Vai al contenuto
CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

Recommended Posts

Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

«Calciopoli non è finita»

L’avvocato Prioreschi, difensore di Moggi

«I prossimi saranno mesi decisivi in aula»

Al contrario «In Calciopoli si è scelto un colpevole, poi si è passati alla ricerca dei reati»

Bastava ascoltare «Lepore dice che la fuga di notizie ha salvato l'Inter? Ma le prove c'erano già»

Questione infinita «Dopo tanti anni se ne parla ancora. Vuol dire che non c'è stata giustizia»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 17-11-2014)

Buongiorno avvocato Prioreschi, si torna a parlare di Calciopoli: Cassazione a gennaio, il gip romano Di Grazia che deve decidere sul rinvio a giudizio di Narducci, la querela Facchetti-Moggi che sembra una riedizione del processo di Napoli. Proviamo a fare il punto della situazione?

«Partiamo dalla Cassazione che resta il procedimento più importante. In quella sede porremo, fra l’altro, la questione della competenza territoriale: i reati sono stati compiuti fra Torino e Roma, tant'è che proprio i Carabinieri di Roma indagarono. Quindi perché Napoli? Gli imputati, a nostro parere, sono stati sottratti al loro giudice naturale. Poi c’è la questione dei dati delle sim svizzere ottenuti dagli inquirenti all’estero, senza una rogatoria internazionale».

Cosa potrà decidere la Cassazione?

«Potrebbe confermare o annullare le sentenze, anche se come al solito il nocciolo della questione sarà il modo con cui motiverà la decisione. Mi sembra difficile che possa far ripetere i processi».

Poi c'è la questione che abbiamo ridefinito "l'inchiesta sull'inchiesta", ovvero la richiesta di giudicare il pm Narducci e il maresciallo Zino, per una delle anomalie emerse a Napoli: la "sparizione" del video del sorteggio arbitrale. A che punto siamo?

«Siamo in attesa che il gip Di Grazia decida sulla nostra opposizione alla richiesta d'archiviazione. Potrebbe arrivare a giorni. E' una decisione difficile, considerato che c'è di mezzo un magistrato. Quel video, che non provava niente, è sparito, ritirato dai pm e poi sostituito con una sequenza fotografica grossolanamente alterata. Le giustificazioni di Narducci, peraltro un po' fumose, sono bastate al pm per chiedere l'archiviazione... Vediamo cosa deciderà il gip, certo è singolare che un pm si fidi di un indagato che dice di non aver commesso il reato».

Qual è la più clamorosa anomalia di Calciopoli?

«L'informativa del 18 settembre 2004 che ha dato il via alle intercettazioni. Non vi era alcun elemento per autorizzarle. Quell'informativa è il simbolo dell'inchiesta: invece di constatare un reato e cercare un colpevole, si è scelto un colpevole e poi si è andati alla ricerca del reato in modo unidirezionale».

Giandomenico Lepore, capo della Procura di Napoli ai tempi dell'inchiesta, ha dichiarato: «Stavamo arrivando all'Inter, poi la fuga di notizie ha bloccato l'indagine».

«Non credo che sia stata la fuga di notizie a bloccare l'indagine e il coinvolgimento di altre squadre. Per arrivare all'Inter, bastava non ignorare le intercettazioni che già esistevano. All'Inter c'erano già arrivati! La fuga di notizie, al limite, poteva bloccare tutta l'indagine, ma alla data di questa famosa fuga, c'era già materiale per coinvolgere più personaggi. Bastava utilizzarle tutte».

Dopo tutti questi anni e aver scritto un libro, si spiega perché l'inchiesta di Calciopoli andò così?

«Sì, ma preferisco non dirlo su un giornale. Giusto per evitare che si apra un ulteriore fronte giudiziario sulla vicenda».

A proposito, c’è poi la querela di Gianfelice Facchetti contro Luciano Moggi. L'ex dg bianconero aveva detto in tv che Facchetti aveva chiesto a un arbitro di far vincere l'Inter e teneva contatti uguali ai suoi con il settore arbitrale. Come andrà a finire?

«Questo non posso dirlo. Diciamo che le affermazioni di Moggi si riferiscono a un fatto oggettivo di cui ci sono prove. Non a caso il giudice ha acquisito le telefonate di Moratti e Facchetti, la relazione Palazzi e altre intercettazioni. Se dovesse dare ragione a Moggi, sentenzierebbe che affermare che l'Inter ha cercato di condizionare un arbitro è un fatto vero e non rappresenta diffamazione per alcuno».

Calciopoli si chiuderà mai?

«Questa vicenda dura da anni, più dei processi di Andreotti. E se ne continua a parlare. Vuol dire che non tutto è stato chiarito e che la giustizia non ha funzionato completamente».

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Preziosi e il sorpasso di Genova

«Noi maturi per battere Milano»

«Inter e Milan hanno perso qualità: con noi differenze di introiti, non di rose»

di MONICA COLOMBO (CORSERA 12-11-2014)

Enrico Preziosi, è un presidente felice?

«Molto, il Genoa mi sta dando grandi soddisfazioni».

Genova ride, Milano piange. Quanto può durare la supremazia ligure in classifica?

«Dipende da noi: Inter e Milan hanno perso qualità, si sono avvicinate più al basso che all’alto. Fra noi e e loro vedo differenze a livello di introiti, non di spessore delle rose».

Il Genoa ha più punti del Milan grazie anche ai 5 gol del prestito gratuito Matri.

«Non è scarso, a Milano aveva perso fiducia. Se fosse rimasto lì avrebbe fatto peggio, lo restituiremo valorizzato».

Perché lei non è entrato sottopelle nei genovesi come ha fatto invece in pochi mesi il suo dirimpettaio Ferrero?

«Non ho mai vissuto a Genova, non per superbia ma per impossibilità visto che ho il centro degli affari fra Milano e Cogliate. Arrivo a Marassi un quarto d’ora prima della partita e vado via un quarto d’ora dopo e solo ogni tanto mi presento agli allenamenti».

Ha perdonato al presidente della Samp la corsa sotto la curva nell’ultimo derby?

«Ognuno risponde dei propri comportamenti. Non mi ha fatto piacere ma non mi sono tagliato le vene. Nonostante io abbia vinto le precedenti tre stracittadine, vorrà dire che restituirò il favore nella prossima sfida».

Le sue decine di operazioni concretizzatesi sotto l’ombrellone con il suo amico Galliani sono finite sotto la lente d’ingrandimento di Barbara. Che cos’ha da dire sull’argomento?

«Bisogna capire che spesso si fa di necessità virtù. In termini di cassa non sono mai stati grandi affari: pur essendo legato da un rapporto affettuoso ad Adriano è difficile fare affari con lui. Non mi sono riempito di soldi con Boateng né con l’operazione El Shaarawy».

A proposito di giocatori prelevati dal Milan, non ha mai tirato le orecchie ad Antonini e consorte per l’uso smodato di Twitter?

«Guardi, se potessi proibirei l’accesso ai social. Ai giocatori ho fatto presente che non si dovrebbe fare cenno alla vita dello spogliatoio e alle scelte dell’allenatore. Luca lo sa».

È vero che Pogba sarebbe potuto venire a Genova?

«Prima che firmasse con la Juve, avevo incontrato il ragazzo e Raiola. Il giocatore però chiedeva la comproprietà con una squadra importante. Ne discussi con Galliani, ma il Milan non accettò le condizioni poste da Mino Raiola».

Realtà o suggestione: da presidente del Como bocciò l’arrivo di Messi?

«Mi fu proposto da Favero, nostro osservatore in Argentina. Mi parlò di questo fenomeno di 14 anni che costava 50 mila dollari. Non l’ho scartato, non me la sentii di scommettere quella cifra per un ragazzo giovane e un po’ gracile».

Come sono i suoi rapporti con Berlusconi?

«Insieme abbiamo inventato il personaggio Fiorello: Berlusconi perché gli affidò il karaoke in tv, io perché lo utilizzai come testimonial per il Cantatù, che insieme al Cicciobello è uno dei maggiori successi della Giochi Preziosi».

Se Ferrero fosse un gioco, che cosa sarebbe?

«Se stesso, mi ha chiesto di creare un pupazzetto a sua immagine».

Galliani?

«Diabolik per come gestisce le trattative».

Lotito?

«Un mix fra Sapientino e Monopoli».

Andrea Agnelli?

«Darth Fener».

Mai pensato di scrivere le sue memorie?

Apre il cassetto: «Ecco qui, 200 pagine. Si intitola “I giochi della vita”. Ma non è ancora il momento per farlo uscire: parla delle mie traversie giudiziarie e di come cercai di andare contro il sistema».

Veramente tutti l’accusano di esserne ora parte integrante manovrando il calcio italiano con Lotito.

«Nessuno in Italia lavora come lui, più di 26 ore al giorno».

Dicono sia un formidabile interprete delle canzoni di Califano. Un titolo per il campionato della sua squadra?

«Genoa, tutto il resto è noia».

PREZIOSI

Conti a rischio per il patron del Genoa

di ANTONIO MIGLIORE (IL FATTO QUOTIDIANO 12-11-2014)

Affari opachi per il presidente del Genoa Calcio e numero uno della Giochi Preziosi, l’avellinese Enrico Preziosi. Conti bocciati infatti per la Finholding, la società finanziaria che fa capo all’imprenditore. Come riporta Repubblica.it, in un documento firmato il 30 settembre scorso, il revisore dei conti Marco Colacicco avrebbe espresso preoccupazione per i numeri di bilancio del 2013, a causa di “molteplici e significative incertezze”. I numeri appaiono molto preoccupanti. La finanziaria del patron del Genoa mostrerebbe una perdita di esercizio per l'anno 2013 pari a 49 milioni di euro. Non migliore la situazione negli anni precedenti: nel 2012 il disavanzo era di 209 milioni, nel 2011 di 18 milioni. Eppure gli amministratori nell’ultimo anno sembra non abbiano neanche rinunciato a ritoccarsi i compensi. E nonostante la preoccupazione del revisore dei conti e il grosso deficit di bilancio, l'assemblea degli azionisti di Finholding ha deciso di approvare il bilancio, facendo ricorso alla riserva straordinaria. Per Colacicco rimangono molte incognite da chiarire.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
È L’ORA DI UN NUOVO CALCIO

Bogarelli: «La A si apra al mondo e pensi ai tifosi. Champions con 6 italiane»

Il n.1 di Infront: «Io non domino nulla, devo fare profitti. Stadi come centri commerciali. Uefa: via l’Europa League, più peso al business»

«Ronaldo e Messi girano spot gratis per promuovere la Liga. Da noi c’è il silenzio stampa»

di MARCO IARIA (GASPORT 12-11-2014)

La Lega, la Figc, dieci squadre su venti di Serie A: Infront ha le chiavi del calcio italiano. Che si tratti semplicemente di un’azione sinergica tra marketing e diritti media oppure di una posizione dominante con rischi di influenza sulla politica sportiva, una cosa è certa: Infront è un interlocutore di primo piano nel sistema. Ecco perché siamo andati nella “tana del lupo” - un complesso di 3 mila metri quadri nella periferia Est di Milano, in cui lavorano 160 persone – per ascoltare da Marco Bogarelli, presidente di Infront Italy, la sua visione sul futuro del pallone.

Presidente Bogarelli, è lei il vero padrone del calcio italiano?

«Io sono solo un manager. Infront Italy fa parte di un gruppo con 25 uffici tra Europa e Asia e oltre 600 dipendenti. Operiamo in tutto il mondo con 3400 giornate-evento all’anno, abbiamo realizzato la produzione media del Mondiale in Brasile costruendo dal nulla l’International Broadcast Centre con 3200 impiegati. Sviluppiamo i brand sportivi a 360 gradi e in Italia lo facciamo anche nello spettacolo, con X Factor, MasterChef e Crozza. Non forniamo soltanto servizi, cerchiamo di attivare linee di ricavi, per esempio la corporate hospitality di X Factor, dove abbiamo quasi più richieste di San Siro!».

Sì ma nel calcio siamo di fronte a una posizione dominante. O no?

«Non cerco di limitare il mio business, sarei un cattivo manager. Non c’è una posizione dominante perché non esercitiamo quel tipo di politica. Ci muoviamo in base alla profittabilità del business, che significa far consumare più calcio. Tutto ciò l’abbiamo ottenuto portando risultati, stimolando la crescita. Non è che ora io mi fermi perché qualcuno mi dice che domino qualcosa: la mia agenda non è di controllo ma di profittabilità. Se non la realizzo mi licenziano. Faccio parte di un gruppo che ha come maggiori azionisti dei fondi di investimento, il cui mestiere è comprare e vendere. Siamo in vendita tutti i giorni, anche adesso: ci sono cinesi e americani interessati che vogliono sapere quanto Infront crescerà nel futuro. Figurarsi se mi fermo».

Sta di fatto che la vostra ascesa è costellata da tante chiacchiere, sin dalla prima assegnazione nel 2008.

«Portai a Matarrese una proposta per fare l’advisor della Lega. Con quella proposta è stata fatta una gara a cui hanno partecipato 12 società: non proprio un gesto di amicizia».

Sì ma la Juventus contestò le procedure.

«Noi abbiamo vinto perché abbiamo messo più grano sul tavolo. La Juve aveva una vicinanza importante col gruppo Lagardère, ma Sportfive fece un’offerta inferiore alla nostra».

Pare esserci un filo rosso dalla rielezione di Beretta in Lega al trionfo di Tavecchio in Figc, passando per la guerra vinta sui diritti tv. C’è un partito che sostiene come l’asse Galliani-Lotito si sia consolidato con l’interfaccia di Infront.

«I poteri forti sono altri visto che c’è una squadra come la Juve che appartiene al gruppo più liquido d’Italia e ha il 30% dei tifosi. Nelle elezioni di Lega, una simpatia potevo avercela semmai per Abodi, che è stato mio socio. E quando si è discusso il rinnovo del nostro contratto i più grandi litigi li ho avuti con Lotito, non con Agnelli. Se Lotito e Galliani hanno capacità di aggregare il consenso di 16-18 società di A, qualcun altro dovrebbe farsi delle domande. Noi non facciamo politica, non ci schieriamo, lavoriamo con chi c’è. È vero che Tavecchio per esperienza ci sembrava più adatto, ma semplicemente aveva i numeri per vincere. Poi se vuoi un grande manager alla guida della Federazione non puoi dargli 38mila euro lordi…».

La Serie A ha incassato introiti-record dai diritti tv proprio nell’era in cui ha perso terreno rispetto alle altre leghe. Dove sta il cortocircuito?

«Quando eravamo i nobili del calcio, fino a 10 anni fa, il prodotto non era globale. Oggi lo è, oggi l’attenzione si polarizza su pochi brand, tutti vogliono un vestito di Armani: è lo stesso nel calcio, il mercato latino-americano di Real e Barcellona si è trasformato in un mercato globale. La crescita organica del consumatore mondiale ha portato alla polarizzazione di pochi marchi, noi non l’abbiamo colta».

Ricetta?

«Lo stadio è la chiave di tutto».

Solito ritornello: da anni si invoca una nuova generazione di impianti.

