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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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LA LETTERA

Toro contro Juve. O viceversa. È chiaro che si tratta di una lotta

fra religioni monoteiste. Noi, attoniti, stiamo a vedere. Zero a zero

di LUIGI CHIARELLO (ITALIA OGGI 11-10-2014)

Caro Direttore,

dopo aver letto il cameo di Riccardo Ruggeri (di ieri, ndr) non posso che fiondarmi a esprimere il mio disagio profondo. Seppur illuminato, ieri il nostro autorevolissimo Ruggeri ha alluso a una differenza quasi ontologica tra chi da bambino ha scelto i colori bianconeri e chi propende per altre squadre. Dopo aver narrato la sua testimonianza, alludendo a una sorta di auto-apartheid aziendale di tipo calcistico in sala mensa a Mirafiori (con i granata all’angolo del tavolaccio e gli «indegni» gobbi a mangiare da soli altrove) Ruggeri si è posto e ci ha posto altre due domande estreme:

- Gli juventini si atteggiano forse ad aristocratici pur essendo individui mediocri senza virtù e senza talenti?

- E gli anti juventini sono forse individui ignoranti loschi e discriminatori?

A Ruggeri vorrei raccontare la mia esperienza di tėrrone a Torino, con papà emigrante in fabbrica (Ceat). Era un colletto bianco, ma pur sempre un tėrrone. Coltivava sentimenti misti verso Torino. Era quella degli anni 70 e del «non si affitta ai calabresi».

Mio padre provava risentimento per il disprezzo dei piemontesi verso chi lasciava casa e faceva migliaia di km per guadagnarsi la pagnotta. Provava gratitudine verso quella città che, in un modo o nell’altro, la pagnotta gliela faceva guadagnare.

Ma mio papà non si era assimilato ai tanti emigranti che tifavano Juve per senso di riscatto. Lui tifava Napoli. E non in quanto innamorato di Napoli (che pure aveva frequentato da studente di ingegneria al Politecnico), ma in quanto simbolo del Sud. Del suo riscatto.

Ma tornando a Torino, la città era strutturata in modo quasi piramidale. E la differenza in ceti si riverberava nel tifo calcistico.

Il padrone per eccellenza, Agnelli, era la Juve. Ma i suoi sottoposti, i ceti manageriali della città, i grandi dirigenti Fiat, erano quasi tutti granata. Anche se qualcuno, per opportunismo, si diceva juventino. Ancora oggi alcuni collaboratori del giovane Andrea Agnelli, che lavorano con lui alla Juve sono tifosi del Toro. Li conosco personalmente. Gente in gambissima, ma figlia di quella borghesia sabauda di cui sopra. Ancora oggi, è (come era) granata la borghesia di Torino. Quasi a distinguersi dal volgo tėrrone che riempiva la città e tifava Juve per desiderio di riscatto.

O per non voler soffrire allo stadio alla domenica, dopo aver pagato dazio per tutta la settimana in fabbrica. La linea gotica era ben visibile: i piemontesi d’origine e i torinesi «quelli veri», persino l’intera famiglia del novarese Boniperti (Boniperti escluso) tifavano Toro. Il resto d’Italia Juve. Da Juventino mi sono sentito chiamare ladro presto. Mafioso ultimamente, dopo calciopoli. Non è una bella sensazione essere continuamente oggetto di gratuiti dispregiativi. Figli del semplice fatto che da bimbetto ho scelto le strisce bianconere e non quelle di chissà quale altra squadra. Ora, a 42 anni, ho capito che l’antijuventinismo è più forte dell’antiberlusconismo. Perché quest’ultimo è destinato a scomparire con Berlusconi, mentre la Juve è ancora viva e forte da oltre 100 anni. L’antijuventinismo ha un’origine quasi religiosa. E si basa sul disprezzo verso l’onnipotente padrone. E, per molti, anche sull’invidia nel non poter essere come lui.

Inoltre, le ultime vicende insegnano come, una partita combattuta alla pari tra due grandi squadre, con episodi che potevano essere giudicati in un modo o nell’altro, ha acceso una polemica gratuita. Obnubilando le menti. È come se in questo dannato paese, il più forte debba a un certo punto fermarsi. Non possa affermarsi oltre un certo limite. La Juve vince da tre anni, dopo essere risorta da calciopoli, non vorrà mica vincere anche per il quarto anno di fila? L’espiazione in B non è servita; quella maledetta squadra doveva perire.

È l’esatto opposto del merito e della meritocrazia. La mediocritas eletta a sistema, sdoganata e collettiva, capace di unire tutti i tifosi delle altre squadre in un sol uomo contro la Juve degli Agnelli. Tutto ciò, intrinsecamente ingiusto, in fondo, è vissuto come persino auspicabile perché è la squadra dell’odiato padrone.

.sicapo

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Tant'è...gli itagliani han sempre avuto bisogno di un padrone! sefz

Quanto agli antijuventini...si, sono individui loschi, per me!Ma quand'è che se ne andranno dal paese?Che vadano in antartide, magari i pinguini li tollereranno....

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Tant'è...gli itagliani han sempre avuto bisogno di un padrone! sefz

Quanto agli antijuventini...si, sono individui loschi, per me!Ma quand'è che se ne andranno dal paese?Che vadano in antartide, magari i pinguini li tollereranno....

Basterebbe anche la semplice ironia .asd

in un paese meno malato

LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 12-10-2014

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Basterebbe anche la semplice ironia .asd

in un paese meno malato

Simpatica la lettera alla GDM

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Modificato da huskylover

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Troppo democratica la regola del vice-scudetto!

Voglio una Federazione Juventina Gioco Calcio, con presidente di PROVATA fede bianconera

Voglio un campionato con 18 Juventus, ovviamente tutte squadre appartenenti alla Juventus FC.

E le altre squadre: in serie B, C e Dilettanti, perchè per regolamento NON possono essere promosse.

QUESTO sarebbe un bel campionato! sefz

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Troppo democratica la regola del vice-scudetto!

Voglio una Federazione Juventina Gioco Calcio, con presidente di PROVATA fede bianconera

Voglio un campionato con 18 Juventus, ovviamente tutte squadre appartenenti alla Juventus FC.

E le altre squadre: in serie B, C e Dilettanti, perchè per regolamento NON possono essere promosse.

