only with the Catholicism turned up to 14

and actual blood vendettas replacing voodoo bus tours.4 Also, there's this

huge, sunstruck bay, with Mount Vesuvius looming in the blue distance. Also,

Kiton > Brioni. This is an appropriate venue for your fantasies of European

soccer to inhabit.

Plus, if you visit for a game, you can go see the ruins of Pompeii, which now

include most of the Chelsea defense.

2. Maradona

It was at Napoli that Diego Maradona transformed himself from "talented but

difficult Argentine player who can't quite make it work in Europe" to "figure

of quasi-religious significance the mere sight of whom makes sane people break

down weeping. " Napoli bought him from Barcelona for a then-world-record

(now-world-rounding-error) 12 million euros in 1984. He dragged Argentina to

the World Cup title in 1986, carried Napoli to its first Serie A championship

a year later, did it again in 1990, became an icon for anyone who's ever been

unfairly kicked around or felt hopeless or stood on the wrong side of a track,

and launched the wobbly cocaine spaceship he's been piloting, wine bottle in

one hand, ever since.

Honestly, it's almost impossible to put into context what Maradona meant to

southern Italy between 1984 and 1991 — this scrappy, unpolished kid shocking

the world on behalf of a region that had always been locked out of its

soccer-mad country's soccer hierarchy. What do you compare it to? If Michael

Jordan had led the Cubs to the World Series in the middle of Beatlemania, it

might have been close, although even that would have missed the

weeping-statue-of-Virgin Mary religious overtones and the weird constant

ground note of the Camorra.5 Maradona was hit with a 15-month ban for drug use

in 1991 and left Napoli with his reputation in tatters.6 But this, more than

any other club or city, was where Maradona happened. That's the huge and

unmanageable legacy the club has been coping with ever since.

3. Money

Napoli went up in smoke in 2004, bankrupt and unable to field a team. (Be

forewarned: This is the kind of thing that happens to Napoli. ) The film

producer Aurelio De Laurentiis7 reestablished the club the same year but

wasn't able to buy back its history (!) until 2006. Since then, they've been

improvising on a low budget — never a wise strategy in soccer — but have

nevertheless managed to climb from the third division back into Serie A, where

they are currently sitting, pretty astonishingly, in sixth place. It's both

apt and very funny that the two English teams they've upset this year are

Chelsea and Manchester City, clubs owned by a Russian plutocrat and an oil

sheikh, respectively, and the world's two leading representatives of the

football-club-as-billionaire's-plaything movement. Billionaires don't go to

Napoli unless it's to get new suits.

The current team Napoli has assembled is a fast, fluid, counterattacking

machine that scores goals for fun. (Only Milan has more in Serie A. ) It's

built on something like the classic Billy Beane model — undervalued spare

parts and young players Napoli develops in-house — but you get the impression

that the front office is reading sonnets and talking to gypsies rather than

consulting spreadsheets. In 2007, they signed Ezequiel Lavezzi for 6 million

euros, roughly a tenth what Chelsea dropped on Fernando Torres, at a point

when he was a not-terribly-successful striker in the Argentine Premiera

Division with the nickname el Pocho.8 He flew into town and promptly scored

Napoli's first hat trick in 14 years. On Tuesday he scored a goal and

repeatedly exploited Chelsea right back Branislav Ivanovic. Chubby nobodies

with handgun tattoos blowing up on a big stage is what Napoli is all about.

(Also, Aurelio De Laurentiis? He's a crusty, sunglasses-wearing tyrant who's

prone to fiery rants, once told his own manager "I won't beat you up because

you're an old man," called Lionel Messi a "cretin, " and threatened to chop

Lavezzi's agent's balls off if Lavezzi thought about leaving the club. A

couple of years ago, when several of Napoli's players were being linked with

moves to England, De Laurentiis' tactic for convincing them to stay was to

warn them that English women "do not wash their genitalia." "To them," he said,

in a concerned, fatherly way, "a bidet is a mystery. " This is the kind of

thing that happens at Napoli.)

4. Edinson Cavani

It took me a while to appreciate Napoli's best player. The first few times I

saw him play, I thought he seemed a little overly languid or casual, and while

there's a great tradition in Serie A of Andrea Pirlo-style sleepy

murderousness, it didn't quite make sense to me in a big striker who looked

like he should be powering over defenders. Then I watched his hat trick

against Juventus last January. The last goal was a wicked low-altitude

scorpion kick, the sort of move after which, once you've seen it, you can't

possibly doubt or even question the player who pulled it off:

Cavani is a sort of laboratory cross between Pippo Inzaghi and Zlatan

Ibrahimovic, endowed with both that mysterious right-place-right-time instinct

that some players have and also the ability to score from any angle with what

feels like an exhaustive karate repertoire. That languor I thought I detected

was really just a subtlety, a way of feeling out space and playing for the

killer gap. It's a joy to watch, and Cavani, who's scored 41 goals in 57

league appearances for Napoli,9 is probably the most undercelebrated player in

world soccer — something that will surely change if he decides to take his

chances with foreign vaginas in the future. Follow him before the fear lifts!

