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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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IL PULICICLONE di ANGELO CAROTENUTO (Repubblica.it 04-11-2013)

Letteratura dell’anti-madridismo.

E dell’anti-juventinismo

Tutto comincia nelle Asturie. La scintilla si accende con un coro. “Asì, asì, asì gana el Madrid”. Così vince il Madrid. Così come? Grazie all’arbitro: questo significa il coro che ormai accoglie il Real su quasi tutti i campi di Spagna. Il 25 settembre del 1979 è la data di nascita universalmente accettata dell’antimadridismo.

Il pretesto è un episodio come tanti, l’espulsione al sesto minuto di Enzo Ferrero, numero 11 dello Sporting Gijón allo stadio El Molinón. Ferrero è marcato da San José, scatta, i due si ostacolano, si mettono le mani addosso, ci scappano un paio di spintoni, San José cade. Rosso. L’arbitro manda fuori Ferrero. Asì gana el Madrid. Sul prato arriva di tutto.

Quando la gente asturiana vede il rosso a Ferrero, si scatena ripensando all’anno prima. Il Gijón era stato avversario del Real per il titolo. Aveva perso lo scontro diretto in casa, giocandolo senza Dória né Ferrero, espulsi la settimana prima a Salamanca. Una polemica enorme era scoppiata in precedenza per un gol concesso al Real contro l’Athletic Bilbao (3-3 il risultato finale). Classifica finale: Real 47, Gijón 43. Quel cartellino rosso, insomma, diventa l’istante finale di un’inimicizia covata a lungo ed è l’alba di un’ostilità che ancora dura. Alla sua prima stagione da allenatore del Real, Mourinho infatti la rinfocola accusando l’allenatore del Gijón, Manolo Preciado, di essere andato al Camp Nou di Barcellona con le riserve. Per perdere. “Mourinho è una canaglia, a Gijón siamo gente del popolo, ma sappiamo perdere. In Inghilterra lo metterebbero in prigione”, fu la risposta. Mourinho dovette andare in panchina con quattro guardie del corpo, ma quando a Preciado morì il padre gli telefonò.

Settembre 1979. L’anti-madridismo esplode quando la Spagna ha da poco chiuso l’esperienza della dittatura. Francisco Franco, il caudillo, muore nel novembre del 1975. Il suo regime politico (1939-1973) si sovrappone a lungo con la guida al Real di Santiago Bernabéu (1943-1977). Il Real delle cinque Coppe dei Campioni di fila dal ‘56 al ‘60, la sesta arriverà nel ‘66. Scrive Daniel Gómez Amat in La patria del gol: “La percezione popolare che il Real Madrid sia la squadra del regime nasce con le vittorie europee, debitamente utilizzate da Franco, incollato al televisore ogni volta che giocano los Blancos. Grazie ai gol del Real, la Spagna migliora la sua immagine internazionale e il Real si converte in un super ambasciatore al servizio della diplomazia franchista”. È il cosiddetto nacionalfutbolismo. Gómez Amat riporta un discorso attribuito al ministro José Solís Ruiz, uomo noto come “il sorriso del regime”. Nel ’59 Solís Ruiz dice ai calciatori del Real: “Avete fatto molto. Gente che ci odiava, grazie a voi, ora ci comprende, grazie a voi: avete rotto molti muri”.

Quando a Gijón la scintilla si accende, ha tutto questo po’ di roba da infuocare. Nacio Vegas, cantautore asturiano che si rifà alla lezione di Bob Dylan e Tom Waits, tifoso dello Sporting, in un’intervista una volta ha detto che “l’antimadridismo nasce come reazione a un calcio sostenuto da valori come arroganza e disprezzo dei rivali, rappresentati da calciatori come Juanito, Hugo Sánchez, Cristiano Ronaldo. Conosco madridisti che sono antimadridisti”.

