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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Joined: 14-Jun-2008
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Zamparini sfiducia Beretta:

e Unicredit toglie il fido al Palermo.

Monti spazzi via questo sistema

di XAVIER JACOBELLI dal blog Mister X (Quotidiano.net 17-02-2012)

Dal sito del Palermo Calcio: "Il presidente Maurizio Zamparini e i tifosi del

Palermo ringraziano la Banca Unicredit per la grande fiducia dimostrata

togliendo il fido di due milioni e mezzo a suo tempo concesso.

Quanto sopra risulta strano per una banca fortemente interessata ad

un'altra squadra di serie A. Tanto strano anche in virtu del fatto che il

nostro presidente Beretta, di cui abbiamo chiesto le dimissioni, è un

alto funzionario della Banca Unicredit.

Per i tifosi che volessero esprimere il loro disappunto:

fax: 02.88.62.83.02 e mail : AG00200-FPMI@unicredit.eu

-------------------------

Il 25 agosto 2009, Maurizio Beretta è stato eletto presidente della Lega

Calcio.

Dal 1º luglio 2010 ha assunto la guida della Lega di Serie A. Dal 14 marzo

2011, Maurizio Beretta è il responsabile della struttura Identity and

Communications di UniCredit, azionista di minoranza della Roma. Aveva

annunciato che avrebbe lasciato la presidenza della Lega Serie A. non appena

si fosse trovato un sostituto.

E' passato ancora un anno e Beretta è ancora lì. Nel frattempo, la Lega di

serie A si è già consegnata alla storia del calcio italiano per la disgraziata

gestione del calendario 2011-2012; per non avere dato un contributo minimo

alla soluzione del problema degli stadi, autentica vergogna nazionale;per

avere asservito mani e piedi il calcio italiano alle tv, svuotando gli stadi

sempre più deserti, sempre più infrequentabili; per le continue, furibonde

liti fra presidenti in materia di ripartizione dei diritti tv; per avere

subito la farsa del presunto sciopero dei calciatori, presunto in quanto la

prima giornata è stata recuperata il 21 dicembre, naturalmente in notturna.

Potremmo andare avanti per ore. Poi succede che, finalmente, otto club di A

(Bologna, Cagliari, Cesena, Inter, Lecce, Novara, Palermo) si decidono

e all'ordine del giorno della prossima assemblea pongono la questione delle

dimissioni di Beretta.

Curiosamente, qualche giorno dopo la mossa del Palermo e delle altre sette

ribelli, Unicredit sospende il fido al club rosanero, come denuncia Zamparini.

Di certo è una coincidenza casuale: alzi la mano chi si permette di cogliere

un nesso fra le due vicende e chi lo coglie è un malpensante o un parente di

Zamparini. Noi che non siamo né in malpensanti né parenti di Zamparini,

esprimiamo la più grande solidarietà e una smisurata simpatia al presidente e

ai tifosi del Palermo.

Non è un evento casuale, invece, ma un enorme, gigantesco caso

l'implosione della classe dirigente del calcio e dello sport italiano che deve

essere mandata a casa il più presto possibile. A cominciare dal presidente del Coni,

testè legnato da Monti con la sacrosanta bocciatura della candidatura di Roma

2020, proseguendo con il presidente della Federcalcio, in attesa che la Lega

volti pagina.

Se il governo italiano riesce a far pagare l'Ici persino al Vaticano, è tempo

che si concentri anche sulla gestione dello sport e commissari Coni e

Federazione. Un altro sistema deve essere possibile in questo bellissimo Paese,

grande potenza dello sport mondiale che ha bisogno di uomini nuovi, di

manager preparati e competenti, di liberarsi dei burocrati che lo opprimono.

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Razzismo nel calcio: per gli inglesi

è affare di Stato. E da noi?

di GIUSEPPE CERETTI (Il Sole 24 ORE.com 17-02-2012)

Prima il caso dell'ex capitano della nazionale inglese John Terry al quale

hanno tolto d'imperio la fascia; ora l'attaccante dei Reds Suarez che si

rifiuta di stringere la mano al giocatore dello United Evra dopo averlo in

passato ripetutamente insultato, tanto da meritare ben otto giornate di

squalifica.

E sugli spalti il ritorno di cori beceri.

In Italia gli episodi sono stati commentati per lo più all'insegna del motto

riveduto e corretto: "L'erba del vicino è sempre più gialla". Quegli inglesi

spocchiosi sono bravi a dare lezioni, ma quando si tratta di dirimere faccende

di casa preferiscono nascondere la polvere sotto il tappeto. Insomma l'Albione

non è più perfida, ma superba sì.

È vero che il comportamento delle dirigenza d'Oltremanica presta il fianco a

qualche critica, come la decisione di pronunciarsi sull'affare Terry dopo gli

Europei della prossima estate, ma è segno concreto di alta sensibilità aver

deciso di convocare entro il mese un vertice a Downing Street sul rigurgito

della violenza razziale nel calcio. Saranno chiamati giocatori, allenatori,

dirigenti per capire come e perché si siano riaccese nuove tensioni in uno dei

Paesi più multietnici dell'intero Continente.

In Italia pare che il problema non sussista, forse perché siamo più sensibili

ai suggerimenti del capo della Fifa Blatter, che giudica il razzismo una

fesseria da risolvere semmai nel chiuso di uno spogliatoio. O perché la

sensibilità ha un confine ben delimitato dalla fama del personaggio. Se è

preso di mira Balotelli si scatena l'inferno, ma se si insulta un giocatore

delle serie minori tutto passa sotto silenzio.

Davvero non abbiamo nulla da rimproverarci? Il sociologo Mauro Valeri,

responsabile dell'Osservatorio sul razzismo e studioso del fenomeno,

intervistato dal Corriere della Sera, indica una media di 50 episodi per ogni

stagione calcistica, cifra molto più alta di quella verificata in altri

campionati. «Quest'anno ne abbiamo già registrati 28, un numero elevato perché

riguarda quasi esclusivamente i cori. Le ammende per questi episodi ormai

vengono rubricate dai giornali nelle notizie brevi, anche se le società hanno

dovuto pagare già 100mila euro per la responsabilità oggettiva».

Da noi si sborsano i quattrini e si sta zitti, non si solleva nemmeno il

tappeto perché si finge che non ci sia polvere. Proviamo solo per un istante a

vestire dei panni italiani la vicenda tra Evra e Suarez. Che cosa sarebbe

accaduto? Le otto giornate di squalifica avrebbero generato un putiferio,

individuando nella decisione una congiura ai danni della squadra di

appartenenza del giocatore accusato. Se poi un allenatore italiano importante,

anche se non esiste nel nostro Paese un'icona come il baronetto sir Alex

Ferguson, avesse affermato a proposito di Suarez: «Il Liverpool non dovrebbe

farlo giocare mai più», si sarebbe scatenato l'inferno. Ma come si permette?

Pensi al suo spogliatoio e agli affari suoi. E via decine di dibattiti

televisivi.

L'indifferenza di fronte al dileggio razzista è una piaga che già in passato

ha generato frutti atroci, la cui lezione purtroppo si cancella con facilità

dalla memoria. «Mi è capitato- afferma il sociologo Valeri- di partecipare a

un incontro europeo indetto dalla Uefa contro il razzismo. C'erano calciatori

testimonial di ogni Paese. Non c'era però nessun calciatore italiano».

Un'ovvia domanda ai lettori che si qui ci hanno seguito: dateci il nome e

cognome di un calciatore italiano che sia stato protagonista o abbia offerto

la propria immagine per uno spot contro il razzismo.

P.S.

Leggiamo che la sequenza di Suarez, l'attaccante dei Reds del Liverpool che si

è rifiutato di stringere la mano a Evra, il francese di colore del Manchester

United, ha trovato imitatori. Nel pre partita tra Aston Villa e Manchester

City le telecamere hanno catturato un ragazzino dell'Aston che ignora la mano

tesa del piccolo collega con la maglietta dei Citizens. Commentatori e media

inglesi hanno colto l'episodio come pretesto per sdrammatizzare la vicenda

Evra-Suarez e si sono dichiarati divertiti della scenetta.

Ci piacerebbe chiedere ai maestri dello humor: Che cosa c'è di divertente?

Buon campionato a tutti.

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L’AMACA

Michele Serra - La Repubblica - 7.02.2012

Zapping casuale (e fulminante) domenica sera. Su Rai tre, Gherardo Colombo sostiene che il vero problema del nostro Paese non è giudiziario, è culturale: la maggioranza degli italiani non capisce a che cosa servono le regole, e fino a che non lo capirà anche il più equo dei sistemi giudiziari potrà fare ben poco. Su Raidue, in quel preciso momento, Fabio Capello, uno dei più stimati allenatori italiani, a domanda risponde che Luciano Moggi è stato un eccellente dirigente sportivo (il giovane Andrea Agnelli, pochi giorni prima, aveva detto: il migliore di tutti). Neanche mezza parola sul processo per frode sportiva, sulle schede telefoniche estere regalate agli arbitri, sull’intera, complicata ma ineludibile vicenda che chiamiamo Calciopoli. Capello ha risposto, indirettamente, a Gherardo Colombo. Confermandone la tesi. Moggi è stato “il migliore di tutti” perché ha vinto moltissimo, non importa con quali mezzi, né trasmettendo quali valori al suo gruppo di lavoro. Le ombre etiche e le macchie giudiziarie sono considerate irrilevanti perché irrilevante, in fin dei conti, è il rispetto delle regole. Per molti italiani, anche di livello (Capello lo è), le regole sono considerate, in fondo, l’ultima risorsa dei deboli e degli invidiosi.

PER POSTA

di MICHELE SERRA (IL VENERDI DI REPUBBLICA 17 FEBBRAIO 2012)

MOGGI, CALCIOPOLI

E L’ETICA SPORTIVA

UGUALE PER TUTTI

Egregio Serra, le scrivo in merito a una sua Amaca sull’etica

sportiva. Essendo io un tifoso della Juve vorrei meglio capire

il significato delle regole della giustizia sportiva quando

queste vengono disattese, come nel caso di Calciopoli. Vengo

subito ai fatti: Tronchetti Provera, ex vicepresidente

dell’Inter, certamente d’accordo con l’amico presidente, dispone

attraverso la controllata Telecom di intercettare numerose

telefonate ai due designatori degli arbitri. La compiacente

Procura della Repubblica di Napoli sceglie solo quelle di

Luciano Moggi trascurando quelle di Massimo Moratti e di

Giacinto Facchetti e di altri e le invia all’ex consigliere di

amministrazione dell'Inter Guido Rossi, nominato nel frattempo

commissario straordinario della federazione gioco calcio.

Questi, dopo un affrettato esame con alcuni probiviri, decide

di togliere due scudetti alla Juve e di assegnarne uno

all’Inter. In quei giorni Enrico Mentana, che ascolto tutte le

sere e che è come lei tifoso eccellente dell’Inter, mentre

conduceva una puntata di Matrix chiese all’ospite di turno,

Bergamo, se Moggi fosse un abituale frequentatore della sua

casa. Come risposta Bergamo disse che Moggi frequentava la sua

casa come altri dirigenti di altre società. Mentana allora

chiese a Bergamo di fare un nome. La risposta fu: Giacinto

Facchetti. Mi piacerebbe un suo commento al riguardo.

Umberto Pasotti | email

Caro Pasotti, la sua lettera è chiara e civile (a differenza di

altre) e spero, rispondendole, di riuscire a spiegare in modo

tombale – come si dice – il mio pensiero in proposito. Non c’è

dubbio che il processo sportivo su Calciopoli fu condotto in

modo affannoso e sommario. Questo non significa che la vicenda

sulla quale si indagava fosse inconsistente. Luciano Moggi

esercitò per anni, sul sistema-calcio, una forte egemonia

politica (uso un eufemismo), che influiva fortemente sulla

designazione degli arbitri e sulla loro condotta, e anche su una

parte significativa del giornalismo sportivo.

Altri dirigenti di club (sbagliando) tentarono di contrastare

questo andazzo cercando di «farsi ascoltare» in alto loco, e di

porre un argine allo strapotere di Moggi. Ma di quel sistema

erano le vittime e non gli artefici. Accostare Facchetti (o

Della Valle) a Moggi è un torto umano e un falso storico che

nemmeno il tifo, che acceca, può consentire. Massimo Moratti

avrebbe dovuto rifiutare lo scudetto a tavolino (lo scrissi, il

giorno dopo, sulla prima pagina di Repubblica: come vede, essere

interista non mi acceca del tutto...).

Oggi il clima sarebbe meno avvelenato. Ma quando sento uomini

come Capello dire che Moggi «era il migliore», senza aggiungere

un dubbio sull’etica di quel signore, mi ribello. E non perché

io sia interista, mi creda. Ma perché mi illudo che esista

un’etica sportiva uguale per tutti.

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CALCIOPOLI INFINITA

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 17-02-2012)

Che noioso, il vecchio fantasma di Calciopoli. Non spaventa più neppure i

bambini, ormai riesce a turbare i sonni solo alla Juve e al suo agitatissimo

allenatore. D´accordo, ragazzi, il rigore su Giaccherini c´era: ma pensare che

il signor Mazzoleni non l´abbia fischiato perché condizionato da quella brutta,

antica, remota, putrida storia di corruzione, è un esercizio di fantasia

malata.

È buffo che la Juve si lamenti perché nessuno riesce ad andare oltre

Calciopoli, realtà immanente, nemesi da tragedia greca, proprio lei che

presenta ricorsi a tutti tribunali della galassia un giorno sì e l´altro pure.

Proprio lei il cui presidente dichiara ufficialmente che Luciano Moggi era il

numero uno. Moggi, quello delle schede telefoniche agli arbitri. Moggi, quello

radiato. Come Giraudo.

Il club bianconero, in un comunicato, ora chiede "parità di trattamento", non

si capisce rispetto a chi. Il trucco di Conte è preistorico: lamentarsi per

mettere le mani avanti e poi qualcosa verrà, anche questa è una tecnica alla

Moggi, e intanto sta arrivando la sfida al Milan: è proprio il caso di

attenderla prendendosi a sberle? Agitando sospetti? Alludendo a complotti?

Sarebbe più adulto andare oltre o almeno provarci, magari non proprio

mettendoci una pietra sopra ma evitando di tirarsela addosso, quella pietra.

Rivendicare non giustizia bensì un risarcimento, ecco il retropensiero

bianconero. E vi raccomandiamo il tratto dell´intervento, lo stile, pure

questo d´epoca, e qui si ripensa semmai al dottor Giraudo e ai suoi canini

scintillanti. Conte e la Juve appaiono sempre sopra le righe, hanno

perennemente la bava alla bocca, questo in campo può servire ma a partita

conclusa è un po´ esagerato. Anche perché questa ottima stagione bianconera

non ha bisogno di aiutini o aiutoni, neppure la Juve di Calciopoli ne avrebbe

avuto bisogno, le bastava Ibra anche senza i cellulari svizzeri.

È quasi da psicanalisi la lettura ossessiva di ogni mossa arbitrale, segno

che il trauma non è superato. Ma chi lo provocò? Chi giocò sporco? Di sicuro,

la mezza Italia che non tifa Juve sarà sfinita dal teatrino. Forse vorrebbe

dire al giovane, offeso presidente e al suo mordace allenatore: ehi, ma

proprio voi parlate di arbitri?

Se non fosse che è sempre in malafede direi che questo non ha capito un catzo!

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Joined: 30-Aug-2006
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L'INTERVISTA: PARLA IL CAPO DELLO SPORT

PETRUCCI CONTRATTACCA

Il no olimpico è alle spalle: "Ora Abete cambi il calcio"

"Credo che Monti avesse deciso da tempo di bocciare Roma 2020

Codice etico, scommesse, presidenza: Batsa con questa Lega di A

di Ruggiero Palombo (Gasport 17.02.2012, pag.22)

Presidente Petrucci, a tre giorni dal k.o. di Monti si sente come un pugile suonato?

«No. Ma sono ancora molto, molto dispiaciuto».

Ritiene di essere stato preso in giro?

«No, ma non mi è piaciuto sapere tutto l`ultimo giorno. A Monti l`ho detto».

Monti ha deciso martedì scorso, il 12 gennaio quando vi ha ricevuto per la prima volta, o il 16 novembre quando si è insediato?

«La data esatta non la so, ma sono convinto che è sempre stato contrario. E che non ha certo deciso martedì».

Guardandosi indietro, pensa di avere commesso qualche errore?

«No».

Gliene suggeriamo tre noi. Primo, non avere percepito subito che Monti non aveva niente a chefare con Berlusconi, Letta, Prodi, Veltroni, tutti uomini dei Governi che lo hanno preceduto e che avevano un feeling dichiarato con lo sport...