«Sì ma nell’attesa, con investimenti di qualche milione di euro a club, si possono rendere friendly gli stadi attuali. Oggi il tifoso a casa ha troppi vantaggi rispetto a chi segue una gara dal vivo: replay, commenti, statistiche, diretta gol. Molte società, dall’Inter al Milan alla Juve, sentono l’esigenza di allestire la sport production: è importante, ma non basta aggiungere nani e ballerine, il core business resta la partita. Se lo stadio avesse il wifi, se anziché cinque televisori ne avesse mille coordinati da una regia, lo spettatore potrebbe godersi l’arrivo dei pullman delle squadre, le interviste, gli spogliatoi, gli highlights, i replay. Bisogna far sì che la gente passi più tempo allo stadio e che consumi, come in un centro commerciale».

In Lega non si parla mai di questi temi.

«Non è proprio così. La sensibilità c’è ma i presidenti sono concentrati sul campo. Però, visto che le tue linee di ricavi richiedono competenze specifiche dai media al marketing all’hospitality, devi essere contaminato da quello che succede nel mondo. Il fatto che in A ci sia uno scenario così eterogeneo di associati deve portare ad avere driver di cui ci si fidi. E questi driver sono giustamente Juventus, Milan e Inter, anche se c’è sempre il sospetto che i soldi se li becchino loro. Il tasso di litigiosità in Lega è ancora abbastanza elevato per avere un approccio sereno. Ma bisogna sforzarsi di fare uno spettacolo adeguato ai tempi: non abbiamo né Cristiano Ronaldo né Messi, qualcosa dobbiamo inventarci. In Germania sono ripartiti dagli stadi: nel 2006 i giocatori della Bundesliga facevano ridere rispetto a oggi. E poi è anche una questione di disponibilità».

Cioè?

«In Lega ho citato l’esempio di Ronaldo e Messi che hanno girato uno spot gratuito per promuovere la Liga nel mondo. Non è l’approccio dei nostri club. Magari i presidenti danno massima disponibilità per le interviste ai giocatori di punta ma poi fai fatica a interagire coi quadri intermedi. E il silenzio stampa c’è solo da noi».

Le società si sono adagiate sulla rendita dei diritti tv e dal 2015 il famoso miliardo salirà del 20%. Come rompere questa tele-dipendenza?

«Intanto va detto che in Italia l’interesse per il calcio è altissimo e i margini di crescita sono pazzeschi. Oggi non esiste più il “videoascoltatore” di Raiuno o Canale 5, il pubblico va a seguire il brand che conosce, incluso il calcio. Si va riducendo l’intermediazione tra il cliente finale e le piattaforme distributive: ecco perché il canale della Lega sarà realizzato sicuramente, già dal 2018. Comunque è vero che la Serie A deve svilupparsi su altri fronti. Già nel 2011 presentammo un progetto di sfruttamento di alcuni prodotti collettivi, ora vedrei benissimo una app per le partite di campionato, come quella che abbiamo realizzato con Fifa per il Mondiale. A noi piacerebbe fare l’advisor della Lega anche per stadio e marketing».

Allora è proprio un vizio… Non rischiate già di influenzare la Serie A, attraverso i minimi garantiti dei contratti commerciali con 10 club?

«Purtroppo non ci sono mai riuscito (ride, ndr). Quello che vogliamo è una massa critica per attrarre i primi 50 big spender. Oggi, a parte Telecom, nessuno può permettersi di legarsi a una sola squadra: se gliene porto 10 o addirittura 20, magari lo convinco. Stiamo già costruendo un nuovo media: partendo dallo stadio e disegnando una macroarea nel raggio di 150 chilometri, veicoliamo la pubblicità attraverso una serie di led gestiti da un software come se si trattasse di un palinsesto tv. Questo è business, non me ne frega niente della politica sportiva».

Sì ma non venga a dirci che tutte le società sotto contratto sono funzionali al business.

«Il profitto lordo di quest’area è positivo, poi ci sono realtà che soffrono. Ma vi assicuro che nessun club mi ha mai votato perché gestisco il suo marketing. Zamparini inveiva contro di noi, eppure siamo partner del Palermo da anni. E con la Juve abbiamo un contratto per la library».

Avete ottenuto pure la pubblicità azzurra.

«La Nazionale gioca quando non giocano le altre. Così ottimizziamo il prodotto».

Così occupate tutti gli spazi disponibili…

«Beh, il fatto di sparire dalla programmazione non va mai bene, pensate alle soap-opera in onda da secoli ogni giorno. La Nazionale è quasi sempre rimasta un fenomeno commerciale italiano. In realtà è uno dei sette brand internazionali, come Germania, Spagna, Inghilterra, Francia, Brasile e Argentina».

Ma non preoccupa lo stato di salute del calcio italiano, a lei che quel prodotto deve venderlo?

«È vero che la A è un marchio da rinfrescare, ma ci ha regalato il +58% dai diritti esteri, anche se le agenzie interessate sono scese da 7 a 3. Semmai è sbagliato il sistema d’ingresso alle competizioni Uefa. Non esiste che l’Italia versi 270 milioni per i diritti tv di Champions ed Europa League e abbia solo due squadre più una nella coppa più importante. Ci sono cinque Paesi, Italia compresa, che fanno sì che la Champions esista alimentando il 70% del suo fatturato».

Sta riesumando il progetto della Superlega?

«Dico che l’attuale format non è adattabile alle nuove logiche del calcio. Non voglio un sistema chiuso ma uno aperto che privilegi un ranking concepito anche sul business. Via l’Europa League che non ha senso, sì a una Champions con 6 italiane di diritto, al pari di inglesi, spagnole, tedesche e francesi. Milan e Man Utd si sono affrontate solo 6 volte dalla nascita della Champions. Perché così poco?».

Cosa ci dice della sua vicinanza a Berlusconi?

«Non ho mai lavorato un minuto per Fininvest o Mediaset. Mi occupo di televisione dal 1981, come potevo non incrociare i destini di Berlusconi che ha inventato la tv privata in Italia? Sono amico di Galliani, ma ai tempi di H3G, che firmò con Juventus, Milan, Inter e Roma, noi di Media Partners ci trovammo a competere proponendo l’accordo con Vodafone a tutte le altre squadre».

Quindi non è stato un favore a Mediaset l’esito dell’assegnazione dei diritti della Serie A ‘15-18.

«Il bando era chiaro, i pacchetti erano stati definiti per piattaforma e l’abbinamento Sky-Fox non era possibile per la regola del “no single buyer”. Non puoi pensare di vincere perché fai il furbo: i contratti si firmano per reciproca soddisfazione. È sembrato strano, semmai, che qualche club spingesse per accettare l’ipotesi di 779 milioni di ricavi rispetto ai 943 incassati in questa maniera. Strano, molto strano».

Finanzia il pallone con un miliardo e 100 milioni

Ricavi schizzati, archivi digitali e il crac Cagliari

di MARCO IARIA (GASPORT 12-11-2014)

C’è un numero che dà l’idea di quanto pesi Infront nel sistema calcistico italiano: 1 miliardo e 100 milioni di euro. A tanto ammonta l’impegno finanziario annuo della società di consulenza considerando il minimo garantito di 980 milioni per i diritti tv della Lega Serie A, quello fresco fresco di 14 milioni per la pubblicità della Figc e i circa 100 milioni spesi per la commercializzazione di una serie di diritti delle singole società. Quali? Atalanta, Chievo, Genoa, Inter, Lazio, Milan, Palermo, Sampdoria, Udinese, Verona e in B il Bari per la gestione di marketing e sponsorizzazioni; Roma per il media package. E poi c’è lo sfruttamento delle immagini d’archivio: 18 società su 20 di A hanno firmato un contratto con Infront, cioè tutte tranne Sassuolo e Torino.

Sopravvivenza Un miliardo e 100 milioni è tanto, soprattutto se rapportato al giro d’affari da 1,7 miliardi della Serie A. La fetta più grande, quella da cui dipendono i destini delle squadre italiane, deriva dalla vendita dei diritti televisivi, che dal 2010 è centralizzata, con la consulenza appunto di Infront. Non un semplice advisor: la garanzia di risultato che offre alle società è determinante. Un paracadute reso possibile dalla crescita impetuosa di Infront Italy e dal sostegno del fondo d’investimento Bridgepoint, che controlla tutto il gruppo con base a Zurigo presieduto da Philippe Blatter, nipote del capo della Fifa. Così il minimo garantito alla Serie A è schizzato a 980 milioni annui per il 2015-18 e salirà fino a quota 1 miliardo per il 2018-2021: rinnovo già scattato dal momento che, tra pay tv ed estero, la Lega ha brindato ai 1129 milioni di ricavi annui.

Che ascesa In cambio di questi minimi garantiti, Infront riscuote laute commissioni (40 milioni dalla Lega in questa stagione) e, dove previsto, la suddivisione dei proventi. Gli affari vanno benissimo, il fatturato cresce (231 milioni nel 2013, +12%) e si accumulano profitti (12 milioni, come nel 2012). Un raggio d’azione sempre più ampio: dopo aver fatto impennare i ricavi commerciali del Milan, con un +40% al primo anno, qualche mese fa Bogarelli ha messo sotto contratto l’Inter di Thohir garantendole un minimo di 20 milioni annui. Sarà solo un caso se i nerazzurri, che erano all’opposizione, si sono avvicinati al governo di Lega e hanno votato Tavecchio in Figc? L’ultimo colpo è stato proprio la Federazione: advisor pubblicitario per il quadriennio 2015-18 per un totale di 57 milioni garantiti (14 a stagione).

Diversificazione Infront non è solo calcio: una trentina di milioni li incassa da altri sport e da eventi extra, compreso l’affitto di un teatro-tenda di 3600 metri quadrati che ospita diversi programmi tra cui X Factor. E dentro il calcio le attività sono molteplici, come emerge dalla scomposizione del fatturato: 64 milioni per la produzione audiovisiva, 58 per la pubblicità, 43 per la commercializzazione di immagini media, 36 per le consulenze e 1 per la corporate hospitality. La nuova frontiera è la valorizzazione delle library delle squadre: immagini d’archivio in pellicola che Infront, con una struttura nuova, digitalizza e indicizza con 250 tag per poi rivenderle a valore aggiunto. Alla Roma, per esempio, versa 3,3 milioni a stagione per questi diritti. Certo, non tutti i business sono chiarissimi: basti pensare alla scommessa Bari in B. E non tutti funzionano: Bogarelli a febbraio ha rescisso il contratto col Cagliari pagando una penale di 10 milioni.

Il futuro del calcio

Preziosi: «I ricavi in più vadano

agli investimenti in stadi e vivai»

Fa discutere la sveglia di Bogarelli al sistema. Il n.1 del Genoa lancia la proposta

Ma il presidente dell’Aic Tommasi avvisa i club: «Si lavori sulla qualità del gioco»

Infront garantisce 1,1 miliardi al calcio e viene accusata di influenzare la politica sportiva

di MARCO IARIA (GASPORT 13-11-2014)

È stato come un tonfo. L’intervista alla giornalaccio rosa di Marco Bogarelli, presidente di Infront Italy e uomo chiave del calcio italiano, ha alimentato un chiacchiericcio che dai social si è propagato fino alle stanze dei bottoni. Per la portata delle parole – una scossa a un sistema che deve sprovincializzarsi nella competizione globale – e per il fatto che a pronunciarle sia stato un personaggio solitamente nell’ombra, eppure potentissimo, interfaccia presunta o reale di quel fronte ormai plebiscitario che ha messo le mani sul pallone tricolore. Proprio di fronte al rischio di influenzare la politica sportiva, dall’alto del miliardo e 100 milioni che garantisce al sistema tra minimi garantiti e acquisizione di diritti tv e commerciali, Bogarelli ha parato le accuse: «Noi di Infront non abbiamo una posizione dominante, puntiamo al profitto e portiamo risultati». Poi il gran capo della società di consulenza ha dato una sua visione su presente e futuro del calcio italiano. Primo: «La Serie A deve adeguarsi al mercato globale, Ronaldo e Messi girano spot gratis, da noi c’è ancora il silenzio stampa». Secondo: «In attesa della costruzione di nuovi stadi, bisogna dare ai tifosi gli stessi servizi di chi sta a casa: wifi e mille schermi». Terzo: «Via l’Europa League, Champions riformata con 6 italiane di diritto». Un tentativo, questo, di riproporre il defunto progetto della Superlega, che ha scatenato il dibattito in Rete. La maggioranza degli appassionati resta fedele a quel lato romantico che la Champions conserva e boccia sonoramente la provocazione.

Presidenti Gli umori in Lega, invece, rispecchiano la linea di pensiero che si è andata formando negli ultimi anni. Ormai da tempo la maggioranza che si riconosce attorno a Galliani e Lotito è blindatissima. Juventus e Roma, le due società che più di tutte hanno alzato la voce contro una certa gestione, non rilasciano commenti ufficiali. Parla Enrico Preziosi, presidente del Genoa: «Cosa si può dire a Infront? Ci fa incassare sempre di più. Bogarelli ha affermato il suo ruolo. Certo, è una società che fa profitti, cosa che i club non riescono a fare nonostante la pioggia di denaro dei diritti tv». Da qui la proposta agli altri associati della Serie A. «Nel prossimo triennio sono previsti 200 milioni di introiti annui in più. Bene, vincoliamo una parte di queste maggiori risorse per gli investimenti negli stadi e nei vivai». Gli stadi sono il mantra, da troppo tempo. «Devono essere la priorità assoluta di ogni società. È da lì che si sviluppa la fidelizzazione del tifoso, che si stimolano i consumi con ricadute positive sull’area commerciale dei club». Ma la svolta si materializzerà davvero? Preziosi è scettico. «Il grande problema della Lega è che non siamo un sistema omogeneo. Gli interessi di un club divergono da quelli di un altro. Bisognerebbe che le grandi facciano un gesto di disponibilità per sviluppare i diritti collettivi, ma non credo lo faranno».

Calciatori Damiano Tommasi, presidente dell’Aic, vede il calcio da una prospettiva tutta diversa. Ecco perché si riconosce poco nelle logiche del business professate da Bogarelli. Semmai vorrebbe che siano canalizzate verso il campo da gioco: «Prima di tutto bisognerebbe sapere cosa si vende. In questi anni i diritti tv sono cresciuti ma si è messo in secondo piano l’aspetto sportivo. Al primo punto dell’agenda va posto il tema della qualità dello spettacolo che il calcio italiano propone. Solo se cresce, solo se arrivano i risultati si può dare sostanza al business».

Serie A e Infront: l’anomalia italiana dei diritti tv

Le altre leghe li vendono da sole, senza minimi

di MARCO IARIA (GASPORT 13-11-2014)

Quello di Infront è un caso unico nel panorama internazionale, almeno guardando alle leghe di riferimento in Europa. Il meccanismo del minimo garantito, o meglio della garanzia di risultato, funziona praticamente solo da noi, con Infront che per il prossimo triennio (2015-18) si è impegnata ad assicurare ricavi minimi da 980 milioni annui alla Serie A per la commercializzazione dei diritti televisivi. Cosa significa? C’è una lettera di patronage firmata dall’azionista di riferimento dell’advisor, il fondo d’investimento Bridgepoint: è una sorta di scialuppa di salvataggio per le società, nel caso in cui gli affari andassero male a tal punto da non raggiungere la soglia dei 980 milioni: in teoria sarebbe la stessa Infront a coprire la differenza tra le aspettative e gli incassi reali.