Il capofila letterario di questo sentimento è stato Manuel Vázquez Montalbán. “Il Barça rappresenta l’esercito, disarmato e simbolico, che la Catalogna non ha mai avuto”, la frase che Madrid non gli ha mai perdonato. Barcellona a parte, le culle dell’antimadridismo più convinto sono Pamplona e Bilbao, sebbene il San Mamés abbia attribuito ovazioni a campioni come Stielike e Laudrup. L’Oviedo, rivale del Gijón, per reazione appoggiava il Real. Fino al 1988, quando finì male uno scontro fra ultrà durante la festa di san Matteo. Anche il Riazor, a La Coruña, era un campo amico, ma quando il Deportivo si scoprì squadra da titolo e rivale del Real, il coro di Gijon arrivò anche là. E poi a Valencia, che un tempo era stata la seconda casa del Madrid. Lì il Real aveva giocato in campo neutro una partita di Coppa contro il Porto: 68 mila spettatori, 80 milioni di pesetas di incasso, vittoria per 2-1. Tutto perfetto, eppure venne il giorno in cui il presidente madridista Lorenzo Sanz pagò la clausola per sfilare Mijatovic agli amici valenciani. Rottura delle relazioni diplomatiche.

Una squadra che spacca un Paese. Come da noi succede alla Juventus. Mezza Spagna è del Real, l’altra metà è contro. Mezza Italia è bianconera, l’altra metà è convertita alla religione dell’anti-juventinismo. Eppure, la Juve nasce per unire. Lega a lungo l’aristocrazia sabauda e gli immigrati meridionali, i nostalgici della monarchia e gli uomini della sinistra. E’ la squadra di tutti. Quasi. Il motivo? C’entra il Medio Evo, così scrive Gianni Brera in “Storia critica del calcio italiano”:

“Sulle direzioni del favore popolare – il tifo! – varrebbe la pena di indagare con riferimenti socioculturali e persino etnici. Il primo responso, ad ogni modo, è questo: che agli italiani piace parteggiare per chi vince. La Juventus gioca bene, vince sempre e non è né lombarda né emiliana né veneta né toscana: appartiene a una regione che ha innervato l’esercito e la burocrazia nazionali: di quella regione, il capoluogo è stato anche capitale d’Italia. Nel Medio Evo non esisteva se non come povero villaggio. Nessuna città periferica aveva contratto odii nei suoi confronti, all’epoca dei Comuni. Essa batteva ormai le decadenti squadre del Quadrilatero e offriva agli altri italiani la soddisfazione di umiliare le città che nel Medio Evo avevano spadroneggiato: i romagnoli andavano in visibilio quando Bologna veniva mortificata dalla Juventus, così i lombardi di parte ghibellina come pavesi e comaschi quando le milanesi venivano battute in breccia, e ancora i lombardi che avevano squadre proprie, come bergamaschi, bresciani e cremonesi, e le vedevano puntualmente vendicate dalla Juventus”.

Poi la Fidanzata d’Italia ha visto piano piano crescere la schiera degli antipatizzanti. Qualcosa si spezza il 16 aprile del 1961, quando uno Juve-Inter viene sospeso per invasione di campo (le tribune non bastarono a contenere gli spettatori). Sarebbe 0-2 a tavolino, la Caf accoglie il reclamo della Juve. Moratti padre si infuria. Per la ripetizione della partita, due mesi dopo, manda in campo la squadra giovanile, compreso il diciannovenne Sandro Mazzola. La Juve vince 9-1 e si aggiudica lo scudetto. E’ questa la radice riconosciuta della pianta dell’anti-juventinismo. Verranno poi un rigore non concesso a Rivera in Juve-Milan del ‘72 (errore ammesso in tv da Lo Bello), er gol de Turone, quello annullato a Graziani della Fiorentina nello sprint scudetto’82, il rigore Iuliano-Ronaldo del ‘98, il gol fantasma di Muntari nel 2012. Insomma, tutta la letteratura dei militanti dell’anti-juventinismo. E in mezzo c’è Calciopoli, la ferita delle ferite per l’intero calcio italiano, non ancora rimarginata.

