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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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GASPORT 24-08-2014

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IL CASO / DUE CANNONATE COLPISCONO L’ARENA DI DONETSK, LA CASA DELLO SHAKTAR DELL’OLIGARCA AKHMETOV

Bombe sullo stadio dei campioni filorussi

di ANDREA SORRENTINO (la Repubblica 24-08-2014)

Nella città fantasma, anche la meravigliosa Donbass Arena, vanto e orgoglio di Donetsk, è stata sfregiata dai colpi dell’artiglieria. È accaduto ieri e ne ha dato notizia lo Shakhtar, il club proprietario dello stadio, precisando che i danni all’impianto sono evidenti, ma almeno non hanno causato feriti. La squadra peraltro è lontana da tempo, vive tra Kiev e Leopoli. Perché il calcio ai tempi della guerra è anche mollare tutto e andarsene a giocare a mille chilometri da casa, al sicuro. Ed è entrare in territorio ostile e affrontarne le conseguenze, perché la politica ti segue ovunque: «Luglio, prima di campionato. Noi contro il Metalurh. Pubblico scarso. Pronti, via e dopo appena 12 secondi Adriano segna l’1-0. Lo stadio inizia a fischiarci e a ululare. Fischierà anche il gol del 2-0. Nella seconda partita, contro il Metalist, viene più gente. Meno fischi, più partecipazione. Vinciamo 1-0, si sente qualche applauso. Forse, lentamente, si abitueranno a noi. Forse». Ci spera Dario Srna, capitano dello Shakhtar Donetsk che domina il campionato ucraino: ha vinto gli ultimi cinque e otto degli ultimi dieci. Lo allena il rumeno Mircea Lucescu, vecchia conoscenza della serie A, con due assistenti italiani, i bresciani Dario Nicolini e Massimo Ugolini. Dallo scorso maggio, per sfuggire al conflitto, hanno trasferito quartier generale e campi di allenamento a Kiev, ma giocano le partite casalinghe a Leopoli, 1000 chilometri esatti da Donetsk, sul confine occidentale con la Polonia. Giocheranno lì anche la Champions League, e una visitina potrebbe pure toccare a una squadra italiana: dipenderà dal sorteggio Uefa della prossima settimana.

Solo che Leopoli è un fortino del nazionalismo ucraino e lo Shakhtar è di proprietà di Rinat Akhmetov, uomo più ricco del paese nonché principale sponsor, all’epoca, del governo filorusso: amico personale di Yanukovich, ne finanziò l’ascesa al potere. Per questo, e per tutta l’Ucraina, lo Shakhtar è la squadra dei russi, dei nemici della patria. Da qui i fischi ai gol dello Shakhtar, nonostante una poderosa operazione- simpatia che il club ha provato a organizzare in fretta e furia. In attesa che Leopoli si scongeli, il cuore di tutti è rimasto a Donetsk, e alle pene del suo popolo. Srna è tra i più lacerati, perché è allo Shakhtar dal 2003 e perché lui, croato, ha alle spalle una terribile storia familiare causata dalle guerre nella ex Jugoslavia: «Il mio cuore è ferito, la mia anima è ferita. Cerchiamo di star vicini alla nostra gente vincendo le partite. Ogni vittoria è per i tifosi, pensiamo sempre a loro. In attesa che torni la pace». Dieci giorni fa, Lucescu e i giocatori hanno inviato in un ospedale da campo di Berdyansk i primi aiuti per soccorrere tre bambini (14, 4 e 1 anno) colpiti da una granata nel cortile di casa, e bisognosi di cure per molti mesi. Taras Stepanenko, centrocampista, ha portato medicine e vestiti, oltre a palloni e magliette per gli altri bambini ospitati dalla struttura. Ma il cuore rimane lacerato, e la guerra continua.

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BERLINGSKE 24-08-2014

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Appena trovo un articolo almeno in inglese lo allego.

Comunque, la piccola Danimarca è devastata dalla scoperta del calcioscommesse - asiatico, tanto per gradire - in casa.

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Del Piero con il 10 di Puskas

La Honved a un passo dal sì

Oggi a Torino c’è l’incontro decisivo. L’ex juventino potrebbe giocare

un anno a Budapest nella squadra di Vierchowod. Ma le sirene indiane...

A favore di Ale anche diritti d’immagine, merchandising e parte dei diritti tv

di MATTEO BREGA & GIOVAN BATTISTA OLIVERO (GASPORT 24-08-2014)

Un anno a Budapest, per chiudere la carriera con la maglia numero 10 di Ferenc Puskas. Un anno all’Honved per diventarne anche il testimonial mondiale. Alessandro Del Piero domani riceverà a Torino la delegazione dello storico club ungherese per valutare di persona l’offerta che il direttore generale Fabio Cordella ha confezionato per lui circa due settimane fa.

L’offerta Le cifre dello stipendio questa volta non arrivano dalla busta paga. Perché le casse dell’Honved non possono competere con l’offerta indiana (un milione e mezzo di dollari netti per tre mesi). E quindi ecco la struttura dell’offerta pensata da Cordella. Tutti i diritti di immagine e di merchandising ad Alessandro, più una parte dei diritti tv internazionali delle partite dell’Honved, finiranno all’ex capitano della Juventus. Una cifra che non si può quantificare immediatamente, ma che può aggirarsi tranquillamente intorno al milione e mezzo di euro di base. L’offerta, se vogliamo, ripercorre un po’ l’accordo Figc-Puma con Conte perché in questo caso lo sponsor tecnico Givova ha sposato l’idea iniziale. In più, l’Honved sarebbe disposta ad andare incontro alle esigenze di Del Piero: nel caso una franchigia americana si facesse avanti, potrebbe uscire dall’accordo il 31 dicembre 2014. In tempo per volare negli Stati Uniti e giocare sei mesi nella Major League. Anche se questa ipotesi, al momento, non ha ancora i contorni delineati. La decisione sarà presa da Del Piero in tempi brevi.

La famiglia Tra i vari aspetti che Del Piero sta tenendo presente nella scelta, la famiglia si attesta al primo posto. Il figlio più grande tra pochi giorni inizierà la scuola e pertanto per Alessandro e la moglie Sonia sarebbe più complicato spostare tutti nel caso si scegliesse l’India. Invece l’opzione Budapest avrebbe meno problemi logistici. Nella capitale ungherese sono presenti scuole internazionali di ottimo livello e l’Honved avrebbe già pensato alla sistemazione dell’intero nucleo familiare.

La squadra All’Honved troverebbe un po’ di Italia e di Juve. Oltre a Cordella, l’allenatore Pietro Vierchowod, il difensore Raffaele Alcibiade e poi Andrea Mancini, il secondogenito di Roberto, e due prodotti del vivaio bianconero come Daud e Job. La società è in mano a George Hemingway, passaporto americano, ma origini anglo-ungheresi. Imprenditore internazionale visto che parla correttamente la lingua magiara e nell’Est Europa ha portato diversi negozi delle catene Pizza Hut e Kentucky Chicken Fried. Tifoso di Manchester United e Real Madrid, poco incline alla diplomazia con la frangia più estremista della curva, con lui alla guida sono arrivate due coppe d’Ungheria, ma non ancora il titolo nazionale che manca dal 1993. Quest’anno la partenza è stata lenta: 6 punti nelle prime 4 giornate, un distacco di 6 punti dal Videoton che al momento le ha vinte tutte. Squadra giovane con un allenatore nuovo. Il tempo e la voglia per risalire ci sono. Il terzo posto che vale i preliminari di Europa League dista solo quattro lunghezze. La fascia da capitano aspetta Ale. Chissà che il gap con tutti gli altri non lo possa colmare proprio lui.