«Il fatto di amare o meno lo sport non credo conti molto. Per la prima volta era stato fatto uno studio di fattibilità, a cura di qualcuno che è pure collega di Monti. Lui ha fatto solo il suo calcolo economico finanziario. E poi, quale fosse la percezione immediata, non potevamo mica ritirarci. Eravamo i favoriti»

Secondo: forse questa volta Letta non era il cavallo giusto...

Non posso pensare sussitano queste logiche. Letta è e rimane la persona a noi più cara.

Terzo: il pressing finale, la "macchina da guerra" del consenso cresciuta nell'ultima settimana, forse un boomerang

Mi rifiuto di credere che Monti possa aver deciso per il no perché irritato. E poi irritato di che cosa? Che i colossi dello sport, dell'arte e della cultura fossero favorevoli a Roma 2020? Siamo in democrazia, per fortuna.

Non c'è grande evento che non cominci con un costo e non finisca con quel conto moltiplicato per due, per tre, per dieci. Può avere pesato?

E' possibile. E proprio per questo siamo stufi di 'pagare pegno', come ho scritto anche nella lettera inviata allo Sport italiano. Il Coni con la pista di bob di Torino 2006 costruita nel posto sbagliato e con le piscine sorte come funghi intorno a Roma 2009 non c'entra nulla.

Teme danni collaterali, al Cio e in politica interna?

No, nessuna ripercussione. Rogge mi ha scritto e ha telefonato a Pescante, certo è dispiaciuto quanto noi. Quanto alla politica interna siamo talmente forti come Coni che nessuno può strumentalizzare questo 'no'. A chi intendesse farlo risponderemmo punto per punto.

Il finanziamento del Coni è sceso per il 2012 a 408 milioni di euro. E afine anno sarà Monti a decidere quanto riservarvi per il 2013. Paura di ulteriori tagli?

Assolutamente no. Anzi penso che dopo questo diniego si possa finalmente portare avanti il discorso a noi caro del finanziamento automatico. Sarebbe la prova che questo Governo tiene davvero in considerazione lo sport. Per noi la certezza delle entrate è una necessità e a sostegno di questo stiamo preparando un documento, una sorta di libro bianco le cui linee guida saranno presentate a Gnudi la prossima settimana. Il ministro dello sport mi ha chiamato mercoledì dandomi la propria dispobinilità, andrò a trovarlo assieme al segretario generale Pagnozzi. Ma ora basta con Olimpiadi e dintorni. Giriamo pagina e guardiamo ai problemi di casa nostra.

Ovvero?

La situazione del calcio di Serie A è diventata insopportabile. Il rispetto dell'autonomia e' una cosa, ma quando l'immagine che ne deriva crea nocumento all'intero sport italiano, il Coni non può tollerarlo e restare con le mani in mano. Abete governa un mondo fatto di 15mila società, di 4 leghe, tre delle quali si comportano rispettando le regole, quella di serie A fa il contrario e la situazione non può più andare avanti in questo modo. Questa ingovernabilità deve finire.

Cos'è in particolare che non le va giù?

Non è possibile che il Coni, unico ente che può deliberare sullo sport, faccia regole chiare e una successiva assemblea di Lega con mezzi surrettizi fa partecipare persone che incorrono nel divieto del codice etico recentemente varato. Non è possibile che da mesi mi si risponde che il presidente c'è, quando poi le società non finiscono di contarsi, da una parte e dall'altra, su una successione che ha avuto inizio piu' di un anno fa. Non è possibile che a fronte di un codice etico del Coni la Lega non abbia mai sentito la necessità, il dovere di aprire un dibattito su un tema scottante come quello delle scommesse, il cui esito finale non sarà certo edificante.

Lotito è solo la parte di un problema, o il problema?

Parte. Sulla base delle nuove norme del codice etico è già sospeso dalla carica di consigliere federale, ma in Lega fanno finta di non saperlo. Un membro del Consiglio Nazionale del Coni (Sturani, ndr) ha votato la norma e il giorno dopo si è autosospeso. Gli fa onore, è questione di diversa statura.

Scommesse, teme il peggio?

Non posso anticipare inchieste e sentenze, ma so che si sta parlando di responsabilità oggettiva, cercando di metterla in discussione: beh, si sappia che nessuno deve anche solo pensare di poterla togliere. La responsabilità oggettiva è il caposaldo dell’ordinamento sportivo. Su questo il mio parere non potrà mai cambiare.

Altre doglianze?

Non ho gradito che le leghe si siano riunite per un accordo sulla mutualità che riguarda anche il Coni senza degnarci della minima attenzione. Ci devono qualche milione di euro.

Ma Abete in materia non si era fatto garante dei vostri diritti?

Mi ha scritto garantendo della bontà dell`operazione per il Coni.

Quanti soldi ballano?

Si potrebbe trattare anche si quelche milione di euro.

Lei ha sempre protetto Abete. Si fida ancora di lui?

Mi fido e sarò al suo fianco per gli interventi che mi auguro faccia al più presto nei confronti di tutto ciò che ho denunciato.

A proposito di fiducia, che cosa pensa di tutti quei politici che erano con lei e che un minuto dopo il «no» di Monti a Roma 2020 hanno cambiato sponda?

Ci sono rimasto molto male. L'ho vissuta come una mancanza di rispetto nei confronti dello sport italiano.

Ancora convinto a fine mandato di volersi dare alla politica? «

Mai affermato di voler entrare in politica Sono altri che lo dicono. E oggi, mi creda, non muoio dalla voglia.

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Il Coni, l'etica e le "invasioni di campo" (giuridiche):

varato il nuovo Codice di Comportamento Sportivo

di EDOARDO REVELLO dal blog "SPORT & LEGGE" 17-02-2012

Riprendiamo oggi quanto lasciato in sospeso nel precedente post del 5 dicembre,

quando avevamo commentato la decisione da parte della Corte di Giustizia

della Figc di rinviare il proprio parere interpretativo in merito all’ormai

noto articolo 22bis delle Noif.

A due mesi da quel “posticipo”, possiamo oggi tirare le fila della vicenda,

essendosi susseguiti nel frattempo numerosi sviluppi interessanti.

Procedendo in ordine cronologico, la Giunta Nazionale del Coni, in data 20

dicembre, aveva emanato una direttiva chiara e precisa che sanciva l’immediata

sospensione “dalla carica di dirigente sportivo di un organismo [...] del Coni

o di una Federazione sportiva nazionale” per coloro che avessero riportato

“condanne, ancorché con sentenza non definitiva, per reati di particolare

gravità sociale che presentano connessione con l’attività sportiva“. Il nostro

Comitato Olimpico, aveva così deciso di sposare una “linea dura”, ritenendo

automatica tale sospensione cautelare anche a seguito di una sentenza di primo

grado.

Dal canto suo, la Corte di Giustizia Federale aveva successivamente reso il

proprio parere interpretativo (Comunicato Ufficiale n.128 del 9 Gennaio 2012)

osservando come le disposizioni in questione (ovvero quell’articolato gioco di

rinvii tra Statuto Figc, Noif e Statuto Lega Serie A già analizzato) non

consentissero “di individuare un’ipotesi di sospensione dalla carica di

consigliere federale nell’eventualità di condanna con sentenza penale non

definitiva di primo grado, non prevedendo in particolare né le conseguenze da

essa derivanti né la procedura a tal fine utilizzabile“.

Sulla base di tale pronuncia, il Presidente della Lazio Lotito avrebbe

pertanto potuto legittimamente conservare la propria carica di consigliere

federale, rimanendo sospeso soltanto in qualità di dirigente della società

biancoceleste.

Il contrasto tra la summenzionata direttiva del Coni ed il parere della Corte

Federale, già netto ed inequivocabile prima facie, diveniva ancor più

stridente scorrendo la seconda osservazione resa dal massimo organo di

giustizia della Figc. I giudici avevano, infatti, ritenuto che la delibera del

Coni non incidesse sul quadro normativo in questione, poiché l’atto non poteva

che “riguardare il futuro e ciò per un duplice ordine di considerazioni: a)

perché è comunque norma sopravvenuta e in quanto tale non applicabile a

vicende anteriori; b) perché non è auto-esecutiva, richiedendo un adeguamento

normativo degli Statuti Federali e delle Leghe“.

Il Coni ha, tuttavia, ribadito la propria linea di fermezza e di tutela della

moralità nella governance degli enti sportivi, generando una certa

conflittualità all’interno delle Istituzioni sportive. In primo luogo, sono

state registrate le dimissioni del Presidente della Corte di Giustizia

Federale, a cui è seguito un ulteriore momento di tensione in occasione

dell’elezione di consiglieri interni alla Lega Calcio Serie A, sulla base di

una interpretazione diametralmente opposta dell’art. 29 dello Statuto Figc. In

sede di Lega si riteneva, infatti, che tale norma dovesse applicarsi soltanto

alle elezioni dei consiglieri federali e non anche per le cariche interne

della Lega, quali la vicepresidenza. Tanto più trattandosi, come sempre

sottolineato dai Presidenti dei club, di un’indebita preclusione all’esercizio

di attività di natura meramente associativa da parte di “imprenditori” che

hanno in gioco affari multimilionari.

In questo contesto, il Coni non è arretrato nella sua posizione, ma ha bensì

ribadito la necessità di varare norme etiche più rigide per i dirigenti

sportivi: di conseguenza, lo scorso 2 febbraio il Consiglio Nazionale del Coni

ha definitivamente approvato la nuova normativa, sulla base di quanto già

previsto dalla direttiva del 20 dicembre scorso.

La parte relativa all’onorabilità degli organismi sportivi è stata inserita

nel nuovo articolo 11 del Codice di Comportamento Sportivo, a cui tutte le

Federazioni dovranno adeguarsi.

In sintesi, vengono ripresi i concetti già previsti dall’art. 22bis Noif, ma

con alcune sostanziali novità: in primis, la sospensione cautelare, a seguito

di condanna non definitiva, opererà automaticamente nei confronti dei

consiglieri federali e dei rappresentanti delle Leghe “fino alla successiva

sentenza assolutoria o alla conclusione del procedimento penale o alla

scadenza o revoca delle misure di prevenzione o di sicurezza personale“.

Inoltre, ed è questa un’ulteriore novità, vengono esclusi da tale sospensione

i dirigenti di società, ragion per cui il patron biancoceleste sarà sì sospeso

dalla carica federale, ma potrà partecipare alle assemblee di lega in qualità

di presidente della Lazio.

Alla luce di quanto fin qui detto, ne emerge un quadro generale quanto mai

complesso e ricco di continui colpi di scena…Tra pareri consultivi, dimissioni

ed elezioni mancate, il Coni ha voluto ribadire la necessità di individuare e

predisporre tutti gli strumenti necessari a tutela dell’etica nello sport.

La questione morale, da anni punto di forza della presidenza Petrucci, è

stata quindi rimessa al centro del dibattito politico sportivo.

In un momento storico contrassegnato dall’ormai celebre doping legale, ben

vengano riforme di questo genere, tenuto conto di quanto l’intero movimento

abbia bisogno di ritrovare rapidamente certezza di comportamenti etici e

trasparenti, soprattutto da parte dei propri vertici!

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Andrea, è ora di drizzar le gambe ai cani

di EMILIO CAMBIAGHI (JUVENTINOVERO.COM 17-02-2012)

Non fatevi ingannare, il problema non sono gli arbitri. Gli arbitri sono solo

una delle escrescenze finali del gioco delle parti perennemente in scena oltre

le quinte del rettangolo verde. Tutti, tifosi compresi, sono ingranaggi

volenti o nolenti di un intricato sistema meta-calcistico che trova nei

novanta minuti di gioco l’ultima manifestazione fenomenica. Il campo non è un

compartimento stagno, non è un locus amoenus schermato da ogni

condizionamento. Al contrario, è lo specchio fedele di quanto si prepara,

matura e sedimenta in tutte quelle sedi, dai campi di allenamento ai saloni

dirigenziali, dagli studi televisivi a quelli di palazzo che, ricorrendo alla

metafora dell’iceberg, rappresentano il 90% di sommerso su di un 10% di

visibile. Negarlo sarebbe come proclamarsi dottore senza un decennio di studi,

sostenere l’effetto sconfessando la causa.

Fuori dai denti: il problema è mediatico, dannatamente mediatico. Torino, non

solo sportivamente, paga il dazio di una realtà stretta tra il martello

milanese e l’incudine romana. La Mole è il simbolo freddo di un potentato che

non è tale, di un regno senza sudditi, di una civiltà laterale e geneticamente

poco smaliziata, granitica quanto poco modaiola.

Torino è il Lesotho dentro il Sudafrica, è i Baschi in Spagna. Torino è

quello che si soffia il naso al concerto, è il vicino del primo piano che con

fastidio incontri ogni volta che devi salire al secondo, è il parente noioso

che non puoi evitare di invitare a Natale. Se volete è la metà oscura, senza

la quale, però, l’opposto non esisterebbe. E’ Selene, la Luna, sorella di Elio,

il Sole.

Ed è in questo scenario che si devono muovere la Juventus e i suoi

sostenitori, sballottati tra il desiderio di appartenere ad un sistema

riconosciuto e quello, opposto, di farsi élite autosufficiente. La Juve è una

scheggia impazzita, il boccone ingoiato contro voglia e mai digerito. E’ il

cerchio rosso in mezzo a quelli bianchi: in breve, il bersaglio perfetto per i

media moderni.

E i media contano, eccome. Sono quelli che trasformano una ciarla sulle

griglie in misfatto peggiore di ben più seri intrallazzi (il dossier di

Paparesta, ora opinionista a Mediaset…, il trapianto di Rodomonti in Svizzera,

il Puglisi ultrà milanista, il Copelli - e tutti gli altri - intimi di Meani)

o in peccato più grave di un incontro al ristorante in giorno di chiusura, del

potere di spostare le giornate di campionato e dei tentati taroccamenti di

sorteggio (“non lo dovete fare” disse quel tale a Mazzei).

Sono gli stessi che hanno elevato un solitario ex capostazione ad entità di

potenza superiore a capi di governo, banchieri e industriali. Gli stessi del

rigore su Ronaldo dimenticando West, quelli del gò di Turone ma non di

Mijatovic, quelli che dicono “sì, ma col Cagliari” ma che glissano sul resto

(rigore non dato a Matri col Parma, a Marchisio contro l’Inter, i due di

Catania, uno con la Fiorentina, i due in Coppa Italia, il mani di Vergassola,

Vucinic a Lecce, gli scempi di Parma). Il tutto nel ponziopilatismo più

completo su altre faccende (rigori pro-Milan a Bergamo, Genova, Bologna, mani

di Seedorf, simulazione di Boateng, gol di Thiago Motta annullato e

quant’altro).

Se poi volete i numeri, allora sbizzarritevi. Questo il saldo rigori post-2006

(pro-contro):

Inter 38-28

Juve 26-25

Milan 52-18

Roma 51-29

I dati parlano da soli, ma nessun opinionista si è mai sentito in dovere di

indignarsi, né di annunciarlo a tutta pagina.

Chi comanda i media comanda il gregge e in Italia il bene telegiornalistico

sportivo ha tutto l’aspetto di un fondo d’investimento comune, una sorta di

libretto di risparmio condiviso e redditizio cui tutti - tranne uno - possono

attingere. La Juventus in questo contesto, infatti, è un asset irrinunciabile:

da una parte le si concedono titoletti ad effimero consumo, dall’altra la si

sventra per servirla all’affamato di turno. La Juve è la cattiva contro la

quale sognare riscatto, il Golia che ogni Davide può ambire a distruggere, è

l’animus pugnandi dei fenomeni di provincia, dei Doni, dei Cossu, degli

Zampagna e dei Lucarelli. E’ l’illusione di fare qualcosa contro il potere,

l’inganno del libero arbitrio per chi del vero potere, quello che orienta il

gregge, nemmeno avverte l’esistenza.

Per tornare agli arbitri, ecco cosa li influenza davvero. Ricordate Pieri a

Pairetto? (intercettazione del 13.12.2004) “Figurati se davo un rigore alla

Juve, mi fucilavano!”. Si riferiva proprio ai mezzi di informazione. Provate a

digitare queste parole su Google, non troverete nessun articolo di Ġazzetta,

Corriere o Repubblica, ma solo blog e siti amatoriali a farne menzione.

Ci sarebbe da farne un libro, non un articolo, perché il processo di

costruzione del mostro è opera quasi artistica, meritevole di studio. Fatevi

queste domande:

Avete mai visto uno speciale televisivo su Marsiglia-Milan del ’91?