QUESTO sarebbe un bel campionato! sefz

Ok, stai sognando di vincere facile altrimenti stai ghignando così .marotroll2

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Da ieri si può scommettere sulla Lnd

Mi gioco pure la serie D

Basteranno poche migliaia di euro per combinare i match dei Dilettanti. E i precedenti in

Europa dicono che più la categoria è bassa, più sale il rischio. Il pericolo viene dall’Asia

di IVO ROMANO (Libero 12-10-2014)

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Avanti, si scommette. Ogni campionato va bene, senza limiti. Il palinsesto va arricchito, per ampliare il giro d’affari. E allora, non si fa caso a nulla. Ora tocca alla serie D, l’ultimo torneo italiano affisso in bacheca dai bookmaker di casa nostra. Comincia la Snai, altri seguiranno. Perché restare indietro non è ammesso: sono soldi persi. E poi, c’è la stantia guerra tra legali e illegali, che si trascina da anni e solo il legislatore potrà chiudere: chi non ha concessione statale opera su un palinsesto differente, chi ce l’ha prova ad adeguarsi ampliando l’offerta.

Partenza lenta, puntando su poche partite: tra ieri e oggi, 18 match quotati (su un campionato da 167 squadre divise in 9 gironi). E pazienza se la storia ci dice che più si va in basso nella scala gerarchica e maggiori sono i rischi di corruzione. La Germania insegna (e i recenti sospetti sulla terza e quarta divisione spagnola confermano): il primo scandalo, tra i dilettanti, che cedendo alle lusinghe dei corruttori intascavano ben più di quanto percepivano dai loro club. Pure la nostra storia insegna, anche quella recente. Perché i precedenti restituiscono sospetti non da poco: nessuna certezza, in assenza di indagini, ma sospetti motivati dai movimenti di gioco.

Perché per le scommesse sulla serie D non siamo a una prima in assoluto: bookmaker stranieri senza concessione in Italia le giocate sui Dilettanti le hanno già accettate. In qualche occasione, dando adito a timori. Un caso, quello davvero esemplare. Roba di due stagioni fa, nel girone che comprendeva molte squadre siciliane: 26 gennaio 2013, un anticipo, con tanto di diretta RaiSport: Ragusa-Noto. Ragusa con 29 punti (in 20 giornate), Noto penultimo con soli 14 punti. E gara d’andata vinta dal Ragusa 3-2. Numeri inequivocabili, a quel punto della stagione. E quote iniziali che favorivano nettamente i padroni di casa: sul colosso online Bet365 il successo del Ragusa bancato a 1,44. Le prime giocate, la sera prima della gara. Il grosso, la mattina stessa. E scommettitori concentrati sulla vittoria del Noto: quota che crolla, da 7,50 a 2,37. E il Noto che sbanca Ragusa: 1-4. Vero è che il Noto aveva vinto la settimana precedente, s’era appena rinforzato e poi avrebbe chiuso la stagione ben più in alto del Ragusa: ma il dato resta più che sospetto. Quanto basta per destare preoccupazione. Alla Snai, però, sono tranquilli. «La nostra decisione conferma l’interesse e la credibilità del campionato di serie D. Le scommesse legali sullo sport sono monitorate in tempo reale, sono raccolte dalla rete dei concessionari autorizzati e convalidate dal Sogei, struttura informatica del Ministero dell’Economia: queste operazioni, tramite i controlli sul sistema telematico centralizzato, consentono di controllare tutti i flussi di raccolta del gioco e di intervenire tempestivamente nel caso di anomalie».

Tutto vero. Ma resta un dato, uno di quelli che in Italia viene ignorato (o si finge di farlo): il rischio che viene dall’Asia. Perché è lì che le scommesse sono una malattia, è lì che si annida la corruzione, è lì che i più grandi bookmaker (Sbobet, Ibc, 188bet, Crown, Eastern Dynasty) hanno giri d’affari impressionanti. E sono quegli stessi bookmaker a quotare di tutto, pur di avere palinsesti sempre pieni, 7 giorni su 7, 24 ore al giorno. Quotano, anche “live”, fino alla sesta divisione inglese, alla quinta tedesca, alla quarta spagnola, svedese e norvegese, i campionati giovanili di Italia (Primavera), Belgio, Svezia, Danimarca, Repubblica Ceca, Ucraina (tanto per citarne alcuni), alcuni femminili (compresa qualche partita del campionato italiano). Con i bookmaker italiani a fare da riferimento per i loro quotisti, probabile che prima o poi si tufferanno anche sulla serie D. In quel caso, i rischi lieviteranno. E se i bookmaker italiani controllano se stessi, chi controllerebbe quelli asiatici? Le possibilità non mancano: Sportradar, ad esempio, già collabora con la Divisione Calcio a 5 della Lnd (oltre che con la Lega di A). Federcalcio e Lega si interroghino e diano una risposta.

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IL FUTURO DEL CALCIO

Fischietti a caccia di una scrivania

Quattro ex arbitri di Serie A al corso per direttori sportivi di Coverciano.

L’internazionale Paolo Bertini: «Possiamo portare idee nuove al calcio»

di DAVIDE DI SANTO (IL TEMPO 13-10-2014)

Le ex giacchette nere studiano da colletti bianchi. Soltanto nell’ultimo corso per l’abilitazione a «Direttore sportivo ad indirizzo tecnico ed amministrativo» della Figc partito il 22 settembre a Coverciano gli ex arbitri di serie A iscritti sono quattro. A cercare di passare dall’altra parte della barricata - dal fischietto alla scrivania - sono i toscani Paolo Bertini e Stefano Braschi, il bolognese Paolo Dondarini e Alessandro Stagnoli della sezione di Verona. Ex fino a un certo punto, visto che Braschi e Stagnoli sono ancora tesserati Aia, status che dovranno abbandonare se, con il diploma di ds in tasca, dovessero trovare un ingaggio in qualche club. Oltre ai pionieri come Luigi Agnolin - già dirigente della Roma e direttore generale del Siena - i precedenti anche recenti non mancano, basti pensare al romagnolo Christian Brighi, diplomatosi a Coverciano poco più di un anno fa, o all’esperienza di Massimo De Santis a L’Aquila come responsabile della comunicazione. E senza contare la scalata di Gianluca Paparesta al Bari: dopo una parentesi da club manager si è aggiudicato all’asta fallimentare - in rappresentanza di uno o più misteriosi imprenditori - la società pugliese di cui è diventato presidente.

Una tendenza che emerge in un momento storico in cui la classe arbitrale è sotto tiro, dalle inchieste alle resistenze verso l’uso della tecnologia in campo. Tanto da sembrare quasi una fuga. «Sì, ma disorganizzata», scherza Paolo Bertini, arbitro di serie A dal 1998 e internazionale dal 2003 fino al ritiro nel 2008. «Non credo che siamo davanti a una vera e propria tendenza - continua - Il mio obiettivo è cercare di capire cosa c’è dall’altra parte della barricata. Ho vissuto il calcio da un punto di vista privilegiato e molto particolare, caratterizzato da regole precise. Ora voglio capire in che modo le società prendono certe decisioni e come si gestisce un club dal punto di vista amministrativo e contabile». Oggi e domani saliranno in cattedra a Coverciano davanti agli aspiranti ds - in aula spiccano tra gli altri gli ex calciatori Igor Protti e Jonathan Binotto - il direttore sportivo del Napoli Riccardo Bigon e l’allenatore della nazionale italiana maschile di pallavolo Mauro Berruto.

