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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Allarme Platini, club sempre più in rosso

Tre italiane a rischio. Ma anche il n.1 Uefa ha un problema di fair play...

di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 25-01-2012)

Profondo rosso. I club europei spendono più di quello che guadagnano, la

situazione è fuori controllo: oggi a Nyon, il presidente dell´Uefa, Michel

Platini, svelerà lo stato di salute dei club, svelando la "relazione

comparativa dell´anno 2010". Questo, spiega l´Uefa, nell´ottica di portare

avanti il processo del fair play finanziario, che può, deve, dare "maggiore

stabilità finanziaria al calcio e ridurre quegli eccessi che hanno messo in

difficoltà molti club negli ultimi tempi". La situazione, rispetto a un anno

fa, è addirittura peggiorata: lo spauracchio del fair play non ha spaventato

nessuno. Lo scorso anno i dati erano già allarmanti: ricavi 11, 7 miliardi di

euro, costi 12,9 miliardi, perdite record di 1,2 miliardi (con un incremento

dell´85% rispetto all´anno precedente!). Questo primato oggi sarà battuto. Ad

affondare i club erano (e sono) gli stipendi dei calciatori che incidono

mediamente per il 64% del fatturato (in Italia il 72%). Platini l´11 gennaio

2011 ci disse: «Tagliare gli ingaggi è l´unica salvezza per i club. Le star

che oggi prendono 15 milioni si accontenteranno di due o tre: sempre venti

volte più di Pelè…». Non lo ha ascoltato nessuno. Il fair play andrà in vigore

nel 2014, il prossimo 22 marzo a Istanbul verranno approvate le sanzioni che

vanno dal blocco del mercato europeo (non di campionato), alla trattenuta dei

premi Uefa sino all´esclusione da Champions ed Europa League. Moltissimi

grossi club (lo scorso anno erano 11) sarebbero a forte rischio e qualcuno non

si potrebbe nemmeno iscrivere alle Coppe. City, Chelsea, Manchester United,

Barça, Milan, Inter, Juve e altri (presto anche il Psg) non rispettano i

parametri Uefa e dovranno "ripulire" i loro bilanci, portando entro fine 2013

il deficit a un massimo di 45 mln di euro. Ma sceicchi e Abramovich vari se ne

infischiano dell´Uefa, e continuano a spendere: qualche club ha già minacciato

di rivolgersi ai tribunali civili o di organizzare per conto suo una

Superlega. Come reagirà Platini? Tra l´altro l´ex campione franco-juventino si

trova in una situazione imbarazzante: è stato "sponsor", con Sarkozy, dello

sceicco Al Thani, figlio dell´emiro ed erede al trono del Qatar, che ha

acquistato il Psg. Il club francese fa parte del fondo sovrano Qsi per cui

lavora anche il figlio di Platini, l´avvocato trentatreene Laurent. Un bel

guaio. Inoltre Al Thani, che ha portato i Mondiali 2022 di calcio in Qatar (a

40 gradi) e ora ha candidato Doha per l´Olimpiade 2020, è cugino dello sceicco

Mansour bin Zayed al Nayan, proprietario del City.

Il fair play anche in Italia viene vissuto come un´imposizione poco gradita.

Umberto Gandini, direttore organizzativo del Milan e vicepresidente dell´Eca

(European Club Association), è perplesso: «Come Eca, appoggiamo la linea di

Platini ma siamo consapevoli che sia necessario un equilibrio». Preoccupato

Ernesto Paolillo, ad dell´Inter: «In un paio d´anni i club italiani rischiano

di essere meno competitivi in Europa: non si potrà più ripianare grazie agli

aumenti di capitale e i nostri ricavi potranno crescere ben poco, visti gli

stadi. Si dovrà tagliare gli ingaggi…». Vallo a spiegare a Milito e c.

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L’inchiesta: lo sport al tempo della crisi (1a puntata)

La recessione mette

in fuga gli sponsor

-25% negli ultimi 3 anni

StageUp prevede un calo del 5% nel 2012. La Serie A di calcio fa

eccezione, bene golf e vela. «Resiste chi si rivolge all'estero»

Inizia oggi la nostra inchiesta a puntate che cercherà di

spiegare quali effetti sta avendo la crisi economica sullo

sport italiano, il cui giro d'affari rappresenta il 3% del

Pil del nostro Paese, pari a circa 50 miliardi di euro.

di MARCO IARIA (GaSport 25-01-2012)

Due%20_facce_sponsor.jpg

L'economia è in ginocchio, anche lo sport se n'è accorto. Ma, come nella scala

sociale, la piramide restituisce istantanee variopinte: il vertice continua a

vivere beatamente, mentre tutto il resto annaspa. Più sei in basso, più ti

esponi allo tsunami della crisi: tagli, ridimensionamenti, fino a quando la

saracinesca si abbassa con su scritto «game over». Prendete il comparto delle

sponsorizzazioni, che rappresentano mediamente un terzo della fetta del

fatturato. Quindi ossigeno puro. Secondo l'indagine predittiva di StageUp, che

siamo in grado di anticiparvi, i numeri parlano in modo eloquente: tra il 2008

e il 2011 la contrazione degli investimenti è stata del 25,4%, con le entrate

scese da 1. 147 a 856 milioni, praticamente al livello degli Anni 90. E non

finisce qui perché le previsioni per il 2012, stimate dalla società di ricerca

e consulenza nello sport business in collaborazione con Ipsos, segnalano un

ulteriore calo del 5, 2% per l'anno in corso: altri 45 milioni in fumo

nonostante l'accoppiata Olimpiade-Europeo di calcio. «Il mercato — spiega

Giovanni Palazzi, presidente di StageUp — sta avvertendo molto fortemente la

congiuntura negativa. In tempi di crisi le attività di comunicazione sono tra

le prime a essere colpite. Inoltre, in questo comparto si genera una maggiore

concorrenzialità e i prezzi dei contratti scendono. A differenza della

pubblicità, la sponsorizzazione implica un investimento a prescindere per uno

o più anni e, in una fase di sfiducia, le aziende ci pensano due volte prima

di spendere. Anche perché c'è un'enorme difficoltà a valutare i ritorni in

termini di redditività».

Figli e figliastri Sponsor in fuga, insomma, ma non per tutti. La Serie A di

calcio, per esempio, pare essere immune da tutto ciò. I ricavi dagli sponsor

di maglia lo testimoniano: secondo Sport+Markt, in questa stagione si è

registrato addirittura un incremento rispetto al 2010-11, da 65, 9 a 75, 9

milioni, e comunque nell'ultimo quinquennio il trend si è mantenuto stabile.

Scendendo di categoria, qualche scricchiolio comincia a sentirsi: in due anni

i proventi dai top sponsor delle società di Serie B sono calati del 15%. Tutta

colpa della congiuntura, perché la visibilità del campionato è invece

aumentata. «I club hanno dovuto fare a meno di qualche contratto pesante —

rileva Paolo Bedin, direttore generale della Lega di B — ma l'aspetto positivo

è il maggiore radicamento delle attività di marketing sul territorio». Basket

e volley soffrono come tutto il resto del movimento, perché il mercato delle

sponsorizzazioni risponde alla teoria darwinista della selezione naturale.

Come fa notare Palazzi: «Le società di alto livello, che hanno una rilevanza

internazionale, non risentono della crisi. L'Inter ha appena annunciato un

nuovo top sponsor: è un'azienda polacca. Se il brand è veicolato su scala

globale, resiste meglio. Chi invece si muove solo in un ambito nazionale

soffre di più. Basta guardare alle attività industriali: le aziende che

esportano stanno andando forte».

Personaggi nuovi Nell'anno dell'Olimpiade, comunque, bisogna sempre mettere

nel conto l'effetto novità. Riflettori puntati sui testimonial, e allora gli

sport minori possono salire alla ribalta con personaggi da medaglia,

sconosciuti un attimo primo di salire sul podio e capaci di bucare il video

grazie a una forza comunicativa speciale. Guardando, invece, alle discipline

ci sono quelle che vivono su una nuvoletta di benessere. «Sono gli sport

orientati al mercato del lusso — dice il presidente di StageUp — come il golf,

che ha anche profonde ricadute in termini turistici, e la vela, che si giova

del nuovo format dell'America's Cup, senza dubbio più spettacolare». Ma in

tempi bui come questo, come si fa a rilanciare il settore? La ricetta è

variegata. «Bisogna dimostrare che una sponsorizzazione crea valore, senza

però vendere solo le emozioni ma essendo più pratici. E le società sportive

più piccole riscoprano l'importanza della responsabilità sociale: se ho una

squadra di ragazzini — conclude Palazzi — devo "venderla" alle aziende perché

è portatrice di valori sani». Una scommessa sul futuro.

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CALCIO & EROS

L’infortunio di Boateng. Le rivelazioni (poi smentite)

della fidanzata Melissa Satta: la questione è aperta

Il sesso fa male ai muscoli

Ci si infortuna anche in camera da letto?

Così hanno risposto tre uomini di calcio

di FURIO ZARA (CorSport 25-01-2012)

La storia del calcio è un eterno e mai riuscito dribbling attorno alla camera

da letto: occhio a non pestare le tradizioni secolari e la biancheria intima

abbandonata per terra. Finché succede un imprevisto e allora alziamo tutti lo

sguardo dal buco della serratura e scopriamo che - forse - una fidanzata può

essere più pericolosa di un terzino carogna. Ahia, e non era nemmeno entrata

in tackle. La notizia di questi giorni è la rivelazione - poi smentita - fatta

da Melissa Satta, fidanzata di Kevin Prince Boateng, a Vanity Fair e ripresa

dal quotidiano spagnolo Marca.

Brutalmente, o anche o, dipende dai punti di vista: il Boa non ha retto le

maratone della Satta, almeno sette e fino a dieci volte alla settimana, e alla

fine è caduto, come corpo morto cadde. Infortunato: muscoli flessori della

coscia. Stop, fine delle trasmissioni. Anzi, no. Si è scatenato l’inferno di

supposizioni e ironie, peraltro confortate dalla tempestiva uscita della

ragazza. E dunque: è stato l’eccesso di sesso la causa dell’infortunio? Forse

sì, forse no. Forse è stata una trovata pubblicitaria, forse un equivoco. Al

di là della smentita della showgirl, resta una domanda di fondo: il sesso fa

male ai muscoli di un atleta? Se provi la semirovesciata tra i cuscini o

sperimenti posizioni snodabili che neppure una ballerina indiavolata del

Bolshoi, non è che alla fine ti strappi?

Messa così sembra una di quelle questioni su cui si discuterà fino ai

supplementari, recupero incluso. Del tipo: è inutile curare i denti da latte,

tanto cadono. Sarà vero? Oppure: chi cena a tarda sera ingrassa di più.

Fattene una ragione oppure blinda il frigo. O anche: la caffeina fa bene o no?

Si apra il dibattito decaffeinato. Quello che ci interessa, invece, è cercare

di alzare un altro velo sullo strato di ipocrisia che copre la questione

legata all’attività sessuale del calciatore. Abbiamo chiesto - nelle

interviste che potete leggere sotto - ad un allenatore (Gigi Cagni), ad un ex

campione (Stefano Tacconi) e ad un medico sociale (Giovanbattista Sisca del

Bologna), di affrontare la questione dal loro punto di vista. Da quello che ne

è emerso è che non c’è una verità definitiva, tutt’altro.

A noi basti sapere che, oltre il rischio infortunio sul lavoro, esiste pure

il rischio infortunio a letto, stiramento più stiramento meno. Non è una

novità. Nel nostro calcio è sempre successo: fin da quando le donne avevano la

coda, i buoni allenatori preferivano il centravanti sposato perché rendeva

meglio negli ultimi sedici metri, l’odore di olio canforato si mescolava allo

Chanel n.5, faceva buio presto ed era bello - chiedetelo ai mediani mandrilli

degli anni ‘70 e ‘80 - chiudersi in camera da letto e provare di tutto,

fuorché la simulazione.

Viviamo in altri tempi, qui dove la privacy di un qualsiasi esterno di serie

B viene spiattellata in rete. Matteo Ferrari, quando stava con la soubrette

Ayda Yespica, confessò la sua media: « Se capita anche quattro volte al giorno

». Se capita, ovviamente. Antonio Cassano nella sua biografia ha svelato di

aver avuto tra le seicento e le settecento amanti, calcolate per difetto.

Fernando Gago, così narrano le cronache, ha fatto i salti con la sua compagna,

Pia Martinez, nello spogliatoio dello Stadio Monumental, dopo un

Argentina-Colombia. I numeri da circo di Cristiano Ronaldo, dell’altro

Fenomeno, Ronaldo quello vero, e di Maradona, per dire di tre campioni, sono

record omologati dalla Fifa. Insomma, vale tutto, perché quando anche il

Kamasutra sdoganerà il 4-3-1-2 potremmo dire di essere entrati ufficialmente

in un’altra era, o in un altro campionato. Resta il fatto che infortunarsi ai

muscoli della coscia facendo le acrobazie a letto è appena più divertente che

farlo sulla trequarti, mentre un terzino in attesa di giudizio sta per entrare

in spaccata. L’unica consolazione è che puoi chiamare il massaggiatore,

nell’altro caso meglio stare zitti.

___

L’ALLENATORE: CAGNI

«Ai giocatori dico sempre:

voi state sotto si rischia meno l’infortunio...»

«I centrocampisti usano di più i flessori per loro è pericoloso: meglio i difensori...»

di FURIO ZARA (CorSport 25-01-2012)

«Ai miei giocatori dico: comunque state sotto»

E nessuno dica sotto la linea della palla.

«Sotto si rischia meno l’infortunio»

E’ una tattica anche questa. Comunque: Gigi Cagni, allora è vero: può

essere stata la Satta a spingere Boateng verso l’infortunio?

«Certo. Il calcio è uno sport fisico, bisogna fare attenzione con i propri

muscoli. I flessori poi...»

Bisognava dirlo a Boateng.

«Ha una muscolatura particolare, lo vedete no? Grande forza esplosiva, grande

agilità. E’ più soggetto ad un certo tipo di infortunio. E poi conta anche il

ruolo...»

No. Non dica così.

«Sì, a centrocampo usi di più i flessori, in difesa per esempio meno»

I terzini a letto possono fare acrobazie che manco Tarzan.

«I difensori devono stare attenti ai quadricipiti...Dai che scherzo, in realtà

ai miei tempi era diverso»

Cioè?

«Io lo facevo solo di lunedì»

Che allegria: il giorno di riposo dei barbieri.

«Eh, eravamo fatti così, ligi alle regole. Ora si gioca ogni tre giorni, è un

calcio molto più fisico e violento. Intendiamoci: far l’amore fa bene ed è

bellissimo, ma bisogna darsi delle regole»

Quelle che lei dà ai giocatori quali sono?

«Mai la sera dopo la partita, e mai il martedì e il mercoledì: sono i giorni

in cui li faccio lavorare di più. E sappiamo tutti che la cosa più importante

per un atleta è il recupero»

Messa così sembra un sudoku. C’è tempo per divertirsi?

«Ma certo, tutti gli altri giorni. Ma ogni giorno no, dai, per un atleta è uno

sforzo fisico e mentale che poi è difficile recuperare in fretta».

___

L’EX CAMPIONE: TACCONI

«Sesso a go go è la mia regola

Nell’85 a Tokyo geishe alla vigilia e due rigori parati»

«Io a letto non mi sono mai infortunato: e dire che mi sono sempre divertito...»

di FURIO ZARA (CorSport 25-01-2012)

«Sesso a go go»

Prego?

«Massì, i calciatori possono fare tranquillamente sesso a go go. Boateng e la

Satta? Bravi»

Tutti in piedi per l’applauso.

«Io a letto non mi sono mai infortunato. E sì che mi sono divertito

parecchio...»

Stefano Tacconi, lei giocava in porta. Lì si suda meno.

«E’ un fattore psicologico. I muscoli non c’entrano. Te lo ricordi Pacione?»

Marco Pacione, centravanti anni ‘80.

«Io ho in mente questa scena: alla fine di Juventus-Barcellona di Coppa

Campioni torniamo negli spogliatoi e Pacione è distrutto. Gli era andato tutto

storto, aveva sbagliato un paio di gol clamorosi»

Ok, ma che c’entra col sesso?

«Aspetta. Pacione era affranto, me lo ricordo bene, ripeteva a noi compagni

che era colpa del fatto che la sera prima aveva fatto sesso. Ne era convinto,

si sentiva in colpa. Ma dai....»

Ma dai.

«Io ho fatto l’amore anche il giorno prima»

Si chiama riscaldamento.

«Allora, Coppa Intercontinentale del 1985, siamo a Tokyo»

Bella città.

«Lascia perdere. Ti dico questo: io e un mio compagno il giorno della vigilia

l’abbiamo passato con due geishe. Ce le hai presente due geishe?»

Le ho viste sulle figurine.

«Giornata fantastica. Ti ricordi chi ha vinto quella volta?»

Juventus-Argentinos Juniors 2-2 dopo i tempi supplementari. Partita epocale:

alla fine vince la Juve ai rigori.

«Sai quanti ne ho parati? Due»

Il guizzo del campione.

«Ero bello carico, altroché..»

___

IL MEDICO SPORTIVO: SISCA

«Equilibrio e buonsenso

Un consiglio? Mai a ridosso della partita»

«Nessuna tabella per i giocatori. Ognuno dovrebbe saper gestire il proprio corpo»

di FURIO ZARA (CorSport 25-01-2012)

«Equilibrio e buonsenso. Il codice di autoregolamentazione che ogni atleta

deve avere prevede soprattutto questo» Così affronta la questione

Giovanbattista Sisca, 48 anni, medico sociale del Bologna da tredici stagioni,

le ultime dieci passate in panchina

Dottor Sisca: le maratone a letto di Boateng ci suggeriscono che il

sesso può fare male ai muscoli.

«Io non do giudizi sulle abitudini e i costumi dei giocatori»

Certo è che rischiano di infortunarsi.

«Diciamo questo: un’attività fisica intensa come quella sessuale a ridosso di

una attività agonistica è da sconsigliare»

Perché?

«Da un lato c’è un appagamento fisico e dall’altro un dispendio di energie

anche dal punto di vista mentale che possono essere penalizzanti»

Lei è il suo staff medico preparate tabelle specifiche per i

giocatori?

«No. Consigliamo una vita regolata. Il che non vuol dire monastica, ci

mancherebbe...»

E’ mai venuto da lei un giocatore a dirle: mi sono stirato perché

facevo le acrobazie a letto?

«No, non ho mai trattato infortuni da mettere in relazione diretta con

l’attività sessuale»

O magari quella era la natura dell’infortunio e le è stato tenuto

nascosto.

«Beh, sì, può essere capitato»

L’esperienza maturata in questi anni cosa le suggerisce?