La politica da noi è entrata nella discussione molto meno che in Spagna. E’ la squadra dei padroni, provava a sostenere l’opposizione operaista nell’Italia degli anni Cinquanta. Ma in tanti tifavano Juve pure in fabbrica, tanti pure dentro i quadri del Pci. Così un giorno Palmiro Togliatti domanda a Piero Secchia: “Tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere il risultato della Juve?”. La verità è che vivere da anti, alla fine, logora. Vale per la Juve e vale per il Real. Lo ammise finanche Peppino Prisco, a lungo vice presidente dell’Inter, e dei bianconeri velenosissimo avversario. “Alla lunga ci si rassegna”.

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nelle ricostruzioni di Brera ci sono un sacco di cazzate tipo i comaschi che tifano Juve quasi non avessero

squadra propria e per metterlo in c**o ai milanesi, stereotipi che da GiuànBreraFuCarlo non mi sarei aspettato

di leggere.

ma più sotto c'è il solito mischione di luoghi comuni...insomma, un articolo inutile e rosicante :sisi:

"quello annullato a Graziani della Fiorentina nello sprint scudetto’82..." .oddio

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la Repubblica SERA 27-11-2013

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Indice di permalosità mondiale

Da certe parti basta niente...

FOLHA DE S.PAULO 28-11-2013
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Six arrested over match-fixing
claims in English football

by KATIE GIBBONS (THE TIMES 28-11-2013)

Six members of an alleged betting syndicate have been arrested on suspicion of fixing English football games as part of an international match-rigging scandal.

The former Premier League player Delroy Facey, now an agent, and at least three other footballers were among the men being held by officers from the National Crime Agency (NCA) in the past two days.

The arrests came after an investigation that found match fixers from Asia were targeting lower league football games across Britain.

One internationally known fixer arrived in the UK last week and was arrested on Tuesday evening after he offered to fix matches for as little as £50,000 to undercover reporters.

After a succession of similar scandals abroad, NCA officers have gathered sufficient evidence to arrest six men involved in allegedly trying to fix a match in Britain.

One of the suspected fixers claimed to The Daily Telegraph reporters that he could use inside information to rig games and help potential gamblers make hundreds of thousands of pound using betting websites based in Asia

The man, from Singapore, also alleged that he controlled teams in other European countries and could buy foreign referees to secure results.

An NCA spokesman said: “Six men have been arrested across the country as part of an NCA investigation into alleged football match fixing. The focus of the operation is a suspected international illegal betting syndicate. The NCA is working closely with the Gambling Commission and the Football Association.”

The suspected match fixers are being held under the bribery and fraud Acts at a police station in the Midlands and the Crown Prosecution Service are believed to be working with police officers on the case.

The identities of the teams — which are not Premier League sides — cannot be disclosed while the police investigation is ongoing.

The FA was recently warned it was likely that match-fixers were trying to operate in England. Chris Eaton, ex-Interpol and former Fifa security adviser, found links between an Australian match-fixing case and players in England.

The latest arrests follow a Europol investigation in which they examined 425 suspects across Europe relating to 680 matches across 30 countries.

The matches investigated included Liverpool’s 1-0 win over Hungarian club Debrecen in the Champions League in 2009, but there was no suspicion relating to Liverpool.

Mr Facey, 33, played for 15 clubs over a 16-year professional career, including making ten appearances for Bolton Wanderers in the Premier League a decade ago. He still plays for Bradford-based club Albion Sports in the Northern Counties East League Premier Division.

Match-fixing is nothing new - and it
has spread to every corner of Europe

by MARTIN BOOTH (THE TIMES 28-11-2013)

Fixing dates back as far as the ancient Olympic Games, so it should come as no surprise that English football is now under suspicion of having fallen under the pernicious influence of Far East-based betting syndicates.

Six men, including Delroy Facey, a striker who played in the Premier League for Bolton Wanderers, have been held and questioned over the rigging of games in this country.