Fattore decisivo Questa tipologia di offerta è sempre stata determinante nella scelta dell’advisor della Lega: avendo quella garanzia di entrate minime le società, in particolare le medio-piccole, possono pianificare con più tranquillità i budget. La realtà è che a ogni ciclo di vendita il minimo garantito è stato abbondantemente superato, sempre. E i ricavi non hanno smesso di crescere: 965 milioni annui nel biennio 2010-12, 1 miliardo nel 2012-15 e per il prossimo triennio sono stati già incassati 1129 milioni tra pay tv ed estero con una stima finale di 1,2 miliardi. Rinegoziando il contratto (che durerà fino al 2021), la Lega ha ottenuto un abbassamento delle commissioni. Quest’anno Infront percepisce 40 milioni sul miliardo di venduto; dalla prossima stagione, ipotizzando 1,2 miliardi di ricavi, dovrebbe incassare 45-50 milioni: sarebbero stati 80 con il vecchio contratto visto che sopra il miliardo scattava una commissione marginale del 20%. Per alcune società è comunque troppo: in passato club come Juve, Roma e Napoli hanno messo in discussione la necessità stessa di avere un advisor che non sia un semplice consulente ma una sorta di garante finanziario.

All’estero La Spagna è l’unico grande Paese in cui i diritti sono venduti soggettivamente, anche se è in discussione una legge per il passaggio alla contrattazione collettiva a partire dal 2016-17. Per ora il Real, il Barcellona e le cenerentole della Liga cedono i diritti tv a un intermediario, la Mediapro, che poi si occupa di piazzarli ai broadcaster. Vige un sistema centralizzato, invece, in Premier e Bundesliga ma, a differenza della Serie A, la lega inglese e quella tedesca non si servono di un advisor alla Infront. Predispongono dei bandi, privilegiando la vendita per prodotto e non per piattaforma, magari si servono di qualche consulente ma senza chiedere minimi garantiti. In generale, il loro approccio al calcio business è completamente diverso dal nostro: si sforzano di esplorare nuove fonti di ricavi, si sporcano le mani, non dipendono finanziariamente da un ente terzo.

 

Bravo, bravo, ma Marco Iaria non affonda mai il colpo.

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Non solo scudetto

Juve e Roma a caccia di club in Portogallo

PAESE ATTRAENTE A Lisbona non ci sono limiti su extracomunitari con tasse e costi più bassi

ESEMPI LIMITATI L’Udinese possiede Granada e Watford. La Fiorentina in India

di GIANLUCA ODDENNINO (LA STAMPA 17-11-2014)

Dove c’è un duello, c’è Juve-Roma. Non solo in campo, con le due squadre pronte a riprendere la lotta scudetto dopo la sosta di campionato, ma anche e soprattutto fuori. Nel vero senso del termine, ovvero fuori dall’Italia e fuori dalle classiche logiche di mercato. Bianconeri e giallorossi, infatti, sono pronti ad alzare il livello dello scontro nelle comuni strategie di rinforzo. Questa volta non ci sono giocatori come Iturbe, Manolas o Nainggolan a scatenare la sfida infinita tra inserimenti, bluff e aste, ma direttamente club stranieri. Da acquistare a poi gestire direttamente per migliorare affari e business. E ovviamente battere la rivale di sempre, anticipando quella che sta diventando una tendenza consolidata a livello internazionale e che in Italia finora ha visto muoversi solo poche società. Dalla lungimirante Udinese (che ha comprato ben due club: Granada in Spagna e Watford in Inghilterra) passando per i profili più bassi di Parma (gli sloveni del Nova Gorica) e Genoa (Preziosi mantiene ancora una percentuale nel Lugano), mentre la Fiorentina ha scommesso la scorsa estate sull’esotica India con il Pune e il Napoli non ha concluso l’affare Leyton Orient.

Le grandi manovre per portare Juve e Roma a costruirsi una propria base estera, dove far crescere giovani, inserire extracomunitari a volontà e fare plusvalenze con «parti terze», stanno proseguendo da tempo e ora sono pronte a concretizzarsi nell’atteso sbarco in Europa. A Torino e nella Capitale i dossier parlano di una sola destinazione: il Portogallo. Una nazione dove è poco costoso e più facile comprarsi un club per trasformarlo in un proprio satellite. La Roma ha messo gli occhi sul Portimoense, che milita nella seconda divisione portoghese, mentre la Juve ragiona sul più noto (ma in cattive acque) Boavista. Gli studi proseguono, ma l’idea è fattibile e soprattutto aprirebbe scenari inediti a questi livelli. Perché a muoversi sono due «top club» che militano in Champions e vogliono allargare il proprio raggio d’azione, dopo aver sperimentato collaborazioni e partnership di ogni tipo e in ogni luogo. I bianconeri in questi anni hanno stretto alleanze di mercato in Francia (Evian), Olanda (Den Bosch), Inghilterra (Middlesbrough e Norwich), Germania (Francoforte) e Spagna (Valladolid e Osasuna), ma ora vogliono avere una squadra tutta loro per essere ancora più competitivi.

Stessa filosofia che sta animando la Roma, in una nazione dove i fondi d’investimento sono legalizzati, la tassazione sugli ingaggi è limitata, esistono le seconde squadre e si può tesserare un illimitato numero di extracomunitari. I giallorossi, che da poco hanno inserito nel Cda l’ex calciatrice americana Mia Hamm, hanno già intavolato rapporti diretti in Australia, Canada e Brasile con accademie proprie o attraverso ex romanisti (Doni ed Emerson rispettivamente con Bonfim Paulista e Fragata), mentre due soci del presidente Pallotta sono pronti a far nascere due società satellite a Los Angeles entro il 2017. Strategie globali che si intrecciano nella lotta quotidiana per la supremazia in serie A: Juve-Roma non finisce proprio mai e ora non ha più limiti.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Affondi d'investimento

Tevez e Mascherano arrivarono in Europa attraverso una terza parte presente nell'accordo.

Nati in Portogallo, proliferati in Sudamerica, i Fondi dominano nell'Est Europa e in Spagna. Ma

pure in Italia ci sono calciatori della Doyen Sport. Pronti a entrare dietro le quinte del mercato?

di MAURIZIO VARRIALE (GUERIN SPORTIVO | DICEMBRE 2014)

Dopo il razzismo, l’introduzione della tecnologia e le cattive gestioni economiche, ora sono i fondi di investimento a finire sotto la lente di ingrandimento del mondo del calcio. Il fenomeno è in costante ascesa, così la Fifa, e soprattutto la Uefa, si stanno mobilitando per cercare di limitarne il potere. Si tratta di società che fungono da salvadanaio e nelle quali più soggetti possono investire per ottenere un guadagno. Il ricavo lo si ottiene specialmente vendendo giocatori di cui i fondi posseggono una parte o la totalità dei diritti economici. Di fatto, è come avere a che fare con una società calcistica, con la differenza che per vedere in campo i propri assistiti serve un vero club che li faccia giocare. La pratica, che erroneamente viene fatta risalire al Sud America, nasce in Portogallo e ha cominciato ad allargarsi a macchia d’olio in Europa. Il rischio, secondo i vertici del calcio mondiale ed europeo, è che venga inficiata l’etica e la correttezza delle partite e la gestione del calciomercato, sempre più assimilabile a una tratta di giocatori. Ai moniti, però, quasi mai fanno seguito le misure necessarie ad arginare il fenomeno.

Il terzo soggetto

Un fondo di investimento rientra così nelle cosiddette Third Party Ownership (TPO), che contemplano la presenza di un soggetto terzo nell’acquisto o nella gestione di un tesserato. I casi più eclatanti sono stati quelli di Carlos Tevez e Javier Mascherano, che nel 2006 si trasferirono dal Corinthians al West Ham. Il loro approdo in una società medio-piccola suscitò grande scalpore, ancor di più perché in tanti subodorarono qualcosa di strano. Di bizzarro c’era che i due giocatori non appartenevano al club brasiliano, bensì ai fondi di Kia Joorabchian, uno degli agenti più potenti al mondo, che si servì dei londinesi solo per spostare i giocatori in Europa per aumentarne fama e valore. L’esperimento funzionò benissimo, perché i due argentini approdarono l’anno successivo al Manchester United e al Liverpool. La Federcalcio inglese, invece, storse il naso, multò di 5 milioni il West Ham per aver intrattenuto rapporti con una TPO ed eresse barriere ancora più alte contro le terze parti.

Per capire la dimensione attuale del fenomeno, basta pensare che solamente in Europa sono 1.100 i giocatori su cui le TPO hanno messo le mani e che il loro giro di affari si attesta su 1,1 miliardi di euro, cioè il 5,7% del totale del mercato del Vecchio Continente (dati Kpmg).

I tipi di multiproprietà

Le TPO funzionano essenzialmente in tre modalità. La prima, riguarda il finanziamento di un club che necessita di liquidità, in cambio di una percentuale sui diritti di uno o più giocatori. Di solito, l’egida del fondo sulla società calcistica varia tra il 10% e il 40% del parco tesserati. La seconda, consiste nel sostenere un club nell’acquisto di un giocatore, diventando poi proprietario di una parte del cartellino dello stesso. In questo caso difficilmente la quota eccede il 50%. La terza, è diffusa soprattutto in Sud America e si utilizza quando un club garantisce una percentuale sulla futura vendita di un giocatore (di solito giovane) a quei soggetti che a suo tempo lo hanno reclutato. A beneficiarne, quindi, oltre al fondo stesso possono essere gli agenti, i familiari o lo stesso calciatore e il loro guadagno si aggira fra il 10% e il 20% della somma del trasferimento. Ognuna di queste tre casistiche prevede pro e (soprattutto) contro. Non mancano casi in cui terze parti abbiano applicato tassi da usura per la restituzione dei finanziamenti. O ancora, club che vendono alle TPO una percentuale dei propri calciatori per poi modificare artatamente il loro valore a bilancio e aggiustare conti non in regola.

Il crocevia Portogallo

Nel folto partito di quanti non vedono di buon occhio i fondi c’è Pippo Russo, autore del libro “Gol di rapina”, una ricchissima e doviziosa raccolta di aneddoti sul tema: «I fondi sono un rischio, perché comportano la perdita di autonomia del calcio e in particolare dei club nel decidere le proprie politiche. Si crea un meccanismo per il quale il fondo risulta socio occulto, visto che il club diventa debitore insolvente». Il risultato finale, così, è che i calciatori non sono più di proprietà dei club, ma dei fondi, che per guadagnarci devono movimentare schizofrenicamente il mercato, trasferendo i propri assistiti ogni anno. Il primo fondo viene concepito in Portogallo nel 2002. Si tratta del First Portoguese Football Players Fund e tra i calciatori controllati figurava addirittura Cristiano Ronaldo, il cui 35% faceva capo proprio a investitori privati. Non poteva essere altri che il Paese lusitano la culla di questa nuova usanza. Avamposto perfetto, per tradizioni culturali e posizione geografica, per l’arrivo di tanti giocatori sudamericani, soprattutto i brasiliani che sono tra i più richiesti dai fondi. Si stima che oggi il 90% del mercato verdeoro sia gestito proprio da terze parti. Una pratica tanto diffusa da essere ritenuta ancestrale da Sabatino Durante, agente Fifa, che passa buona parte dell’anno in Sud America.«L’origine dei fondi è essenzialmente di sostentamento per il calcio brasiliano e più in generale per quello sudamericano» risponde da San Paolo. «È sempre stato così e senza questa pratica il calcio qui sarebbe già morto. I fondi di investimento sono solo una parte del problema. Il pericolo maggiore è che talvolta si arrivi a un controllo finanche politico dei club e delle stesse Federazioni, che diventano succubi dei fondi».

L’apice nell’Est Europa

L’influenza dei fondi in Portogallo si attesta sul 30%, ma anche in altre nazioni calcisticamente evolute come la Spagna il coinvolgimento è sempre maggiore (oggi 8%). Atlético Madrid e Siviglia, ad esempio, sono solite imbastire proprio questo tipo di affari. In Europa, i picchi maggiori si raggiungono nei Paesi dell’Est, dove le TPO toccano quote del 40%. E in Italia? Ufficialmente da noi è vietato negoziare con terze parti, ma di fatto non è così. A maggio il Doyen Sports, uno dei principali fondi operanti nel calcio, si affidò al Sole24Ore per annunciare che sarebbe sceso in campo in Italia con un investimento di 200 milioni. Da allora il silenzio più totale, anche verso il Guerin Sportivo che ha provato invano a mettersi in contatto. Lo sbarco dei fondi in Serie A è certamente avvenuto. Alvaro Morata e Felipe Anderson (nonché Ruben Perez, in prestito al Torino dall’Atlético Madrid) fanno parte proprio della scuderia di Doyen. «Questo non vuole dire che il fondo detenga ancora una quota dei diritti sui giocatori» spiega Pippo Russo. «Doyen, e così anche gli altri fondi, si stanno evolvendo, cercando di sfruttare sempre più i diritti di immagine dei calciatori. Tentano di farli diventare delle superstar. Non è un caso che l’affare Neymar sia diventato tanto nebuloso nel passaggio dal Santos al Barcellona proprio a causa dei diritti di immagine, detenuti da Doyen e pagati a peso d’oro dai catalani, che invece hanno investito poco (circa 17 milioni, ndr) per il cartellino dell’asso brasiliano».

Lo sbarco in Italia

Lo sbarco nel nostro campionato dei fondi rappresenta un grande fallimento secondo Pietro Lo Monaco, oggi presidente del Messina, ma ai tempi del Catania tutto argentino spesso in contatto con le terze parti: «La questione dei fondi dimostra tutta l’incapacità della classe dirigente italiana. Le fonti di guadagno a disposizione del calcio sono enormi. Le tv riversano ogni anno un miliardo di euro ai club, ma sono tutte risorse che vengono sprecate ed erose nel breve periodo. Adesso che c’è bisogno di trovare nuovi finanziamenti si è aperta la porta ai fondi. Ma il loro intervento non genererà alcun circolo virtuoso, bensì servirà solo per tirare avanti un altro po’».