«Che ogni atleta dovrebbe riuscire a gestire il proprio corpo e la propria

mente. Talvolta succede, altre volte no. I casi di attività agonistica più

longeva testimoniano una sana gestione di se stessi»

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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 25-01-2012)

Basta 'ergastolo sportivo'

Adesso tocca al Parlamento

Addio tessera del tifoso (vedi Spy Calcio del 23 gennaio). Sicuramente una

buona notizia, perché adesso è cambiato, sta cambiando, il vento: non c'è più

il ministro Roberto Maroni. L'attuale n.1 del Viminale, Anna Maria Cancellieri,

sta pensando, con il capo della polizia, Antonio Manganelli, e i vertici

dell'Osservatorio (Roberto Sgalla e Roberto Massucci) di cancellare la parola

"tessera del tifoso", che in questi due anni di vita ha raccolto molte

critiche. Vero che oltre 800.000 tifosi hanno dovuto prenderla, ma lo hanno

fatto, ricordiamolo, solo per l'amore che hanno per la loro squadra e per

poter seguire le partite dal vivo (e non dalla tv...). Ora si cambia: non ci

sarà più l'abbinamento tessera tifoso-abbonamento, e si sta studiando qualcosa

per le trasferte, dove ormai vanno in pochi perché sono diventate un percorso

ad ostacoli. Un (piccolo) suggerimento al ministro: ascolti anche la voce dei

tifosi, faccia quello che Maroni non ha mai voluto o saputo fare. Da un

governo tecnico, e non più politico, ci sono davvero speranze che non ci sia

più prevenzioni, tantomeno ostilità verso gli ultrà. E' ora di finirla, e di

cambiare rotta. I club dovrebbero fare la loro parte, cosa che (raramente)

hanno fatto. La tessera del tifoso deve andare in soffitta: gli stadi piano

piano devono tornare ad essere luoghi di civiltà, di allegria, di folclore, di

sfottò. Con le bandiere, gli striscioni (civili). L'aspetto che meno è

piaciuto ai tifosi della (famigerata) tessera è stato l'articolo 9 delle legge

4 aprile 2007, quello che prevede, come ci ha spiegato l'avvocato Lorenzo

Contucci, "che non possano avere titoli di accesso, e quindi tessere del

tifoso, coloro che sono stati sottoposti a provvedimento Daspo (e quindi in

ogni epoca) e che siano stati condannati per reati da stadio (e quindi in ogni

epoca)". L'Osservatorio è favorevole a modificare questa norma, e ha limitato,

almeno in piccola parte, la portata assurda, limitandoli agli ultimi cinque

anni. Ma non ha lo stesso alcun senso: in curva (e in tribuna vip.. . ) possono

sedere tranquillamente dei pregiudicati per reati non da stadio (ma

sicuramente molto più gravi) e non, magari, un ragazzino che cinque fa ha

acceso un fumogeno. Ha sbagliato? D'accordo, ma non condanniamolo ad un

"ergastolo sportivo". Ci vuole poche per riparare questo errore: basta andare

in Parlamento e sostituire il comma 1 dell'art.9 in questa maniera: "è fatto

divieto alle società organizzatrici di competizioni riguardanti il gioco del

calcio, responsabili della emissione, distribuzione, vendita e cessione dei

titoli di accesso, di cui al decreto ministeriale 6 giugno 2005 del Ministero

dell'Interno, pubblicato nella Ġazzetta Ufficiale n. 150 del 30 giugno 2005,

di emettere, vendere o distribuire titoli di accesso o "tessere del tifoso" a

soggetti che siano in atto destinatari di provvedimenti di cui all'articolo 6

della legge 13 dicembre 1989 n. 401, ovvero a soggetti che siano stati,

comunque, condannati, anche con sentenza non definitiva, per reati commessi in

occasione o a causa di manifestazioni sportive, fino al completamento dei

cinque anni successivi alla data della condanna e che non abbiano già scontato,

anche parzialmente, per lo stesso episodio la misura inflitta con

provvedimenti di cui al citato articolo 6 della legge 401/1989". Chi ha

scontato, deve poter tornare allo stadio. Forza, politici: datevi da fare.

Basta poco. E bisogna fare in fretta prima che torni, il prossimo anno, un

governo politico (di qualsiasi colore sia). E i tifosi, ripeto, facciano

sentire adesso la loro voce. "E' una battaglia che dobbiamo, vogliamo

assolutamente vincere", ripete Contucci, convinto anche lui che questo sia

davvero il momento giusto.

Modificato da Ghost Dog

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Pubblicata la relazione comparativa licenze per club

La quarta relazione comparativa UEFA sulle licenze per

club europee arriva in contemporanea con l'implementazione

delle prime misure di fair play finanziario volte a

garantire la stabilità economica del calcio europeo.

di UEFA News Mercoledì, 25 gennaio 2012, 14.10CET

La UEFA ha rilasciato la sua quarta relazione comparativa sulle licenze per

club europee, che prende in esame i risultati finanziari di oltre 650 club di

massima divisione delle 53 federazioni nazionali affiliate alla UEFA.

Lo Scenario sul Calcio Europeo di Club è un documento di 124 pagine

pubblicato in quattro lingue – Inglese, Francese, Tedesco e, a partire

dall'inizio di febbraio, Russo. La relazione arriva in un momento cruciale, in

contemporanea con le prime misure di fair play finanziario introdotte dalla

UEFA per arginare i problemi di natura economica che affliggono il calcio di

club in Europa

La Relazione Comparativa Licenze per Club UEFA per l'Anno Finanziario 2010,

la più ampia nel suo genere, prende in analisi i dati finanziari di 665 club,

ovvero il 90% di quelli che militano nei campionati di prima divisione. Le

informazioni finanziarie sono state prelevate direttamente dai bilanci

certificati inviati dai club come parte dei requisiti necessari per aderire al

programma di licenze.

La relazione è centrata su temi squisitamente economici, ma analizza anche

altri aspetti rilevanti del calcio europeo, prendendo in esame il periodo che

termina con la conclusione dei campionati nazionali 2010/11, e include una

sezione dedicata ai giocatori cresciuti nei vivai, oltre ai profili di 535

allenatori di squadre che militano nei massimi campionati.

Sono inoltre stati presi in esame i trend di affluenza negli stadi, i livelli

di utilizzo degli impianti, i trend legati ai coefficienti nazionali, le

strutture dei campionati nazionali e i risultati del programma di licenze per

club.

La relazione adotta uno stile visivo molto chiaro, utilizzando numerosi

grafici e adottanto la formula domanda e risposta. Ad esempio, una delle

domande presenti riguarda la durata media della permanenza di un tecnico (capo

allenatore) sulla panchina di un club di massima divisione. Prendendo in esame

oltre 500 club si evince che oltre la metà dei tecnici impegnati nei massimi

campionati sono rimasti in carica per meno di 12 mesi e che la media di

"sopravvivenza" è di circa 17 mesi. Un'altra domanda ha come tema l'impatto

sui club del regolamento UEFA sui giocatori cresciuti nei vivai e le analisi

dimostrano come sia aumentato l'utilizzo di giocatori delle giovanili e Under

21 in UEFA Champions League.

La seconda parte della relazione analizza in dettaglio la situazione

finanziaria dei club a livello europeo, nazionale e individuale, oltre ad

esaminare i dati economici delle società impegnate nelle competizioni UEFA per

club. Dai numeri si evince che, nonostante la persistente crisi economica, le

entrate del calcio continuano a salire: nel 2010 le entrate complessive dei

club delle massime divisioni sono cresciute del 6,6%, toccando la cifra record

di 12,8 miliardi di euro.

Questa tendenza positiva non è prerogativa solo dei principali campionati

nazionali europei: negli ultimi cinque anni il tasso di crescita delle entrate

del calcio ha superato quello del Prodotto Interno Lordo in 49 dei 53 paesi le

cui federazioni sono affiliate alla UEFA. Tuttavia, a dispetto delle cifre

sopraccitate, i segnali di difficoltà finanziarie non mancano: l'aumento delle

entrate va di pari passo con il record negativo di perdite nette aggregate per

una cifra pari a 1.641.000.000 euro, con un aumento del 36% rispetto all'anno

finanziario conclusosi nel 2009.

Come spesso accade in questi casi, i dati più significativi si ricavano dai

dettagli e ad un'analisi approfondita dei rendiconti finanziari - estranea ai

più in gran parte delle occasioni - si evince che l'aumento delle perdite è

dovuto quasi esclusivamente alla riduzione dei profitti derivanti dai

trasferimenti a causa di un decremento dell'attività di mercato nel 2010, e

non all'aumento di perdite operative: per la prima volta da diversi anni,

infatti, la spesa media per coprire il monte ingaggi (indicatore chiave per il

calcio di club) si è assestato al 64% delle entrate.

Mentre il risultato è stato perciò simile a quello del 2009 e molti club

hanno riportato buoni risultati finanziari, resta il fatto che metà dei

maggiori club europei hanno riportato perdite, e, fatto più preoccupante, il

29% ha riportato perdite significative equivalenti a una spesa di €12 per ogni

€10 di entrate. La proporzione di club che riportano perdite sale al 75%

quando si tengono in considerazione solo i club più grandi (quelli con

fatturato superiore a €50m).

A controbilanciare in parte le cattive notizie, c'è il dato secondo il quale

i club hanno fatto fonte alle perdite combinate di 4 miliardi di euro negli

ultimi cinque anni grazie all'iniezione di capitali da parte di proprietari e

benefattori per un totale di 3,4 miliardi di euro. Contesualizzando il dato,

si sono registrate perdite nette per oltre 600 milioni di euro in un periodo

che ha segnato una crescita significativa delle entrate.

L’attuale situazione economica rappresenta una sfida per i club in tutta

Europa e solo due dei 20 maggiori campionati hanno chiuso in pareggio. La

situazione è ancora peggiore nelle zone più basse della piramide calcistica,

dove il rischio di insolvenza e bancarotta è molto più elevato rispetto a

quello dei campionati maggiori. In questo contesto, sottolinea la relazione,

l’implementazione del nuovo Regolamento sulle Licenze UEFA per Club e sul Fair

Play Finanziario ha l'obiettivo di incoraggiare i club a gestire meglio le

loro finanze e i movimenti di cassa e a ottenere un equilibrio sostenibile tra

entrate, spese e investimenti.

Secondo la relazione, se le nuove regole sul pareggio in bilancio venissero

applicate oggi diversi club non riuscirebbero a stare al passo e club di 22

paesi dovrebbero ricapitalizzare per pareggiare perdite "medie" (perdite entro

"un limite accettabile" secondo il fair play finanziario). Anche se la

simulazione finanziaria della relazione copre un periodo precedente alla nuova

disposizione sul pareggio in bilancio, non ci sono dubbi sul fatto che diversi

club debbano iniziare ad adattarsi oggi per prepararsi al domani.

L'implementazione delle nuove regole, conclude la relazione, sarà una sfida

per numerosi club che dovranno mettere ordine nelle loro finanze. L'organo di

governo del calcio europeo, però, crede che un trattamento sistematico degli

attuali problemi sia l'unico modo per garantire competizioni eque, oltre alla

disciplina finanziaria e alla stabilità a lungo termine.

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Il colpo di genio

della Redazione del Blog di JUVENTINOVERO.COM 25-01-2012

video di antocon

Ovviamente il titolo non si riferisce al bellissimo gol di Alessandro Del

Piero, con il video riportato (realizzato da un tifoso presente in curva) che

testimonia l'esultanza di tutto lo stadio. Si riferisce bensì a un episodio

non mostrato dalle telecamere della Rai durante la diretta della partita,

impegnate come erano a seguire i festeggiamenti dei giocatori.

Chi ha visto la partita in TV (come noi, purtroppo) ha notato, poco dopo il

gol, solerti proteste da parte dei giocatori romanisti, pensando che

riguardassero una presunta posizione di fuorigioco di Borriello (che poi le

immagini hanno dimostrato non esserci, con buona pace di Civoli, Cerqueti e

compagnia rosicante). Tutto sommato ci potevano stare, anche se sono

sembrate esageratamente prolungate, la posizione dell'attaccante era dubbia

e si sa come funziona in campo: più si protesta meglio è, soprattutto quando

si gioca contro una certa squadra.

Ma... quando chi era allo stadio ci ha spiegato come in realtà erano andate

le cose abbiamo stentato a crederci, e abbiamo avuto una reazione tra il

divertito e lo sconfortato. Nelle immagini, se pur di qualità non certo

professionale, si nota infatti che, mentre i giocatori della Juventus stanno

riprendendo posizione nella propria metà campo, i giallorossi battono in

fretta e furia il calcio d'inizio di loro iniziativa, Totti fa qualche

metro palla al piede e calcia la palla verso la porta sguarnita,

tra l'altro prendendo in pieno il palo. Seguono quindi le proteste.

Rimane da capire dove volessero arrivare i giallorossi dato che l'arbitro

Banti, che ne ha fatte di tutti i colori durante la partita, per fortuna ha

avuto la dignità di non cascare in questa pantomima fermando i giocatori,

visto che evidentemente non aveva fischiato la ripresa del gioco come previsto

dal regolamento. Provarci ci può anche stare, magari per disperazione,

anche se scadendo in una situazione abbastanza grottesca per non dire patetica,

ma anche le proteste vibrate ci volevano?

Dunque ci rivolgiamo ai lettori per la risoluzione di questo mistero: Totti e

compagni per cosa hanno protestato?

Per la dimensione irregolare delle porte del nuovo stadio bianconero, che non

ha permesso "ar pupone" di mettere il pallone in porta almeno per finta?

Per la deviazione della palla dovuta al "vento del nord", con conseguente

figuraccia "der capitano"?

Per la mancata revisione al regolamento durante la partita, come ai bei tempi

di Nakata, con conseguente convalida postuma del gol (ma si è almeno

accorto di aver preso il palo a porta vuota?)

Volevano l'assegnazione morale del gol perché, anche se sul palo e a gioco

fermo, il tiro era bello e andava premiato?

Perché dopo "er gò de Turone", "er controfallo de Cicinho", ed "er guanto de

non zo più chi", volevano a tutti i costi anche "er palo der Pupone"?

Per solidarietà con le proteste dei camionisti?

A questo punto "voglio sentire Lollobrigida" (cit.)

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IL MEDIANO CONTESO TRA

ISRAELIANI E PALESTINESI

È nella Nazionale araba, ma ha scelto il team di Haifa

di ROBERTA ZUNINI (il Fatto Quotidiano 26-01-2012)

L’unico terreno su cui, finora, gli israeliani e i palestinesi non si erano

scontrati, è quello erboso dei campi di calcio. Ma ora anche lo sport più

seguito in Israele e nei Territori palestinesi, è rimasto coinvolto nel

conflitto. La contesa tra le squadre Hapoel Haifa e Jabal Mukaber per il

centrocampista israelo-palestinese Ali Khatib è scoppiata quattro giorni fa,

agli inizi peraltro di una settimana che sarebbe dovuta risultare cruciale per

la ripresa dei negoziati di pace. Entrambi i team giocano nella Serie A dei

loro paesi: Hapoel Haifa per Israele, Jabal Mukaber per i Territori, essendo

una squadra di Gerusalemme Est. Ali Khatib è palestinese, ma può giocare anche

in Israele perché è nato 23 anni fa nella città santa. Khatib è più di una

promessa per il calcio palestinese e israeliano, visto che ha già giocato per

alcune squadre palestinesi e israeliane, ma è, e rimane, soprattutto un

ragazzo. E agisce come tale. Per questo, lunedì scorso, non ha pensato alle

implicazioni di ciò che stava per fare: ha solo seguito il suo istinto che lo

portava verso una squadra più forte, indipendentemente dalla nazionalità.

Senza dire nulla al suo allenatore, Mohammed Issa, si è presentato al provino

dell’Hapoel Haifa, ottenendo un contratto immediato.

Certo, Khatib non è uno sconosciuto e sembrerebbe essere davvero molto bravo.

Avrà però ottenuto l’ingaggio immediato solo per la sua bravura o anche per

indebolire il Jabal Mukaber e togliere al campionato palestinese uno dei suoi

attori principali? Sono davvero in tanti a chiederselo in Palestina, visto che

tutti impazziscono per il calcio e la sorte dei calciatori è importante quasi

quanto la nascita di un vero Stato palestinese. Mister Issa, non appena saputo

del “furto”, ha immediatamente annunciato che farà ricorso alla Fifa perché

Khatib avrebbe un contratto legalmente vincolante. “Presenterò un reclamo – ha

detto, furibondo –, proprio per il fatto che non ci sono rapporti ufficiali

tra le associazioni di calcio israeliana e palestinese non significa che le

squadre israeliane possono portarci via i giocatori”. L’Hapoel Haifa ha

ribadito che Khatib non è sotto contratto ed è quindi libero di muoversi. E

Khatib, cosa ha replicato, dopo essersi accorto di aver combinato un guaio,

non solo di natura sportiva? Ha fatto un’azione che ha spiazzato tutti, da

vero fuoriclasse: ha rivelato candidamente di essere ancora registrato con la

sua ex squadra israeliana, l’Hapoel Shfaram.

La smentita del coach palestinese però è stata immediata: “Questo è

semplicemente non vero. Abbiamo ingaggiato Khatib regolarmente, gli paghiamo

uno stipendio e l’affitto. Gli accordi sono chiari. Lui è quindi un nostro

giocatore e non può decidere da solo di andarsene”. Chi uscirà vincitore da

questa battaglia non è ancora possibile saperlo, il dibattito però è molto

acceso e i siti israeliani e palestinesi aggiornano senza sosta i commenti dei

tifosi di entrambe le squadre che non vogliono rinunciare a far valere le

proprie ragioni. Un po’ come è avvenuto ad Amman dove ieri si è tenuto

l'ultimo incontro tra i negoziatori israeliani e palestinesi per cercare di

mettere a punto un’agenda che porti alla ripresa dei negoziati di pace diretti,

interrotti dal settembre 2010. Dopo tre riunioni, l’Autorità nazionale

palestinese ha sentenziato che sono “chiusi”: i negoziatori Saeb Erekat e

Yitzhak Molcho, con il sostegno della Giordania e del Quartetto (Usa, Russia,

Ue, Onu) hanno cercato di porre le basi per la riapertura del processo di pace

ma non hanno trovato un terreno comune. Il sovrano giordano Abdallah, uno dei

primi e più forti alleati arabi di Israele, per la prima volta ha minacciato

ritorsioni nei confronti di Israele mentre il presidente dell’Anp Abu Mazen ha

sottolineato che un’ipotetica “estensione” dell’iniziativa giordana è rinviata

a questo punto a consultazioni con la Lega Araba, in programma entro fine mese.

Mentre nelle strade di Ramallah, la capitale amministrativa dell’Anp,

centinaia di persone si sono radunate non per una delle abituali

manifestazioni contro l’occupazione israeliana, ma per denunciare l’aumento

delle tasse. I problemi della vita quotidiana superano i massimi sistemi.