5. Italian soccer's glittering theater of masculinity

You could pick an English team. There are lots of good ones. But you would

miss Serie A's compellingly hilarious peacock-vitelloni aesthetic of tough,

competitive, and frequently violent men carefully tying back their lustrous

ponytails before slipping into their hot-pink away gear to take the pitch,

then celebrating big wins by crying and stripping down to their jockey shorts.

For Americans used to laconic sports heroes in badly fitting suits, the sheer

fabulousness of Serie A is either uncomfortably gay (if you are a bro who is

bro'd out by that sort of thing) or an entertaining injection of

pro-wrestling-style ego-theater into an otherwise serious sport. Either way,

remember that Mario Balotelli, Manchester City's mohawked and elaborately

be-earringed fashion bomb of a striker, came to England from Inter and only

makes sense in the context of Italian soccer.10 Rooting for Napoli means that

instead of watching brave English midfielders scowl into the cold week in and

week out, you will be watching highly talented, self-indulgent fashion plates

act out a never-ending cologne ad. This is a win, believe me. Their

girlfriends are hotter than yours, too.

For these and many other reasons, I nominate Napoli as your new European

club. Quick, fall in love now before Chelsea buys the whole team and

everything reverses again.

1.
There's a long conversation to be had about why that change

has happened: tactical adjustments, three-center back formations,

the talent drain from England to Spain, Italy's gradual

recovery from calciopoli, this one really amazing party at

Berlusconi's house, etc. But that it's happened seems safely

beyond doubt. After sending three teams to the Champions League

semifinals every year from 2007 to 2009, England has fizzled,

relatively speaking, in European competition for three straight

seasons. This year, Manchester City (which lost to Napoli in the

Champions League group stage) and Manchester United were flushed

down to the Europa League months ago, while Milan supplemented

Napoli's win over Chelsea with a 4-0 rampage over Arsenal.

2.
When Napoli was in Serie C in the mid-aughts, its home games

routinely outdrew Serie A matches.

3.
There are also the big Roman clubs, Roma and Lazio, but

they're really locked in their own thing and don't have much to

do with the rest of the league or the country.

4.
Also replacing jazz, for that matter.

5.
The Neapolitan mafia, chronicled in Roberto Saviano's book

Gomorrah and the film that was based on it. Maradona was

criticized by some people for being too friendly with them,

although given his later penchant for hanging out mainly with

dictators and people with machine guns, you could regard this as

an early apprenticeship.

6.
Although again, at this point it's tough to see the brilliance

and the appetites and the insanity and the grace as anything but

parts of a fused whole. I realize that this is an unfeeling

thing to say in many ways, but Maradona without the drug

catastrophes would be like Jimi Hendrix's guitar without

frequent periods of being lit on fire.

7.
Note: Not Dino De Laurentiis, who brought you many of the

greatest films of Fellini, Blue Velvet, and Evil Dead 2 (not to

mention Conan the Destroyer), but his nephew, who brought you

mostly Italian movies that don't have their own Wikipedia pages.

8.
"The Chubby One."

9.
That's better than Maradona's scoring rate for the club, by

the way.

10.
To the extent that he makes sense at all, obviously.

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Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 25-02-2012)

Diritti tv e mutualità

i padri sono tanti

ma il Coni non ci sta

Nel Milleproroghe un emendamento

che piace a Ghirelli ma non a Pagnozzi

Ha molti padri l’accordo sulla mutualità sottoscritto giovedì 9 febbraio dalle

quattro Leghe. Ve li citiamo in ordine di nostra personale apparizione: Abete,

Macalli, Abodi, Beretta, Tavecchio, Lotito (sì, c’è pure lui). A ciascuno di

essi, può essere più o meno attribuita la frase «grazie a me e soltanto a me

si è realizzata un’intesa che altrimenti sarebbe ancora in alto mare». Dato a

tutti i Cesari quel che loro appartiene, nel segno di una democratica par

condicio, corre tuttavia l’obbligo di segnalare che la questione sembra

tutt’altro che chiusa.