Dietro al fenomeno c’è anche uno strano paradosso, quello che vuole il direttore di gara come l’unica figura non professionistica in un mondo iperprofessionalizzato. Difficile pensare che dopo una carriera passata sui campi di A e B e delle competizioni internazionali gli arbitri possano tornare a fare il lavoro che facevano in precedenza e che per anni hanno comprensibilmente trascurato. «A differenza di molti colleghi mi vanto di aver sempre mantenuto il mio lavoro a costo di sacrifici come il tempo sottratto alla famiglia - continua Bertini, promotore finanziario - perché sapevo che l’arbitraggio era una parentesi che si sarebbe chiusa. Gli arbitri a livello contrattuale sono paragonabili a dei co.co.pro, come semplici collaboratori, in realtà sono professionisti di fatto». Una professionalità che secondo molte ex giacchette nere potrebbe essere portare idee fresche in mondo spesso troppo conservatore. «Possiamo fare molto per il settore - continua Bertini - a Coverciano ci siamo resi conto che c’è grande ignoranza anche sulle regole, come si è visto nella partita tra Juventus e Roma con il gol di Bonucci, per me regolare perché al momento dell’impatto col pallone Vidal non era nello specchio visivo del portiere della Roma. Per valutare è necessario conoscere a fondo il regolamento e come è maturato perché questo è un caso esemplare di come la Fifa ha voluto ampliare la possibilità di fare gol aumentando lo spettacolo, ma anche le contestazioni».

A proposito di arbitraggi contestati, il rischio «dietrologie» è in agguato. Un esempio? Cosa succederebbe se Gianluca Rocchi diventasse tra qualche anno dirigente della Juventus? «In ogni caso credo sia opportuno un periodo anche lungo lontano dal calcio, per "spurgare" come le lumache le tossine dei campionati e delle polemiche», scherza Bertini che sogna una carriera da ds in club ambiziosi «che vogliono fare programmazione e non puntare solo sugli obiettivi a breve termine. La Roma, la Juventus, l’Udinese, ma anche società delle serie minori, piazze importanti dove investire sul calcio potrebbe dimostrarsi un affare. Il mio sogno? È il Manchester United, un club che ha dimostrato di non mettere in discussione i propri uomini dopo un risultato negativo». O dopo un errore dell’arbitro.

Dalla storia (Luigi Agnolin, per pochi mesi, non ha contribuito alle regalie d'orologi Rolex dell'AS Roma; poi è stato chiamato come commissario straordinario dell'AIA nel 2006, quando la sua imparzialità non poteva più considerarsi vergine) all'ipotesi farlocca, giusto per non provocare.

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SPORT 13-10-2014

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EXTRATIME 14-10-2014

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Life holds no bars for coach who

relishes thinking outside of bubble

Despite the increasingly imposing threat of ebola, Johnny McKinstry

tells he has no intention of turning his back on Sierra Leone

by RICK BROADBENT (THE TIMES 15-10-2014)

Behind the gate and walls of the compound, beyond other people’s bore draws and book deals, a twentysomething Northern Irishman is pondering politics, the ebola virus and the worth of football. “You do some soul-searching,” Johnny McKinstry said before locking the doors.

McKinstry has been on a remarkable journey. He swapped a chic Manhattan lifestyle to move to Sierra Leone five years ago. The country was still limping from the detritus of civil war, but McKinstry recognised the obsession with football. A voracious learner with a bag of coaching badges, he became technical director of the Craig Bellamy academy and the youngest manager in international football, and revived the fortunes of the Leone Stars over the past 18 months. Three weeks ago he was sacked by email as he crossed a mountain pass.

As Sierra Leone prepare to play Cameroon today, a match that may well confirm failure to qualify for the Africa Cup of Nations, McKinstry will be in lockdown at the academy. His former players expect to be abused in Cameroon. “Ebola” has been chanted at recent games, opponents have refused to shake hands and John Tyre, the goalkeeper, said: “You feel humiliated, like garbage and you want to punch someone.”

McKinstry, just 29, says it has been “emotional”, which reeks of understatement. “My family at home keep saying it’s time to come home, but I sat down with the families of 30 young boys at the academy and made a commitment,” he said. “The No1 priority was to keep them safe. I did not think it would mean this, with nobody ever leaving, but you don’t get to define the boundaries.”

It is not melodramatic to suggest that the ebola virus cost McKinstry his job as national coach, but he knows the bigger picture dwarfs personal ambition. However, listen to him talk of the battery of health checks demanded of his players, the ban on Sierra Leone home games, and the perils of fashioning a winning team from a nation where football had been suspended, and you could understand his simmering frustration.

Under McKinstry’s leadership, Sierra Leone did rise to the top 50 in Fifa’s world rankings for the first time, above Cameroon, Senegal and Ireland. Then the virus erupted, people’s suffering plumbed new depths and football was lost amid domestic disaster and global hysteria.

“People here are so passionate about football and so patriotic,” McKinstry said. “Just as Brazil’s players were so emotionally attached to the World Cup, so we knew that a good result would lift the nation. It would be a small victory, of course, but little bits can be very important and, rightly or wrongly, people here think we should be winning the World Cup. Certainly, we have the talent to be qualifying.”

Fate made it football’s impossible job. The authorities suspended the domestic leagues as the virus spread. It is now close to the academy in Tombo where McKinstry and his players live. “The academy is in a bubble,” he said. “It’s not quite Sierra Leone and it’s not the western world. It’s a bubble that’s protecting us. I don’t have fear for the future, I have sadness. These people have been through so much with the war, but now they are going to have to rebuild again.”

After six games in charge, the rookie head coach had lost once, benefiting from living in the country unlike Lars-Olof Mattsson, his Swedish predecessor and absentee leader.

However, when Seychelles forfeited a home game against Sierra Leone rather than admit anybody from the country, the writing was on the wall. The Confederation of African Football then said Sierra Leone could not play games at home. In Cameroon, where the team are playing back-to-back home and away fixtures, a row between the sports ministry and national association means two coaches are claiming they are in charge.

“I’d try to pick a few players from the domestic league because I wanted to promote young talent,” McKinstry said of his tenure. “That had to go on the back burner and so all our players were based in Europe or the USA. Countries hosting matches put lots of precautions in place, which was frustrating to our players because none of them had been in Sierra Leone for six months. They would ask me what it was like there, yet they had to undergo a battery of tests.”

The difficulty reached its peak when they played Ivory Coast last month. With the match in doubt, some players had to buy their own air tickets; others arrived late on Friday for a Saturday afternoon kick-off. “In no way was that good preparation to take on one of Africa’s superpowers,” McKinstry said. A two-day trip to the Democratic Republic of Congo meant “fatigue was evident from the very first whistle”.

