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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Germania, Kramer si ribella: "Nel calciomercato siamo trattati come schiavi"

Il centrocampista, in prestito al Moenchengladbach dal Leverkusen, replica al ds del Bayer Voeller che lo aveva definito incedibile: "Se non voglio giocare in un club non sarò mai obbligato a indossare quella maglia". Anche il Napoli tra le squadre che lo avevano cercato

17 agosto 2014

160258061-fb35cb2d-bd82-4421-ae55-12863cChristoph Kramer BERLINO – “Nel calciomercato di oggi siamo trattati come schiavi”. Non usa mezzi termini, in un’intervista concessa a “Der Spiegel”, Christoph Kramer, 23enne centrocampista tedesco della nazionale campione del mondo e del Borussia Moenchengladbach, in prestito dal Bayer Leverkusen. Il giocatore è stato cercato da diversi club, fra i quali anche il Napoli di Rafa Benitez, ma il direttore sportivo del Bayer Leverkusen, Rudi Voeller, lo scorso mese lo ha dichirato incedibile: “Non intendiamo vendere Kramer, resterà un altro anno al Borussia Moenchengladbach e poi tornerà nella nostra squadra”.

Secca la replica del centrocampista che vorrebbe trovare una soluzione definitiva: “Se io non voglio giocare in un club non sarò obbligato a indossare quella maglia. Mi rivuole il Leverkusen? Sono stufo di andare avanti e indietro”, ha precisato Kramer, titolare nella finale di Coppa del Mondo contro l’Argentina. La tensione tra il centrocampista e il Leverkusen, insomma, è evidente ed i tanti estimatori del tedesco, soprattutto il Napoli, potrebbero magari provare a riaprire una trattativa con il Bayer facendo leva sul malcontento del giocatore.

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Joined: 07-May-2009
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Ma la legge Bosman non li aveva liberati?

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Joined: 30-Aug-2006
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Diritti tv calcio: il Manchester United vieta i video dei fan allo stadio

tvdigitaldivide.it

Già da qualche giorno la Premier League ha avvisato i tifosi del campionato di calcio inglese: non si potranno più filmare e caricare video di gol e azionicon smartphone o tablet durante le partite per poi postarli in tempo reale suisocial network. Una pratica diffusissima dai tifosi paganti durante iMondiali Brasiliani.

Tra i primi club della lega inglese, il Manchester United ha deciso di vietare ai propri tifosi l’uso di tablet e grossi dispositivi elettronici all’interno dell’Old Trafford, per limitare appunto la diffusione di filmati e video “pirata”.

Lo strettissimo divieto di pubblicazione dei contenuti protetti da copyrightsul web è nato da una legge sulle norme di sicurezza che regolano anche la privacy negli scali aeroportuali britannici: «In linea con le ultime direttive rivolte agli aeroporti inglesi, il massimo consentito è di 150×100 mm: ipad, tablet, grandi borse, telecamere e liquidi ad eccezione di bottiglie d’acqua piccole e senza tappo saranno proibiti». Le reali motivazioni sono invece relative alla quasi assurda (per questi tempi) necessità di limitare le riprese “pirata” dei tifosi che, tablet alla mano, condividono in un attimo lke proprie opere amatoriali sui vari social network e suiportali video.

Il direttore della comunicazione della Premier League, Dan Johnson, intervistato dalla BBC, ha spiegato che la Premier sta lavorando, in collaborazione con alcuni social network come Twitter, per sviluppare degli specifici motori di ricerca per individuare gli utenti che inseriscono su tweet e pagine web gol ed azioni di gioco in modo da ridurre questo tipo di fenomeno.

«Questo tipo di scelte costituisce un violazione dei diritti detenuti dalla Premier e vogliamo scoraggiare i fans dal portare avanti questo tipo di azioni» ha sottolineato Johnson. Con ogni probabilità, almeno inizialmente dovrebbe apparire un tweet o un messaggio di risposta che avverte l’utente di aver violato il copyright. Successivamente potrebbe eventualmente partire l’azione legale.

Il punto interessante di questo tipo di decisione consiste nel capovolgimento del rapporto tra il proprietario dei contenuti e il mondo dei social network. Se prima i social venivano sfruttati per amplificare i contenuti al di là dei confini costituiti dagli utenti a pagamento, ora si decide di chiudere il recinto. L’ennesima battaglia in nome del dio copyright che potrebbe miseramente fallire, come già accaduto nel 2010 quando negli USA i New York Yankees vietarono questi strumenti, salvo cambiare idea due anni più tardi.

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Joined: 01-May-2010
20641 messaggi

Ma la legge Bosman non li aveva liberati?

Si, ma non dall'obbligo di rispettare i contratti! ;)

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Joined: 08-Jul-2006
21395 messaggi

Ma chi sarà!

Frank Sinatra tu penserai,

L'uomo che non tramonta mai!

Lui non è…

Lui non è…

Ma chi sarà…

Ma chi sarà…

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Joined: 30-Aug-2006
776 messaggi
La discriminazione territoriale è stata cancellata La Figc cambia le regole (contestate) dell'anno scorso. Urlare 'napoletani colerosi' non porterà più alla chiusura immediata delle curve di Giovanni Capuano

panorama.it

Hanno vinto i club, che da mesi chiedevano di ridisegnare le norme sulla discriminazione territoriale che avevano portato a squalifiche di settori e polemiche. Il primo Consiglio federale dell'era Tavecchio è intervenuto con urgenza sulle norme e con effetto immediato ha cancellato la 'discriminazione territoriale'. Non costituisce più un comportamento discriminatorio, sanzionabile quale illecito disciplinare, quella condotta che, ex art. 11 del Codice di Giustizia Sportiva, era da considerarsi, direttamente o indirettamente, di "origine territoriale". In più, "l'offesa, denigrazione o insulto per motivi di origine territoriale" viene cancellata dall'art. 12 (prevenzione di fatti violenti) come causa di responsabilità oggettiva delle società. Insultare tifosi e giocatori avversari facendo riferimento alla loro origine territoriale resterà comunque un comportamento passibile di sanzione, però viene declassato e le società risponderanno per insulti di secondo genere "con gradualità", come ha detto il presidente Tavecchio, e senza chiusura immediata delle curve perché l'obiettivo era "evitare provvedimenti drastici" e vuole favorire "interventi più ponderati".

In pratica la discriminazione territoriale diventa semplice espressione oltraggiosa, viene inserita nell'articolo 12 (e non più nell'articolo 11) e viene così punita in maniera molto più lieve con ammende da 10.000 a 50.000 euro per i club di serie A, da 6.000 a 50.000 per i club di serie B, da 3.000 a 50.000 euro per i club di Lega Pro. Solo "nei casi più gravi, da valutare in modo particolare con riguardo alla recidiva, sono inflitte congiuntamente o disgiuntamente" anche sanzioni più dure: chiusura di un settore o dello stadio, oppure squalifica dello stadio fino a un massimo di due anni. Questo sulla carta, perché è evidente che il sistema viene profondamente cambiato, quasi smantellato, sino ad essere equiparato a quello in vigore nel resto d'Europa dove non esiste alcuna indicazione di punizioni per la discriminazione territoriale.

Lo stesso presidente dell'Uefa, Michel Platini, lo aveva fatto notare nei mesi scorsi quando aveva commentato i problemi delle tifoserie italiane. Fifa e Uefa hanno varato una tolleranza zero nella lotta alla discriminazione razziale (e per questo le parole di Tavecchio sui mangia banane hanno provocato una reazione ufficiale), ma la questione territoriale era stata un'interpretazione della Figc che nell'agosto scorso, per dare un segnale forte, era stata portata fino alle estreme conseguenze con il risultato di mettere i club in posizione di essere ricattate dai gruppi ultras. La Figc aveva cambiato in corsa le norme e poi, davanti alla sfida continua delle curve, aveva cominciato a interpretare in senso meno restrittivo l'automatismo della punizione, inserendo il concetto di "chiara percezione" del coro e rappresentatività del numero di persone che si erano rese protagoniste dell'atteggiamento illecito. Ora si torna alle care e vecchie multe. Pagate dalle società.