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Scommesse

Masiello interrogato

inguaia Almiron

di CLAUDIO DEL FRATE (CorSera 26-01-2012)

Un memoriale di dieci pagine, nel quale il difensore Andrea Masiello racconta

di aver saputo che alcuni giocatori del Bari, sua squadra della passata

stagione, sarebbero stati coinvolti in un giro di scommesse. Il giocatore, ora

in forza all'Atalanta, ha consegnato il dossier ieri pomeriggio ai pm di Bari

che l'hanno interrogato nell'ambito di un'inchiesta su infiltrazioni

malavitose nell'ambiente calcistico locale; il verbale di interrogatorio è

stato segretato e l'incontro si è tenuto in una caserma dei carabinieri per

evitare intemperanze da parte degli ultrà. Il calciatore avrebbe raccontato di

aver notato che suoi ex compagni avrebbero avuto contatti con un giro di

scommettitori specie nella parte finale del passato campionato. Masiello

avrebbe scagionato se stesso ma avrebbe fatto il nome del suo ex compagno

Almiron, che si sarebbe speso per truccare Bari-Lecce, ultima partita dello

scorso campionato finita 0-2 con un'autorete dello stesso Masiello. Identica

linea era stata tenuta dal giocatore davanti al pm di Cremona dal quale si era

presentato una settimana fa. Forse già oggi Masiello si farà interrogare anche

dal procuratore della Federcalcio Stefano Palazzi.

___

"Costretto dalla mafia a vendere partite"

II pentito Masiello interrogato ieri in segreto: "Mi minacciavano"

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 26-01-2012)

La mafia lo scorso anno ha bussato al campanello della serie A. Uomini del

clan barese dei Parisi hanno aspettato i calciatori sotto casa, hanno

frequentato gli spogliatoi, esercitato pressioni e minacce, distribuito

mazzette e incassato denaro per combinare i risultati di una serie di partite:

almeno quattro, ha ammesso ieri l´ex difensore biancorosso, oggi all´Atalanta,

Andrea Masiello. Il verbale del giocatore è stato secretato visto «che

riguarda persone diverse dal dichiarante» scrivono nel decreto il procuratore

Anonio Laudati e il pm Ciro Angelillis (lo stesso che si è occupato del caso

Tarantini). Ma una cosa appare già chiara: «Gervasoni era un ex giocatore del

Bari. Bellavista anche. Micolucci, pure. Con i biancorossi ha giocato

Carobbio. La storia del calcioscommesse negli ultimi anni in Italia pone le

sue fondamenta a Bari. E a Bari speriamo di farla crollare» dice un

investigatore.

Masiello, quindi. Il ragazzo ha parlato. Non a caso la sua audizione è stata

trattata come quella di un vero pentito di mafia. Lui stesso e i suoi legali

hanno saputo solo mezzora prima dove e a che ora ci sarebbe stato

l´interrogatorio. Martedì hanno dormito a Lecce dopo essere arrivati con un

volo a Brindisi per scansare gli occhi dei tifosi. Hanno pranzato in Salento,

poi al telefono gli è stato detto di avvicinarsi al capoluogo. All´uscita

dello svincolo per Carbonara, sulla tangenziale di Bari, li aspettava un auto

dei carabinieri. Li hanno scortati fino in caserma. Quattro ore di

interrogatorio davanti al pm Angelillis e agli uomini del Reparto operativo

dei Carabinieri. Masiello ha ammesso di aver partecipato alla combine contro

il Palermo (non riuscita per il rigore sbagliato da Miccoli) perché ha avuto

paura. Ha raccontato che i baresi («tutti mi dicevano di stare attenti, che

era gente poco raccomandabile») sono andati sotto casa sua per due volte e gli

hanno messo una mazzetta da ottantamila euro in mano (poi restituita essendo

saltata la combine). Che "quelli" hanno fatto lo stesso con Parisi, Rossi e

Bentivoglio. Ha raccontato che non era la prima volta che accadeva. Sempre

dallo stesso personaggio (Angelo Iacovelli) era stato avvicinato prima della

partita con il Chievo (persa dal Bari per 2-1), della Roma (2-3) e con la Samp

(0-1). Gli avevano offerto e consigliato di non impegnarsi. Che altri

giocatori avevano già detto di sì. Iacovelli era accompagnato volta per volta

da personaggi vicini alla malavita barese. E in due occasioni dagli Zingari:

Masiello ha riconosciuto la foto dello slavo che, come ha accertato Cremona,

era a Formello prima di Lazio-Genoa. La Procura di Bari ha ora sul taccuino il

nome di altri calciatori - il difensore Belmonte e il portiere Padelli - ma ci

sono anche i nomi di insospettabili e di qualche dirigente della squadra (la

società però era all´oscuro di tutto). Gli investigatori sono poi convinti che

ci fossero complicità anche nelle altre squadre (nel mirino in particolare le

partite di Parma e Bologna) ma anche su questo stanno lavorando.

Masiello nei prossimi giorni vedrà il procuratore federale Stefano Palazzi,

per raccontare le "sensazioni" sui compagni in merito ad altre partite.

Postilla: Masiello conferma completamente le dichiarazioni dell´altro pentito

del calcioscommesse, Gervasoni. Ecco perché questo è soltanto l´inizio.

___

LE INDAGINI DOPO L’INTERROGATORIO DI IERI

Arresti in arrivo

Altri giocatori

pronti a parlare?

La Procura di Bari ha molti riscontri

Masiello potrebbe essere imitato da altri ex compagni

di FRANCESCO CENITI (GaSport 26-01-2012)

«Questa brutta storia è nata a Bari e morirà a Bari. Il calcio non ha gli

anticorpi per difendersi dall'attacco della criminalità. La nostra inchiesta

dimostra come anche la A sia sotto scacco». E' una stilettata al cuore dei

tifosi quelle che a tarda sera pronuncia un investigatore. Masiello è già in

autostrada, altri non avranno questa possibilità: parlare e poi ritornare a

casa. Le mani della mafia sul Bari. Su questo e molto altro ruota l'inchiesta

condotta dal procuratore Laudati. Sono tanti i riscontri raccolti in oltre due

anni d'indagine. Adesso siamo davvero alle battute finali: le persone sotto

inchiesta sono diverse decine e molte di loro potrebbero nelle prossime

settimane ritrovarsi con le porte del carcere spalancate. I reati sono

pesantissimi: associazione per delinquere di stampo mafioso (l'articolo 416

bis), riciclaggio attraverso le scommesse e la frode sportiva. Nella rete

dovrebbero finire impigliati diversi giocatori, non solo quelli del Bari.

Questa è la prima novità. Ma forse ce n'è una seconda.

Nuovo pentito La scelta di Masiello ha spazzato via il muro dell'omertà. Ci

sarebbero altri pronti a collaborare. Gli stessi inquirenti non escludono

l'ipotesi. Chi è? Forse un ex compagno di Masiello. Di sicuro qualcuno

avvicinato da Iacovelli. Le gare che puzzano sono sempre le stesse:

Bari-Catania 1-1, Cesena-Bari 1-0 e Bologna-Bari 0-4. Più Parma-Bari 1-2 dove

accade un episodio messo sotto la lente d'ingrandimento dalla procura: Marco

Rossi al fischio final fu inseguito e insultato dagli avversari. Fu proprio

Masiello a proteggerlo. Rossi dichiarò: «Mi si accusa di aver fatto il

professionista...». Frase che riletta oggi assume un significato sibillino.

Anche perché gli inquirenti hanno tutta una serie di riscontri

(intercettazioni, movimenti bancari, tabulati e testimonianze) che

incastrerebbero i calciatori di altre squadre: tra i possibili arrestati ci

potrebbero essere delle sorprese. Non solo, come è accaduto a Cremona, qualche

indagato ha fornito un assist agli investigatori con una attività telefonica

diventata frenetica dopo la confessione fatta da Masiello.

Palazzi e Masiello Le continue novità renderanno complicato il lavoro di

Palazzi. Non sarà facile imbastire il processo sportivo quando sempre più

calciatori e squadre finiscono nel tritacarne. Il procuratore potrebbe

scendere nei prossimi giorni a Bari per parlare con Laudati (di cui è stato

auditore). Difficile però che possa avere ora degli atti: c'è di mezzo il 416

bis. Ecco che diventano fondamentali le collaborazioni. Primo fra tutti

Masiello («premiato» con un solo anno di squalifica): il giocatore sarà

sentito nella prossima settimana e fornirà nomi e cognomi dei colleghi

avvicinati dal clan. Oggi, intanto, tornerà ad allenarsi con l'Atalanta, ma il

tecnico Colantuono non dovrebbe convocarlo.

Modificato da Ghost Dog

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laRovesciata di ROBERTO BECCANTINI (GaSport 26-01-2012)

Balotelli, Raiola e il ct

tra rispetto e codici

A Mario Balotelli, come in passato ad Antonio Cassano, trovo opportuno

chiedere cosa farà «di grande», visto il talento che ha, e non cosa farà «da

grande», visto il peccatore che sono. Dicono che gli inglesi lo abbiano preso

di mira, e facciano la ola ogni volta che lo beccano in flagrante, ostaggi

come sono della morbosità dei lettori. Non ci credo: spesso, è Mario in

persona a ispirare i titoli dei tabloid. Così come conservo forti dubbi sulla

volontarietà del calcio a Scott Parker del Tottenham, episodio che, sfuggito

alla terna e smascherato dalla tv, ha fatto scattare quattro turni di

squalifica.

Ecco, il nodo è proprio questo. Il «reclamo» non l’ha presentato il Manchester

City, ma Mino Raiola, l'agente di Mario. Cito dal pezzo di Stefano Boldrini:

«L’arbitro è stato un codardo. Si è fatto influenzare da Redknapp e dai media.

Ha scritto di non aver visto nulla ma era a un metro. Se la federazione

inglese non protegge Balotelli, noi qui non ci possiamo stare. Andremo

altrove».

«Se la federazione inglese non protegge Balotelli »: e perché mai dovrebbe o

avrebbe dovuto proteggerlo? E Parker, e gli altri? Nessuno è perfetto, e

nemmeno gli inglesi lo sono. Da quelle parti, però, tira un’altra aria. Luis

Suarez, attaccante uruguagio del Liverpool, diede (sette volte) del negro a

Patrice Evra del Manchester United e si beccò otto giornate. E il Liverpool,

come il Manchester City, rinunziò al ricorso.

Raiola adombra lo scenario del quale noi italiani siamo gelosi e ghiotti,

molto ghiotti: il complotto. Nel dettaglio, la congiura contro il suo pupillo.

Non la indica apertamente ma vi gira attorno con arroganza: dice e non dice,

allude e minaccia, mescola torti (?) e sbocchi dimercato. Viceversa, avrebbe

dovuto parlare di rispetto: per la sentenza, per la corte, per tutto. Non si

tratta di essere moralisti un tanto al chilo. Non siamo di fronte a uno dei

troppi misteri irrisolti che zavorrano l'Italia: più terra terra, siamo

davanti a un caso non così oscuro o viscido da innescare, e giustificare,

reazioni così brusche, così becere.

A 21 anni, Balotelli sembra un giovane in perenne fuga da se stesso. Cesare

Prandelli ha deciso di convocarlo comunque per l'amichevole con gli Stati

Uniti, in programma il 29 febbraio a Genova. Voce dal fondo: e il codice

etico? In teoria, l’etica—che, secondo il presidente Abete, «non va mai in

prescrizione»—non dovrebbe cibarsi di pestoni furtivi e neppure di testi

scritti, di misure vincolanti. Soprattutto nello sport, dovrebbe far parte del

quadro, senza esserne la cornice ruffiana, ipocrita, da appendere in base alle

emergenze o, peggio, alle convenienze. Sventurato quel popolo, scriveva

Bertolt Brecht, che ha bisogno di eroi; e di codici etici, aggiungo.

L’importante è il rispetto: tanto per la scelta del nostro ct, che slega

Balotelli, quanto per il verdetto inglese, che lo lega. Poi, sia chiaro,

liberi tutti di discutere tutto: se squalificare Mario sia stato corretto o no,

e se precettarlo da squalificato sia giusto o no.

Parafrasando Giorgio Gaber, il problema non è Balotelli in sé ma Raiola in

lui.

___

loSpunto

UNO, DIECI, CENTO JUVE STADIUM E

LA CRISI DEL CALCIO VA IN SOFFITTA

di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 26-01-2012)

Posti a sedere 41mila, spettatori paganti 38. 498. Numeri dello Juventus

Stadium di martedì, coppa Italia. Che non c'entrano con quelli di Del Piero,

ma che hanno suggerito a qualcuno della Roma, ancora stranito dalla batosta,

osservazioni pertinenti. Taddei: «Uno stadio così vale 15-16 punti a

campionato». Baldini: «Magari non così tanti, ma 6-8 di sicuro».

E' un fatto che la cornice, anche se non fa la squadra, aiuta. E parecchio.

In questo senso, onore ai dirigenti della Juventus. Dell'altro ieri, di ieri e

di oggi. Un filo d'Arianna lungo sei anni che ha portato a questo risultato.

Uno stadio-salotto che produce vittorie e ricavi. Anche solo a seguirla in

televisione, Juve-Roma faceva venire i brividi a prescindere da quanto

accadeva in campo. Sembrava di essere in Premier League o in Bundesliga.

Recessione, crisi economica e qualitativa del calcio italiano,

calcioscommesse, Lega di Serie A persa dietro grottesche baruffe. . . Ebbene,

dateci altri nove-dieci Juventus Stadium e vi solleveremo il mondo. Non ci

vuole molto a capirlo. A chiacchiere sembrano averlo compreso tutti, non c'è

intervista in cui lo stadio nuovo non sia posto come priorità. Eppure, gli

stessi lobbisti che si riempiono la bocca di quella che in realtà è una

ovvietà, che cosa sono riusciti a fare finora? Di rinvio in rinvio la legge

che avrebbe potuto sbloccare la situazione è ferma presso la Commissione

cultura della Camera da due anni. Il neoministro dello sport Piero Gnudi ha

dato un cenno di interesse, qualche settimana fa. Ma lì la sua attenzione

sembra essersi esaurita. Ora il relatore Claudio Barbaro promette di

ricalendarizzare la legge in Commissione. Gli suggeriamo di portarsi dietro il

filmato di Juve-Roma, un martedì qualsiasi di coppa Italia.

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Mentre si avvicina la nuova era

le società continuano a spendere

Fair play, ecco le sanzioni

Ma il rosso sale: 1,6 miliardi

L'Uefa vara le misure per un calcio europeo più sostenibile:

dalle multe all'esclusione dalla Champions

Punizioni dal 2014, oggi 13 club sarebbero fuori

Rischio di ricorsi

di FABIO LICARI (GaSport 26-01-2012)

CIFRE_E_REGOLE.jpg

È un lavoro sporco ma, parafrasando i film di Hollywood, qualcuno deve pur

farlo. Solo che qui non ci sono indiani e cow-boy, eroi e criminali:

semplicemente club europei che vivono al di sopra delle loro possibilità

(niente di nuovo sul fronte occidentale di questi tempi) e rischiano il

collasso o, come dice l'amministratore delegato dell'Inter Ernesto Paolillo,

«lo scoppio di una bolla tipo quella immobiliare» che ha appena scatenato la

crisi mondiale. Ecco perché l'Uefa s'è inventata il fair play finanziario: che

forse non sarà il migliore dei sistemi possibili, ma in qualche modo

costringerà – già lo sta facendo – presidenti con le mani bucate a frenare una

spirale pericolosissima, riducendo gli stipendi folli dei calciatori. «Questa

è l'ultima chiamata per chi non ha ancora capito», dice Gianni Infantino,

segretario Uefa e architetto del sistema. Non è detto neanche che funzioni,

soprattutto quando arriverà il momento di punire i «cattivi»: la protezione

giuridica dell'Ue è ancora flebile, il rischio del ricorso ai tribunali civili

in agguato. Ma almeno si comincia.

Tredici nei guai Le cifre sono impressionanti. Il deficit dei club europei

dei 53 campionati, dal Portogallo al Kazakistan, ha raggiunto nel 2010 la

bella cifra di 1,6 miliardi di euro. Era 1,2 l'anno scorso, sono 400 milioni

in più. Il problema è che le entrate sono aumentate: da 12 a 12, 8 miliardi (i

ricavi aumentano di 10% all'anno, come in un'industria sana). Il che significa

che le spese sono cresciute ancor di più, da 13,3 a 14,4. Nel rapporto Uefa ci

sono altre cifre da paura: il 56% dei club è in «rosso» e la percentuale sale

considerando quelli nelle coppe. Gli stipendi costituiscono il 64% del

fatturato (ma per qualche club più del 100%). Nella Champions e

nell'Euroleague in corso ci sono 13 club che non rispettano il fair play:

l'Uefa non fa nomi, ma la lista comprende City, United, Inter, Chelsea, Milan,

Barcellona, Valencia, Liverpool, Paris Saint Germain. Mentre i più virtuosi

sono Arsenal, Real Madrid, Bayern e Napoli.

Regole utili I nomi non sono pubblici: l'Uefa non vuole creare liste di

proscrizione. Anzi: con i club la collaborazione è ottima e, come aggiunge

Paolillo, «noi abbiamo bisogno di queste regole. Stiamo lavorando con Nyon per

trovare regole utili per tutti, anche se non possiamo escludere che, al

momento delle sanzioni, qualcuno non sia d'accordo e ricorra in tribunale». E

Jean-Michel Aulas, presidente del Lione: «Il calcio si è lasciato andare e

Platini ha preso una decisione coraggiosa per fermare la spirale. Quindi ci

vogliono regole che non siano accettate ma addirittura suggerite da noi club

per creare un nuovo modo, più etico, di gestire il calcio».

Scadenze e deficit Dalle belle parole si passerà un giorno ai fatti. Quel

giorno non è lontanissimo. Il fair play è cominciato quest'anno e, a cicli

triennali (escluso il primo che è biennale), monitorerà i bilanci dei club. In

parole semplici: nel 2013-14 l'Uefa svolgerà i primi controlli sui bilanci

2012 e 2013 e, in caso negativo, nel 2014 arriveranno le sanzioni. Ormai si

sa: nel biennio, o nel triennio, i club possono avere un deficit globale non

superiore a 45 milioni e più avanti 30 milioni (escluse le spese virtuose per

stadi e giovani, che non fanno passivo). Questo deficit, comunque, deve essere

coperto con ricapitalizzazioni e donazioni, non con prestiti. C'è una

tolleranza di 5 milioni, poi si entra nel radar del nuovo organo di controllo.

Sanzioni e appelli Le sanzioni non saranno automatiche. Nel senso che un club

potrà essere in passivo ma aver anche dimostrato un miglioramento progressivo:

si sta impegnando, gli evitiamo gli esami di riparazione. Ma dopo si fa sul

serio e la lista di sanzioni, anticipata martedì dalla Ġazzetta, è lunga: le

minori (avvisi, multe), poi penalizzazioni di punti, riduzione delle liste

Uefa o mancata iscrizione di nuovi acquisti, perdita dei premi di Champions (o

Europa League) e infine squalifica ed esclusione. Con il rischio – non nega

l'ufficio legale Uefa - «che chi non rispetta le regole sia poi quello che va

in tribunale». Dovrebbe accettare il giudizio dell'organo di controllo e poi

l'appello al Tas, ma non è detto.