Anche l’Inghilterra ha vietato le TPO, ma è una proibizione fine a se stessa. L’esempio è il Manchester City, che in estate ha comprato Mangala per 40 milioni. Il giocatore era gestito da due fondi e il City per aggirare il vincolo della Federazione ha versato i soldi al Porto, che a sua volta ha poi girato la percentuale pattuita agli investitori privati. «Mi sono trovato tante volte ad avere a che fare con privati che gestivano una quota dei giocatori» continua Lo Monaco. «La trattativa non cambia granché, dato che ci si rapporta sempre con il club. Si acquistano i diritti federativi e non quelli economici. Sarà poi cura della società d’origine versare alla terza parte la percentuale concordata». In realtà, però, le ingerenze delle terze parti sono enormi, capaci talvolta di far saltare affari già definiti o, di contro, di costringere il club a cedere il giocatore. Lotito andò su tutte le furie quando il fondo Doyen non riuscì a trovare l’accordo col Santos per il trasferimento a Roma di Felipe Anderson, concretizzatosi poi solo due estati fa. Talvolta, infatti, si innescano beghe e persino battaglie legali tra il fondo e il club. L’ultimo caso eclatante è stato quello di Marcos Rojo, che ha innescato lo scontro tra Sporting Lisbona e Doyen, proprietario del 75% dei diritti economici del difensore. Lo United non voleva sborsare i 20 milioni chiesti dai portoghesi e si faceva forte del rapporto privilegiato con il fondo per spuntare uno sconto. Alla fine, per non allungare oltremodo la disputa, gli inglesi sono andati incontro alla richiesta avanzata dai lusitani, che dal canto loro hanno incassato appena 5 milioni dal trasferimento. I tre quarti sono infatti finiti nelle casse di Doyen.

Sede nei paradisi fiscali

Le caratteristiche dei fondi sono principalmente tre: non acquistare quote di giocatori oltre i 25 anni, sede legale in paradisi fiscali e l’assoluto riserbo sugli investitori. «Si sa molto poco della provenienza dei denari di questi fondi» conferma sempre Pippo Russo. «La Media Sports Investment di Joorabchian potrebbe essere foraggiata da oligarchi russi, il Doyen beneficiare di investimenti di alcuni magnati turchi. Ma dietro potrebbe esserci davvero chiunque». Di certo, c’è che i grandi agenti come Jorge Mendes, Pini Zahavi o lo stesso Joorabchian evitano di impegnare propri soldi, dal momento che da tutto ciò traggono solo profitto. Proprio la figura degli agenti ricopre un’importanza non secondaria nella vicenda. I più importanti sono infatti organici ai fondi, di cui possono diventare anche gestori. Resta però la grande massa di agenti che rimane tagliata fuori, perché il loro numero è nettamente maggiore di quello di cui necessitano i fondi. Tra le due fazioni, quindi, si innesta uno scontro che vede uscire sconfitti gli esclusi, che si scontrano con attori enormemente più forti.

Condanna della Fifa

Contro i fondi si schierò nel 2007 esplicitamente la Fifa che, con l’articolo 18bis del regolamento sui trasferimenti dei giocatori, diffidava i club dal negoziare con alcuna altra parte che avesse l’abilità di influenzare la trattativa, la loro politica o le stesse prestazioni della squadra. Un divieto che non è servito, dato che i fondi continuano a proliferare, mentre alcuni club se ne sono addirittura creati uno personale per aggirare il veto. È il caso delle tre principali squadre portoghesi Benfica, Porto e Sporting Lisbona, spettacolo davanti al quale la Fifa assiste impotente. «Debellare il fenomeno sarà quasi impossibile» commenta Sabatino Durante. «Servirà invece una regolamentazione che permetta di convivere con essi. Questa è gente che ha soldi e conoscenze. Bussano alle porte dei principali club europei. Sono in grado di portare sponsor importanti. Bisogna però capire bene se l’unico interesse è speculare oppure far crescere un progetto sportivo condiviso».

I club di sponda

I fondi sono l’evoluzione delle cosiddette triangolazioni argentine, i cui echi sono giunti anche in Italia per i casi relativi a Lavezzi e ad Andujar. Il funzionamento consisteva nel far transitare il giocatore in un club “cartiera”, situato in un Paese dalla tassazione assai favorevole, al fine di pagare meno tasse sul trasferimento. Il club prestanome, in cui il calciatore non giocava nemmeno un minuto, veniva poi ricompensato con una commissione. In Uruguay e Cile non mancano gli esempi e pure lo svizzero Locarno servì a tale scopo quando Gonzalo Higuain passò dal River Plate al Real Madrid. La nuova frontiera è in linea con questo andazzo generale. I fondi cominciano a comprare squadre di seconda o terza divisione in giro per il mondo, molto spesso a prezzi stracciati, con l’unico intento di continuare a detenere “legalmente” i diritti sportivi dei giocatori e movimentare a proprio piacimento il mercato. Cosa accadrebbe se, ad esempio, un giovane fenomeno brasiliano venisse acquistato da uno di questi club detenuti da un fondo e poi dato in prestito per 2 o 3 anni a una big del calcio europeo? Con ogni probabilità non ci sarebbe regolamento in grado di vietarlo. Ecco perché la battaglia, o presunta tale, di Fifa e Uefa pare già persa in partenza.

Modificato da Ghost Dog

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Joan, Mendes, Azerbaiyán y los fondos

por JOSE FÉLIX DÍAZ (MARCA 16-11-2014)

Azerbaiyán, fondos de inversión, negocio y dinero. Esas fueron las claves del encuentro más comentado de los últimos días y que tuvo lugar en Madrid entre dos de los personajes más influyentes del mundo del fútbol.

Jorge Mendes y Joan Laporta son amigos desde los tiempos en los que el segundo de ellos era presidente del Barcelona y el primero, un incipiente agente que apuntaba muy alto. Ahora uno es el agente más poderoso y el otro un expresidente con ganas de serlo de nuevo y, por ahora, un hombre de negocios, una vez que sepultó su pasado político.

Laporta y Mendes suelen hablar a menudo. No han interrumpido el diálogo que iniciaron una década atrás. En la actualidad y de manera paralela a su papel de agente, Jorge da forma y es la cabeza visible del fondo Quality Sport, que es junto a Doyen Sport el que domina el escenario futbolístico.

El expresidente azulgrana llegó con una oferta bajo el brazo del fondo de Azerbaiyán, propuso que Quality Sports diera un paso más y ampliase capital con la presencia del dinero procedente del país caucásico. Pese a que FIFA y UEFA quieran terminar con los fondos, la realidad dice que su presencia es cada día más necesaria, especialmente como fuente de financiación de los clubes.

En el pasado jugadores como Eto’o, Messi, Cesc o Xavi visitaron Bakú, en un intento por parte de las autoridades de Azerbaiyán de acercarse al fútbol de élite. Ahora buscan participar del negocio y ser una parte activa, con un porcentaje de la propiedad de los jugadores de Quality Sports.

Laporta también puso sobre la mesa la posibilidad de que algunos de sus representados, especialmente Ronaldo, hagan una visita a Bakú, remunerada con medio millón de euros.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Uno come Tevez è cresciuto, inizialmente, su campi molto simili a questi, forse gli stessi.

Direi che certe situazioni lo hanno temprato.
 

Fútbol por plata
La violencia, las drogas o las armas son bienes comunes que los vecinos de
Ciudad Oculta gestionan con naturalidad. También cuando se visten de corto
para disputar sus famosos campeonatos de fútbol. En uno de los barrios más
peligrosos de Buenos Aires, la diversión no siempre está invitada a entrar
en la cancha. Se juega por dinero. Y por dinero se hace cualquier cosa.

Los torneos tienen sus propias reglas y entre ellas no está el control antidopaje. Los jugadores beben y se drogan
Los árbitros suelen ser ladrones o haber estado presos. Es la única forma de hacerse respetar entre los futbolistas
"Hay cierta hermosura dentro de este ambiente peligroso", sostiene un vecino. "He visto celebrar goles con disparos"

por NAHUEL GALLOTA (PANENKA #35 | NOVIEMBRE DE 2014)

Flores dice que hoy es el único día de la semana que se levantó temprano. "Mientras no jugamos, tomo mates con los muchachos y miramos los otros partidos. Al mediodía comemos un asado y después salen unas cervezas o unos vinitos. Hace más de 30 años que todos los domingos son iguales en el barrio. Pero la pasión por el fútbol sigue intacta. Somos muchos los que nos pasamos la semana esperando a que llegue el domingo para jugar a fútbol".
Flores es jugador y delegado del Excursio -como se llama su equipo-, que acaba de sumar puntos y pasar de ronda porque su primer rival no se presentó. Eligieron ese nombre por el Club Atlético Excursionistas, que milita en la Primera C del fútbol argentino. Resulta que una tarde, con el número 122, Flores ganó la quiniela clandestina que se juega en el barrio y salió corriendo hacia una tienda de deportes. Miraba la vidriera y sacaba cuentas: para el único juego de camisetas que le alcanzaba era el de Excursionistas. Y lo compró. Otro equipo del campeonato lo había reservado, pero Flores puso el total del importe y se lo llevó a su casa.
Eso que Flores dice que tanto le encanta está adentro de Ciudad Oculta, uno de los asentamientos más bravos de la Ciudad de Buenos Aires. Es una canchita cuadrada y de tierra. En el piso se pueden encontrar cartones de vino, cigarrillos, piedras, vidrios, bolsitas donde hubo marihuana y cocaína. En algunos sectores, el campo está todavía peor, por las marcas que dejaron los autos que entran y la pisan los días de lluvia. Aquí, donde la pelota pica para todos lados, es común que en el medio del partido aparezcan perros de la calle y que, para cortar camino, los vecinos, a veces en motos, pasen por los costados de la cancha. Más común todavía son las peleas; tanto, que es dificilísimo encontrar árbitros. Son muy pocos los que se atreven.
En Ciudad Oculta cada equipo tiene su propio sector. Excursio está cerquita de donde se patean uno de los tiros de esquina: pintaron un escudo del club y pusieron una tabla arriba de dos cajones de cerveza, para poder sentarse. A la izquierda de ellos paran Los Vagos. Más a la izquierda, La Esquina, que viste la camiseta de la selección argentina. Detrás del otro arco, pegada a una pared que recuerda a tres pibes que jugaban estos campeonatos y murieron a balazos en el barrio, esperan Los Tucus, con la camiseta de San Martín de Tucumán. Cada equipo tiene 'su lugar', donde los jugadores permanecen bebiendo y comiendo durante el día, esperando el turno para jugar. Los vecinos de los pisos más altos sacan sillas a los balcones y miran los partidos como si estuvieran en un palco. Desde distintas casillas suenan bien fuerte los equipos de música: a la vez, se puede escuchar cumbia, chamamé, la cachaca de los paraguayos y reggaetón. En medio de todo eso, hay un partido. O más que eso: los famosos campeonatos por plata de este barrio, donde muchos de los argentinos que hoy triunfan en Europa hicieron sus primeros pasos. Y sus primeros pesos.
Flores deja la conversación porque el encuentro que se estaba jugando entre La Esquina y el Barsa terminó empatado. Será la primera definición por penales del campeonato. Es el mediodía del domingo y ya comienza a sentirse el olor a comida, a fritura. Pero Flores no es el único que deja lo que estaba haciendo para acercarse hasta el área a ver los lanzamientos. Hacen lo mismo los niños, las madres con sus bebés, los viejos. Es ahí cuando empiezan las apuestas por plata, las que van por afuera del campeonato.

400 PESOS POR EQUIPO
Durante la última dictadura militar que sufrió el país, el gobierno de facto decidió, al igual que en otros barrios, construir una pared para tapar la pobreza ante los extranjeros que llegaban para vivir el Mundial de 1978. Desde ese momento, el barrio fue bautizado como Ciudad Oculta. Está a 30 minutos del centro de la Ciudad de Buenos Aires, y a 25 cuadras del estadio de Vélez. En los famosos campeonatos de Ciudad Oculta, cada equipo debe pagar 400 pesos de inscripción. Para sacar cuentas, un euro equivale a 10,7 pesos argentinos. Hoy, los equipos que participan son 16. De esos 6.400 pesos, hay que restar los 35 que se le paga a cada árbitro por partido y un 20% que va a los bolsillos del equipo que organiza el campeonato, que además de pagar una pelota para usar el próximo domingo, se debe encargar de pintar las líneas con cal, colocar las redes de los arcos, conseguir algunos recogepelotas, llevar un control de los amonestados y expulsados y quedarse hasta el final. Del total del dinero restante, un 80% irá para el campeón y el otro 20 para el subcampeón. En invierno, como anochece temprano y la 'canchita' no tiene luz, se juega hasta cuando la pelota se pueda ver. Ahí, el dinero se reparte entre los equipos que tenían chances de ser campeones. Se juega todos los domingos del año. Salvo el día de la madre y el día del padre.
Todo comienza los miércoles por la noche, cuando los delegados se reúnen para el sorteo. Ahí se definen los cruces y los horarios. El equipo que estrena un juego de camisetas tiene un premio: disputará el último de los partidos de la primera ronda. Que no es poco. Les permitirá, a sus jugadores, poder salir a bailar el sábado por la noche.
Todo es a eliminación directa. Son partidos de dos tiempos de 15 minutos, y si hay empate, se define por penales. Después del quinto, cada equipo elige a un jugador que patea hasta errar. Se juega de once y siempre debe haber tres veteranos en la cancha (jugadores mayores de 35 años). Si un futbolista recibe dos amarillas, debe salir. Si recibe la tarjeta roja, no juega los partidos restantes del día y durante la semana se evaluará una sanción. Hay penas fijas: ocho fechas para el que agreda a un rival y 15, para el que ataque a uno de los árbitros. Los futbolistas de los equipos que fueron eliminados, pueden jugar para los que siguen en carrera. O cambiarse de equipo para el domingo siguiente. A esos, se les conoce como camiseteros. Lo que no hay son controles antidopaje. Y menos mal: porque la gran mayoría de los jugadores bebe entre partido y partido. Algunos, también fuman marihuana, ahí, detrás de la línea, mientras esperan su turno. Siempre hay casos, los menos, de jugadores que aspiran cocaína antes del partido. O que dejan la cancha, consumen una línea y regresan al campo.

¡A COBRAR!
El '10' de Argentina patea, anota y el partido se define. El anterior penal había sido atajado por un arquero que lleva el buzo naranja de Iker Casillas.
"¡A cobrar!", dice Andrés, delegado y entrenador de La Esquina. Se va y vuelve con los billetes, y empieza a repartir. Este dinero no tiene nada que ver con el que obtendrán en caso de llegar a la final; es el que se reunió en las apuestas entre jugadores y vecinos.
"Siempre apuestan en nuestra contra porque nosotros somos del 'barrio' y la mayoría de los equipos, de la 'villa'. Hemos llegado a jugar por 12.000 pesos un partido", cuenta Andrés apenas termina de entregar los billetes.
En efecto, en Ciudad Oculta hay una disputa que, según algunos de sus vecinos, ya dejó más de 50 muertes: la villa y el barrio (la cancha está en el primer sector). Un pasillo es el límite que divide ambos sectores. Las bandas de cada territorio no pueden cruzar hacia el otro lado. Y a los vecinos comunes que lo hacen, se los mira con recelo. Por eso, a La Esquina, el equipo de Andrés, todo el mundo le apuesta en contra. Como a los equipos de paraguayos, que hoy no se inscribieron. No se les quiere porque a sus narcos se les acusa de haber traído el paco a Ciudad Oculta, la versión local del crack. "Se tuvo que poner un límite porque la rivalidad era muy grande. Había comenzado por una banda que asaltaba a los vecinos", cuenta Javier, conductor de bus de la línea 107, 24 años viviendo en el barrio. "He visto a pibes de 14 años con escopetas, corriendo a tiros a los de la otra banda. Estaban locos, endiablados. Disparaban y se reían". Javier confiesa que ya no juega más en los campeonatos por plata. Porque después, durante la semana, se terminaba peleando todos los días por los partidos del domingo. Que por eso, los árbitros tienen que ser ladrones o haber estado presos. Es la única forma de que los jugadores los respeten. Pero no deja de venir. Como espectador. Lo más loco que vio en esta 'canchita' fue en un partido entre paraguayos y argentinos. "Los argentinos hacían un gol y lo festejaban a tiros. Cuando convertían los paraguas, desde el otro arco también disparaban. Como diciendo 'miren que nosotros también estamos armados'".