Ecco come era formulato fino a oggi l'articolo 11 del Codice di Giustizia sportiva e la parte che è stata modificata dall'intervento del Consiglio federale:

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GASPORT 19-08-2014

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Come si fa a celebrare uno stadio così malmesso lo sanno solo gli svergognati estensori di articoli infimi.

P.s.

Antonio, mi raccomando, stasera al San Paolo già cagato e pisciato...

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Tavecchio choc: chi insulta Napoli non rischia nulla

di MAURIZIO DE GIOVANNI (IL MATTINO 19-08-2014)

Avevamo detto che Tavecchio, come peraltro il nome stesso lasciava intuire, non sarebbe stato l’uomo adatto per il rinnovamento di cui il calcio italiano ha disperato bisogno.

E avevamo manifestato perplessità in merito al sostegno che alla sua elezione aveva proposto la società calcio Napoli, il cui presidente ha tante volte e ad alta voce chiesto il ribaltamento dell’attuale gretta e retriva mentalità. Avevamo auspicato un commissariamento da parte del Coni, qualcosa di grave e forte che però cambiasse finalmente un andazzo che va a gonfie vele verso il baratro. E tuttavia speravamo di sbagliarci, e ci auguravamo che fin da subito la nuova governance, come si dice oggi, ci avrebbe smentito con una gestione illuminata e sensibile a una società che cambia, e della quale il calcio, col suo immenso seguito, è una delle più forti manifestazioni.

Purtroppo ci ritroviamo a commentare con agghiacciata sorpresa un atto inspiegabile e gravissimo, che va in direzione opposta all’affermazione della civiltà di cui abbiamo tanta e tale necessità. Dopo aver perso qualche ora a concludere l’ingaggio del signor Conte come commissario tecnico della disastrata nazionale, garantendo allo stesso con l’aiuto degli sponsor ben quattro milioni all’anno di ingaggio (alla faccia del richiamo all’austerità e alla spending review), la prima decisione della gestione Tavecchio è la depenalizzazione sportiva della discriminazione territoriale, che da oggi non sarà più un illecito ma solo «un insulto di secondo genere», al quale non seguirà la chiusura delle curve ma che darà luogo a una «graduale» punizione di ordine amministrativo alle società i cui tifosi si renderanno responsabili di questo odioso atteggiamento.

In pratica da oggi la violenza di branco potrà legittimamente essere alimentata dai cori che inneggiano al Vesuvio, al colera, alla puzza dei napoletani, a far uscire gli stessi dall’Italia e via cantando. Il sangue di Ciro Esposito da ultimo non è evidentemente servito a nulla: il calcio italiano che esprime questa dirigenza decide di lavarsene le mani in cambio del denaro che porta una curva aperta. È il riconoscimento, l’ufficializzazione della schiavitù delle società, dell’asservimento ai movimenti ultrà che pretendono di poter liberamente cantare i loro cori beceri e di manifestare impunemente l’imbecillità dei principi di intolleranza ai quali si uniformano da due decenni.

La modifica della norma sulla discriminazione territoriale va tragicamente in direzione opposta ai più elementari principi di civiltà. Il calcio perde l’occasione di proporre un mondo informato a ideali sportivi e si propone invece una volta di più come uno spettacolo funzionale a fare soldi sulla pelle, letteralmente, degli appassionati. Ci si chiede con che faccia si vada in televisione ad auspicarsi uno stadio pieno di famiglie, di donne e bambini, e poi si consenta che gruppi interi di pseudotifosi chiedano a gran voce e in rima una catastrofe naturale che faccia pulizia di un intero popolo.

Non riusciamo a immaginare qualcosa di ugualmente grave, e il fatto che questo sia espressione di un ordine del giorno evidentemente concordato prima dell’elezione dell’ineffabile signor Tavecchio ci sconforta. Abbiamo visto il presidente del Napoli, al quale abbiamo rivolto tante volte pensieri di affetto e gratitudine, camminare al fianco di Antonella Leardi, la straordinaria mamma di Ciro, e manifestarle sostegno e affetto: come spiegherà alla signora, il presidente, che l’uomo da lui stesso sostenuto e la cui elezione ha salutato come una personale vittoria ha per prima cosa depenalizzato l’odioso uso di attaccare i napoletani dalla curva che così tante tifoserie hanno preso per moda? E che questi cori, ora di fatto consentiti, li cantava l’uomo che ha sparato al figlio?

Perché di fatto la discriminazione territoriale colpisce solo Napoli e i napoletani. Anche quando gli azzurri non sono in campo, anche quando addirittura le squadre italiane giocano all’estero (è accaduto quest’estate durante l’amichevole Watford–Udinese, a Londra), c’è quasi sempre una parte di curva che esprime il suo ottuso odio contro la nostra terra e il nostro popolo. Si contava fino a ora almeno su una punibilità che poteva indurre il resto dello stadio a fischiare, zittendo quella parte idiota; ora che non sarà più così, magari sarà l’intero anello a esortare allegramente il vulcano a eruttare facendo sì che togliamo il disturbo, una volta per tutte.

Amiamo tanto il calcio. Ci piace discuterne, soffrire e gioire per un risultato del campo.

Oggi però avremmo tanta voglia di voltare le spalle a questo mondo in cui i soldi superano anche il più elementare valore di convivenza civile. L’elezione di Tavecchio, ora possiamo dirlo, è la vittoria del meschino, del nulla, del cambiamento per evitare il cambiamento. D’altra parte una voce dal sen fuggita aveva detto tanto sul razzismo latente dell’uomo, confermato da questo primo atto di presidenza. Nulla di buono potremo aspettarci, e nemmeno avremo diritto di protestare quando impunemente stadi interi inneggeranno alla violenza contro i napoletani: perché sarà stato purtroppo col sostegno della nostra stessa squadra, quella che amiamo e per la quale proviamo tanta passione, che quei cori saranno consentiti.

(a proposito d'articoli infimi)

Quando ci sarà un giornalista serio che ad esempio ammetterà i pericoli reali - sanitari - per gli spettatori del San Paolo, se ne riparlerà.

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Joined: 14-Jun-2008
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Notavo che lo scrittore Carlo Tavecchio - eh lo so, non ci si crede - avrebbe regalato un paio di suoi libri al CT Conte oltre l'ingaggio...

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PENSATO PER FARTI REALIZZARE
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Forza Antonio, questo lo puoi rivendere fino a 20 euro.

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IL TEMPO 20-08-2014

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E meno male che Lotito aveva promesso di non essere invadente

GASPORT 20-08-2014

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Joined: 04-Aug-2005
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Tavecchio è anche un ambientalista

http://blog.ju29ro.com/2014/08/tavecchio-e-anche-un-ambientalista.html

No, ma a me questo tipo mi fa scompisciare davvero. Guardatevi il video, poi guardate la faccia seria di Galliani che cerca di capire a chi si riferisce e interroga le persone intorno a lui... .isterico

Dove era nascosto questo fenomeno, possibile che venga scoperto solo ora, alla bella età di 71 anni? .look

Destino infame! :bastone:

la faccia di galliani è IMPAGABILE, mentre si gira intorno a chiedere a chi si riferisse l'uomo dal monte :haha: :haha: :haha:

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Joined: 14-Jun-2008
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EL ABOGADO DEL CASO BOSMAN

Dupont: "El Fair Play Financiero crea una especie de NBA"

El abogado belga Jean-Louis Dupont, conocido por el Caso Bosman, ha

iniciado una batalla legal contra el Fair Play Financiero, aprobado

por la UEFA y en el que se inspira el control economico de la LFP.

