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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Joined: 07-Jul-2006
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La FIGC starà lontana dallo JS (la Juventus non è obbligata a concederlo).

La partita la giocheranno a Torino ma all'Olimpico, senza allungare oltre la manfrina.

Si tratta solo di speculazioni giornalistiche per esacerbare il sentimento popolare antijuventino.

Le solite *****e!

E quand'è che nascerà il sentimento popolare anti-antijuventino?Potremmo farcelo pure venire una buona volta per tutte...sefz

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Spero tanto che AA non si faccia infinocchiare da certa gente.

Ci spero, visto che ha mantenuto la sua posizione in occasione della votazione del presidente della federazione delle banane

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Joined: 10-Sep-2006
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La FIGC starà lontana dallo JS (la Juventus non è obbligata a concederlo).

La partita la giocheranno a Torino ma all'Olimpico, senza allungare oltre la manfrina.

Si tratta solo di speculazioni giornalistiche per esacerbare il sentimento popolare antijuventino.

Le solite *****e!

Sbirciando sul corriere della sera, ho visto un articolo di severgnini sul mestiere/professione del giornalista.

Non sono riuscito a leggerlo.

Lo puoi postare?

Mi pare parlasse di deontologia (?)

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Joined: 14-Jun-2008
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Sbirciando sul corriere della sera, ho visto un articolo di severgnini sul mestiere/professione del giornalista.

Non sono riuscito a leggerlo.

Lo puoi postare?

Mi pare parlasse di deontologia (?)

Cambiamo le regole per diventare giornalisti

di BEPPE SEVERGNINI (CORSERA 16-10-2014)

Lunedì si è aperto il sesto biennio della scuola di giornalismo Walter Tobagi della Università Statale di Milano. La conosco bene: è un’ottima scuola, a mio giudizio la prima d’Italia, dove si entra con un concorso pulito, si studia, si prova e si impara. Il giornalismo, infatti, non è un hobby. È un mestiere, e non dei più facili.

Le scuole sono un modo di diventare professionista. L’altro, tradizionalmente, è il praticantato: 18 mesi in una redazione permettono di affrontare l’esame di idoneità. La regola è rimasta uguale, ma occorre modificare il tempo del verbo: permettevano. I giornali in crisi, e alle prese con Internet, hanno chiuso le porte. L’Ordine dei Giornalisti s’è così inventato il «praticantato di fatto». Un percorso cervellotico e tortuoso, diventato la strada maestra: dalla Lombardia, 9 su 10 candidati alla prova nazionale sono passati di qui.

Vuol dire che i giovani italiani hanno smesso di scegliere il giornalismo? Manco per sogno. Ci credono, e fanno bene. Se il momento economico è pessimo, il momento professionale è ottimo. Internet è un moltiplicatore di talenti e possibilità. Il problema è un altro. Con le regole attuali, i ragazzi non riescono a diventare professionisti. Che si fa? Semplice. Si cambiano le regole.

Esistono tre nuove forme di praticantato che meritano di essere riconosciute.

1. L’impresa giornalistica. Un gruppo di ragazzi si mette insieme e crea un prodotto professionale (un esempio? «Good Morning Italia», la miglior rassegna stampa quotidiana in circolazione, appena passata con successo a pagamento).

2. Il praticantato individuale. Un giornalista professionista assume un laureato e ne cura la formazione. Lezioni private invece di lezioni collettive. Che differenza fa?

3. L’esperienza all’estero. Aver studiato giornalismo a Columbia (New York) o a City University (Londra)? Non vale. Lavorare per testate prestigiose? Non serve. All’inaugurazione del biennio Tobagi ha partecipato Ferdinando Giugliano. Napoletano, 29 anni, PhD a Oxford, oggi coordina la rete dei corrispondenti esteri economici del Financial Times. Per l’Ordine dei Giornalisti, neppure questo conta.

L’ho detto lunedì in Statale, lo scrivo qui: se il nostro ordine professionale saprà adattarsi ai tempi, sopravviverà. Altrimenti, scomparirà. E nessuno lo rimpiangerà. Certamente non i ragazzi di oggi, nostri colleghi di domani.

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Moviola in campo

Poche certezze e tanti problemi

Ma la Fifa è decisa ad avviare l’esperimento

di FABIO MONTI (CORSERA 16-10-2014)

Guardare avanti. Sempre.

Mai, come in questo momento, l’uso della tecnologia a bordo campo appare prossimo a essere sperimentato. Lo vogliono Joseph Blatter, il presidente della Fifa (dal 1998) e la sua squadra, guidata dal segretario Jérome Valcke: l’International Board, che si riunirà a Belfast il 27 febbraio 2015, ne discuterà già nella riunione preliminare di fine novembre. Il 1° marzo 2014, l’uso delle telecamere sulla linea di porta per il gol/non gol (Glt) era stato giudicato dall’Ifab come la frontiera estrema della tv applicata al calcio, ma i tempi cambiano. Come ha spiegato Giovanni Trapattoni, intervenendo al programma di Bruno Longhi «buon calcio a tutti» (Radio 105), «la tecnologica aiuterebbe gli arbitri ad andare in campo più sereni, sapendo che potrebbero rimediare a un loro errore e dunque non schiacciati dalle responsabilità».

Sperimentare l’uso della tecnologia, come ha detto il presidente della Figc, Tavecchio, che ha manifestato alla Fifa la disponibilità dell’Italia, significa codificarne tempi e modi. Al Mondiale brasiliano, Blatter aveva annunciato: «Dovremmo dare un nuovo aiuto agli arbitri, fornendo agli allenatori il challenge call. I tecnici avrebbero due possibilità per ogni tempo di gioco per chiedere la revisione di una decisione arbitrale. La contestazione potrà avvenire soltanto a gioco fermo; sarebbe ammissibile per vedere se c’è un calcio di rigore; per verificare se un intervento è avvenuto dentro o fuori dall’area; se c’è stato fallo oppure no». Se questa è l’indicazione presidenziale, non sono pochi i problemi da risolvere, a cominciare da chi si occupa delle riprese televisive da analizzare, che non possono essere quelle delle tv che riprendono le partite.

Primo caso: la Glt (Goal line technology, il gol/non gol) ha dimostrato la propria efficacia in quanto è richiesto un confronto tra figure geometriche regolari. Il tutto può essere esteso alle linee laterali per palla in gioco o non gioco.

Secondo caso: i falli. La tecnologia può essere utile solo per quelli macroscopici. Esempio: la testata di Zidane a Materazzi, primo vero caso di tecnologia applicata al calcio (9 luglio 2006), con l’espulsione differita del francese. In tutti gli altri casi, con le regole attuali, la domanda è: può essere valutato oggettivamente un fallo negligente, uno imprudente e uno commesso per eccessiva vigoria? In linea teorica, sono tutte caratteristiche che soltanto l’intelligenza dell’uomo (arbitro) può valutare basandosi sul proprio intuito, sulla propria sensazione, con discrezionalità, criterio questo che non può mai appartenere ad una macchina. Al replay, un fallo come quello di Bianchetti su Schranz in Italia-Slovacchia Under 21 sarebbe stato punito con il rigore, come era accaduto già in campo prima dell’intervento dell’assistente.

Terzo caso. Blatter aveva escluso il giudizio sul fuorigioco; Valcke no. Ma, come sostiene ad esempio l’ingegner Ivo Gurioli, che da anni studia la materia, la tecnologia può dare certezze soltanto nel confronto con figure perfettamente regolari (palla-linea) e non fra sagome irregolari (giocatori). Oppure: «avendo al momento a disposizione un fotogramma ogni 40 millesimi di secondo, esistono statisticamente scarse probabilità che l’immagine mostrata sia realmente quella di partenza della palla. E questo errore può significare variazioni di posizione dei giocatori interessati anche di 40-50 centimetri per un incrocio a velocità medio-basse, superiori a 70- 80 centimetri per quello ad alta velocità». Come dire che anche la macchina può sbagliare.

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LA GUERRA DEL PALLONE

di MIMMO CÁNDITO (LA STAMPA 16-10-2014)

Ma son niente, le randellate e le botte da orbi che l’altra sera, durante la partita tra Serbia e Albania, si sono scambiati un po’ tutti, giocatori, accompagnatori, vigili, guardiani, raccattapalle e, naturalmente, spettatori. Roba da niente davvero, se quell’azzuffata indegna e indecente la si mette a confronto con la guerra vera e propria che nel ’69 scoppiò tra Honduras e Salvador a causa di un’altra partita, tra le due nazionali di laggiù: fu una guerra che durò soltanto 100 ore, e però fece 6.000 morti, 20.000 feriti e decine di migliaia di senzatetto. Lo chiamano pallone allora, il galeotto, e chiamano pallonate tutte le gaglioffate che l’accompagnano, dentro il campo e fuori, senza distinzioni di latitudini e di culture; ma gli odi che accende, i furori che scatena, hanno solo la forte miccia della passione senza controllo, nella palla che i 22 prendono a pedate correndole dietro e dandosele di santa ragione. I semiologi direbbero che quello è soltanto il terreno «della espressione», e che quello che conta sta invece sotto, sotto l’erba, sotto la palla, e sotto le pedate dei 22 in braghe corte.