Riprendo pari pari da un articolo letto qualche giorno fa:

Rinunciare alla gratificazione dell’essere particolarmente abili in qualcosa, però, non è facile. Alcuni chiamano questa sensazione di benessere «flow», lo stato ottimale in cui sui perde persino la cognizione del tempo, citato per la prima volta in una teoria dello psicologo di origini ungheresi Mihály Csíkszentmihályi che per anni ha studiato la felicità e la creatività. «Come lo sport praticato ad alto livello è centrale nella vita dell’atleta – spiega la psicoterapeuta Sara Binazzi, esperta in psicologia dello sport e autrice di un libro sull’argomento - così lo può essere il lavoro nella vita di una persona nel momento in cui tutto vi ruota quasi esclusivamente attorno, a tal punto da rinunciare anche a coltivare altri interessi. Il momento del pensionamento può essere vissuto positivamente come una nuova sfida da affrontare, un’opportunità, in alcuni casi però può essere anche percepito come una perdita, può portare ad esperire un senso di vuoto, sentimenti di tristezza, inadeguatezza, inutilità e in casi più gravi condurre alla depressione». Sarebbe dunque opportuno, conclude, che «fasi di transizioni così importanti fossero gradualmente accompagnate da una progettualità, affinché la persona possa arrivare maggiormente preparata ad affrontare il cambiamento».

Gli ho voluto bene ad Alex.

Voglio sperare che non abbia bisogno più dell'ingaggio milionario per andare avanti e gli auguro di appendere gli scarpini sponsorizzati al chiodo senza strascichi psicologici.

Modificato da Ghost Dog

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Riprendo pari pari da un articolo letto qualche giorno fa:

Gli ho voluto bene ad Alex.

Voglio sperare che non abbia bisogno più dell'ingaggio milionario per andare avanti e gli auguro di appendere gli scarpini sponsorizzati al chiodo senza strascichi psicologici.

Ho pensato la stessa cosa.

Mi sembra che Del Piero voglia a tutti i costi sfruttare l'ultimo lauto contratto, Ungheria o India che sia.

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Choc nel calcio: Ebossé ucciso in campo dai suoi tifosi

  • 24 agosto 2014
(Sportal.it)
A 110 chilometri da Algeri, allo stadio Tizi Ouzou, i padroni di casa del Js Cabilia perdono 1-2 con l'Usm Algeri nella seconda giornata di campionato.
Troppo per i tifosi, che al triplice fischio hanno scatenato tutta la loro rabbia contro i giocatori che si apprestavano a uscire dal rettangolo di gioco: un furioso lancio di oggetti che ha costretto tutti gli elementi in campo a scappare a ripararsi.
Non ci è riuscito l'attaccante camerunense Albert Ebossé che, ironia della sorte, è stato lunico marcatore della squadra di casa. Il 24enne è stato colpito alla testa da un fumogeno o da una pietra, le dinamiche sono ancora da chiarire, e si è accasciato a terra. Portato via d'urgenza dai sanitari, il ragazzo è morto in ambulanza mentre veniva trasportato in ospedale. Il ministro dell'Interno Tayev Belaiz ha ordinato che venisse aperta un'inchiesta.
Ebossé, che la scorsa stagione ha vinto la classifica marcatori trascinando la propria squadra al secondo posto in campionato e in finale nella Coppa d'Algeria, in passato era stato nel mirino del Chievo e in seguito cercato in Francia da Nantes e Montpellier.
Come riferisce il quotidiano spagnolo Marca, il calciatore ucciso era diventato padre da pochissime ore.

(A cura della redazione di Sportal.it)

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Indagine su puntate milionarie

Scommesse sospette

È il ritorno di Calciopoli

D. Di Santo (Il tempo)

La denuncia Federbet attacca: anomala pioggia di denaro sulle quote Over nella gara di coppa Italia di Lega Pro Scommesse sospette, ancora fango sul calcio

Centinaia di migliaia di euro puntati sul match Ascoli-Ancona con tanti gol: è finito 5-3

Un derby marchigiano carico di emozioni e soprattutto di gol, quello di sabato sera tra Ascoli e Ancona. Tanto da attirare - quote alla mano - i sospetti di Federbet, organismo internazionale con sede a Bruxelles attivo da tempo contro la manipolazione degli eventi sportivi, partner di federazioni e club di mezzo mondo. La partita a eliminazione diretta valida perlaterza giornata del girone G di coppa Italia di Lega Pro è finita con un punteggio pirotecnico: 5-3 per i bianconeri. Otto reti che hanno infiammato il pubblico presente allo stadio Del Duca. Ben «7.512 spettatori» tra i quali il noto attore «Neri Marcorè e il vescovo Giovanni D'Ercole, per oltre 90mila euro d'incasso», sottolinea con giustificato orgoglio la stampa pi-cena. Una raffica di reti arrivata dopo un'oscillazione quantomeno sospetta delle quote a disposizione degli scommettitori. La gara, infatti, era quotata da diversi book-maker e «un'anomala immissione di denaro a ridosso del fischio d'inizio ha determinato il crollo dell'Over 2.5», commenta Francesco Baranca, segretario generale di Federbet. Si tratta della giocata in cui lo scommettitore incassa se vengono segnati almeno tre gol. La quota in questione è scesa da 2.7 (puntando un euro se ne incassano 2.70) a 1.6. «Quella più redditizia, l'Over3.5, è letteralmente precipitata da 4.8 a 2.5 - continua Baranca - così come la Gg, entrambe le squadre a segno. Un tracollo dovuto a un'iniezione massiccia di denaro nel circuito. Parliamo di oscillazioni causate da cifre nell'ordine di centinaia di migliaia di euro piovute su una partita di coppa Italia di serie C che, sebbene si trattasse di un derby molto sentito, normalmente avrebbe attratto un numero di giocate molto inferiore. E senza nessuna notizia particolare legata a defezioni o cambi nelle formazioni». L'approccio delle organizzazioni and-fixing è squisitamente numerico: troppi soldi su una partita, troppi soldi su un range limitato di scommesse, risultato chepremiale aspettative dei maxigiocatori. A far accendere la spia di Federbet - partner ufficiale, tra gli altri, della Liga de Futbol Profesional spagnola - è anche un altro elemento. «L'abbassamento dell'Over non è coinciso con variazioni legate alle quote dell'esito della partita». In sintesi, chi hapuntato forte - anzi, fortissimo - sulla goleada non ha giocato sulla vittoria di una delle due squadre, né sul pari. L'importante, erano i gol. Per la cronaca, ad aprire le marcature è l'ascolano Mustacchio, rete bissata da Mengoni. Ancona a segno con Tulli, replica bianconera di Perez. Il primo tempo finisce 3-1, nel secondo l'Ascoli fa cinquina con Berrettoni e Chirico. Il forcing finale premia l'Ancona con le reti di Gelonese e Pizzi

Modificato da huskylover

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GASPORT 25-08-2014

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QUOTIDIANO SPORTIVO 25-08-2014

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Peccato che, nella perversione atipica della celebrazione, non possano assegnargli una medaglia al valore.

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 25-08-2014)

Tavecchio assolto in Italia

e adesso cosa farà l'Uefa?

Il Procuratore Federale, Stefano Palazzi, esaminati gli articoli di stampa, gli esposti presentati, i filmati acquisiti e la documentazione trasmessa dalla Figc alla Fifa e alla Uefa, ha disposto l'archiviazione del procedimento avente ad oggetto: ''Frasi pronunciate dal presidente della Lega Nazionale Dilettanti durante l'assemblea del 25 luglio 2014 ed in altre interviste a organi di stampa'', perché non sono emersi fatti di rilievo disciplinare a carico del neo presidente della Figc, Carlo Tavecchio, sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo. Palazzi aveva ricevuto due esposti, uno della Federsupporter e l'altro da un ex esponente dell'Ufficio Indagini, l'avvocato Francesco Cariti. Entrambi chiedevano la condanna di Tavecchio in base all'articolo 11 comma 1 del codice di giustizia sportiva: "costituisce comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, ogni condotta che, direttamente o indirettamente, porti offesa denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero configuri propaganda ideologica vietata dalla legge o comunque inneggiante a comportamenti discriminatori".

Palazzi, non velocissimo nel chiudere l'indagine, ha stabilito che quella di Tavecchio è stata solo una gaffe, non una violazione delle norme nemmeno in maniera indiretta. In realtà Tavecchio non si era rivolto ad un calciatore identificabile, ma a Opti Pobà, nome di fantasia. E il suo esempio, malriuscito, voleva essere positivo, tanto che nel suo programma elettorale aveva previsto anche lo ius soli sportivi. "E poi la mia storia insegna...", aveva detto, scusandosi più volte di quelle parole. Ora la Figc trasmetterà subito gli atti a Fifa e Uefa. L'Uefa, ad esempio, ha appena aperto una sua inchiesta: ma in base al "ne bis in idem" è stabilito, nella giurisprudenza mondiale, che non si può rispondere due volte dello stesso reato. Ne terranno conto a Nyon? La stessa Uefa potrebbe archiviare oppure impugnare la decisione di Palazzi davanti al Tas di Losanna. L'Uefa comunque va avanti autonomamente nella sua inchiesta e solo nelle riunione della commissione disciplinare, riunione prevista per l'11 settembre ma che potrebbe essere anticipata, decidere cosa fare. Potrebbe tenere conto dell'archiviazione di Palazzi oppure squalificare Tavecchio in campo internazionale. In questo caso il presidente Figc farebbe ricorso al Tas, e non si dimetterebbe. Ma è probabile, a questo punto, che il caso sia definitivamente chiuso e Tavecchio possa lavorare nel completare la sua "squadra".