No Sion-bis? L'Uefa ha il sostegno della Commissione Ue. Ma la protezione

speciale del presidente Barroso, chiesta da Platini, non arriverà a breve,

forse mai: perché il Trattato Ue tutela sempre la libertà di impresa. Più

proporzionate e giuste saranno le sanzioni, meno si rischieranno nuovi casi

Sion. Ma la partita, una finalissima davvero, è appena cominciata. Negli

ultimi sette anni già 31 club, minori per la verità, sono stati esclusi dalle

coppe. Ora 39 club europei (per l'Italia Milan, Inter, Napoli e Udinese), tra

i quali Real, Barcellona, United, City, Bayern, Psg hanno accettato di

sottoporsi a un test per gli anni 2009-11: vediamo se il sistema va. E magari

il giocattolo più bello del mondo non si rompe.

___

Poco fair play, Europa spendacciona

Il Bayern: “Perché solo noi a posto?”

L’Uefa svela i debiti del pallone.

Platini all’Italia: «Anche voi avete gli sceicchi»

di GIULIA ZONCA (LA STAMPA 26-01-2012)

L’Europa è sempre la stessa, calcio o politica non fa differenza. Da una parte

c’è la Germania che ha già messo i conti a posto e pretende il rispetto delle

regole, dall’altro Paesi che ritardano, aspettano o peggio traballano.

L’Uefa ha mostrato i conti del 2010, un avviso per dimostrare che allo stato

attuale in pochi potrebbero passare la prova financial fair play. Le squadre

di prima divisione dei campionati europei hanno messo insieme un debito di 1,6

miliardi e anche se i ricavi aumentano, nell’ultimo anno sono cresciuti del 9,1

per cento, da 12 a 12,8 miliardi, le spese restano folli e, cosa che più fa

inalberare i tedeschi, quasi tutte per gli stipendi dei giocatori. In pochi

pensano a rimettere a posto gli stadi, i vivai vengono dimenticati e le

entrate vanno direttamente al mercato. Karl Heinz Rumenigge, dirigente del

Bayern Monaco è piuttosto esplicito: «Non capisco perché il nostro campionato

è già in attivo e gli altri no e soprattutto mi chiedo come mai l’Uefa non

abbia ancora spiegato nel dettaglio le conseguenze per chi non metterà i conti

a posto. Si parla di multe, di eventuali esclusioni dalla Champions ma si

resta sul vago. Hanno avuto tempo per capire come vanno le cose». Ne avranno

ancora perché le punizioni per chi scialacqua scattano solo nel 2014 e

intendono prenderselo tutto.

Il calcio europeo dà i numeri ma non i nomi. I club che in questo momento

stanno partecipando alla simulazione (ovvero il monitoraggio dei bilanci con i

canoni del fair play) e oggi sarebbero bocciati sono 13. Dentro pare esserci

il meglio: Manchester United, Chelsea, City, Psg, Barcellona, Real Madrid,

Inter, Milan, probabilmente anche la Juve fotografata però prima del nuovo

stadio (unico di proprietà per una squadra italiana) che cambia il suo status

economico. Le cifre oscillano e i canoni esistono ma ancora non sono così

rigidi da essere una tagliola come pretende la Germania.

Michel Platini ha aperto la strada della sobrietà e la percorre a passi

cauti. Sgrida via Sky gli italiani concentrati sugli sceicchi: «Strano che

pensiate a City e Psg, l’Inter e il Milan hanno sempre speso troppi soldi. Gli

sceicchi erano più in Italia che negli altri Paesi fino a poco tempo fa. Anche

Moratti è uno sceicco: mette 100 milioni tutti gli anni». Poi però si fa più

politico, attenua e guarda al futuro: «Si stanno facendo degli sforzi». Vero,

il Barcellona ha venduto la maglia dopo una vita di resistenza, il mercato

langue e nessuno è disposto a staccare maxi assegni. Tevez resta in bilico

però i debiti non mettono ancora paura. L’Inter ha spedito l’amministratore

delegato Paolillo a promettere ubbidienza e lui prova a mantenere un

equilibrio: «Certo che siamo d’accordo con l’Uefa e le regole sono giuste solo

è inevitabile che il calcio italiano paghi questo momento». Sarà, ma la

Germania è in attivo da 7 anni e ci ha pure fregato un posto in Champions.

Magari per cambiare invece di lamentarci dei loro rimproveri potremmo provare

a imitarli.

Modificato da Ghost Dog

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CALCIOPOLI LA PROMESSA

«Non ci fermiamo»

BRIAMONTE «Faremo danno a chi ci ha creato danno»

L’avvocato: «La Juve continuerà a perseguire chi ha sbagliato anche quando non ricoprirà più le cariche attuali»

di MARCO BO (Tuttosport 26-01-2012)

TORINO. La sensazione è che il presidente Andrea Agnelli quando sceglie le

figure più importanti a cui affidare responsabilità di primo livello per la

sua Juventus non si limiti a valutare curriculum e colloqui. In ufficio deve

nascondere una sorta di metal detector speciale, in grado di rilevare quanta

grinta uno possiede in corpo. Perché se in campo la squadra aggredisce

l’avversario con la famelicità che era il marchio di fabbrica di Conte

giocatore, chiedere ai lupi giallorossi sbranati l’altra sera allo Juventus

Stadium, dietro la scrivania e in particolar modo in tribunale, il team di

legali juventini è diretto dall’avvocato Michele Briamonte che a livello di

determinazione può tenere testa all’allenatore.

SUPERLAVORO Ad accomunare poi Briamonte e Conte è la mole di lavoro che non

solo non spaventa i due, ma anzi galvanizza entrambi, Soltanto così si può

spiegare, per esempio, il fatto che in questi ultimi mesi la Juventus abbia

aperto il varco per stilare il nuovo contratto dei calciatori ispirato alla

filosofia statunitense delle star dello sport professionistico. Ma c’è molto

di più. Briamonte, infatti, sta portando avanti la battaglia della Juventus in

merito a Calciopoli. In ballo, sostanzialmente, due obiettivi: la revisione

dell’attribuzione dello scudetto 2006 dato allì’Inter per i noti fatti

calciopoleschi emersi da un’inchiesta risultata nel tempo “smagliata” e

ottenere un risarcimento economico dalla Federazione Gioco Calcio a cui è

stato fatto un conticino da oltre 440 milioni di euro.

SILURI IN AULA In attesa che Gianni Petrucci , presidente del Coni, riesca a

concretizzare a Roma una seconda puntata del tavolo della pace, ieri,

all’Università di Milano, si è tenuta una tavola rotonda sul tema “Diritto

Sportivo e Giustizia Sportiva” a cui era invitato anche Michele Briamonte.

L’avvocato bianconero, dopo aver espresso i propri giudizi sui temi specifici

legati al corso di perfezionamento post laurea, è entrato a gamba tesa su ciò

che riguarda il rapporto Juventus e Calciopoli. E così rispondendo alle accuse

di doping legale, ha replicato secco: «Doping Legale? Non mi sembra giusto

parlare di doping legale. Purtroppo ci sono persone antiche e non aggiornate

che si accorgono in ritardo che il mondo si muove. Allora parliamo pure di

narcolessia». Che, per chi non lo sapesse, è una malattia neurologica, non

psichiatrica, caratterizzata da eccessiva sonnolenza diurna. Ma c’è di più,

perché, ieri a Milano, nell’aula universitaria sono volati siluri ancora più

roboanti con obiettivi precisi. Per esempio questo: «Le nostre azioni Legali?

Faremo ricorso alla Corte d’Appello di Roma contro la decisione del Tnas.

Quando ci fermeremo? L’obiettivo è fare danno a chi ci ha fatto danno, andremo

avanti a oltranza sino a quando ci saranno strade legali percorribili. Anche

perché una cosa è certa. La Juventus ha saputo resistere a cosa ha subito e

esisterà anche in futuro quando continuerà a perseguire i responsabili anche

se nel frattempo avranno smesso di ricoprire le cariche attuali o quelle

avute». Insomma, altro che venti di pace. La Juventus è determinatissima a

proseguire sulla propria linea, chiedendo giustizia nei tribunali competenti e

rigettando con decisioni favoritismi inesistenti: «Non bisogna creare false

illusioni sulla questione stadi. L’amministratore delegato dell’Inter, Ernesto

Paolillo , ha detto che abbiamo ricevuto in regalo il terreno. Peccato non sia

vero, l’abbiamo pagato al comune 25 milioni». Punto e a capo.

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“Grazie a Bosman il calcio ora unisce tutto il continente”

di CAYETANO ROS VALENCIA (LA STAMPA - europa 26-01-2012)

Senza Bosman, io non sarei qui», afferma Sofiane Feghouli, parigino 22enne e

centrocampista del Valencia, grato a quel pioniere belga che aprì la strada a

migliaia di calciatori. Tra loro, anche Feghouli. «Sei mesi prima del termine

del contratto è possibile negoziare con un altro club», aggiunge, cosciente

dei suoi diritti dopo che, nel 1995, la Corte di Giustizia dell’Unione europea

(UE) dichiarò illegali le indennità per il trasferimento al termine del

contratto e il tetto del numero di calciatori stranieri dagli stati membri UE.

Feghouli arrivò gratis al Mestalla, due anni fa, dal Grenoble, dove a stento

era riuscito a partecipare all’ultimo allenamento a causa di una lesione al

ginocchio. Ma il Valencia aveva intuito le sue capacità di crescita, è stato

paziente nel prepararlo e oggi, con tre gol, rappresenta la rivelazione della

squadra di Unai Emery.

Feghouli conosce le conseguenze della sentenza Bosman, ma non i particolari:

appellandosi al Trattato di Roma del 1957, Jean-Marc Bosman intentò causa

contro il Liegi e la Uefa davanti all’Unione europea perché, al termine del

contratto, il gruppo belga voleva far pagare il trasferimento al Dunkerque

francese. «Il caso Bosman rappresenta il punto di svolta nella

liberalizzazione del mercato dei giocatori. Quando dieci anni fa nacque l’euro,

si ambiva ad un mercato che, mentre in molti altri ambiti non ha funzionato a

causa delle barriere linguistiche, è stato utile per il calcio professionale»,

spiega Ramón Llopis, professore di sociologia dell’Università di Valencia e

direttore del progetto Free (Football research in a large Europe) finanziato

dall’UE e al quale partecipano nove università europee.

«All’inizio la decisione fu considerata negativa: avrebbero tolto il posto

agli spagnoli; ma la libera circolazione ha beneficiato a tutti», afferma

Francis Cagigao, osservatore dell’Arsenal di origine galiziana, artefice

dell’approdo di Cesc Fábregas nei Gunners prima del ritorno al Barcellona

l’estate scorsa. «Cesc è un punto di riferimento per gli altri giovani, perché

lui ce l’ha fatta. Tutto è avvenuto nella legalità, senza alcun furto alla

cantera del Barça. La legislazione non è cambiata: si possono ingaggiare i

giocatori dell’Unione Europea che hanno compiuto 16 anni, età in cui è

possibile firmare un contratto professionale. Quello che invece è cambiato è

il compenso per la formazione del giocatore. Prima gli indicatori erano

incerti e ora sono più o meno adeguati: siamo intorno ai 90.000 a stagione per

le giovanili di un club d'élite, Prima e Seconda Divisione. Cesc arrivò

all'Arsenal a 16 anni e rimase con noi otto stagioni. Ciò aiutò molto la

Nazionale spagnola (campione d'Europa nel 2008 e del mondo nel 2010), perché

il calciatore si rafforza di più all’estero, acquisisce la maturità e viene a

contatto con l'energia del campionato inglese, che rappresenta la competizione

più intensa e più simile a quella spagnola. A Cesc all’inizio andò male, ma

poi si unirono Xabi Alonso, Reina, Torres, Silva, Mata… I giovani spagnoli

sono molto più preparati ora rispetto agli Anni 60 o 70».

Alla fine degli Anni Novanta, una valanga di giocatori comunitari popolò

l'organico dei club spagnoli. Al tempo stesso la Spagna diventò, per la prima

volta, un Paese esportatore di calciatori e tecnici. Non si tratta solamente

di grandi stelle, ma anche di ragazzi umili che giocano in campionati modesti

come, ad esempio, David Fuster, dal 2010 arrivato all'Olimpiakos greco dal

Villarreal. Il giocatore spagnolo non ha più timore a viaggiare in Europa,

grazie al prestigio della stella di campione del mondo che serve da garanzia.

È molto lontano da quei rari personaggi che, negli Anni Sessanta, trionfarono

nel calcio: Luis Suárez, Joaquín Peiró o, in misura minore, Luis Del Sol.

Tuttavia, il fenomeno più rivoluzionario è accaduto sulle panchine. «La

Spagna», spiega Cagigao, «è stato il Paese per eccellenza dei tecnici

stranieri negli Anni 80. Ora, fortunatamente, si è tornati alla normalità.

Sono presenti sempre più allenatori spagnoli sia nella Liga che all'estero. Il

trasferimento di Benítez al Liverpool, grazie alla rilevanza del club di

Anfield, è stato molto positivo». Ora, la Spagna si vanta di alcuni degli

allenatori più conosciuti sul mercato: il commissario tecnico, Vicente del

Bosque; l’allenatore del Barça, Pep Guardiola, o lo stesso Benítez.

«Il calcio è il minimo comun denominatore d'Europa», afferma Llopis. «Nella

fragilità dell'Unione Europea, l'identità europea è cresciuta grazie al calcio,

senza paragoni in altri ambiti. Tuttavia, non ne siamo consapevoli a causa di

due fattori che nascondono ciò: la globalizzazione e l'esacerbazione

nazionalista presente nei grandi tornei», aggiunge il sociologo, convinto che

l'Europa abbia influito moltissimo nella gestione dei club e negli stili di

gioco dei Paesi. Sono finiti i vecchi stereotipi: il gioco meccanico dei

tedeschi, il catenaccio degli italiani. . . E non perché tutti si siano

omogeneizzati, ma esattamente per il contrario. Tutti attingono da fonti

diverse e la Germania, ad esempio, riconosce la ricerca di uno stile nel quale

primeggia l'abilità dei giocatori, caratteristica tipica dei campionati

sudamericani dei tempi passati. In quanto Paese tradizionalmente isolato e

innamorato del calcio, la Spagna ha beneficiato del processo di

europeizzazione e, d'altra parte, ha contribuito alla diversità culturale

favorendo l'ingresso in Europa di centinaia di giocatori sudamericani. Lo

stesso è avvenuto in Francia con gli africani. Feghouli è di origine algerina

e, nonostante abbia giocato nella Nazionale francese nelle categorie inferiori,

ha accettato la chiamata della Nazionale algerina in onore dei suoi genitori.

«Mi sento europeo e africano», sostiene.

L'Unione Europea non ha autorità in termini sportivi, avverte Llopis, ma è

nel suo interesse regolare il settore negli ambiti economici e fiscali, fuori

dal controllo dei singoli Paesi. «La Uefa è antiquata», conclude Llopis, «non

si rende conto che gli interessi economici e commerciali si stanno spostando

verso l'ambito europeo. E arriverà un momento, non molto lontano, in cui i

club vorranno creare una Lega europea formata da 20 squadre». Per quel momento,

Feghouli vuole essere pronto.

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I NON-LUOGHI PER ECCELLENZA

Ma che ci andate a fare allo stadio

tra esaltati, fighetti e inutili cronisti?

di FRED PERRI (TEMPI | 1 febbraio 2012)

Perché uno dovrebbe andare a vedere una partita di calcio in uno stadio

italiano? Siete mai stati a San Siro? Avete mai attraversato il piazzale alla

fine, su un letto di bottiglie di birra, di liquame vario e assortito, di

bicchieri di plastica, di cartacce? No? Beati voi. Gli stadi italiani sono

brutti, sporchi e scomodi (a parte quello della Juve). Sono mal frequentati,

esaltano il peggio che c’è in noi. Sono freddi e inospitali. È più accogliente

uno stadio inglese durante la tormenta che uno italiano a tarda primavera.

Sono dei nonluoghi per eccellenza, spersonalizzano.

Sono frequentati da torme di esaltati dimentichi della civiltà, da fighetti

che vengono per il buffet e da giornalisti che si credono emuli di Gianni

Brera e invece non contano più nulla. E a tutta questa gente, praticamente

ogni domenica, viene data in pasto la promozione di un qualche evento benefico

o, peggio, viene chiesto un minuto di silenzio per la scomparsa di qualcuno.

Ovviamente il silenzio non lo fa nessuno. Se va bene ci sono i cretini che

applaudono, se va male ci sono quelli che si tirano i petardi da una curva

all’altra. Sentite a me: non ne vale la pena.

È già un grosso risultato che nessuno si faccia male, date retta. Pretendere

attenzione da questi è come sperare di avere un parlamento di gente onesta,

preparata e capace di risolvere i problemi del paese. È già molto se non lo

affossano.

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Fair play finanziario per il futuro del calcio

Nel corso del media day indetto a Nyon, la UEFA ha ribadito che le misure di

fair play finanziario sono indispensabili per il futuro del calcio europeo e ha

apprezzato la prontezza dei club europei nel partecipare a questo processo.

di UEFA News Giovedì, 26 gennaio 2012, 14.00CET

La UEFA ha ribadito che le misure di fair play finanziario sono indispensabili

per il futuro del calcio europeo e, in particolare, ha apprezzato la prontezza

dei club europei nel partecipare a questo processo, studiato per dare

stabilità e benessere duraturi a uno sport che rimane l'attrazione numero uno

per il pubblico.

Mercoledì a Nyon, l'organo di governo del calcio europeo e i rappresentanti

dei club hanno unito le forze per esaminare approfonditamente le procedure di

fair play finanziario in vigore e per presentare il quarto Rapporto

comparativo sulle licenze UEFA per club per l'anno finanziario 2010, con i

risultati di oltre 650 club di massima divisione nelle 53 federazioni

affiliate alla UEFA.

La giornata promozionale ha consentito di illustrare l'attuale panorama del

fair play finanziario e di rispondere a domande su varie tematiche, come le

norme e l'implementazione, il sostegno dei portatori di interesse del calcio e

le questioni legali su fair play finanziario e Unione Europea.

Gli obiettivi, definiti in specifici Regolamenti sul fair play finanziario e

le licenze UEFA per club, consistono nell'introdurre più disciplina nella

gestione finanziaria e nello smussare gli eccessi e gli azzardi che hanno

messo in difficoltà tante società negli ultimi tempi. Attraverso queste misure,

i club sono obbligati a sanare i bilanci o a chiuderli in parità – ovvero a

non spendere più di quanto guadagnino – e ad agire responsabilmente, per

tutelare la fattibilità e la sostenibilità a lungo termine.

Per vigilare e verificare che i club aderiscano alle misure del fair play è

stato istrituito il Panel di controllo finanziario per club. Queste misure

vengono implementate in un ciclo triennale e la valutazione di bilancio

2013/14 interesserà gli anni finanziari che si chiudono nel 2012 e 2013.

Attualmente è invece in corso la valutazione di tutti i trasferimenti e gli

stipendi ai dipendenti dall'estate 2011.