Ed è la brutta bestia del nazionalismo, questa cosa che sta sotto, del disagio sociale che cerca uno sbocco, della rabbia e del risentimento da sublimare su un piano distinto, dove la repressione di una identità avvertita come umiliata e a lungo trattenuta trova alla fine la forma del recupero gratificatorio, plateale, pubblico. Laggiù, in America Centrale, erano vecchie storie di confini e di concorrenze orgogliose, e Kapushinski ci scrisse un racconto memorabile («La prima guerra del pallone»), dove lo stupore si accompagnava alla scoperta della stupidità degli uomini e, soprattutto, dei loro governi. Qui, a due passi da noi, l’altra sera i governi si sono fortunatamente frenati pattinando sulle dichiarazioni di condanna e il ripudio della provocazione, ma non osando andare oltre (ancora); i carri armati se ne sono rimasti negli hangar, e i soldati – di una parte e dell’altra – hanno passato la notte sulle loro brande, con i fucili ben chiusi nelle rastrelliere.

Non scoppierà mai, questa «seconda guerra del pallone», ci si può scommettere senza troppi dubbi; e però il suo amaro fantasma ce lo porteremo dietro a lungo, perché la brutta guerra che negli Anni Novanta combattemmo in tanti nei Balcani – ed è stata una guerra vera, quella, e ci siamo stati dentro anche noi italiani – si è trascinata irrisolta gran parte dei problemi che comunque l’avevano scatenata, e fu perfino peggio con la soluzione appiccicaticcia che le fu data e con il cedimento (questo, sì, indecente) che fu dato alle ragioni della forza e del fatto compiuto. Si disse già a quel tempo che le concessioni fatte ai nazionalismi – quello grand’albanese, in questo caso – si ritorcono sempre nelle viscere della Storia; furono parole sacrosante. Oggi ci raccontano una brutta eco, nelle orecchie dell’Europa; e se la Serbia abbassa il capo perché continua a bussare alla porta di Bruxelles, sperando che finalmente gliela si apra, i contrasti e i furori restano ben accesi là dove erano stati ammassati.

E oggi, a Belgrado dovrebbe arrivare in visita ufficiale Putin. Che è come dire che il nazionalismo slavo si sta leccando le ferite, ma serra i muscoli.

Ma forse è meglio «governare» certi sorteggi

di MARA GERGOLET (CORSERA 16-10-2014)

Certo, il caso. Se serbi e albanesi per 68 anni si sono evitati, e anzi quella del 22 ottobre (se è ancora in calendario) dovrebbe essere la prima visita compiuta da un leader di Tirana a Belgrado dai tempi di Tito, c’è voluta sfortuna per fissare proprio adesso una sfida diretta per le qualificazioni agli Europei 2016 tra queste due Nazioni. Era evitabile? Sì, lo era. Bastava che uno dei due Paesi l’avesse richiesto all’Uefa. Successe nel 2008 per una partita tra Armenia e Azerbaigian. Ma qui nessuno si è mosso. Quando però le federazioni sono così palesemente incapaci di governare i propri tifosi, quando una partita ha implicazioni che i governi si ostinano a ignorare, non sarebbe meglio «governare» i sorteggi? Impedire combinazioni fatali? Certo, suona antisportivo. Va contro l’idea stessa dello sport come luogo protetto e di incontro. Però è realista. E, se i risultati sono quelli di Belgrado, allora è meglio la geopolitica dei sorteggi.

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Purtroppo autorizzano pure un delirio

LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 14-10-2014

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Incredibile, l'hanno ripubblicata oggi, stavolta indicando nome e cognome dell'ex arbitro.

LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 16-10-2014

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E' pazzia

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BELENENSES Rui Pedro Soares desmente notícias de Itália sobre o alegado interesse da

Vecchia Signora na SAD e garante que não quer vender a posição maioritária que detém

JUVENTUS LEVA NEGA

Dono da SAD defende que o projeto “está a dar os primeiros passos”

e avisa que não está vendedor. Candidato a presidente do clube,

António Soares vai oferecer “menos de 10 milhões” para readquiri-la

por PEDRO MIGUEL AZEVEDO (O JOGO 16-10-2014)

A Juventus, do primeiro escalão italiano, procura um clube que possa utilizar como base para integrar jogadores extracomunitários para o futuro. Segundo noticia ontem o jornal transalpino “Tuttosport”, a Juve terá a SAD do Belenenses debaixo de olho – tal como a do Boavista – como alvo potencial, sabendo que 51,9 por cento do capital social pertence à Codecity, empresa do atual líder da SAD, Rui Pedro Soares. Este desmente o interesse em vender a respetiva parcela.

“A notícia é, mais do que falsa, totalmente absurda”, garantiu Rui Pedro Soares, nas redes sociais. “Há dois anos, na II Liga, sem ativos e com 10 milhões de passivo, com um défice mensal de 100 mil euros, arriscámos, quando ninguém queria. O auditor independente nomeado pela CMVM, em relatório que foi publicado, assume que o valor da Belenenses SAD era, na altura, de dois milhões de euros negativos. Hoje, estamos na I Liga, a consolidar o nosso estatuto. O passivo baixou significativamente, temos excelentes ativos e, sobretudo, um projeto que está ainda a dar os primeiros passos”, argumentou o acionista. Esta declaração pode ser interpretada como um aviso indireto a António Soares, candidato à presidência do clube que, ontem, no debate na Sport TV com o outro concorrente, Patrick Carvalho, revelou que pretende fazer uma proposta de recompra da maioria das ações, “abaixo dos dez milhões de euros”, caso seja eleito, no sábado. Ao que O JOGO apurou, no último verão, houve a aproximação de um clube inglês que o dono da SAD não quis aprofundar, pois não quer abdicar da propriedade, adquirida por 519 euros.

Modificato da Ghost Dog

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L’INCHIESTA SUL CALCIO

Dubbi su Mauri, Sassuolo e Parma

In una nuova chat riferimenti a uno “Stefano” e a due partite delle squadre emiliane

di ANDREA RAMAZZOTTI (CORSPORT 16-10-2014)

Una chat sospetta con uno Stefano che gli inquirenti ipotizzano possa essere Mauri, un paventato coinvolgimento del Sassuolo, ma anche dubbi su un Parma-Ascoli 2-0 del 2008-09. Le chat dell’incidente probatorio sono una fucina di circostanze da chiarire.

Mauri E i 5 pallini. La chat in questione è stata recuperata dal pc di Paolo Roberto Palmieri, uno degli indagati, amico di Zamperini e Mauri, nonché uomo ritenuto vicino agli zingari. Gli investigatori hanno certificato la presenza di Palmieri a Lecce nei giorni che precedono Lecce-Lazio 2-4 nel maggio 2011. Nel dialogo tra lui e un tale Stefano160268 si parla di circuiti su cui scommettere, di puntate su Crotone e Triestina e ci sono frasi sospette come: «E domenica se devono fa 5 pallini...se ti dico vai tu, stai tranquillo...4 gol o più...o over 4,5... ma non dire niente a nessuno sennò si abbassa tutto (la quota?; ndr)». Di gol ne vengono segnati addirittura 6 e si tratta di un Over in piena regola. E’ una conferma, l’ennesima secondo gli inquirenti, dell’illecito consumato in quel match costato sei mesi di squalifica al laziale per omessa denuncia.

Sassuolo e Gregucci. Dubbi anche sul Sassuolo, che viene tirato in causa da una chat tra Erodiani e Bruni del 14 aprile 2011. All’epoca dei fatti il club neroverde disputava il campionato di B. La gara sospetta è Sassuolo-Varese 1-1 del 16 aprile. «Costo totale operazione 150. Vogliono un mio assegno a garanzia. E loro mi danno un assegno di 40/50. 50 vanno al Varese. 100 al Sassuolo. 100 perché mi danno il parziale e il risultato. Il Varese (i loro soldi; ndr) vengono a prenderseli» scrive Erodiani. Bruni si mostra un po’ titubante, ma l’amico lo rassicura: «Il Sassuolo mi ha dato dimostrazione di serietà più di una volta. Non deve saltare per tutti i soldi che chiedono». La trattativa però è complicata: «Meglio del previsto. Totale spesa 50. 2-2 confermato» dice Erodiani in serata. Bruni dà la sua chiave di lettura: «Evidentemente gli altri (soldi; ndr) al Varese li mette la società (il Sassuolo?; ndr)». All’ultimo però tutto si complica. «Non riescono a giocarla come l’avevamo programmata. Anche quelli del Varese non trovano parz/finale e ris esatto» spiega Erodiani che aggiunge «Vogliono (i giocatori del Sassuolo; ndr) fare 2 (perdere; ndr) per far fuori l’allenatore Gregucci. Lo facevano per soldi, ma se non si trova (l’accordo; ndr) approfittano per questo».

E il Parma? Dal pc di Antonio Benfenati, amico di Doni e Santoni e implicato in alcune combine, viene a galla Parma-Ascoli 2-0 (Serie B) del 21 aprile 2009. «Allora il Parma ha pagato 3 giocatori dell’Ascoli...e quindi è sicura al 90 per cento». Millanteria o c’è dell’altro? Nel gennaio 2008 infine c’è una chat dai contorni tutti da definire in cui Bruni e Sganzerla parlano di un incontro. «Eravamo io Cip Civ, il mago il bollito e Simone Inzaghi». «C’è stato scambio di soldi?» chiede Sganzerla. Bruni: «Pochissimo». Sganzerla: «Adesso lo chiamo. E ad Inzaghi non diceva niente?». Bruni: «No, era intimorito».