Representa a un agente de jugadores y a asociaciones de aficionados.

por JAVIER SILLÉS (AS.com 20-08-2014)

E basta! E' stato già trovato il modo di ovviare al FFP.

Chi se lo può permettere acquisterà società di calcio al di fuori dell'Europa calcistica e con prestiti più o meno gratuiti di giocatori aggirerà i divieti imposti dall'UEFA (ved. lo sceicco Mansour dell'Abu Dhabi United Group a Manchester, Melbourne e NY).

Così in effetti il FFP sarebbe un inutile programma dissuasivo.

Magari ci pensano anche alla EXOR: ci sono tante società polisportive di calcio e cricket che necessitano d'assistenza e nuovi orizzonti speculativi.

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Mentre numerosi quotidiani italiani tentano di intercettare i bisogni della moltitudine di lettori abbandonati da "Il Romanista", il giornale dei Caltagirone continua a sotterrare il grandioso progetto americano.

Il Messaggero 20-08-2014

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La Nazionale dei griffati

NON SOLO CONTE: QUASI TUTTI I GIOCATORI HANNO UNO SPONSOR

TECNICO. CON QUELLI DELLA PUMA SI POTREBBE FARE UNA SQUADRA

CHI PAGA CHI Le scuderie più numerose sono quelle Nike (230 atleti) e Adidas

(150), ma i tedeschi possono contare su Buffon, Pirlo, Balotelli, Verratti e Perin

di LORENZO VENDEMIALE (il Fatto Quotidiano 21-08-2014)

Antonio Conte, ct pubblico pagato con soldi (anche) privati. La formula che ha permesso a Carlo Tavecchio di portare sulla panchina della Nazionale l’ex allenatore della Juventus non è un inedito assoluto per il mondo dello sport (soluzioni simili sono all'ordine del giorno soprattutto nel circus della Formula 1 e dei motori), ma è decisamente una novità per il calcio italiano.

Del resto abbastanza recente è anche la pratica di sponsorizzazioni individuali per i giocatori, cominciata solo negli Anni Settanta e poi sdoganata dalla convenzione del 1981 fra Lega e AssoCalciatori. Da allora l’avanzata non ha avuto freni: oggi praticamente tutti i calciatori della nostra Serie A hanno un proprio sponsor tecnico (i portieri a volte pure due, uno specifico per i guanti). La voce grossa, ovviamente, la fanno i due colossi dell’abbigliamento sportivo mondiale, la Nike con oltre 230 giocatori e l’Adidas, intorno a quota 150. I grandi contratti e i soldi veri, però, girano altrove. La crisi di talenti del nostro calcio ha fatto sì che anche il business delle multinazionali si spostasse all’estero, dove gioca la maggior parte dei cosiddetti top player.

I “paperoni” italiani, dal punto di vista commerciale, sono gli stessi di dieci anni fa: come Alessandro Del Piero, uomo Adidas, o Francesco Totti, dal 2013 di nuovo Nike (dopo un contenzioso di cui era stato protagonista in passato). Entrambi, però, sono fuori dal giro della Nazionale da anni. E in dubbio è anche Andrea Pirlo (griffato Nike), che dopo il flop in Brasile aveva annunciato il suo ritiro (salvo poi tornare sui suoi passi, Antonio Conte ha detto di volerci parlare).

Tra i sicuramente convocabili resta invece Gianluigi Buffon, che nonostante i 36 anni pare intenzionato a continuare la sua carriera in azzurro. E il portiere di Carrara è il testimonial storico proprio della Puma, a cui è legato dal 2002 e con cui di recente ha firmato un contratto praticamente a vita. Il marchio della multinazionale tedesca quantitativamente nel nostro campionato viene dietro a Nike e Adidas, ma può vantare alcuni pezzi da novanta. Non solo Buffon, ma anche Mario Balotelli, strappato a suon di milioni alla Nike nel dicembre del 2013. E qui si ritorna al discorso del possibile conflitto d’interessi che ha già tenuto banco negli scorsi giorni. Perché sono tanti i giocatori italiani targati Puma: è addirittura possibile immaginare una Nazionale formata da soli giocatori dello sponsor tedesco. Con un inamovibile come Giorgio Chiellini, ma anche tanti giocatori che hanno già vestito d’azzurro e potrebbero fare il salto di qualità: da Astori a Romulo (appena acquistati da Roma e Juventus), passando per Verratti a Perin (che potrebbero essere gli eredi di Pirlo e Buffon); e ancora Gabbiadini, Diamanti, Rosi, Schelotto, Rossettini, Portanova.

Gli allenatori di solito guardano più alle prestazioni sul campo che alla marca degli scarpini, e i calciatori hanno ormai autonomia quasi totale nella gestione dei propri diritti d’immagine. Ma è indubbio che le sponsorizzazioni abbiano un certo peso sul calciomercato e sulle scelte delle società. Non è un caso che in squadre come Inter e Roma, che hanno contratti importanti con la Nike, quasi tutti i giocatori hanno come sponsor tecnico l’azienda americana. Nike ha avuto un ruolo decisivo nell’ultimo rinnovo di Francesco Totti col club capitolino, Adidas ha contribuito a spingere Diego Costa (appena entrato nella sua scuderia) fra le braccia di José Mourinho al Chelsea (di cui pure è sponsor). Lo stesso potrebbe valere anche in Nazionale, impossibile scacciare certi retropensieri. Per la Puma un Balotelli emarginato, o anche solo non più al centro del progetto (e quindi dei riflettori), perderebbe di valore. Difficile dire quanto, comunque tanto. E a quel punto davvero la multinazionale tedesca non farebbe nulla per tutelare il suo investimento, anche in qualità di principale finanziatore del contratto del ct? Il dubbio resta. Ma Antonio Conte non si farà condizionare “mai da niente e da nessuno”. L’ha promesso.

Quando il giornalista guarda il dito, il (suo) subconscio indica la luna.

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L’intervista Il presidente del Coni interviene sulla difficile posizione del numero 1 del calcio

Malagò: «Se si sentirà condizionato

Carlo potrebbe lasciare la Figc»

«Su Tavecchio magari altre indagini, della Fifa o della procura federale»

Le tre mosse Ottime le tre mosse del neopresidente: Conte, May e le sanzioni sui cori antiterritoriali

di DANIELE DALLERA (CORSERA 21-08-2014)

Ha appena mandato un sms a Tania Cagnotto e a Greg Paltrinieri per i loro sorrisi d’oro agli Europei di nuoto senza dimenticarsi di quello di bronzo di Detti e Castiglioni. Giovanni Malagò, presidente del Coni, sta chiudendo le sue vacanze godendosi prima le medaglie dell’atletica e ora quelle del nuoto e dei tuffi. Si diverte molto poco, invece, con le vicende del calcio, l’ultima l’inchiesta aperta dall’Uefa contro Tavecchio, per le sue infelici dichiarazioni su banane e stranieri.

Un’estate folle, presidente, colpa di Tavecchio o del maltempo?

«A me è andata bene. Mare, sole e un po’ di maestrale che non guasta. Quanto ai problemi conseguenti alle parole di Tavecchio sono stati davvero tanti».

L’ultimo è l’inchiesta dell’Uefa: se l’aspettava?

«Avevo ricevuto segnali in questo senso. E non mi sorprenderei se si muovesse la Fifa e sulle prese di posizione dell’Associazione calciatori anche la procura federale».