¿Y por qué te gusta venir si todo parece tan peligroso?
Es que esto es hermoso. Yo no lo cambio por nada. Levantarse, caminar por el barrio, mirar el campeonato, pasear por la feria que está a la vuelta de la cancha, comprarse algo, comer, tomar algo con los amigos, hablar del torneo, apostar...

La 'canchita' está llena de historias. Henry Arroyo es colombiano y tiene una de ellas. Dice que si la cuenta, no se la van a creer. A mediados de los 80, cuando atajaba en un club de Cali, un colega y compatriota que se sentía solo le envió un pasaje a Australia y unos 100 dólares. Lo esperaban para una prueba. Una de las escalas fue en Buenos Aires. Como era su primera vez por aire, no comió, de los nervios, y los labios comenzaron a secársele. Eso, más que fuera colombiano, llamó la atención a la azafata, que llamó a la policía y se lo llevaron a una comisaría. Allí, cuando hacía sus necesidades, buscaron droga en los excrementos. Cuando se disiparon las dudas le pidieron una dirección en Buenos Aires. "¿Cómo voy a dar una dirección si no sé dónde estoy?", les respondió.
Un preso que escuchaba la conversación lo llamó y le aconsejó dar su dirección. Avisó en su casa que debían recibirlo y le dio monedas e instrucciones para viajar. Así, llegó a Ciudad Oculta. Vivía con la familia del preso y comenzó a ganar sus primeros pesos como portero en los campeonatos de los domingos. Vivía de eso. Después, se fue a un club del ascenso. Hoy vive al lado de los vestuarios del campo, que se encarga de cuidar. Y en la 'canchita' para niños entrena a jóvenes de 14 a 16 años. El hombre que conoció en la comisaría moriría, años después, en un tiroteo con la policía.
Henry cuenta su historia detrás de uno de los arcos. Le avisan que alguien quiere hablar con él y le pasan un teléfono celular. Es un vecino del barrio que llama desde la cárcel.
En la cancha, ya se juegan los partidos que definen quién pasará a las semifinales. Las piernas cada vez se ponen más fuertes. En el choque anterior, un jugador le puso una patada a un rival, y el árbitro le gritó: "Si sos tan malo, demostralo afuera; no adentro del campo". El jugador respondió algo que solo escuchó el colegiado, que se le acercó y le dio una patada en la cara, con sus botines con tapones. Le hizo un tajo en la pera. Todo continuó como si nada. En el de ahora, que está empatado, el árbitro, otro árbitro, cuando se cansa de las patadas y amagues de trompadas, frena el partido y grita: "Si tanto se la aguantan y tienen muchas ganas de pelear, corto el partido ahora mismo y nos peleamos todos".
En el próximo, los problemas se darán de la línea hacia afuera. A un metro de uno de los córners, una gorda empieza a gritar y todos los que bebían mientras miraban los partidos empiezan a golpearla. Al parecer, según lo que llega aquí, del otro lado de la cancha apareció un vecino que había robado a otro vecino. El partido se interrumpirá por primera vez. Pero luego, dos veces más, ocurrirá lo mismo. El alcohol y las drogas comienzan a hacer su efecto y varios se quieren pelear con cualquiera. Hay dos gordos que se meten a la cancha, se sacan las camisetas y se desafían. Pero hay mucha gente en el medio, separando, calmando las aguas y afortunadamente la cosa no pasa a mayores.

EN PACES O A TROMPADAS
La Esquina espera en su lugar el término del partido que definirá su rival en la final. Andrés, el delegado y entrenador, recuerda que el nombre es una herencia del equipo que había formado su padre en los principios del fútbol de Ciudad Oculta. "Le pusieron así porque vivían borrachos en una esquina", asegura mientras junta 50 pesos que le reclama otro delegado y que aún debía del domingo pasado.
En los últimos años, junto a su hermano, que también juega, decidieron armar un equipo y llamarlo igual. Primero, vestían la camiseta del Real Madrid. Luego, la suplente de Argentina. En junio estrenaron la celeste y blanca. Ahorraron lo obtenido por campeonatos ganados y compraron el juego completo. Con medias y pantalón. Andrés dejó de jugar porque sufre de diabetes, y recibe una pensión ya que no puede trabajar. Sus jugadores no solo son de Ciudad Oculta. Tiene pibes que invitó al equipo luego de verlos en campeonatos interbarriales. Durante la semana, alquilan canchas y se entrenan para el domingo. Ya son un grupo de amigos que cada verano se van tres o cuatro días de vacaciones. Y los días que llueve y no hay fútbol, se juntan igual. Después de cada campeonato comen un asado. Con la plata que ganaron con las apuestas. En el último partido, que ganaron por dos goles a cero, me señaló al '10' para que observara su juego. Clavó un golazo de tiro libre y otro de volea, desde 30 metros.
El '10' se llama Alejandro y es del barrio. Trabaja como empleado de limpieza en un laboratorio. De 6.00 a 14.00. Por ese trabajo, tuvo que dejar el fútbol. Tiene 23 años y pasó por las divisiones inferiores de clubes de ascenso. "Los otros equipos me ofrecen plata para que juegue para ellos. Pero yo tengo trabajo, no la necesito. Juego si me dan ganas. Pero es raro que vista otra camiseta que no sea la de La Esquina", concede tras la exhibición. La última vez que sí lo hizo fue por la propuesta de los santiagueños que viven en el barrio. Le propusieron viajar a Santiago del Estero. Que irían a visitar a sus familiares y a jugar desafíos y campeonatos, todo por plata. Que él no tendría que poner un solo peso; que le pagaban todo: el pasaje, la comida, el alojamiento. Después de un día de viaje, llegaron a su destino. Jugaron un partido por 12.000 pesos, y el campeonato, por 20.000. "La plata es un incentivo, pero yo al menos vengo porque amo jugar a la pelota. La plata la gano trabajando". Un caso atípico.
El partido termina. La final será Los Vagos contra La Esquina. Pero surge el primer problema. El único árbitro disponible está borracho. Y el delegado de Los Tucus, que le reclamaba los 50 pesos a Andrés y que los recibió, está igual de ebrio y no recuerda lo que ocurrió hace diez minutos, y grita que quiere la plata, como si no se la hubieran dado. E invita a pelear a uno de La Esquina, justo al que cuando hizo de árbitro le dio una patada en la cara a un jugador. Y otra vez lo de siempre: un rejunte de gente separando y dos a los gritos, amenazándose. El jugador, un canoso, de los veteranos, le pide a un auxiliar que le traiga un arma y empieza a amenazarlo con que en un rato le disparará. El delegado, gordo, también veterano, se quita la remera y corre para ir a pegarle, pero sus compañeros lo frenan. Y el viejo que sigue con que tiene una bala "con su nombre". En el medio de todo esto, nadie quiere hacer de árbitro. Saben que será un partido caliente y que tienen mucho que perder y poco que ganar. Hay 2.600 pesos en juego. Más todo lo que se apueste por afuera en una final como esta, que es mucho. Por eso, después de 20 minutos de tensión, los delegados de los equipos se ponen de acuerdo: reparten el dinero a partes iguales y no hay final. En un minuto, la cancha se desaloja. Todos a por un trago. El auxiliar, por suerte, aún no había vuelto con el arma.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Il divorzio s’infiamma:

Nike avvia un arbitrato contro la Juventus

Dal caso terza stella alle presunte violazioni del contratto lamentate

dallo sponsor. Il club «farà valere le sue ragioni»: da luglio con Adidas

di MARCO IARIA (GASPORT 14-11-2014)

Il divorzio era annunciato, sulla scia di dissidi nemmeno troppo celati. Ma adesso tra Juventus e Nike volano gli stracci. Lo sponsor tecnico, attraverso la sussidiaria Nike European Operations Netherlands, ha promosso l’avvio di un arbitrato contro il club bianconero «per asserite violazioni del contratto di sponsorizzazione del 16 novembre 2001». Un matrimonio lunghissimo che si concluderà il 30 giugno del prossimo anno, alla scadenza naturale, quando la Juve passerà a Adidas.

Comunicazione Per ragioni di Borsa è stata la stessa società guidata da Agnelli a dare comunicazione della controversia nella trimestrale depositata ieri spiegando che «allo stato non sono stati forniti concreti elementi di prova a supporto delle ragioni di Nike» e che «Juventus si costituirà nel suddetto giudizio arbitrale facendo valere le proprie ragioni». Questo significa che siamo all’alba di un vero e proprio scontro legale nel quale l’una e l’altra se le daranno di santa ragione, tirando fuori questa o quella inadempienza contrattuale.

Casus belli Gli screzi tra Juve e Nike nascono nel 2012, in occasione del primo scudetto dell’era Conte: il 28° secondo i conteggi ufficiali post-Calciopoli, il 30° per la società che medita di apporre la terza stella sulle maglie. Alla fine non se ne fa nulla non solo per il diniego della Figc ma anche per le perplessità dello sponsor tecnico che storce il naso pure per la decisione della società di inserire la scritta «30 sul campo». La tensione è massima. La Juve non accetta che il fornitore entri nel merito delle scelte aziendali e sospetta che lo faccia per non scontentare l’altra squadra sotto contratto (l’Inter); Nike si spazientisce per quelle modifiche sopraggiunte in corso d’opera, visto che l’ingegnerizzazione delle maglie parte 18 mesi prima del varo ufficiale.

Divorzio I rapporti sono irrecuperabili e la conferma arriva nell’ottobre 2013: un anno e mezzo prima della scadenza la Juve annuncia la firma con Adidas per sei stagioni a partire dal 1° luglio 2015. Compensi raddoppiati rispetto a Nike: da 16,5 milioni annui (tra fisso, royalties e fornitura) a 31,5. È il mercato, bellezza. Ma Nike, impegnata nell’eterna sfida coi rivali tedeschi, non la manda giù. Ed eccoci all’arbitrato, i cui esiti sono imprevedibili.

Trimestrale Ieri il cda della Juve ha approvato la trimestrale 2014-15, i cui dati non sono molto indicativi vista la stagionalità del periodo, assorbito dalla preparazione estiva: perdita di 28,6 milioni, una decina in più dei primi tre mesi dell’anno scorso. I ricavi crescono da 42 a 48 milioni grazie anche al milione e mezzo in più garantito dalla tournée in Oriente, ma si registrano minori entrate dal calciomercato (plusvalenze da 13 a 5 milioni) e il costo del personale aumenta di 5 milioni in virtù dei maggiori stipendi per i calciatori in prestito e degli incentivi all’esodo. Ancora su l’indebitamento finanziario netto: in tre mesi 11 milioni in più, a quota 217, per gli esborsi sul mercato e i flussi dei prestiti. Gli amministratori confermano le previsioni di una chiusura del bilancio in perdita e l’obiettivo «di consolidare il trend di miglioramento» degli ultimi tre anni.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Lo so, il sedicente giornalista è notissimo come scatophaga stercoraria. In questi casi, forse ubriaco, ha scoperto m-e-r-d-a al di fuori del sentiero antijuventino.

 

IL FATTO QUOTIDIANO 14-11-2014

wakYOz5S.jpg

IL FATTO QUOTIDIANO 16-11-2014

7iGYHU7J.jpg

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
L'ESPRESSO 27-11-2014

aOdEgw5r.jpg9HzILPyl.jpgEJVm2BqI.jpghd2HsVA4.jpg

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
La malinconia di Parma

dall’Europa all’ultimo posto

“Facciamo la fine di Siena”

Crisi tecnica e di liquidità: si teme il fallimento.

Una città in decadenza si specchia nel calcio

di FRANCESCO SAVERIO INTORCIA (LA REPUBBLICA 25-11-2014)

Incatenata fra nebbia e paura, in un’atmosfera degna dei romanzi del commissario Soneri, Parma si è risvegliata muta, in fondo al suo baratro calcistico. Una squadra ultima e da penalizzare. Una società in crisi di liquidità. Un allenatore, Roberto Donadoni, che resta al timone dopo 10 sconfitte in 12 giornate e domani guiderà la ciurma in ritiro a Roma, pensando al Palermo. In città, la B fa una paura relativa, lo spettro vero si chiama fallimento. Alle radio locali, telefonate disperate: «Altro che retrocessione, qui facciamo la fine del Siena». È lo scenario più drastico: ripartire dai dilettanti, dopo 101 anni di storia, 25 passati fra i grandi. Il presidente Tommaso Ghirardi rifiuta di considerarlo: «Entro febbraio usciremo da questa situazione, chiedo scusa ai tifosi e alla squadra, ma non scappo, non l’ho mai fatto», ha detto venerdì. Donadoni ai suoi ha chiesto un miracolo: «Ognuno di noi deve ragionare come se fosse il proprietario del Parma, adesso».

C’è una quiete irreale al centro d’allenamento di Collecchio, dopo il crollo interno con l’Empoli. Non un tifoso a protestare, solo il rumore delle foglie che cadono arrugginite. «Ma questa è una città civile, si fischia allo stadio e si va a casa, la violenza non serve a nulla», spiegheranno, lucidi, alcuni tifosi in zona Tardini. In palestra, intanto, l’ad Pietro Leonardi, andato via all’intervallo domenica, stringe un patto con i giocatori: «Da oggi comincia un percorso nuovo, 26 partite, 78 punti. Daremo tutto per l’impresa, insieme: criminalizzare solo il tecnico sarebbe da vigliacchi. Chi fugge dai momenti negativi è poco uomo, e io non sono così».

Per cibarsi di malinconia, non serve scomodare i fasti menzogneri dell’era-Tanzi. Basta tornare a sei mesi fa: il Parma dava tre soldati a Cesare per il Brasile, conquistava l’Europa sul campo, la perdeva per un ritardo con l’Irpef. Sembrò una pena spietata, era un campanello. Ghirardi diede le dimissioni, le ritirò a fine estate, convinto dai tifosi. Gli stessi che non lo vogliono più. Sono stufi i Boys, l’ala calda: «Lui e Leonardi ci hanno preso in giro, la pazienza è finita, avevamo solo chiesto trasparenza: ci hanno garantito che era tutto a posto e ci hanno accusato di non aver protestato abbastanza per l’esclusione dalle coppe». Al Centro coordinamento, in via Minghetti — 46 club, 4mila tifosi — il presidente Angelo Manfredini è sconsolato: «La città vive una situazione imbarazzante. Sei mesi fa festeggiavamo l’Europa, ora non so se avremo un domani. Non siamo più tanto sicuri che l’esclusione dalle coppe fosse solo un’ingiustizia». A marzo, fra i tifosi, giravano le spillette “Paletta azzurro”, ora quelle sarcastiche “Sono senza licenza”. È una crisi societaria e sportiva. Scricchiola il modello di un club capace di fare anche 250 operazioni in un’estate, dotato fino all’anno scorso di due satelliti, Nova Gorica e Gubbio, ma che nel bilancio 2013, l’ultimo disponibile, ha visto lievitare costi (da 87,8 a 104,4 milioni) e decrescere il fatturato (da 101 a 83 milioni). Ha contenuto le perdite grazie alla cessione del marchio a Parma Fc Brand srl. Non ha pagato gli stipendi in tempo per la prima scadenza, deve mettersi in regola entro il 15 febbraio e intanto approvare il bilancio 2014. In campo, poi, le cessioni e la jella hanno smontato una macchina perfetta: partiti Amauri, Gargano, Parolo, Marchionni, si sono fermati Cassani, Paletta, Jorquera, Coda, Ghezzal e Biabiany, col cuore matto. A gennaio si cambierà ancora: «Siamo ultimi, non perderemmo granché», dice Leonardi.