Ill.mi Tosel e Palazzi, sta per arrivare in Italia un giocatore il cui nomignolo è "el Negro". Mi raccomando!

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Marco Iaria (Gasport, 26-08-2014)

TAVECCHIO E UN'ARCHIVIAZIONE CHE SCATENA EFFETTI IMBARAZZANTI

ora cosa dovremmo dire a quel ragazzo del-l'Atalanta squalificato per dieci giornate, poi ridotte a cinque, con tanto di rieducazione sociale, per aver dato del "vu' cumprà" a un avversario? E alle migliaia di tifosi lasciati fuori dagli stadi per gli odiosi buu o per i cori sui "napoletani colerosi" urlati da qualcuno? Potrebbero essere devastanti gli effetti dell'archiviazione del caso-Tavecchio disposta dal procuratore federale Palazzi, dopo che la frase su Opti Poba "mangiatore di banane" aveva suscitato un'indignazione senza precedenti. Devastanti perché non un giudice ma, addirittura, un "pubblico ministero" rischia di vanificare il senso di mille battaglie in nome dell'antirazzismo, appoggiate da questo stesso giornale: la scorsa stagione, nella sola Serie A, dieci partite si sono giocate con uno o più settori chiusi e le società hanno pagato in ammende quasi un milione di euro, anche per l'estensione alla discriminazione territoriale, ormai sdoganata. Si fa una gran fatica a comprendere come quell'offesa che associando implicitamente gli extracomunitari alle scimmie sarebbe al primo posto in un'ipotetica graduatoria delle espressioni discriminatorie, sia stata ritenuta da Palazzi non rilevante ai fini di disciplinari "sia sotto il profilo oggettivo sia sotto il profilo soggettivo". Ma come? Era stato lo stesso Tavecchio ad ammettere l'errore e a scusarsi. Così si finisce per alimentare le dietrologie sui controllori-controllati e per allontanare sempre di più la gente, legittimata a pensare che la giustizia non sia uguale per tutti. È un'occasione persa per il calcio italiano: il procedimento, che magari si sarebbe concluso con ]'assoluzione di Tavecchio, avrebbe consentito di dibattere il delicato tema delle parole sul razzismo, di ciò che è giusto eticamente (no, qui non si tratta di politically correct) e dei limiti che tutti, presidente della Figc compreso, devono rispettare. Non una bella figura nei confronti dell'Uefa, che ha tuttora un'inchiesta aperta. E provate a immaginare l'imbarazzo del giudice sportivo che ogni settimana tira fuori notarilmente il tariffario delle multe, comprese quelle scattate per il "m***a" rivolto al portiere rivale dai bambini in curva allo Juventus Stadium

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Peccato che, nella perversione atipica della celebrazione, non possano assegnargli una medaglia al valore.

Si, ma un mini processo di beatificazione l'hanno già iniziato.

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FALCAO ALLA JUVE OLTRE L’INGAGGIO

DECISIVO L’INTRECCIO DI INTERESSI

di CARLO LAUDISA (GASPORT 27-08-2014)

Sognando Falcao non si fa peccato. Da giorni ormai l’attesa della Juve per il responso del Monaco alimenta le considerazioni più disparate. La trattativa è nei fatti: il club bianconero ha un piano che ha conquistato l’interesse del colombiano. Nelle prossime ore capiremo se anche il miliardario russo Dmitrij Rybolovlev accetterà la formula di un prestito per la partenza del suo costoso gioiello.

Ovviamente lo scoglio maggiore è l’ingaggio da 12 milioni netti del giocatore. Ed è questo il punto che alimenta i dubbi degli scettici. In una storia normale quest’idea non avrebbe ragion d’essere. La Juve ha dei paletti di bilancio ben chiari, con un budget di spesa che impedisce significativi investimenti a breve termine. Tuttavia Radamel Falcao si trova in una condizione davvero eccezionale. Quando un anno fa il suo potente agente, Jorge Mendes, congegnò il suo trasferimento nel Principato ci fu un autentico patto a 3. Tra lui, l’amico Rybolovlev e l’attaccante che nell’Atletico Madrid aveva dimostrato doti da goleador eccezionale. L’idea era di dare al giocatore una vetrina adeguata alle sue ambizioni entro un anno. L’aspirazione di Falcao è sempre stata quella di giocare nel Real, ma quell’obiettivo non appare alla portata. Ecco perché adesso la prospettiva bianconera lo lusinga non poco. In questa partita, però, hanno un ruolo fondamentale i fondi d’investimento con cui Mendes da anni si relaziona da par suo. Il manager di Cristiano Ronaldo e Mourinho è stato abilissimo a far crescere in maniera esponenziale il suo giro d’affari grazie agli ottimi rapporti avviati con i vari soci che da tempo investono nel calcio portoghese. La favola del Porto è sotto gli occhi di tutti. Poi è seguita la felice esperienza con l’Atletico Madrid. Quindi è arrivato il turno anche del tycoon russo proprietario del Monaco con cui evidentemente sono nati affari importanti in questo lasso di tempo. E per completare il quadro c’è anche il feeling con Peter Lim, il magnate di Singapore che ha appena messo le mani sul Valencia dopo aver provato ad acquistare anche il Milan.

L’intreccio di interessi è evidente, come la filosofia dell’agente portoghese che con questa strategia va in soccorso degli imprenditori che nel calcio vogliono competere in fretta con club dal brand ben più appetibile. Nella scalata verso il successo l’aiuto di finanziatori esterni permette di abbattere barriere storiche altrimenti insuperabili. In Italia questo tipo di partnership non è ammessa dalle norme federali. Come di fatto avviene in Inghilterra, dove la Premier League ha chiuso le porte a determinate operazioni dopo le disavventure per Tevez e Mascherano. Sotto traccia si è aperto un dibattito sull’argomento dalle nostre parti. C’è chi spinge per aprire a questo tipo di legami extrasocietari. Altri, invece, ritengono indispensabile proteggere lo status quo. Nella vicenda di Falcao non ci sono interventi esterni. Quindi la Juve sta facendo la sua strada in completa autonomia, ma è chiaro che i rapporti pregressi intorno all’attaccante sudamericano possono avere il loro peso. A prescindere da quale sia il verdetto tanto atteso in casa bianconera.

Allora, io non credo molto a questa storiella su Falcao alla Juventus.

Mendes sta sfruttando la sponda della Juventus.

E comunque, anche se in Italia non sarebbero ammesse le TPO, in realtà ci sono partecipazioni con bridge club e intermediari opachi.

E per la Juve vale anche il precedente dell'acquisto di Alvaro Morata, gestito dalla Doyen Sport così come lo stesso Falcao. E la Doyen Sport non più tardi di tre mesi fa si è resa disponibile ad investire nel calcio italiano 200 milioni di euro circa: semmai è proprio questa la ratio dietro le voci sul possibile arrivo di Falcao alla Juve.