But a look around the footballing landscape provides a sobering illustration of just how pervasive the culture of pre-determining results for financial gain has become:

ITALY

Italy, more than any other nation in western Europe, has been ravaged by the influence of match-fixing in recent years. In 2011, for instance, senior players including Giuseppe Signori, Stefano Bettarini and Mauro Bressan were arrested for their involvement in an historic betting scandal and later banned.

Stefano Mauri, the Lazio captain, is currently serving a nine-month ban for his part in a match-fixing scandal. He was one of eight players accused of rigging Lazio matches against Genoa and Lecce in May 2011. He was found guilty of failing to report match-fixing.

Shortly after Italy won the World Cup in 2006, Juventus, Lazio and Fiorentina were relegated from Serie A over the most notorious scandal to afflict the game there in recent years - although this affair centred on influencing referees rather than colluding with gamblers.

The prevalence of fixing in Italian football was laid bare by author Joe McGinniss in his excellent book The Miracle of Castel di Sangro, about a small regional team’s first season in Serie B in 1996-97.

McGinniss was stunned as several players told him it is routine for matches near the end of the season to be rigged. Before the last match, against Bari, he heard players discussing how the opponents, needing a victory to clinch promotion, would win 3-1 with the Castel di Sangro goal coming from a penalty. That is exactly what transpired.

SPAIN

At least eight matches in Spain’s top two divisions are fixed every season, was the claim made last month by none other than the president of the Spanish league.

Javier Tebas told the Leaders in Football conference in London last month: “I am trying to eradicate the black sheep in La Liga. If we do not eradicate it now, it will become like the Wild West with no laws, no control.”

In May, the president of Deportivo La Coruna claimed match-fixing was widespread in Spain after the authorities investigated his side’s 4-0 win over Levante the previous month. Javier Barkero of Levante was reported by local media to have accused some of his team-mates of not trying.

GERMANY

Robert Hoyzer, a referee, confessed to fixing and betting on matches in the second and third flights of German football and cup matches in a scandal that erupted in 2005.

The matches concerned included a first-round cup match in 2004 which Hamburg of the Bundesliga lost 4-2 to Paderborn after two extremely dubious penalties were awarded to the underdogs.

Hoyzer, who was discovered to have links with a Croatian gambling syndicate, was banned and jailed as the German authorities worked tirelessly to ensure the scandal did not impact upon the nation’s hosting of the World Cup the following year.

However, the Croatian gang resurfaced, forged links with Singapore and were said to be involved in the fixing of 380 European matches - taking place in Germany, Hungary, Turkey, Slovenia, Croatia and Belgium - in a list highlighted earlier this year.

They included Liverpool’s home match in the Champions League against Debrecen, the Hungarian side, in 2009, though there has never been any suggestion that the English club were involved in any dubious activity.

TURKEY

Fenerbahce and Besiktas, two of the nation’s biggest clubs, are both serving European bans this season because of their roles in an extensive domestic match-fixing scheme.

Aziz Yildrim, the president of Fenerbahce, was sentences to more than six years in jail following an investigation into a 2011 corruption scandal. He was released after serving a year but was one of almost 100 individuals held over events surrounding several matches in the 2010-11 season.

The investigation is continuing and has cast a long shadow over a nation which had hopes of hosting the 2020 European Championship only to see Uefa decide to take the tournament to cities across Europe.

RUSSIA

As hosts of the 2018 World Cup, the Russians are extremely keen to ensure their domestic game, which has long been synonymous with inexplicable results, is above suspicion by then.

Vladimir Putin, the president, recently signed legislation that increased the maximum punishment for match-fixing to seven years in prison.

However, only last month Fifa said 12 games played in Russia had been identified as suspicious. Meanwhile FIFPro, the international players’ union, has claimed that one in ten footballers in Russia has at some point been approached about fixing a game.