McKinstry, who hails from a motorcycle-racing family near Belfast, leaves the academy each fortnight for provisions and business. The others stay within the walls. “We have been in lockdown for the last 12 weeks and don’t have contact with the outside world.”

Yet he has no regrets about leaving the comfort of a coaching role at the New York Red Bulls academy for west Africa and will ignore the parental pleas to go home. “We know we’re only in the first half of this crisis so we’re in it for the long haul,” he said. “The end won’t come tomorrow, but it will come.”

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Calciomercato, la Vibrac Corp finanziatore

occulto: 200 milioni investiti in estate

Prestiti per acquistare giocatori e anticipi di cassa da restituire a un tasso annuale che varia

dal 6,5 al 10 per cento. E i club che si sono rivolti alla compagnia hanno dato in pegno i ricchi

introiti dei diritti tv delle stagioni successive, assumendosi un rischio non indifferente, perché in

caso di retrocessione la garanzia offerta sarebbe venuta meno. Il tutto contro il parere di Uefa e Fifa

di ANDREA TUNDO (il Fatto Quotidiano 14-10-2014)

C’è un finanziatore occulto del calciomercato europeo. E vale l’8.2 per cento dei soldi mossi nel corso dell’ultima sessione estiva dalle Big-5, i cinque campionati più importanti d’Europa. Qualcosa come 193 milioni di euro prestati ai club per far fronte agli acquisti per rinforzare le squadre ma anche, in alcuni frangenti, dei veri e propri anticipi di cassa per chi si trova in difficoltà economiche, in un momento in cui l’Uefa continua a battere il chiodo del fair play finanziario. E’ quanto ha ricostruito un’inchiesta di Bloomberg. Alle spalle di tutto ci sarebbe la Vibrac Corp., un fondo con sede a Tortola nelle Isole Vergini Britanniche. E già in passato aveva fatto discutere. Perché la Vibrac ha elargito veri e propri anticipi di cassa nel giro di pochi giorni, da restituire a un tasso annuale che varia dal 6,5 al 10 per cento. E i club che si sono rivolti alla compagnia hanno dato in pegno i ricchi introiti dei diritti tv delle stagioni successive, assumendosi un rischio non indifferente, perché in caso di retrocessione la garanzia offerta sarebbe venuta meno.

La Vibrac avrebbe finanziato l’Everton dal 2011 al 2013, nello stesso anno identica operazione è stata portata avanti con il Fulham per un totale di 16 milioni di sterline. Nel 2012 era stato il turno del Southampton e un anno più tardi è toccato al West Ham e al Reading, che avrebbe ricevuto 11.7 milioni di euro. Un’operazione che – secondo quanto ricostruito da Bloomberg – sarebbe stata portata avanti negli scorsi anni anche da un’altra società offshore, la Mousehole Ltd., ora inattiva. Il fondo sarebbe stato controllato dallo stesso investitore della Vibrac e avrebbe ‘aiutato’ Atletico Madrid, Getafe, Deportivo La Coruna e i tedeschi dell’Herta Berlino. Poi il botto, quest’estate.

In una sessione di calciomercato che ha mosso qualcosa come 2.4 miliardi di euro, circa 200 sarebbero stati elargiti dalla Vibrac a squadre inglesi, spagnole e tedesche. Quasi il doppio di quanto investito dal tanto discusso fondo d’investimento maltese Doyen Sports, attivo da anni nelle discusse third party ownership, ovvero la possibilità che un fondo d’investimento o un singolo agente posseggano una parte del cartellino di un giocatore con il fine di ottenere una plusvalenza su un successivo trasferimento. Un modus operandi aspramente criticato dal presidente della Fifa Michel Platini perché agenti ed eminenze grigie potrebbero finire per influenzare e interferire nei rapporti tra atleti e club. E un’apertura all’abolizione delle TPO è recentemente arrivata anche da Sepp Blatter, in cerca di appoggi e consensi in vista delle elezioni del prossimo presidente Fifa alle quali si è candidato per la quinta volta.

“Le regole dell’Uefa non sono efficaci come vorrebbero. E i club medio-piccoli prendono grossi rischi per provare a competere con i più grandi”, ha spiegato a Bloomberg Raffaele Poli, fondatore dell’Osservatorio del calcio presso il CIES di Neuchatel che ha all’attivo numerose analisi sul mercato dei calciatori commissionate da Fifa e Uefa. Così dopo la grande fuga delle banche in seguito alla crisi finanziaria del 2007, il mondo del pallone guarda alle Isole Vergini dove anonimi investitori avrebbero già aperto il loro ricco portafogli. Pretendendo indietro fino all’ultimo centesimo. Altrimenti, come accaduto quest’estate al Reading, che doveva restituire 1.5 milioni di sterline d’interessi, sono pronti a inserirsi anche nelle trattative di cessione del club. A che condizioni non si sa.

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GASPORT 14-10-2014

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L’INCHIESTA DELLA ĠAZZETTA

Su sport e pedofilia la Procura

del Coni scrive a 3 federazioni

di MAURIZIO GALDI (GASPORT 15-10-2014)

«Prendendo spunto dall’inchiesta della Ġazzetta di questa mattina (ieri per chi legge, ndr) Vi trasmetto per quanto di Vostra competenza», probabilmente saranno state queste le parole che il Procuratore generale del Coni, Enrico Cataldi ha scritto a tre federazioni (tra le più importanti) per segnalare alcuni casi «conclamati» di molestie sui ragazzi dei vivai. Sulla vicenda la Superprocura è al lavoro da tempo. Il generale Cataldi (ex dell’arma dei carabinieri) ha raccolto le notizie che riguardavano tutte le persone arrestate e condannate per pedofilia. Un lungo elenco che vede una delle tre federazioni fare la parte del gigante, un elenco trasmesso alle Procure federali perché prendano «i provvedimenti del caso».

Cosa può accadere L’inchiesta della Ġazzetta ha sollevato il velo su un problema grave. Lo aveva fatto con il doping, lo ha fatto con le combine nel calcio. Come è accaduto in passato dopo le nostre inchieste sono arrivate le sanzioni. In questo caso specifico il Coni, la Procura generale nata da pochi mesi, si era già attivata e Ġazzetta ha dato il via. Ora tocca alle federazioni: i responsabili non possono essere a contatto con i ragazzi e su questo anche la legge dello Stato è chiara.

Donne Nel calcio donne hanno destato rumore queste dichiarazioni rilasciate ieri dal presidente federale Carlo Tavecchio alla Ġazzetta: «Da presidente della Lega dilettanti ho chiuso delle società di calcio femminile per adescamento di ragazze dai 15 anni in su». Componenti del settore potrebbero chiedere chiarimenti e approfondimenti a Tavecchio sul tema.