L’accordo riguarda quel 10% delle entrate dai diritti televisivi che la Lega

di serie A deve ogni anno destinare all’altro calcio (e non solo, almeno in

teoria) sulla base della cosiddetta legge Melandri. Con effetto valido fino al

30 giugno 2012 si è stabilito che i 182,2 milioni complessivi (rappresentano

la mutualità delle ultime due stagioni) siano ripartiti, 134 milioni alla B,

39,3 alla lega Pro, 8,9 ai Dilettanti. Nulla al Coni, cosa che non è piaciuta

a Petrucci: «Si potrebbe trattare anche di qualche milione di euro» (Ġazzetta

dello Sport, 17 febbraio).

La Melandri in realtà prevede che di quel 10%, il 4% sia nella disponibilità

di una Fondazione, che «determina—scrive la legge del 1 febbraio 2008 —

nelle forme stabilite dallo Statuto da emanarsi entro sei mesi dall’entrata

in vigore del presente decreto, le modalità e i criteri che presiedono allo

svolgimento della propria attività, con particolare riferimento alle modalità

di individuazione delle iniziative da finanziare nel settore sportivo

giovanile e dilettantistico. . . » «La Fondazione—si legge ancora — detta

specifiche regole per individuare annualmente almeno due progetti da

finanziare relativi a discipline sportive diverse da quelle calcistiche. . . ».

Particolare non trascurabile, la Fondazione (12 membri, 6 di A e B, 3 FIGC, 1

Federbasket, 1 Lega basket, 1 Coni) e il suo relativo Statuto che dovevano

materializzarsi entro il 31 luglio 2008 ancora non esistono, ma di questo

tutti gli addetti ai lavori di cui sopra non menano vanto.

Veniamo ai giorni nostri: nel Milleproroghe approvato giovedì scorso dalla

Camera è stato infilato un emendamento, «dal 1 luglio 2012, con effetti a

partire dalla stagione sportiva 2012-2013, la Fondazione per la mutualità

generale negli sport professionistici a squadre svolge necessariamente le

funzioni e i compiti ad essa assegnati ai sensi dell’articolo 23 del decreto

legislativo 9 gennaio 2008 (la Melandri convertita in legge l’1 febbraio 2008,

ndr)».

Una vera e propria resurrezione (soffermatevi su quel «necessariamente »

che è tutto un programma), che fa cantare vittoria alla Lega Pro, assolutamente

convinta che questo emendamento certifica la «non esistenza» precedente della

Fondazione, da cui, parola del direttore generale Francesco Ghirelli, «a

questo punto sul passato il Coni non ha nulla a pretendere». Certezze che

tuttavia il Coni (e anche la Lega di basket) sembrano proprio non condividere.

Parola di Lello Pagnozzi, questa volta.

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Se il Siena pareggia con

la Juve è merito di Conte

di RIO PALADORO (Il Foglio 07-02-2012)

Questa protesta della Juve contro l’arbitro Peruzzo ha un che di stucchevole.

A parte il fatto che non era rigore: si vede chiaramente che Vergassola fa il

movimento per portare il braccio sinistro dietro la schiena. Il pallone

calciato da Chiellini è più veloce del suo movimento e la palla gli rimbalza

sul bicipite: fallo di mano involontario. Ma a parte ciò, resta il fatto che è

fastidioso vedere di continuo protestare come se un anno in serie B

giustificasse qualsiasi comportamento. La Juve, più che altro, dovrebbe

prendersela con se stessa e con il suo allenatore. Se il Siena ieri ha giocato

bene e ha meritato il pareggio è stato anche per “colpa” di Conte. E’ stato

lui, la scorsa stagione, a insegnare ai toscani a giocare portandoli in A con

tre settimane d’anticipo.

Signora del Dischetto

Conte, la Juventus, la sindrome

del rigore e le ragioni per cui oggi

il “gol de Turone” sarebbe regolare

di RIO PALADORO (Il Foglio 17-02-2012)

In altri tempi di rigori la Juve ne avrebbe avuti quattro, due in più di

quelli che Braschi avrebbe dovuto fischiarle l’altra sera al Tardini.

Funzionava così: se il rigore non c’era, l’arbitro glielo dava lo stesso. Se

di rigore ce n’era uno, gliene fischiava un secondo, che non si sa mai. In

altri tempi, ma non oggi. E ha voglia Antonio Conte a lamentarsi, a dire:

“Hanno paura di fischiarci un rigore a favore”. Spiace dovertelo dire,

Antonio: non si tratta di paura, ma di perdita di peso. La tua Juve non ne ha

più. E’ triste, ma così stanno le cose, fattene una ragione: il Parma ha più

peso della Juve. Tommaso Ghirardi conta più di Andrea Agnelli, gli “sgionfini”