Chi si ricorda della meschina furberia in Atalanta-Milan di Coppa Italia 1990?

E del gol (pallone mezzo metro dentro) non dato al Bologna contro il Milan

nella stessa giornata della monetina di Alemao?

L’hanno mai fatta una puntata de “La tribù del calcio” sulla nebbia di

Belgrado?

Avete mai inteso sospetti televisivi sullo scudetto del 1988?

E un approfondimento in prima serata sui bilanci farlocchi o sulla vendita

del marchio?

Una puntata di “Sfide” sugli ultimi scudetti interisti (quelli delle 53

partite senza rigori contro) o su quelli dell’epoca di Herrera (lì arrivarono

a 99!)?

Un’analisi giornalistica sui favori nerazzurri nella Champions 2010?

Una puntata di “Report” sulle romane salvate dal fallimento?

Avete mai assistito a dibattiti sul caso Lentini e sui fondi neri del Milan

(i tre olandesi patteggiarono pene pecuniarie, Galliani se la cavò grazie alla

prescrizione, in seguito a una modifica legislativa promossa dal suo

presidente)?

Avete mai visto qualcuno correre in Grecia ad intervistare Georgatos

(presunte sostanze illecite negli spogliatoi interisti)?

Avete mai assistito a una telefonata all’espertone per chiarire i misteriosi

rifiuti milanisti (ancora più misteriose le spiegazioni) di sottoporsi ai

controlli del sangue?

Sono domande. Mica per accusare, mica per puntare il dito, sia chiaro. Ma

solo – uso parole loro – per fare giornalismo, per informare il cittadino, per

chiarire, approfondire, per dovere di cronaca, per il bene dello sport. E

anche per l’etica, s’intende.

E perché, alla fine, bisogna chiedersi che cosa in realtà abbiamo visto. Vi

aiuto a ricordare.

Avete visto la flebo di Cannavaro (all’epoca al Parma…), avete visto gli

opinionisti del Processo del Lunedì, le moviole chilometriche della domenica

sera, le pagliacciate delle tv locali, i salotti televisivi otto contro uno,

l’acciaio scadente del nuovo stadio, il doping, le prostitute del Viva Lain.

Ma ne avete viste anche di più curiose, talmente singolari che forse non le

ricordate: all’epoca della Juve di Capello le classifiche, oggi

inspiegabilmente sparite, del rapporto falli-ammonizioni, in cui

inevitabilmente i bianconeri erano avvantaggiati. Nel periodo del Capello

milanista, invece, la classifica era quella senza errori arbitrali in cui il

Milan, già primo, era ancora più primo, il Foggia (casualmente rossonero)

diventava secondo e la Juve precipitava dal sesto posto in giù. Avete anche

visto Montero mazzulatore e la santificazione di Gattuso e Materazzi. Avete

visto Vialli, Padovano e Iuliano sbattuti in prima pagina per faccende

inesistenti o ancora tutte da chiarire (ma non avete mai sentito parlare di

Paolo Maldini rinviato a giudizio per un’ipotesi di corruzione, o dei cinque

mesi di condanna a Franco Baresi per truffa, o della figlia segreta e mai

riconosciuta di Arrigo Sacchi). Avete visto titoli come “Ecco come truccavamo

i sorteggi”, “Ecco le 29 partite falsate”, “Juve non così”, “Processateli”,

“Juve, così non si può”, “Terrorizzati da Moggi”. Avete visto interviste

assortite a chiunque gravitasse in orbita antibianconera (Zeman, Gazzoni

Frascara, Travaglio, Boniek, devo andare avanti?) e persino all’ex presidente

Cobolli, usanza questa diventata ormai ciclica (ma chi ha mai intervistato

Pellegrini, Fraizzoli, Giussy Farina, Goveani e Tilli Romero?).

Avete visto di tutto. E anche peggio.

Adesso vi spiegate perché gli avversari contro la Juventus giocano tutti alla

morte. Adesso capite in quale direzione fanno soffiare il vento

dell’indignazione. Ora comprendete qual è la differenza tra il preparare le

partite sul velluto oppure in mezzo alle polemiche e ai sospetti. I calciatori

non sono macchine. Vivono nel nostro stesso ambiente, percepiscono il nostro

stesso ambiente, un habitat frusto e ripetitivo dove le convinzioni sono poche,

ma inattaccabili: lo spettacolo lo fanno il Milan, forse la Roma e

sicuramente la simpatica di turno (provate a riempirvi la bocca declamando “Il

Parma – o Chievo, o Udinese - gioca attualmente il miglior calcio in Italia”).

La Juve… beh la Juve ruba e basta. Non deve protestare. Se gioca bene è un

caso, perché è una squadra muscolare e operaia (quindi dopata, alluderebbero

alcuni). Non è questione di singole stagioni o di singoli episodi, è un dogma

radicato, preciso come il tg delle venti, rassicurante come un ovetto di

cioccolato.

Dove vogliamo arrivare quindi? Per noi lettori, telespettatori e fruitori, da

nessuna parte, se non proseguire nella strada già intrapresa (informarsi, non

de-formarsi dietro a tv e giornali). A muoversi deve essere la Juventus, la

società, l’establishment. L’obiettivo, infatti, non è quello di convincere gli

altri o di sostenere verbalmente un’antitesi a fronte di una tesi dominante.

Il risultato non si ottiene con ulteriori polemiche e fomentando dibattiti che,

nel migliore dei casi, vanno a rinforzare lo status quo attuale. E’

necessario agire, nel vero senso del termine. Il calcio, come la vita, è un

palcoscenico sul quale bisogna recitare. Una parte la si ha per forza, anche

se non la si desidera. Il vero controllo, il potere reale è scegliere quale

maschera vestire e saperla ben rappresentare.

E’ il momento di dire basta con lo stile Juve (che è solo uno dei tanti

ammortizzatori ad uso e consumo dei soliti) e con l’accondiscendenza verso il

mondo dell’opinionismo sportivo. Basta ai massacri gratuiti, ai processi

settimanali, allo svisceramento maniacale di ogni cosa juventina e alla sua

immancabile delegittimazione. Ma non deve essere un rifiuto da basso stomaco,

quanto piuttosto un proposito da interiorizzare e recitare in silenzio: una

presa di posizione definitiva, non un formula di facciata.

Lo sforzo è duro, tuttavia non impossibile. Un esempio: costa tanto dedicare

due o tre persone che giorno per giorno vaglino e setaccino il panorama

cartaceo e televisivo? E’ necessario monitorare ogni cosa e non lasciar

passare niente. Si usino le querele (certe bocche si tappano solo con quelle),

la diplomazia, la carota e il bastone. Si ingaggino esperti di comunicazione,

si costruisca un marchio granitico, un business di valore assoluto e si

facciano volare le sedie dove veramente conta. Si mandi in televisione solo

chi è autorizzato dalla società e li si istruisca su cosa dire e quando

(personalmente lascerei i salotti vuoti. Che i deliranti delirino, ma non in

nostra presenza. Sogno una televisione juventina, gratuita, professionale ma

gobba fino al midollo, che annulli ogni desiderio di abbeverarsi presso altre

fonti). Ma che rimanga tutto nelle segrete stanze: senza uno spiffero, si

agisca e basta.

L’occasione è fondamentale e il momento, anche se può non sembrare, è

propizio. Le basi ci sono tutte: dalla solidità in campo a quella societaria,

dalla rinnovata competenza tecnica alla passione sportiva. Non si faccia lo

stesso errore già commesso in passato, un errore che ci costò carissimo e che

spianò la strada verso Calciopoli: trascurare la comunicazione, non

preoccuparsi dell’immagine di sé che si percepisce all’esterno. Senza un

controllo su questo fronte può succedere di tutto. Questo è il passo

definitivo per essere veramente grandi, purché lo si consideri, finalmente,

come un obiettivo primario e irrinunciabile. Auguri Juve, preparati a drizzar

le gambe ai cani.

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Quando il saggio indica la luna,

lo sciocco guarda il dito

di ANTONIO CORSA (uccellinodidelpiero.com 17-02-2012)

«Gli arbitri hanno paura a fischiare in favore della Juventus». Questa è stata

la frase, che ha fatto il giro del mondo, con la quale Antonio Conte ha

denunciato, dopo Parma-Juventus, una situazione ormai divenuta insostenibile.

«Inizio ad avvertire un’aria che non riesco a spiegare ai miei calciatori, non

riesco a spiegare ai miei tifosi, non riesco a spiegare alla mia società. Ed è

un’aria pesante, che non mi piace». Il motivo? «E’ il segreto di Pulcinella».

E ancora: «Quello che chiedo è che, come ha detto Braschi, si tratti la

Juventus come tutte le altre, e non che tanto se si sbaglia contro la Juventus

va bene lo stesso, mentre se si sbaglia a favore il giorno dopo ti

ammazzano!». Una denuncia forte, durissima, ma – a tornare indietro nel tempo

– non l’unica, dal 2006 ad oggi.

Durante il purgatorio della Serie B, stagione 2006/07, l’allenatore Deschamps

ribadì più volte come gli arbitraggi fossero quasi sempre prevenuti e

complessivamente assai ostili alla Juventus. Una statistica su tutte:

nonostante un campionato dominato a suon di record con 94 punti e 83 reti

segnate, a nostro favore furono fischiati soltanto 3 rigori in 42 partite,

come Crotone e Verona (mentre Arezzo, Mantova e Albinoleffe erano in doppia

cifra, per capirci). Peggio di noi nessuno, tanto che, il 18 aprile 2007, dopo

l’ennesimo rigore non fischiato alla Juventus (contro il Rimini), i rapporti

tra la dirigenza bianconera e gli arbitri erano già ai minimi termini e si

prospettava un futuro non facile: «In Serie A ci andremo senza dover chiedere

nulla a nessuno, e di sicuro senza l’aiuto arbitrale. Ma se sarà il caso ci

faremo sentire perché così è davvero troppo», diceva un furioso Cobolli Gigli

a fine gara.

Un pregiudizio così palese e diffuso che Claudio Ranieri, neo allenatore

bianconero, confessò il 29 ottobre 2007, dopo i due regali di Bergonzi al

Napoli, come «già dal ritiro di Pinzolo avevo detto ai giocatori che gli

arbitri, per paura, avrebbero potuto prendere decisioni contro la Juventus».

Con la precisazione che «non ci sentiamo al centro di un complotto, ma nel

dubbio ci penalizzano. Forse stiamo pagando noi lo scandalo di calciopoli. Non

vogliamo aiuti, ma essere trattati come tutti gli altri». Stessi concetti, i

suoi, ribaditi quattro mesi dopo, il 24 febbraio 2008, quando la società,

tramite sito ufficiale, pubblicava una lettera aperta firmata a quattro mani

dal presidente Cobolli Gigli e dall’amministratore delegato Jean-Claude Blanc

ed indirizzata ai vertici di FIGC ed AIA. Anche in questo caso, senza giri di

parole, si denunciava come «alcune decisioni dei direttori di gara stanno

confermando un dubbio sollevato da più parti: e cioè, che nei confronti della

Juventus non vi sia un atteggiamento sereno e adeguato alla serietà con la

quale la Società e la squadra affrontano i propri impegni». E ancora: «La

Juventus non può continuare a pagare colpe per le quali ha già scontato una

pena estremamente severa e dalla quale si sta risollevando anche grazie alla

passione dei propri tifosi, che legittimamente chiedono rispetto». La sera

prima, l’arbitro Dondarini, incredibilmente mandato ad arbitrare la Juventus

nonostante imputato (e poi condannato) nel processo penale in corso a Napoli,

aveva commesso l’ennesimo errore contro la Juventus, in un contestatissimo

Reggina-Juventus.

Di sfoghi simili ce ne sono stati tanti, dall’infausta estate del 2006 in

poi. L’ultimo, prima di quello di Conte, è avvenuto soltanto un anno fa, il 2

febbraio 2011. Dopo un mani clamoroso non fischiato da Morganti in

Palermo-Juventus, l’allenatore Del Neri in televisione ribadiva: «Vogliamo

rispetto, vogliamo che ci venga dato quello che ci va dato. Perchè Calciopoli

è finita. Cinque anni fa. Se c’era, poi». Un attacco diretto «perchè a stare

zitti non si ottiene nulla», cui fecero seguito le parole dell’amministratore

delegato Marotta: «Non sono qui ad accampare delle scuse ma voglio esprimere

una critica molto decisa nei confronti della classe arbitrale e

dell’atteggiamento verso la Juventus. Non vorrei che le nostre valutazioni su

Calciopoli siano intervenute in questo tipo di comportamenti. Non vorrei che

quella che prima si definiva sudditanza ora diventi arroganza, che superi

l’oggettività degli episodi in questione».

Capirete, perciò, che rileggere le dichiarazioni di Antonio Conte e limitarle

al rigore o meno non fischiato, o tirare in ballo i falli di mano di Cagliari

o il presunto rigore (“tuffo”) di Giovinco, come fatto da diversi giornalisti,

è dare una lettura assolutamente superficiale e inadeguata al “problema”, che

non è un rigore in più o in meno, ma è l’incapacità da parte dei vertici di

FIGC e AIA di garantire serenità ed equità di trattamento verso chi già tale

disparità l’ha denunciata, finanche nei tribunali. Non è questione di 2 punti

in più o in meno, ma di statistiche che si commentano da sole. Da calciopoli

in poi, se si prendono in considerazione le squadre sempre presenti in A più

le tre big (Juventus, Napoli e Genoa) che salirono quell’anno dalla B, i

numeri dicono che i bianconeri si sono visti assegnare 26 rigori a favore e 25

contro. Tutte le altre dodici società hanno un saldo migliore e hanno

usufruito di un numero maggiore di rigori: Lazio e Fiorentina (29), Cagliari

(32), Catania (33), Palermo (34), Udinese (35), Inter (38), Napoli (39), Genoa

(42), Roma (51) e Milan (52). Meno di tutte Juventus, Lazio e Fiorentina. Sarà

un caso (l’ennesimo) pure questo? Sarà il modo di giocare delle tre squadre?

Sarà sfortuna? O è quella paura che da sei anni viene denunciata dalla

Juventus? E’ questo il dubbio che ci si vuole togliere, perchè i sospetti

vanno avanti da allora, e nessuno è ancora riuscito a chiarirli del tutto, se

è vero che finora Braschi, così come Collina prima di lui, si è limitato

semplicemente ad un banale «la Juventus va trattata come tutte le altre».

Se Conte parla della pressione che un arbitro riceve non solo dai media (lì

segno della croce e amen, li abbiamo contro da ben prima di calciopoli...), ma

anche (e cito) «dai vertici arbitrali», non si può rispondere con un «I

commenti non ci possono sfiorare» (con la prestazione di Mazzoleni guidicata

positiva). Specie dopo che il povero Doveri, per aver assegnato l’unico (!)

rigore (all’88° e sull’1-0 per noi) finora fischiato alla Juventus, è stato

fermato 4 turni (e di fatto la sua carriera, che pareva molto promettente, è

da allora definitivamente compromessa, e basta vedere quanto poco sia stato

utilizzato da allora, in A). Un trattamento, il suo, che non è stato riservato

a chi, invece, ha sbagliato contro la Juventus (anzi, appunto, la prestazione

è giudicata incredibilmente “positiva”). Il signor Braschi, tra una battuta e

l’altra, farebbe meglio a spiegare (è il suo compito) proprio agli arbitri,

prima che a noi e alla Juventus, perché accadono questa disparità, tra l’altro

pure così alla luce del sole (rispondetevi: aveste un fischietto in bocca,

cosa fareste, viste le conseguenze?).

Non si può, infine, rispondere allo sfogo di Conte con la serie di banalità e

battute da asilo nido che si sono susseguite in queste ore. Cito le più belle

(manca solo Gigi Simoni, ma uscirà presto pure lui). Ranieri: “Con loro hanno

paura? Con noi sono terrorizzati” (che pare tanto una gara a chi ce l’ha più

lungo: appunto, roba da ragazzi). Lo Monaco: “Conte vuole aizzare i tifosi”

(come se avessimo mai bruciato cassonetti, spaccato vetrine, minacciato di

entrare in FIGC e paralizzare Roma, noi). Zeman (ovviamente): «L’unico rigore

chiaro era quello in favore del Parma per il fallo su Giovinco» (ormai è la

caricatura di se stesso). Seguito da un «Rispetto al passato oggi a certe

squadre non danno 20 rigori a stagione come allora» (sţronzata smentita dai

numeri). Zamparini: “Se la Juve si lamenta degli arbitri noi cosa dovremmo

fare?” (e vabbè, basta dire che quest’anno a dirigere Juventus-Palermo 3-0 ci

hanno mandato Bergonzi...). Proprio quest’ultima domanda riassume un po’ tutto:

paradossalmente, la Juventus rubava prima di calciopoli e ruba pure dopo.