Modificato da Ghost Dog

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La polemica

Nicchi, difesa d’ufficio del pupillo Rocchi

di ROBERTO AVANTAGGIATO (Il Messaggero 14-10-2014)

Marcello Nicchi ha impiegato una settimana a valutare, pensare e infine trovare la forza di parlare. Una settimana trascorsa nella bagarre verbale scatenata dalle polemiche che la direzione di un suo pupillo, Gianluca Rocchi (toscano come lui) ha provocato dopo Juventus-Roma. Ieri Nicchi lo ha difeso, nel solito palcoscenico radiofonico (l’unico che il presidente si concede) di prima mattina sui canali Rai. «Visto alla tv Rocchi non ha sbagliato nulla. Per questo, non dovrebbe restare fermo. In un altro Paese europeo, la sua direzione sarebbe stata considerata normale. Se noi mettiamo in dubbio le sue capacità arbitrali, cadiamo nel ridicolo». Parole fuori dal coro, che suonano come un attacco verso chi ha messo sul banco degli imputati il direttore di gara toscano, che ieri sera è andato comunque a prendersi un gettone-presenza in Europa. Rivolto ai giocatori in primis, che hanno avuto la sfrontatezza di sottolineare la giornata no dell’arbitro (Tevez l’ha fatto alla fine del primo tempo in mezzo al campo, Totti nello spogliatoio a fine gara); poi i moviolisti, categoria che non è vista di buon occhio, soprattutto se comprende ex arbitri. Qualcuno potrebbe dire che Nicchi ha fatto il suo dovere di presidente, ma che ha dimenticato troppo in fretta che è qui in Italia che gli arbitri guadagnano come in nessun altro paese europeo; che è con partite come quella dello Juventus Stadium, che i nostri arbitri poi vedono l’Europa della Champions e non quella della Regions’ Cup; e che una casa non si rende pulita nascondendo sotto il tappeto, anzichè raccoglierla e portarla fuori. L’arrivo della moviola in campo (ieri Nicchi ha rivelato di aver detto sì a Tavecchio, purchè «la serie A non diventi una Playstation») può sicuramente aiutare tutti a crescere e svelenire le polemiche (che per fortuna non raggiungeranno mai i livelli toccati a Cipro, dove un piccolo ordigno è esploso davanti la sede degli arbitri) ma se l’Aia non uscirà dal proprio guscio, sarà sempre difficile instaurare quel dialogo sereno e franco tanto invocato. Ora aspettiamo che Rocchi parli in «un’intervista concordata», sperando che escano le parole che non ti ho detto: «È stata una giornata storta, scusate». Questo sì che sarebbe parlare.

Libero 14-10-2014

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Questa può essere considerata anche ironia/satira...

Il Messaggero 07-10-2014

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... ma questa pagina - anche se poi si scoprirà che quella in foto non è in realtà l'abitazione di Rocchi - denuncia più di qualsiasi discorso il terrorismo di parte della categoria non apprezzabile.

State muti, per cortesia, al Messaggero: siete delle emerite *****e!

Modificato da Ghost Dog

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Simpatica la lettera alla GDM

Purtroppo autorizzano pure un delirio

LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 14-10-2014

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Purtroppo autorizzano pure un delirio

E' tutto un delirio.

Ogni volta che vengo qua devo prima farmi forza per poter leggere gli articoli che tu vai a trovare.

Comunque, mi pare che il messaggero è esploso?

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Joined: 14-Jun-2008
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E' tutto un delirio.

Ogni volta che vengo qua devo prima farmi forza per poter leggere gli articoli che tu vai a trovare.

Comunque, mi pare che il messaggero è esploso?

C'erano dei pezzi particolarmente delicati nella selezione di ieri, in effetti.

Comunque, sì, il fegato del Messaggero è scoppiato.

Da una decina di giorni si alternano diverse imprese di pulizia nella loro redazione,

senza grossi risultati: la bile ha fugato anche le piastrelle.

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A SETTE ANNI DALLA MORTE DELL’ISPETTORE RACITI

Catania, ultrà violenti:

dieci condanne e tre assoluzioni

Per i giudici gli imputati avrebbero organizzato sistematiche azioni di guerriglia nei confronti delle forze dell’ordine

di CONCETTO MANNISI (CORSPORT 15-10-2014)

Dieci condannati, tre assolti. E’ questa la sentenza del processo di primo grado della I sezione penale del Tribunale di Catania a conclusione del processo che ha visto alla sbarra tredici ultrà, tutti facenti parte del gruppo Anr (Associazione non riconosciuta), di base a Catania ma non composto esclusivamente da sostenitori della squadra rossazzurra. Fra i condannati, infatti, c’è anche un giovane di Lamezia Terme, già tifoso della Vigor Lamezia, arrestato in passato per scontri nel Nisseno fra i sostenitori della sua squadra e quelli della Sancataldese.

E’ l’ennesima conferma che, per via di quei contorti meccanismi che regolano il mondo ultrà, la partita è solo luogo di convegno. Attorno ruotano altre vicende di alleanze (notorie quelle fra catanesi e napoletani, come dimostrò la famosa maglietta indossata da Jenny ‘a carogna che riportava lo slogan “Speziale libero”) e, nello specifico, di violenza, dove il nemico da abbattere non è l’avversario di turno, bensì il rappresentante delle forze dell’ordine, dello Stato.

E’ proprio questo che venne accertato nel corso del’indagine denominata “No stop” e da cui si origina il processo appena concluso con condanne che vanno da un anno e sei mesi a 4 anni e due mesi di reclusione per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla organizzazione sistematica di azioni di contrasto violento nei confronti delle forze dell’ordine in occasione delle partite di calcio della squadra del Catania, più precisamente finalizzata alla commissione dei delitti di resistenza pluriaggravata a pubblico ufficiale, lesioni personali, porto e detenzione di armi improprie e di materiale esplodente, lancio di materiale pericoloso e possesso di artifizi pirotecnici in occasione di manifestazioni sportive. «Non importa - si legge nelle pagine dell’ordinanza relativa al blitz fatto scattare allora dalla questura di Catania - cosa fa la squadra, conta quanti sbirri ammazziamo».

Le indagini su questo gruppo, che erano state avviate alla fine del 2006 in occasione di un’aggressione a un agente nel corso di un derby col Messina (il poliziotto era entrato in curva perché un ultras aveva simulato un malore e si era visto circondato e picchiato selvaggiamente), ebbero nuovo e definitivo impulso in occasione degli incidenti del 2 febbraio del 2007 in cui perse la vita l’ispettore capo di polizia Filippo Raciti.