GASPORT 16-10-2014

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Scommesse Dalle indagini spunta l’attuale ds del Perugia. Caos nel tennis

Nel mirino Goretti e due gare dell’Atalanta

Thohir avverte Se ci sarà un altro scandalo come

Calciopoli, il movimento in Italia è praticamente morto

di GABRIELE MORONI (QUOTIDIANO SPORTIVO 16-10-2014)

Poteva diventare violento il mondo delle scommesse sportive. Vigevano regole che era pericoloso infrangere, soprattutto quando a ruotare erano i capitali investiti dagli uomini di Singapore (gli scommettitori li chiamavano «cinesi »). E’ uno dei tanti aspetti che emerge dalle perizie su computer e smartphone sequestrati a 111 indagati dalla Procura di Cremona. E’ l’l1 aprile del 2011. Massimo Erodiani, pescarese, titolare di una tabaccheria e di un’agenzia di scommesse, parla con il calciatore Daniele Corvia, all’epoca attaccante del Lecce. Si parla di mani spezzate per punizione. Erodiani: «Daniè, io ti parlo da amico. Fatti vedere che tutto si può risolvere. Oggi al referente a Singapore alle 14 gli hanno spezzato le mani e mandato in ospedale. Evitiamo queste cose. Se ci incontriamo ci sarò io ... non succederà niente». Corvia: «E ti contatto per metterci d’accordo, il portiere è d’accordo ma ha detto anche che viene solo se siamo tutti io ci sento gli altri due e ti faccio sapere. Domani mattina voglio risolvere».

Calcio ma non solo calcio. Nel suo inseguimento alle partite taroccate, la Procura cremonese si è imbattuta nel tennis, in giri di denaro, nei nomi di due azzurri. Soprattutto si assiste a una new entry: Roberto Goretti, 38 anni, attuale ds del Perugia, la sua città, un passato di giocatore in Napoli, Bologna, Bari, Como, Arezzo e Perugia. Goretti ricorre più volte nelle chat di Manlio Bruni, ex commercialista di Beppe Signori. Partite di A e B. Il 15 aprile 2010 Goretti è in chat con Bruni. «Dormo da un mio compagno che è molto amico con uno del Modena ed è in contatto costante ... Ieri sera gli ha detto che lo vogliono fare, oggi si risentono, preghiamo!». Il 17 marzo 2010 Goretti a Bruni: «Al Chievo siamo fortissimi da stasera iniziano contatti ho due compagni che ci hanno giocato non credo che per il prossimo ci siano speranze». Bruni: «Perché?». Goretti: «Dopo il primo turno».

Ma è sul tennis che «Goret» appare forte. Incontri nei quali entrano campioni nostrani e stranieri. Offerte da 20 a 60mila euro, anche 50 per un solo set. Semplice il meccanismo: perdere cercando però di aggiudicarsi un certo numero di game.

Ancora calcio. Due incontri dell’Atalanta nel campionato di serie B 2010-2011. Il Sassuolo, più volte citato, quasi un punto fermo. «Il Sassuolo – chatta Erodiani – a me ha dato dimostrazione di serietà più di una volta».

Il presidente dell’Inter Erick Thohir avverte: «Se ci dovesse essere un altro scandalo come Calciopoli, il calcio in Italia a quel punto sarebbe morto». Il presidente non alludeva in particolare a nessuna indagine, ma le sue parole risuonano come un monito molto severo al nostro movimento.

L’inchiesta di Cremona Dalla serie A al tennis, altri indizi nelle carte. Sospetti

su Mauri, e Bracciali raccontava i vizi degli azzurri. Binaghi: “La Fit è parte lesa”

È ancora caos scommesse

dagli smartphone spuntano

nuove accuse sulle combine

di GIULIANO FOSCHINI & MARCO MENSURATI (LA REPUBBLICA 16-10-2014)

C’è di tutto nelle nuove carte della procura di Cremona. C’è il seme di una inchiesta che promette di sconvolgere il mondo del tennis, che sembra aver scoperto, secondo le parole del presidente Fit Angelo Binaghi «illeciti gravissimi e intollerabili» rispetto ai quali «la federazione si dichiara fin d’ora parte lesa». Ci sono nuove partite di calcio taroccate, di serie A e di serie B. Ci sono nuovi sospetti, da verificare, su Stefano Mauri. Ma soprattutto c’è la conferma dell’impianto accusatorio della Procura che indaga dal 2011 sul grande virus dello sport italiano.

IL CASO MAURI

Il primo grande quesito, nato attorno alla perizia dei 57 smartphone e computer sequestrati ai giocatori e ai loro complici nelle prime tranche dell’inchiesta, gira attorno a un nickname — “stefano160268” — che chatta per ore e ore con Roberto Palmieri. Grande amico di Alessandro Zamperini, Palmieri è accusato di essere andato a Lecce nel maggio 2011, sfruttando i propri rapporti con alcuni giocatori della Lazio e in particolare con il capitano Stefano Mauri, per truccare Lecce-Lazio finita 2-4. È una di quelle gare su la procura ritiene di aver raggiunto prova certa che gli Zingari, il gruppo malavitoso al centro dell’inchiesta, abbiano “investito” e giocato. Bene, due giorni prima della partita Zamperini e questo stefano160268 parlano a lungo. «Stasera arriva la fresca... tieniti pronto su Bet365 per stasera con 2-3mila sul conto. E quelli russi che sai tu, tutti a nome mio, poi ricarico io da qui appena entrato». L’account estero è uno snodo fondamentale di questa vicenda: «Entri una volta creato l’account dall’estero non c’è problema ad entrare il problema è solo creare l’account capito?». Poi si va nello specifico: «Appena do l’ok mandi over 4.5 quello che c’è 10-20 se te lo dico vuol dire che non me posso sbajà».

Gli investigatori sospettano che i due stiano parlando di Lecce-Lazio. «O, Ste’, me raccomando» dice Palmieri, «non deve sape’ manco tu nipote se scende quello va a casa ‘no business’dice». Secondo la Procura, su quella partita ha scommesso forte e vinto Hrystian Ilievsky, il capo degli Zingari, che però non voleva che la quota scendesse. Come sarebbe invece accaduto se in molti avessero giocato sull’over 4.5. I due parlano poi di altre due partite: una del Crotone e una della Triestina. Poi ritornano sulla gara della Lazio: «Solo un’ora prima se no s’abbassa tutto e loro non fanno nu cazz». I due poi tornano a parlare della partita e di un’altra scommessa, questa andata male: «Se la prendevo me lavavo col Cristal».

Ora bisognerà capire chi è stefano160268. Se quel 160268 fosse la data di nascita del proprietario dell’account, questo escluderebbe Mauri. Ciononostante, viste le molte coincidenze — l’interlocutore (Palmieri), la data della partita, il tipo di scommessa (l’over 4,5), la presenza dei russi — gli investigatori hanno già messo in moto la macchina tecnica per individuare l’Ip.

LE RICCE DI CONTE

Data la natura di queste “intercettazioni”, si tratta in realtà principalmente di sms e chat, tutti — investigatori e magistrati — vogliono procedere con i piedi di piombo. È da raccontare un aneddoto che riguarda il commissario tecnico della Nazionale, Antonio Conte. Aprendo il telefono di Ferdinando Coppola, portiere del suo Siena che aveva tirato in ballo Conte per Siena- Albinoleffe, gli inquirenti trovano uno strano messaggio: «Digli a Cristian che oltre a i pacchetti per lui il mister e te abbiamo preparato 20 ricce e 20 frolle x i ragazzi che mangeranno al ritorno…». Ora Cristian è pacificamente Stellini. E il mister è Conte. Cosa sono «le ricce e le frolle?». «In un’indagine di droga sarebbe andata a finire male» sorride un investigatore: quel numero apparteneva a un amico del cognato di Coppola, che in occasione di Siena-Juve era andato a vedere la partita, aveva conosciuto i suoi idoli e per ringraziamento aveva portato i dolci. «E anche una confezione di mozzarella di bufala».

SIGNORI E L’OSTAGGIO

Non dovrebbero esserci invece equivoci su un’altra conversazione, tra Bruni, commercialista di Signori, e un nickname “giacomino. signori”. Per gli investigatori si tratta di Beppe. Parlano dei “cinesi”, gli uomini di Singapore, arrivati in Italia per scommettere. E confermano quale fosse il metodo con il quale si muovevano, lo stesso intuito dalla procura di Cremona: un assegno a garanzia e uno del gruppo che vede la partita con loro. Un “ostaggio”. Bruni: «Ma l’ostaggio chi sarebbe? Un giocatore o un altro intermediario?

Signori: «Intermediario (...) al massimo lo uccidono».

B.: «ma se accetta di essere ucciso mi fiderei... anche senza assegno (…) Ma lui in ogni caso vede la partita con loro?».

S.: «Ovvio (…)»

B.: «Pensavo, e se mettessimo in mezzo quello di stasera? Lui li conosce quelli del Chievo, o troppo casino dici».

S.: «nono lasciamo stare lui deve agire sulle altre (...) L’assegno lo tiene lui e lo strappa subito dopo la partita davanti a lui».