Nonostante i fatti e i numeri. Nonostante sia uscita penalizzata nelle ultime

due gare. Nonostante sia lei a lamentarsi, e non il contrario.

Così non è una cosa seria. Così è come il saggio che indica la luna, e lo

sciocco che guarda il dito. Peccato che, come direbbe il prof. Kantor, di

sciocchi è notoriamente pieno il mondo.

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Rybolovlev, il russo che ha comprato una

squadra di calcio per sfuggire alla ex moglie

La carriera del nuovo presidente del Monaco di Marco Simone

di FRANCESCO CAREMANI (IL FOGLIO.it 17-02-2012)

Si può comprare una squadra di calcio per non pagare gli alimenti

all’ex moglie? Pare di sì. Dmitry Rybolovlev è il nuovo proprietario dell’AS

Monaco, squadra dell’omonimo Principato retrocessa in Ligue 2 e oggi penultima,

a distanza siderale dalla capolista Reims. Una situazione che non fa onore a

Marco Simone, già milanista e grande ex dei biancorossi monegaschi, anche se

il suo ingaggio come allenatore (alla sua primissima esperienza) ha fatto

storcere il naso alla critica francese. I risultati, purtroppo, le danno

ragione. Rybolovlev ha comprato i due terzi del club, diventandone presidente,

mentre Evgeny Smolentsev, ex Direttore sportivo dello Spartak Mosca, è

Direttore esecutivo, il braccio operativo di Dmitry che ha subito confermato

Simone.

In Francia sono in molti a chiedersi cosa ci fa un miliardario russo con u

na squadra che rischia di retrocedere nel National, soprattutto confrontandolo

con quello che gli emiri del Qatar stanno facendo col PSG, altra storia, altro

seguito, altro mercato, soprattutto in chiave merchandising. Sono molto

lontani gli anni Settanta, quando il Monaco retrocesse, riconquistò subito la

Ligue 1 e poi vinse il titolo. Rybolovlev ha promesso che metterà nelle casse

della società 100 milioni di euro in 4 anni, davvero una bella cifra,

soprattutto se confrontata con quanto il Monaco ha speso nelle campagne

acquisti degli ultimi 6 anni: 87.850.000, con un saldo attivo di 21. 225. 000

euro.

La moglie l’ha accusato d’infedeltà per delle orge che Dmitry avrebbe fatto

nel suo yacht con delle modelle, chiedendo 6 miliardi di dollari per danni e

interessi. Rybolovlev ha disseminato la sua fortuna tra Cipro, Svizzera, Isole

Vergini e Singapore, i suoi conti bancari sono blindati, non sarà facile

risalire al totale e quantificare gli alimenti, anche perché non esiste un

contratto prematrimoniale. Tristezze che, però, secondo France Football

avrebbero indotto il magnate russo a investire nel Monaco, anche se a parte le

cifre già citate non c’è ancora un programma societario e sportivo.

Studente di medicina, lavora per suo padre prima d’investire in Borsa,

fondare una compagnia d’investimenti, poi una banca, Credit FD, facendo infine

fortuna (quella vera) con la caduta del regime comunista, quando acquista a un

prezzo stracciato una società che produce fertilizzanti a base di potassio,

estratto dalle miniere degli Urali. Quasi contestualmente viene accusato di

essere il mandante dell’omicidio del proprietario di un’azienda chimica della

zona e finisce in carcere per dieci mesi, uscendone solo perché un testimone

chiave si ritira. Decide così di lasciare la Russia, terra difficile per i

nuovi ricchi, stabilendo la sua residenza tra Stati Uniti, Principato di

Monaco e Svizzera, guarda caso. Nel 2004 apre a Ginevra una società di trading

che fa il botto al London Stock Exchange; Forbes calcola la sua ricchezza in 9,5

miliardi di dollari. E' a questo punto che Dmitry inizia a finanziare la

Fondazione (controllata direttamente dal presidente Medvedev) che sostiene gli

sport olimpici russi, insieme con Abramovich, Bogdanov e Potanine. Mentre

Putin vuole riprendere il controllo totale di tutte le materie prime della

Russia. Rybolovlev capisce che non può opporsi al potere politico (a rischio

della vita), così decide di vendere le azioni del gruppo Uralkali a Suleiman

Kerimov, patron dell’Anzhi FC, e ad altri due uomini d’affari legati al

Cremlino per 5,3 miliardi di dollari.

Il Monaco vanta 7 campionati, 5 coppe di Francia, una di Lega e 4

supercoppe. Fucina di talenti come Henry e Trezeguet, oggi si deve accontentare

di Ludovic Giuly, ex Lione e Barcellona. Frédéric Bolotny, esperto di economia

sportiva, dubita delle buone intenzioni del magnate russo, anche se realisticamente

afferma: "Il Monaco non ha altra scelta se vuole tornare un club di primo

piano". L’attuale valore di mercato della rosa monegasca è poco superiore a 35

milioni di euro e se si salverà dall’incubo National potrà programmare un

ritorno in grande stile in Ligue 1. Ex moglie permettendo.

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LETTERE

PortoFranco

a cura di FRANCO ARTURI

(GaSport 17-02-2012)

Per la Juve,

contro la Juve

Ora mi sono stufato. La Juve sta subendo ancora lo strapotere dei poteri forti

che non concedono un rigore nemmeno se sparano ai giocatori bianconeri

nell'area avversaria. Neanche ad una squadra dilettantistica riservano lo

stesso trattamento negativo. Fino a quanto si dovrà continuare a vedere questi

scandali? Le colpe da espiare si sono espiate sino all'ultimo centesimo.

Dante Derose

Dopo la prima partita di campionato stravinta dalla Juve proprio sul Parma,

Conte si lamentò per un rigore non concesso a Matri. Ritenni la polemica del

tutto fuori luogo. Ma Conte è cresciuto nella Juve e conosce i giochi di

potere che hanno coinvolto il club dove ora allena. Ricorda, giustamente, i

torti subiti, e ci sono sia chiaro, ma omette i favori avuti; ci dice che la

Juve sta ancora subendo calciopoli dimenticando quanti club sono stati vittima

di quel sistema. I vertici del club bianconero hanno sempre ricordato che solo

il campo è veritiero, quindi Conte si adegui: è la loro storia che lo insegna.

Mario Gallone (Milano)

Il rito nazionale del complotto e del «dagli all’arbitro» è come il

gioco del domino, che ha un potere ipnotico e può durare all’infinito,

attaccando una tessera dietro l’altra, una confutazione dopo un’accusa,

un sospetto dopo un rigore. Il vostro ping pong ha infiniti punti di

attacco come le valenze in chimica: non finisce qui, naturalmente. Ci

sono le varianti e i danni collaterali, per esempio, cioè le terze,

quarte e quinte squadre coinvolte. La prossima puntata la sentiremo

quando la Juve avrà un regalo arbitrale. Perché succederà,

naturalmente. Allora, chi lo sentiranno Galliani e l’avversario di

turno dei bianconeri? Azzardo una sceneggiatura di quel momento.

Blocco anti-Juve: «Ecco che cosa si ottiene a forza di lamenti,

saranno contenti adesso». Juve: «Siamo ancora in credito dopo tutti i

torti che abbiamo subito». E’ come le favole che si raccontano ai

bimbi, che le vogliono sentire sempre uguali e s’incantano ad

ascoltarle nonostante conoscano ogni parola e tutti i dettagli. Tanto

rassicuranti perchè uguali a se stesse. Noi tifosi (ma anche tanti

addetti ai lavori che preferiscono questi argomenti a quelli

propriamente tecnici) assomigliamo molto a quei fanciulli innocenti:

la colpa è sempre degli altri, la percezione dell’io e della realtà è

ancora in costruzione. Fra duemila anni saremo cresciuti.

Modificato da Ghost Dog

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LA POLEMICA DOPO L’INTERVISTA DEL PRESIDENTE DEL CONI

Spaccatura tra i club

Netta divisione in Lega:

da Beretta ai soldi tv

L’attacco di Petrucci è arrivato a segno, ma la poltrona del

presidente è solo l’antipasto: la battaglia è sui diritti tv 2012-15

di MARCO IARIA (GaSport 18-02-2012)

Situazione%20Correnti.jpg

Mentre la Federazione è pronta ad attivarsi e a raccogliere il monito di

Petrucci, come potete leggere nella pagina a fianco, in Lega la miccia è

rimasta corta. Sarà perché il capo del Coni già in passato aveva messo nel

mirino Beretta e tutta la Serie A, sarà perché qualsiasi tentativo di moral

suasion teso a propiziare un'innovazione del sistema si scontra con la cruda

realtà: la Lega gestisce un miliardo di ricavi tv all'anno, per questo i club

si guardano in cagnesco e litigano su tutto. Le società «riformiste» hanno

salutato con favore l'intervista di Petrucci alla Ġazzetta. Ma sono le prime a

rendersi conto che la strada è in salita.

Vorrei ma non posso Roma, Napoli, Udinese, ultimamente Fiorentina,

ma anche Milan e Juventus, si battono perché si discuti, prioritariamente, di una

nuova governance, restituendo potere al consiglio ed evitando i continui,

estenuanti e spesso infruttuosi passaggi in assemblea. In vista della riunione-chiave

del 2 marzo, chiesta dagli 8 club «ribelli» per la formalizzazione delle

dimissioni di Beretta e le elezioni di un sostituto, le diplomazie sono al

lavoro per condurre il dibattito verso la struttura della Lega stessa. Ma

restano ancora una minoranza. Siccome, però, la vera posta in gioco non è la

poltrona di Beretta ma i soldi delle tv, ecco che l'assemblea del 2 non sarà

altro che un gustoso antipasto di ciò che vedremo presto in onda dalle parti

di via Rosellini: una battaglia, ancor più feroce della precedente, sulla

spartizione dei proventi del triennio 2012-15. Perché se allora si era finiti

in tribunale semplicemente perché non ci si metteva d'accordo su come

calcolare i bacini d'utenza (il 25% della torta), immaginatevi cosa potrà

succedere quando, nei prossimi mesi, bisognerà trovare un accordo sull'intero

sistema di ripartizione. Sì perché la Legge Melandri assegna adesso ampia

autonomia alla Lega sul peso da dare a tutte le voci (quindi anche alla quota

da dividere in parti uguali e a quella legata ai risultati).

Schieramenti Proprio per questo l'alleanza tra Juventus e Milan, nonostante

le beghe arbitrali, resta saldissima. Entrambi i club si opporranno alla

destituzione di Beretta soprattutto perché temono che cedendo adesso alle

medio-piccole (a parte l'Inter, le firmatarie della lettera sono Palermo,

Cagliari, Bologna, Cesena, Siena, Novara e Lecce) finiranno col dare partita

vinta su ciò che conta di più: i quattrini. Il ragionamento di Agnelli e

Galliani è il seguente: prima si parla della spartizione del 2012-15, poi si

elegge un nuovo presidente. La domanda, a questo punto, è: perché tra le big

non c'è l'Inter? Le motivazioni di Moratti sono diverse. Non a caso, in una

delle ultime assemblee Claudio Lotito ha tentato di aggredire l'a. d.

nerazzurro Paolillo: è dovuto intervenire Galliani per dividerli. Proprio il

patron della Lazio, lunedì, ha ricevuto una lettera dalla Federcalcio (inviata

per conoscenza a Beretta) con cui è stato informato che, alla luce delle nuove

norme del Coni, è immediatamente sospeso dalla carica di consigliere federale,

oltre che da quella di dirigente di club: se il 2 marzo andrà in assemblea,

scoppierà l'incidente istituzionale.

Toto-presidente Beretta, dal canto suo, non rassegnerà le dimissioni se

non ci sarà una maggioranza (leggi 14 voti) a chiederglielo. E questa il 2 marzo

difficilmente ci sarà. I ribelli sono 8 e possono arrivare a 10, massimo 12

voti. L'alternativa Cardinaletti non pare raccogliere grandi consensi. Ieri il

presidente della Lega è stato tirato dentro una polemica per il suo incarico

in UniCredit. Il Palermo si è lamentato del fatto che la banca gli abbia tolto

un fido di 2,5 milioni: «Risulta strano per una banca fortemente interessata

ad un'altra squadra di A. Tanto strano anche in virtù del fatto che Beretta,

di cui abbiamo chiesto le dimissioni, è un alto funzionario di UniCredit».

Replica stizzita della banca: «I fidi vengono erogati da alti dirigenti che

seguono le aziende. Beretta è una persona perbene che nulla ha a che fare con

attività che vengono gestite direttamente da uffici preposti. Il suo nome è

stato tirato in ballo in modo opportuno (sic!, ndt)».

L’OPPOSITORE
CELLINO (CAGLIARI)

«Il commissario

è l’ultima carta

Svolta interna»

«Via Beretta e la Lega di A

può risollevarsi da sola. Va

ridata forza al Consiglio»

di CARLO LAUDISA (GaSport 18-02-2012)

L'affondo di Gianni Petrucci va addirittura oltre il pasdaran Massimo

Cellino, il contestatore per eccellenza di Maurizio Beretta. Come

prende, allora il presidente del Cagliari, nonché consigliere federale,

l'auspicio del timoniere del Coni di commissariare la Lega?

«Io la prendo come una provocazione per indurre la Lega di Serie A a

una svolta, a questo punto necessaria».

Quindi è favorevole all'ipotesi di Abete commissario ad acta?

«Io ho stima per Giancarlo Abete. Ricordo di aver collaborato con lui

la scorsa estate per provare a evitare lo sciopero dei calciatori.

Quindi non ho remore verso la persona, ha l'equilibrio per recitare

bene anche questa parte».

Allora è d'accordo?

«In Lega si gioca una partita importante. Se Beretta non avverte

l'esigenza di dimettersi è un suo problema, ma credo che la prossima

assemblea finalmente lo indurrà a prendere atto della volontà dei

club. Anche se non avrà 14 voti contro. Ricordi il suo conflitto

d'interessi».

Ma se ciò non accade?

«Allora saremmo costretti a prendere atto degli ammonimenti di

Petrucci. Ma spero proprio di no. Il calcio non può stare sotto

schiaffo. Anche il mandato di Petrucci è in scadenza. Non può essere

lui a darci la linea, rendiamocene conto. Usciamo da soli da

quest'imbarazzo».

Lei vede Cardinaletti al posto di Beretta?

«Mi può star bene. Ma non faccio questione di nomi. Occorre ridare

importanza al consiglio di Lega e mettere mano alle riforme».

la
Puntura

di ROBERTO PELUCCHI

(GaSport 18-02-2012)

Zamparini sfiducia Beretta

e UniCredit toglie al

Palermo un fido di due

milioni e mezzo di euro.

Potrebbe essere un caso,

ma se non lo fosse la storia

sarebbe istruttiva.

Dimostrerebbe che il potere

tollera un solo fido, quello

che fa «bau bau».

Palazzo di Vetro

di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 18-02-2012)

«Riforme subito»

Abete, sì a Petrucci

ma il tempo è poco

Alla fine sarà il Coni a metterci mano,

come ha fatto con la giustizia sportiva

«Sono d’accordo con Petrucci. Avanti al più presto con le riforme, a

cominciare da quelle che riguardano tutte le governance». Non dice di più

Giancarlo Abete, all’indomani dell’intervista che il presidente del Coni ha

rilasciato alla Ġazzetta dello Sport. Nella quale, chiuso con amarezza il

capitolo Roma 2020, l’attenzione è tutta spostata sul calcio da cambiare e in

particolare sulla situazione della Lega di serie A diventata secondo Petrucci,

per svariati motivi, «insopportabile».

Non dice di più, Abete, ma ha colto benissimo il sottile e significativo

cambiamento di indirizzo. Petrucci smette di sparare su Beretta e Lotito, lo

stava facendo dall’autunno scorso, e invita il presidente della Federcalcio a

darsi da fare. Invito piuttosto esplicito a ricambiare una solidarietà e una

vicinanza che dal luglio 2010, subito dopo il tonfo azzurro del Mondiale,

Petrucci non gli ha mai fatto venire meno.