Il segretario generale UEFA ,Gianni Infantino, ha sottolineato la necessità

di questi passaggi. "Il fair play finanziario è necessario per il calcio a

livello di club - ha commentato a UEFA.com dopo l'incontro con i giornalisti

-. Il fair play finanziario è indispensabile per i tifosi, per il pubblico in

generale, ma anche per le società e per chi le possiede".

"Al giorno d'oggi, nei club tutto cambia: i giocatori, gli allenatori, i

proprietari, i dirigenti e gli allenatori. Ma i tifosi, e il loro legame con

la squadra, non cambiano - ha aggiunto -. È proprio questo aspetto che

dobbiamo proteggere. Quando esaminiamo i dati finanziari, dobbiamo

preoccuparci delle tendenze e contrastarle, per creare un ambiente sicuro e

salutare, affinché il calcio europeo per club continui a crescere e a

prosperare".

Infantino ha apprezzato il sostegno e il contributo prestati dai club del

continente: "Dimostra anche che quando abbiamo studiato le regole del fair

play finanziario, le abbiamo studiate in modo responsabile, insieme ai club -

ha commentato -. Queste regole non vogliono soffocare nessuno, né tagliare la

testa alle società; sono in vigore per aiutare i club, ma anche i tifosi, per

creare un ambiente sano e positivo. Il fatto che queste regole approvate

all'unanimità ha dimostrato che le società sono mature e responsabili".

Jean-Michel Aulas, presidente dell'Olympique Lyonnais e membro del consiglio

direttivo dell'Associazione Club Europei (ECA), ha comunicato un messaggio

positivo al vertice di Nyon: "La UEFA e il presidente Michel Platini hanno

fatto una scelta coraggiosa, decidendo di interrompere una spirale che non fa

bene all'economia del calcio - ha commentato -. Tutti i club e la ECA

concordano con queste modalità. È un cammino lungo, ma anche un progetto

indispensabile per il calcio".

Ernesto Paolillo, membro del consiglio direttivo della ECA e direttore

generale dell'FC Internazionale Milano, ha sottolineato che è il momento di

risolvere i problemi di costo: "Siamo convinti di aver bisogno di queste

regole - ha dichiarato -. È importante che la UEFA e i club partecipino alla

ristrutturazione dell'industria del calcio. Se osserviamo il debito totale

accumulato dalle società, possiamo vedere i problemi che tutte loro stanno

affrontando. È il momento giusto per partire, e siamo pronti".

Presentando il rapporto comparativo ai giornalisti, Infantino ha reso noto

che il continuo aumento dei costi è un problema radicale. "Le entrate totali

nette dei club professionistici sono aumentate da 12 miliardi di euro [nel

2009] a 12,8 miliardi [nel 2010]. In quale altro settore si è assistito a una

tale crescita? Questo dimostra che, dal punto di vista della popolarità, il

calcio gode di ottima salute. Le entrate continuano a crescere in un periodo

di recessione dell'economia mondiale".

"Il problema - ha proseguito -, è che anche i costi sono aumentati da 13, 3

miliardi di euro [nel 2009] a €14,4 miliardi di euro [nel 2010]. Circa il 56%

delle squadre di massima divisione ha dichiarato perdite nette. Si tratta

dell'ultima opportunità. La tendenza deve essere invertita molto velocemente

se vogliamo salvaguardare il calcio europeo. Ogni anno aumentano le entrate,

ma anche le perdite, quindi dobbiamo agire con sollecitudine".

"C'è una differenza fondamentale se osserviamo le finanze dei club e le

paragoniamo alla situazione economica europea complessiva - ha aggiunto

Infantino -. Negli ultimi anni, le entrate sono aumentate anno dopo anno.

Questo dimostra che, complessivamente, il calcio europeo è in una situazione

finanziaria positiva. Dobbiamo solo controllare i costi, motivo per cui

introduciamo il fair play finanziario".

"Se non avessimo intrapreso questa sfida insieme ai club, qualche anno fa -

ha concluso -, saremmo molto preoccupati per il futuro del calcio europeo. Ma

abbiamo agito, e poiché le notevoli entrate dimostrano che la gente è

interessata al calcio, abbiamo la sensazione di essere sul binario giusto".

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SPORT UN CALCIO DIVERSO

Highlander

in panchina

In Serie A ci sono già stati undici mister esonerati.

Quanto sarebbe durato un Wenger, che ha iniziato

la sua quindicesima stagione all’Arsenal come

Gasperini? E sarebbe mai esistito un Sir Ferguson,

che per i primi tre anni di United non vinse nulla?

di FRED PERRI (TEMPI | 1 febbraio 2012)

Questo è il ritratto di un uomo, ma in fondo è anche una metafora

antropologica, (un bell’attacco, eh?). Parliamo di un uomo (magari anche di

due) per educarne molti, se mi seguite con attenzione. Parliamo dell’uomo che

mastica furiosamente chewingum ed esulta come un ragazzino: ha 25 anni e li

dimostra tutti, nel senso che è nel pieno della sua giovinezza. La sua vita

sportiva è cominciata solo 25 anni fa.

Quando ne aveva 18, nel 1960, andò con il suo amico Andy Roxburgh (e altre

134.998 persone, a quei tempi si stava in piedi negli stadi) ad Hampden Park,

Glasgow, a vedere la finale di Coppa dei Campioni (ah che piacere chiamarla

così, è come un piatto di polenta concia a gennaio) tra Real Madrid e

Eintracht di Francoforte. Pronosticò una vittoria dei tedeschi. Finì 7-3 per

Puskas, Di Stefano e soci. «Eppure io li avevo visti molto bene, dovevano

vincere la Coppa». Uno così, secondo il modo di pensare dominante del nostro

paese di (autoproclamati) commissari tecnici in servizio permanente effettivo,

non sarebbe mai potuto diventare uno dei più grandi allenatori di calcio della

storia. Forse anche perché, per lui, l’appellativo è manager, non coach.

Stiamo parlando di sir Alex Chapman Ferguson, 70 anni, figlio di Alexander

Beaton Ferguson, manovale in un cantiere navale, protestante, e di Elizabeth

Hardie, cattolica, che trasmise la religione al figlio. Alex è cresciuto nel

sobborgo di Govan, Glasgow; ha avuto problemi con la scuola facendosi bocciare

anche alle elementari, ma ha sempre posseduto una grande forza di volontà e

così ha studiato di notte, mentre lavorava come apprendista, fino a prendere

il diploma.

Molti anni sono passati da allora e il ragazzo che faceva a pugni con i libri

è diventato uno dei più grandi tecnici del mondo e soprattutto dei più

longevi. Malgrado il suo mestiere sia traballante per natura, il suo posto di

lavoro non è in discussione dal 1986: il 6 novembre ha festeggiato 25 anni

sulla panchina (che poi non è una panchina perché in Premier League le squadre

occupano le prime file della tribuna e non per il lungo) del Manchester

United. Quando venne ingaggiato dai Red Devils, gli dissero che il suo compito

era quello di «prendere a calci nel sedere» gli odiati rossi (Reds) del

Liverpool. Era un po’ come se fosse diventato il capo di una gang di periferia

con la voglia di mettere paura ai fighetti del centro che ti guardano sempre

dall’alto in basso. Sir Alex lo ha fatto, ma la sua passione era la Coppa dei

Campioni, fin da quel lontano giorno in cui sbagliò, e di tanto, il pronostico

della finale di Hampden Park. Ne ha giocate quattro e ne ha vinte due.

Sarebbero state quattro, ma sulla sua strada, dal 2009 in poi, è finito il

Barcellona fantascientifico di Guardiola e Messi.

Una gita fuori porta

Molti non sanno, però, che alla base della grande epopea che ha portato sir

Alex nella leggenda e tra i membri, con la qualifica di comandante,

dell’Ordine dell’Impero Britannico (Cbe), ci fu proprio una gita a Barcellona.

Andarono lui e il leggendario Bobby Charlton per riportare a casa Mark Hughes.

Fecero un giro attorno al monumentale Nou Camp, videro le attrezzature, i

campi di allenamento, le «facilities», come si dice a Londra, il sistema Barça

e Bobby commentò: «Questo è dove dovremmo essere ma non siamo, pensa a

diventare il Barcellona».

E proprio al Nou Camp, nel 1999, sir Alex ha chiuso il cerchio conquistando la

sua prima Champions League, in una finale incredibile con il Bayern Monaco,

una partita che era persa all’89esimo e vinta al 91esimo. Quella sera, a

Barcellona, e forse anche il giorno delle sue nozze d’argento con lo United,

sir Alex non ha pensato al passato, ma solo al presente e al futuro. Sir Alex

non fa mai i conti, non tiene aggiornato il curriculum come il suo

amico-nemico Mourinho. Anche perché con 37 trofei nella sua bacheca, non è

semplice fare i conti. Senza contare gli inizi scozzesi (tutt’altro che

trascurabili: 3 campionati, 4 Coppe di Scozia, la Coppa delle Coppe 1982-1983)

sir Alex ha trasformato il Manchester United, che i ragazzini che oggi si

bevono la Premier non lo sanno, ma trent’anni fa era considerata la periferia

di Liverpool, nel club più organizzato, più forte, più famoso, più «vendibile»

del mondo, più del Barcellona che non ha ancora la continuità di presenza sui

mercati più importanti, specialmente su quello asiatico. Ha gestito i

giocatori più diversi, è sopravvissuto all’addio di tanti campioni, da Cantona

a Beckham, da Ronaldo a Tevez. Ha lanciato giovani, ha trasmesso il suo elisir

di lunga vita a Ryan Giggs, a Paul Scholes.

Con sir Alex sono arrivate 12 Premier League, 5 Coppe d’Inghilterra, 5 Coppe

di Lega, 2 Champions, 1 Coppa delle Coppe, 2 Coppe Intercontinentali. Sir Alex

viene, vede, vince e mastica. Non ha nessuna intenzione di smettere. Ogni

tanto preannuncia il ritiro. Se ne doveva andare alla fine del 2001-2002,

figuriamoci. L’ultima volta che aveva accennato alla pensione, aveva giurato

che il 2011 sarebbe stato l’anno del Grande Addio. Poi, però, quando si

avvicina alla scadenza annunciata, cambia idea, ci ripensa, ovviamente con

leggerezza, facendo finta di niente. Ha appena rinnovato il suo contratto.

«Vado avanti finché la salute me lo consente». In realtà, siccome nel 2011 è

stato prima asfaltato in finale di Champions da Guardiola a Wembley, e poi

eliminato dal torneo 2011-2012 addirittura dagli svizzeri del Basilea, non

avrebbe mai appeso la gomma da masticare al chiodo senza aver almeno riprovato

a vincere la Coppa dalle grandi orecchie.

Ecco, questo è il punto, la differenza, l’erba del vicino sempre più verde.

Perché per resistere su una panchina non bastano i successi, c’è tutto un

sistema, una mentalità, una cultura da mettere in moto. Perché non esistono

solo i risultati a fare da discriminante. C’è, ad esempio, il fattore umano.

Sir Alex non ha un carattere facile. Ha litigato con tanti colleghi, che

considera più o meno alla sua altezza, da Arsène Wenger a Rafa Benitez. Ha

emesso giudizi sprezzanti su questo è quello. Ha mandato a quel paese più di

un giocatore e, perfino con il suo pupillo David Beckham ha avuto dei problemi

tanto che, nel 2003, durante una discussione ha scagliato una scarpa nello

spogliatoio e lo ha colpito in faccia. Qualche mese dopo il giocatore simbolo

del calcio inglese, passava al Real Madrid. Agli arbitri ne ha dette di tutti

i colori. Ha preso multe e bacchettate, l’Uefa lo ha punito perché una volta

ha affermato che i calendari della Champions erano compilati per favorire le

squadre italiane e spagnole. Ha fatto causa a un tale per questioni di cavalli

(una delle sue grandi passioni). Ha messo il muso alla Bbc per un documentario

«non autorizzato ». Insomma è un tipo bello tosto, sir Alex, eppure ha

resistito 25 anni nello stesso posto e non è che appena arrivato, nel 1986,

abbia subito raccolto un trionfo sull’altro. La Coppa d’Inghilterra è arrivata

nel 1990, la prima Premier League nel 1993.

Il riconoscimento alla carriera

Ecco ora la domanda suprema. Ma questo splendido personaggio, questo

appassionato di cavalli e di buoni vini – se volete farlo felice e assicurarvi

la sua simpatia presentatevi con una bottiglia di Sassicaia – sarebbe durato

così tanto nel campionato italiano? Lo so, la risposta è facile, da primo

turno di quiz televisivo, quando anche i somari sembrano degli Einstein. «In

serie A nessuno gli avrebbe fatto concludere sei stagioni senza conquistare un

campionato », ha detto Sandro Mazzola nelle celebrazioni del baronetto

scozzese sulla rivista ufficiale dell’Uefa. Recentemente Sepp Blatter, un

altro immarcescibile – anche lui minaccia di ritirarsi nel 2014, dopo i

Mondiali del Brasile, ma c’è da credergli? – gli ha consegnato, all’interno

della festa per il Pallone d’Oro, il riconoscimento «presidenziale» alla

carriera.

Se invece di nascere a Glasgow il 31 dicembre 1941 fosse nato a Viareggio, la

patria di un allenatore italiano che stima molto, Marcello Lippi, sarebbe

durato pochissimo, non solo in una squadra, ma anche in generale. Sir Alex da

noi avrebbe fatto la fine di un Colomba qualsiasi, di un Mangia, di un

Ficcadenti, carne da macello nelle mani dei Zamparini, dei Cellino. Meno male

che è nato scozzese e lavora in Inghilterra, non ce lo saremmo goduto se fosse

nato italiano. Sir Alex Ferguson è un modo di capirci, di comprenderci e, se

volessimo, di migliorarci. Perché il nostro calcio non ha successo, non vende

come gli altri? Anche nel momento d’oro, anche negli anni da bere della

riapertura delle frontiere pallonare, negli Ottanta, abbiamo avuto i migliori

calciatori ma non siamo stati capaci di dare continuità al nostro movimento e

siamo diventati periferici.

È colpa nostra, del nostro modo vorace/volgare di vedere il calcio, della

nostra allegria di linciaggi. Viviamo in una bolla dove si consuma tutto in

fretta. È così per ogni aspetto della nostra vita sociale, il calcio in testa.

Nella stagione 2011-2012 in Serie A sono saltate 11 panchine (per nove

squadre: Zamparini e Cellino hanno abbondato, due a testa). In Serie B

addirittura 14. In Premier League? Sparate un numero. No, meno. Due, quelle

del Sunderland e quella del Qpr. È un modo diverso di vivere il calcio, quello

inglese. Lassù sir Alex non è l’unico esempio di longevità, il suo

amico-rivale Arsène Wenger ha appena festeggiato i 15 anni di Arsenal, mentre

David Moyes ha raggiunto 10 anni sulla panchina dell’Everton.

Ma come è possibile una cosa del genere? Con un progetto, con un programma,

con la figura dell’allenatore-manager, un po’ dirigente, un po’ tecnico. E

soprattutto con esoneri e licenziamenti «mirati», non frutto solo del vizio

assurdo dei presidenti di essere padri-padroni, ma basati su analisi a medio

termine, almeno. Insomma, ci si domanda seriamente: cambiando, cambieremmo

veramente qualcosa? Quasi sempre si arriva allo stesso punto. Non è che non si

cambi, ma c’è l’idea che non lo si faccia così come da noi, per un 6-1 a

Napoli come ha fatto Preziosi con Malesani.

Come l’Udinese

Arsenio Wenger, un personaggio intrigante, da meriggio montaliano, parla tre

quattro lingue e di sicuro capisce l’italiano (ma come tanti francesi fa

l’indiano e finge di non intendere), adesso, dopo 15 anni e un periodo forse

eccessivo (per l’Arsenal) senza vittorie (dal 2005), comincia ad avere qualche

bordata di critiche e molti tifosi dei Gunners l’hanno fischiato. Ma lui non

fa una piega, rivendica la sua origine contadina, che sa di solidità e

choucroute e tira dritto. Ex giocatore di basket, ciclista improvvisato,

portiere di calcio senza storia, questo alsaziano magro e pallido è il

contraltare di sir Alex. Con l’Arsenal fa quello che i Pozzo fanno con

l’Udinese. Attira giovani, li cura, li difende se non cominciano come dei

treni (da noi oltre a non farli giocare, se sbagliano la prima partita li

massacriamo e non si riprendono più), poi li rivende. Ha incassato 60 milioni

di sterline dalle cessioni di Fabregas e Nasri e, di fronte al malumore

popolare, ha risposto affidando la guida della squadra a Van Persie.

L’olandesino, che sembra uscito dalla pubblicità di Pattini d’argento, gli ha

segnato 17 gol in campionato. L’Arsenal, dopo un avvio stentato, si è ripreso

e viaggia, tra alti e bassi, a portata di Champions League. A proposito,

Arsenio, a differenza di sir Alex, è ancora in lizza nella Coppa che conta.

In Italia, con quattro punti in quattro gare, avrebbe fatto la fine di

Gasperini. La metafora vi è chiara, compagni e amici?

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SPY CALCIO di Fulvio Bianchi (Repubblica.it 26-01-2012)

Boom Sky e Mediaset Premium

Ogni giornata 9 mln di spettatori

Nove milioni 124.041 telespettatori e circa 230.000 tifosi allo stadio: ecco

cosa "vale" oggi una giornata del campionato di serie A. Sono dati confortanti,

di questi tempi: più, chiaramente, per quanto riguarda gli ascolti tv, in

netta crescita, che sulle presenze negli stadi, che restano sempre molto

lontane dai campionati leader (Premier e Bundesliga). Quest'anno 173. 356. 778

telespettatori complessivi hanno visto le gare di A nel girone di andata, come

detto 9.124.041 la media partita. Un incremento del 7, 92% rispetto alla

stagione precedente (totale 160.631.311, media gara 8. 454. 280). Le partite,

come noto, sono trasmesse in diretta, e in pay, da Sky e da Mediaset Premium.

Sky è cresciuta del 4, 22% per quanto riguarda le partite (e dell'8% se

consideriamo anche le trasmissioni pre e post gara). Ogni giornata su Sky vale

5.461.773 spettatori. Per quanto riguarda Mediaset Premium, che partiva da

cifre più basse, l'incremento è stato del 13, 95%, anche grazie allo switch

off. La media giornata è di 3. 662. 268 telespettatori. Considerazioni: il

calcio in tv piace sempre di più. E difatti paga sempre di più, quasi un

miliardo di euro a stagione (che ora i presidenti dovranno dividersi e ci sarà

da divertirsi...)