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IL CAMPIONATO DELLE MAGLIE VUOTE
(Matteo De Santis su La Stampa)
Al via la A: 7 squadre su 20 non hanno scritte sulle maglie. Tra le big europee solo due casi La grande fuga degli sponsor dal calcio Gli effetti della crisi si fanno sentire anche nel calcio. A pochi giorni dall'inizio del campionato, in serie A troppe sono ancora le squadre senza una griffe in bella mostra sul petto. Un problema per sette società su venti: Fiorentina, Genoa, Lazio, Cesena, Palermo, Sampdoria e addirittura la Roma, seconda l'anno scorso e tra le favorite nella corsa al titolo. Parla l'esperto di marketing Marco Nazzari: «I club pagano dieci anni di errori, chi investe pretende strutture e progetti». Sponsor in fuga,, 7 squadre su 20 non ce l'hanno: l'appeal del nostro torneo non è mai stato così basso Non solo difficoltà economiche: è l'effetto di violenza, stadi vecchi e assenza di campioni

La crisi si misura anche dalle magliette rimaste senza sponsor. Tante, troppe e portatrici di inevitabili danni economici per le squadre ancora prive di un marchio in bella mostra sul petto e d'immagine per l'intero sistema della serie A, sempre meno ricca e affascinante rispetto alla concorrenza estera. Se una volta, quando in Italia si spendeva e si spandeva con disinvoltura, ad agosto le sette sorelle erano le pretendenti per lo scudetto, ora sono quelle a caccia di una sponsorizzazione. Questo, purtroppo, passa il convento. Le maglie ancora vuote di Cesena, Fiorentina, Genoa, Lazio, Palermo, Roma e Sampdoria, nella settimana d'inizio del campionato, rappresentano un record negativo mai registrato in Italia e ovviamente l'ennesimo campanello d'allarme sul-l'appeal in pericoloso ribasso della serie A. Esaurite da un pezzo le vacche grasse di quando anche le provinciali potevano fregiarsi di marchi multinazionali, i tempi magri stanno andando oltre le peggiori previsioni. Lo dimostra, senza pietà, il raffronto con il resto dell'Europa che conta: Premier League, Bundesliga e Ligue 1 senza un buco libero sulle maglie delle loro squadre, Liga con spazi disponibili solo sulle casacche di Valencia e Levante. In Italia, prendendo spunto dal titolo di una famosa commedia musicale, è ancora caccia aperta a sette sponsor per sette magliette. Per ognuna di queste ci sono storie, motivazioni, valori di mercato e strategie differenti. La Roma made in Usa, ad esempio, ha fissato l'asticella per l'incasso dal «main sponsor» a 14-15 milioni e non intende abbassarla più di tanto, come dimostra il gentile rifiuto a una compagnia aerea internazionale pronta a offrirne 4-5 per vedere il proprio nome abbinato a Totti e compagni. Stesso discorso per la Lazio, ormai all'ottava stagione senza uno sponsor fisso. «Non sminuisco il valore del nostro marchio solo per metterci uno sponsor», il ritornello di Lotito. Il Genoa rappresenta una realtà più unica che rara: per ora ha solo un cosponsor (McVitie's) e non quello principale, ma può comunque contare sul minimo garantito dal contratto di «marketing agent» con l'advisor Infront. Casi singoli a parte, il trend negativo riguarda l'intero sistema. La principale causa della progressiva fuga o latitanza degli sponsor dall'Italia, nonostante il recente via libera all'inserimento anche di un terzo marchio sul retro delle divise da gioco, è proprio l'immagine trasmessa all'estero dalla serie A. La crisi economica generale ha influito, ma molto di più (in peggio) hanno fatto le desolanti cartoline di stadi obsoleti e sempre meno gremiti, la convinzione miope di manager e dirigenti di poter andare avanti solo con la spartizione della torta dei diritti televisivi, la progressiva sparizione dei top player e, salvo eccezioni, l'assenza di strategie concrete di marketing, di propaganda sui nuovi social media e di controllo dei diritti d'immagine dei calciatori. Triste morale della favola: il bacino d'utenza del calcio italiano è molto più spostato sul mercato interno che su quello esterno. La cartina di tornasole arriva anche da chi, per sua fortuna, gli sponsor ce G ha: quasi tutti marchi nostrani, pochissimi provenienti da fuori. Non come avviene, persino nelle serie minori, in Inghilterra, Spagna, Francia e Germania. D dislivello, d'altronde, è evidente sotto tutti gli aspetti. Anche sul prezzo d'etichetta: 15,750 milioni di euro all'anno della Tim per griffare la serie A contro 50 milioni di sterline a stagione della Barclays, a breve neanche più sufficienti per targare la Premier League. Ogni differenza non è affatto casuale

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Giuseppe Botero su La Stampa
Diritti tv, arma a doppio taglio I bilanci delle società nelle mani di un numero ristrettissimo di media: Crepe del sistema
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IL LEGAME A DOPPIO FILO CON LE TV

Il gap con l'Europa: indietro nei ricavi e gestioni artigianali

Sette anni consecutivi di bilanci in perdita, un indebitamento netto che ha sfondato il miliardo e mezzo. E le prospettive, spiegano dalla società di revisione Deloitte, sono cupe: «Ci aspettano altri due anni difficili», dice Dario Righetti, partner responsabile del Consumer Business Italia. A strangolare il sistema calcio, concordano gli analisti, è un mix di dilettantismo, investimenti sbagliati e conti perennemente in rosso. «Se le società fossero normali imprese private molte di loro avrebbero già portato i libri in tribunale», spiega l'economista Tito Boeri. Ci sono eccezioni, ovviamente. Nella «Football Money League», la classifica che fotografa i ricavi dei club europei, la Juventus - l'unica a poter contare su uno stadio di proprietà -6 al nono posto, e il Milan si piazza subito dietro. Gli altri arrancano. Tra le leghe europee la nostra si piazza al quarto posto, ma la Francia ha messo la freccia. Non è un caso che gli sceicchi abbiano investito sul Paris Saint Germain: nel giro di tre anni ha quadruplicato i ricavi. «Hanno intravisto spazi di crescita che qui non ci sono», ragiona Righetti. II nodo dei diritti tv Al momento l'ossigeno arriva soprattutto dai diritti tv. Masi tratta di un'arma a doppio taglio, che preoccupa anche i vertici della federazione. II mercato è «nelle mani di un numero ristrettissimo di media - si legge in un report della Figc -. Se dovessero valutare il loro investimento come non più profittevoleodecidere strategicamente di non investire più nel nostro Paese, il sistema sarebbe improvvisamente ridimensionato». L'appeal delle nostre gare, tra l'altro, è in picchiata Nella Premier League i diritti esteri valgono 908 milioni di euro, qui 117 (2013/14). II modello tedesco L'esempio, indicano gli analisti di Deloitte, è la Germania: bilanci positivi per 12 club su 18, un giro d'affari in crescita da otto anni e, nel frattempo, un titolo Mondiale. «Le fabbriche di consenso devono trasformarsi in fabbriche di profitto», ragiona Fausto Panunzi, docente di economia alla Bocconi. Traduzione. «I club sono amministrati in modo artigianale e, per troppo tempo, le società sono state legate al business principale del proprietario». Gestioni deboli, che hanno appaltato agli abusivi un pezzo di merchandising, che nei bilanci vale meno del 15%. II Real Madrid, nella prima settimana dopo l'acquisto di Rodriguez, ha incassato 15 milioni grazie alle t- shirt. Da noi fa affari soprattutto «l'industria del tarocco». I brand deboli Non stupisce, dunque, che gli sponsor tecnici guardino altrove: il Manchester United ha firmato un accordo decennale con l'Adidas da oltre 941 milioni di euro. Nella serie A comanda la Juventus che, proprio grazie all'intesa con Adidas mette in cassa, complessivamente, circa 30 milioni di euro all'anno, dieci più di Milan (Adidas) e Inter (Nike). Quello dei nerazzurri è un caso particolare, spiega Luciano Canova, Faculty member alla Scuola Enrico Mattei di Eni Corporate University e collaboratore de La Voce.info, perché neppure nella stagione vincente di Mourinho la società è riuscita a creare un brand forte, esportabile. Tocca a Thohir cambiare rotta: il primo passo è l'ingaggio di Michael Bolingbroke, ex direttore organizzativo al Manchester United.

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«Operazione immobiliare, serviva una gara»

IL DEPUTATO PD: «TRADITO LO SPIRITO DELLA LEGGE. L’IMPIANTO SIA DI PROPRIETÀ DELLA ROMA»

di SIMONE CANETTIERI (Il Messaggero 27-08-2014)

Umberto Marroni, deputato Pd, quali sono i rischi dell’operazione Tor di Valle?

«Partiamo dall’inizio. La legge sugli stadi, che rimane troppo ambigua, è fatta per agevolare la ricapitalizzazione dei club e non per permettere operazioni immobiliari a società collegate. Lo dico subito: il Pd è per tutelare gli interessi della As Roma, quindi il Comune e la Regione devono fare in modo che l’impianto sia di proprietà della società, altrimenti si corre un grosso rischio».