DJOKOVIC E LA FIDANZATA

Il protagonista principale della vicenda tennistica è invece Daniele Bracciali, di cui si è scritto ieri. È lui che parlando con il Civ racconta (o millanta) di come i tennisti italiani — da Volandri a Seppi, passando per Starace — sarebbero pronti al “match fixing”. Poi confessa a Bruni di non fidarsi più di Skype: riceve così la promessa di tre schede e tre telefonini per sé, Santangelo e Starace. Ma c’è anche un altro personaggio, Thomas Nhydal, tennista svedese degli Anni ‘80, oggi in giro per il circuito come coach che scommette e dà informazioni. «Partite sicure», giura. Anche sulla base di pettegolezzi. Per esempio, racconta Bruni, «l’allenatore di Ancic, che noi conosciamo, prima del match ha incontrato la fidanzata di Djokovic e gli ha chiesto se la sera dopo uscivano a cena e lei gli ha detto, impossibile, domani partiamo abbiamo aereo prenotato, Djokovic vuole andare a Shanghai almeno 10 giorni prima. Allora lui ha provato a chiamare il nostro uomo era senza telefono, e non si ricordava il numero, allora è tornato in albergo a cercarci per dircelo ma noi eravamo appena usciti».

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Ti ringrazio.

Quante belle frasi per descrivere l'aspirante giornalista e la sua professione, l'Ordine professionale, ecc.

E tutto quello che è successo negli ultimi tempi, specialmente la scorsa settimana?

Che fine ha fatto la loro deontologia?

L'Ordine vuole i giornalisti "formati", collettivamente o individualmente. Ma quando poi fanno quelle campagne giornalistiche, tipo quelle del dopo Juve-roma, non dovrebbe provvedere ad espellerli?

Evidentemente quest'ordine non ha un programma autoripulente.

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Ti ringrazio.

Quante belle frasi per descrivere l'aspirante giornalista e la sua professione, l'Ordine professionale, ecc.

E tutto quello che è successo negli ultimi tempi, specialmente la scorsa settimana?

Che fine ha fatto la loro deontologia?

L'Ordine vuole i giornalisti "formati", collettivamente o individualmente. Ma quando poi fanno quelle campagne giornalistiche, tipo quelle del dopo Juve-roma, non dovrebbe provvedere ad espellerli?

Evidentemente quest'ordine non ha un programma autoripulente.

Sorridi, sei su Candid Camera!

Perché è giusto pubblicare un’intervista

di ANDREA MONTI (GASPORT 17-10-2014)

La nostra intervista con Morgan De Sanctis ha scatenato una prevedibilissima reazione a catena sui social network. Al netto delle violenze verbali e delle volgarità, alcune domande sollevate dai lettori meritano una risposta semplice e chiara. La Gasport tradizionalmente non tifa, né tantomeno fomenta tensioni tra le varie fedi calcistiche. Semplicemente fa il lavoro che il lettore si attende da un grande quotidiano: cerca e pubblica interviste, possibilmente esclusive, con i protagonisti dello sport. Il giornale ha le sue opinioni, e ne risponde, ma non può essere ritenuto responsabile di quelle legittimamente espresse dai suoi intervistati. Non ha il potere di censurarle né di influire sulla loro tempistica per ragioni di opportunità (se non in circostanze gravissime) o di opportunismo. Nel caso delle vicende connesse a Juve-Roma, la Gasport ha plaudito e plaude al «diamoci una calmata» del presidente Pallotta e di tutti quelli che, sul fronte juventino e nel mondo dello sport, hanno sposato questa posizione. Ciò non toglie che le tesi di De Sanctis - pur discordi dalle nostre - siano espresse da un giocatore di rilievo con un ampio curriculum in azzurro oltre che in bianconero e in giallorosso. A questo si aggiunge un particolare non trascurabile: il portiere della Roma siede in rappresentanza degli atleti nel consiglio direttivo della Federazione Italiana Giuoco Calcio. Le sue opinioni possono non essere condivise e certamente criticate, ma sono rilevanti e vanno pubblicate. Se ciò non avvenisse il giornalismo perderebbe ogni funzione. E la Gasport potrebbe chiudere i battenti ammainando la sua bandiera di autorevolezza (attenzione, non di infallibilità) di fronte al torrente in piena dei social media e al potere sfuggente di mille voci contrastanti gettate in rete. Con tutto il rispetto per il grande agorà digitale, dopo oltre un secolo di onorato servizio e indipendenza nel giudizio, non è quello che intendiamo fare.

Modificato da Ghost Dog

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IN TRIBUNALE LUNEDÌ SI SAPRÀ SE SI POTRANNO USARE LE CONVERSAZIONI TELEFONICHE

Atalanta, via al processo-ultrà

C’è il nodo intercettazioni

di MATTEO SPINI (GASPORT 17-10-2014)

Al via il processo agli ultrà e il primo nodo è relativo alle intercettazioni. Sono utilizzabili o no? La difesa dice di no, perché il reato è cambiato in itinere (con la caduta della tesi dell’associazione per delinquere), il pm Carmen Pugliese, citando una serie di altri casi, sostiene il contrario. Lunedì si saprà.

Fase di attesa L’appuntamento in aula di ieri, davanti al giudice Maria Luisa Mazzola, è stato piuttosto interlocutorio: si trattava di uno smistamento del processo, in cui sono state affrontate le questioni preliminari. Il processo vero e proprio partirà invece il prossimo 10 novembre e non si tratta di una data scelta a caso: dal 4 novembre (giorno in cui è fissata l’udienza della Suprema Corte), infatti, è atteso il verdetto del ricorso in Cassazione del pm contro il proscioglimento di Claudio «Bocia» Galimberti e dei suoi cinque fedelissimi. I quali, lo scorso 28 febbraio, al termine dell’udienza preliminare, erano stati alleggeriti del capo di imputazione più grave, quello di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati da stadio e alle aggressioni alle forze dell’ordine: il giudice dell’udienza preliminare Patrizia Ingrascì aveva ritenuto che il fatto non potesse sussistere, archiviando peraltro la posizione del segretario provinciale della Lega Nord Daniele Belotti, accusato di concorso esterno.

Ricorso e altre accuse Chiaro che molto dipenderà dall’esito del ricorso, a cominciare dal cambio obbligato di giudice, visto che in caso di associazione per delinquere (quindi se il ricorso sarà accolto) si passerà dal Tribunale monocratico a quello collegiale. Su Galimberti e gli altri ultrà rinviati a giudizio (142, la maggior parte tifosi dell’Atalanta, altri del Catania) pendono diverse altri accuse, tra cui gli scontri di Atalanta-Catania del 2009 e Atalanta-Inter del 2010 e l’assalto alla Berghem Fest nel 2010 (più altri episodi, tra i quali l’aggressione ad un giornalista de L’Eco di Bergamo nel 2011 e quella ad un tifoso juventino che festeggiava con il figlio lo scudetto in centro a Bergamo nel 2012). Nel frattempo, ieri, il Comune di Alzano Lombardo e Atb (Azienda Trasporti Bergamo) si sono formalmente costituiti parte civile per i danni subiti.

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La Coppa d’Africa si è fermata a Ebola

Il Marocco chiede e non ottiene il rinvio per paura del virus: possibile uno spostamento di sede

Ghana e Sudafrica sono state sondate per ospitare il torneo: il via a gennaio

Timori per i tifosi in arrivo: possono portare la malattia nella nazione ospitante

di FILIPPO MARIA RICCI (GASPORT 17-10-2014)

La Coppa d’Africa è a forte rischio. La trentesima edizione della manifestazione tanto cara al calcio africano è prevista in Marocco dal 17 gennaio all’8 febbraio prossimi ma il propagarsi dell’ebola ha spinto il Paese organizzatore a chiedere il rinvio della manifestazione. La situazione è piuttosto confusa e nella giornata di ieri si sono rincorse notizie più o meno veritiere. A lungo si è detto che il Marocco ha deciso di rinunciare tout court alla Coppa, la realtà sembra essere diversa.

Preoccupazione del Marocco In Marocco sono giustamente preoccupati. Temono che il flusso di tifosi, non enorme ma comunque significativo, in arrivo dai Paesi qualificati possa contribuire alla diffusione di una malattia che ha già fatto oltre 4.500 vittime e il cui propagarsi si sta dimostrando alquanto complesso da arrestare (dopo il caso del contagio dell’infermiera Teresa Romero ieri in Spagna altre 4 persone sono state ricoverate col timore che possano aver contratto il virus). Il Ministro della Sanità marocchino, Houssaine Louardi la settimana scorsa ha parlato chiaro: «Il calcio è solo un gioco, e noi non possiamo giocare con la salute dei marocchini. Quando si tratta di ebola il rischio zero non esiste». Il Ministro dell’Informazione e portavoce del governo del Paese nordafricano Moustapha Khalfi ieri ha raccolto le preoccupazioni di Louardi: «Non possiamo essere indulgenti con la salute e la sicurezza dei cittadini marocchini». Da qui la richiesta alla Caf, la Confederazione africana, di rinviare la competizione.

Sondaggi con Ghana e Sudafrica I dubbi del Marocco però sono stati interpretati come una rinuncia, e ieri su vari media europei e africani il ritiro del Marocco dall’organizzazione del torneo veniva dato per scontato. Khalfi ha però negato la cosa all’agenzia AP, ribadendo che il Marocco vuole solo un rinvio. La Caf non ha detto nulla di ufficiale per l’intera giornata, però si è mossa in via ufficiosa: sulla sua pagina di Facebook il Ministro dello sport ghanese ha fatto sapere che la Caf ha chiesto al suo Paese se in caso di forfait del Marocco poteva farsi carico dell’organizzazione, e sui media sudafricani è apparsa una lettera con una richiesta simile inviata alla federcalcio locale.