– i cuscinetti industriali, gli Oriali della meccanica – della Leonessa, la

società della presidenza parmense, contano più, molto di più della Fiat e

delle sue Cinquecento. A parte il fatto che è logico che sia così – senza

cuscinetti nessuna macchina sta in piedi, la loro presenza non si nota ma

appena vengono a mancare l’intero apparato va in tilt. Insomma, i cuscinetti

stanno alla macchina come un mediano agli undici titolari – c’è da dire che è

assurdo che nessuno se ne sia accorto fino a oggi. Prima, ai tempi

dell’Avvocato e anche per un po’ dopo, ogni cosa era sbilanciata. L’Italia

pensava che l’apparenza contasse più della sostanza: e giù rigori ogni volta

che un Ravanelli qualsiasi entrava in area. Pensava che Villar Perosa fosse

meglio della campagna emiliana, la Mole Antonelliana più nobile del battistero

di Benedetto Antelami. Ma dove? Se esiste una giustizia nel mondo del calcio

oggi, molto più di quando hanno accomodato la Juve in B, giustizia è fatta. E

viene da pensare a Maurizio Turone, allo scudetto ’80-’81 che lui e la Roma

avrebbero meritato sul campo e che invece l’arbitro Paolo Bergamo volle negare

loro per un fuorigioco che non c’era. Erano ancora i tempi della tracotanza

bianconera e della conseguente sudditanza psicologica degli arbitri e non

solo. E poi a Gigi Simoni, quando entrò in campo al Delle Alpi dopo

l’incredibile uno-due dell’arbitro Ceccarini che non vide un fallo di Iuliano

su Ronaldo e che, sul capovolgimento di fronte, assegnò un rigore alla Juve

per fallo di West su Pippo Inzaghi. E Moratti che non capiva. C’era poco da

capire e molto da piangere. Pianse anche una vecchia signora svedese, da tempo

in Italia, che aveva iniziato a delizie e dolori del tifo calcistico la nipote

e i suoi amici. Il suo dolore fu talmente grande, che da esso nacquero dei

racconti, opera d’arte unica che la signora decise di non dare alle stampe.

Fino al 2009, l’anno in cui i racconti vengono ritrovati dalla nipote,

Kristina Map, in un baule. Kristina li traduce dallo svedese, racconti che

narrano dell’epica lotta dei giganti interisti contro le forze oscure e

indecifrabili del male. E li intitolò in modo bizzarro: “Grissina. Nonna non

mi avevi detto che eri un giocatore di hockey”. Similare, nella trasposizione

su carta del suo dolore, fu anche Luigi Garlando, giornalista della Ġazzetta

dello Sport, che solo per aver titolato un suo libro “Da grande farò il

calciatore” merita rispetto. Inarrivabile il suo “Nostra Signora del

Dischetto. Peccati d’area e miracoli arbitrali: storia dei rigori dati (e

regalati) alla Juve nei campionati a girone unico”, dove “la cronaca

documentata del primo furto bianconero” recita così: “La palla rimbalzava

sulla gamba di un triestino, ma l’arbitro, forse con l’idea di somministrare

un calmante ai protestanti, accordava un rigore a favore della Juve. Il

pubblico pretendeva che la punizione fosse calciata fuori, ma Orsi, per

evitare qualche eventuale guaio, si affrettava a segnare”.

Italiane in Europa, aveva detto già tutto Zidane

di RIO PALADORO (IL FOGLIO 21-02-2012)

Il mistero del calcio a cavallo dei due Millenni è uno:

perché negli anni Novanta in Europa vincevano solo le

italiane e ora non più? Oggi vincono un po’ tutte, a fasi

alterne. Noi siamo un po’ in declino, per problemi di

budget, ma in generale c’è un livellamento che in nulla

ricorda il predominio italiano di due decenni fa. Si posso

fare tante congetture per spiegare il perché di quella

supremazia ma alla fine, gira e rigira, la spiegazione è

soltanto una e l’ha data Zidane nel 2002 in un’intervista

al Monde: “Alla Juve – ha detto – prendevo la creatina. Al

Real non ne prendo più, prendo solo vitamine”. Le squadre

italiane andavano avanti a creatina. All’estero non veniva

usata. Se fossimo stati negli anni Novanta, Lazio-Atletico

Madrid sarebbe finita a reti invertite.

Dura protesta (ma gentile)

contro Rio Paladoro, l’anti-Juve

(Il Foglio 25-02-2012)

Al direttore - Sono un vecchio lettore e abbonato del

Foglio (ho 70 anni) e mi permetto, da juventino, un

sommesso consiglio. Veda di mandare il sig. Rio Paladoro a

svernare a Cochabamba, magari in compagnia di El Diablo!

Per tutto il resto complimenti!

Franco Taroni

Rio è un campione, ma non è destinato a

piacere agli juventini. Gli chiederò di

riscattarsi per il bene del giornale.

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Il settimanale SW SPORT(O)WEEK della Gazza si rinnova e comincia

la sua nuova avventura con questo articolo beneaugurante.