Cioè?

«Che un domani Pallotta esca dalla Roma e che il club continui a pagargli l’affitto dello stadio: sarebbe una follia, lo spirito della legge approvata in Parlamento dice altro».

Oltre all’impianto, c’è il tema dei 900 mila metri cubi di cemento sulle sponde del Tevere. Non esisteva un compromesso migliore per il Comune?

«La zona si trova in un’area difficile e complicata dal punto di vista urbanistico e dei trasporti in generale, soprattutto, le cubature aggiuntive non rientrano nello spirito della legge».

Si spieghi meglio.

«Tolti i volumi per lo stadio, questa tecnicamente è una variante urbanistica bella e buona, non prevista dal Piano regolatore».

E’ un problema di strumenti urbanistici?

«A Tor di Valle si sta tentando di fare un’operazione ordinaria attraverso una legge straordinaria. Il Comune deve vigilare».

Le cubature, dice la legge, sono legate a una compensazione con le infrastrutture di interesse pubblico. Ma anche su questo tema si naviga a vista. Per molti, ormai anche nel suo partito, gli investimenti rischiano di essere insufficienti. Concorda?

«Bisogna fare un’analisi attenta su questo concambio tra cubature e infrastrutture. Dopodiché penso che le opere pubbliche, distinte dall’operazione stadio, anche se funzionali, andrebbero messe a gara con il meccanismo previsto dal Piano regolatore generale».

L’Aula Giulio Cesare potrà incidere sul progetto?

«Lo auspico. Perché come si vede la materia è molto complessa e delicata per la Capitale: ecco perché su un’operazione di questo genere è giusto che si esprima anche il consiglio comunale con un dibattito articolato di merito, non solo la giunta. Stiamo parlando di una scelta strategica non solo per il futuro della Roma, come squadra di calcio, ma di un’intera città».

Intanto, il Pd è in tilt. E Giuntella, il presidente del suo partito, si rifà al vecchio centralismo democratico: zitti e Mosca su Tor di Valle. Certi temi non si possono affrontare nel Pd?

«Il Pd è d’accordo a fare lo stadio della Roma, però la discussione è sul dove e sul come. Quindi Giuntella potrebbe convocare l’assemblea e agevolare un dibattito nel partito democratico, altrimenti anche la sua è un’opinione personale».

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Wilson Raj Perumal: The man who fixed football

"Football is no longer a sport. It is more like a business now.

So I think we're just trying to make money out of this business"

"Wilson is a bit of an enigma. But every piece of information that

he gave out of Finland and Hungary that came our way was right.

We end up with a game that lacks integrity, with the game's reputation

in tatters and with fans not really knowing what they're watching"

by DON RIDDELL & MATTHEW KNIGHT (CNN 27-08-2014)

How much of a fix is football in?

"The human condition makes people naturally

vulnerable when lots of money is involved"

by DON RIDDELL & MATTHEW KNIGHT (CNN 27-08-2014)

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MARCA 27-08-2014

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Hernandez, il colpo dei soliti noti

di PIPPO RUSSO (la Repubblica - Palermo 27-08-2014)

La cessione di Abel Hernandez è un affare. Certamente. Ma bisogna capire per chi. Di sicuro, 12 milioni sono cifra di rilievo. Ma le perplessità rimangono, e non soltanto riguardo alla perdita di qualità che deriverebbe per il già povero organico rosanero. È soprattutto la figura di colui che sta orchestrando la trattativa a generare interrogativi. Un personaggio sfuggente in ogni senso. Il suo nome viene storpiato in Pablo Betancourt, quando in realtà è Pablo Martin Bentancur Rubianes.

La sua nazionalità viene spacciata per uruguayana (o addirittura argentina), e invece è peruviana. Soprattutto, egli viene etichettato come agente e invece non gli è mai interessato esserlo. Più giusto definirlo commerciante di calciatori. Uno dei tanti speculatori di cui è piena l’economia parallela del calcio globale, e con in più delle vicende oscure nel curriculum. La sua agenzia Vansomatic (sede legale in Svizzera) è di questi tempi parecchio chiacchierata. Era già stata oggetto di una denuncia presentata a giugno 2013 dai deputati argentini Manuel Garrido e Graciela Ocaňa alla giudice uruguayana Adriana De Los Santos, titolare di inchieste sul riciclaggio di denaro nell’area fra Uruguay e Argentina. La vicenda è stata ripresa in queste settimane da alcune fonti giornalistiche: un articolo di Piero Messina e Maurizio Zoppi pubblicato sul sito web dell’Espresso, e soprattutto un post redatto per il sito web personale dal giornalista investigativo Juan Gasparini. Quest’ultimo è autore del libro Las bóvedas suizas del kirchenirismo, in cui viene ricostruito il percorso segreto del Dinero K, cioè i fondi costituiti all’estero dalla famiglia presidenziale argentina dei Kirchner e riciclati da fedelissimi del regime al potere.

Nel mirino delle inchieste giornalistiche e giudiziarie sono le 148 società costituite dalla Helvetic Service Group grazie all’operato di Nestor Marcelo Ramos, avvocato con passaporto italiano, con la presunta collaborazione dell’esperto uruguayano di diritto societario Juan Pedro Damiani (che però smentisce) e per conto di Lázaro Báez, faccendiere di fiducia del clan K. Della galassia Helvetic, sulla quale è in corso un’indagine della magistratura svizzera, fa parte Vansomatic. Attraverso la quale, secondo Gasparini, Bentancur ha comprato la scorsa settimana il 40% del Lugano calcio. Da chi? Da Enrico Preziosi, presidente del Genoa con alle spalle due condanne penali: 4 mesi (condonati) per la frode sportiva di Genoa-Venezia, e 1 anno e 6 mesi in primo grado per il mancato versamento di 8 milioni di Irpef.

Anche Bentancur ha avuto qualche magagna giudiziaria: una legata a un’inchiesta sulla prostituzione d’alto bordo in Argentina che lo ha visto tirato in ballo come testimone, e un’altra in Italia relativa a una sospetta evasione fiscale consumata dal Cagliari di Massimo Cellino a margine della cessione di David Suazo all’Inter nel 2007, poi archiviata. Interpellato dal settimanale ticinese Il Caffè, Bentancur ha smentito di avere acquistato il Lugano tramite Vansomatic e ogni altra speculazione. Le cronache lo definivano impegnato a intermediare il passaggio di Angel Di Maria dal Real Madrid al Manchester United. Una bella mangiatoia da 70 milioni di euro.

Rimangono i termini dell’affare che portano Hernandez allo Hull City, a proposito del quale gli informatissimi quotidiani sportivi portoghesi rammentano un dettaglio: al Penarol, ex club di Hernandez, spetta il 45% dei diritti economici, da scalarsi dal prezzo di vendita. Su 12 milioni sarebbero 5,4, da sommarsi ai 3,8 sborsati dal Palermo quando il calciatore arrivò in Sicilia. Fanno 9,2 milioni, incassati standosene con le mani sulla panza, mentre il Palermo dovrà sottrarre quei 3,8 per calcolare una plusvalenza che a quel punto sarà di 2,8 milioni. Bello fare affari col Palermo, di questi tempi. Con l’aggiunta di un dettaglio ulteriore: il presidente del Penarol è il signor Juan Pedro Damiani, quello che spergiura di non aver mai avuto rapporti con Helvetic e Vansomatic.

Purtroppo capita così, quando si frequenta certi giri di mercato e gli squali dell’economia calcistica parallela globale. Sotto questo profilo, il Palermo della declinante era zampariniana persevera. È in arrivo il brasiliano Emerson Palmieri.

Che ha alle spalle un curriculum di ben 16 (sedici!) partite con la maglia del Santos e un’agenzia che si chiama Elenko Sport. La compongono una serie di transfughi del Fondo Sonda, un’istituzione finanziaria di proprietà di due fratelli brasiliani che hanno fatto la fortuna nel mondo della grande distribuzione, e credevano di diventare ancora più ricchi grazie alla speculazione sui calciatori. Purtroppo per loro, la cessione di Neymar al Barcellona è stata un bagno di sangue. Ma i loro ex collaboratori sono di nuovo in pista a caccia di speculazioni pallonare. E il Palermo, gentilmente, si presta. Con diritto di riscatto.