Non è certo un bell’inizio per Tavecchio.

«Per niente. L’ho sentito, gli ho parlato, sta preparando la sua difesa, mi è parso sereno, sta lavorando molto. Ma aggiungo che se il neopresidente federale dovesse sentirsi condizionato da certi eventi, tipo quello dell’Uefa, o da altre manovre, da pressioni di parte, corporative, non mi stupirei affatto se facesse un passo indietro e rassegnasse le dimissioni».

Addirittura. Lei ha parlato di «possibili sorprese». Sarebbero clamorose le dimissioni di Tavecchio.

«In un lungo colloquio, prima della sua elezione, Tavecchio mi ha parlato del suo programma, della sua forza elettorale, anche in modo convincente. Aggiungendo che se non fosse stato in grado di operare per il bene del calcio si sarebbe dimesso. Ribadisco, se questi ultimi avvenimenti dovessero condizionare lui e la sua azione, Tavecchio lascerebbe».

È stata difficile la gestione del caso Tavecchio?

«Dico solo questo: non avrei mai immaginato di ricevere così tante pressioni, interferenze di ogni tipo. E non scendo nei particolari facendo esempi e nomi, ovvio, ma tutti sembravano convinti di essere depositari della verità. Ho ascoltato, educatamente, ma certo non mi faccio condizionare. Mi sono mosso secondo le regole e rispettando spazi e prerogative altrui».

Il programma di Tavecchio la soddisfa?

«In buona parte sì, è un programma coraggioso. Ma deve dimostrare di non essere, mi si permetta questa immagine, un re travicello. Non sarebbe nel suo carattere mantenere una posizione indefinita».

La prima mossa di Tavecchio: l’ingaggio di Antonio Conte come c.t.

«Quando mi confrontai con lui (ovviamente lo feci anche con Albertini, l’altro candidato) mi confidò l’intenzione di ingaggiare Conte. Gli replicai che avrebbe avuto il mio consenso, Conte è un vincente, aggiungendo però che ci sarebbero state delle difficoltà sull’ingaggio. Mi spiegò che le avrebbe affrontate e risolte, rispettando quei limiti economici e finanziari che guidano una Federazione. Ha mantenuto la parola coinvolgendo in modo creativo aziende private. E, conoscendo Conte, stiano tranquilli i puristi, non si farà certo condizionare dallo sponsor».

La seconda mossa: Fiona May come immagine della lotta al razzismo

«Quando Fiona ha chiesto la mia opinione, le ho detto di accettare solo nel caso di un ruolo preciso, operativo».

La terza mossa: basta con la chiusura delle curve che ululano e offendono in nome della discriminazione territoriale.

«Una saggia decisione comunicata malissimo, come se adesso si potesse insultare il prossimo a seconda della sua provenienza, che sia Milano, Roma o Napoli. In realtà scatterà una differente sanzione, più mirata, chirurgica e non solo a danno delle società e degli altri tifosi che nulla c’entrano».

Ma nella governance di Tavecchio, con le vicepresidenze assegnate a Beretta (Lega calcio) e Macalli (Lega Pro), dove sta quello «sprint», «il nuovo», da lei auspicato?

«Tavecchio ha mantenuto l’impegno di non coinvolgere esponenti che rappresentano interessi di parte, societari...».

Si riferisce all’esclusione di Lotito, l’uomo ovunque?

«Lotito ha fatto un bel gesto, un passo indietro. Ha molti meriti Lotito, ma deve capire che è meglio frenare ciò che può apparire invadenza».

Restiamo sulla governance: si parla molto di Michele Uva, ora alla guida della Coni servizi, come direttore generale della federcalcio.

«Se Tavecchio coinvolgerà Uva per noi sarà una perdita, si sta rivelando un dirigente capace, scrupoloso, dalle soluzioni innovative. Sono molto contento del suo lavoro».

Faccia un passo indietro anche lei: Abete nel suo intervento all’assemblea federale si è tolto qualche sassolino. Per esempio sostenendo che lei doveva essere l’ultimo a parlare di «eventuale commissariamento qualora ci fosse stata una maggioranza risicata».

«Ricordo l’ottimo rapporto personale che ho sempre avuto con Abete. Detto questo, auguro ad Abete di trovare sempre un presidente del Coni in grado di sopportare, senza farsi condizionare, tutte le pressioni subite in questa vicenda, mantenendo l’indipendenza della Federcalcio. E osservo anche che ho sì vinto la corsa al Coni per pochi voti, ma da sfidante battendo Pagnozzi che, non solo rappresentava il governo passato, ma era anche strafavorito. E ancora, Abete si è scordato che io sono stato eletto alla fine naturale del mandato presidenziale di Petrucci, nel caso invece della Federcalcio si trattava di un’elezione che avveniva dopo le dimissioni di un presidente, lo stesso Abete, di un vicepresidente, Albertini, e del commissario tecnico, Prandelli. Mi fermo qui».

Tre suggerimenti: a Tavecchio, a Conte, a Balotelli. Iniziamo da Tavecchio.

«Essere determinato nel perseguire gli interessi generali, non quelli delle componenti che lo hanno appoggiato. E avere autorevolezza».

Cosa consiglia a Conte?

«Mai perdere quella grinta, quel carattere, quella voglia di vittoria che lo hanno sempre animato».

E a Balotelli cosa dice?

«In Brasile dopo la sconfitta con la Costa Rica parlai con gli azzurri, tutti mi salutarono, una parola con ognuno, l’unico che si mise le cuffie alle orecchie, passò vicino e non mi salutò fu Mario. Ma non per maleducazione o snobismo, no, penso davvero che forse non si era neppure accorto che ero lì. O forse per timidezza. Ricordo questo episodio per dire a Balotelli che è arrivato il momento di uscire dal suo mondo, di rivedere certi atteggiamenti, di confrontarsi con la realtà. Avrà solo benefici».

Con il premier Renzi come va? Un po’ freddo nei confronti dello sport.

«Assolutamente no. Partecipe e rispettoso, insieme al sottosegretario Delrio, delle esigenze e dei problemi dello sport».

Quando metterete mano al rapporto scuola e sport?

«Insieme al ministro della pubblica istruzione Giannini abbiamo affrontato la delicata questione. Anticipo che abbiamo studiato un format innovativo molto importante per la crescita sociale e sportiva del nostro Paese».

La prima cosa che farà quando tornerà nel suo ufficio al Coni?

«Definire il progetto scuola e sport».

TELE RADIO STEREO 92.7FM 21-08-2014

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La Fifa stoppa il Barça

16 mesi senza acquisti

Confermato lo stop per le irregolarità nei trasferimenti

di minori. Pronto il ricorso al Tas, ma il mercato è già fatto

di FILIPPO MARIA RICCI (GASPORT 21-08-2014)

Ormai il Barça gioca in tribunale quanto sul campo. Il caso Neymar, i guai di Messi con il fisco spagnolo, gli strascichi legali del morso di Suarez a Chiellini, la squalifica per le irregolarità commesse nell’acquisto di 7 giocatori minorenni tra il 2009 e il 2013. Da un annetto è un susseguirsi di sentenze quasi sempre negative, ricorsi, comunicati, dichiarazioni d’innocenza raramente ascoltate, multe salate, sanzioni pesanti. L’ultima, ieri: la Fifa ha confermato che il Barcellona non potrà operare nei due prossimi mercati (e ha mantenuto la multa da 370.000 euro). Niente acquisti nel 2015, a gennaio e in estate, portafoglio di nuovo in mano solo il 1 gennaio 2016.