Un’intera città decadente si specchia nel declino del calcio. Un ex sindaco di centrodestra arrestato per corruzione e peculato, una giunta decapitata dallo scandalo, un buco da 840 milioni. Un aeroporto che chiuderà se non lo comprano i cinesi, una stazione ferroviaria ignorata dall’Alta Velocità, e il Teatro Regio, tempio della lirica nei luoghi di Verdi e Toscanini, irrimediabilmente impoverito nel cartellone. Restano le note dell’Aida ad accompagnare i gialloblù sul campo, in questo cammino finora poco trionfale.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
SE IL CALCIO DEV’ESSERE SALVATO DAGLI SPONSOR...

I grandi contribuenti Fifa sono furiosi per il rapporto Garcia e minacciano reazioni

di FABIO LICARI (EXTRATIME 25-11-2014)

Ma tu pensa: saranno gli sponsor a salvare il calcio? O almeno a renderlo più pulito? Comunque sia, quello che succede alla Fifa in queste ore, soprattutto l’ultimo inaccettabile balletto sul rapporto Garcia relativo a Russia 2018 e Qatar 2022, ha fatto storcere il naso ai più importanti contribuenti del Mondiale (e quindi del calcio, e quindi della Fifa, e quindi di Blatter): Coca-Cola, Adidas, McDonalds, più Emirates e Sony.

Le bollicine di Atlanta valgono quasi 400 milioni di euro. Ai piani alti, le investigazioni interne sui Mondiali 2018 e 2022 sono state giudicate «deludenti». E un portavoce ha detto al Sunday Times: «Ci preoccupa tutto ciò che allontana dalla missione e dagli ideali della Coppa del Mondo». Anche perché, ideali a parte, i soldi in ballo sono tanti che neanche si possono contare. Gli hamburger più famosi del mondo hanno avvisato la Fifa attraverso una sorta di messaggio cifrato al Daily Mail: «Stiamo monitorando la situazione». I produttori dei palloni mondiali vogliono discutere del rapporto faccia a faccia con la Fifa (cioè Blatter). E ancora: la compagnia aerea di Dubai ha confermato di non voler sponsorizzare più la Fifa, mentre il gigante giapponese dell’elettronica sembra indirizzato verso la stessa scelta.

Se a Zurigo, purtroppo ormai è chiaro, la questione morale non esiste — troppo presi dal difendere un bunker nel quale tutto «si tiene», troppo intenti a spartirsi un potere mentre il cielo gli sta crollando attorno —, non è detto che la questione economica susciti altrettanta indifferenza. Sponsor e tv sono i capisaldi del potere Fifa e hanno bisogno l’uno dell’altro. Senza, addio al sistema.

Aspettando risposte, noi siamo sempre in attesa della pubblicazione del rapporto Garcia. Davvero era «tutto a posto salvo qualche irregolarità», come affermato dal comitato etico? Uno con il curriculum dello stesso Garcia avrebbe mai fatto appello senza prove in mano? Vorremmo solo capire, solo renderci conto se l’investigatore è un mitomane oppure se il presidente del comitato etico, tale Eckert, è un insabbiatore di professione. La Fifa deve questo atto di trasparenza al mondo. Nel frattempo dobbiamo fare il tifo per gli sponsor. Dio, non avremmo mai creduto di cadere così in basso.

Mazzette, Fifa e Mondiali

Ora c’è pure la testimone

Si infiamma lo scandalo sull’assegnazione di Russia 2018 e Qatar 2022

«Tre membri africani dell’Esecutivo corrotti con 1,2 milioni di euro»

«ERO PRESENTE QUANDO FURONO OFFERTI SOLDI A CHI VOTAVA LE SEDI DEI MONDIALI»

«BIN HAMMAM ERA IL NOSTRO LOBBISTA CHIAVE NEL PROCESSO PER QATAR 2022»

di FABIO LICARI (GASPORT 26-11-2014)

Ne avrà di cose da spiegare mister Eckert. Il più presto possibile. Altro che archiviazione. Perché adesso c’è anche il testimone che conferma quanto il superpoliziotto Michael Garcia ha dimostrato con le sue indagini. O meglio, «la» testimone: una donna che ha assistito a un tentativo di corruzione per Qatar 2022. Lo scandalo s’ingrossa ogni giorno. Quanto in alto arriverà?

RAPPORTO GARCIA Hans-Joachim Eckert è il presidente del comitato «etico» (virgolette obbligate) Fifa, chiamato a giudicare le investigazioni di Michael Garcia sui Mondiali 2018 e 2022. Dopo aver visionato e secretato le 350 pagine del rapporto Garcia – un anno di indagini senza guardare in faccia a nessuno, in stile molto Usa – Eckert dichiara il 13 novembre che «l’assegnazione di Russia 2018 e Qatar 2022 è stata corretta, al massimo qualche irregolarità amministrativa». Aggiungendo che per motivi legali «il rapporto non può essere pubblicato». Se pensava di chiudere così, con un volgare colpo di spugna, scandali e polemiche, Eckert s’è sbagliato. Passi per la furia di Garcia, comunque autore del rapporto, sbalordito dall’archiviazione e deciso a rivelare al mondo il contenuto delle indagini. Ma adesso c’è la testimone.

TESTIMONE OCULARE Phaedra Al-Majid, arabo-americana, è l’ex direttore della comunicazione di Qatar 2022, quindi non una che parla per sentito dire. Una dentro il sistema. In un’intervista alla «Folha» di San Paolo, il più importante quotidiano brasiliano, la Al-Majid rivela d’essere stata presente quando, in Angola, furono offerti 1,5 milioni di dollari (1,2 milioni di euro) a tre membri africani dell’Esecutivo Fifa che poi avrebbero votato le sedi dei Mondiali 2018, andato alla Russia, e 2022, assegnato al Qatar.

TRE AFRICANI SU QUATTRO? Tanto per essere chiari: tra i 24 membri votanti dell’Esecutivo c’erano 4 africani. Amos Adamu (Nigeria), caduto nella trappola di giornalisti britannici ai quali «vendeva» il suo voto, fu sospeso. Jacques Anouma (Costa d’Avorio), accusato anche lui, è stato assolto dalla Fifa. Issa Hayatou (Camerun) passa da un’accusa all’altra. E Hany Abo Rida (Egitto) avrebbe accompagnato Bin Hammam ai Caraibi per accaparrarsi quei voti. E c’è di più. Contrariamente a quanto sostenuto dalla Fifa e dal Qatar, dice la Al-Majid, uno dei protagonisti della corruzione sarebbe proprio Bin Hammam, scoperto sì a distribuire mazzette ma accusato di averlo fatto per sostenere la sua candidatura alla Fifa (contro Blatter alle elezioni 2011). «Era il nostro lobbista chiave, parte integrale del processo che ha portato a Qatar 2022», ha detto la donna che nel 2010 fu licenziata. «Mi accusavano di essere la fonte di qualunque rivelazione che appariva sulla stampa mondiale. Non capivano di non poter controllare i media mondiali come facevano con quelli arabi». La Al-Majid, da allora oggetto di minacce e intimidazioni, è anche uno dei testimoni cruciali delle indagini di Garcia, ex pm newyorchese, un poliziotto del genere «intoccabili», con un curriculum da film. E da Zurigo? Ancora niente. Solo un assordante silenzio.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Rifiutò il Bayern per andare in Malesia, poi un attacco di cuore in campo, la prigione a Singapore e un record: ha cambiato 25 squadre diverse, in 13 Paesi

Pfannenstiel, il calciatore morto tre volte che ha parato il mondo

di IVO ROMANO (AVVENIRE 26-11-2014)

È stato un bestseller, in Germania, il suo paese. E ora arriva anche l’edizione inglese, dal titolo eloquente, “The Unstoppable Keeper” (superflua, la traduzione), altro successo annunciato. Non proprio roba di tutti i giorni, per la biografia di un calciatore, a maggior ragione se il protagonista non ha quasi neppure sfiorato il grande calcio, talvolta rifiutato per quella mai nascosta voglia di viverlo da prim’attore, magari nelle retrovie del football, ma sempre in campo, lasciando ad altri la panchina.

E allora può succedere di rispondere «no, grazie» a un’offerta del Bayern Monaco, perché Oliver Kahn è un titolare troppo forte per sperare di scalzarlo, non resterebbe che fargli da perenne secondo, tenendo calda la panchina. Preferì andarsene a giocare in Malesia allora: scelta non da tutti. Scelta di un paio di decenni fa, per Lutz Pfannenstiel, portiere e giramondo, estremo difensore e avventuriero. Per un’intera carriera, non ha fatto che parare e girovagare, senza mai starci troppo a pensare su, da qualunque angolo del pianeta arrivasse l’offerta, qualunque fosse la busta paga promessa.

Un portiere, un pezzo di storia del calcio: c’è entrato dalla porta di servizio, perchè quella principale è riservata ai grandi, e lui lo è stato solo per voglia di girare il mondo, scrutare luoghi, vivere esperienze, normali o speciali, positive o negative, da dimenticare presto o da raccontare per una vita intera. Un po’ di numeri, quelli che lo hanno spinto nel Guinness dei Primati. Nessuno mai come lui: Pfannenstiel ha giocato in 25 squadre, 13 Paesi, in tutti i continenti, tutte le confederazioni calcistiche. Un viaggio lungo 20 anni, prima di fermarsi, e tornare a casa, in Germania, restando nel calcio, a Hoffenheim, dove lavora come allenatore dei giovani. Una lunga carriera la sua, vissuta come un’avventura. E ora raccontata in una biografia, che a suo dire «abbraccia il 20-30 per cento dell’intera storia». Gli inizi, da giovanissimo, in patria, al Bad Kotzting. Poi, la Malesia, a soli 20 anni, fino a chiudere ai Ramblers, in Namibia. In mezzo, un paio di decenni, fra avventure e disgrazie, colpi di testa e spaventi. Rare le soddisfazioni, se il termine di paragone sono i successi che davvero contano, nel mondo del calcio.

L’unica, grande e vera, è stata quella di aver vissuto la carriera proprio come la voleva. Anche se qualcosa per strada l’avrebbe evitata volentieri. Come quella volta, quando giocava nel Bradford, in Inghilterra, uno dei luoghi meno improbabili del suo girovagare: uno scontro di gioco, il crollo sull’erba, il cuore che si ferma per tre volte, fino al lieto fine: «Mi risvegliai tre ore più tardi in ospedale - racconta lui - e sette giorni dopo ero di nuovo in campo, anche se la mia fidanzata era incinta di sette mesi: sono stato un vero irresponsabile...».

Pochi minuti, un incubo. L’altro, ben più lungo, durato 101 giorni, quelli della sua carcerazione, a Singapore: era accusato di aver combinato partite, roba di scommesse illegali insomma. Se la cavò per insufficienza di prove. Un’esperienza dura, a dir poco: «Ne rimasi segnato. Quando ti accorgi che la normalità è svegliarti con una guardia che ti prende a pugni o che ti danno del cibo immangiabile, mentre il tuo compagno di cella s’è impiccato qualche settimana prima, vedi la vita in tutt’altro modo...». Lui l’ha vissuta a lungo da vagabondo del calcio, prima di tornare in patria. E poi ha deciso di raccontarla.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
«Riforme sbagliate. Un torneo

riserve per lanciare talenti»

Tommasi boccia le norme varate dalla Figc

«Questa non è la strada giusta per tutelare i vivai»

IL TETTO ALLE ROSE DÀ AI PRESIDENTI UN’ARMA IN PIÙ. EXTRACOMUNITARI? CURRICULUM BLANDO

di MARCO IARIA (GASPORT 26-11-2014)

Tetto alle rose con numero minimo di giocatori cresciuti nei vivai, fair play finanziario, stretta sui giovani extracomunitari. La Figc ha partorito una serie di riforme condivisibili, con le macchie del posto in più agli extra Ue dallo pseudo curriculum e dell’alleggerimento dei paletti per ineleggibilità e decadenza dalle cariche. Damiano Tommasi, presidente dell’Aic, boccia il pacchetto quasi senza appello.

Perché?

«Perché non rappresentano le priorità per lo sviluppo del calcio italiano. Serve una visione di ampio respiro, sui prossimi 5-10 anni, serve un progetto tecnico complessivo».

Sì ma le rose a 25 rendono il sistema più sostenibile. Avete detto di no per difendere, da sindacalisti, i posti di lavoro?

«Abbiamo detto di no perché così si darà la possibilità non più all’allenatore ma al presidente di lasciare fuori il 26°, il 27° giocatore. Così si sdoganano i fuori rosa. Non vorremmo che si ripetessero situazioni come quella che sta vivendo Puggioni al Chievo».

I tesserati in Serie A sono troppi, figli di un “fantacalcio” che ha messo in crisi diverse piazze.

«Il problema non sono i troppi giocatori ma il fatto che si spendono male i soldi. Oggi le società oculate hanno già 25 giocatori in rosa e sanno razionalizzare le spese. Con questa norma verrà dato uno strumento di pressione in mano ai club che si comportano in un modo diverso. E c’è di più. Il numero illimitato di under 21, senza il vincolo di aver giocato in Italia da almeno due anni come prescrive l’Uefa, di certo non frenerà l’arrivo di ragazzi dall’estero».

Però è stato posto un argine ai baby stranieri che venivano usati per liberare il posto da extracomunitario in prima squadra. Su questo siete d’accordo?

«Sì, è positivo. Come è positivo l’obbligo del pareggio di bilancio. Ecco, bastava il fair play per la sostenibilità finanziaria del sistema. Il tetto alle rose poteva avere un senso se fosse stato accompagnato da un progetto più ampio che prevedesse una zona cuscinetto tra le giovanili e le prime squadre».

Il vecchio progetto delle squadre B, bloccato dai veti delle leghe e da una visione miope…

«Noi continuiamo a sostenere le seconde squadre ma se sono un tabù, allora si organizzi un torneo riserve che consenta ai ragazzi di misurarsi in un contesto competitivo con gente più esperta. Servono occasioni di crescita: Soriano ha debuttato a 23 anni in Nazionale, entrando assieme a Kovacic, 20 anni e alla 19a presenza con la Croazia».