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BATISTUTA HORROR: “DOPO AVER SMESSO COL CALCIO AVEVO TALMENTE DOLORE ALLE CAVIGLIE CHE NON RIUSCIVO AD ALZARMI DAL LETTO. MI PISCIAVO ADDOSSO. VIDI PISTORIUS E CHIESI AL DOTTORE DI AMPUTARMI LE GAMBE. MI DISSE CHE ERO PAZZO...” L’ex bomber di Fiorentina, Roma e Inter racconta il suo dramma: “Il mio problema è che non ho cartilagini e tendini: i miei 86 chili poggiano sulle ossa e questo mi faceva morire dal male. Adesso sto meglio, gioco a golf, anche qualche partita di calcio ma se la palla non mi arriva sui piedi, non mi muovo”...

Da “giornalaccio rosa.it

Rivive il suo dramma, il suo incubo, come in un film. Tenta di sorridere e ci riesce pure perché forse il peggio è passato. Ma quei momenti - lunghissimi - gli hanno fatto temere il peggio. Gabriel Omar Batistuta oggi ha 45 anni, si è ritirato dal calcio nel 2006 dopo tre stagioni all'Al Arabi. E in questi nove anni ha vissuto a stretto contatto col dolore e i pensieri più brutti. Adesso si scioglie e racconta tutto in un'intervista a Tyc Sports: "Dopo aver smesso col calcio, nel giro di poco tempo praticamente mi sono trovato nell'incapacità di camminare". E' l'inizio della sua personalissima discesa negli inferi.

l'incubo — Bati prosegue il racconto del film horror vissuto sulla sua pelle: "Sentivo tanto male che non riuscivo ad alzarmi dal letto e mi urinavo addosso. Il dolore alle caviglie era insopportabile, a tal punto che chiesi al mio dottore di tagliarmi le gambe. Vidi Pistorius e mi dissi che quella era la soluzione.

Il medico non volle, mi disse che ero pazzo, mi operò alle caviglia destra ma la situazione non migliorò. Il mio problema è che non ho cartilagini e tendini: i miei 86 chili poggiano sulle ossa e questo mi faceva morire dal male. Poi piano piano la situazione è migliorata. Adesso sto meglio, ho ricominciato a camminare ma c'è voluto molto tempo".

vita nuova — La luce in fondo al tunnel, per l'ex bomber di Fiorentina e Roma (con una fugace apparizione anche all'Inter), è rappresentata dallo sport: è tornato a praticarlo. "Gioco a golf, anche qualche partita di calcio ma se la palla non mi arriva sui piedi, non mi muovo".

Sta attento agli sforzi, a non lasciarsi andare. Dopo un'esperienza del genere, è già un trionfo. Il suo obiettivo, nel futuro, è quello di tornare nel mondo del calcio: "Vorrei allenare" conclude Bati che è risalito dagli inferi ed è pronto a riprendersi ciò che gli è stato tolto negli ultimi nove terribili anni.

http://www.dagospia.com/rubrica-30/sport/batistuta-horror-dopo-aver-smesso-col-calcio-avevo-talmente-dolore-83517.htm

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DA MARADONA A GASCOIGNE, QUANTE STORIE

Quando il campione si scopre fragile

di Furio Zara (gasport - 29-08-2014)

Le conseguenze del dolore. Oltre il viale del tramonto, c'è un'altra quotidianità, diversa da quella di prima. Quando il campione smette di essere tale torna uomo e si scopre fragile e vulnerabile. Affiorano mali che prima venivano sopiti ora da provvidenziali punture e ora dalla gioventù che arde nell'atleta al top della forma, emergono paure nascoste, cattivi pensieri, come quelli che ha confessato Batistuta. Francesco Rocca convive con il dolore da più di trent'anni, da quando fu costretto a smettere: si definisce un asceta dello sport, ancora oggi zoppica, a schiena dritta però. Le ginocchia hanno tradito anche Alvise Zago, stellina del Toro anni '80, fatto fuori da un intervento canaglia di Victor: dopo l'infortunio per un anno ha temuto di non poter più camminare. Tomare a fare una banale passeggiata è stata un'impresa anche per Franco Liguori detto «Whisky , centrocampista all'olandese del Bologna nei '70. Le ferite del corpo, un buco nell'anima che spesso sconfina nel male di vivere: Gascoigne non si regge in piedi da tempo, è il simulacro di se stesso. Anche il più grande di tutti, Maradona, cammina storto, si dondola; ma è un destino comune, che colpisce al pari i gregari come Luciano Favero. L'ex terzino della Juventus ha smesso più di vent'anni fa, ma le sue ginocchia scricchiolano, sembrano ancora oggi violini al concerto di capodanno. Convivere con il dolore stava scritto fin dall'inizio nella storia di Roby Baggio: a diciassette anni la mappa delle cicatrici delle sue ginocchia procurava - a chi le guardava - una fitta al cuore. Molto tempo è passato, la mappa è diventata amica, ma non per questo meno dolorosa.

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MARCO SI FERMA

Tachicardia e depressione Van Basten dice stop

Alec Cordolini - Gasport - 29-08-2014)

L'ex Milan si autosospende dalla panchina dell'Az Alkmaar, non si sa fino a quando Situazione aggravata dalla morte del padre «I sintomi dei suoi problemi fisici sono gravi, servono nuovi controlli medici IL COMUNICATO UFFICIALE DELLAZ SU VAN BASTEN ALEC CORDOLCINI IIIIIIli1 Dopo la famigerata caviglia, ecco il cuore. AMarco van Basten il fisico continua a non concedere tregua. Sabato l'ex Cigno di Utrecht non siederà sulla panchina dell'Az per il match casalingo contro il Dordrecht a causa dell'aggravarsi di problemi cardiaci, con i quali convive già da diverso tempo. Van Basten soffre di tachicardia ventricolare, che, secondo quanto scritto nel comunicato diramato ieri dal club di Alkmaar, sarebbe peggiorata sensibilmente negli ultimi mesi a causa di alcuni problemi personali che hanno colpito l'ex milanista. Su tutti, una fase di depressione arrivata dopo la morte del padre Jo-op, avvenuta lo scorso luglio all'età di 84 anni. Tra i due il legame è sempre stato fortissimo, tanto che Joop van Basten diceva di essersi perso non più di 5-6 di partite del figlio, dagli inizi di carriera nel club locale dell'Edo fino agli anni d'oro con Ajax e Milan. Alla ripresa degli allenamenti dopo la sconfitta in casa del Willem II, Van Basten avrebbe comunicato alla dirigenza di sentirsi molto provato, sia fisicamente che psicologicamente, dai sempre più assidui aumenti di battito cardiaco. Da qui la decisione di prendersi un periodo di riposo forzato, sulla cui entità nessuno si è ancora pronunciato. L'unica certezza è che gli allenamenti per ora sono stati affidati ai suoi assistenti, Dennis Haar e Alex Pastoor, che guideranno la squadra sabato in campionato. Alti e bassi La carriera da allenatore di Van Basten è sempre proceduta a singhiozzo, alternando periodi intensi a lunghe pause. Costretto a un prematuro ritiro nel 1995, MvB si rilassa dedicandosi al golf e dichiarando di non essere emotivamente pronto al rientro nel mondo del calcio. Ci ripensa sette anni dopo, prende il patentino di allenatore e sceglie di cominciare con le giovanili dell'Ajax. Un approccio soft che viene completamente ribaltato nel giugno 2004, quando accetta la panchina della nazionale olandese. Bilancio: un deludente Mondiale 2006, seguito da un discreto Europeo 2008. Poi riecco l'Ajax, dove dura 33 partite, dimettendosi a una giornata dalla fine del campionato, al termine di una stagione rovente per polemiche e litigi che coinvolgono anche i giocatori (Luis Suarez in primis). MvB è stanco di allenare e decide di fermarsi tre anni. Nel giugno 2012, a sorpresa, accetta la panchina dell'Heerenveen. Un ritorno in provincia, lontano dallo stress e con l'unico obiettivo di valorizzare qualche giovane di talento. Dopo due anni però il suo stipendio non rientra più nei parametri di bilan-do del club frisone. Ecco quindi arrivare, lo scorso giugno, il più ambizioso Az Alkmaar. Un'esperienza durata finora solo tre partite ufficiali