Abete incassa il garbato richiamo e rilancia. La dichiarazione ufficiale è

assai laconica eppure piena di contenuti: il riferimento a «tutte le

governance» riguarda Lega di A, con quel Regolamento ipergarantista che tiene

tutto in stallo, ma anche Federazione, coi suoi famigerati diritti di veto cui

è stata sottratta solo l’elezione del presidente federale. C’è molto lavoro da

fare, o almeno da tentare di fare. Per arrivare nei tempi giusti a consegnare

il risultato, o il non risultato, all’attenzione del Coni. Non riuscire a

eleggere un nuovo presidente di Lega di A nemmeno dopo la scadenza del mandato

di Beretta (30 giugno) o non riuscire attraverso l’infinito e fin qui inutile

tavolo delle riforme (è aperto da luglio 2010) a riscrivere il peso in

Consiglio federale delle Leghe, ora che sono diventate quattro, equivarrebbe a

rimettersi a un nuovo e definitivo intervento dall’alto. Un po’ come è

avvenuto recentemente per codice etico, giustizia sportiva e incompetenze in

ordine sparso.

Sulle altre questioni: Abete è scandalizzato quanto Petrucci della

sottovalutazione che la Lega di A, al contrario di B e Pro, mostra di avere

del caso scommesse, destinato a riservare qualche brutta sorpresa a più di un

club. Quanto alla mutualità sui diritti tv e al Coni «ignorato», Abete al di

là della forma vede la sostanza di un bicchiere mezzo pieno, l’accordo tra

Leghe fino al 30 giugno c’è e a vedersela con quanto dovuto al Coni in un modo

o nell’altro ci penserà lui. Su Lotito e le sue «invasioni» da consigliere

federale e presidente di club sospeso, invece, Abete ributta la palla in campo

Coni. E’ il Garante del Codice di Comportamento Sportivo del Coni professor

Paolo Salvatore che deve occuparsene, e segnalare il caso agli organi di

giustizia della Figc, che in materia di codice etico a quanto pare non

potrebbero muoversi autonomamente. Lotito, comunque, non riceverà l’invito per

il Consiglio federale del 28 febbraio.

Le miglior intenzioni, come sempre, animano presente e futuro di Abete. Quel

che l’aspetta alla fine della stagione è però da far tremare le vene dei

polsi. Scade tutto, tutto va rinnovato, cariche, accordi, contratti collettivi,

mutualità, organi di giustizia e chi più ne ha più ne metta. Tutto durante o

subito dopo gli Europei e il processo sulle scommesse. Auguri presidente. Ne ha

davvero bisogno.

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Giornalisti "tifosi":

serve un esame di coscienza

di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica "NON CI POSSO CREDERE!" (SportWeek 18-02-2012)

Alla conferenza stampa di Contador i giornalisti spagnoli hanno

applaudito il ciclista squalificato. Scena vergognosa, che dà

un’ulteriore picconata alla credibilità della categoria. Non possiamo

però permetterci di fare troppo i moralisti. Anche noi - intesi come

operatori italiani dell’informazione - abbiamo discreti scheletri. Su

radio e tv della nostra Penisola imperversa la figura del

giornalista-tifoso: urla, invettive, la negazione dell’evidenza come

linea editoriale. E poi Calciopoli, lo scandalo degli scandali. Una

parte di cronisti e/o opinionisti si è schierata, ha deciso che

Luciano Moggi e gli altri sono innocenti a prescindere dalle sentenze,

fin qui tutte di colpevolezza. C’è chi lo fa per interesse di bottega,

per soddisfare una fetta di mercato (per lo più juventini avvelenati).

C’è chi si comporta così in nome di vecchie amicizie e consuetudini:

tu dai una notizia vera a me e io scrivo che il terzino Scarso de

Scarsis interessa al Manchester United (è falso, ma ti faccio un

favore, le quotazioni di Scarso de Scarsis salgono un pochino). Per

interi campionati, nell’età dell’oro del moggismo, si è andati avanti

così, tra pacche sulle spalle e ammiccamenti. «Nessuno capisce di

calcio come Lucianone», la frase buttata lì a troncare le obiezioni. È

il momento che il giornalismo sportivo italiano faccia i conti con se

stesso, senza nascondersi dietro Contador.

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Giornalisti "tifosi":

serve un esame di coscienza

di SEBASTIANO VERNAZZA dalla rubrica "NON CI POSSO CREDERE!" (SportWeek 18-02-2012)

Alla conferenza stampa di Contador i giornalisti spagnoli hanno

applaudito il ciclista squalificato. Scena vergognosa, che dà

un’ulteriore picconata alla credibilità della categoria. Non possiamo

però permetterci di fare troppo i moralisti. Anche noi - intesi come

operatori italiani dell’informazione - abbiamo discreti scheletri. Su

radio e tv della nostra Penisola imperversa la figura del

giornalista-tifoso: urla, invettive, la negazione dell’evidenza come

linea editoriale. E poi Calciopoli, lo scandalo degli scandali. Una

parte di cronisti e/o opinionisti si è schierata, ha deciso che

Luciano Moggi e gli altri sono innocenti a prescindere dalle sentenze,

fin qui tutte di colpevolezza. C’è chi lo fa per interesse di bottega,

per soddisfare una fetta di mercato (per lo più juventini avvelenati).

C’è chi si comporta così in nome di vecchie amicizie e consuetudini:

tu dai una notizia vera a me e io scrivo che il terzino Scarso de

Scarsis interessa al Manchester United (è falso, ma ti faccio un

favore, le quotazioni di Scarso de Scarsis salgono un pochino). Per

interi campionati, nell’età dell’oro del moggismo, si è andati avanti

così, tra pacche sulle spalle e ammiccamenti. «Nessuno capisce di

calcio come Lucianone», la frase buttata lì a troncare le obiezioni. È

il momento che il giornalismo sportivo italiano faccia i conti con se

stesso, senza nascondersi dietro Contador.

bello questo articolo. i giornalisti ci fanno la figura delle puttane. sembra un articolo uscito da questo forum mh

se poi aveva intenzione di gettare anche un po' di fango su moggi, cosi' en passant, beh, non c'è riuscito. moggi curava i propri interessi e non era certo l'unico ad avere rapporti con le puttane con la biro.

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bello questo articolo. i giornalisti ci fanno la figura delle puttane. sembra un articolo uscito da questo forum mh

[...]

Ad esempio, archiviamo qui anche il seguente articolo

Giornalista dichiaratamente non interista (e non spergiuro)

___

I miei 28 anni «in panchina»

di FABIO MONTI (CorSera - Milano 07-02-2012)

Ventotto anni con gli allenatori dell'Inter. Il più trascinante? Gigi Radice,

chiamato a Milano per ripetere quello che aveva fatto con il Torino dello

scudetto '76. Allenava anche i giornalisti, nel senso che, per chi aveva

voglia di ascoltarlo, non negava mai una spiegazione. L'Inter era la sua

grande sfida e l'avrebbe vinta, se il cambio in società del gennaio '84, da

Fraizzoli a Pellegrini, non gli fosse costato la panchina, quando molto lavoro

era stato fatto, costringendolo a emigrare a Torino: un ritorno con uno

storico secondo posto. Il sognatore? Leonardo, l'uomo che fino al sabato del

derby aveva reso possibile un traguardo impossibile (il sorpasso scudetto),

facendo vedere un grande calcio. Il più bravo? Roberto Mancini. Ha cambiato la

storia nerazzurra, rimettendo l'idea del gioco al centro del pianeta ed ha

ridato alla squadra la capacità di vincere. Il più grande? José Mourinho,

l'uomo che ha fatto rivivere agli interisti il mito di Herrera. Un motivatore

eccezionale, un grande attore, bravo a studiare i dettagli non solo delle

partite, ma anche delle conferenze-stampa. Il più preparato? Chi ha lavorato

con lui non ha dubbi: Mircea Lucescu. Ma è stato una meteora, arrivato dopo il

traumatico licenziamento di Simoni, che la squadra avrebbe voluto trattenere e

quando già era chiara la scelta di Lippi per l'anno successivo. Il più

british? Roy Hodgson. Troppo signore, per un ambiente irrequieto come l'Inter,

troppo signore anche nei confronti di critiche spesso ingiuste. E non è un

caso che gli stesse sempre accanto Facchetti. Due lord. Quello che manca di

più all'Inter e a tutti? Non un allenatore, ma Lele Oriali. Invece di

continuare a lavorare in nerazzurro dopo il triplete, è stato costretto a fare

le valigie. Perché?

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L’inchiesta Doni su Padova-Atalanta: «Accordo? Provo a vedere se qualcuno mi dice qualcosa...»

Scommesse, indagato Pellissier

l'attaccante «avvicinabile»

Il capitano del Chievo citato almeno in due deposizioni

di CLAUDIO DEL FRATE & ARIANNA RAVELLI (CorSera 18-02-2012)

Il capitano del Chievo Sergio Pellissier è ufficialmente tra gli indagati

nell'inchiesta sul calcioscommesse di Cremona. Il dettaglio emerge dalla mole

dei nuovi atti depositati dagli inquirenti: il 23 gennaio scorso il pm Roberto

Di Martino ha infatti chiesto una proroga di sei mesi delle indagini nei

confronti del giocatore, termine che sarebbe scaduto di lì a pochi giorni. I

reati ipotizzati dal magistrato sono associazione per delinquere e truffa, gli

stessi per cui è sotto indagine la maggior parte dei personaggi coinvolti

nell'affaire.

Pellissier è sempre stato uno degli elementi in chiaroscuro dell'inchiesta:

viene più volte citato da altri coindagati che lo definiscono elemento

«avvicinabile» per pilotare i risultati del Chievo, ma non era mai stato

indicato con certezza come indagato. Di più: l'attaccante non era stato

nemmeno deferito dal procuratore della Federcalcio Stefano Palazzi in

occasione del processo sportivo della scorsa estate e dunque era uscito senza

ammaccature del primo tourbillon disciplinare. Quella depositata da Di Martino

lo scorso 23 gennaio è una richiesta di proroga delle indagini: segno che il

calciatore era già da sei mesi sotto l'attenzione degli inquirenti. Il

documento non specifica a quali episodi facciano riferimento i sospetti sul

calciatore, che però è citato nelle deposizioni di almeno due coindagati, il

calciatore Carlo Gervasoni e lo scommettitore Massimo Erodiani.

Un altro volto conosciuto dell'inchiesta, Beppe Signori, si difende invece

per quanto riguarda i suoi contatti con l'Ungheria; agli atti c'è un

brogliaccio che elenca tutte le chiamate che gli indagati ricevono dal paese

magiaro (uno di quelli in cui si era radicato lo scandalo) e tra i destinatari

di queste telefonate c'è anche Signori. Ieri il suo avvocato Alfonso De Amicis

ha specificato che si tratta solo di conversazioni con dirigenti del Sofron,

il club nel quale il giocatore aveva chiuso la sua carriera.

Dai nuovi verbali emergono altri dettagli curiosi su Cristiano Doni. Di

Atalanta-Piacenza (3-0), del rigore tirato centralmente si sa tutto, era un

po' meno chiaro lo svolgimento dei fatti di Padova-Atalanta. I «mercati» si

aspettano un pari tra le due squadre, tanto è vero che le quote nelle agenzie

di scommesse crollano. Benfenati — che monitora gli andamenti delle puntate

come un investitore di Piazza Affari — se ne accorge subito e chiama l'amico

Cristiano: «Non è che vi siete messi d'accordo?». La risposta, com'è riferita

da Doni nell'interrogatorio, è divertente: «Guarda se vuoi quando sono là, il

giorno della partita, faccio la ricognizione del campo (...). Provo a vedere

se c'è qualcuno che mi dice qualcosa». Il giocatore dell'Atalanta racconta poi

al Gip Salvini di non avere nessuna percezione che le combine fossero un reato

penale. Non solo: «finire in galera» era diventata una battuta ricorrente ai

Bagni di Cervia. «È stato il tormentone dell'estate. Quelli che non erano

coinvolti ci prendevano in giro, era diventata proprio una battuta. Mai mi

sarei immaginato di finirci davvero».

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Inter-Bologna: gli interisti che invocano Mourinho sono come gli juventini che rivolevano Moggi

di Massimiliano Bordignon in Milano Sport -Blogosfere 18-02-2012

E' giustificato contestare duramente una squadra, l'Inter, che negli ultimi anni ha vinto tutto? Rimango dell'idea che la 'prostituzione intellettuale' di chi invoca Mourinho non sia diversa da quella che ha portato gli juventini a invocare Moggi

I tifosi dell'Inter che sbraitano contro una squadra e una dirigenza che ha regalato loro le uniche gioie di una 'vita da mediocri' sono davvero incomprensibili. Appena poco di più di un anno è passato dal triplete dei poveri, quello dei 'campioni del mondo' contro una formazione di sconosciuti congolesi. Ma tant'è. Si sa...

Il tifo interista è bizzarro e molto, ma molto particolare. Quando si perde tutti a casa, o a ringhiare bestemmie in faccia agli osannati 'eroi' che fino a poche giornate fa avevano fatto sognare la più incredibile delle rincorse scudetto. Riconoscenza zero. Eppure dell'Inter che invece, ben più seriamente si laureò campione d'Europa non più tardi del 22 maggio 2010 sono rimasti in molti: a memoria cito Julio Cesar, Maicon, Lucio, Cordoba, Samuel, Chivu, Zanetti, Cambiasso, Snejider e Milito. Più briciole. Ma è storia.

Così come sono storia i motorini gettati giù dagli spalti, i seggiolini in campo dopo il ko contro l'Alaves, le spedizioni punitive a bordo del pullman della squadra nell'anno dello 'scudetto di cartone'. Poi, lungo il lasso di tempo del 'ciclo di Guido Rossi', eccoli lì, tutti campioni. Leggende dello sport, più forti dell'ingiustizia, anche se le sconfitte erano fatte di sei pere in saccoccia. L'importante in casa Inter è comunque solo vincere, non importa come e grazie a chi. L'importante è dire, più o meno "te l'ho messo in C**O", scusate il francesismo. Ricordiamo ancora tutti il signorile gesto dell'ombrello di patron Massimo Moratti in un derby, l'uomo in fuga a mezz'ora dalla fine, perché l'importante è stare a fianco dei ragazzi. E allora chissenefrega, invochiamo tutti José Mourinho, lo 'special Uan', uno squallido personaggio che una squadra seria, il Real Madrid, probabilmente metterà alla porta.

Uno spirito davvero sportivo. Uguale a quello che ha spinto altri 'signori', quelli del popolo juventino, a cui è ora bastato servire un appena decente Antonio Conte per tornare a indossare la maglia 'carcerata' e che fino a pochi mesi fa vedevano nel ritorno di Luciano Moggi l'unica ancora di salvezza. Insomma, in casa Inter è tornato tutto come da copione: contestazione feroce, biglie in campo, manate sulle auto dei dirigenti. Ma davvero questo è essere tifosi? A casa mia, scusatemi tanto, ma la fede è proprio un'altra cosa.

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IL CASO

Un calcio alle Falkland

Campionato argentino col nome di una nave della guerra del 1982.

di GABRIELE PERRONE (Lettera43.it 17-02-2012)

A distanza di 30 anni, la guerra delle Falkland è più attuale che mai. E

adesso il conflitto tra Argentina e Inghilterra si è trasferito anche nel

mondo del calcio. Lo dimostra il fatto che la Federazione calcistica argentina

(Afa) ha deciso di cambiare il nome del torneo di Clausura del campionato di

Primera Division in quello del «Crucero General Belgrano», cioè la nave

argentina affondata da un sottomarino inglese nella guerra del 1982.

L'incrociatore Generale Belgrano venne colpito da due siluri che provocarono

oltre 300 morti e ancora oggi non è stato chiarito se si sia trattato di

un'azione legittima (versione inglese) o di un crimine di guerra (versione

argentina), perché la nave non si trovava nella zona considerata adeguata per

le operazioni.

FIFA: È UNA PROVOCAZIONE INACCETTABILE. Ora che il campionato

nazionale è destinato a portare il nome della nave, con evidente significato

politico, è scesa in campo anche la Fifa.

Il massimo organo del calcio mondiale ha scritto all'Afa ritenendo l'atto

come una provocazione inaccettabile, perché «negli statuti della Federazione

internazionale è chiaramente proibita la discriminazione di altri Paesi per

ragioni politiche. Sono altrettanto proibite le affermazioni politiche sulle

divise e sull'attrezzatura delle squadre».

Alta tensione in vista delle Olimpiadi di Londra

Già lo scorso anno alcuni politici argentini hanno chiesto ai giocatori di

indossare, alle prossime Olimpiadi di Londra, uno stemma sulla maglia con la

mappa delle isole e la scritta «Las Islas Malvinas son Argentinas».

Il presidente dell'Afa, Julio Grondona è anche vicepresidente della stessa

Fifa e quindi potrebbe nascere una polemica interna proprio a ridosso dei

giochi nella capitale inglese.

Lo stesso Grondona, in occasione della candidatura del Regno Unito a ospitare

i Mondiali del 2018 (poi assegnati alla Russia) si era detto disposto a

sostenerla solo in cambio della restituzione delle Falkland-Malvinas.