BELGIUM

The national team are hoping for a momentous 2014, with many shrewd judges tipping them to do well at the World Cup. Unfortunately, earlier in the year Belgian football is braced for revelations at a trial of 31 individuals suspected of fixing several top-flight matches in the middle of the last decade.

Among the accused at a trial due to start in February are several players and club staff who were playing at the highest level in the country between 2004 and 2006.

ENGLAND

The first instance of match fixing in England was in 1896, when Stoke and Burnley drew their final match, a result that ensured they both avoided relegation from the First Division. In response the Football League expanded the top flight to 18 teams, ensuring that Blackburn and Newcastle did not go down after all.

In 1915 a Good Friday match between Manchester United - who desperately needed a win to avoid relegation - and mid-table Liverpool was fixed in United’s favour with players from both sides being paid. Seven were later banned for life.

Three Sheffield Wednesday players - Peter Swan, Tony Kay and David Layne - were jailed and banned for life after being paid to lose a game against Ipswich in 1962.

Several players were also banned and fined after unusual betting patterns were reported on a match between Accrington Stanley and Bury on the final day of the 2007-08 season.

Corriere del Mezzogiorno - Napoli 28-11-2013
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Problem is endemic

and England not immune

by RORY SMITH (THE TIMES 29-11-2013)

Two of Turkey’s biggest clubs are barred from Europe. In Germany, they have seen a referee jailed and the results of dozens of games called into question. In Italy, calciopoli brought down Juventus. Its successor, calcioscommesse, tarnished some 15 clubs in the country’s lower divisions. In Spain, the maletas stuffed with cigars, champagne or cold, hard cash are a regular feature of the end of the season.

The stain of match-fixing has afflicted every level of football and every country in which it is played. Europol announced in February that it even believes that its tentacles have spread to the Champions League. A former head of security at Fifa says that the problem is now “endemic”. It is not surprising that the National Crime Agency has arrested several people —two of whom have since been charged with conspiracy to defraud  — over allegations of the attempted fixing of games in England.

What is surprising is that anyone thought that this country should be exempt.

There has long been a tendency in Britain to see match-fixing as something that happens to other people. It happens in places such as China, where fixing was once so chronic that the country’s football federation threatened to shut down the league. It happens in Eastern Europe, where the money is bad and corruption is rife and people such as Gigi Becali, the “colourful” owner of Steaua Bucharest, offer rivals briefcases full of cash to throw games. We know it happens in Italy, too, where stories of referees being offered bribes date back decades, where Luciano Moggi — the kingpin who oversaw a vast network of contacts designed to help Juventus to win titles — could make sure he got the referees he wanted until prosecutors started tapping his phone, and where a goalkeeper at a fourth division club tried to drug his team-mates to make sure he could make good on his promise to fix a game.

But we have always assumed that England is different. The theory is that the money is so good at the top of the game that only the most foolhardy of players would attempt to throw a match. Why risk your career for £70,000 — the fee the fixer arrested by the NCA this week suggested was required to buy a Premier League game — when that represents, at worst, a few weeks’ wages? The examples in the rest of what might be termed the “developed” football world prove how short-sighted this is. Some games, of course, are fixed for money, arranged by shady representatives of Far East betting syndicates. But others are influenced because of the sporting rewards on offer: Champions League qualification, or to avoid relegation.

Football, as the slogan goes, matters more if there’s money on it. And there is more money on it now than ever. It is illogical to suggest that figures in Turkey, Spain, Italy and Germany would try to fix games so as to ensure their team reached the Champions League but to believe that such an eventuality is impossible in England.

Down the divisions, too, English football is as susceptible to bribery as elsewhere. Lower-tier players earn more than in Italy or Romania, yes, but even the very highest earners rarely make more than £70,000 a year. Their career lasts only 15 or 20 years if they are lucky. It is easy to see why they would be tempted by a quick buck. Match-fixing is not something that happens to other people. Everyone must be on their guard.

Have you ever watched a match that you suspect has been fixed?