L’introduzione delle liste Uefa in A coi giocatori «cresciuti in casa» non va in questa direzione?

«Macché. Quest’anno il Torino ha presentato una lista Uefa con un solo elemento formato nel proprio vivaio, Quagliarella. È possibile farlo, basta non superare i 17 over. Le sei italiane nelle coppe hanno in totale 17 giocatori formati nei vivai nazionali e 9 nei propri. Il 4+4 non è la strada giusta per tutelare i vivai: uno perché gli 8 non sono obbligatori, due perché il ragazzo che viene qui e gioca tre anni è ritenuto “formato in Italia”. Ma così valorizziamo i talenti degli altri Paesi: la Nazionale che benefici ha?».

L’extracomunitario in più è una cambiale che Tavecchio ha dovuto pagare alla Lega di A?

«Mi pare ovvio. Avevamo proposto un curriculum con più presenze. Così solo 3 extra Ue non sarebbero entrati quest’anno. Detto questo, la crisi del calcio italiano non dipende dagli extracomunitari in più».

C’è bisogno del voto delle componenti tecniche per varare la riforma sulla riduzione dei club professionistici. Cosa farete?

«Finora hanno fatto tutto senza il nostro consenso. Un comportamento che non aiuta... Ma non ci sarà ostracismo da parte nostra, a patto che si voglia davvero far crescere il movimento e dare maggiore solidità al sistema».

Per una serie di reati la condanna per cui scatta la decadenza passa da 1 a 3 anni. È una norma fatta per salvare qualcuno?

«Evidentemente l’interesse è per i reati esclusi… Se si rende meno stringente la norma noi non possiamo essere d’accordo: è garanzia del sistema mantenere dei paletti di onorabilità per chi gestisce il calcio».

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
IL FATTO QUOTIDIANO 26-11-2014

5aRFTgfG.jpg

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
caccia al gioiellino

DYBALA E UN’ASTA CHE SA DI INTRIGO

di CARLO LAUDISA (GASPORT 26-11-2014)

Godiamoci le prodezze di Paulo Dybala e prepariamoci ad un’estate torrida per il suo futuro. Nella speranza che i nostri club abbiano la forza per strapparlo all’assalto delle grandi della Premier League che già hanno messo gli occhi su di lui.

Il presidente Maurizio Zamparini sogna di poterlo trattenere ancora un anno, ma è un progetto ardito, visto che quel contratto in scadenza nel 2016 difficilmente verrà prolungato e le spietate regole occulte del mercato non lasciano spazio alle aspirazioni del Palermo.

Proprio in questi giorni Dybala ha deciso di revocare il mandato al suo attuale rappresentante. Mariano, suo fratello, sta vagliando varie soluzioni, ma all’orizzonte c’è quel Paulo Triulzi che in passato ha gestito anche Edinson Cavani nella sua stagione palermitana. Quella volta l’uruguaiano finì al Napoli con un accordo che fece felici tutti per una cifra intorno ai 16 milioni di euro.

Stavolta la matassa è più intricata. Sullo sfondo c’è la sentenza del Tas che nello scorso agosto ha intimato al Palermo di pagare 8 milioni di euro al fondo inglese Pencilhill, la società che nel 2012 aveva pilotato il passaggio ai rosanero. E quel sospeso rischia di condizionare non poco le prossime evoluzioni.

Nelle scorse settimane Zamparini ha quotato il suo gioiello 42 milioni di euro, come era accaduto per Pastore nella vendita al Psg. Anche quella volta Zamparini aveva in ballo una contesa giuridica con l’agente dell’argentino, Marcelo Simonian, che vantava una cospicua percentuale sulla rivendita.

Ora, con sfumature differenti, c’è il rischio di un nuovo braccio di ferro. Il giocatore prova a starne fuori, ma la vera incognita è il prezzo. Nonostante i suoi gol d’autore l’asta all’orizzonte deve mettere d’accordo troppi commensali per immaginare una soluzione lineare.

In tal modo sarà interessante leggere le prossime mosse. Ora come ora Juve e Roma hanno provato ad entrare in gioco, ma sanno bene che Liverpool, Chelsea e i due club di Manchester sono in agguato con argomenti finanziari rilevanti. Solite storie, con il rischio concreto di vederci scappare subito di mano un ventunenne che abbiamo saputo scoprire per tempo. E’ un peccato non potersi godere una semina così preziosa. Purtroppo siamo condannati all’import-export sino a quando certi investimenti non verranno fatti con la dovuta programmazione. Attrezziamoci.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Quale FIFA

I Mondiali in Qatar e il famoso rapporto Garcia: tra corruzione e insabbiamento

la Fifa ha perso ogni credibilità. E pare anche che non gliene importi molto.

di FULVIO PAGLIALUNGA (l'Ultimo Uomo 27-11-2014)

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

TIFOSO BILANCIATO 27-11-2014

I numeri del calcioscommesse mondiale in un rapporto ICSS/Sorbona

I numeri del calcioscommesse mondiale in un rapporto ICSS/Sorbona

Sul sito dell’ICSS (International Centre for Sport Security) è stato messo a disposizione l’Executive Report predisposto dall’Ente insieme all’Università della Sorbona e presentato nel corso dello Sport Integrity Forum dello scorso 15 maggio 2014.

Secondo l’analisi la criminalità organizzata riesce a “ripulire” annualmente circa 140 miliardi di dollari attraverso i circuiti delle scommesse sportive (non solo sul calcio) che nell’80% dei casi sono illegali, cioè avvengono al di fuori del circuito ufficiale.

Il rapporto ha evidenziato, in breve, che:

  • Asia ed Europa rappresentano circa l’85% del mercato globale delle scommesse sportive;
  •  La divisione fra mercato legale ed illegale è quasi paritetica (Europa 49% legale, Asia 47%);
  •  A fonte di un giro d’affari stimato essere in un range fra 200 e 500 miliardi di dollari annui, si ritiene che nell’80% dei casi le scommesse transitino per circuiti illegali;
  •  L’80% degli 8.000 operatori autorizzati ha sede in un paese a fiscalità privilegiata; ciò fa si che le tasse effettivamente incassate dagli Stati su questo immenso giro d’affari siano pari a solo 4 miliardi di dollari.

Lo studio prosegue suggerendo possibili correttivi e soluzioni per arginare il fenomeno, che però non potranno che essere efficaci solo se definite all’interno di un accordo internazionale che veda tutti gli Stati interessati operare in prima linea.

 

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Razzismo da stadio, l’America latina s’indigna

di GERALDINA COLOTTI (IL MANIFESTO 27-11-2014)

Sta facendo discutere, in America latina, un brutto episodio avvenuto nel mondo del calcio: esattamente in Cile, durante una partita tra il San Marcos di Arica e la Deportes Iquique. Al 45mo del primo tempo l'attaccante venezuelano Emilio Rentería segna con un magistrale colpo di testa il vantaggio per l'Arica. E corre a festeggiare a bordo campo. I tifosi avversari cominciano a urlargli «negro», «scimmia» e altre bestialità razziste. Rentería scoppia in lacrime, e la scena fa il giro del mondo. L’arbitro sospende la partita e dà la vittoria all'Arica. Una decisione inedita nella storia del calcio cileno, sostenuta dall’Associacion nacional de Futbol Profesional del Chile (Anfp) che annuncia «azioni implacabili» contro il razzismo. Il governo ha ricevuto il calciatore al Palazzo della Moneda e si è scusato col Venezuela. Scuse accettate e trasformate in un’occasione per discutere sullo sport e sui suoi valori, diversamente declinati in un paese che ne ha fatto un simbolo di riscatto e condivisione. E la rete si scatena. Dai barrios di Caracas e di Santiago, sale forte un ritmo solidale: a contrastare i cori nazi e la barbarie nostrana. E a far fischiare le orecchie a razzisti nuovi o (ta)vecchi.

Dave Whelan charged by Football Association

by JAMES MASTERS (THE TIMES 27-11-2014)

Dave Whelan has been charged by the FA following the apparently antisemitic and racist remarks he made in an interview last week.

Whelan, the Wigan Athletic chairman, had threatened to step down from his role at the Championship club if found guilty by the FA, following uproar over the article.

The 77-year-old reportedly said that “Jewish people chase money more than anybody else” and that it was “nothing” to call a Chinese person a “ch****”.

An FA statement confirmed that he had been charged “in relation to media comments.”

It added: “It is alleged the Wigan Athletic chairman breached FA Rule E3[1] in that his comments were abusive and/or insulting and/or constitute improper conduct and/or bring the game into disrepute.

“It is further alleged that this is an ‘Aggravated Breach’ as defined by FA Rule E3[2] as it included a reference to ethnic origin and/or race and/or nationality and/or religion or belief.

“Mr Whelan has until 6pm on 5 December 2014 to respond to the charge.”

Whelan is expected to face a three-man independent regulatory commission within the next fortnight.

There could be yet more embarrassment for Whelan after a Labour MP wrote a letter to the Prime Minister demanding the Conservative Party clarify their stance on the remarks made by one of their donors.

According to the electoral commission, Whelan has made ten donations to the party since December 2007, the latest of £100,000 coming in August 2014.

“David Whelan is a significant donor to the Conservative Party, and has donated £1.5million since 2007,” wrote Karl Turner, Labour MP for Hull East in a letter addressed to David Cameron and Grant Shapps, the party chairman.

“His most recent donation of £100,000 was received by the Conservative Party on the 2nd August 2014. Given his status as a significant contributor to your re-election efforts you must now make it clear if you personally condone or condemn these comments.

“I hope that you agree with me that these antisemitic and racist comments have no place in modern British society, and as such I hope that you also agree with me that you must now give up any money that you have received from Mr Whelan and consider which charitable groups would be better recipients of it.

“Failure to act swiftly in this matter will show a lack of leadership. It will not be possible for you to simultaneously condemn offensive remarks while accepting large sums of money from those responsible for them.”

When contacted by The Times, the Conservative Party refused to comment.

Whelan made the comments last week while defending the appointment of Malky Mackay, the club’s new manager.

Mackay is still under investigation by the FA following allegations that he exchanged racist, antisemitic, sexist and homophobic text messages with Iain Moody, his former head of recruitment at Cardiff City, during his time in charge of the club.

Mackay was accused of describing Vincent Tan, Cardiff’s Malaysian owner, as a “ch***” in one text and is reported in another text, in reference to Phil Smith, a Jewish football agent, to have said: “Nothing like a Jew that sees money slipping through his fingers.”

Last week, Whelan reportedly told The Guardian that he felt the word “ch***” was not offensive and that he used to say it of Chinese people when he was young. “If any Englishman said he has never called a Chinaman a ch***, he is lying,” he is reported to have said. “There is nothing bad about doing that. It is like calling the British Brits, or the Irish paddies.”

Whelan added he did not believe the reference to Smith was insulting. He is said to have commented: “Do you think Jewish people chase money a little bit more than we do? I think they are very shrewd people.”

The chairman - who said he did not think there was “a lot wrong” with anything Mackay said - reportedly added: “I think Jewish people do chase money more than everybody else. I don’t think that’s offensive at all.”

Later that night he offered his “sincere apologies” if he had offended anyone.

However, Jenny Wong, a Chinese community leader, accused the Wigan chairman of condoning racism and said that the word “ch***” was “an insult, racist”.

Simon Johnson, the former FA and Premier League executive who is now chief executive of the Jewish Leadership council, said: “Unfortunately Mr Mackay and now Mr Whelan have referred to some of the worst old fashioned tropes, which have been used in the past as the basis of antisemitism and stereotyping of Jewish people.”

Kick It Out, the anti-racism campaign, said Whelan’s alleged remarks “brought into question whether he is a fit and proper person who should be running a professional football club”.

Was it something I said?

November 19 Malky Mackay appointed as new manager of Wigan despite being under investigation by the FA for allegedly exchanging text messages of an antisemitic, racist, sexist and homophobic nature.

November 20 Whelan defends hiring Mackay and says there was “not a lot wrong” with what his new manager did while at Cardiff City. Says it was “nothing” to refer to a Chinese person as a “ch***” and that “Jewish people chase money more than everybody else”.

November 21 FA says it is “very concerned” to read of Whelan’s comments and writes to him requesting his observations.

November 26 Whelan replies to FA.

November 27 Whelan charged by the FA and given until 6pm on December 5 to respond.

Modificato da Ghost Dog

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
A tu per tu di MATTIAS MAINIERO (Libero 27-11-2014)
Calciopoli a parte la Juventus era la più forte

Gentile Mainiero, tempo fa, in una sua perspicace risposta, scoprii la sua fede interista, ma di quelli veri, nostalgici dei tempi di Moratti Angelo. Mi spiace dover tornare su Calciopoli, argomento per il quale tutti invitano a dimenticare. Troppo comodo. Noi juventini siamo stati pesantemente penalizzati da un processo che ha premiato solo l’Inter. Mi sorge una domanda: come mai la Juve stravince anche senza Moggi? O Marotta si è dotato di schede telefoniche di ultima generazione oppure, a parte gli scherzi, non è che negli anni incriminati vinceva perché era la più forte?

Franco Trussi

e.mail

Mi dispiace per gli interisti, quelli veri e quelli meno veri, e mi dispiace anche per tutti gli altri, ma è evidente: la Juve vinceva perché era la più forte, e i tifosi delle squadre avversarie dovrebbero farsene una ragione. Dico ciò non perché sia a conoscenza di particolari fatti o perché voglia azzerare Calciopoli. Semplice logica: gli aiuti arbitrali, qualche svista anche storica, qualche distrazione al momento opportuno, possono aiutare una squadra. Ma se la squadra non c’è, se in campo scendono quattro brocchi, anche mille aiuti servono a nulla. E la squadra in quegli anni c’era. Vado a memoria: le partite finite sotto inchiesta furono una ventina, sette riguardavano la Juve. Una di queste sette fu persa dai bianconeri (vinse la Reggina con un gol di scarto). Un’altra, con la Fiorentina, finì sul pareggio. Ne rimangono cinque, tutte vinte dalla Juve, e con errori arbitrali - dicono le cronache - anche a danno dei bianconeri. A testimonianza che ci fu il torbido, ma ci fu anche una squadra limpidamente brava. Per finire: in quella stagione la Juve poteva schierare campioni del calibro di Buffon, Ferrara, Cannavaro, Zebina, Zambrotta, Camoranesi, Ibrahimovic. E con quei campioni anche gli arbitri possono diventare ininfluenti. E glielo dico da interista, l’Inter di una volta, quella di Sarti, Picchi, Facchetti, Mazzola, Corso eccetera, che in campo, arbitri o non arbitri, avrebbe vinto comunque, come la Juve finita sotto accusa. E in ogni caso Calciopoli fu un’indecenza, su tutti i fronti.