UNA GUERRA BREVE MA ANCHE INFINITA. Recentemente il governo

argentino ha reagito con indignazione alla notizia del dispiegamento del principe

inglese William alle Falkland, in un'operazione che per Londra è stata solo di

routine ma ha avuto un significato simbolico rilevante.

La guerra, scoppiata nel 1982 per il possesso dei territori dell'Atlantico

meridionale, si concluse presto con la vittoria inglese. Ma in realtà non è

ancora finita.

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News

Il fido di Unicredit tolto al Palermo

scatena la guerra tra Zamparini e Beretta

È guerra aperta tra Maurizio Zamparini e Maurizio Beretta. Il presidente del

Palermo ha infatti notato uno strano tempismo tra la lettera con cui, assieme

ad altri club, ha chiesto le dimissioni del manager Unicredit dai vertici

della Lega Calcio e lo stop a un fido da 2,5 milioni di euro, già deliberato

da Piazza Cordusio, a favore della squadra rosanero. Tuttavia, il potere

decisionale sui finanziamenti non rientra nelle mansioni di Beretta. Se la

tesi di Zamparini è piuttosto difficile da dimostrare, sorge però un dubbio:

non è opportuno che, visto l’imminente rinnovo del board, Beretta si impegni

a fondo a favore della banca, e lasci perdere la lobby del pallone?

di ANTONIO VANUZZO (LINKIESTA 18-02-2012)

Maurizio contro Maurizio. L’uno è Zamparini, presidente del Palermo e capofila

degli otto club ribelli che qualche giorno fa con una missiva hanno chiesto le

dimissioni all’altro, Beretta, dal 2009 al vertice della Lega Calcio, oggi

Lega di serie A. «Abbiamo bisogno di un presidente a tempo pieno» ha motivato

l’imprenditore friulano, riferendosi all’altra carica ricoperta da Beretta,

che dallo scorso marzo è responsabile della comunicazione di Unicredit.

Ieri mattina, tramite una nota apparsa sul sito della squadra

siciliana, Zamparini ha voluto evidenziare un tempismo sospetto tra le critiche

mosse a livello di lega e un fido concesso a suo tempo dall’istituto guidato

da Federico Ghizzoni al team che – sognano in città – potrebbe essere allenato

addirittura da Fabio Capello. Sul comunicato si legge:

Il presidente Maurizio Zamparini e i tifosi del Palermo ringraziano la

Banca Unicredit per la grande fiducia dimostrata togliendo il fido di

due milioni e mezzo a suo tempo concesso. Quanto sopra risulta strano

per una banca fortemente interessata ad un’altra squadra di serie A.

Tanto strano anche in virtù del fatto che il nostro presidente Beretta,

di cui abbiamo chiesto le dimissioni, è un alto funzionario della

Banca Unicredit.

L’accusa di Zamparini è, dunque, di un palese conflitto di interessi.

«Unicredit ha preso una decisione strana ma stanno già ritornando sui loro

passi. Hanno detto che ci avrebbero tolto un fido che risale a due anni e

mezzo fa, peraltro noi non l’abbiamo mai utilizzato» ha spiegato a Linkiesta

il fondatore del Mercatone Zeta, che sottolinea: «Il Palermo è una società

sana e ha zero euro di esposizione nei confronti delle banche». A onor del

vero, stando all’ultimo bilancio disponibile (al 30 giugno 2011), il club

rosanero evidenziava un utile di 7,7 milioni di euro, immobilizzazioni

immateriali a quota 55,8 milioni ma un passivo di 107,8 milioni, dei quali 19

nei confronti delle banche. Debiti che però non tengono conto della

plusvalenza di 36,8 milioni di euro incassata dalla cessione di Pastore al

Paris Saint Germain di Ancelotti, successiva alla chiusura del bilancio.

Su Beretta il vulcanico imprenditore è tranchant: «Cosa farà sono

affari suoi, io ribadisco che ci serve un presidente a tempo pieno, la Serie A

ne ha estremo bisogno». E che, possibilmente, non abbia un ruolo apicale in

una banca che ha gestito il passaggio della Roma alla cordata di Thomas Di

Benedetto (operazione che tra l’altro è costata ben 60 milioni di euro). Da

Piazza Cordusio non è arrivato alcun commento ufficiale alle accuse di

Zamparini. Tuttavia, fonti interne osservano che la firma finale sui fidi di

una certa entità non rientra nelle mansioni di Beretta, ma è autorizzata dal

direttore centrale del credito sulla base – in questo caso – delle valutazioni

sul merito creditizio della società effettuate dalla direzione territoriale

siciliana della banca.

Null’altro di una boutade, quindi: pochi mesi fa Zamparini ha fondato

il combattivo “Movimento per la gente”, nato allo scopo di difendere i cittadini

disarmati di fronte alla tagliola della burocrazia e alla scure di Equitalia.

Se è oggettivamente molto difficile, per il presidente del Palermo, dimostrare

carte alla mano che sia stato Beretta a influenzare la revoca del famigerato

fido, dall’altro c’è da chiedersi in quale veste l’ex direttore delle

relazioni istituzionali di Fiat abbia negoziato sponsorizzazioni e accordi nel

corso di quest’anno. La resa dei conti andrà in scena il prossimo 2 marzo,

data in cui è convocata l’assemblea della Lega Calcio. Un’assise che si

preannuncia infuocata a dir poco.

Comunque, al di là delle accuse di Zamparini, quella di Beretta è

un’impasse da cui conviene uscire presto. Il 14 marzo dell’anno scorso viene

nominato responsabile “Identity and communications” della banca, ruolo che

include le deleghe sul budget per le sponsorizzazioni, come quella ufficiale alla

Uefa Champions League. Pare che all’epoca Beretta avesse rimesso il mandato

nelle mani dell’assemblea che riunisce i club di Serie A, mantenendo solo il

disbrigo delle questioni di ordinaria amministrazione, in attesa di un nuovo

presidente. Una situazione temporanea che doveva risolversi in pochissimi mesi,

ma è passato un anno e Beretta mantiene ancora il doppio incarico: a capo

della lobby del pallone e responsabile delle relazioni esterne del più grande

gruppo bancario italiano, peraltro esposto verso diverse società calcistiche,

oltre che principale sponsor della Coppa Campioni.

Chi conosce bene l’ex direttore generale di Confindustria è convinto

che il diretto interessato non vedrebbe l’ora di andarsene, per poter concentrare

tutte le sue energie nella cura dell’immagine di Unicredit, istituto reduce da

un complesso aumento di capitale da 7,5 miliardi di euro e prossimo al rinnovo

del consiglio d’amministrazione. Passaggi piuttosto impegnativi e faticosi,

ben poco compatibili con un doppio lavoro.

Pare inoltre che Beretta abbia deciso di rinunciare agli emolumenti che

ha percepito in quest’ultimo anno di transizione ai vertici della Serie A, che

ammontano a 600mila euro l’anno. Dalla Lega non confermano né smentiscono

l’indiscrezione. Sommando i due stipendi, si stima che il compenso annuale

dell’ex direttore di Rai Uno si aggiri intorno agli 1, 5 milioni di euro.

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Comunicato a sostegno

delle parole di Antonio Conte

di ANTONIO CORSA (uccellinodidelpiero.com 18-02-2012)

Come già fatto dalla Juventus F. C. Spa, anche Uccellinodidelpiero.com si

schiera a sostegno delle parole di Antonio Conte e si unisce, sottoscrivendolo,

al comunicato firmato dai rappresentanti dei principali siti web bianconeri,

dei clubs, dei tifosi e dagli ultras.

Nella conferenza stampa successiva a Parma-Juventus, il nostro allenatore

Antonio Conte ha esternato ai giornalisti presenti in conferenza stampa il suo

disappunto per una situazione che rischia alla lunga di condizionare il

campionato dei bianconeri e, di conseguenza, l’enorme lavoro quotidiano che

c’è dietro. Secondo il mister, gli arbitri non sono sereni quando arbitrano la

Juventus, poiché hanno notato – ed è in realtà evidente – come se si sbaglia

contro la Juventus comunque va bene, mentre in caso contrario si viene

sottoposti a gogna mediatica e a punizioni esemplari dai “vertici arbitrali”.

Unendoci a quanto già fatto con nota ufficiale dalla Società, anche noi

tifosi bianconeri, (popolo del web, tifosi e ultras) sottoscriviamo dalla

prima all’ultima parola quanto espresso in maniera chiara ed inequivocabile

(nonostante i tentativi di strumentalizzazioni varie) in quel di Parma.

Riteniamo, probabilmente in contrasto con quanto pensa una fetta rilevante di

giornalisti e dirigenti federali, che la nostra dignità non sia calpestabile e

che, al contrario, siamo proprio noi tifosi la benzina che fa muovere l’intero

motore del gioco del calcio. Siamo noi che lo alimentiamo con i nostri soldi,

con la nostra passione e con i nostri sacrifici, e non può più starci bene

questa situazione che in realtà va avanti dal 2006 in poi.

Già l’ex presidente Cobolli Gigli (quello che chiede più gol e meno polemiche)

e Didier Deschamps, nel purgatorio della B, iniziarono a denunciare una

situazione insostenibile e resa palese dai numeri (3 soli rigori fischiati in

42 partite: nessuno peggio di noi, nonostante i 94 punti e gli 83 gol messi a

segno), proseguita poi col ritorno in A con Claudio Ranieri, ( lo stesso

tecnico che vuole dare lezioni di stile), nell’ottobre del 2007, denunciò come

«nel dubbio ci penalizzano. Forse stiamo pagando noi lo scandalo di

calciopoli. Non vogliamo aiuti, ma essere trattati come tutti gli altri». Fu

un campionato, il primo in A, talmente compromesso da errori arbitrali a

nostro sfavore da spingere Cobolli Gigli (sempre quello che chiede piu’ gol e

meno polemiche) e Jean-Claude Blanc a scrivere una lettera aperta di protesta

a FIGC ed AIA nella quale si denunciava come «alcune decisioni dei direttori

di gara stanno confermando un dubbio sollevato da più parti: e cioè, che nei

confronti della Juventus non vi sia un atteggiamento sereno e adeguato alla

serietà con la quale la Società e la squadra affrontano i propri impegni. [. . ]

La Juventus non può continuare a pagare colpe per le quali ha già scontato una

pena estremamente severa e dalla quale si sta risollevando anche grazie alla

passione dei propri tifosi, che legittimamente chiedono rispetto». Sospetti

che sono tornati fortissimi, guarda caso, dopo che da Napoli uscivano fuori le

intercettazioni “irrilevanti” e dove la Juventus cominciava con forza a

rivendicare – grazie alla presidenza Andrea Agnelli – la vittoria di 29

Scudetti, regolarmente vinti sul campo. Si arrivò allo sfogo di mister Delneri

il 2 febbraio 2011, quando davanti alle telecamere Mediaset disse che

«Vogliamo rispetto, vogliamo che ci venga dato quello che ci va dato. Perchè

Calciopoli è finita. Cinque anni fa. Se c’era, poi». Un attacco diretto

«perchè a stare zitti non si ottiene nulla», cui fecero seguito le parole

dell’amministratore delegato Marotta: «Non sono qui ad accampare delle scuse

ma voglio esprimere una critica molto decisa nei confronti della classe

arbitrale e dell’atteggiamento verso la Juventus. Non vorrei che le nostre

valutazioni su Calciopoli siano intervenute in questo tipo di comportamenti.

Non vorrei che quella che prima si definiva sudditanza ora diventi arroganza,

che superi l’oggettività degli episodi in questione».

Condanniamo in maniera netta e ferma le istituzioni che dal 2006 ad oggi non

sono state in grado di garantire – forse perché controparti in tribunale

contro la Juventus? – quella necessaria e fondamentale serenità nei giudizi e

trasparenza nelle scelte che è alla base della credibilità dell’intero gioco

del calcio.

Vogliamo sapere perché dal 2006 ad oggi siamo la squadra – tra quelle sempre

presenti da allora in A più Napoli e Genoa che salirono assieme a noi dalla B

– che si è vista fischiare meno rigori di tutti (26) e con un saldo di +1

assolutamente statisticamente irrituale per una “big” (basta controllare

qualche statistica).

Vogliamo sapere perché se Doveri assegna un rigore alla Juventus all’88° di

una partita già sull’1-0, viene assalito dai media, si sollevano sospetti di

combine sui rigori e l’arbitro viene fermato per quattro turni, senza essere

difeso da nessuno, ma anzi venendo dato in pasto a chi altro non aspettava per

aprire bocca.

Vogliamo sapere perché uguale trattamento non viene riservato a chi sbaglia,

anche molto più clamorosamente, a favore di altre squadre (che casualmente

sono divise da pochi punti in classifica da noi).

Vogliamo sapere perché se un arbitro sbaglia danneggiando la Juventus, la sua

prestazione viene giudicata “positiva” e nessuno si sogna minimamente di

riservargli lo stesso trattamento ricevuto da Doveri.

Siamo 14 milioni, con tutto quello che ciò rappresenta, (e qualche media,

visto i cali d’ascolto e delle vendite se ne è già accorto) e pretendiamo –

visto che come detto siamo la benzina di questo calcio – che si chiariscano

questi sospetti che riteniamo ormai inaccettabili, perché durano da troppo

tempo e non si riferiscono ad una singola parita, ma ormai a sei lunghi anni.

Antonio Conte ha detto di non riuscire a spiegare a noi e ai suoi giocatori

il perché tutto questo accada. Chiediamo a chi di dovere di farlo per lui, in

maniera chiara e non superficiale, perché siamo stanchi di essere trattati

come se nulla fosse.

Nel 2006, chi ha messo in piedi la farsa di calciopoli, lo ha inteso fare –

parole sue – per “ripulire il calcio da ogni sospetto”. Oggi, nel 2012, ci

pare che si sia solamente ottenuto l’effetto contrario, in quanto i sospetti

sono solo raddoppiati da parte di tutti i protagonisti del sistema calcio,

senza in realta’ dare una vera idea di trasparenza. E gli scandali che

riempiono i giornali, ne solo l’esempio. In compenso si e’ ottenuto l’effetto

di penalizzare la Juventus e noi tifosi, che continuiamo a pagare e ad essere

trattati senza rispetto. Non e’ che forse il vero obbiettivo fosse solo

quest’ultimo?

Noi pretendiamo rispetto e pretendiamo delle risposte da chi rappresenta il

sistema calcio, e abbiamo il diritto di averle. Da oggi non ci fermeremo fino

a quando queste risposte non ci verranno date. Con civiltà ma con fermezza,

noi diciamo basta. Non siamo più disposti ad accettare questa disparità di

trattamento evidente a tutti gli uomini e le donne che abbiano un minimo di

onestà intellettuale (merce rara ormai) e attueremo ogni forma di protesta

percorribile che la legge ci concede.

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“ORGANIZZIAMOCI”: le nostre motivazioni

Di seguito il comunicato dell’associazione “Organizziamoci” dopo le motivazioni della sentenza di primo grado del processo Calciopoli.

Anche se per qualche tempo non abbiamo fatto sentire la nostra voce, noi di “Organizziamoci” siamo ben decisi a proseguire la battaglia contro chi ha tentato inutilmente di “normalizzarci”, mettendo proditoriamente in discussione il nostro recente passato. Con la stessa determinazione continueremo ad offrire il nostro contributo, “razionale” quanto appassionato, alla società che, con il ritorno di Andrea Agnelli, ha imboccato la strada per riappropriarsi del ruolo da protagonista che la storia le ha assegnato.

Non si ferma quindi la lotta per la verità di “Organizziamoci” che trae, se è possibile, maggior vigore dalla pubblicazione delle motivazioni su Calciopoli.

Motivazioni le cui conclusioni di condanna per Moggi e assoluzione per la Juve sembrano una sorta di compromesso, tra la Dottoressa Casoria e chi, sin dall’inizio del processo, ha fatto pressioni per un verdetto del tutto simile a quello della giustizia sportiva. Resta la sensazione che in un caso si sia condannato e non giudicato, e nell’altro il giudizio sia scaturito dai riscontri oggettivi emersi nel dibattimento. Noi di Organizziamoci vogliamo richiamare l’attenzione dei fratelli bianconeri sulle posizioni di Moggi e della Juventus. In considerazione però dei tanti argomenti, abbiamo diviso il documento in due parti pubblicate distintamente. Oggi ci occuperemo del Direttore e successivamente della Juventus.

Sentenza già scritta per Moggi.