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SPORT&AFFARI

Chi sono, come si muovono, e quanto guadagnano i procuratori che dominano il calciomercato. L'impero di Mendes tra società offshore e soci inattesi. Le evoluzioni e la galassia nebulosa di Raiola. Perché i top club non possono farne a meno

I padrini dei calcio

di Andrea Di Biase (Milano Finanza - 30-08-2014)

Se dovesse riuscire nell'impresa di trovare una nuova squadra a Radamel Falcao, l'attaccante colombiano che vuole lasciare il Monaco del magnate russo Dmitrij Rybolovlev, Jorge Mendes, il superprocuratore portoghese di Cristiano Ronaldo e Josè Mourinho, chiuderebbe con l'ennesimo botto un'estate che lo ha già visto protagonista di alcuni clamorosi colpi di mercato: il passaggio del nazionale argentino Angel Di Maria dal Real Madrid al Manchester United per 75 milioni di euro, quello del giovane colombiano rivelazione di Brasile 2014, James Rodriguez, proprio dal Monaco al club presieduto da Florentino Perez (80 milioni), l'acquisto da parte del Manchester City dello sceicco Mansour del difensore francese del Porto Eliaquim Mangala (40 milioni) e del bomber dell'Atletico Madrid Diego Costa da parte del Chelsea (38 milioni). Ma anche se Falcao, che lo scorso anno Mendes ha traghettato dall'Atletico Madrid al Monaco per 60 milioni, facendo la fortuna del fondo Doyen Sports (proprietario del 55% del cartellino del giocatore), dovesse rimanere un altro anno nel Principato, si confermerebbe ugualmente come il re del mercato. Limitando l'analisi alle prime 25 operazioni di trasferimento chiuse fino ad ora, il cui controvalore complessivo ha superato gli 875 milioni (si veda la tabella in pagina), Gestifute, la società di diritto portoghese con cui Mendes cura gli interessi dei suoi assistiti, è stata regista di ben quattro operazioni, per un importo di 233 milioni, pari a circa il 25% del totale. Un flusso finanziario che in parte è finito, come compenso per l'intermediazione, nelle casse della stessa Gestifute, anche se nessuno dei club coinvolti, nemmeno il Manchester United, che pure è quotato a Wall Street, ha precisato l'ammontare destinato alla società di Mendes. Per provare a dare un ordine di grandezza ci si può basare sui dati riportati in uno studio realizzato recentemente da Pricewaterhouse Coopers per conto dell'European club asso-dation (Eca), l'associazione che riunisce i principali club europei. Secondo l'analisi di Pwc, che è riferita alla stagione 2012/13, le commissioni distribuite in Europa dai club ad agenti e procuratori hanno pesato in media per il 14,6% del controvalore delle operazioni (254 milioni di dollari su 1,74 miliardi di controvalore). Si tratta di una cifra considerevole, tanto che lo studio Eca-Pwc sottolinea la necessità che sia il ruolo ricoperto dagli agenti sia il loro livello di remunerazioni vadano «rivisti e monitorati attentamente», ma che combacia con i ricavi indicati nel bilancio 2013 della Gestifute consultato da Milano Finanza. La società di Mendes, che nella passata stagione ha curato il passaggio di Falcao e James Rodriguez al Monaco ha infatti chiuso l'ultimo esercizio con ricavi pari a 13,6 milioni, che rappresentano circa il 13% dei 105 milioni spesi da Rybolovlev per portare i due campioni colombiani al Monaco. Ma se si considera che Mendes opera al servizio dei propri clienti, tra cui figura anche l'ex difensore del Milan oggi in forza al Psg, Thiago Silva, anche quando non sono oggetto di operazioni di mercato, il conto non torna. L'utile di 6,22 milioni generato dalla Gestifute nel 2013, dopo aver spesato costi per 5,2 milioni e pagato imposte in Portogallo per 2,2 milioni, non sembra rispecchiare totalmente il volume d'affari che ruota attorno a Mendes. Sempre lo scorso anno, ad esempio, l'agente por *** toghese ha rinegoziato con Florentino Perez il contratto di Cristiano Ronaldo, esteso fino al 30 giugno 2018, con l'ingaggio salito fino a 17 milioni di euro netti l'anno. Non solo, Gestifute agisce anche in altri settori, come la gestione dei diritti di immagine e sponsorizzazioni, attravesro la controllata Polarissports e Gestifute Media. Ma l'impero di Mendes è bene più vasto. Secondo una documentata inchiesta, pubblicata lo scorso 21 luglio, sul quotidiano portoghese Diario de Noticias, il reticolo di società riferibili all'agente dello Special One e di CR7 ha ramificazioni che dal Portogallo si spingono all'Olanda, dove ha sede la società capofila di tutto il gruppo (Sociedade Start BV) all'Irlanda, dove Mendes opera attraverso la Gestifute International (3,13 milioni l'utile riportato nel bilancio 2012, l'ultimo depositato). Questa società, stando ai documenti pubblicati dal quotidiano portoghese, è a sua volta azionista al 50% di una società con sede nel paradiso fiscale di Jersey denominata Burnabay Gp Limited (l'altro 50% fa capo a Creative Arts Agency Sports, società Usa attiva nella gestione dei diritti di immagine e socio di Gestifute in Polarissport). A sua volta Burnabay Gp Limited detiene una partecipazione in Burnabay Investment Lp, un veicolo societario di diritto britannico proprietario dei cartellini di alcuni giocatori dello Sporting Lisbona e del Braga, nel cui capitale figura anche la Briskpring Ltd, società controllata dal Chelsea di Roman Abramovich (il club allenato dall'assistito di Mendes, Josè Mourinho). Secondo quanto emerso dall'inchiesta del Diario de Noticias, che ha così dato seguito alla rivelazioni fatte dal Guardian nel gennaio scorso, Mendes e Abramovich sarebbero dunque soci in Burnabay Investment. Una rivelazione che, almeno per ora, non sembra aver scosso più di tanto il mondo del calcio nonostante la battaglia avviata dal presidente dell'Uefa, Michel Platini, contro le cosiddette proprietà di terze patri (Tpo), ovvero quei fondi di investimento che si affiancano ai club nell'acquisto dei cartellini dei giocatori e che poi, come ha fatto Doyen Sports nel caso di Falcao, incassano ingenti plusvalenze dal suo passaggio da un club ad un altro. Una pratica, quella dell'acquisto da parte di soggetti terzi dei diritti alle prestazioni sportive dei calciatori che, tra il serio e il faceto, era stata proposta da Mino Raiola per sbrogliare il rapporto tra il Milan e Mario Balotelli, che prima di accettare la proposta di 20 milioni arrivata da Liverpool, il club guidato da Adriano Galliani aveva cercato senza successo di vendere. 11 pittoresco procuratore italo-olandese, che al pari di Mendes può essere considerato uno dei grandi registi del calcio-mercato internazionale, aveva infatti proposto di acquistare lui il cartellino di Supermario, attraverso una finanziaria appoggiata ad una società calcistica straniera, e poi girarlo in prestito ad un altro club (era stato fatto il nome della Juventus). Un'idea che, tuttavia, non si è mai concretizzata, anche perché in Italia la proprietà di terze parti, pur non essendo espressamente vietata dalle norme federali, è una pratica che non ha mai preso piede (anche se in realtà il meccanismo delle comproprietà, abolito nel giugno scorso, è stato a lungo utilizzato con le stesse finalità). Raiola, che opera attraverso la società olandese Maguire Tax & Legal BV e la Sportsman, con sede nel Principato di Monaco, oltre alla fortuna dei suoi assistiti (Zlatan Ibrahimovic su tutti) è riuscito, grazie a rapporti e abilità nella negoziazione, a fare anche la sua. Secondo la stampa sportiva gudagnerebbe più di 5 milioni l'anno, anche se lui si è ben guardato dallo smentire o confermare le indiscrezioni. «Quello che guadagno lo sanno i miei giocatori, si è limitato a commentare. Fare i conti in tasca all'universo-Raiola è tutt'altro che semplice. Il bilancio al 31 dicembre 2013 dell'olandese Maguire Tax & Legal, consultato da Milano Finanza, non offre grandi informazioni. Il documento di sole quattro pagine, depositato al registro delle imprese, non contiene un conto economico standard e si evince solo che la società, che ha in bilancio utili portati a nuovo per 95mila euro, ha girato ai propri soci un dividendo di 67mila euro. Una cifra non coerente con il giro d'affari del superprocuratore originario di Nocera Inferiore ma trapiantato in Olanda che, anche quest'anno, ha messo a segno i propri colpi. Se il passaggio di Balotelli dal Milan al Liverpool è solo la 2lesima operazione per controvalore nella graduatoria del calciomercato 2014/15, il funambolico Mino è riuscito a traghettare il 21nne attaccante belga Romelo Lukaku dal Chelsea all'Everton per una valutazione di 35,36 milioni.