Send your experiences to communityATthetimes.co.uk

Odd couples

Sky Bet

Signed a £15 million-a-season, five-year deal to sponsor the Football League this summer.

Blue Square Bet

Sponsored the Conference leagues between 2007 and 2013.

Bet365

Peter Coates, who has bankrolled Stoke City’s rise, is also chairman of Bet365, the online betting company.

William Hill

The “official betting partners” of the England team and FA Cup in 2012.

12Bet

Sponsors of Wigan are one of 19 gambling firms to have a tie-in with an English club.

The grey market offers

loophole to be exploited

by ED HAWKINS (THE TIMES 29-11-2013)

The gambling dens of Asia have a grubby reputation. The punter wanting to bet a few years ago in the streets of Jakarta or Hanoi would need a password for access to the bookies who had set up in the backroom of a karaoke bar. Or there was the mansion in the middle of the Malaysian jungle with a giant satellite dish on its roof beaming in football matches from around the world.

This subversive glamour is the past. The hideouts and holes have been replaced by gleaming office blocks, 24-hour call centres and websites, so that gamblers can get their bet on. Gambling in Asia has gone corporate.

Betting behemoths including SBO Bet — a name you might recognise from the shirts of West Ham United until last season — and IBC Bet have been granted licences by the Philippines to run their operations out of Manila.

Anti-corruption investigators call it “the grey market”, because while they unequivocally know the temperament of black and white markets, of this new industry they are unsure.

The grey market is used by match-fixers simply because they are able to stake unrestrained amounts in a faceless manner. An illegal black-market bookie has a limit to how much he can afford to lose and white-market firms such as Ladbrokes or William Hill restrict customers. A fixer could place $500 bets every second on the website of one of the licensed bookmakers from anywhere in the world.

An example, according to a source within SBO Bet, was an under-17 match in Scotland last year. The match was listed on the betting websites and almost $1 million poured in. A Barclays Premier League match will attract $60  million and an early kick-off involving two of the bigger clubs — because of the time difference — can rake in double that.

About 90 per cent of money wagered will be on the Asian handicap, a market that allows the team expected to win a “head start” of a quarter of a goal or more to the opposition. The rest of the money staked will go on over or under a certain amount of goals and the match result.

These three markets are the only ones of interest to the armies of bettors. It is a myth that there are weird and wonderful markets to be exploited by fixers such as the time of the first throw-in or number of corners. But what is the anatomy of match-fixing, an industry that yields $90 billion annually?

Once a fix is set up, the corruptors will either employ minions to place the wagers on the websites such as SBO or a broker company will be given the task of placing bets on a second-by-second basis. Armed with either the knowledge of the result or how many (and when) goals will be scored, the odds are manipulated in favour of the fixer.

It’s a lot like insider trading. A popular tactic of the syndicate is to put large sums for a goal between the 70th and 75th minute. A late penalty, if the referee is corrupted, is also popular. A high-street bookmaker is able to guard against such corruption because such a run of cash would be considered a suspicious betting pattern and betting would be stopped. For a company such as SBO, its greatest strength is also its greatest weakness.

It owes its position and popularity because it never turns down a gamble on any sport. But when such massive sums are being placed on games that would be considered “small fry”, trying to find malpractice is akin to the search for a needle in a haystack.

However, it is debatable as to how hard investigators are looking. An FA investigation into claims of corruption in a Championship match between Norwich City and Derby County in 2008 faltered when licensed Asian bookmakers refused to reveal betting patterns.

Three betting markets in Asia

Asian handicap

The most popular form of betting in Asia. Teams are handicapped according to their form, so that a stronger team must win by more goals for a bet to be successful. Handicaps typically range from one-quarter goal to several goals, in increments of half or even quarter-goals.

Over/under goals

Gamblers are asked to guess whether there will be more than 2.5 goals in a match or fewer. Other “ranges” of goals are available to bet on. Thanks to odds changing second by second, the market offers a clear opportunity for fixers to make vast amounts if a team have agreed to concede only one goal.