In quella tragica sera, in cui si stava disputando il derby col Palermo, centinaia di ultras avviarono una vera e propria guerriglia contro le forze dell’ordine, in cui numerosi furono i feriti e in cui cadde il povero Raciti. Per quei fatti - in seguito ai quali, a detta della Procura etnea, gli stessi condannati di ieri fecero delle collette per le famiglie degli arrestati anche con metodo mafioso - diverse furono le persone ammanettate. Fra questi proprio Antonino Speziale e Daniele Micale, condannati in Cassazione per l’omicidio dello stesso Raciti.

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SCOMMESSE: BUFERA TENNIS

Lo scandalo Due azzurri sarebbero stati

intercettati dalla Procura di Cremona

Lo stesso filone del calcio Nell’inchiesta sul tennis

compaiono gli stessi personaggi delle combine nel nostro calcio

di GABRIELE MORONI (QUOTIDIANO SPORTIVO 15-10-2014)

Non solo le partite di calcio, ma anche gli incontri di tennis erano «malati» di scommesse. Le chiamavano «creme». Anche per match a Wimbledon. In casa nostra si parlava di 50mila euro e neppure per una intera partita ma per un solo set. Le perizie informatiche su pc e smartphone di alcuni dei 111 indagati dalla Procura di Cremona, svelano un aspetto nuovo nella galassia delle scommesse sportive. Al centro il pc del bolognese Manlio Bruni, ex commercialista di Beppe Signori. E’ il 9 luglio 2007. Bruni chatta con «braccio78» (il tennista Daniele Bracciali, squalificato per tre mesi, con una multa di 20mila dollari nel dicembre dello stesso anno). E’ la vigilia dell’incontro del tenista italiano con Jenkis a Newport. A presentarli è tale «goret»: «Sono con quel mio amico di cui ti parlavo, stai tranquillo, ti puoi fidare, adesso parla lui». Bruni attacca. «Domani a che ora giochi?». «Primo incontro?». Poi il commercialista formula una domanda diretta: «Possiamo parlarne di questa partita?». «Dipende», è la riposta. Bruni entra in quelli che potrebbero essere i dettagli della scommessa: «Per me dipende da come si sviluppa ... è importantissimo vincere il primo set e se possibile andare un break avanti nel secondo ... è possibile? ... in questo caso posso dare molto di più ...». Il tennista esita: «Se lo conoscevo (l’avversario - ndr) avrei potuto farlo così non posso ...». «Perché è troppo scarso?». «Così mi hanno detto ... non lo conosco». Si parla di cifre. Braccio78 scrive. «Di solito ci offrono 50 (50mila euro? - ndr)... poi dipende ... comunque domani preferisco giocarla ... magari per una prossima volta ...». Bruni non demorde. «Guarda 50 potrei farcela per prova per domani ma è indispensabile vincere il primo ... se no anche un’altra volta ... se lo so per tempo possiamo dare di più». Braccio78 risponde: «Molto importante è che quello che ci gioco lo conosca così ci parla prima perché anche dirti che vinco il primo non è facile ... magari lo perdo». La trattativa prosegue. Bruni: «Se lo vinci siamo a posto ... e 50 per te ... 50 per un set mi sembra buono». Il giocatore non se la sente, risponde che per questo giro giocherà «normale».

In una conversazione con Bruni, braccio78 si mostra preoccupato perché sui giornali è uscita la notizia della squalifica a 9 mesi di sospensione, con una multa di 40mila euro, per Alessio Di Mauro, primo tennista a subire il provvedimento per avere scommesso.

Bruni dialoga con tale Enrico Sganzerla. «Abbiamo acquistato Potito» (Potito Starace, detto «Poto», compagno di allenamento di Daniele Bracciali). «Meno male, una buona notizia», risponde Sganzerla. Bruni: «Dice che lo vuole fare. Lunedì torniamo apposta per parlare con lui». Il 10 aprile del 2011, a poche ore dalla finale del torneo di Casablanca che Starace gioca e perde contro lo spagnolo Andujar (che in passato ha battuto per cinque volte), l tabaccaio e allibratore pescarese Massimo Erodiani parla con tale Corradino. «Starace ha fatto un assegno in garanzia?», chiede Erodiani. La risposta è affermativa. La puntata sula sconfitta dell’italiano, spiega Corradino, è certa.

Le scommesse nel calcio. Entra anche la violenza. Erodiani colloquia via computer con Daniele Corvia. E’ l’11 aprile del 2011: «Oggi al referente a Singapore alle 14 gli hanno spezzato le mani e mandato in ospedale». Il Sassuolo pare essere una sicurezza nelle scommesse. Manlio Bruni chiede: «Ma in B state muovendo solo sass? ascoli pesc nulla?».

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CALCIO E POLITICA

Renzi taglia l’Irap? Per i club un risparmio da 40 milioni

Se passasse la manovra del governo calerebbe la pressione fiscale sulle società

di MARCO IARIA (GASPORT 15-10-2014)

Dai timori di una stangata alle avvisaglie di uno sconto. Pare che il premier Matteo Renzi si diverta a giocare con gli umori delle società di calcio. Prima le minaccia chiedendo loro di pagare gli straordinari delle forze dell’ordine (25 milioni) e incassando, alla fine, un prelievo soft da 6 milioni circa; poi le manda in solluchero con una misura che, in realtà, investe tutti i settori: il taglio da 6,5 miliardi dell’Irap, a partire dal 2015, per rilanciare l’economia. Come? Eliminando il costo del lavoro dalla base imponibile. Finora gli stipendi non potevano essere dedotti, in futuro sì e questo cambia tantissimo per i club calcistici. Negli ultimi anni le società di Serie A, B e Lega Pro hanno versato in media per l’Irap 40 milioni di euro a stagione. Se la promessa di Renzi si materializzerà, il risparmio potrebbe essere attorno all’80%, quindi di circa 30 milioni. L’Irap poggia su tre voci: l’utile di bilancio, il costo del lavoro e gli oneri finanziari. La loro somma algebrica dà la base imponibile su cui applicare l’aliquota del 3,9%.