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il Fatto Quotidiano 30-08-2014

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Quotidiano Sportivo 30-08-2014

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Siamo campioni solo nel bilancio

di MAURIZIO DE GIOVANNI (IL MATTINO 31-08-2014)

Gioite, tifosi. Liberate i vostri canti, sciogliete gli stendardi al vento del trionfo. Scendete in strada, cantate e abbracciatevi felici, rivolgendo i sorrisi e gli sguardi al cielo dello stesso colore del vostro cuore.

La vostra squadra ha infatti trionfato, al di là di ogni dubbio e ombra, aggiudicandosi il successo. Siamo campioni: campioni dell’utile di bilancio, scudettati del fair play finanziario, vincitori del patrimonio netto, indiscussi primatisti del salary cap. Nessuno è come noi: nelle facoltà di economia si cita la vostra squadra del cuore come esempio di virtuosa gestione, i giornali specializzati applaudono sorridendo, i grandi esperti internazionali si inchinano rispettosi. Siamo campioni d’Italia, anzi d’Europa: lo stesso Platini, inventore pentito del regime di controllo economico delle società calcistiche, nasconde il rossore di fronte a noi per il discolo Psg, distintosi per investimenti dissennati. Ma questo succede, a dare la propria squadra in mano a quegli spendaccioni degli sceicchi o affidandosi, come Barcellona e Real Madrid, a quella follia dell’azionariato diffuso: si cade nell’inferno disperato delle effimere vittorie sul campo, come se quello fosse il fine ultimo dello sport, quando tutti sanno che il vero Nirvana è nell’approvazione incondizionata di Equitalia.

Siamo campioni, sì: ma nessuno creda che sia stato facile. È stato necessario, ad esempio, mettere alla porta Reina, che aveva l’assurda pretesa di pensare che un portiere, un misero, squallido portiere, valesse quanto gli altri calciatori in campo. Segni tu forse, calvo spagnolo, quanto il lungocrinito Matador? Potremmo forse rivenderti a settanta, ottanta milioni di euro avendoti acquistato per diciassette? E allora via, lascia il posto all’investimento brasiliano costato poco e in corso di incremento di valore. Mal che vada, farà un paio di presenze in nazionale e potremo fingere di avere un fuoriclasse in formazione: in fondo Andujar, comprato per un piatto di lenticchie dal Catania, non è forse il portiere di riserva vicecampione del mondo? No, non è stato facile. È stato necessario riuscire a vendere Behrami, uno dei più forti centrocampisti del campionato, per soli cinque milioni ai furbi tedeschi: ma aveva un bell’ingaggio, no? E allora via, magari lo rimpiazziamo col cavallino di ritorno uruguaiano, quel Gargano rifiutato da Inter e Parma che dobbiamo retribuire ugualmente ma che a differenza dello svizzero non ha mercato. E nelle more potremo, facendo attenzione a non acquistare un terzino sinistro che possa sostituire l’investimento Ghoulam col braccio rotto e poi in partenza per la coppa d’Africa, rivalutare l’investimento Britos, costato un sacco di milioni nella dissennata gestione Mazzarri. Abbiamo peraltro attivato un team di spiritisti, che possa resuscitare Zuniga dal limbo in cui è caduto da un anno.

Siamo campioni grazie all’attenta gestione delle risorse e alla spending review: per Mascherano mancava solo la firma; per Gonalons mancava solo la firma; per Fellaini mancava solo la firma; per Sandro mancava solo la firma. E noi, sagaci, abbiamo risparmiato l’inchiostro. Non si arriva a essere campioni se non con attenzione massima e creatività: mica come quei pazzi della Roma, che hanno comprato fior di giocatori per incrementare il valore e il numero di una rosa che già si era giocato il campionato fino a un paio di partite dalla fine; né come quei folli dell’Inter, che sono riusciti a mettere insieme una compagine di massimo rispetto, né come quei disgraziati di fiorentini e milanisti, che sono andati a prendere il meglio che offrivano mercati come quello tedesco o inglese. Loro hanno sviluppato un passivo che, vedrete, li tirerà a fondo. E poverini quelli che si imbarcheranno nell’assurda impresa di costruirsi nientemeno che lo stadio di proprietà! Non siamo infinitamente più bravi noi, che dopo tre anni siamo riusciti perfino a non mettere i tabelloni al San Paolo? Abbiamo anche convinto la commissione UEFA che il nostro vetusto impianto va ancora bene per le coppe, approfittando del fatto che gli ispettori inviati a controllare soffrivano di stipsi e che quindi non hanno visto le condizioni fatiscenti delle toilettes. Un po’ di fortuna, del resto, aiuta sempre gli audaci.

Siamo campioni, tifosi: gioite, levate i vostri peana al cielo. Certo, c’è ora questa farragine burocratica delle trentotto partite che andranno giocate prima della certificazione della nostra vittoria: ma noi cercheremo di fare del nostro meglio, creando le premesse per liberarci dei pesanti, onerosi e fastidiosi ingaggi dei vari Higuain, Callejon, Hamsik e Benitez. Se siamo fortunati, tutta questa gente in capo a dieci mesi sarà in coda per essere ceduta a un sacco di milioni e potremo finalmente replicare lo spettacolo messo in scena con Lavezzi e Cavani, acquistando elementi funzionali a un nuovo, meraviglioso progetto tecnico con un altro grande allenatore, santone del calcio. E goderci un altro fantastico trionfo.

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Revealed: £130m cost of United’s deal for Di Maria

by DUNCAN CASTLES (THE SUNDAY TIMES 31-08-2014)

The final cost of luring Angel di Maria to Manchester United could exceed £130m, making the Argentinian’s deal one of the five most expensive in football.

With United agreeing a fee of £14.25m rising to £15.8m for Daley Blind, Louis van Gaal’s net spend on transfer fees alone already stands at £149m, just £74m less than Sir Alex Ferguson laid out in 21 seasons as a Premier League manager. A mark of the unprecedented spending since Ferguson retired last year and Ed Woodward was appointed executive vice-chairman is that United now have three of the 12 most expensive footballers signed by English clubs: Di Maria, Juan Mata and Luke Shaw.

Woodward has also arranged the £29.6m purchase of Ander Herrera and Marcos Rojo’s signing from Sporting for £15.8m, plus the loan of Nani at minimal salary cost to the Portuguese club.

Though United announced Rojo’s transfer 11 days ago, the Argentina defender remains unavailable for selection because Premier League rules state that he cannot be registered to play until the 75% of his economic rights owned by an investment fund at Sporting Lisbon has been bought out. Rojo’s case is complicated by an ugly legal dispute between Sporting and the player’s third-party owner, Doyen Sports, which intends to open a case against the Lisbon club at the Court of Arbitration for Sport this week. The group is challenging Sporting’s actions in terminating Rojo’s economic rights contract with Doyen “with just cause” a few days before selling the player to United. Instead of distributing 75% of the transfer fee to the fund, Sporting aim to retain most of the revenue for their use. Because the case is complicated by alleged breaches of contract by Doyen there is no timescale for its resolution, potentially leaving Rojo in limbo between the clubs and Van Gaal without an important defensive reinforcement.

The Premier League said: “[Our] rules prohibit third-party ownership as we believe that it threatens the integrity of competitions, reduces the flow of transfer revenue contained within the game and has the potential to exert external influences on players’ transfer decisions.

When United announced the Di Maria deal they declared the initial £59.7m fee agreed with Real Madrid. United are also liable for £3.95m of performance-related payments. They agreed to compensate Real for £3.2m of Fifa-mandated “solidarity payments” to Di Maria’s former clubs and approved a further £3.95m of bonuses. His annual salary wi be £11.96m for five years, the highest basic wage in the Premier League.

Modificato da Ghost Dog

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