Match odds

The wager which we are all most familiar. Who will win the match? Or will it be a draw? As simple as that.

Two men charged with match-fixing

by OLIVER KAY (THE TIMES 29-11-2013)

Two men were charged last night in connection with an investigation into match-fixing in English football.

The men, who are alleged to be part of an illegal international betting syndicate based in Singapore, have been remanded in custody and will appear before Cannock Magistrates today.

Chann Sankaran, a 33-year-old Singapore national, and Krishna Sanjey Ganeshan, a 43-year-old with dual UK and Singapore nationality, have been charged with conspiring to defraud bookmakers by influencing the course of football matches.

Although the allegations are understood to relate to non-league matches, several tiers below the Premier League, the National Crime Agency’s investigation has sent shock waves through English football. Five other men were bailed yesterday pending further inquiries. One of them is rumoured to be Delroy Facey, 33, who once played in the Premier League for Bolton Wanderers.

The NCA said that the charge was that Mr Sankaran and Mr Ganeshan “between November 1 and 26 at City of Manchester and elsewhere” had conspired together and with others “to defraud bookmakers by influencing the course of football matches and placing bets thereon”.

The statement added: “The Crown Prosecution’s Organised Crime Division found sufficient evidence and was satisfied it was in the public interest to authorise charges of conspiracy to defraud. The maximum sentence for this offence is ten years’ imprisonment.”

English football has long prided itself on its reputation for integrity in an era when there have been serious issues relating to match-fixing in other countries. However, the game’s administrators have been accused of “sleepwalking” into trouble through a sense of complacency.

Declan Hill, author of The Fix: Soccer and Organised Crime and The Insider’s Guide to Match-Fixing in Football, said yesterday: “This tide of globalised sports corruption has reached all around the world. British football administrators have been sleepwalking themselves into a crisis. They’ve been warned about this for years.”

The Football Association maintains that neither it nor the various leagues have been guilty of complacency. Their procedures and regulations have tightened considerably since four players — three from Accrington Stanley and one from Bury — were banned for betting on the outcome of a League Two match between the clubs in May 2008.

The NCA’s investigation continues.

Football’s governors forced to

wake up to their biggest fear

Allegations of an illegal betting syndicate targeting the sport in

England are terrifying those responsible for football’s leading brands

by OLIVER KAY (THE TIMES 29-11-2013)

Do not think for one moment that the men running English football are blasé about the threat of match-fixing. In this brandobsessed age, nothing terrifies them more. It keeps them awake at night. Nothing could be more damaging for those brands — the Premier League, the Football League, the FA Cup, English football — than the stain of on-pitch corruption.

For years, it was dismissed as a foreign disease, originating among shadowy Far East betting syndicates but never reaching as far as the White Cliffs of Dover. There have been terrible issues in Turkey and in Italy, but only over the past couple of years have the authorities in English football come to share the view of Michel Platini, the Uefa president, that match-fixing represents the greatest threat to the game’s future.

That is why yesterday’s headlines, revealing a National Crime Agency (NCA) investigation into the possibility that an illegal international betting syndicate in Singapore has tried to influence the course of matches in England, caused such a sense of unease.

Two men, a 33-year-old Singaporean national and a 43-year-old who has dual UK and Singaporean nationality, have been charged with conspiring to defraud bookmakers by influencing the course of football matches and placing bets. Another five men have been bailed pending further investigations, including Delroy Facey, 33, whose journeyman career peaked when he briefly played in the Premier League for Bolton Wanderers a decade ago.

If initially there was any sense of reassurance  — that the allegations relate to non-league football, several strata below the Elysian fields of the Barclays Premier League — it would be misplaced. It is beguiling to think that the Premier League is untouchable and incorruptible, but, in the splintered world of English football, there can be no “We’re alright, Jack” approach when it comes to something as serious as match-fixing.