___

RIPARTENZE di LUIGI GARLANDO (SW SPORTOWEEK 25-02-2012)

GLI SCHERZI

DELLA MEMORIA

ANTONIO CONTE:

Attenzione, ho un archivio. Conservo tutto: articoli, interviste... E ogni tanto

lo rileggo. Vedo che in sei mesi siamo passati dal sesto-settimo posto a essere

favoriti per lo scudetto e mi dico: «È successo un miracolo!». Ringrazio tutti.

Di niente, mister. Ma un consiglio: ci vada piano con la memoria che è un

pozzo profondo e può venire su di tutto. Se la ricorda la poesia di Montale?

“Cigola la carrucola del pozzo / l’acqua sale alla luce e vi si fonde. / Trema

un ricordo nel ricolmo secchio, / nel puro cerchio un’immagine ride”.

Bellissima.

Mister, se tanti hanno giudicato da sesto-settimo posto la sua Juve è anche

perché lei ha attraversato l’autunno come un penitente ripetendo il suo cupo

memento mori: «Ricordate che veniamo da due settimi posti consecutivi». Noi

abbiamo semplicemente preso nota, come Troisi con Savonarola: “Mo’ me lo

segno”.

Trema un altro ricordo, forse un filo imbarazzante, nel ricolmo secchio:

tutti gli esterni che lei ha fatto comprare in estate per poi scoprire che non

servivano. Per l’amor di Dio, legittimo cambiare in corsa e il suo lavoro

successivo è stato un vero capolavoro. Illuminata la riconversione di alette

come Giaccherini. Ma uno potrebbe pensare: se i soldi spesi per gli Elia

fossero stati investiti in giocatori funzionali al progetto attuale, oggi

l’Europa avrebbe una superpotenza in più. Zamparini ha svelato che il progetto

iniziale dei dirigenti bianconeri prevedeva Pastore e Aguero.

Ecco, proprio ciò che manca a questa fortissima Juve, che spesso però fatica

a tradurre in gol il suo dominio: l’uomo dell’ultimo passaggio e un

realizzatore spietato. Troppo cari? Rinunciando ai Vucinic e agli Estigarribia,

vendendo i Krasic e i Toni, senza bisogno di aggiungere poi iBorriello, non

ci sarebbe stato da svenarsi. E comunque, data l’età, sarebbero stati

investimenti a lungo termine.

Trema un altro ricordo nel ricolmo secchio: la prima giornata di campionato

saltata per sciopero. La Juve affrontava fuori casa l’Udinese che aveva

anticipato la preparazione per il preliminare di Champions, spaventando

l’Arsenal. Andava a mille. Se la Juve, ancora alle prese con l’equivoco

tattico, fosse caduta subito al Friuli e non avesse mai iniziato la serie

record di imbattibilità, quanto ci avrebbe messo a guadagnare l’attuale

autostima? Invece ha preso coraggio attraverso un inizio soft e ha poi

incontrato l’Udinese nel suo picco più basso. E nel suo picco più basso ha

affrontato anche il Milan. Brava, ma anche baciata dalla sorte questa Signora.

Lo vede, mister, che ad aprire gli archivi uno ci trova di tutto? E poi porta

pure gramo. L’ultimo allenatore della Juventus ad avvertire i giornalisti di

avere “un libro nero” è stato Ciro Ferrara. Si goda la sua splendida creatura,

mister. Se lo merita, dopo l’ottimo lavoro svolto in questi mesi. Sorrida come

l’immagine nel ricolmo secchio, senza voltarsi troppo indietro. E se la

carrucola cigola, la lasci cigolare.

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Calcio e business. Nel 2011 i due club perdono 70 e 95 milioni

Stasera Milan-Juventus,

per ora vince il «rosso»

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE 25-02-2012)

Andrea Pirlo è il simbolo di questo Milan-Juventus. "Liberato" dal Milan

quest'estate per questioni di bilancio (ormai troppo alto per le casse

rossonere il compenso di circa 6 milioni netti a stagione), il trentatreenne

regista campione del mondo è stato ingaggiato dalla Juventus (per circa 4

milioni all'anno). Il club presieduto da Andrea Agnelli, infatti, dopo le

spese sostenute negli ultimi anni per costruire lo stadio di proprietà e

rifondare la squadra, aveva l'esigenza di tornare subito a vincere per

riaffacciarsi nel munifico mondo della Champions league e ha deciso di fare

quest'ulteriore investimento.