Tv: slitta il braccio di ferro fra Rai e Mediaset

Sempre tv, ma stavolta si tratta dei diritti in chiaro (gli highlights) del

campionato di serie A: la Lega di serie A avrebbe dovuto aprire le buste con

le offerte domani alle ore 12, ma tutto è slittato di una settimana. Il motivo

è semplice: non si è tenuto il cda della Rai che avrebbe dovuto decidere che

offerta fare (sicuramente al ribasso rispetto ai 25 milioni a stagione chiesti

dalla Lega). Si deciderà quindi venerdì prossimo. Anche Mediaset è molto

titubante: alcuni (massimi) dirigenti preferirebbero puntare soprattutto sul

digitale pay, mentre la concessionaria pubblicitaria (Publitalia) spinge per

fare un'offerta, e prendere così un altro prodotto, visti i tempi difficili.

Si vedrà. Intanto presto la Lega preparerà il bando della Coppa Italia,

bistrattata nelle prime fasi ma che dai quarti fa record tv (vedi Juve-Roma) e

buon pubblico negli stadi. La Coppa Italia ora fa gola a Rai, Mediaset e Sky.

Di sicuro la Lega prenderà più soldi. La formula funziona, solo che il

calendario ingolfato (colpa della A che non vuole scendere a 18 club. . . )

costringe di giocare molte partite in pieno inverno, e di sera, quando ci sono

date libere dall'Uefa.

L'Inter vuole il commissario in Lega. Intanto Cardinaletti e Carraro...

Lega di serie A a rischio commissario? Secondo alcune correnti di pensiero, il

rischio ormai è concreto: la "macchina" funziona, grazie al lavoro del dg

Marco Brunello e del suo staff, e produce utili. Ma è l'aspetto "politico" che

lascia perplessi: Maurizio Beretta si è dimesso lo scorso marzo da presidente

ma non è mai stato sostituito. Essendo top manager di UniCredit, ha poco tempo

da dedicare alla Confindustria del pallone e poi il sistema di governo, con

tutti i poteri all'assemblea e non al consiglio, indubbiamente lo penalizza.

Insomma, Beretta ha delle colpe. Ma non tutte le colpe. Ora bisogna uscire da

questa situazione di empasse: Zamparini e Cellino se ne sono andati

dall'ultima assemblea sbattendo la porta. Ernesto Paolillo, ad dell'Inter, è

convinto che ci voglia il commissario e per questo ha rischiato di essere

aggredito da Claudio Lotito, che, ovviamente, è lo sponsor n.1 di Beretta. Ma

chi potrebbe essere il futuro presidente? Crescono le quotazione di Andrea

Cardinaletti, appoggiato (anche) dall'Inter. Cardinaletti è l'ex presidente

del Credito Sportivo: e alla Banca dello sport, ora commissariata da

Bankitalia, un paio di mesi fa, sembrava destinato Franco Carraro, il cui nome

era stato fatto lo scorso anno anche per la Lega di Milano. Insomma, i giochi

restano apertissimi. Ma una soluzione andrà trovata.

Modificato da Ghost Dog

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Boom Sky e Mediaset Premium

Ogni giornata 9 mln di spettatori

Nove milioni 124.041 telespettatori e circa 230.000 tifosi allo stadio: ecco

cosa "vale" oggi una giornata del campionato di serie A. Sono dati confortanti,

di questi tempi: più, chiaramente, per quanto riguarda gli ascolti tv, in

netta crescita, che sulle presenze negli stadi, che restano sempre molto

lontane dai campionati leader (Premier e Bundesliga). Quest'anno 173. 356. 778

telespettatori complessivi hanno visto le gare di A nel girone di andata, come

detto 9.124.041 la media partita. Un incremento del 7, 92% rispetto alla

stagione precedente (totale 160.631.311, media gara 8. 454. 280). Le partite,

come noto, sono trasmesse in diretta, e in pay, da Sky e da Mediaset Premium.

Sky è cresciuta del 4, 22% per quanto riguarda le partite (e dell'8% se

consideriamo anche le trasmissioni pre e post gara). Ogni giornata su Sky vale

5.461.773 spettatori. Per quanto riguarda Mediaset Premium, che partiva da

cifre più basse, l'incremento è stato del 13, 95%, anche grazie allo switch

off. La media giornata è di 3. 662. 268 telespettatori. Considerazioni: il

calcio in tv piace sempre di più. E difatti paga sempre di più, quasi un

miliardo di euro a stagione (che ora i presidenti dovranno dividersi e ci sarà

da divertirsi...)

E' normale. Quest'anno la Juventus, tanto bistrattata dai commentatori, è prima in campionato e va bene anche in coppitalia.

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CALCIOPOLI

Casoria, arrivano le motivazioni!

La prossima settimana il giudice di Napoli depositerà il documento che spiegherà la sentenza dell’8 novembre

Intanto la Figc freme per conoscere l’esito dell’intervento della Corte dei Conti ed è in fermento per Scommessopoli

di ALVARO MORETTI (Tuttosport 27-01-2012)

ROMA. La sortita pubblica dell’avvocato Michele Briamonte , l’uomo delle

tavole in casa Juventus, apre ufficialmente l’inverno caldo di Calciopoli.

Cauterizzata dal tavolo della pace dello scorso 13 dicembre, la questione

dello scudetto 2006 irrisolta da Figc e dal Tnas con l’identica formula

dell’incompetenza, resta viva, eccome. L’impugnazione prossima alla Corte

d’Appello civile per vizi - come previsto dal regolamento del Tnas - del lodo

che respingeva l’ultima istanza juventina in sede sportiva è stata ribadita

nel convegno di Milano da Briamonte, così come l’intenzione di far pagare

danni a chi danni ha commesso in sede federale - a detta della Juve - nei

cinque lunghissimi anni di indagini abortite o partite e proseguite con

indicibile lentezza, con strategie processuali.

AZIONI&DISTRAZIONI Il messaggio di Briamonte piomba nelle stanze del Palazzo

sportivo mentre le attenzioni sono rivolte altrove: in Figc c’è grande

preoccupazione per il profilo che sta assumendo Scommessopoli, con la

criminalità organizzata che avrebbe condizionato di brutto i calciatori

coinvolti; al Coni questi sono i giorni caldi di Roma 2020, in attesa della

risposta di Monti sull’appoggio formale alla candidatura olimpica. Con un

occhio che va sempre alla Lega ormai spaccata proprio sugli strascichi di

condanne penali di alcuni big come Lotito e Preziosi .

ATTENTI A? Nel frattempo, però, c’è la Corte dei Conti che ha attenzionato

l’operato del Consiglio federale su input dei ricorsi juventini di questa

estate (giudici assai temuti e assai imprevedibili, quelli contabili, già

attivati su Calciopoli anni fa); e c’è il Coni che intende rivedere dall’alto

le linee guida che le federazioni devono seguire su temi delicati ed

evidenziati in chiave negativa proprio dall’operato Figc sulla vicenda

Calciopoli: si va verso la statuizione di termini cogenti e rapidi per le

procure federali nelle indagini (basta una lettura univoca della legge 401

sulla trasmissione degli atti?) ma anche e soprattutto la definizione di quel

che pareva logico ma che s’è trasformato in un caso: niente più consigli

federali che si dichiarano incompetenti di fronte a temi come scudetti da

attribuire o revocare, evitando - per il futuro, ahinoi - comunicati stampa

che assegnano senza assegnare ( Rossi docet).

MOTIVAZIONI Il caldo - nonostante la tramontana calata tra Roma e Napoli in

queste ore - lo porta però l’anticiclone Casoria : per la prossima settimana,

con qualche giorno d’anticipo sulla dead line del 6 febbraio prevista, la

giudice presidente della nona sezione del tribunale di Napoli, che ha emesso

la sentenza shock lo scorso 8 novembre, dovrebbe depositare le motivazioni. Un

passaggio chiave per capire la logica di un verdetto che sorprese quasi tutti

a novembre, che diventa fondamentale non solo per la richiesta di appello di

condannati e pm; un momento decisivo anche perché nel frattempo c’è stata

l’eruzione di Della Valle , l’uscita dell’inquirente pentito e anonimo che ha

confermato le storture gravissime di chi guidava la pattuglia dell’indagine

OffSide; uno snodo per gli annunciati esposti di molti condannati proprio

contro chi indagava e testimoniava in aula.

COSA ASPETTANO? Non solo: bizzarramente, anche l’Alta Corte presso il Coni ha

deciso di attendere le motivazioni della sentenza di Napoli per mettere un

punto finale alla questione delle radiazioni di Moggi , Giraudo e Mazzini .

Bizzarra scelta, perché tra dicembre e gennaio sono state depositate le

richieste memorie aggiuntive, perché i dubbi sull’iter con cui s’è fatta la

legge ad personas dovrebbero essere stati sciolti e - soprattutto - perché

quanto a Giraudo almeno le motivazioni della sentenza è nota da due anni! Cosa

cambia - a livello sportivo - la motivazione della sentenza di un giudizio

quando tempo fa la Disciplinare Figc s’azzardò a scrivere che gli atti

processuali hanno valenza probatoria nel solo procedimento penale, mentre gli

atti d’indagine - quelli sì -che sono prove da considerare come oro colato? In

virtù del principio d’autonomia che nello sport amano far diventare la magna

charta a targhe alterne.

Il 24 marzo c’è Giraudo

trafiletto non firmato (Tuttosport 27-01-2012)

I legali di Antonio Giraudo, ex amministratore delegato

della Juventus dal 1994 al 2006, che è stato condannato a

3 anni nel processo di Napoli dopo aver scelto il rito

abbreviato, stanno affinando la posizione in merito al

processo d’appello che prenderà il via il prossimo 24

marzo.

In realtà ci si deve aspettare una primavera calda visto

che dopo la seduta iniziale di fine marzo ne sono state

già calendarizzate una nutrita serie ad aprile quando il

dibattimento entrerà nel vivo prima di arrivare alla

sentenza di secondo grado.

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Il pallone di Luciano

Diavolo e Signora, sfida continua

Un flop la Roma in stile-Barça

di LUCIANO MOGGI (Libero 27-01-2012)

Abitualmente bistrattata in passato dalle nostre parti, quest’anno la Coppa

Italia si fa più bella. Quarti di finale combattuti, grandi protagoniste, Juve

su tutte, Roma assai meno, gol capolavoro di Del Piero (chi aveva detto che

non ne aveva più?). Ora tutti ad applaudire, miserie di una critica miope. Tra

tanti potentati l’eccezione di due outsider, Chievo e Siena, la squadra della

città del Palio in semifinale (storica) con il Napoli.

Inter frantumata dagli azzurri e dal suo allenatore: tattica maldestra,

Ranieri troppo preoccupato di concedere il contropiede agli avversari se n’è

stato ad attendere, come la guarnigione in attesa del nemico nel deserto dei

tartari. L’Inter ha quasi rinunciato a giocare per tutto il primo tempo in

attesa della luce che l’avversario avrebbe potuto offrirgli, ma Mazzarri aveva

già spento quella di Maicon sulla fascia, opponendogli Zuniga, e Sneijder era

teso come una corda di violino, certamente non in sintonia con la tattica

adottata dal suo allenatore. Il rigore ha schiodato il risultato e quando

Ranieri ha capito che doveva invertire, era già troppo tardi. Poteva esserci

ed anzi c’era un rigore per parte nerazzurra m aCeli non ha visto, s’è

lamentata l’Inter, giusto, ma il Napoli ha rimbeccato duro: Sneijder meritava

il rosso.

Memoria corta

Ognuno dimentica i favori ricevuti, tre giorni prima l’Inter aveva battuto la

Lazio in campionato con un gol di Pazzini in fuorigioco e un mani da rigore di

Lucio ignorato. Napoli splende e canta (e chi se non “o surdato ’nnammurato”),

De Laurentiis non si frena, ce l’ha con chi dopo Siena ha criticato la

squadra: «Ma che volete?» Il patron azzurro sente ormai profumo di Coppa, si

sente un Re Mida. Anche Ranieri sentiva profumo di Coppa (dopo otto vittorie

consecutive), ora non più: il Napoli ha fatto di sicuro un’impresa, come dice

Mazzarri, ma ha trovato una strada in discesa. La stagione dunque si veste

ancora del dualismo Milan-Juve. Anche in Coppa Italia sarà confronto fra le

due favorite per lo scudetto, una sorta di finale anticipata. Il Milan pur

rimaneggiato ha gestito al meglio la sfida con la Lazio: complimenti a Seedorf

per l’eterna classe. Signora invece che ha ridimensionato la Roma. Luis

Enrique l’ha vista egualmente bene: avrà visto forse un’altra partita. Capita

a chi s’infervora di un progetto e ritiene di vederlo in progresso anche

quando ci sono brutte cadute, come questa. La Juve non si nasconde più, brilla

con la forza di un ritmo che stronca gli avversari. La Roma pensava di farlo

in proprio, imitando il Barça, l’ha visto però interpretato dalla squadra di

Conte, ma non se n'è accorta e l’umiliazione è stata grande quando i

bianconeri hanno tenuto palla con una fitta serie di passaggi, senza che i

giallorossi riuscissero a interrompere la trama.

Una squadra, la Roma, senza personalità, forte con le piccole, debole con le

grandi. Totti era già uscito, o meglio non era mai entrato; Franco Baldini

stava invece in tribuna d’onore; è l’uomo che, assieme al suo amico Auricchio,

ha dato il via a Calciopoli, o meglio al ribaltone, come lui stesso l’ha

definito in una intercettazione: sarebbe stata una cosa carina impedirgli di

sedere tra i vip e magari mandarlo in curva tra gli ultras della Juve.

«Orizzontal»

Hector Cuper è quello che il 5 maggio 2002, perse con la Lazio all’Olimpico e

la Juve sorpassò così l’Inter al fotofinish. Per coprire le sue incapacità, il

cosiddetto “hombre vertical” alluse a «strane sensazioni ». Ovviamente sfruttò

a suo uso e consumo la vicenda Calciopoli ed arrivò fino al 20 settembre

scorso a ripetere la stessa canzone, rilanciata dalla rosea nel settimanale

“Extra time”. «Data fatidica, partita inspiegabile, come certe sensazioni». Di

inspiegabile c’era stato solo il suo suicidio tattico. Cuper avrebbe fatto

meglio a pensare a se stesso. Poco più di un mese dopo si allungano su di lui

le prime voci di un giro di partite vendute e del suo pieno coinvolgimento,

200.000 euro in cambio di dritte sui risultati di due partite del campionato

spagnolo e argentino. Cuper nega ma offre spiegazioni giudicate «penose». Non

so come finirà, ma di sicuro, come hanno osservato altri, l’ hombre vertical è

diventato “orizzontal”.

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Il caso Il giocatore che ha denunciato lo scandalo scommesse

Farina, dopo i premi arriva la paura

«Chi ci proteggerà?»

La moglie: «Abbiamo due bimbi...»

di ALESSANDRO CAPPONI (CorSera 27-01-2012)

GUBBIO—Il lato oscuro del calcio può essere spaventoso. Quel galantuomo di

Gigi Simoni spiega ciò che sta accadendo al suo terzino con poche parole: «È

una roba che comporta dei problemi, in questa storia non ci sono solamente le

medaglie... ». E l’altra faccia dell’onestà, per il calciatore Simone Farina,

adesso, è la paura.

Bisogna dimenticare l’abbraccio di Blatter e i complimenti di Platini, la

serata di gala con Lionel Messi e il pallone d’oro, la «convocazione» premio

di Prandelli, gli applausi dei tifosi: Simone Farina è, con la famiglia, nella

pancia del piccolo stadio di Gubbio per ricevere il riconoscimento che la

Fiorentina, in epoca Della Valle attenta a correttezza e fair play, gli

assegna per aver denunciato il marciume di alcuni suoi colleghi. È di Farina

il primo «Cartellino viola ». La moglie Scilla ha lineamenti delicati,

pochissimo trucco: nell’aspetto e nei concetti, è tutto fuorché una velina. È

stata accanto a lui nel denunciare questa brutta storia di corruzione,

scommesse truccate, calciatori senza onore: gentaglia che un giorno ha bussato

alla loro porta con inmano duecentomila euro. Lei però, ora, ha il tono

preoccupato di una madre: «In questi giorni tutti ci dicono bravi, ma dopo

cosa succederà? Chi ci proteggerà? Abbiamo due bimbi piccoli, e ci pensiamo a

quello che può succedere. Io ci penso, Simone ci pensa...». Anche la Digos di

Perugia, ci pensa: gli agenti che vanno al campo ogni sabato sono andati da

lui qualche tempo fa e gli hanno fatto memorizzare i loro numeri di

telefonino. «Il profilo basso tenuto in questi mesi si spiega così — racconta

il vicepresidente del Gubbio, Giancarlo Brugnoni—Simone ha avuto un periodo

difficile, ma ora va un po’ meglio». Poco prima dell’inizio della conferenza

per la consegna del «Cartellino viola », Simone Farina — romano di Trastevere,

29 anni, biondo con gli occhi blu—prima ancora di capire di avere un cronista

di fronte, un poco si racconta: «Ho fatto le giovanili della Roma, poi Catania

e Cittadella in C1, Gualdo in C2, poi Celano e il Gubbio fino alla serie B, da

cinque anni». È dalle giovanili della Roma, da quel passato di «una vita fa»,

che è sbucata l’offerta illecita, il tentativo di corruzione: «Un compagno che

non vedevo da una vita. Ma io non voglio fare il fenomeno. Ho fatto una cosa

normale». Adesso minimizza il coraggio che ha avuto, questo ragazzo gentile.

Ha ricevuto offerte dal mondo della moda, dalla tv: rifiutate, tutte. «Voglio

solo giocare al calcio». Dice di non aver avuto minacce. E aggiunge una frase

che difficilmente si sente da un calciatore: «Io voglio una vita normale».

Dice di guadagnare «poco», almeno al confronto con gli stipendi della serie A,

una cifra tra i 50 e i 70 mila euro all’anno. Con quei 200 mila, avrebbe

dovuto anche corrompere i suoi compagni: in ogni caso, con una partita

truccata, avrebbe potuto mettersi in tasca lo stipendio di una stagione.

Andrea Abodi, il presidente della Lega serie B, dice che «di certo è un

patrimonio della Lega » ma nega di avergli offerto, nei venti minuti di

colloquio, un ruolo da dirigente. Vincenzo Guerini, club manager viola, a

inizio conferenza dice una frase che racconta, forse, le ultime settimane di

Simone Farina: «Solo adesso ci stiamo accorgendo di quanto è grande e

pericoloso quello che ha denunciato Simone». Lui stesso, almicrofono, spiega

il suo silenzio: «Non parlo per motivi familiari, di prudenza. . . ».

___

Cremona e Bari: svolta su giocatori e partite

Le due inchieste puntano dritte alla Serie A: il salto di qualità

grazie a Gervasoni, Carobbio e Masiello. Presto nuovi arresti

di FRANCESCO CENITI (GaSport 27-01-2012)

L'incertezza è solo sui tempi. Perché una nuova ondata di arresti nell'ambito

delle inchieste sul calcioscommesse è data per scontata da fonti

investigative. Sia a Cremona, sia a Bari. Sulle spine ci sono moltissimi

giocatori: gli indagati dovrebbero essere quasi un centinaio. Le rivelazioni

di Gervasoni, Carobbio e Masiello hanno dato nuovo impulso alle indagini. E

soprattutto chiarito un aspetto che la scorsa estate sembrava scongiurato: la

Serie A è stata condizionata dalla bufera scommesse.