153 milioni Sentenza che la Fifa aveva già pronunciato e poi sospeso cautelarmente prima dell’estate. Un mezzo favore al Barça, che pur mostrando spavaldo ottimismo evidentemente prevedeva il peggio e infatti ha provveduto a mettere fieno in cascina in vista della carestia: in questa estate passata sul mercato col gas a tavoletta i blaugrana hanno già preso 6 giocatori per una spesa complessiva di 153 milioni di euro, cifra che potrebbe aumentare con altri arrivi (Douglas dal San Paolo? Cuadrado? Reus?) da qui al 31 agosto. Se Rafinha è tornato dal prestito al Celta e Masip è stato promosso dal Barça B, sullo scontrino blaugrana ci sono Suarez (81 milioni), Mathieu (20), Rakitic (18), Bravo (12), Ter Stegen (12), Vermaelen (10).

Ricorso annunciato Considerando i tanti talenti già presenti in rosa e che dalla cantera possono sempre uscire altri elementi validi e che Deulofeu tornerà a giugno dal prestito al Siviglia sulla carta la squadra di Luis Enrique ha lavorato bene in vista del letargo di mercato. Però al Barça non ci stanno, e hanno già annunciato il ricorso al Tas. La difesa è sempre la stessa: la Masía è un posto speciale, dove i ragazzi crescono bene, nutriti non solo a pane e calcio ma con studi intensi e valori precisi.

Regole saltate Il problema però è un altro, e al Barcellona non sembrano riuscire a coglierlo: la Fifa ha condannato il club catalano perché non ha rispettato le regole imposte sui trasferimenti dei calciatori minorenni. E ha ignorato con sfacciata spavalderia gli avvertimenti pervenuti dando l’impressione di considerarsi al di sopra della legge. Regole che sono necessarie a regolare un mercato altamente pericoloso, nel quale il confine tra calcio e tratta di bambini/ragazzi è piuttosto labile. E per un Barcellona che fa le cose bene ci sono tante altre squadre e agenti con meno scrupoli. Ora deciderà il Tas, e il Barça sembra in una posizione difficile: l’eventuale annullamento della squalifica lancerebbe un segnale negativo al mondo del calcio, perché chiunque potrebbe sentirsi autorizzato a fare come gli pare. E allora per il Barça meglio spendere e spandere prima dello stop.

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«Cubature spropositate, l’area deve essere tutelata»

IL PARLAMENTARE PD: «DOV’È TUTTA QUESTA RICHIESTA DI UFFICI CON LA CRISI CHE STA VIVENDO OGGI IL TERZIARIO?»

«COSTRUIRE UNA SERIE DI SVINCOLI NELLA ZONA SAREBBE RIDUTTIVO. DIFFICILE REALIZZARE LE OPERAZIONI CHE SONO STATE PROMESSE»

di SIMONE CANETTIERI (Il Messaggero 21-08-2014)

Roberto Morassut, deputato Pd, cosa ne pensa da ex assessore all’Urbanistica del nuovo stadio di Tor di Valle?

«Il problema è alla base: l’interesse pubblico non può compensare le cubature. E’ la recente legge sugli Stadi a essere stata concepita male».

Un esempio?

«Che vuol dire che il prolungamento della Metro B ricopre l’interesse pubblico? Se non ci fosse stato il progetto dello stadio sarebbe stato altrettanto fondamentale? Allora non lo è. Il tema delle infrastrutture per un’opera del genere è molto più complesso e, da quello che leggo in questi giorni, è troppo sottovalutato».

Non c’è un problema urbanistico più generale?

«E’ un’area complessa, costeggiata dal Tevere. C’è una criticità legata all’assetto idrogeologico. Piuttosto, avrei consigliato all’assessore Caudo, in un un’ottica di rigenerazione urbana, di intervenire sugli stadi già presenti, e pubblici, di Roma: l’Olimpico e il Flaminio».

C’è chi parla di una possibile speculazione edilizia dietro a questa operazione: la vede anche lei?

«Lo ripeto: è la legge sugli stadi a essere sbagliata perché permette al privato, in questo caso a Parnasi, di barattare interventi passati come di utilità pubblica, e tutti da dimostrare, con un’espansione edilizia spropositata».

Uno degli scogli maggiori riguarda le infrastrutture.

«Pensiamo alla rete viaria: questa zona si trova nei pressi della via del Mare, una delle arterie più pericolose di Roma, basta leggere i giornali. Costruire una serie di svincoli non basterebbe. Poi c’è il tema delle ferrovie e della metropolitana: una cosa sono gli interventi promessi, un’altra la loro realizzazione».

Domani Marino sarà a New York per la partita interesse pubblico-cubature: quali sono i rischi per la Capitale?

«Mi auguro che il Campidoglio garantisca il valore patrimoniale in termini di servizi e infrastrutture che realmente servono alla zona, senza prestare il fianco a speculazioni. E poi una domanda?

Prego.

«Ma con la crisi del terziario siamo sicuri che ci sia questa grande richiesta di uffici?».

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Parla il prefetto «Complanari sulla Roma-Fiumicino e doppie corsie sulla via del Mare»

«Così com’è lo stadio

non garantisce sicurezza»

Giuseppe Pecoraro «Roma-Lido e metro B non bastano

Il progetto deve assicurare il deflusso in un’ora e mezzo»

Non solo tifosi La presenza di negozi bar e ristoranti aumenta il flusso di persone

L'alternativa Si può pensare anche all'utilizzo di navette di trasporto

di FERNANDO MARIA MAGLIARO (IL TEMPO 22-08-2014)

Pur con tutta la diplomazia che lo ha sempre contraddistinto, il prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, lancia un allarme sul progetto stadio: «Sicurezza a rischio».

E non è per nulla tenero né con il progetto né con le prescrizioni comunali: le strade di accesso sono fondamentali per i mezzi di soccorso e di emergenza; e le metro da sole non bastano.

Prefetto di Roma dal novembre 2008, responsabile dell'ordine pubblico in città, apprezzato da tutti gli schieramenti politici per l’equilibrio sempre dimostrato, tifoso del Napoli e grande appassionato di calcio, Pecoraro interviene nel dibattito animatosi in queste ultime settimane sul progetto del futuro Stadio della As Roma da costruirsi a Tor di Valle.

«Io ho il dovere di ragionare sullo scenario peggiore: partita di cartello, magari internazionale, in notturna e con tifoserie nemiche. Su questo valuto i parametri di sicurezza» è la premessa. «I tempi di deflusso dallo stadio devono essere contenuti in un’ora e mezza e le strade di accesso, complanari sulla Roma-Fiumicino e via del Mare e via Ostiense a due corsie per senso di marcia più corsia di emergenza, sono gli standard minimi. Stiamo parlando di un impianto nuovo, fra le priorità deve rientrare la sicurezza: le infrastrutture devono essere realizzate anche in quest'ottica per non ripetere episodi tragici che nulla hanno a che vedere con il calcio»

Il Comune - su precisa indicazione del sindaco Marino - intende ritenere fra gli elementi che segnino l'interesse pubblico dell'opera il fatto che almeno la metà dei tifosi possa utilizzare il trasporto pubblico per recarsi allo Stadio. Facendo conto che il nuovo impianto sia riempito al massimo della sua capienza, 62mila spettatori, significa che 31mila persone possono andare in metropolitana. Qual è il tempo che può essere ritenuto congruo in termini di sicurezza pubblica per il deflusso di queste persone?

«È un aspetto estremamente delicato: per garantire sicurezza, il tempo non deve essere superiore a un'ora e mezza per far defluire la gente dallo Stadio. E poi c'è un altro elemento. La presenza di negozi, bar, pub, ristoranti, giochi intorno allo Stadio può significare, in prospettiva, un aumento consistente del numero delle persone che gravitano intorno all'impianto. Quindi, a meno che in occasione delle partite questi extra non siano chiusi, io devo ragionare oggi in chiave futura non su 62mila persone ma su un numero certamente superiore».