Avendo seguito tutto il dibattimento che ha messo in luce una realtà completamente diversa da quella distorta e spacciata per verità nel 2006, è stato subito evidente che la condanna di Moggi fosse la naturale conseguenza di una sentenza rispettosa della “ragion di stato”, per evitare gravissime conseguenze alle istituzioni (non solo quelle sportive). E il nostro convincimento ha avuto una sconcertante conferma dal Procuratore Generale di Napoli (dottor Lepore), che, dopo la lettura della sentenza, ha spudoratamente dichiarato: “Mai come questa volta non è stata una sentenza già scritta“. “Tra noi ed i colleghi ci sono state delle incomprensioni, tant’è vero che siamo stati costretti a due istanze di ricusazione per ristabilire la regolarità del processo”. Dichiarazione che lascia sgomenti, e di cui nessuno ha osato chiedere il significato, ma noi di “Organizziamoci” non abbiamo timore di porre in modo esplicito qualche banale domanda: Esimio dottor Lepore, ci faccia capire a quali incomprensioni si riferisse e cosa intende per regolarità del processo? Sappiamo bene che non vi sarà risposta, ma proprio l’atteggiamento di chi ignora le istanze di giustizia, eludendo semplici domande, accresce la voglia di ristabilire la verità del mondo bianconero.

Eravamo comunque curiosi di conoscere su quali basi il collegio giudicante avesse emesso, condanne tanto dure da lasciare perplessi anche i più accaniti detrattori di Moggi.

Ebbene la lettura delle motivazioni ci ha lasciato basiti e confortati allo stesso tempo. Basiti perché i ripetuti riferimenti a un’esagerazione con conseguente ridimensionamento delle accuse è, a nostro avviso, il logico presupposto per ben altre conclusioni. Evidentemente, interventi “esterni” (vero dottor Lepore ?) hanno pesantemente condizionato la Dottoressa Casoria, costretta, anche da iniziative plateali, come le due ricusazioni, a piegarsi, rispettando così interessi “superiori”. Confortati perché aumenta la nostra convinzione che in Appello la sentenza possa essere, se non completamente ribaltata, ampiamente ridimensionata. E non lo sosteniamo perché siamo juventini, ma semplicemente perché è scritto nelle seicento pagine che dovrebbero spiegare i motivi della sentenza. Oltre al già citato ridimensionamento delle accuse, i giudici riconoscono che: quel che faceva Moggi era una prassi comune a tutti (anche quelli non imputati), le difese sono state in qualche misura ostacolate, vi è stato una sorta di accanimento verso il Direttore, con indagini parziali, a senso unico e reati provati al limite della sussistenza. Inoltre, la condanna per il capo d’accusa principale, l’associazione per delinquere, di cui Moggi è individuato come capo, seppur ispirata dalle sentenze sportive, è supportata con elementi molto deboli, come le tante chiacchiere, le telefonate al processo di Biscardi e i contatti con SIM straniere; fatto pregnante per i giudici, anche se provato, per loro ammissione, con un metodo artigianale. Vane sono definite le parole di alcuni testimoni dell’accusa e addirittura da presa in giro le risposte di Manfredi Martino (quello del colpo di tosse, di Bergamo). Argomenti quindi estremamente deboli che il collegio giudicante cerca di rafforzare con qualche esilarante considerazione, come quella che si può leggere alla pagina 459: «Non rileva che la cooptazione abbia realizzato più che altro un effetto scenico, di mera apparenza, poiché anche l’apparenza può generare la condizione di potere e l’assoggettamento all’autorità per tal via creata. Giustificazioni dunque deboli, ai confini del ridicolo, a sostegno di condanne emesse, è bene ricordarlo, per reati di tentativo che, come scrivono i giudici, sono ai limiti della sussistenza. In realtà veri assist per le difese che certamente ne faranno buon uso nel processo di secondo grado.

“Organizziamoci”, come sempre, sarà al fianco di Luciano Moggi, fino a quando giustizia non sarà fatta.

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L'INTERVISTA

Beretta

«Se mollo ora la Lega

rischia il commissario»

«Petrucci ci critica? Si è fatto un gran

lavoro, e su Lotito rispettate le regole»

di MARCO IARIA (GaSport 19-02-2012)

Il capo del Coni che, per l'ennesima volta, lo attacca, otto club che gli

chiedono di farsi da parte, le polemiche appena archiviate sul

calcio-spezzatino e il maltempo, una Serie A litigiosa e quasi impotente di

fronte al gap con la concorrenza europea. È una poltrona che scotta quella di

Maurizio Beretta, presidente della Lega. Il 2 marzo l'assemblea chiesta dai

«ribelli» discuterà sul suo mandato: sarà trascorso un anno da quando Beretta

diventò responsabile della comunicazione di UniCredit e annunciò l'intenzione

di dimettersi.

Presidente, ratificherà le sue dimissioni?

«La situazione è da tempo sotto gli occhi di tutti, io sono molto sereno.

Sarei contento di lasciare la Lega anche domattina passando il testimone a un

nuovo presidente. Credo che lo sforzo maggiore debba essere fatto per

costruire un consenso attorno al mio successore. Se non c'è una soluzione, le

alternative sono due: o proseguo per i pochi mesi che restano alla fine del

mandato, oppure lascio la Lega in un vuoto gestionale con tutti i rischi

connessi, commissariamento compreso. Mi sembra giusto che su queste opzioni

decida l'assemblea».

Ci sono diversi club che le chiedono comunque di mollare.

«Ma a quel punto farei un torto alla maggioranza».

Inter, Palermo, Cagliari, Siena, Bologna, Lecce, Novara e Cesena,

nella loro lettera, sollevano la questione del doppio incarico.

«Premetto che sono stato io per primo a porre la questione rimettendomi

all'assemblea, che è in grado di prendere tutte le decisioni. Mi sento di dire,

comunque, che la Lega nel suo complesso ha lavorato molto bene anche in

questi mesi, nei quali sono stati conseguiti risultati molto importanti».

Le crea disagio il fatto che sia contemporaneamente presidente della

Lega e funzionario di una banca, UniCredit, molto vicina al calcio?

«Non c'è nulla della mia attività in banca che abbia a che fare con le

vicende della Lega».

Nell'intervista di venerdì alla Ġazzetta, Gianni Petrucci ha detto che

la situazione della Lega di A è diventata insopportabile.

«Tutti dovremmo sforzarci di capire che la legge Melandri è stata una

rivoluzione copernicana e ha cambiato il dna della Lega di A. Non siamo più

solo un'associazione sportiva ma anche un soggetto dalle enormi responsabilità

economiche, visto che gestiamo la vendita collettiva dei diritti tv: un

miliardo di euro all'anno, il 70% delle risorse del calcio italiano.

Considerata la posta in gioco, in assemblea gli irrigidimenti sono

fisiologici».

Però anche in Premier e Bundesliga la vendita è collettiva e non ci

risulta che anche lì si sia finiti in tribunale per i bacini

d'utenza... I competitor hanno più a cuore il bene collettivo.

«In quelle realtà c'è una prassi consolidata da anni, noi siamo solo alla

seconda stagione. E poi i proventi televisivi pesano per il 30-40%, in Italia

invece sono fondamentali, vista l'annosa questione degli stadi e del

merchandising».

Non è proprio dalla mancata diversificazione dei ricavi che si evince

la miopia dei club italiani? Negli ultimi 12 anni la A ha ricevuto 8

miliardi dalle tv ma ne ha spesi 12 in stipendi.

«Bisognava reggere la competizione internazionale senza avere introiti

extra-tv adeguati: un circolo vizioso. Per questo stiamo combattendo da anni

per una normativa che consenta alle società di avere stadi di proprietà e di

proteggere meglio i loro marchi».

La Lega ha fatto tutto il possibile nella sua attività di «lobbying»

per il varo della legge sugli stadi? Forse sarebbe servita un po' di

accortezza sulla questione dei vincoli.

«È stato fatto il massimo. Quanto ai vincoli nessuno li ha mai messi in

discussione, stiamo solo discutendo di come esaminarli dentro procedure certe.

Il ministro Gnudi sta affrontando seriamente la questione: si rende conto

delle potenzialità della legge non solo per il calcio».

Per molti il punto di debolezza della Lega rispetto ai modelli europei

di riferimento sta nella governance. Oggi tutto passa dall'assemblea e

manca una visione prospettica.

«È un tema fondamentale. Il presidente di Lega non ha poteri, stanno tutti

nelle mani dell'assemblea. Ma è utopistico pensare di cambiare qualcosa se

prima non si trova un accordo sulla divisione degli introiti tv del triennio

2012-15. Comunque, abbiamo fatto lo stesso molte cose».

Quali?

«La separazione dalla Serie B; la prima applicazione della Melandri; il

rinnovo della sponsorizzazione con Nike mentre quello con Tim è in dirittura

d'arrivo; la firma di un contratto collettivo fortemente innovativo; la

vendita dei diritti tv 2012-15 con un ulteriore incremento delle entrate a

dispetto della crisi; la piattaforma per il nuovo accordo promo-pubblicitario

con l'Aic. La Lega ha fatto uno straordinario lavoro e sta funzionando nel

pieno dei suoi poteri: in questa stagione abbiamo tenuto 10 assemblee con 38

delibere».

E sulle scommesse?

«Abbiamo definito con le leghe europee un codice di comportamento. Chiediamo

di inasprire le sanzioni e vietare quelle tipologie di gioco online difficili

da controllare».

Petrucci ha posto l'altolà sulla responsabilità oggettiva.

«Non cerchiamo scorciatoie ma sia chiaro che la Lega e le sue società sono la

vera parte lesa in vicende come il calcioscommesse. La responsabilità

oggettiva non deve essere un totem».

C'è chi le contesta l'eccessivo feeling con Lotito mettendo in dubbio

il suo ruolo super-partes.

«Lui è un personaggio che ha una forte spinta innovativa. Detto questo, io ho

sempre attuato le delibere dell'assemblea seguendo le indicazioni della

maggioranza».

Petrucci dice che non rispettate le regole avendo fatto partecipare

Lotito a un'assemblea nonostante il nuovo codice etico del Coni.

«Le norme le abbiamo sempre applicate. Abbiamo ricevuto comunicazione del

provvedimento nei confronti di Lotito solo tre giorni dopo l'assemblea del 10.

In quell'occasione vi ha partecipato come consigliere federale, senza diritto

di voto, tant'è che la Lazio ha delegato un'altra società».

Quindi il 2 marzo Lotito non ci sarà?

«Applicheremo le regole. Ma, quanto alla sospensione dagli incarichi sociali,

cosa che riguarda anche altri dirigenti, continuiamo a ritenere ingiusta la

norma perché l'assemblea decide su questioni economiche vitali per i club.

Bisognerebbe aspettare i tre gradi di giudizio».

Il Coni si è lamentato per essere rimasto escluso dalla trattativa

sulla mutualità.

«Le altre leghe e la Figc si sono impegnate a garantire eventuali richieste

che dovessero venire, ad esempio, dal Coni. La Melandri ci indica di destinare

il 10% alla mutualità, per la A il tetto non cambia».

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laRiflessione di SEBASTIANO VERNAZZA (GaSport 19-02-2012)

Messaggio pulito

Raccogliamolo

Prego%20Filippo.jpg

Attenzione, maneggiare con cura. La storia del piccolo Filippo e del suo

striscione si presta ai gorgheggi dei professionisti della retorica, alle

lusinghe dei lupi travestiti da agnelli. Usare il bambino per dare una

verniciata di buonismo al calcio cinico e baro. Per favore, non brandite

Filippo per assolvere il mondo del pallone dai suoi peccati. Chiunque

frequenti uno stadio lo sa: lì dentro i bambini ne vedono e ne sentono di ogni

tipo, e ricevono dagli adulti i peggiori esempi. Ogni tanto capita che

subiscano violenze. Di recente a Udine un 42enne e un 52enne hanno rubato la

sciarpa a uno juventino di 13 anni: coraggiosi, certi predoni delle curve.

Ieri sera, a Torino, tifosi della Juve hanno esposto questa scritta: «Filippo

o cambi scuola o cambi squadra». Ogni occasione è buona per sfottere, mai per

riflettere.

Filippo sta facendo il giro dei media. Siti, televisioni, giornali. Ieri

Telelombardia, oggi Inter Channel. Noi stessi, intesi come Ġazzetta, gli

dedichiamo una pagina. Non siamo «vergini marie» né lavoriamo per

l'osservatorio sui minori. Anzi, contribuiamo allo show. Fatto il mea culpa,

lasciateci dire che si perderebbe una grande occasione se si riducesse lo

striscione del piccolo Filippo a qualcosa di simpatico, mediatico, e avanti il

prossimo caso umano, tra uno spot e l'altro.

Le parole dello striscione di Filippo - depurate dal can can che hanno creato

- ci parlano, ci riguardano, ci toccano. Ci ricordano quello che eravamo prima

di entrare nei tritacarne delle nostre vite. Avevamo sguardi puliti e dicevamo

cose pulite. «Altrimenti a scuola mi prendono in giro», ha scritto Filippo.

Educato, garbato. Oggi l'espressione «prendere in giro» suona desueta,

polverosa. Oggi, anche alle elementari, va forte un'altra frase: «Non

prendermi per il. . . ». Filippo, col suo striscione, ci ha dimostrato che un

altro calcio e un altro linguaggio restano possibili. Speriamo di non guastare

né il messaggio né (soprattutto) il bambino.

___

il commento di CRISTIANO GATTI (Il Giornale 19-02-2012)

Crollano gli antipatici,

rinasce l’interismo

Già l'anno scorso avevano cominciato a rifarsi la bocca, ma è adesso che

davvero possono liberare l'esultanza: la doppia sconfitta in casa con Novara e

Bologna, in un'altra vita sei punti sicuri prima ancora di cominciare, è

davvero quanto sognavano da anni gli italiani no-Inter, cioè quasi tutti.

È proprio così che la volevano, umiliata e nuda, vilipesa e disonorata.

Finalmente, i conti tornano: la vanitosa società degli onesti e dei romantici,

che magari telefonano come gli altri agli arbitri e come gli altri spendono

cifre spaventose per comprare giocatori, salvo pretendere di uscirne comunque

diversi e migliori, quasi un mondo incantato nella galassia depravata del

calcio italiano, ecco, proprio questo bluff ideologico torna definitivamente

là dove tutti quanti l'aspettavano da tanto tempo, in mezzo alla polvere,

sommersa dai fischi e dagli insulti.

La mattanza dell'altra sera magari non sconvolge la classifica di serie A,

perché ormai quello che succede all'Inter è del tutto ininfluente nei giochi

veri, ma certamente stravolge la speciale classifica di serie A come

Antipatia. Da anni, con le sue vittorie facili e ripetute, la squadra di

Moratti si era insediata in vetta, inamovibile. Scalzata la Juve, finita con

la caduta in B sul fondoclassifica dei compatiti, sorpassato il Milan, sempre

in zona Champions, però meno vincente e meno prepotente di una volta, ancora

lontana la Roma, che tutti riescono a odiare davvero solo quando vince lo

scudetto e blocca la capitale per sei mesi, il più avvelenato sentimento di

rivalsa era tutto concentrato sull'Inter. La sua infallibilità sul campo era

già garanzia di primato, perché da sempre il più forte finisce per scatenare

invidie e livori. In aggiunta, il morattismo ci aveva messo il tocco di classe

della pretesa superiorità morale, della diversità poetica, debitamente

sostenuta dai trombettieri del Cui, Club ultrà intellettuali, presidente

Roberto Vecchioni, vicepresidente Michele Serra, segretario Beppe Severgnini.

Uno più uno fa due: imbattibilità più superbia fa quel plebiscito di astio

sportivo che ha accompagnato l'Inter nella sua ultima epopea, ribollendo ai

suoi piedi, appena sotto il podio, aspettando il momento buono. Il momento è

arrivato. Ed evidentemente, adesso che tutto s'è compiuto, si preannunciano

rivolgimenti. Mentre è chiara la lenta, ma continua risalita della Juve (quel

Conte che sbrocca contro gli arbitri ha dato indubbiamente una decisa spinta

all'insù), mentre il Milan accetta il duello puntando molto su questo Ibra che

si fa largo a schiaffi, l'Inter rincula precipitosamente di molte posizioni.

Non è ancora il momento di considerare chiuso il discorso antipatia, perché

ancora troppo fresco è il ricordo del suo dominio assoluto e ancora troppo

libidinosa la soddisfazione delle popolazioni no-Inter. Ma avanti di questo

passo, tenendo questa media, il risultato è inevitabile: quanto prima, la

creatura di Moratti sfumerà silenziosamente sullo sfondo, dove i grandi

rancori popolari non arrivano più, nel limbo dell'indifferenza, tra Cagliari e

Atalanta. Paghi del trionfo, i no-Inter rivolgeranno le loro pulsioni verso

altri obiettivi più succulenti. Questa è la vita, e non c'è niente che possa

cambiarla.