Qui Cremona C'è una notizia che potrebbe cambiare il corso delle prossime

settimane: il procuratore Roberto Di Martino dovrebbe restare a tempo pieno

sull'inchiesta Last Bet non dovendo più occuparsi del processo d'appello sulla

strage di piazza della Loggia a Brescia. Oggi dovrebbe esserci l'ufficialità.

Sarebbe scongiurato, in questo caso, il rallentamento delle indagini. La

deposizione di Masiello intanto è servita a puntellare due aspetti

fondamentali: il ruolo degli zingari e la veridicità delle rivelazioni fatte

da Gervasoni e Carobbio. Tradotto: massima attenzione sulle posizioni dei

giocatori chiamati in causa nei verbali, mentre i sospetti sulle gare

manipolate dagli slavi diventano prove indiziarie. Ecco che il cerchio si

stringe su Lazio-Genoa, Lecce-Lazio e Brescia-Bari per la A, ma coinvolge

anche Siena e Novara per sfide di B. Diversi giocatori di queste squadre sono

inquisiti e rischiano grosso. Senza dimenticare il «caso Corvia». Tirato in

ballo da Paoloni e poi scagionato dallo stesso portiere, ma gli accertamenti

tecnici hanno ribaltato ancora la situazione. Sempre nell'attesa di catturare

Almir Gegic: il capo degli Zingari dovrebbe avere le chiavi della cassaforte

di tutte le combine gestite dalla banda.

Qui Bari L'inchiesta gestita dal procuratore Laudati è quasi al traguardo

dopo oltre due anni d'indagine. Materiale scottante, con la mafia a gestire le

scommesse clandestine e le combine per riciclare fiumi di denaro. In questo

contesto si sono inseriti i personaggi di mezzo che avevano il compito di

agganciare i calciatori (molti di loro scommettitori proprio nelle agenzie del

clan) e corromperli. La criminalità si è servita anche degli zingari per

pressare i calciatori, come confermato da Masiello. A proposito dell'ex

capitano del Bari: la sua deposizione (secretata) avrebbe messo nei guai

diversi ex compagni. Il difensore ha ammesso le combine e i soldi (80 mila

euro) consegnati dall'infermiere Iacovelli. Era quello che volevano gli

inquirenti. Le conseguenze sportive saranno devastanti: circa 10 gare del Bari

sotto inchiesta e più o meno una quindicina i giocatori indagati. Molti a

rischio arresto e non tutti per aver giocato nel Bari. Le prove raccolte sono

chiare: anche le altre squadre erano coinvolti. Quali? Si possono fare solo

delle ipotesi, ma le piste più calde porterebbero a Chievo, Parma, Cesena e

Bologna. Staremo a vedere. E soprattutto è iniziato il conto alla rovescia:

c'è forse ancora il tempo per raccogliere la confessione di un nuovo pentito

(potrebbe essere un difensore ex Bari). Poi tra febbraio e marzo si ritornerà

a ballare.

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Quando il calcio perde la memoria

Triestina e Spal, fallimenti storici

Le squadre di Rocco e Capello rischiano di scomparire

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 27-01-2012)

Chi mai può portare, oggi, un´alabarda sul petto? Chi mai può vantare un nome

che è addirittura un acronimo per metà in latino? Questo è la Triestina

(alabarde), questo è la Spal (latinorum), ovvero la Società Polisportiva Ars

et Labor. La prima la cantò Umberto Saba. La seconda è una punta di compasso

nel cuore delle geografie del calcio, solo in apparenza periferiche. Perché

Trieste e Ferrara, lassù a destra sulla cartina dell´Italia e quaggiù nel

mezzo della pianura, sono state pietre angolari di un edificio che ora si

sgretola come un biscotto, con buona pace di storia, gloria e memoria.

L´Unione Sportiva Triestina Calcio è fallita l´altro ieri. La Spal ha due

giorni di tempo per non fare la stessa fine. Stritolate, entrambe, da una

crisi a precipizio e da gestioni finanziarie quantomeno allegre. La Triestina

era già fallita nel ´94, la Spal fu sul punto di scomparire nel 2005, e venne

salvata solo grazie al lodo Petrucci. Ma sulla sabbia non c´è palazzo che non

vacilli. Ed è così che questa crudele spirale parallela, questa caduta in

avvitamento sembra una storia gemella, come se alabardati e latinisti si

fossero uniti nella sciagura e nella disfatta.

Perché non sanguinano solo i libri contabili. Chiunque abbia un po´ a cuore

il pallone, non può non essere affezionato al ricordo del paròn Rocco, del

quale proprio quest´anno si celebra il centenario della nascita (20 maggio

1912) con varie iniziative e una grande mostra curata da Gigi Garanzini. Il

pensiero di Rocco non merita di essere confuso con questo triste presente, del

resto tra triste e Trieste c´è ben poca differenza. Rocco, che nella Triestina

giocò (e fu il primo, di quelle terre, ad arrivare in nazionale) e poi allenò,

sfiorando addirittura lo scudetto nel ´48, l´ultimo vinto dal Grande Torino

(il successivo sarebbe stato assegnato alla memoria), prima della sciagura di

Superga. Il paròn, burbero benefico, aveva introdotto il "mezzo modulo", una

specie di genitore del calcio all´italiana, lui che in quella stagione

memorabile usò appena quindici giocatori.

Un decennio prima, la Triestina aveva dato addirittura tre elementi

all´Italia campione del mondo: Piero Pasinati, Gino Colaussi e Bruno Chizzo, e

il resto se lo porta via il tempo. Non i versi di Saba, però, che in "Squadra

paesana" scrive: "Anch´io tra i molti vi saluto, rosso-alabardati/sputati

dalla terra natìa,/da tutto un popolo amati". La Triestina rimase in A,

ininterrottamente, dal ´29 al ´57, sola in testa nel ´42, poi la caduta

inesorabile, l´ultima serie B due anni fa, quindi lo schianto in prima

divisione-Lega Pro. Infine, il baratro contabile e l´onta del tribunale. «Non

vediamo un euro da ottobre», dice, sconsolato, l´allenatore Nanu Galderisi, ex

juventino dal fiammante gesto tecnico. Cose perdute, pure quelle, nelle fauci

del tempo gran divoratore.

Anche la Spal sta oggi nell´ex serie C, dove sembrava avere trovato un metodo

infallibile per autofinanziarsi. Il presidente Cesare Butelli s´inventò il

parco fotovoltaico, gestito come società sportiva, contratti in apparenza

garantiti con le società dell´energia e futuro illuminato come si conviene.

Era un´illusione: la lampadina si è fulminata presto. Da luglio, neppure un

centesimo di stipendio pagato, e la messa in mora del club è imminente:

restano 48 ore per trovare i soldi, cioè nuovi acquirenti finora fantasmatici

(niente cordata romana, meno che mai quella lombarda), poi i giocatori saranno

liberi di cercarsi una nuova squadra, e la Spal diventerà un guscio vuoto. Una

malinconia, per chi nacque allo sport nel 1907, cinque anni prima della

Triestina, e ha giocato sedici stagioni in A, mica una settimana, anche se

ormai vi manca da più di quarant´anni, e in B da venti. La Spal di Oscar

Massei, fuoriclasse argentino che quasi più nessuno ricorda, ma anche di Fabio

Capello, Albertino Bigon e del leggendario portiere Bugatti.

Generazioni di bambini si sono chiesti cosa mai volesse dire Spal, quel nome

persino più strano di Sampdoria, Juventus e Atalanta. Perché sono belle le

squadre che non hanno il nome di una città, ma non meno affascinanti le altre

che invece una città evocano, come la bella e remota Trieste con la sua

"scontrosa grazia", ed è ancora Saba. Colui che salutava le alabarde sul petto,

dove oggi sanguina una piccola lacrima di nostalgia.

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Intercettazione choc

Il piano di Iorio

per agganciare

i giudici a Roma

Agli atti il tentativo di contattare

un magistrato della Cassazione

per scavalcare il gip di Napoli

di LEANDRO DEL GAUDIO (Il Mattino 27-01-2012)

Un’idea ricorrente: avvicinare un magistrato a Roma e scavalcare il giudice di

Napoli. Idea mai andata in porto, anche se poi restano decine di telefonate

agli atti tra Antonio Iorio e un suo amico giornalista. Si ragiona a voce alta,

oggi quelle parole entrano nel processo che vede imputati imprenditori e

uomini d’affari. Processo al presunto riciclaggio aggravato dalla finalità

camorristica, eccoli i nuovi brogliacci messi a disposizione delle parti.

Settima sezione penale, sotto accusa imprenditori, professionisti, ma anche

presunti usurai di Pizzofalcone, in una vicenda che vede coinvolto (ipotesi di

favoreggiamento) anche l’ex capo della Mobile Vittorio Pisani. Si va dal

presunto piano di contattare un giudice a Roma, alla presunta mediazione di

Mario Potenza (morto lo scorso 15 gennaio) in Questura, dopo il furto in un

ristorante rinconducibile al gruppo Iorio. Inchiesta dei pm Sergio Amato e

Enrica Parascandolo, ecco le intercettazioni acquisite dalla Dia del

capocentro Maurizio Vallone.

Il giudice amico

Al telefono Antonio Iorio ragiona sul modo per ottenere il dissequestro di un

appartamento di proprietà del figlio Carmine, dal momento che la nuora (che da

pochi giorni aveva dato alla luce il secondo bambino), non poteva più vivere

nella casa dei suoceri. Se la prende con il gip Maria Vittoria Foschini,

decisa a mantenere in vigore il sequestro e disponibile semmai a fittare

l’appartamento alla donna, per garantire un introito allo Stato: «Ha chiuso le

porte agli avvocati», dice Antonio Iorio. Esasperazione, poi l’idea di

contattare un giudice a Roma. È il 17 ottobre scorso, quando Antonio Iorio

contatta al telefono l’amico giornalista Pierpaolo Petino (non indagato). Fa

il nome di un giudice e poi chiede: «Vedi un po’ se possiamo contattarlo, è un

giudice emerito». Poi, il 10 novembre scorso, si torna sul punto. Iorio

insiste e chiede a Petino informazioni sulla «ricerca». Anche qui è un

continuo parlarsi addosso. Antonio Iorio: «Pierpaolo... ma è difficile proprio

avere un contatto con questo». Petino: «Io non ci riesco ad avere una linea

diretta, nel senso che ho trovato chi lo conosce, però.. . diciamo una linea

diretta preferenziale no... perlomeno non ancora! Sto aspettando un mio amico

di Roma che tra l’altro è il nipote di un alto magistrato e. . . ».

L’incontro in questura

C’è un lungo capitolo agli atti che riguarda invece le conversazioni di Mario

Potenza, il contrabbandiere ottantenne morto lo scorso 15 gennaio. L’uomo si

vanta di aver incontrato Vittorio Pisani in Questura. Si sarebbe adoperato

perché i responsabili di un furto in un ristorante riconducibile al gruppo

Iorio si consegnassero. In cambio, a sentire le parole intercettate (al

momento prive di riscontri), avrebbe ottenuto che i controlli nella zona di

Santa Lucia e dei Quartieri spagnoli si allentassero. «Pisani - si legge -

quando fu il fatto di questi qua che rubarono a Marco Iorio allora bumt, bamt?

Li maltrattava malamente ogni giorno? Disse: se non mi date i 90 milioni

(l’ammontare del bottino in lire, ndr) non vi faccio lavorare più qua sopra. . .

salivano scendevano? Seppe che si mise d’accordo e che gli dovevano restituire

i soldi? Lui (Pisani, annota la pg) non volle a nessuno... Andai con Renato,

sopra da lui, andammo sopra. . . Renato entrò, poi disse: fuori sta il

chiacchierone (il soprannome di Potenza, ndr)? Lui mi fece entrare. Disse:

alla squadra mobile è chiuso, sta il chiacchierone per mezzo... mi mise come

”apparitore”. Disse: Mario, allora chiudiamo... lo salutai, mi fece avere il

passaporto in due ore... Mena, ma io di ho fatto un cofano di favori. . . se

loro mi chiedevano dei favori io glieli facevo... un paio di cose me la sono

vista malamente».

«Cannavaro ingrato»

Non manca un riferimento a Fabio Cannavaro, tacciato di ingratitudine dalla

madre dei tre imprenditori Iorio. Più di una volta, i legali di Cannavaro

hanno ribadito l’estraneità del calciatore in questa storia di riciclaggio e

di soldi sporchi, dicendosi pronti a tutelare l’immagine dell’ex difensore

della Nazionale in tutte le sedi. Qui, a voce alta, la donna rimprovera a

Cannavaro di aver lasciato che il figlio dell’amico, Antonio, si trovasse in

difficoltà economiche a Miami, proprio mentre lo stesso Cannavaro trascorreva

le vacanze in quella città. È il sei luglio scorso, ecco lo sfogo di Rosanna

Strazzullo: «Sta facendo le vacanze, perché non vede il figlio dell’amico come

sta? Che tiene i soldi e vede... Antò, ti serve qualcosa di soldi, a zio? O

no?». Il marito replica: «E lo dovrebbe chiamare Valeria (moglie di Marco

Iorio, ndr) al campione del mondo!». La donna continua: «Eh, al campione del

mondo! E dice: campione del mondo, mio marito lavorava e ti mandava il

soldi... Tu sei il socio e facevi il campione del mondo e sei miliardario. . .

adesso mio figlio ha bisogno... mandaci qualcosa di soldi, no? Mio marito ti

ha fatto socio ed ogni mese ti mandava tutto quello che guadagnavi. . . te lo

mandava con tutto che tenevi i miliardi». Al telefono c’è spazio anche per

un’ipotesi di dossieraggio contro i pm titolari dell’indagine, che viene

categoricamente smentita dai legali di Pisani, i penalisti Vanni Cerino e Rino

Nugnes.

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IL COMMENTO

Fair play, salvo chi punta sui giovani

di ROBERTO RENGA (Il Messaggero 27-01-2012)

NON È FACILE ritornare sulla terra, dopo aver visto Barcellona e Real Madrid

darsele di santa ragione, in senso buono e meno buono: attori da Oscar, regia

hollywoodiana con un occhio agli effetti speciali, musica (sugli spalti),

ragazze (a casa), dialoghi innovativi, attori belli, brutti, cattivi, feriti,

botte a gogò, Marca e Mundo Deportivo con il coltello al posto della penna,

gol memorabili, suspense che sarebbe piaciuta a Hitchcock. Che meraviglia,

nonostante Pepe, che dovrebbe passare a uno sport più violento: per il calcio,

sinceramente, è sprecato.

Ma com’è che Barça e Real sono così forti? Perché incassano e dunque

spendono. Mostrano debiti, ma un po’ ci marciano. Hanno una storia e un nome.

Chiunque vorrebbe una maglietta bianca o del Barça. Vengono seguite in tutto

il mondo, come da noi viene raccontata la formazione di casa. Sono le due vere

squadre mondiali e la rivalità cresce, l’attesa pure e Barça e Real rischiano

di cancellare o nascondere il resto. Da noi c’è la Coppa Italia, in Spagna il

Classico: la differenza ci fa del male.

I nuovi ricchi russi e gli sceicchi vogliono seguire la stessa strada,

comprando come capita e buttando soldi, cui, non avendoli guadagnati con il

sudore della fronte, non danno valore. Ma non possono comprare la cultura, la

tradizione, le conoscenze calcistiche. E poi c’è di mezzo Michel Platini. Che

c’entra? C’entra sì. Platini è il presidente dell’Uefa e (giustamente) s’è

inventato il fair play economico, che in sintesi, vuol dire: spendete i soldi

che avete, non quelli che escono dai pozzi di petrolio o dai tubi del gas.

Bello, no? Così, autofinanziandosi, si vede chi è effettivamente il più bravo,

come nello sport sarebbe giusto.

Solo che Platini ha sponsorizzato l’arrivo dello sceicco bianco a Parigi, che

è casa sua e adesso non sa come muoversi. Può fermare l’uomo che ha invitato a

cena e che s’è già aggiudicato i mondiali del futuro? Mica facile. Come parla,

parla male di chi spende e spande, solo che evita accuratamente di fissare il

mirino sull’uomo dei sogni parigini. S’è infilato in una storia dalla quale

sarà difficile ne possa uscire senza macchiarsi di petrolio, che, come si sa,

puzza, ma di danaro.

Prima o poi Michel sarà costretto a fermare il fiume nero e dunque si

bloccheranno anche il City e il Psg. United e Liverpool hanno tratto più

svantaggi che vantaggi dall’arrivo degli sgraditi americani e così che

succederà da qui a qualche anno? Resteranno in piedi quelli che hanno

investito su strutture e settori giovanili. Come le due grandi di Spagna e di

Germania, dove ci insegnano come si dovrebbe fare calcio.

E noi? Poveri noi.

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CASA BERLUSCONI

GALLIANI

in fuorigioco

Prima il caso Pato. Poi il j'accuse di Maldini.

Al Milan è sfida aperta tra il manager e Barbara Berlusconi

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 2 febbraio 2012)

Quando mi diranno di farmi da parte, ringrazio e me ne vado". Il promemoria di

Adriano, nel senso di Galliani, è stato confidato a uno stretto collaboratore

e ha un corollario: finché sto qui, nel senso del Milan, comando io. Solo un

ordine del Supremo può contrastare il potere rossonero del geometra di Monza.

Al di sotto di Silvio Berlusconi nessuno ha voce in capitolo, nemmeno la

fidanzata di Pato. Per bloccare la cessione dell'attaccante brasiliano al Psg

degli sceicchi qatari, Barbara B. ha dovuto fare il giro largo. Ossia, ha

saltato la via gerarchica che la vede ultima arrivata nel consiglio di

amministrazione del club e si è appellata a papà. Su Pato l'ha avuta vinta,

per adesso. Ma quando ha tentato per le vie dirette e ha promesso un posto da

dirigente alla bandiera milanista Paolo Maldini, Galliani ha deviato in corner

piuttosto agevolmente. Paolino, ex capitano con 25 anni di gloria sportiva, ha

pagato vecchie ruggini e la sua autonomia. Lo stesso è accaduto all'attuale

direttore sportivo del Psg Leonardo, assunto a fine carriera come assistente

di Galliani, poi mandato sulla panchina rossonera ad allenare e infine

allontanato per avere osato criticare la proprietà.

Certo, con Barbara è un po' più complicato visto che la proprietà è lei. Il

match fra la rampolla e Galliani è un classico del familismo imprenditoriale

italiano. Da una parte, c'è il dirigente di lungo corso, uno della vecchia

guardia fininvestiana con un'anzianità di servizio al Milan di 25 anni e 10

mesi, superiore persino a quella del proprietario, costretto a dimettersi

dalla presidenza dopo l'inflessibile legge Frattini sul conflitto di interessi

varata nel 2004 dal governo dello stesso Berlusconi. Nell'altra metà campo,

c'è l'erede, fulminata dal fascino di San Siro ancor più che da un giovane

centravanti brasiliano e determinata a rimpiazzare Rosella Sensi nel ruolo di

first lady della serie A.