Agenzia della mobilità, però, basandosi su parametri di calcolo reali, stima che siano necessarie almeno due ore per far defluire tutti i soli tifosi dallo stadio usando le metropolitane così come le vorrebbe il Comune, e cioè con la Roma-Lido a frequenza raddoppiata e con la Metro B prolungata fino a Tor di Valle. Un computo realizzato sia in base alla reale capacità di trasporto dei treni (su carta 1200 persone a treno, in realtà, un migliaio reale) sia in base all'esperienza che non vede mai gli spettatori affrettarsi a uscire tutti insieme.

«Non sono a conoscenza di queste stime ma io ribadisco: la sicurezza può essere correttamente garantita solo se lo Stadio può essere svuotato in un'ora e mezza. Piuttosto a me preme un altro aspetto del problema».

Dica

«Sempre perché come ordine pubblico dobbiamo pensare agli scenari peggiori in assoluto, io devo segnalare una preoccupazione importante a chi deve valutare il progetto. Deve categoricamente essere garantito l'accesso, il transito e il deflusso dei mezzi di emergenza e di soccorso. Se serve, devo poter disporre l'invio di ulteriori forze o la loro uscita in tempi rapidi dall'area dello Stadio».

E quindi questo come incide sul progetto?

«Occorre che le strade di accesso siano le più agevoli possibili. Io ritengo che sia necessario che il collegamento con la Roma-Fiumicino sia realizzato con le complanari, utili a non sommare il traffico diretto allo Stadio con quello ordinario. E ritengo che lo standard sufficiente per garantire la mobilità dei mezzi di emergenza sia di almeno due corsie più corsia di emergenza per senso di marcia fra la Via del Mare e la Ostiense. E questo almeno dal Grande Raccordo Anulare all'altezza di Marconi».

L'assessore all'Urbanistica, Giovanni Caudo, ritiene non sostenibili gli investimenti sia sul trasporto pubblico che sulla viabilità e che, quindi, su indicazione del Sindaco, in caso di aut aut, il Comune opterebbe per il trasporto in metropolitana lasciando che rimanga il progetto originario con un semplice allargamento della via del Mare e della Ostiense su un tracciato più limitato.

«Posso solo ribadire il mio "attenzione" affinché venga elaborato un progetto con condizioni infrastrutturali che garantiscano una reale sicurezza a tutti, operatori delle forze dell'ordine, delle ambulanze, dei vigili del fuoco, dei tifosi».

Se queste indicazioni non fossero accolte?

«Allora sarebbe necessario un approfondimento sul progetto in termini di mobilità, magari con l'utilizzo di navette. Voglio aggiungere una cosa: non conosco tutti gli aspetti progettuali e non è mio compito entrare nel merito delle proposte. Ho apprezzato che la Roma abbia voluto illustrarmi il progetto generale e penso che lo Stadio sia un obiettivo primario per la Società e i suoi tifosi. Ma il mio compito è pensare alla sicurezza pubblica».

Il Messaggero 22-08-2014

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Panecaldo: «È giusto l’appello del

prefetto. Prima di tutto la viabilità»

di FERNANDO MARIA MAGLIARO (IL TEMPO 23-08-2014)

«Partiamo da un presupposto: vengo dal mondo ambientalista e non temo giudizi altrui ma, a mio parere, il metro cubo non è un’unità di misura in sé da considerare come valida a qualsiasi costo. Il concetto è quello dell’interesse pubblico. Serve un’accessibilità ecosostenibile, il più possibile con il trasporto pubblico. E certo non si può ignorare l’allarme del Prefetto. E non perché a lanciarlo sia Pecoraro, ma perché sono osservazioni di puro buon senso». Fabrizio Panecaldo, consigliere all'Assemblea Capitolina e coordinatore della maggioranza che sostiene Marino e la sua Giunta, è molto chiaro sulla questione stadio a Tor di Valle.

Come giudica l’accordo fra Marino e Pallotta?

«Dalle prime notizie, molto soddisfacente».

Che succede ora?

«Già il 1 settembre riunirò i partiti di maggioranza per esaminare il dossier e, al di là del pronunciamento della Giunta, arrivare in Aula, a votare la delibera di pubblico interesse, con una posizione quanto più possibile comune e condivisa. Ma...».

Ma... ?

«Si tratta di un’occasione storica per sistemare in modo definitivo un quadrante di Roma che è da sempre in sofferenza. Se c’è da fare una ciclabile, se, finalmente, si possono unificare e ampliare la via del Mare e la via Ostiense dal Raccordo a Marconi, come anche ha sottolineato il prefetto Pecoraro, se si può migliorare il trasporto pubblico, ebbene, si faccia tutto. Va bene aver ridotto di 100mila i metri cubi previsti ma questo non deve andare a discapito della viabilità».

Quindi a cosa pensa?

«Credo che sia debba migliorare ancora l’accordo, inserendo le opere di viabilità magari, se necessario, anche concedendo qualche metro cubo in più. Se allo stadio si andasse solo in metropolitana, allora si potrebbe accettare il progetto originario sulla viabilità. Ma dato che non è così, non si può perdere un’occasione è storica e accettare accordi al ribasso».

Il Messaggero 23-08-2014

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Il Messaggero 24-08-2014

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Il Messaggero 25-08-2014

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Il Messaggero 26-08-2014

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Association of Football Agents appeals to

European Commission over Fifa's reforms

AFA warns that reforms under which agents would be replaced by

'intermediaries' would lead to widespread corruption and match-fixing

by MATT LAW (The Telegraph 20-08-2014)

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PANORAMA 27-08-2014

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Caro Tavecchio, coloro che scuciono la lira sono con lei. Invece

quelli che hanno compensi principeschi lavorando poco, sono contro

di RICCARDO RUGGERI (ITALIA OGGI 21-08-2014)

Caro Tavecchio,

ho capito in ritardo la sconcia aggressione nei suoi confronti dei «politicamente corretti» (brutta gente, mi creda, li conosco e frequento da una vita). Seguendo quell’onda, ottusamente ho scritto alcuni tweet ironici su di lei (la definii persino un «bollito», il suo giovane avversario un«tofu»): le chiedo scusa. Ritiro il «bollito», mantengo il «tofu».

Ora la vedo sotto un’altra luce, mi piace, perché lei non è uomo moderno, e non pretende di esserlo, è un grande lavoratore, com’erano gli uomini che anelavano al potere negli anni ’50-’60: cattolici, prudenti, riservatamente pii (alla Andreotti per intenderci), tradivano con sofferenza le loro donne, i quattrini non servivano per se stessi ma per il partito, per gli «amici» (figura completamente diversa da «compagni»). Sbagliano nel collocarlo nella «scuderia» di Lotito (suo grande elettore): non è lei che si specchia in lui, ma Lotito che sogna di essere come lei, usando un latino aulico incomprensibile persino in Vaticano. Per questo, tutti i «padroni» delle varie società di tutte le Leghe, quelli che tirano fuori i quattrini (un tempo erano detti «ricchi scemi», sono con lei, mentre tutti i «dipendenti» (giocatori, allenatori, arbitri”), quelli che hanno compensi principeschi lavorando poco (art. 18 all’incontrario), le sono contro. Fortunatamente in termini di voti costoro contano come il due di picche. Così gli unici due «padroni» contro di lei sono «americani», di Detroit e di Boston, che hanno il vezzo di parlare piemontese e romanesco.