Effetti Se considerassimo Serie A, B e Lega Pro come un’unica azienda, avremmo la seguente situazione: altro che profitti ma perdite aggregate di circa mezzo miliardo, che compenserebbero in parte gli 1,4 miliardi di costo del lavoro e i 100 milioni di oneri finanziari, per una base imponibile di un miliardo e un’Irap, appunto, di circa 40 milioni. Questo è lo scenario, ma ai fini del calcolo bisogna valutare caso per caso. Nel calcio le società che producono utili sono in netta minoranza ma ci sono. E quelle continueranno a pagare l’Irap, anche se molto meno che in passato. La grande maggioranza dei club è destinata a non pagarlo. Prendiamo il caso della Juve, il cui presidente Andrea Agnelli si è lamentato proprio per l’iniquità dell’Irap: ha chiuso il bilancio 2013-14 in perdita di 6,7 milioni per effetto dei 7,2 di Irap, calcolata sui 184 milioni di costo del lavoro e i 12 di oneri finanziari, al netto del deficit. Con il nuovo regime i bianconeri avrebbero dovuto versare solo 200mila euro. Spiega Ezio Maria Simonelli, presidente del collegio dei revisori della Lega: «Il taglio dell’Irap consentirà di rendere più competitive le imprese ad alta intensità di lavoro, come quelle calcistiche. A fronte di una piccola rinuncia, anche lo Stato ne beneficerà perché potrà crescere il valore produttivo su cui si calcolano le tasse. E il calcio già dà tanto all’Erario: un miliardo tra imposte dirette e contributi, addirittura 2,7 miliardi considerando tutto l’indotto».

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La storia

Grande SPONSOR

fa grande il club

La Red Bull cinque anni fa ha rilevato i dilettanti dell’Ssv Markranstadt, diventati

la Rb Lipsia. Nuovo stadio da 44mila posti e la squadra che punta alla Bundesliga

di IVO ROMANO (AVVENIRE 15-10-2014)

Un nemico, per tutti. La rivale più odiata, nel calcio tedesco. Questione di soldi, vagonate di quattrini, tanto da poter aggirare norme, calpestare regole. Per di più, a Lipsia, ex Germania Est, dove il Muro caduto ha trascinato giù anche il calcio, che lì viveva di legami forti (con la politica, l’establishment, l’industria statale). Poi arrivò la Red Bull e nulla fu come prima. Prese un club dei bassifondi calcistici, dove il pallone è puro divertimento o poco più, e lo condusse in alto, fin quasi a scorgere le luci abbaglianti della Bundesliga. Un altro balzo, e andrà a braccetto coi grandi del calcio dei campioni del mondo. Il capitalismo applicato al football, là dove la politica aveva a lungo imposto altro. E il rumore dei nemici, sempre più numerosi, ad accompagnare la scalata, finora incontrastata.

È la storia dell’Rb Lipsia, che non sta per Red Bull, ma per RasenBallsport, un modo elegante ma non troppo per appiccicare quel marchio senza nominarlo, perché se la legge lo vieta c’è sempre un modo per aggirarla. Storia breve, appena 5 anni. Tanto è passato da quando la Red Bull rilevò l’Ssv Markranstadt, club di quinta divisione, e gli diede il nuovo nome, promettendo l’approdo in Bundesliga nel giro di un decennio. Programma accelerato, se è già in seconda divisione, subito nei quartieri alti, là dove si può sognare la promozione.

La Red Bull ci aveva già provato, un paio di anni prima: nel mirino il Sachsen Lipsia, la seconda squadra (dietro la gloriosa Lokomotiv), tentativo fallito per via delle protesta dei tifosi, poco inclini a svendere la loro storia al miglior offerente. Timidamente ostacolato, anche l’acquisto del Marktranstadt, battaglia di retroguardia alfine sconfitta.

E via col nuovo che avanza, nel nome del capitalismo più spinto. Decine di milioni di euro investiti, uno stadio nuovo di zecca (manco a dirlo, chiamato Red Bull Arena, roba da oltre 44mila posti a sedere) al posto del vecchio Zentralstadion, magliette griffate prima Adidas e poi Nike (quest’ultimo contratto, firmato quest’anno, fino al 2025), sponsor del calibro di Hugo Boss, Porsche, Volkswagen. Un mare di soldi, a scapito delle regole. E infinite polemiche, dopo la promozione in seconda divisione. Licenza garantita, malgrado le norme infrante: la legge del 50+1, che prevede la maggioranza del pacchetto azionario nelle mani dei tifosi (soci). Di qui, l’odio (sportivo) che lievita, con la campagna «Nein zu Rb» (No all’Rb), promossa da tifosi di 10 squadre di seconda divisione, poi allargatasi a sempre più gruppi, in tutta la Germania.

L’Rb Lipsia sente il rumore dei nemici e avanza in campionato. Un altro salto in alto e sarà Bundesliga, in netto anticipo rispetto ai programmi. Il capitalismo al potere, regola non scritta del calcio moderno. Poi, ci sono gli altri, quelli alle regole non scritte vogliono sopravvivere. Anche nello stesso campionato, la Zweite Liga tedesca: il St. Pauli, seconda squadra di Amburgo, che unisce sotto i propri vessilli una comunità di quartiere (St. Pauli, appunto) e si rifà ad altre regole, che ne hanno fatto un mito, un club col cuore a sinistra (in politica), concepito come una struttura democratica, con a capo un presidente eletto dai tifosi, che del club sono anche membri, e con tanto di statuto, con regole ben precise, anzi più che regole una vera e propria attitudine, tipo il divieto di indossare qualunque cosa inneggi o richiami all’estrema destra. Non sono mancati, i tempi duri. Ma ci si è arrangiati con la fantasia, per raccogliere un po’ di quattrini: gruppi rock che si esibivano per beneficenza, le prostitute del quartiere che si autotassavano, i pub che applicavano un sovrapprezzo sulle birre da donare al club. E la storia continua.

In campionato, sarà sfida nella sfida, tra Rb Lipsia e St. Pauli: il capitalismo applicato al calcio e il suo opposto. Altri a quella logica si sono ribellati, soprattutto in Inghilterra. A Wimbledon, ad esempio. Che estate, quella estate. Lo definirono «il grande tradimento», e decisero di vendicarsi. Occhio per occhio, dente per dente: addio al vecchio club, sostenuto per anni, nella buona e nella cattiva sorte; tutti insieme con rinnovato entusiasmo per dar vita a uno nuovo di zecca, sempre a Wimbledon, periferia londinese. Idea nata il 28 maggio del 2002, il giorno del «grande tradimento», quando la federazione diede l’ok al progetto di trasferimento del vecchio e glorioso Wimbledon. Il club dalla storia ultracentenaria (fondato nel 1889) era in crisi, i dirigenti convennero che l’unica soluzione era prendere armi e bagagli per trasferirsi a Milton Keynes (si chiama Mk Dons), 70 miglia più a nord. Un autentico affronto per i tifosi, che partirono al contrattacco. E fu allora che la nuova creatura, l’Afc Wimbledon, prese forma. Poi, la lenta scalata, fino alla League One (la quarta divisione). Un nuovo club, nato per mano di tifosi traditi.

Si sono sentiti traditi pure alcuni tifosi del Manchester United, traditi dalla famiglia Glazer e dalla loro politica. Fu per questo che 10 anni fa fondarono un altro club, denominato United of Manchester. Fra i due, una sorta di abisso: uno dei club più prestigiosi del mondo e uno semi-professionistico, uno stadio da 75mila posti e uno da 5mila, un giro d’affari da oltre 400 milioni di sterline e uno da poco più di un milione, debiti per 340 milioni e parità di bilancio. E poco male se c’è chi ha stelle e gioca ai più alti livelli. Per qualcuno, il calcio si fa ancora con il cuore anziché i capitali.