A 67 anni, con una storia di successi e trofei, Galliani è alle prese con gli

ultimi impegni del calciomercato invernale. Resta da vedere se riuscirà a

cedere Pato prima che Barbara ceda lui. Al momento il vicepresidente esecutivo

e consigliere delegato è favorito dal pronostico. Ma se perdesse la partita,

non sarebbe la prima. Negli equilibri del Biscione, Galliani ha sempre avuto

un ruolo particolare. È uno della prima ora ma non ha fatto la Marcia su

Milano 2, come Fedele Confalonieri e Marcello Dell'Utri. Dà del lei a Silvio.

Ad eccezione di un momento in cui ha tentato di ottenere una laurea honoris

causa dall'allora rettore di Urbino Carlo Bo, ha sopportato il marchio di

geometra con cristiana rassegnazione in mezzo a laureati, master in business

administration, bibliofili e cultori della Storia. Eppure è stato un perno

dello sviluppo su basi nazionali di TeleMilano-Canale 5, garantito dalle

antenne della sua Elettronica industriale. Era quello il suo lavoro, non il

calcio. Al Milan c'è finito quasi per caso, lui tifoso juventino, perché era

vicepresidente del Monza del costruttore Valentino Giambelli. In quegli anni,

peraltro, la presenza di Berlusconi nelle vicende della squadra era

totalizzante e andava dalla campagna acquisti al modulo di gioco fino alla

scelta del dessert. Tutti gli altri erano comprimari.

Dopo avere ceduto per intero l'Elettronica industriale a Mediaset nel gennaio

1996, poco prima della quotazione delle tv, per molti anni Galliani ha

alternato le conferenze stampa a Milanello e gli impegni nel centro di

broadcasting di Cologno Monzese. Oggi lo ricordano in pochi ma l'"antennista"

è stato consigliere delegato di Mediaset fino al 1998, quando ha incassato

un'estromissione dolorosa, completata nel 2002 con le dimissioni da

consigliere di amministrazione della subholding quotata.

Mentre il Cavaliere era sempre più impegnato dalla politica, il

vicepresidente è diventato sempre più esecutivo e sempre più delegato a

controllare il calcio nazionale per conto di Silvio. Non a caso l'uscita da

Mediaset nel 2002 coincide con l'elezione di Galliani a presidente della Lega

calcio. Le dimissioni arrivano nel 2006, dopo il deferimento per lo scandalo

di Calciopoli concluso con una condanna della giustizia sportiva a cinque

mesi. Tutto sommato, poca cosa. E anche negli ultimi anni, il peso di Galliani

in Lega è stato predominante.

Privarsi di lui sarebbe difficile e Berlusconi lo sa. Non solo dietro Adriano

c'è il nulla, ma bisognerebbe sborsare una buonuscita consistente. Il tfr di

Galliani è un segreto ben custodito, così come il suo stipendio. Né il Milan

né la controllante Fininvest sono quotate. Dunque non sono obbligate a

indicare con esattezza i compensi dei top manager. L'unica certezza è che il

compenso totale ai consiglieri del club (13 in totale) è di 2 milioni di euro.

Se anche la maggior parte di questa cifra finisse in tasca a Galliani,

significherebbe che il chief executive officer rossonero prende quanto un

panchinaro. Poco probabile. Galliani è anche un tesserato e parte del suo

compenso, specialmente i bonus variabili legati ai risultati sportivi, è

confusa nel calderone da circa 200 milioni di euro annui dei costi per

dipendenti. Dopo 26 anni la sua liquidazione è stimata in oltre 10 milioni. A

questi andrebbe aggiunta una somma legata alla valorizzazione dell'impresa

Milan.

Berlusconi ha comprato la società nel febbraio del 1986 sull'orlo del

fallimento e a prezzo stracciato. Galliani è arrivato a marzo del 1986,

portandosi dietro il direttore sportivo del Monza Ariedo Braida. Dopo un

quarto di secolo, la rivista statunitense "Forbes" ha messo il Milan al sesto

posto nella classifica mondiale dei club di calcio con una stima di 838

milioni di dollari (645 milioni di euro).

Riconoscere il contributo di Galliani nella creazione di questo patrimonio

significherebbe dargli un premio paragonabile a quello incassato da Alessandro

Profumo all'uscita di Unicredit, se non a quello ottenuto da Cesare Romiti

dopo gli anni alla Fiat. Tanto varrebbe pagarlo con una quota del club. Ma chi

lo dice a Barbara?

Palla ai russi

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 2 febbraio 2012)

Sulla presunta cessione di Mediaset, Silvio Berlusconi ha costruito

una strategia. Negli anni, le trattative per vendere le tv sono

servite a distogliere l'attenzione dal conflitto di interessi. Sulla

vendita del Milan, invece, la controllante Fininvest ha sempre

stroncato ogni diceria. Di certo, c'è una valutazione d'impresa,

affidata nel 2009 al consigliere del club Francesco Barbaro. Ma in

quella fase Marina premeva per bloccare l'emorragia finanziaria

provocata dalla squadra. Da allora, il Cavaliere ha ripreso a

spendere. Quanto ai nuovi soci, le smentite ufficiali hanno stroncato

ipotetici negoziati con i fondi libici al tempo del Colonnello e con

gli emiri di Dubai in piena crisi dell'Emirato. Adesso tocca ai russi.

Il nome che circola è quello di Gazprom. Il colosso dell'energia

statalizzato dall'amico Vladimir Putin potrebbe rilevare il 30 per

cento del Milan. O no? L'operazione è problematica soprattutto a causa

dell'articolo 3, paragrafo 1, comma A del regolamento Uefa. La norma

vieta compartecipazioni, anche di minoranza, tra club che giocano la

Champions e l'Europa league, pena l'esclusione di uno dei due. E

Gazprom controlla lo Zenit San Pietroburgo, allenato da Luciano

Spalletti e sostenuto dal pietroburghese Putin. È curioso che anche

l'Inter di Massimo Moratti abbia (avrebbe?) un pourparler per cedere

il 30 percento delle azioni in territorio russo. Si parla del tycoon

daghestano Suleiman Kerimov, proprietario dell'Anzhi. Le milanesi

sognano i rubli ma forse è solo un'illusione.

Non parlate di fair play

di MARCEL VULPIS * (l'Espresso | 2 febbraio 2012)

In casa Inter è tempo di mettersi a dieta. Nonostante la diminuzione dei costi

per 53 milioni e un ricavo straordinario (grazie all'accordo con la Rai

sull'archivio delle immagini tivù) di 13, 3 milioni, la perdita netta

registrata nell'esercizio chiuso a giugno 2011 è stata di quasi 87 milioni. Un

rosso peggiore dell'anno precedente, che già aveva fatto segnare una perdita

di 69 milioni. Quest'anno, peraltro, la società nerazzurra ha registrato un

giro d'affari di 268,8 milioni, in netto calo rispetto ai 323,5 della stagione

dei successi conseguiti sul campo dall'ex allenatore José Mourinho. L'onda

lunga collegata alle vittorie, dunque, non c'è stata.

Negli ultimi tre anni, peraltro, la somma delle perdite ha superato i 310

milioni. Troppo anche per il presidente-mecenate Massimo Moratti. È una cifra

che si pone infatti al di sopra della soglia di tolleranza di 45 milioni

prevista dal progetto di fair play finanziario del presidente dell'Uefa,

Michel Platini, in vigore dal 2013. Se i ricavi verranno confermati nella loro

entità anche nelle stagioni successive, la scelta della riduzione dei costi è

un obbligo imprescindibile. Moratti, invece, ritiene che la società nerazzurra

"debba e possa" aumentare i ricavi commerciali per allinearsi ai club migliori

e mantenere la squadra in alto. Il patron, però, dal 1995 a oggi ha speso una

fortuna: nei 16 bilanci da lui firmati l'Inter ha cumulato perdite nette per 1,

2 miliardi e ha ricevuto apporti dai soci per oltre un miliardo.

Un primo tentativo di ridurre in parte i costi è stato realizzato l'estate

scorsa con la cessione dell'attaccante Eto'o, che ha fatto risparmiare circa

20 milioni di ingaggio lordo. Un secondo passaggio arriverà dalla prossima

estate, quando andranno in scadenza i contratti dei difensori Samuel, Chivu e

Cordoba, che guadagnano 3-4 milioni netti a campionato. Per essere in regola,

bisognerà però stare attenti. Al 30 giugno scorso, infatti, il costo dei

dipendenti, in rapporto al valore della produzione, superava anche se di poco

il limite massimo del 70 per cento stabilito dal futuro regolamento Uefa: un

caso che con le nuove norme potrà far scattare dei controlli. Mettersi a posto,

tuttavia, rischia di essere un problema: mandare a casa troppi campioni non

piace ai tifosi e nemmeno agli sponsor, che pagano tantissimo (12, 7 milioni

arrivano dalla sola Pirelli) per veder vincere la squadra e crescere in

esposizione tivù.

* direttore Sporteconomy.it

Modificato da Ghost Dog

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DINO ZOFF

NEI MIEI PRIMI 70 ANNI

HO PARATO TUTTO.

PERSINO BERLUSCONI

IL COMPLEANNO DEL PORTIERE-LEGGENDA CHE,

NELL’82, VINSE I MONDIALI. UNA STORIA DI SERIETÀ

«FRIULANA» ANCHE DA ALLENATORE AZZURRO,

SINO ALL’INCIDENTE COL CAVALIERE NEL 2000.

RIMPIANTI? NON ESSER RIUSCITO A PULIRE IL CALCIO

di MAURIZIO CROSETTI (IL VENERDI DI REPUBBLICA | 27 GENNAIO 2012)

ROMA. Questo sembra un compleanno, ma non è mica vero. Perché Dino Zoff è una

creatura senza tempo. Il 28 febbraio saranno settant’anni, gli stessi di

Muhammad Alì, dieci più di Vasco Rossi, quaranta più del mundial di Spagna che

ne festeggia trenta a luglio. «Io la chiamo la fortuna della vecchiaia: hai

capito com’è il mondo, e più di tanto non t’incazzi».

Ha lo stesso viso di quando stava in porta, la stessa andatura. Zoff guarda il

Tevere in un lucente mattino d’inverno, lo fissa come si scruta l’orizzonte di

un campo di calcio. Serio, attento. «Forse, ero un po’ vecchio già da giovane».

Dino, a settant’anni come si guarda il futuro?

«Si pensa a quello dei nipoti, magari la soluzione alla crisi è diventare

idraulico, o aggiustatore di sedie. Io, per me, ero motorista e quello avrei

fatto nella vita».

Era meglio, una volta? Proprio vero?

«Ho vissuto un mondo bellissimo, un mestiere fatto per bene. Lo sport migliora

le persone. Se ci credi, ci riesci. Poi, certo, arriva Calciopoli».

Perché è arrivata?

«Più per stupidità che per avidità. Il giocatore può essere facilone, può

farsi tirare dentro. Ma se mi avessero anche solo proposto un trucco, li avrei

picchiati ».

Lei ha giocato 330 partite consecutive: cos’è, la durata?

«Oggi non ci riuscirei. Oggi, il centravanti ti fa gol e comincia un ridicolo

balletto, una coreografia da varietà. Anche lì, se l’avessero fatto davanti a

me, li avrei menati, mi sarei fatto squalificare di sicuro. Sono pagliacciate,

io ho sempre tolto invece di aggiungere, ho cercato di semplificare i gesti,

le modalità, per arrivare all’osso delle cose».

Come invecchia una leggenda dello sport?

«Cercando di non macerarsi, visto che a 70 anni si comincia ad aspettare la

morte. Sorridendo di più, anche se non sono mai stato musone, quella è una

stupidaggine dei giornali. Serio sì, non musone ».

Il contrario di questi tempi da circo, e non s’offendano i clown.

«Ho visto Rivera ballare in quel programma con la Carlucci, che tristezza. Con

le battute scontate, però se sei Rivera non puoi farlo. Viviamo tempi

eclatanti e inutili, repliche di brutte commedie».

Ormai ci manca solo Zoff al Grande Fratello.

«Nel caso, ammazzatemi».

Qual è il calcio più bello che ha visto?

«Ma il calcio è sempre bello, è il contorno che non va, l’orpello, la

pesantezza. Le sceneggiate, i fronzoli: l’Italia ama premiare i furbi, i

simulatori, i venditori di fumo, è così che ci siamo rovinati. Ma un proverbio

dice che i furbi un bel giorno muoiono per colpa degli stupidi ».

Esiste una possibile difesa?

«Io lo chiamo “il canone friulano”: lavorare bene ed essere seri. Ho fatto il

possibile, ho cercato di dare l’esempio. Non si può cambiare il mondo, solo

modificarne una piccola porzione, la nostra, con l’impegno ».

Perché la vostra generazione di campioni non è riuscita a cambiare lo

sport? Perché, invece di ballare con le stelle, non avete provato a

diventare dirigenti?

«Perché la politica ha chiuso tutti gli spazi, il vero potere ci ha respinti.

E perché in Italia non si vuole il cambiamento: dopo Calciopoli è rimasto

tutto uguale».

Come si diventa Zoff?

«Lottando con i numeri, con i risultati che non bastano mai. Fare, fare, fare.

E mai un volo di troppo, non solo tra i pali. Per essere Zoff ho dovuto

vincere un mondiale a quarant’anni, eppure nel ’73 ero arrivato secondo nel

Pallone d’Oro dopo Cruyff. Ho cercato di tenermi basso, forse troppo, per il

pudore di far vedere cose che non ci sono».

Quali sono stati i portieri più grandi?

«Combi e Sentimenti IV sono lontanissimi e non li posso giudicare. Direi

Yashin, Banks, Zoff, Maier, Albertosi, Schmeichel e poi Buffon. Da giovane,

Gigi aveva più personalità di quanta ne avessi io alla sua età, ma da vecchio

io sono stato quasi imbattibile. Vedremo lui, a quarant’anni».

Il portiere può essere creativo?

«No, mai. Limita i danni dei creativi veri. Io sono stato un artigiano di

qualità, magari il migliore al mondo, però non un artista. Lo erano semmai

Pelè, il più grande di sempre, l’essenza del calcio, poi Maradona, forse più

geniale ma meno completo, Sivori, Cruyff, Platini, Messi che ora merita il

Pallone d’Oro a vita. E Paul Gascoigne».

Gazza Gascoigne? In questa incredibile compagnia?

«Sapeste che dolore, vederlo buttarsi via. L’arte sprecata è un crimine. L’ho

amato e odiato, per questo genio e questa dissipazione».

Trent’anni da Madrid ’82: lei e la coppa festeggiate insieme.

«È stato enorme, irripetibile. Perché l’Italia segnò tanti gol su azione,

velocissimi, perfetti. Riguardatevi la prima rete contro i tedeschi, con tre

azzurri sulla linea della palla. Ci trovavamo a meraviglia. Anzi, si trovavano

a meraviglia, perché io stavo in porta».

La nazionale era stata anche più bella in Argentina, nel ‘78.

«Vero, lì c’era pure Bettega, campione enorme. Il suo gol agli argentini,

Bettega- Rossi-Bettega, resta una delle migliori azioni nella storia del

nostro calcio ».

Invece lei non prese quei tiri da lontano.

«Se avessi giocato meglio, chissà, forse si poteva anche vincere il mondiale.

Ma non ero vecchio, anche se Brera scrisse che era una questione di diottrie.

Per mia fortuna, Bearzot vide più lontano. Mi sono sempre sentito figlio di

Enzo: era talmente limpido che non voleva neppure che gli osservatori della

nazionale volassero con le squadre di club che andavano a visionare, questo

per essere più liberi, irreprensibili ».

Mancheranno Bearzot e Scirea, alla sua festa.

«Gaetano era lo stile, la serenità. Un vuoto grande come il primo giorno. Era

sincero e pulito. Ed era più giovane di me, avrebbe ancora dato tanto esempio».

Esiste la parata della vita?

«Italia-Brasile dell’82, il famoso colpo di testa di Oscar nel finale. Volo e

blocco a terra quella palla, sapendo che non esiste altra soluzione. So di

averla presa in campo e non oltre la linea, ma è terribile l’istante in cui

aspetto di capire se anche l’arbitro ha visto bene, mentre i brasiliani già

gridano gol».

Cos’è stata la Juve, per lei?

«La consacrazione sportiva e la concretezza. Era come lavorare alla Fiat:

produrre e ricavare, produrre e ricavare. Si guadagnava sui premi più che

sull’ingaggio, e arrivare secondi era fallire. Logica industriale pura. Quando

si discuteva il rinnovo del contratto, Boniperti cominciava a giurare sui

figli: allora io pensavo che chi giura così, non può fregarti. Il mondo, però,

non è degli ingenui».

Cos’è la sconfitta?

«Rappresenta la vera consapevolezza dell’atleta, il suo momento di crescita,

perché si perde molto più di quanto si vinca. La finale di Atene contro

l’Amburgo fu tremenda, la chiusura anticipata della mia carriera. Troppo

entusiasmo: alla partenza, all’aeroporto di Caselle, ricordo un cartellone

enorme del Trap che pubblicizzava un amaro. E lo bevemmo davvero, quell’amaro

amarissimo».

Ripensa spesso al gol di Magath?

«Tutti lo ricordano come un tiro da lontano, invece era un metro dentro

l’area. La palla si abbassò in modo strano, con un effetto maledetto. Quella

finale di Coppa dei Campioni nell’83 venne perduta dalla più grande Juventus

di tutti i tempi».

Com’è una giornata da settantenne?

«Un po’ di sport la mattina, tennis, nuoto, e il pomeriggio con i nipotini di

due anni e mezzo e sette mesi. Sono un nonno operativo».

Perché lei passa per musone?

«Perché le parole di troppo sono fumo. Perché non mi è mai andato di giudicare,

di criticare, di dire bugie pur di dire qualcosa. Perché la banalità uccide,

invece il silenzio fortifica».

Un giorno Berlusconi la giudicò indegno, alla lettera. E lei lasciò la

panchina della nazionale.

«Sono sempre stato un uomo scomodo. Ma tanti di quelli che hanno provato a

farmi la morale li ho visti in azione, li ho conosciuti da vicino. Poi penso

all’onestà feroce di Bearzot e mi consolo».

Dino Zoff, le capita mai di sognare una partita di calcio? Di sognare

il desiderio di essere ancora un portiere?

«No, mai. Anche da giovane i miei sogni notturni erano confusi, indecifrabili

e caotici proprio come adesso, però non riguardavano mai il lavoro. Neppure

quelli ad occhi aperti, di cui sono uno specialista, e nessuno lo crederebbe.

Sognare una carriera nel calcio, le vittorie, sognare la vita che poi ho avuto

sarebbe stato impossibile: non c’era la tv che fa sembrare tutto a portata di

mano. Le prime partite dentro un televisore le vidi che avevo dodici anni, era

il mondiale del ’54».

Un sacco di tempo fa.

«Il tempo sconfigge tutto».

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