In attesa di verificare se Pirlo sarà decisivo nel match di stasera a San

Siro (20 tv collegate per 160 paesi, il pronostico è da tripla), sul piano dei

conti, tra bianconeri e rossoneri a vincere senz'altro il "rosso". Se l'ultimo

bilancio della Juventus (al 30 giugno 2011) registrava un -95 (record negativo

storico per il club di Torino), il Milan ha chiuso il 2010 (al 31 dicembre) a

-77 e si appresta ad approvare nella prossima assemblea del 20 aprile un

bilancio 2011 in perdita per circa 70 milioni. Peraltro, la trimestrale della

Juventus al 30 settembre 2011 ha prodotto una perdita di 26 milioni (rispetto

ai -18 del primo trimestre 2010). «Per l'esercizio 2011/2012 – precisa il

comunicato che accompagna il voto del cda – è prevista ancora una perdita

significativa, anche se inferiore all'esercizio 2010/2011, in quanto esso sarà

negativamente influenzato dalla mancata qualificazione alla Champions, dalla

stagnazione dei ricavi derivante dalla vendita centralizzata dei diritti

radiotelevisivi, nonché dagli effetti economici derivanti dal processo di

rinnovamento della rosa di Prima Squadra».

Dunque, Milan e Juve sono ancora lontane dai parametri del fair play

finanziario, anche se il club guidato da Adriano Galliani sembra stare

leggermente meglio. Nonostante i tagli, gli ingaggi peseranno ancora per 190

milioni sul fatturato rossonero, che nel 2011 dovrebbe scendere da 253 a 235

milioni per effetto della contrazione dei ricavi tv "collettivi" (per 33, 4

milioni di euro) causati dall'entrata in vigore della legge "Melandri" il 1°

luglio 2010. Le altre due fette che compongono la torta dei ricavi ovvero

quello commerciale e la biglietteria hanno avuto ottime performance passando

la prima da 63,4 milioni a 91,8 milioni, le seconda da 31,3 a 35,6 milioni. Il

Milan ha così consolidato in Italia il primato dei ricavi commerciali

attestandosi a 91 milioni contro i 53 della Juventus.

Per la Juve, che potrà contare sull'iniezione di capitale da 120 milioni

sottoscritto integralmente a fine gennaio, sarà fondamentale, oltre a

riconquistare la zona Champions, aumentare i redditi dello stadio. Gli

abbonamenti (24.137) hanno portato introiti per 14, 7 milioni (+183% rispetto

alla stagione precedente). Le visite guidate allo stadio sono state già 20mila

e da maggio 2012 sarà inaugurato il museo bianconero. Gli ingaggi, dopo la

sforbiciata alla rosa del mercato di gennaio (le sole cessioni di Toni,

Iaquinta a Amauri comportano un risparmio di circa 20 milioni) pesano per 110

milioni su un fatturato che a metà 2011 era pari a 153 milioni.

Bilanci%20a%20confronto.jpg

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INTERNATIONAL di PAOLO CONDÒ (SW SPORTOWEEK 25-02-2012)

PRIGIONI

E PALLONI

CHE IL MONDIALE D’ARGENTINA DEL 1978 NASCONDESSE

MOLTE BRUTTE STORIE SI SAPEVA. ORA EMERGE LA VICENDA

DI 13 PERUVIANI VENDUTI E DESTINATI A MORIRE. MA POI…

Di tutte le storie segrete legate ai Mondiali di calcio, il 6-0 col quale

l’Argentina batté il Perú nel ’78, guadagnandosi l’accesso alla finale poi

vinta contro l’Olanda, è sempre stata considerata una delle più lerce. A quel

match, tra l’altro, si deve una modifica regolamentare che oggi ci pare ovvia,

ma all’epoca non esisteva: la contemporaneità delle partite dell’ultimo turno

di un girone di qualificazione. Quella volta Argentina e Brasile arrivarono a

pari punti alla giornata finale: il 21 giugno la Seleçao giocò alle 16. 45 a

Mendoza contro la Polonia, e quindi i padroni di casa argentini andarono in

campo alle 19.15 a Rosario conoscendo il numero di gol (quattro) di cui

avevano bisogno per scavalcare i rivali nella differenza reti. Finì 6-0 in un

clima di grande pressione popolare e assai mediocre resistenza peruviana. Nel

tritacarne dei sospetti finì inizialmente il portiere ultrabattuto, Ramon

Quiroga, che oltretutto era un argentino naturalizzato; col passare del tempo,

però, emersero episodi di intimidazione a carico di tutti i giocatori

peruviani, e la storia venne archiviata come un “normale” aggiustamento di

risultato fra squadra motivatissima e avversaria già eliminata.