E il Mondiale per club? La Caf ha spostato le partite di qualificazione nei Paesi considerati a maggior rischio, Guinea, Sierra Leone e Liberia, ma vuole assolutamente andare avanti col torneo, da qui i sondaggi con Ghana e Sudafrica. Le preoccupazioni del Marocco sono legittime e la questione è sul tavolo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, così come la decisione sull’opportunità o meno di andare avanti col Mondiale per Club, anche questo in programma in Marocco a metà dicembre: è previsto in tempi brevissimi un incontro tra la stessa Oms e la Fifa.

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Sorridi, sei su Candid Camera!

Che bravi quelli della gazzaladra!

A. Monti, poi, che fulgido esempio di correttezza, onestà intellettuale, moralità, professionalità, e non me ne vengono più...!

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Che bravi quelli della gazzaladra!

A. Monti, poi, che fulgido esempio di correttezza, onestà intellettuale, moralità, professionalità, e non me ne vengono più...!

Va ancora avanti dopo essere stato sfiduciato da tutta la redazione di caimani.

Un coccodrillo

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La Lega, Tavecchio e la candidatura all’Ambrogino che sfiora l’assurdo

di PIERLUIGI BATTISTA (CORSERA 17-10-2014)

Già l’Ambrogino d’Oro non è che negli ultimi tempi brillasse di un prestigio indiscusso, tra candidature provocatorie, risse sui nomi, tira e molla tra gli schieramenti, guerre simboliche, blocca tu che blocco anch’io, eccetera. Però non era necessario assestargli il colpo di grazia. E invece la Lega ha voluto battere ogni record, proponendo per l’ambìto riconoscimento addirittura Carlo Tavecchio, presidente della Federcalcio tra mille polemiche sulla predisposizione etnicorazziale al mangiar banane, sulle donne fatalmente minacciate dagli handicap, e una squalifica di sei mesi per sospetto razzismo comminata dalla Uefa. Ecco, povero Ambrogino, ora manca la candidatura del comandante Schettino per rendere definitivamente poco credibile un premio che serviva alla città per sentirsi riconoscente e vicina ai suoi esponenti migliori, ai cittadini che hanno saputo dare lustro alla comunità. Poi ci saranno le altre candidature di bandiera, tanto per guadagnarsi, allievi abusivi di Andy Warhol, un quarto d’ora di immeritata notorietà. Ma questa del presidente controverso della Federazione calcio sfiora quasi l’incredibile. E la Lega, cosa sente di così entusiasmante la Lega nella battutaccia delle banane e dei giocatori di colore? In cosa dovrebbe essere riconoscente la città di Milano di fronte a un importante dirigente sportivo che incassa senza neanche un po’ di imbarazzo una sospensione dell’Uefa, sempre che non si voglia liquidare il calcio europeo come un cenacolo di «poteri forti» in vena di persecuzioni anti-italiane? Ecco, la Lega propone chi desidera, ma i giurati non perdano neanche un minuto a esaminare una candidatura insensata. Per salvare quel che resta dell’Ambrogino, almeno. E per evitare che i «poteri forti» del mondo intero ci considerino come un popolo bizzarro ed estroso, sempre in vena di scherzi, sempre impegnati a ridere anche quando ci sarebbe da piangere.

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Per la serie, spingitori di grandi vecchi geometri

L’inchiesta
Presentata da Matarrese nel 2008, la società in sei anni
ha preso il controllo di marchi, stadi e intere squadre

Dai diritti tv al marketing
padroni del calcio italiano
con un miliardo di euro

È Infront la società di consulenza che ha fatto sua la serie A
soprattutto grazie a Lotito, Galliani e adesso anche a Thohir

di ETTORE LIVINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 17-10-2014)

La Serie A è arrivata solo alla sesta giornata. Il Campionato però ha già un vincitore sicuro: Infront Italia, la società di consulenza che è entrata in punta di piedi nel mondo del pallone nel 2008 – presentata agli altri boss della Lega Calcio da Antonio Matarrese – e che nel giro di sei anni si è impadronita di tutto: squadre, marchi, stadi, leve finanziarie, istituzioni e, soprattutto, uomini. Non è stato difficile: per controllare il calcio italiano, dicono i maligni, basta pagarlo. E oggi, dopo un’avanzata inarrestabile, Infront è al centro di un macrosistema lobbistico in cui Federcalcio e Lega, arbitri e club, controllori e controllati sono governati da un unico, granitico blocco di potere. E in mezzo alla ragnatela c’è una sola persona, Marco Bogarelli. Il volto ufficiale di Infront e ormai – dicono in molti – il vero padrone (assieme ai suoi referenti) di tutta la Serie A.


Quel centro di potere che ora dà l’assalto anche alla Nazionale
di ETTORE LIVINI & MARCO MENSURATI (la Repubblica 17-10-2014)

Per capire le cose, come sempre, è bene partire dai soldi. Sui 2,3 miliardi di euro di entrate delle 20 squadre del massimo campionato, circa 1,1 miliardi (987 milioni dai diritti tv e 150 da diritti di marketing e sponsorship) arrivano attraverso Infront. Tanto. Ancor più se si calcola che il giro d’affari del campionato comprende 417 milioni di plusvalenze. Al netto di questa voce, ogni 100 euro che entrano nelle tasche dei club, 60 arrivano da Bogarelli & C. L’advisor della Lega – che ha chiuso il 2013 con 11 milioni di profitti, più di tutte le squadre della A – gestisce pure marketing e pubblicità di Inter, Milan, Udinese, Genoa, Sampdoria, Lazio, Palermo e Cagliari. E chi ha in mano il rubinetto di questa liquidità – visto che il football tricolore è in rosso per 202 milioni – ha in pugno la sopravvivenza stessa del pallone.

I BURATTINAI
Il rapporto di dipendenza economica, funzionale e politica tra i clienti (i presidenti dei club) e chi garantisce loro l’ossigeno dei diritti tv sarebbe fisiologico e legittimo. Meno fisiologico, è il ruolo che il sistema che ruota attorno a Bogarelli – forte del suo strapotere economico sul pianeta calcio – ha finito per ricoprire all’interno del pallone. Il denaro, in questo caso, è lo strumento. Ma il vero collante, in Italia accade spesso, sono le relazioni. I grandi burattinai della Serie A le hanno costruite dal nulla: quando nel 2008 Antonio Matarrese si è presentato in Lega calcio con la cartellina "Infront" sottobraccio, erano in pochi a pensare che quella società avrebbe potuto vincere la gara per diventare advisor della Confindustria del calcio. Pochi ma buoni, evidentemente. Il fratello dell’ex numero uno del Bari si è alleato a Claudio Lotito, patron della Lazio e Massimo Cellino, presidente del Cagliari (che da Infront avrebbe incassato una penale da 10 milioni per rescissione contratto appena prima della cessione della squadra). Insieme hanno iniziato a tessere la tela del consenso portando dalla loro parte la serie B e un altro po’ di pesci piccoli. I grandi club, come al solito, sono rimasti a guardare, distratti da chissà cosa. Roma e Juventus sono rimaste all’opposizione. Galliani – l’unico che Infront la conosceva bene, vedremo poi perché – non si è esposto troppo. Ha lasciato lavorare Lotito, ammiccato alla Juve, tenuto i piedi in tutte le scarpe pronto a festeggiare. E poi ha festeggiato.

L'ASSIST PER ARCORE
Infront è diventata così advisor della Lega. E il cerchio magico di alleanze consolidato in quell’occasione – Bogarelli, Lotito, Cellino e, di sponda, Galliani – ha iniziato da allora a tirare le fila di ogni decisione importante del calcio tricolore. Ultima in ordine di tempo, il ribaltone dell’asta per i diritti tv della Serie A, dove Sky, malgrado un’offerta nettamente superiore a quella di Mediaset, è stata costretta a venire a patti con il sistema. Accettando il compromesso – regista, ovviamente Infront – che ha rimesso in gioco il Biscione: Bogarelli ha convinto la Lega – non è stato difficile viste le relazioni – ad accettare meno soldi pur di tenere vivo il mercato televisivo garantendosi due concorrenti, riaprendo così le porte ad Arcore. Un assist straordinario alle pay-tv di Berlusconi che rischiava il crac senza Serie A.

LE CAMBIALI
Per imprese titaniche come queste servono gli uomini giusti al posto giusto, Quelli che al momento buono sanno onorare le "cambiali" in scadenza. E i sistema Infront, anche su questo fronte, ha giocato bene le sue carte. Alla presidenza della Lega che ha fatto il regalo a Mediaset, per dire, c’è Maurizio Beretta. Eletto nel 2010 – a proposito di cambiali – con i voti dei soliti Lotito e Cellino – più, ça va sans dire, Galliani – contro le sette grandi (in teoria) sorelle del calcio italiano, che pure rappresentano il 70% dei tifosi. Difficile dire che Davide ha sconfitto Golia. A muovere il consenso, come al solito, sono infatti i soldi: "Il giochino è semplice – spiega un osservatore interno ai fatti della Lega che chiede di restare anonimo –. Infront negli anni ha comprato i diritti commerciali delle società che non riescono a vendere gli spazi commerciali dentro i propri stadi, sovrastimandone sistematicamente di qualche milione il valore. La cifra pagata in eccesso è il prezzo pagato per il voto in lega del presidente del club".
Una lettura maliziosa? Può darsi. Di certo il copione è andato in replica quest’estate in fotocopia con l’elezione al vertice della Figc – alla faccia dei fuochi d’artificio su Optì Pobà – di Carlo Tavecchio. A eleggere l’impresentabile sono stati i club della scuderia Bogarelli seguendo il solito schema: grandi elettori Lotito e Galliani a guidare la folta schiera. Contro, solo Juve e Roma, che hanno chiesto un passo indietro a lui e a Demetrio Albertini con una lettera firmata da Cagliari, Cesena, Empoli, Fiorentina, Sampdoria, Sassuolo e Torino.