Lei non è un uomo moderno, perché è assolutamente incapace di comunicare, le sue frasi sono elementari, smozzicate, incomprensibili ai più, lei non riesce ad andare al di là del colloquio singolo (one to one direbbero i colti), incapace di gestire riunioni pubbliche, conferenze stampa, partecipare a talk show. Le confesso che a scrivere questo profilo (finalmente un uomo vero!), dalla contentezza mi eccito. Lei mi ricorda il grande «balilla» Giuseppe Meazza: era come lei, bravo sul lavoro, inarticolato quando cercava di esprimere un pensiero (che pure aveva, eccome). Una volta fece sul calcio un’osservazione, una sola ma talmente geniale da passare alla storia: «Non c’è nulla di più umiliante per un fuoriclasse che farsi parare un rigore, da un portiere così idiota da non capire la finta». Si attaglia perfettamente al caso che prende il suo nome: ogni attore di tale sceneggiata, che durerà, con alti e bassi, per tutti i due anni della sua presidenza, può decidere se vuol credersi centravanti o portiere.

Mi permette di darle un consiglio? Sia diabolicamente volpino, cerchi di comportarsi come i suoi nemici, impari a «nascondere il reale, a esibire il falso», come fanno oggi gli uomini di successo: oltretutto suona anche bene, e la farà campare meglio. Auguri di buon lavoro, caro Tavecchio.

Post Scriptum. La scelta di Conte come risposta immediata ai suoi nemici (Conte nel parlare è più fluido di lei, seppur più agghiacciante, immagino per le sue passate frequentazioni) dimostra che lei, in realtà, è mente raffinatissima. Ne sono felice, per il calcio italiano.

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Football’s ‘implicit racism’ clear

without reading between lines

by MATTHEW SYED (THE TIMES 22-08-2014)

Football has a problem. Step back, for a moment, from Malky Mackay and Iain Moody and the vile texts that they are alleged to have exchanged, and look instead at some hard stats.

There are no black managers in the top four divisions. No black chief executives. Almost no ethnic minority representation on the FA Council. The power structure of the English game, to all intents and purposes, is a minority-free zone. This should disturb us even more than the alleged communications of two (at present unemployed) football professionals.

I suspect that most people in football will be appalled but not altogether shocked by the texts that have been uncovered during the investigation into Mackay and Moody. The former Cardiff City manager has said that the two texts (taken from a batch of over 10,000) that he does admit sending do not reflect his considered opinions and that they were, anyway, private. With the latter assertion, I have considerable sympathy, but we should not allow the nuances of his case to obscure the deep structural problems in the English game.

Sport, it is worth remembering, has been a beacon to ethnic minorities down the years. Forty years ago, there was a presumption that blacks were too lazy to play in defence and too dull-witted to perform as playmakers. The on-field performances of great black players subverted these clichés.

The objectivity of sport is a guarantor of its basic fairness. Today, the game is populated by players from sub-Saharan Africa, South America and, increasingly, Asia too. It is a meritocracy.

So why aren’t these minorities making their way into the power structure of the English game? It is here that we must look long and hard at the culture of football; the sense that while society has moved into a new century, sections within the game still operate under the tired assumptions of the 1970s. This is about more than black under-representation in positions of power; more even than about race. It is about the entire gamut of chauvinism.

You have only to look at the dearth of openly gay men in the professional game to realise that homophobia is still an issue, and at the lack of female coaches to glimpse a lingering presumption that women cannot cut it. I doubt that talented female coaches (and there are many) are even considered for youth-team positions, let alone managerial roles. In what other area of life would that be tolerated? In what domain beyond football could homophobic epithets be used as terms of abuse (both in the dressing room and on the training pitch)? Whatever the authorities say, with their carefully chosen soundbites and slick marketing material, football remains a tightly policed bastion of conventional masculinity. In its assumptions and norms, it is light years behind the curve.

When it comes to race, there are other factors at work, too. Few owners or suits at the FA are racists in the conventional sense. They would not use the N-word. Most will be outraged by the content of the texts. But when they are making decisions about who to put into positions of power, they are consistently overlooking candidates from ethnic minorities. This hints at the power of unconscious stereotypes (what is sometimes called implicit racism). This has to be confronted too if we hope for progress.

Not everything is doom and gloom. There has been strong work in weeding out racism from the terraces (work that is still continuing) and it is fair to say that most young coaches are progressive and enlightened. The problem is that the pace of change is far too slow and will not quicken unless the authorities move beyond their state of denial. We need action (let us at least have an open debate on the Rooney Rule and proposals to weed out homophobia and sexism), rather than the limp pretence that everything is OK.

As for Mackay, he is entitled to give his side of the story before we trample on his reputation. Due process is too important to be overlooked. He should also be given a chance to argue that his right to privacy trumps the outrage that many feel over the content of the messages. If the allegations of dubious transfer operations are stood up, however, no conceivable defence will save him.

Football is our national game. It is not just a sport; it is a cultural institution with great symbolic and emotional significance.

We should be outraged that there are no blacks in management, no openly gay men on the pitch and virtually no women in power. The authorities, sadly, just do not understand the true scale of the problem.

Off message

Text messages allegedly sent between Malky Mackay, Iain Moody and others, according to the Daily Mail. Mackay has admiited sending only two texts, neither of them sexist nor homophobic

• When Cardiff City prepared to sign Kim Bo Kyung in 2012, messages were exchanged in response to hearing that the South Korean and four compatriots would be arriving for talks. One said : “Fkn chinkys”; the other read: “Fk it. There’s enough dogs in Cardiff for us all to go around.

• A football official at another club is referred to as “a gay snake”.

• A French player is described as someone “who struck me as an independently minded young homo”.

• One text refers to Phil Smith, the agent: “Go on, fat Phil. Nothing like a Jew that sees money slipping through his fingers.

• A young footballer who has a female agent is told: “I hope she’s looking after your needs,” and also: “I bet you’d love a bounce on her falsies.

• In August 2012, the names of players suggested by a French agent are forwarded, with the message that “he needs to rename his agency the All Blacks”. Another text message refers to a list of French players as “not many white faces among that lot but worth considering”.

• In one message a picture named “Black Monopoly” is sent, with every square stating: “Go To Jail.” A comment on one African player is: “Doesn’t look like a good CV. And he’s Nigerian.

A scuola con Tavecchio

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il Fatto Quotidiano 23-08-2014

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SPY CALCIO di FULVIO BIANCHI (Repubblica.it 23-08-2014)

Ecco perché Malagò ha fiducia in Tavecchio...