In realtà c’era dell’altro. Qualche giorno fa il settimanale Tiempo Argentino

ha riaperto il caso dando notizia della denuncia che un ex senatore peruviano,

Genaro Ledesma Izquieta, ha presentato a un giudice di Buenos Aires. Ledesma

sostiene che il dittatore peruviano dell’epoca, Francisco Morales Bermudez,

“cedette” al suo collega argentino Jorge Videla 13 oppositori politici (fra

cui lui) come scorie da smaltire: in cambio, la sua nazionale in caso di

bisogno non avrebbe creato problemi ai padroni di casa.

Governato in gran parte da militari felloni e sanguinari, nel Sudamerica

dell’epoca vigeva il cosiddetto piano Condor, ossia la cooperazione tra

polizie segrete per ammazzare gli oppositori alle varie dittature in qualunque

Paese si trovassero. I tredici peruviani vengono deportati in Argentina il 25

maggio, una settimana prima dell’inizio del Mondiale; il loro destino è una

morte atroce, venire gettati dall’aereo in mare ancora vivi, come realmente

accadde a centinaia di sventurati desaparecidos. Ma non subito, perché sono

l’assicurazione sul buon esito del match mondiale. Per fortuna, però, i loro

familiari già espatriati in Europa piantano un casino infernale, e la Francia

– da sempre Paese sensibile al tema – riesce a pressare Videla fino a imporgli

la “vendita” (sì, Parigi paga una sorta di riscatto) della vita dei tredici.

Questo succede dopo la fine del Mondiale, mentre una Buenos Aires in gran

parte ignara canta la gioia per il trionfo di Kempes, Ardiles e Passarella.

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Buongiorno

Arbitro venduto

di MASSIMO GRAMELLINI (LA STAMPA 25-02-2012)

Nei giorni scorsi era tutto un lamento di juventini. «Di sicuro ridurranno la

squalifica a Ibrahimovic. Quest’anno lo scudetto deve andare a Berlusconi».

Poi la squalifica non è stata ridotta e il virus del sospetto è immediatamente

trasmigrato fra i milanisti. «L’élite al potere vuole punire Berlusconi e far

vincere di nuovo lo scudetto alla Juve». Il calcio è lo sfogatoio delle nostre

paturnie e dunque non ci sarebbe da preoccuparsi troppo, se non fosse che

l’approccio tifoso si è ormai allargato agli altri aspetti del vivere. Non

esiste decisione di un’autorità che non venga sottoposta a lettura

dietrologica, tesa a far passare il penalizzato per vittima di un complotto.

Per limitarsi all’ultima settimana: se tre periti universitari danno ragione

alla Fiat in una causa di diffamazione sono dei prezzolati, se Caselli indaga

sulla frangia violenta che opera all’ombra dei No Tav è un mafioso, se un

pubblico ministero ritiene B un corruttore appartiene alla categoria dei

bolscevichi ossessivi. Questo nella vita pubblica, ma scandagliando quelle

private troveremmo casi analoghi: nella mia c’è un vigile che mi ha multato

per un minuscolo divieto di sosta ed era chiaramente in malafede, così come

uno dei miei migliori amici è convinto che il votaccio rimediato dalla figlia

sia una rappresaglia dell’insegnante nei suoi confronti, non essendosi lui

presentato all’ultima riunione dei genitori. Abbiamo talmente screditato il

concetto di autorità che l’idea che un giudice, un vigile o un insegnante

decidano e magari sbaglino di testa propria non viene più nemmeno presa in

considerazione.

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L'intervista

Maldini: «Ritmo, caro Milan solo così puoi domare questa Juve euforica»

Alberto Costa - Corsera - 25-02-2012

MILANO, 25 febbraio 2012 - Paolo Maldini, 902 volte rossonero, stasera Zlatan Ibrahimovic non potrà giocare Milan-Juve. Cambierà il Milan e cambierà anche la partita?

«Il Milan cambia di sicuro e forse anche la partita. Sarà un Milan più veloce, da contropiede. Con Ibra invece aumentano le soluzioni. Anche in fase difensiva Ibra c’è: si piazza sul primo palo e prende il 50 per cento dei corner. In passato questo era uno dei nostri problemi perché avevamo un attacco e un centrocampo di piccoletti».

Tra i tifosi ma anche all’interno del club c’è ormai la convinzione che le 3 giornate di squalifica a Ibra facciano parte di un disegno per far vincere lo scudetto alla Juve. Una sorta di risarcimento dopo Calciopoli. Fantacalcio?

«Spero che tutto questo non sia vero. Fosse così significherebbe che ho vissuto tanti anni in campo senza rendermi conto di niente. È vero però che la giustizia sportiva è difficile da capire».

In che senso?

«Nel senso che anche in passato ha preso decisioni politiche. Non si capisce perché una volta uno prenda 2 giornate e un’altra uno ne prenda 3. Purtroppo si tiene conto del momento e dell’opinione pubblica. Ibra ha dato una manata, Aronica ha fatto qualcosa di simile anche se meno platealmente, e comunque ha reagito, ma non è stato punito. C’è qualcosa che non va. Sono d’accordo con il comunicato del Milan».