IL DEJA VU
La partita si giocava sul filo del voto. Fino a quando la scuderia Infront ha sparigliato le carte. "Devo annà a prende’ er Cesena" ha annunciato Lotito alla vigilia del voto. La missione è finita con un trionfo: perché non solo ha preso il Cesena (che a metà luglio aveva siglato un accordo con Bogarelli, nel cui bilancio risultano versati 520mila euro ai romagnoli come anticipi per diritti di prelazione). Ma anche la Sampdoria, anch’essa cliente Infront.
Un deja vu: i soldi comprano il potere, il potere garantisce i soldi. E non a caso appena al Milan ha iniziato a salire la stella di Barbara Berlusconi (e a tramontare quella di Gallini), Infront – temendo di perdere un alleato chiave – è corsa ai ripari garantendo un contratto d’oro all’Inter del neo arrivato Thohir, che alla vigilia dell’elezione di Tavecchio – la società nerazzurra ha votato per lui – ha firmato un accordo molto ricco per la gestione commerciale di San Siro.
L’aspetto meno gradevole delle cambiali è che, a un certo punto, scadono. E quelle di Tavecchio ("un uomo che ha molte cambiali", parola del presidente del Coni Giovanni Malagò) potrebbero arrivare a maturazione in tempi strettissimi. Questo almeno temono i competitor della Infront che hanno partecipato all’asta della Figc per l’advisor commerciale della nazionale di calcio, fino ad oggi Rcs Sport. La scelta del nuovo è attesa a giorni e la candidatura di Infront per un contratto che vale intorno ai 60 milioni di euro (56 nel quadriennio 2011-2014) è considerata la favorita. Si vedrà. "Diciamo che se sull’appalto si dovessero accettare scommesse, i bookmakers non darebbero le quote", scherzano in Lega. In realtà c’è poco da scherzare. I concorrenti, oltre a Rcs (con Img) la svizzera Swissone assieme a Wpp, minacciano ricorsi alla magistratura.
Il discorso vale ancora di più per quello che viene individuato dai pochi oppositori del "sistema Infront" come il vero buco nero del calcio italiano. La vendita dei diritti internazionali. A gestire questa fetta della grande torta del pallone c’è un’altra realtà vicinissima a Infront: la Mp&Silva di Riccardo Silva, e che acquistando come si dice "vuoto per pieno" i diritti a una cifra (120 milioni circa) li rivende in giro per il mondo a talmente tanti soggetti e per talmente tante vie che è difficile sapere quanto sia l’incasso esatto, né – dicono i maligni che immaginano indicibili retrocessioni agli uomini chiave del sistema - i reali beneficiari. Unica certezza: il business è una gallina dalle uova d’oro: la cassaforte irlandese di Silva ha chiuso gli ultimi due anni con 67 milioni di utili (su 200 di ricavi, buona parte dei quali generati presumibilmente dai diritti del calcio italiano). E ha staccato per i suoi fortunatissimi soci che si perdono nei paradisi fiscali fino all’isola di Tortola dividendi per 88 milioni.
Un affare che fa gola a molti. E non a caso in questi giorni le società di serie A si stanno scannando sull’asta per il rinnovo del contratto. Le formazioni in campo sono sempre le stesse: Roma e (timidamente) Juventus fiancheggiate da Napoli, Fiorentina e pochi altri da una parte a chiedere più tempo per la decisione, Lotito e resto del mondo dall’altra. La scadenza delle offerte, alla fine, è stata posticipata a ieri, e il 20 la Lega deciderà. Ma pochi dubitano sul fatto che si vada verso il rinnovo alla MP & Silva.

I GALLIANI BOYS
Il motivo? La storia professionale di Riccardo Silva e i suoi intrecci con quella di Bogarelli. Un quadro che aiuta bene a capire chi sono da sempre gli uomini dietro il sistema Infront. I due, oltre alla passione per il calcio e i diritti tv, hanno in comune importanti trascorsi in Fininvest Silva ha il 95% di Milan Channel. Sono amici, i due. Mp&Silva, l’hanno fondata insieme (con loro c’era anche un altro manager del biscione, Andrea Locatelli). La "Mp" del brand sta per Media Partners, una società del gruppo, della quale faceva parte anche l’allora giovanissimo e promettente manager Andrea Abodi, oggi presidente della Lega di Serie B e vice presidente della Figc, già uomo chiave nella corsa di Tavecchio alla Figc. Tutti figli di Galliani, per dirla con un’espressione usata più volte nelle conversazioni ristrette dallo stesso manager milanista. Che , quando vide affacciarsi sulla soglia del palazzo del pallone la truppa agguerrita di Bogarelli & co. – si racconta – fece una smorfia ambigua e poi, respingendo le prime ipotesi di conflitto d’interessi, esclamò: "Figuratevi se farò gestire un miliardo di euro ai miei ex ragazzi allievi in Mediaset: parteciperò ad ogni operazione nell'interesse della mia società". Nessun dubbio, finora l’ha fatto benissimo.

Eh, poveri noi. Quando si confonde il diavolo con l'acqua santa

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E ora c’è pure la trattativa Stato-Ultrà

Il Riesame: è provato il ricatto dei tifosi del Napoli nella finale di Coppa Italia

«Dopo i colloqui con i dirigenti ci fu dialogo diretto con Genny ’a Carogna»

di VINCENZO IMPERITUA & AUGUSTO PARBONI (IL TEMPO 17-10-2014)

Sono le 20.45 del 3 maggio scorso, Ciro Esposito si trova da qualche minuto sotto i ferri dopo essere stato colpito da un proiettile esploso dal reo confesso Danielino De Santis, e la situazione all’Olimpico è esplosiva: fuori dallo stadio decine di uomini delle forze dell’ordine in assetto antisommossa attendono di sapere se la partita (già in ritardo sulla tabella di marcia) inizi o meno. All’interno dello stadio invece Gennaro De Tommaso, detto «A Carogna», siede sulla balaustra che divide la curva nord con il terreno di gioco: indossa una maglietta che inneggia alla libertà per Speziali, l’ultras catanese condannato in via definitiva per l’omicidio allo stadio etneo del vice questore Filippo Raciti. Gli animi sono incandescenti, i tifosi partenopei, coordinati da De Tommaso che dirige il gruppo guida dei Mastiffs «ritiravano tutti gli striscioni veicolando ai funzionari dell’ordine, tramite gli stewards, che i tifosi intendevano invadere il campo qualora il loro capitano non si fosse recato sotto la curva per parlare con i capi ultras». Una situazione esplosiva - già certificata dai commissari di campo della Figc e dalle telecamere che trasmisero la scena in mondovisione - che portò uno dei responsabili della federazione a contattare «il responsabile dell’ordine pubblico, quindi, dopo alcuni colloqui con i dirigenti del Napoli, veniva deciso di scortare il capitano della squadra Hamsik sotto la curva nord per dialogare con la tifoseria e in particolare con il loro maggiore rappresentante, ovverosia De Tommaso». Genny a Carogna intanto rimaneva appeso alla balaustra: atteggiamento che, da un lato gli ha consentito di «incrementare l’animosità della curva e di comunicare l’intenzione della curva di non permettere l’inizio della gara se non dopo un incontro chiarificatore con il capitano, dall’altro di imporsi quale interlocutore delle autorità civili e sportive per il successivo via libera». Ricapitolando quindi, il capo ultras del Napoli - che prima di arrivare all’Olimpico aveva guidato un gruppo di tifosi in assetto da guerriglia urbana per le vie di Prati - a nome dei tifosi che riempievano la curva, aveva condizionato l’inizio della partita a un incontro con il povero Hamsik che avrebbe dovuto rassicurarlo sulle voci impazzite che parlavano della morte di un tifoso. Incontro che avvenne, visto che le forze dell’ordine (in vista soprattutto di un deflusso incontrollato dallo stadio da parte delle due tifoserie) fecero l’unica cosa sensata da fare: «Le autorità - scrivono ancora i giudici del riesame che hanno rigettato il ricorso dell’avvocato Lorenzo Contucci che chiedeva l’interruzione della misura cautelare dei domiciliari per lo stesso De Tommaso - al fine di evitare possibili degenerazioni della situazione di tensione registrata nella curva, si inducevano ad organizzare l’incontro richiesto». Con buona pace del ministro Alfano che, il giorno successivo ai fatti dell’Olimpico, si era affrettato a dire che «la trattativa tra Stato e capi ultrà per giocare la finale di coppa Italia non sta né in cielo né in terra».