Tra trappole e tentativi di sgambetto, Carlo Tavecchio va avanti per la sua strada: "giudicatemi per i fatti" ha detto di recente. Strana l'inchiesta dell'Uefa. Strana e anche sospetta: sì, perché non è uno schiaffo solo a Tavecchio, che Michel Platini conosce bene e stima, ma anche e soprattutto alla Federazione italiana. L'ex presidente Giancarlo Abete, che pure dell'Uefa è vicepresidente, a fine luglio aveva risposto con sollecitudine alla richiesta di informazioni giunta da Nyon sulla infelice frase delle banane: ma evidentemente non è bastata la spiegazione (superficiale?) della Figc, tanto che l'Uefa ha aperto un'inchiesta su quella frase infelice. C'è poco da indagare, è talmente semplice: è stata una gaffe fatta da una persona, Tavecchio, che razzista non è mai stato, lo dimostra la sua storia, e che nel suo programma elettorale aveva messo in evidenza la necessità dello ius soli sportivi. L'Uefa chiuderà in fretta la sua inchiesta ma il 28 agosto a Montecarlo, nella riunione delle 54 Federazioni europee, Tavecchio probabilmente non andrà (almeno per ora non è previsto nella sua agenda). Motivi di opportunità. Tarecchio rischia di essere squalificato (inibito) in campo internazionale, in quanto quando ha pronunciato quella frase, il 25 luglio, era membro della commissione dilettanti dell'Uefa (da cui si è poi dimesso l'11 agosto, appena eletto presidente della Figc). Credo che anche in caso di squalifica, Tavecchio non si dimetterà anche se le pressioni non mancherebbero. Malagò auspica un passo indietro? Non penso: anzi, è convinto che Tavecchio, frenata la sua incontinenza verbale, possa fare bene (e lasciare il segno) nei prossimi due anni. Perché? Perché non ha nulla da perdere, perché conosce come pochi il mondo del calcio italiano e perché il Coni è e sarà al suo fianco con uomini e idee. C'è fiducia quindi a Palazzo H in Tavecchio, nel suo programma e nella "squadra" che si sta definendo proprio in questi giorni. Lunedì il presidente Figc sarà a Vicenza per gli 80 anni (auguri) di Sergio Campana, storico presidente del sindacato calciatori. Da martedì, invece sarà a Roma per mettere a posto le ultime caselle: da definire l'accordo con Michele Uva, direttore generale della Coni Servizi, in procinto di trasferirsi in via Allegri. Uva andrebbe a prendere il posto di Antonello Valentini, una vita in Figc, prezioso collaboratore di presidenti e anche commissari. Purtroppo, non essendo possibile la convivenza Valentini-Uva, si rende necessario il cambio della guardia: Valentini potrebbe restare in carica però sino al 4 settembre, quando la Nazionale di Conte debutta nella "sua" Bari. Martedì prossimo, o al più tardi mercoledì, si dovrebbe definire tutto.

E gli altri incarichi? Ci sono tanti nomi in ballo nei ruoli chiave. La Federcalcio srl, che gestisce il patrimonio immobiliare (circa 100 milioni), terrà un suo cda, e la presidenza andrà ad Andrea Abodi, fra i grandi elettori di Tavecchio. Poi c'è da scegliere un nuovo responsabile delle relazioni esterne (probabile Andrea Butti, stimatissimo in ambito Uefa), mentre anche all'ufficio stampa dovrebbero esserci molte novità. Gira il nome di Gianfranco Teotino, legatissimo a Michele Uva, ma Tavecchio potrebbe portare con sé anche Roberto Coramusi, di cui si fida ciecamente (ma se l'avesse ascoltato quel venerdì nero...). Fatta la squadra, si passerà ai fatti. Se lo aspetta anche Andrea Agnelli, che è stato sempre coerente nella sua scelta, ma che adesso, saggiamente, è pronto ad incontrare Tavecchio. Tante le cose da fare, e in fretta. La Juve darà il suo contributo. A settembre, ad esempio, Tavecchio, spalleggiato dal membro di Giunta Abete, dovrà fronteggiare l'assalto delle altre Federazioni che vogliono nuovi criteri di ripartizione dei contributi Coni e vogliono tagli netti ai soldi che percepisce la Figc. Abete si era già ribellato, ritenendo "punitivo" il fatto che è stato dato un grosso peso alla preparazione olimpica. E il calcio ai Giochi ha a disposizione solo due medaglie: a Londra 2012 i maschi non si erano nemmeno qualificati mentre le donne mai hanno disputato un'Olimpiade. Ora la Figc prende 62 milioni all'anno, soldi che non vanno al calcio professionistico (merita ricordarlo) ma alle spese arbitrali, all'antidoping, al funzionamento della giustizia sportiva e in parte anche ai settori giovanili. Molte Federazioni auspicano un taglio netto: Tavecchio si aspetta soldi in meno, ma non troppi, con la speranza di rendere la Figc, in un futuro non vicino, autosufficiente. Il taglio potrebbe essere intorno ai 20 milioni, ricordando che la Giunta Coni ha pur sempre a disposizione un "tesoretto" di 15 milioni e Malagò non ha intenti "punitivi" nei confronti del calcio. Ma se il taglio fosse più consistente, si rischierebbero di fermare tutti i campionati giovanili. Perché nel calcio ci vogliono gli arbitri, mentre in altri sport a volte non ci sono nemmeno i referti...

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Palazzo di vetro

RUGGIERO PALOMBO

Gasport 23-08-2014

«Gioca» Tavecchio: doppia partita con Malagò e Agnelli

Ora che il tiro al piccione Tavecchio da sport nazionale è diventato disciplina olimpica ci si domanda se il presidente della Federcalcio ha davvero messo in conto l'ipotesi, evocata da Giovanni Malagò nella bella e quasi interamente sincera intervista rilasciata giovedì al Corriere della Sera, di «fare un passo indietro» in presenza di complicazioni disciplinari relative alla sua celeberrima gaffe. La risposta, con buona pace di altrui appetiti, è no e i due se lo sono anche detto nel corso delle due telefonate intercorse quarantotto ore fa, Tavecchio in ufficio e Malagò in vacanza (meritata) sulle coste occidentali della Sardegna. L'eventuale e piuttosto probabile sanzione Uefa sarà solo di carattere internazionale (non è poco ma nemmeno tantissimo) e quanto alla giustizia domestica, annusata l'aria e le convinzioni che si respirano nei dintorni delle Procure federali di svariate federazioni (una per tutte: la Federciclismo dell'avvocato Giovanni Grauso ex Figc e buon conoscitore di Palazzi) non dovrebbero esserci ipotesi di reato e tantomeno deferimenti a carico di Tavecchio. Il quale, complice Malagò, ha solo una gran fretta e necessità di completare la propria squadra dopo le nomine dei vicepresidenti Beretta e Macalli e il passo indietro imposto allo straripante Lotito. Il nodo è quello del direttore generale e in ballo ci sono due ottimi dirigenti, Antonello Valentini e Michele Uva, legati da un passato prossimo in Federcalcio (il primo contribuì ad assumere il secondo) e da una sopraggiunta incompatibilità ambientale (eufemismo: in realtà si detestano vicendevolmente). Il programma di Tavecchio che piace a Malagò e che non dispiace a Chimenti e Miglietta, presidente e amministratore delegato di Coni Servizi della quale Uva è l'attuale direttore generale, è quello di una staffetta Valentini-Uva in Federcalcio. Solo che il passaggio di testimone, visti anche gli antefatti, è tutt'altro che indolore. Martedì, in un modo o nell'altro, dovrebbe essere il giorno chiave. Verrà così sminata una delle due questioni aperte tra Malagò e Tavecchio. L'altra riguarderà invece, in un futuro prossimo, la grana contributi. La Figc prende 62 milioni l'anno dal Coni ma quella cifra è destinata ad essere dimezzata per il 2015 a favore di altre federazioni (atletica in testa, che magari potrà così incrementare i suoi contingenti per le manifestazioni internazionali, dopo i «soli» 81 atleti inviati agli Europei). Malagò, che dispone di un tesoretto da assegnare a suo insindacabile giudizio, intende addolcire la pillola facendo diventare quel meno 30 della Federcalcio qualcosa vicino a meno 15/20, Ta-vecchio vorrebbe addirittura scendere a meno 10 ma sarà durissima. L'ultimo capitolo riguarda l'ice bucket challenge, la doccia gelata pro ricerca per la lotta alla Sla. Ieri come è noto è toccato ad Andrea Agnelli che ha poi «nominato» proprio Tavecchio. Il quale, non prima di avere pensato a chi nominare a sua volta (Malagò è vivamente consigliato di munirsi di un bel secchio), ha personalmente telefonato al presidente della Juventus accettando la sfida ma proponendo anche, prontamente ricambiato, un successivo tavolo per «parlare di calcio». Docce gelate, ma anche prove di disgelo

Modificato da huskylover

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