Così, umiliazione dopo umiliazione, alla fine gli interisti si ritroveranno

un giorno esattamente là dove sono partiti, sotto il guscio di Calimero.

Riprenderanno a piangersi addosso, a sentirsi accerchiati, a denunciare

complotti, a maledire i poteri forti. A irridere le proprie sconfitte, a

deridere i propri campioni.

I primi segnali sono già scritti nel cartello del piccolo Filippo: «Potete

vincere? Altrimenti a scuola mi prendono in giro. Grazie». Nel dolore

indicibile della sconfitta, se non altro, l'interismo proverà presto

l'inconfondibile piacere di sentirsi finalmente a casa.

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Debiti e proteste

I Glasgow Rangers

sull’orlo del baratro

Il club più titolato di Scozia rischia il crack. Cameron in soccorso

50mila persone ad Ibrox per la sconfitta contro il Kilmarnock

di GABRIEL BERTINETTO (l'Unità 19-02-2012)

Il sole brillerà ancora sull'Ibrox Stadium», ha scritto un tifoso romantico

sul blog dei Rangers. Aggrappato a speranze di ipotetici futuri splendori. Con

il cuore gravato dalla certezza di un presente senza luce. I Rangers, la

squadra di calcio più vittoriosa di Scozia (54 campionati, dodici in più degli

acerrimi rivali del Celtic) rischiano di scomparire nel colossale buco scavato

dall'allegra gestione finanziaria del signor Craig White e di Sir David Murray

prima di lui.

Spento il computer, Marcus Beasley, così si firma il fan sul sito dei Rangers,

è corso all'Ibrox Stadium, zeppo di folla per un match che entrerà nella

storia come il primo disputato dai Blues dopo che la società è stata posta in

amministrazione controllata. Tutto esaurito. Cinquantamila sostenitori uniti

nell'incitare i loro idoli sportivi, e nel gridare la loro rabbia incredula

verso i responsabili del tracollo. Sugli spalti striscioni con una richiesta

perentoria: «Aspettiamo delle risposte». I cinquantamila dell'Ibrox, e non

solo loro, vogliono capire dove siano finiti i 24 milioni di sterline che il

club ha già incassato dalla società Ticketus sulla vendita dei biglietti per

le partite della prossima stagione. Scomparsi dai bilanci, o meglio

“invisibili” per usare l'eufemismo di un inquirente. E che dire dei 9 milioni

di tasse mai pagate, che vanno ad aggiungersi a 49 milioni già oggetto di una

lunga contesa giudiziaria fra i Rangers e il fisco?

Sono queste le ferite che bruciano, assai più della sconfitta per 0-1 subita

ieri nella furibonda rissa casalinga con il Kilmarnock, o dei dieci punti di

penalizzazione che sono già stati affibbiati ai Rangers. Perché in forse è la

sopravvivenza dei “Gers”, alias “Teddy Bears” alias “Blues”, una squadra di

origini antichissime, fondata nel 1872 dai mitici fratelli Peter e Moses

McNeil. In forse è l’eterna sfida con i concittadini del Celtic in uno

scenario calcistico nazionale, dove ai rimanenti team è riservato un ruolo di

semplici comprimari. La redazione sportiva della tv Cnn ha stilato una

classifica mondiale della passione sportiva, mettendo al primo posto proprio

il derby di Glasgow (seguito da quello fra Roma e Lazio). Anche perché la

scelta di campo ricalca l’affiliazione religiosa, con il 74% dei sostenitori

bianco-verdi di famiglia cattolica e il 65% dei blu tradizionalmente

protestanti. Con annessa ostentazione di simboli a sfondo politico importati

dalla vicina Irlanda. Tutti scozzesi, quelli del Celtic e quelli del Rangers,

ma ai primi piace sventolare il tricolore dei nazionalisti irlandesi, e gli

altri ovviamente rispondono esibendo la bandiera dell’Ulster. Sean Connery, il

più famoso fan dei Rangers, confessò di essere stato da bimbo un ammiratore

del Celtic. Non avrebbe potuto sconvolgere di più i concittadini neanche

annunciando un cambio di sesso.

Talmente legate l’una all'altra, le due società, nella comune occupazione di

ogni spazio sportivo ed emotivo, che nel loro insieme vengono definite Old

Firm. La Vecchia Ditta del calcio scozzese. E come può una ditta rimanere in

vita se ne tagliano via metà? Sull'inscindibile intreccio di fede calcistica,

militanza politica, identità religiosa e culturale, Theresa Breslin ha scritto

un romanzo, “La città divisa”. A dispetto del titolo, il tema centrale è

l'unità dell'universo sociale e mentale di Glasgow. Se muoiono i Rangers, il

Celtic e i suoi appassionati non avranno più il nemico in cui rispecchiarsi.

Sparirà un pezzo importante di Scozia. Nell’auspicare un miracolo che eviti la

catastrofe si sono trovati d’accordo persino il premier britannico David

Cameron e il capo del governo scozzese Alex Salmong. Che per il resto litigano

su tutto da quando il nazionalista Salmond ha indetto un referendum per

l’indipendenza dal Regno Unito.

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Il pallone di Luciano

Il 2012 è anno bisesto

va indigesto a Moratti

e alla Roma di Baldini

di LUCIANO MOGGI (Libero 19-02-2012)

Comincia male il 2012, anno bisestile, indicato da tutti come portatore di

guai in serie: c’è il presidente Monti che predica austerità agli italiani per

risollevare l’economia in recessione; Celentano che durante Sanremo, al posto

di cantare, critica Famiglia cristiana e Avvenire; un Capitano che abbandona

la propria nave in pericolo; un altro presidente, Moratti, che, prendendone

esempio, abbandona S. Siro. La speranza di tutti è che l’ira funesta del 2012

si plachi.

“Good Bye e Amen” era il titolo di un film d’azione degli anni settanta,

niente di più espressivo rispetto al crollo dell’ex grande armata di Mourinho,

mai così rimpianto ed evocato nella notte d’ira del popolo nerazzurro. “Good

bye e Amen” ai sogni di rimonta, sebbene costituissero solo uno straccio

rispetto ai tempi del triplete, “good bye e amen” anche a Ranieri, che

potrebbe chiudere subito o di qui a fine annata. Il patron ha alzato i tacchi

a San Siro alla fine del primo tempo, presago di paura, più che della

consapevolezza dei propri errori, su quel punto le colpe sono sempre degli

altri. Nella tormenta è finito allora Paolillo, manate e calci all’auto, gli

saranno sembrati lontani i tempi di quando banchiere, non ancora dirigente

dell’ Inter, ma su incarico della stessa, cercava un posto per l’arbitro

Nucini, il cavallo di ţroia di Calciopoli, così inventato per costruire uno

scartiloffio a danno della Juve. I tempi sono brutti per l’Inter: ognuno

raccoglie il frutto del suo lavoro, e se questo lavoro è fatto male, i

risultati sono grami. D’altra parte l’ondata emozionale di Calciopoli si è

ormai dissolta e l’Inter è tornata all’antico, a dimostrazione che Calciopoli

è stata una farsa. E adesso a questa squadra conservata male e tenuta peggio,

fa paura il Marsiglia per il mercoledì di Champions, il pesce puzza dalla

testa, e le responsabilità sono evidenti.

Davanti all’Inter si è riportato il Napoli, squadra viva e vibrante che con

Lavezzi, Cavani e Hamsik incontenibili vede il terzo posto e affronta con più

calma la sfida di Champions col Chelsea. Fiorentina piccola piccola e incapace

di capire quello che stava accadendo, la viola è una squadra pensata male e

corretta peggio. Aveva ragione chi pensava a una stagione non oltre la

salvezza, ed era stato bacchettato. I Della Valle lo sanno, occorre una

robusta rifondazione.

Sulla strada del Milan, che ha strabattuto l’Arsenal c’è oggi il “piccolo”

Cesena. Solito rimando alla vicenda biblica di Davide contro Golia, ma qui

sembra dura pensare che il miracolo (dal punto di vista... della Juve) possa

compiersi, sebbene i rossoneri siano privi di Ibra, Mexes, Seedorf, Boateng e

Pato. Il Milan non ha da convincere nessuno. Vuole solo vincere per mantenersi

in testa. Le possibilità ci sono, ma non si può mai dire, ed è questo il

pensiero della Juve e del Cesena. Juve però che ieri sera ha sofferto, ma è

tornata a vincere dimostrando di avere un grande carattere nonostante gli

attaccanti continuino a non segnare.

Tra Lazio e l’Udinese continua il saliscendi per il terzo posto, con l’Europa

League a rendere tutto più complicato. I capitolini di scena a Palermo si

affidano a Klose, rosanero con Miccoli incerto. Friulani in casa con il

Cagliari. La Roma è alle prese col solito progetto che sembra convincere il

solo Baldini e il suo “ventriloquo” Luis Enrique. Appuntamento col Parma, che

si è appena sfidato sul campo (poco) e a parole (molto) con la Juve. Il Genoa

tenta di rianimarsi a Marassi contro il Chievo. Il Lecce con il Siena e il

Novara con l’Atalanta lottano per la sopravvivenza.

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Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Capello pro,

Capello contro

Botta e risposta a quattro mani sull’ormai ex coach

dell’Inghilterra: Viva Capello, abbasso Capello

Giuste o no le dimissioni di Fabio Capello da commissario

tecnico dell’Inghilterra? Qualcuno è contento, qualcuno

meno. Qualcuno ama Don Fabio, qualcuno lo detesta.

Un collaboratore e un redattore di Studio duellano dalle

opposte fazioni, dando vita a un divertissement domenicale,

il giorno per antonomasia del pallone italico.

di ANDREA DI GENNARO & DAVIDE COPPO (Studio 19-02-2012)

Premessa alla faziosità di questo articolo: sono anglomane impenitente e

juventino, ormai moderatamente. Detto questo passiamo in rassegna quanto vedo

di poco onorevole e ancor meno elegante, nella recente vicenda

Inghilterra-Capello; in cui la prima ha dato ancora una volta prova del suo

proverbiale understatement, il secondo non ha perso l’occasione per ribadire

la propria capacità di non farsi amare ovunque approdi. Una dote, non c’è che

dire. In Inghilterra infatti tifosi, federazione, giornali e i calciatori

stessi, di Capello non ne potevano più da un pezzo, nessuno ha mai nascosto la

delusione per un allenatore che era arrivato con l’idea di riportare i Lions

ai fasti del ’66 e invece ha collezionato solo magre figure. Magre sono anche

le recriminazioni per gli errori arbitrali costati l’eliminazione dal mondiale

sudafricano. All’Irlanda di Trapattoni successe di peggio per mano della

Francia. C’è voluto un coraggio, questo sì da Lions, per scrivere che

l’eredità di Capello sulla panchina inglese sarà pesante per chiunque ne

prenderà il posto. Eppure così parlò il Corriere della sera, 10 febbraio 2012.

Ciononostante nemmeno i tabloid hanno calcato troppo la mano davanti alla

dipartita (fuga?) di Capello a seguito del «negro di ɱerda» rifilato da John

Terry ad Anton Ferdinand e della conseguente revoca della fascia di capitano.

Il Daily Mirror s’è tolto lo sfizio di titolare “A Fab Day For England”, per

poi chiosare la vicenda così: «Nessuno avrà rimpianti per come questa faccenda

è andata a finire». Mister Capello invece ha deciso di lasciare la panchina

della nazionale dando persino dell’ipocrita all’Inghilterra tutta, rea di

processi sommari a suo dire. Gatta ci cova…Mister Capello era arrivato a

Londra forte dei successi sulle piazze di Milano (andata e ritorno), Roma,

Torino e Madrid (a/r). Il suo stesso atteggiamento scorbutico passava per una

mourinhata. Cioè: sono forte, vinco ovunque vada e quindi non sono tenuto alla

simpatia. Per carità, la simpatia proprio no. Tanto che a Roma lo

scuoierebbero vivo; alla Juve non è arrivato per volere di Gianni Agnelli e

Giampiero Boniperti; il Real non lo riprenderebbe mai (ha preferito

l’antipatico originale, che poi forse è simpatico) e al Milan potrebbe tornare

più in quanto berlusconiano di ferro che per reali convinzioni o amore

reciproco. Insomma un curriculum personale che non ha niente da invidiare a

quello sportivo. Anzi. E ora che anche i giocatori e i dirigenti di Sua Maestà,

davanti alla molto probabile ipotesi di un campionato europeo poco esaltante,

cominciavano a lasciar intendere che la (love?) story sarebbe finita, Capello

che fa? Se ne va, accusa e cerca il pretesto per uscire di scena per ragioni

morali e non per demeriti sportivi come la storia di questi quattro anni a

Londra avrebbero decretato. E decreterà. La differenza: a Londra scoppiano

dalla gioia ma rilasciano dichiarazioni moderate e concilianti, Capello si

erge a novello Robespierre. È credibile? Oppure è una ragione in più per

essere anglomani. E impenitenti? A Fab Day For England…and for me.

Andrea Di Gennaro

*

La mia difesa a spada tratta di Fabio Capello si basa su plurimi motivi, molti

assolutamente lontani da un qualsiasi tipo di ragionamento maturo e compassato

e proprio per questo estremamente validi e insindacabili. Patriottismo,

bastian-contrarismo, testardaggine. Poi c’è il garantismo e ci sono i valori

sportivi e il calcio di una volta e il buonsenso. I valori sportivi mi rendono,

superfluo pure dirlo, ostile a qualsiasi tipo di “discriminazione razziale o

territoriale” (per dirla come lo speaker di San Siro), ivi incluso il gergo

forse utilizzato da John Terry nei confronti di Anton Ferdinand. Ma, mischiati

con l’amore per il calcio di una volta, rendono anche insopportabile l’idea di

portare in tribunale un giocatore per averne insultato un altro. Non si tratta

di omicidio, rapina a mano armata, truffa, furto con scasso: cosa può fare un

tribunale, in mancanza di indizi materiali e prove fisiche? Non era più

semplice, per la bacchettona FA, multare l’ormai ex capitano e tanti saluti?

Se poi le scuse non sarebbero arrivate allora beh, vorrà dire che Terry avrà

una mano in meno da stringere dopo quella di Bridge. In Premier League di

questo passo non si stringerà la mano più nessuno (anche i bambini ormai hanno

preso l’abitudine), ma a chi interessano i cerimoniali d’altronde? Poi c’è il

garantismo, invocato da Capello stesso. Volete fare il processo? Fatelo, ma la

fascia di capitano rimarrà a J. T. fino alla decisione dell’albocrinito

giudice. Il buonsenso mi porta poi a trovare assurda la decisione della

federazione di passare sopra l’autorità del manager per un capriccio da

signorine. In “fuckin’ black cunt” (e non “negro di ɱerda”) il termine black è

aggettivo. L’insulto razziale, insomma, dove starebbe? Non significa questo

sminuire l’importanza della lotta al razzismo, ma l’Inghilterra è un paese

abbastanza civile per passare sopra a questi bisticci, valutare all’unanimità

o quasi che Terry si è comportato comunque da cretino fatto e finito e tante

grazie. Non nascerà una sezione del KKK intitolata a John Terry. E invece no,

a loro (gli inglesi) proprio di avere un allenatore straniero non andava giù.

Dopo aver massacrato Eriksson hanno voluto buttar giù dalla torre anche

Capello, quello che li ha portati all’Europeo come si porta qualcuno a fare

una passeggiata, quello che stava per mettere la Germania sotto di tre goal in

Sud Africa se l’arbitro avesse fatto il suo lavoro per bene (e no, non sono

minuzie). D’altronde se la Regina non vede un trofeo dal ’66 un qualche motivo

ci sarà, sarà mica sempre colpa del mister. Che ci provi Redknapp, allora, a

vincere una competizione con un parco punte formato da Bothroyd e Heskey, con

un Lampard leone a Stamford Bridge e pecora se portato in un Wembley qualsiasi,

con a difendere i pali una statuetta da Subbuteo senza nemmeno il manico

verde per poterla muovere. E in ultimo c’è il patriottismo, quello che mi fa

dire, al cospetto del mondo estasiato dal giovanotto di Setubal, che il

Mourinho italiano c’è, si chiama Don Fabio, ed è pure più bravo. La storia lo

dice, gli inglesi lo ignorano. Buona fortuna allora, non ci saranno sempre dei

maradona di turno a farvi recriminare per un secolo passato in sordina.

Davide Coppo

Modificato da Ghost Dog

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