 

NUOVA SVOLTA

Calciopoli: altra crepa nell'inchiesta

Chiesto il rinvio a giudizio di de Cillis (falsa testimonianza):

è il teste chiave dell'accusa al processo di Napoli, titolare

del negozio di Chiasso dove Moggi prendeva le sim

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 27-11-2014)

Un'altra crepa si apre nell'inchiesta di Calciopoli. Il pm di Napoli Raffaele Tufano ha formulato una richiesta di rinvio a giudizio per falsa testimonianza nei confronti di Teodosio de Cillis, uno degli elementi chiave per lo sviluppo dell'indagine del 2004-’05 che portò ai processi sportivi e penali. De Cillis è il titolare della rivendita di Chiasso dal quale si serviva l'ex dg della Juventus Luciano Moggi per comprare le schede svizzere, che secondo l'accusa del processo avrebbe poi distribuito ad arbitri e dirigenti. Tutto nasce da una denuncia avanzata dall'ex arbitro Tiziano Pieri, assolto in appello dall'accusa di associazione a delinquere, e presentata nel marzo 2012. «Notammo - spiega il suo legale Claudio Palazzoni - una incongruenza tra quanto dichiarato da de Cillis in aula il 30 giugno 2009 al processo di 1° grado e la versione dei fatti del maresciallo dei carabinieri Nardone che fece le indagini. De Cillis ha negato la presenza dei carabinieri nel suo negozio, mentre il sottufficiale spiegò che erano andati a Chiasso recandosi prima a casa di de Cillis e poi con lui nel negozio per acquisire la documentazione d'indagine relativa alle utenze delle schede svizzere vendute. Tutto questo con buona pace del rispetto delle regole processuali relative al procedimento di rogatoria internazionale.

Qualora venisse accertata la falsa testimonianza di De Cillis, sarebbe dirompente l'effetto sull'attendibilità di uno dei testi chiave su cui l'accusa ha costruito il suo teorema sulle utenze telefoniche. De Cillis dovrebbe spiegare perché è venuto in aula a raccontare menzogne. Non contesto l'impianto di Calciopoli nel suo complesso, ma l'attendibilità di un soggetto. Noi ci costituiremo parte civile, ma anche altri protagonisti di Calciopoli, specie tra gli arbitri, potrebbero essere interessati a farlo». E' molto probabile la costituzione come parte civile anche di Moggi. Una parte fondamentale del suo ricorso in Cassazione (udienza il 22 di gennaio) si fonda proprio sulla mancanza di rogatoria internazionale nell'acquisizione dei dati sulle schede svizzere e sulle circostanze poco chiare con le quali quei dati sono stati acquisiti. L'eventuale rinvio a giudizio di de Cillis potrebbe portare chiarimenti in proposito: se il titolare del negozio avesse mentito in aula, sarebbe da appurare il perché e cosa altro si nasconde dietro quella delicata e decisiva parte dell'indagine: a Napoli Moggi è stato condannato principalmente per la distribuzione delle famose sim svizzere. Il 17 dicembre l'udienza preliminare davanti al gup che deciderà l'eventuale rinvio del de Cillis.

Modificato da Ghost Dog

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
LA SENTENZA/PRIME CONDANNE PER LE SCOMMESSE

Lecce-Bari truccata

tifosi risarciti: 400 euro

di GABRIELLA DE MATTEIS & GIULIANO FOSCHINI (LA REPUBBLICA 27-11-2014)

La partita fu truccata. E per questo i tifosi hanno diritto a un risarcimento: 400 euro a testa per i 200 costituiti parte civile. Sono 80mila euro. La sentenza di condanna emessa ieri dal tribunale di Bari contro l’ex presidente del Lecce, Pierandrea Semeraro, per aver comprato il derby del maggio del 2011 contro il Bari vinto dai salentini per 2-0, oltre a essere la prima condanna in rito ordinario del grande scandalo del calcioscommesse italiano, sancisce così un rivoluzionario precedente per il futuro: se alteri un risultato crei un danno al tifoso. E se quel danno esiste deve essere risarcito.

Così ha stabilito ieri pomeriggio il giudice di Bari, Valeria Spagnoletti, condannando a un anno e sei mesi sia Semeraro sia l’imprenditore Carlo Quarta. Condanna a 9 mesi di reclusione e a 5mila euro di multa per Marcello Di Lorenzo, amico dell'ex calciatore biancorosso Andrea Masiello (che aveva già patteggiato la pena nell'ambito dello stesso procedimento insieme agli amici e scommettitori Gianni Carella e Fabio Giacobbe). Per tutti il giudice ha disposto la l'interdizione per sei mesi dagli uffici direttivi della società sportiva con «divieto di accedere ai luoghi dove si svolgono competizioni sportive o si accettano scommesse».

L’inchiesta era cominciata nel febbraio del 2012, condotta dai carabinieri del nucleo investigativo e coordinata dal procuratore, Antonio Laudati e dal sostituto Ciro Angelillis. La partita era decisiva per le sorti del campionato del Lecce che grazie a quella vittoria contro un Bari ormai retrocesso riuscì a salvarsi. Ma soltanto sul campo visto che poi è stato retrocessa dalla giustizia sportiva quando venne fuori lo scandalo. Il suo presidente, Semeraro, pagò infatti 300mila euro il calciatore del Bari Andrea Masiello perché i biancorossi perdessero la partita. Così andò, con il difensore che segnò un incredibile autogol. «Non c’è stato alcun rispetto per tutti quei bambini che vanno a dormire con la maglia della squadra dei loro beniamini» ha accusato nella requisitoria il pm Angelillis.

Anche per questo il tribunale ha riconosciuto il risarcimento dei danni alle parti civili. Per Figc e Confconsumatori il risarcimento dovrà essere quantificato in sede civile mentre è stato stabilito il risarcimento per i tifosi. Sia del Bari sia del Lecce. Una sentenza di questo tipo apre le porte ora a una vera e propria class action dei tifosi che potrebbe cominciare nel maxi processo sul calcioscommesse che comincerà il prossimo anno a Cremona.

IL PARERE DEL LEGALE

Grassani: «Una svolta. Domani può toccare ai telespettatori»

di MAURIZIO GALDI (GASPORT 27-11-2014)

Mattia Grassani, avvocato da anni impegnato nel mondo del calcio, uno dei massimi esperti di diritto sportivo, non ha dubbi: «A mia memoria, almeno a questi livelli, non ricordo un precedente del genere».

DIRITTO FONDAMENTALE Dunque la sentenza di Bari è una prima volta che fa e farà discutere «perché riconosce un diritto fondamentale, quello del tifoso ad assistere a una competizione genuina». Quando questa competizione subisce un’alterazione, come nel caso del famoso derby pugliese finito nel frullato del calcioscommesse, «merita un risarcimento».

«INELIMINABILE» Per Grassani, si tratta di una sentenza che apre scenari futuri molto importanti. «Un domani anche uno sponsor, o i telespettatori che hanno acquistato un abbonamento su Sky, potrebbero costituirsi parte civile e chiedere un risarcimento». Insomma, il pronunciamento del Tribunale di Bari segna una svolta nel considerare il tifoso che ha acquistato il biglietto o l’abbonamento per vedere la partita «come un protagonista eliminabile di una manifestazione sportiva ». Al pari dei calciatori, degli allenatori o degli arbitri. Si stabilisce il diritto a una competizione «genuina e non alterata».

400 O 4MILA? Poi c’è il discorso relativo alla somma che dovrà andare a ognuno dei 250 tifosi che si sono costituiti parte civile. Sull’entità del risarcimento, Grassani precisa che i 400 euro per ogni tifoso sono una cifra soltanto parziale, destinata a essere ritoccata forse anche in modo molto significativo. «Si tratta di una provvisionale, cioè di una specie di acconto. In sede di procedimento civile si dovrà poi stabilire la cifra definitiva e i 400 euro potrebbero diventare anche 4mila o 40mila». Insomma, se la sentenza è storica, il risarcimento potrebbe assumere dimensioni ancora più clamorose.

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi

Notizia di un paio di giorni fa in Italia
 

IL MESSAGGERO 27-11-2014

ohI3LkMB.jpg

 

Ripresa oggi in Inghilterra dal Times di Londra, in due versioni, una delle quali contraddistinta dalla solita noncuranza inglese

 

THE TIMES 29-11-2014

versione cartacea

AwU2e1we.jpg

THE TIMES 29-11-2014

versione online

sWrbpgqB.jpg

 

Secondo me c'è qualcosa che non va e la diplomazia del nostro paziente inglese non funziona.

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
Violenze ultrà, stop di Alfano

Ma l’Atalanta: «Non è giusto»

Prima applicazione del nuovo decreto legge

Trasferte ferme per 3 mesi, il club non ci sta

di MAURIZIO GALDI & VALERIO PICCIONI (GASPORT 29-11-2014)

Era stata una delle novità del decreto del Governo poi trasformato in legge dal Parlamento. La possibilità per il ministro dell’Interno di «squalificare» una tifoseria. Cosa che è accaduta per la prima volta ieri, quando Angelino Alfano ha firmato il provvedimento che dispone la chiusura per tre mesi dei settori ospiti degli stadi dove giocherà l’Atalanta, «nonché il divieto di titoli di accesso ai medesimi impianti sportivi, per gli stessi incontri e per il medesimo periodo nei confronti delle persone residenti della provincia di Bergamo». Dunque, divieto di trasferta per l’intera tifoseria.

RECIDIVA È la diretta conseguenza dei gravi incidenti di sabato, dopo Atalanta-Roma. Ma non solo. Viene fatto riferimento al precedente del 27 settembre, quando per Atalanta- Juve «frange determinate dei tifosi bergamaschi si sono rese responsabili del lancio di vari oggetti contundenti nei confronti delle Forze di Polizia, provocando il danneggiamento di tre automezzi e il ferimento di un operatore». Dunque, è stata punita anche la recidività dei comportamenti. Che sabato avevano portato all’aggressione delle forze di polizia che controllavano il deflusso della tifoseria romanista, con il ferimento di 6 agenti e il lancio «di oggetti contundenti di ogni tipo e bombe carta contenenti chiodi e bulloni». Per Alfano tutto questo fa trasparire «un’evidente premeditazione».

ALTRE MISURE La possibilità di vietare le trasferte era stata affidata al Ministro proprio per assicurare la copertura politica delle misure punitive, spesso impallinate dal politico locale di turno. Serviva non solo il giudizio dell’organo tecnico, questo è il punto. Organo tecnico che comunque si era già pronunciato mercoledì, quando il Comitato di Analisi per la Sicurezza aveva chiesto al Prefetto di valutare volta per volta le misure da adottare, compreso il divieto di vendita di biglietti, per tutti i settori dello stadio, a chi non possiede la tessera del tifoso, nonché di disporre la sospensione, per il solo settore della Curva Nord, di carnet di biglietti e di abbonamenti rilasciati ai non possessori della tessera».

«DISCUTIBILE» L’Atalanta ha reagito contestando quella sorta di «responsabilità oggettiva» che ha portato alla squalifica dell’intera tifoseria. Una strategia dichiarata, come il tentativo di spingere la tifoseria non violenta a dissociarsi. La stessa Lega di Serie A aveva approvato le linee della riforma sicurezza (con l’eccezione del contributo economico delle società alle spese per la sicurezza). Per Pierpaolo Marino, il direttore generale del club bergamasco, «il provvedimento del Viminale è discutibile, perché colpisce la parte istituzionale del tifo atalantino: 100, massimo 300 persone circa in possesso della tessera del tifoso, che non hanno mai creato problemi. La parte di tifo oltranzista non viaggia più con noi da anni». Il dirigente atalantino ricorda che il club si è schierato «contro gli sconsiderati protagonisti di atteggiamenti vili contro le forze dell’ordine». Il tecnico Colantuono si focalizza soltanto sull’aspetto della sospensione della vendita dei biglietti agli atalantini per la partita di Empoli. «Non entro nel merito, però non avere i nostri tifosi al seguito è un peccato, perché ci danno sempre una grande mano».

 

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti
Joined: 14-Jun-2008
11014 messaggi
il rebus

JUVE, FEDERCALCIO E LO STADIO CONTESO

di RUGGIERO PALOMBO (GASPORT 29-11-2014)

L’unica cosa certa è che il 31 marzo 2015 Italia-Inghilterra si disputerà a Torino, nell’ambito delle celebrazioni relative a «Torino capitale europea dello sport 2015». In che stadio ancora non si sa e non lo si saprà fino alla fine di gennaio. Intorno a questa amichevole si gioca infatti la specialissima partita dei rapporti tra Juventus e Federcalcio, divise alla nascita (di Calciopoli) e tali rimaste nel passaggio federale da Abete all’osteggiato (da Agnelli) Tavecchio. La Juve ha in piedi una richiesta alla Figc di quasi 444 milioni di euro di risarcimento danni, cifra suggestiva che manderebbe in fallimento l’intero Coni prima ancora che la Figc e mai venuta meno pur in presenza di sentenze di giustizia sportiva e penale tutte avverse a Giraudo e Moggi, all’epoca dei fatti amministratore delegato e direttore generale del club. Processi che vivranno il loro ultimo capitolo in Cassazione, il 22 gennaio. Ecco perché è improbabile possa accadere qualcosa prima di allora, nonostante le diplomazie siano al lavoro. Il d.g. della Figc Uva ha incontrato Agnelli e non sono volati coltelli, e prima di Natale, anche se non si deve sapere, ci sarà il rendez-vous tra Agnelli e Tavecchio, si spera utile anche per guardare avanti e non soltanto indietro. Di certo c’è che se quella richiesta di risarcimento, nonostante i solleciti Figc non ancora calendarizzata presso il Tar del Lazio, non verrà ritirata, Tavecchio non porterà l’Italia allo Juventus Stadium, infischiandosene del fatto che il suo predecessore nel settembre 2013 diede il via libera alla disputa proprio lì di Italia-R.Ceca, e la partita finirà nel vecchio Olimpico. Giovedì alla presentazione di Torino 2015, Tavecchio, con logo Coni sul petto così da far godere un solidale Malagò, ha parlato a lungo col sindaco Fassino. Rendendolo edotto e ricevendone in cambio un impegno ad «adoperarsi». Fino a dove, non si sa.

C’è fermento frattanto in Lega Pro, dove la guerra tra il presidente Macalli e il suo ex direttore generale Ghirelli promette sviluppi in sede di Assemblea generale, il 15 dicembre. Si sarebbe saldata un’alleanza tra Ghirelli e il consigliere federale Gravina, ancora per un po’ alla guida di Figc srl, ma dispiaciuto di un incarico negatogli in seno alla Nazionale dove alla luce di certi rivoli dispersivi Tavecchio ha avocato a sé l’intera pratica. Ghirelli & Gravina starebbero cercando di raccogliere consensi per sfiduciare Macalli e aprire una crisi che sul lungo periodo avrebbe risvolti di natura elettorale in Federazione (Macalli ha portato in dote a Tavecchio il suo 17% di voti). Al betting la tenuta di Macalli, cui comunque verrà suggerito di passare la mano a fine mandato, viene data per favorita. Senza esagerare.

Modificato da Ghost Dog

Condividi questo messaggio


Link di questo messaggio
Condividi su altri siti

Crea un account o accedi per lasciare un commento

Devi essere un utente registrato per partecipare

Crea un account

Iscriviti per un nuovo account nella nostra community. È facile!

Registra un nuovo account

Accedi

Sei già registrato? Accedi qui.

Accedi Ora

  • Chi sta navigando   0 utenti

    Nessun utente registrato visualizza questa pagina.

×
×
  • Crea Nuovo...