E se allo stadio, per assicurare l’ordine pubblico, si dovette imbastire un incontro volante (con De Tommasso che abbandona la balaustra per scendere in campo a parlamentare con Hamsik), qualche ora prima, nel cuore della Capitale, lo stesso De Tommaso marciava alla testa di un centinaio di ultras vestiti come opliti e schierati a falange nel tentativo di incontrare i supporters della Fiorentina che proprio nei dintorni di piazza Mazzini si sarebbero trovati a passare per raggiungere l’Olimpico. Sono le 17.15 - appena mezz’ora prima della rissa avvenuta qualche chilometro più a nord e che lascerà sull’asfalto il corpo esamine di Ciro Esposito - e un funzionario della Digos annota che nella zona di piazza Mazzini - area limitrofa a quella dove era prevista la concentrazione dei bus con i tifosi fiorentini - si trova «un folto assembramento di giovani, di aspetto bellicoso e valutabile oltre le cento unità, privi di insegne e di bandiere riferibili ad uno dei club impegnati nella partita, alcuni dei quali travisati con sciarpe e armati di aste e mazze». Come tirati fuori da una foto degli anni ’90, i supporters napoletani che accerchiano Prati vengono inquadrati dalle forze dell’ordine che veicolano il gruppo impedendo loro di attraversare il Tevere verso piazza delle Belle Arti. Per quanto «scortati» dalle forze dell’ordine, i tifosi guidati da De Tommaso «avanzano compatti e serrati marciando con modalità paramilitari, talvolta accendendo e lanciando fumogeni, facendo esplodere petardi, brandendo e agitando minacciosi aste rigide e bastoni verso le forze dell’ordine». De Tommaso è lì, alla testa del gruppo che, non avendo potuto raggiungere i tifosi viola, cerca lo scontro con polizia e carabinieri. «A Carogna» infatti è «sempre alla testa della compagine mentre, talvolta camminando all’indietro rivolto verso gli altri tifosi, da istruzioni sugli slogan da scandire, da disposizioni strategiche sul ripiegamento o l’avanzamento dei compagni, orienta il comportamento dei tifosi, richiama coloro che sembrano volere agire di testa propria intimando di seguire il resto del gruppo. Gruppo - scrivono ancora i giudici - «schierato a mo’ di falange, con le aste impugnate orizzontalmente a formare una lunga linea retta». Sono le 18,18, sembra una scena tratta da un film di guerra e invece è il pomeriggio di follia che ha fatto da contorno alla finale di coppa Italia: Ciro Esposito, appena una manciata di chilometri più in là, è appena stato colpito al torace e il suo sparatore, De Santis, sta subendo il pestaggio ritorsivo da parte dei supporters del Napoli. Sotto lo stadio i normali tifosi fanno la fila ai tornelli. Quel pomeriggio di un giorno da cani è ancora lontano dalla fine.

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vengo volentieri qui

perchè si respira un aria di ottimismo

che bello

però russel diceva + o - che è una necessità rendersi conto dei mali del mondo

e diceva anche che bisogna avere dubbi

io un dubbio ce l'ho

ho fatto bene a fidaemi di lui ?

mah

forse era meglio formarsi alla scuola di totti

è cosi sicuro di se.........

.penso

sefz

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vengo volentieri qui

perchè si respira un aria di ottimismo

che bello

però russel diceva + o - che è una necessità rendersi conto dei mali del mondo

e diceva anche che bisogna avere dubbi

io un dubbio ce l'ho

ho fatto bene a fidaemi di lui ?

mah

forse era meglio formarsi alla scuola di totti

è cosi sicuro di se.........

.penso

sefz

Non crederai che quello sia il peggio?

CORSPORT 17-10-2014

L’appuntamento con i lettori del Corriere dello Sport è fissato due volte al mese. E inoltre una volta al mese il capitano della Roma scriverà una sua rubrica, commentando il campionato, la Champions, la sua stagione. Un modo per farsi sentire vicino alla gente, ai tifosi, con i suoi modi semplici, che ha mantenuto intatti anche quando è diventato un campione di statura mondiale.

Le premesse di questa stagione calcistica annunciano l'apocalisse

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Diamo a quelli del Cds gli auguri di pronta guarigione.

La malattia mentale è quanto di peggio....

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la vedo dura

in campo e fuori

in campo va bene è naturale e bello

fuori è apocalittico

solo noi juventini lo possiamo sopportare

ne abbiamo viste di cose..............

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«Il regalo c’è...». Chievo, quante ombre

Sms di Bressan, Tisci e Bellavista: combine sistematiche anche in A. Evidenze pure su Cagliari e Genoa

Bellavista a Tisci: «Ma Genoa... il Bello dice che sa domani, tu lì non hai nessuno?»

di DAVIDE ROMANI (GASPORT 18-10-2014)

Un centrocampista completo deve essere in grado di interdire, impostare e farsi trovare pronto in zona gol. Uno scommettitore incallito per capire dove è possibile «aggiustare» un risultato e piazzare la giocata dovrebbe essere in grado di intavolare più discussioni in contemporanea sulle chat dei vari social. Sulla completezza in mezzo al campo di Mauro Bressan si può discutere (anche se il gol in rovesciata al Barcellona nella Champions 1999-2000 è ancora oggi una delizia) sulla sua capacità di essere uomo multitasking sembrano esserci pochi dubbi. Almeno dalle analisi del suo materiale informatico sequestrato nel giugno 2011 all’alba dell’inchiesta Last Bet che ha invaso il mondo del calcio e, cosa degli ultimi giorni, non solo. Ivan Tisci e Antonio Bellavista sono i suoi interlocutori più frequenti. Ed è sempre lui ad ammettere di essere l’interlocutore principale degli Zingari: «Solo per sopportarli dovreste darmi un premio» ribadisce l’ex Fiorentina in una conversazione con Ivan Tisci.

Contatti Chievo, Bari, Genoa e… Cagliari. Nelle calde chat che Bressan intrattiene con Tisci e Bellavista del 15 febbraio 2011 nei loro pensieri ci sono i destini di queste 4 squadre. E in particolare la 7a giornata di ritorno. La prima è il Chievo che ospita il Milan (finirà 2-1 per i rossoneri). Bellavista informa Bressan sulla situazione della squadra di Verona. «Brix (Bressan, ndr) ho parlato ora con il mio gancio a Verona. Ha già parlato con Mandelli che è squalificato… Gli ha accennato già qualcosa quindi stasera mande (Mandelli, ndr) lo ha chiamato e detto che domani ne parlava con pelli (Pellissier, ndr)… domani 90 su 100 incontro loro…». E a garanzia della situazione Bellavista rassicura Bressan: «Ho fatto mandare un sms dal mio gancio a Mandelli dicendo che anche se squalificato il regalo c’è pure per lui». E poi c’è il Genoa impegnato con la Roma (vincerà 4-3). «Ma Genoa il bello (dovrebbe essere Bettarini, ndr) ha sentito?» chiede Bellavista a Bressan che risponde «secondo me è x fisso». Ma poi in simultanea allerta Tisci: «ma Genoa… il bello dice che gli dicono domani, tu non hai nessuno li?».

Poker di giornata Non contenti della possibilità di infilare due combine in una giornata, si sbilanciano e pensano al poker. «Lazio-Bari ma dove vanno?» ironizza Bressan con Bellavista che lo aggiorna. «Mercoledì sento Bentivoglio (allora giocatore del Bari, ndr)». Gara che premierà poi la Lazio 1-0. La quarta partita di giornata viene individuata in Inter-Cagliari. E’ Bellavista ad aver intavolato la trattativa e aggiorna Bressan. «Domani mio gancio sente Cossu per il Cagliari che va a Inter». E chiude: «Ne ho di carne al fuoco devo solo chiudere l’accordo per noi».

Società Nel mese di maggio, con la Serie A andata in archivio, l’attenzione di Bressan si sposta sulle serie minori e su una società in particolare. «Hai chiamato Dionisio?» gli chiede un nuovo interlocutore (Fabio Jones Sommella) in una chat. «Cerchiamo di comprare prima il Como, a loro interessa molto». E Bressan chiude: «Domani lo chiamo e ti faccio sapere». Gli Zingari volevano comprare il Como? Di certo Mauro Bressan si conferma snodo cruciale del sistema di scommesse «aggiustate» che gravitavano (o gravitano?) in Italia.

E' vero, queste informazioni diluite nel tempo hanno stancato tutti.

Ma non vanno in prima pagina se non ci sono affinità con una società in particolare.

Chissà come mai!

Partido amañado en la Audiencia

El Huesca se querella contra el Racing y el Hércules así como contra exdirectivos de

los clubes por pactar el resultado del encuentro entre ambos que lo condenó a Segunda B

El escrito ha recaído en el juzgado de Andreu, que investiga el ‘caso Bankia’

La UEFA alertó a la Liga sobre el choque y esta abrió una investigación

por MANUEL ALTOZANO (EL PAÍS 18-10-2014)

No es la Liga de Fútbol Profesional la que ha dado el paso sino un club como perjudicado. Tampoco es la Fiscalía el organismo llamado a investigarlo, sino el tribunal que se encarga de todos los grandes casos de corrupción que azotan España desde hace unos años, la Audiencia Nacional. La Sociedad Deportiva Huesca ha presentado una querella contra el Racing de Santander y el Hércules de Alicante al considerar que el presunto amaño del partido que disputaron entre ambos el 4 de junio de 2013 en El Sardinero tuvo una influencia decisiva en el descenso del Huesca a Segunda B. El escrito ha recaído en el Juzgado Central de Instrucción número 4, cuyo titular es Fernando Andreu. El juez que investiga el caso Bankia tendrá que decidir en las próximas semanas si se queda con el caso o lo envía a los juzgados de Alicante o Santander.

La querella no la firma cualquiera. Su autor es el exfiscal anticorrupción Carlos Castresana. Y los querellados, además de los dos clubes, son sus exdirectivos Francisco Pernía y Ángel Lavín —expresidentes sucesivos del Racing— y Enrique Ortiz y Carlos Parodi, propietario y expresidente del Hércules, respectivamente. El Huesca acusa a todos ellos de ponerse de acuerdo para pactar el resultado del partido a favor del Racing y así conseguir que se salvara del descenso. El pacto, según la querella del Huesca, contenía tres partes: en primer lugar, que el Racing ganara el partido; en segundo lugar; que la primera parte terminara con el Hércules por delante, y, por último, que en total, entre ambos equipos marcaran más de tres goles.