Quindi i lamenti di Conte dopo Parma sono serviti?

«Da parte della Juve ci dovrebbe essere più tranquillità. Lamentarsi ogni mezzo rigore... Le grandi società si comportano da grandi società. Certo, la Juve ha questo passato recente e lo fa sentire ogni volta».

Il suo giovane presidente Andrea Agnelli non ha la diplomazia del papà e del celebre zio.

«C’è la sensazione che Calciopoli abbia tolto qualcosa alla Juve, e in effetti qualcosa le ha tolto. Che si debba a tutti i costi difendere l’onore della Juve. Ma l’onore della Juve è difeso dalla sua storia, dai suoi grandi calciatori, dai suoi grandi presidenti. Trovo che le loro siano polemiche esagerate per quella che è la situazione. Stanno vivendo un momento bellissimo, stadio nuovo, squadra che gioca bene: se lo godano. Io sono tifoso del Milan ma per un amante del calcio è bella l’immagine che in questo momento la Juve riesce a trasmettere».

Parlando di pallone, come si comporterebbe se fosse lei ad allenare il Milan?

«Ripensando alle due partite ufficiali di questa stagione, dove la Juve è stata superiore al Milan? Nel ritmo. A Torino ci hanno asfaltati. Le qualità del Milan si notano soprattutto se il ritmo è da grande squadra. In una recente intervista Thiago Silva ha ricordato che lo scorso anno e nel derby di Supercoppa a Pechino il Milan ha travolto tutti con il ritmo. Ibra, Boateng e anche Nocerino hanno cambiato il volto alla squadra. Dopo Pechino, quel ritmo è scomparso, anche per colpa delle assenze. Ora la squadra sembra tornata sulla falsariga dell’anno scorso e i risultati si vedono».

Questa sfida sarà davvero decisiva per lo scudetto?

«La Juve ha un entusiasmo incredibile, per la Juve questo è un vero e proprio esame e una vittoria potrà essere perfino più importante dei 3 punti che guadagnerà in classifica. Per il Milan vincere significherebbe lanciare un messaggio chiaro: noi ci siamo sempre e siamo i più forti. Diciamo quindi che la partita di stasera sarà decisiva soprattutto sotto l’aspetto psicologico».

Lasciare che Pirlo andasse a Torino è stata una buona idea? Ancelotti ha appena fatto sapere che lui si sarebbe opposto a quella cessione.

«E se l’avesse lasciato andare, l’avrebbe ceduto all’estero, al Chelsea...».

Qual è la sua opinione sulla vicenda?

«Pirlo ha cambiato il volto alla Juve, aveva bisogno di una squadra che corresse con lui. Pirlo è unico, tutto passa da lui. Al Milan faceva il lavoro di fino e anche quello sporco, lo faceva molto più di altri, quindi a volte la lucidità veniva meno».

Ma i tifosi si chiedono: proprio alla Juve?

«Pirlo è un giocatore bello, pulito, che giocava come un artista. Era diventato un patrimonio della società. Comunque consoliamoci pensando che era arrivato dall’Inter e che ci siamo goduti i suoi anni migliori».

Però il tifoso mugugna: è andato via Pirlo ed è arrivato Muntari...

(ride) «Ora i budget del Milan sono diversi. La cessione di Pirlo è stata un fatto economico. I soldi che gli ha dato la Juve, il Milan non glieli poteva dare. Comunque nessuno può insegnare al Milan come rivalutare un giocatore considerato zero. Guardi Nocerino, pagato 500 mila euro».

Paolo, è vero che andrà ad allenare i difensori del Paris Saint Germain?

«Macché. Sono stato invitato da Leonardo ad assistere alla prima partita casalinga del Psg. Tutto si ferma dunque a una visita di cortesia. E poi allenare non è il mio obiettivo. Certo che osservando i campionati all'estero si coglie una scarsa conoscenza della fase difensiva, al limite del pazzesco».

Chiudiamo con la domanda di sempre: quando tornerà al Milan?

«L'ho detto e lo ripeto: più che una risorsa, vengo visto come un problema. Io sono una testa indipendente».

Dunque?

«Il messaggio che voglio far passare è semplice. Io non sto invocando l'aiuto di nessuno, non sto dicendo chiamatemi perché ho bisogno. Le scelte della società sono legittime però, per favore, evitiamo almeno la falsa ipocrisia di certe dichiarazioni: è uno di noi, sarà sempre il benvenuto. La verità è un'altra: non ci sono le condizioni per tornare».

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Modificato da huskylover

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