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BOLOGNA

Sì all’avvocato col

pallino del football

SHOPPING Dopo anni la star dei processi Usa riesce ad acquistare

una squadra italiana. E in panchina sogna di portare Mancini

di LUCA PISAPIA (IL FATTO QUOTIDIANO 15-10-2014)

Nella notte è arrivato il closing, il nuovo proprietario del Bologna Calcio è Joe Tacopina: avvocato di New York famoso per le sue apparizioni televisive, per aver preso parte a processi mediatici o per essersene spacciato protagonista, come quando fu invitato a Porta a Porta come difensore di Amanda Knox, salvo che poi i legali della ragazza l’hanno diffidato a presentarsi come tale. L’avvocato che piace alle televisioni ha finora pagato 6 dei 12 milioni previsti per l’aumento di capitale del Bologna Calcio, 6 si è impegnato a versarli entro dicembre e 6 li ha usati per liquidare la vecchia proprietà, per un totale di 18 milioni di euro. Altri 100 milioni sono stati promessi da Tacopina per il futuro, tra la ristrutturazione dello stadio e un progetto di grandeur che vorrebbe coinvolgere in panchina Roberto Mancini. Tutto molto bello. Il lieto fine a una favola cominciata sette anni fa, quando per la prima volta Tacopina si avvicina al calcio italiano come emissario di George Soros, che vuole comprare la As Roma: l’offerta è di 280 milioni, ma il giorno della chiusura un fantomatico sceicco ne offre 400, e l’affare salta. Tacopina non si perde d’animo, e l’anno dopo cerca di acquistare il Bologna, per sé e non per Soros, ma l’affare salta di nuovo. In quel periodo Tacopina si accompagna con Steve Horowitz della banca d’affari americana Inner Circle Sports LCC, quelli che hanno poi fatto prendere a Tom Werner il Liverpool e a James Pallotta la Roma. E in qualche modo il cerchio si chiude, con Tacopina che fino al mese scorso della Roma di Pallotta è vicepresidente. Nell’acquisto del Bologna invece, Tacopina si fa accompagnare da Joey Saputo, imprenditore canadese, titolare dell’azienda di famiglia Saputo Incorporated: una delle maggiori industrie casearie del Nord America, creata dal padre Lino immigrato dalla Sicilia. Lino Saputo faceva affari con la Grande Cheese Company di Joe Di Bella, uomo di Giuseppe “Joe” Bonanno, uno dei boss della mafia canadese, ma l’Fbi ha escluso collegamenti diretti. La DIA di Roma invece, ha scritto l’Espresso nel 2007, ha aperto un’inchiesta per riciclaggio su alcuni affari tra la società fondata da Lino Saputo e Vito Rizzuto, altro boss di Montreal, anche questa inchiesta chiusa senza incriminazioni per i Saputo. E così oggi Joey Saputo e Joe Tacopina si possono godere il Bologna Calcio.

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Causa Juve-Figc?

Niente Italia a Torino

Con l’Inghilterra allo Stadium solo

se si arriva a un’intesa fra le parti

La richiesta di risarcimento danni del club bianconero per Calciopoli è stata iscritta a registro: in ballo ci sono

443 milioni di euro per Calciopoli. La Federcalcio vuole capire se esiste la possibilità di chiudere il contenzioso

di FABIO MONTI (CORSERA 15-10-2014)

C’era una vecchia promessa della Federcalcio, gestione Abete: Italia-Inghilterra, amichevole del 31 marzo (3 giorni dopo la partita con la Bulgaria del 28, qualificazioni europee), allo Juventus Stadium, dove gli azzurri hanno già giocato con la Repubblica Ceca (2-1, 10 settembre 2013), guadagnandosi il via libera al Mondiale. La promessa rimane e c’è la volontà di onorarla, ma è congelata, perché il nuovo governo del calcio, presieduto da Carlo Tavecchio, vuole prima capire se la causa con la richiesta di risarcimento che la Juve ha presentato nel 2011 nei confronti della Figc va avanti o c’è la disponibilità a ritirarla.

La causa presentata dalla Juve è stata iscritta a ruolo e tutto lascia capire che il club bianconero sia deciso ad andare avanti. In questo caso la Figc, che non ha niente contro la società presieduta da Andrea Agnelli, se non grande considerazione e ammirazione per quanto ha vinto e sta facendo ora, non andrebbe a casa di chi l’ha portata in tribunale e rischia di mandarla in rovina. La Juve, nelle oltre 100 pagine del ricorso al Tar del Lazio, ha evidenziato come «la quantificazione dei danni ingiusti patiti dalla Juventus Football Club s.p.a in conseguenza dell’illecita condotta tenuta dalla Figc è pari ad euro 443.725.200». Un cifra che la Figc non sarebbe mai in grado di pagare. Nel dettaglio: 79,1 milioni per la mancata partecipazione alle coppe europee; 60 milioni per le cessioni sottocosto di giocatori svalutati dalla retrocessione in Serie B (la svendita di Ibrahimovic avrebbe causato 44,7 milioni di mancata plusvalenza); 41,6 milioni di mancati diritti tv; 110 di calo di valore del marchio Juve; 20 di danni per il ritardo di due anni nell’edificazione dello stadio di proprietà; 133 milioni di calo del titolo azionario.

La questione della sede di Italia-Inghilterra potrebbe essere l’occasione per un definitivo chiarimento fra Juve e Figc su Calciopoli, otto anni dopo l’inizio di tutta la storia.

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Joined: 07-Jul-2006
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Sinceramente spero che la rappresentativa FIGC se ne stia BEN lontana da Torino!

Capirai che perdita...

la rappresentativa di una "federazione" che ha distrutto la Juve nel 2006!

Per me questi individui (chiamarli "signori" è un complimento) avranno il mio ETERNO disprezzo e GODRO' sempre delle loro DISFATTE!

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Joined: 14-Jun-2008
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Sinceramente spero che la rappresentativa FIGC se ne stia BEN lontana da Torino!

Capirai che perdita...

la rappresentativa di una "federazione" che ha distrutto la Juve nel 2006!

Per me questi individui (chiamarli "signori" è un complimento) avranno il mio ETERNO disprezzo e GODRO' sempre delle loro DISFATTE!

La FIGC starà lontana dallo JS (la Juventus non è obbligata a concederlo).

La partita la giocheranno a Torino ma all'Olimpico, senza allungare oltre la manfrina.

Si tratta solo di speculazioni giornalistiche per esacerbare il sentimento popolare antijuventino.

Le solite *****e!

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