El resultado final no fue exactamente ese. El partido finalizó 3-0 a favor del Racing ante la incapacidad del Hércules para hacer un gol. La querella cuenta cómo el equipo alicantino hizo todo lo posible durante la primera parte aunque no logró marcar, algo que el denunciante achaca a su impericia. En esos primeros 45 minutos, sus jugadores tiraron 13 veces a puerta, en cuatro ocasiones el balón dio en el palo y en otras dos marcaron goles que fueron anulados por el árbitro por fuera de juego. Según el documento, cuando el Hércules atacaba, los defensas del Racing salían del área con la presunta intención de dejarles marcar, pero los delanteros herculistas se mostraron tan inexpertos que fueron incapaces de recibir el balón en posición legal a pesar de la ayuda de sus adversarios. En el segundo tiempo, fue el Racing el que chutó a puerta 13 veces. Cinco fueron al palo. Marcó tres goles.

La querella del Huesca recoge los argumentos del documento sobre el amaño del partido que la UEFA envió a la Liga en julio de 2013 y que sirvió para expedientar a ambos clubes. Ese escrito explicaba cómo el Sistema de Detección de Fraude de ese organismo (BFDS, en sus siglas en inglés) detectó un inusual volumen de apuestas para ese partido, de Segunda División. El sistema de alarmas de la sociedad austriaca SKS365, que controla todas las apuestas por Internet que se hacen en Europa, se encontró con más de 750.000 euros apostados a que el partido acabaría con más de dos goles. La casa de apuestas Betfair facturó 12 veces más que la media para un partido de Segunda y detectó “niveles alarmantes de confianza” de que el Hércules ganaría al descanso pero acabaría perdiendo.

El equipo aragonés recuerda además que los dos directivos del Racing contra los que se querella —Pernía y Lavín— trataron de amañar otro partido de esa misma temporada ya disputado, el Racing-Girona y que terminó 0-1. Los directivos cántabros ofrecieron supuestamente al presidente del club catalán, Joaquim Boadas, que firmara un documento en el que reconociera que el Girona había alineado indebidamente a Migue y a Luso a cambio del traspaso gratuito de Albert Dorca y de una cantidad de dinero. El objetivo era que el Girona perdiera así seis puntos —tres de sanción y los tres del partido— y el Racing ganara tres, lo que le colocaría por delante del Murcia y le permitiría permanecer en Segunda División.

Pero el tiro les salió por la culata. Boadas denunció el intento de amaño al Consejo Superior de Deportes, a la federación y a la Liga. Esta última presentó una querella contra ambos que se tramita en el Juzgado de Instrucción 3 de Girona.

Modificato da Ghost Dog

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IL CASO/LUNEDÌ SI APRONO LE BUSTE PER I DIRITTI ESTERI DI A

Tre pretendenti alla Figc

volata finale per l’advisor

di ETTORE LIVINI & MARCO MENSURATI (LA REPUBBLICA 18-10-2014)

Arriva al rush finale, con la Infront nel ruolo di favorita, la gara per la scelta dell’advisor della Federcalcio e della Nazionale, uno degli ultimi tasselli che mancano nella ragnatela di potere costruita dall’asse Lotito-Galliani-Bogarelli attorno al pallone italiano. Ieri sera sono state depositate le buste con i rilanci chiesti ai tre concorrenti. In pista, oltre al consulente della Lega in originale accoppiata con “Il Sole 24 Ore”, sarebbero rimasti l’ex consulente Rcs sport assieme al colosso Img e la Swissone — azienda con base a Londra — con il gruppo pubblicitario Wpp.

La Figc aveva in un primo momento previsto la comunicazione del vincitore già ieri. L’ufficialità è stata rinviata di qualche giorno e salvo sorprese dell’ultima ora la Federazione si riunirà sotto la presidenza di Carlo Tavecchio (di cui il fronte Infront è stato grande elettore) martedì per ufficializzare il candidato prescelto. L’obiettivo minimo della gara è superare i 56 milioni garantiti dalla Rizzoli. E non ci dovrebbero essere problemi a centrarlo.

Il bando di gara, dice una fonte vicinissima a uno dei tre concorrenti, ha maglie abbastanza larghe. E i bookmaker — proprio per i legami saldati durante le polemiche e il voto per nominare Tavecchio — danno come grande favorita Infront che avrebbe presentato una proposta a tutto campo, forte pure della sua esperienza di consulenza con 8o club di serie A e con diverse nazionali straniere. Seguite direttamente dalla holding elvetica Infront Media guidata (a proposito di buone relazioni) da Philippe Blatter, nipote di Josef, il presidente plenipotenziario della Fifa.

Lunedì invece la Lega Calcio dovrebbe aprire le buste per scegliere il vincitore della gara per la vendita all’estero dei diritti tv della A. Il percorso, in questo caso, dovrebbe essere più lineare. Le regole dell’asta sono chiare e le società dovrebbero scegliere solo in base al prezzo. Chi offre di più, vince. In corsa sarebbero rimasti in due. E secondo le indiscrezioni non smentite l’offerta migliore (di gran lunga pare, con un 40% in più del rivale Img) sarebbe quella della Mp&Silva Partners, la società guidata da Riccardo Silva — ex partner d’affari di Bogarelli, numero uno di Infront — che ha già curato nell’ultimo triennio il collocamento del pacchetto oltre frontiera.

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Perfino Di Pietro tifoso bianconero

Se sa di calcio come coniuga i verbi...

di LUCIANO MOGGI (LIBERO 18-10-2014)

Il calcio è lo sport più «in» della nostra nazione e come tale è trattato dai media. Proprio per questo da qualche tempo è di moda usarlo come veicolo pubblicitario da persone ormai cadute nell’oblio. La tecnica è la solita: attendere una partita della Juve arbitrata male (nel caso Juve-Roma), per travestirsi da tifosi bianconeri (?) pieni di vergogna e cimentarsi in giudizi azzardati con il solo scopo di rilanciarsi.

Dopo l’esibizione di Marco Travaglio non poteva mancare Antonio Di Pietro che, scaricato dai suoi elettori, non ha trovato di meglio che autodefinirsi, anche lui, tifoso juventino (?) deluso e dichiarare ad una radio di essersi vergognato per la vittoria sulla Roma. Tutto è finito sui giornali e si è così potuto riparlare di Di Pietro (ormai, da buon contadino, tutto dedito alla sua campagna): proprio quello che l’ex onorevole cercava, però non nel senso da lui sperato. In molti infatti, circa 11 milioni di persone, sentendolo parlare hanno detto e scritto di essersi pudicamente vergognati di essere italiani, alcuni addirittura si sono spinti a dire che capisce di calcio nella stessa maniera con la quale coniuga i verbi.

Stessa sorte è toccata a Travaglio che, una volta perduto il suo obiettivo principale Berlusconi, sta annaspando alla ricerca di un’ancora di salvataggio: a lui, oltre agli insulti, è stato anche chiesto più volte di cimentarsi pubblicamente con prove anziché nascondersi dietro una penna, che è il suo sport preferito. Giocare a nascondino non è sinonimo di attributi, e lui non sa neppure cosa siano.

Ma udite udite, ci si è messo anche Thohir a dire che «un’altra Calciopoli rovinerebbe il calcio italiano». Evidentemente è già arrivato al punto di disperazione pari a quello del proprio predecessore visto l’andamento della sua Inter: per fargli capire cosa fu Calciopoli, lo invitiamo il 5 novembre alle 14 al tribunale di Milano: si parlerà di Calciopoli e del presidente dell’Inter di allora, Giacinto Facchetti. Se dovesse non capire l’italiano, si porti pure l’interprete, il dg Fassone, magari distraendolo dalle questioni tecniche del club: chissà se non sia un bene.

E sono arrivate pure le dichiarazioni di De Sanctis su Juve-Roma, che più o meno ricalcano quelle di Totti. Neppure l’appello del presidente Pallotta è servito a placare gli animi, tanto da farci pensare che la tattica usata negli anni che precedettero Calciopoli sia ancora per loro quella giusta: far capire agli arbitri che in casi di incertezza meglio sfavorire la Juve per evitare gli strali della critica. Ma le statistiche sono a disposizione di tutti. Dal 1998 al 2006 la squadra con più rigori a favore è stato il Milan con 70, poi la Roma (57), la Lazio (55),il Napoli (54), Inter e Juventus 53. Quelli contro: ancora il Milan “in testa” con 25, 26 la Juventus, 30 la Lazio, 39 Inter, Roma e Napoli.

Infine Mediaset e il suo opinionista Maurizio Pistocchi, che in una trasmissione di rete ebbe a dire: «Il calcio di Moggi è quello di Genny ’a Carogna». Presentata la querela, fatta la richiesta della cassetta prima da parte dell’Avvocato difensore e successivamente dalla Procura di Torino, la risposta di Mediaset è stata: «La cassetta è sparita, non si trova». Peccato che esistano invece tutte le altre dei programmi andati in onda in quel giorno. A dire la verità non ci sarebbe neppure bisogno, vista la moltitudine di gente che ha visto e sentito ed è disposta a testimoniare. Sarebbe bello però che Silvio Berlusconi facesse capire a tutti, Pistocchi compreso, che quando si dicono le cose bisogna avere anche il coraggio di sostenerle: e facesse tirar fuori la cassetta.

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