The FA feels that it is better equipped than ever to combat the threat. Its integrity unit works closely with bookmakers and with the Gambling Commission’s sports betting intelligence unit in policing an “early-warning system” to detect suspicious betting patterns. There is also a confidential number that players, coaches and officials can call if they have any concerns or suspicions about threats to the game’s integrity. Details of the protocol are sent by the FA to every player from the Premier League to the Skrill Football Conference and to every club below, while the message — along with others, about discrimination, respect and so on — is hammered home to players when the FA and the Professional Footballers Association visit clubs annually as part of their education programme.

In a multi-million-pound industry, though, it is still not enough, though. Confirmation of that came last March, when the FA released a strongly worded statement saying that it had “become aware of suspicious betting activity on a number of matches played in the Football Conference South”, adding that it was “contacting all clubs playing in the south to advise them immediately of our concern about this suspicious betting activity” and to ask clubs to “remind their players and officials of their responsibilities under the betting and integrity rules of the FA”.

The clue is in that first part of the statement: “suspicious betting activity on a number of matches played in the Football Conference South”. If the gambling patterns were suspicious, why was that “early-warning system” only seemingly triggered after those matches were played? It could, of course, have been the result of what the bookmakers call in-play betting, but the fact that this “suspicious betting activity” was only identified after the matches in question — and the lack of information regarding any investigation into the matter — suggested that the early-warning system was at very least a work in progress.

Non-League football is where the threat of match-fixing is felt most severely. Not only does it attract far less scrutiny, but the financial incentives must carry a far greater temptation than in the Premier League, where leading players earn six-figure wages in a week. To put it bluntly, levels of competence on the pitch are nothing like so high either, yet William Hill, the FA’s official betting partner, will still offer you 53 different betting markets on, for example, tomorrow’s Skrill Conference South match between Chelmsford City and Farnborough.

In the aftermath of that FA statement last March, two bookmakers briefly refused to take bets on three different Conference South clubs – Chelmsford, Billericay Town and AFC Hornchurch, but there has been no evidence of any wrongdoing by any of the players or clubs concerned.

The Football Conference moved yesterday to express its concern about the reports in The Daily Telegraph, who filmed an undercover meeting in Manchester with an alleged fixer claiming that gamblers could make hundreds of thousands of pounds placing bets with companies in Asia.

“The Football Conference takes all matters relating to the integrity of the game very seriously but it cannot make any comment on today’s story as it would be inappropriate to do so,” a statement read.

There was a similar statement from Shaun Harvey, the chief executive of the Football League. “To date we have had no contact from the police regarding this matter,” Harvey said. “The threat of corruption is something that the Football League and the other football authorities treat with the utmost seriousness. The integrity of our domestic matches and our competitions is the bedrock of our domestic game.”

Indeed it is. It is why, when suspicions arose some years ago about a scam whereby players would boot the ball into touch from the kick-off, bookmakers were urged to stop taking bets on the time of the game’s first throw-in. Even something as relatively trivial as that was viewed as a threat. The very suggestion of something darker happening in English football, even below the surface, should be enough to wake the game’s administrators in a cold sweat.

The truth is that the notion of match-fixing goes far beyond conspiring to defraud bookmakers. To influence the outcome of a match in thatway, at any level, is to defraud the entire game.

Match Fixing in the UK - I told you so!

by DECLAN HILL (Blog 27-11-2013)

I told you so.

I have been warning about this problem for years.

A few points.

1) Is there more fixing in British football than we have seen in this investigation?

Yes. I believe so. The signs are all there.

However, it has not reached in anyway the levels that we saw in parts of Asia or Italy and Turkey.

2) The elephant in the room of British football is that many players, coaches and owners gamble. When enough people gamble there will be problem gamblers. When you have problem gambling, you have fixing.

3) Kudos to Claire Newell and the team at the Telegraph. They have done a good job. Well done.

4) Their work is in complete contrast to a large section of the British media which for years has resolutely adopted a policy of ‘fixing begins at Calais’. I have done countless interviews with English journalists who simply will not believe that ‘their players’ would fix. They would not investigate or, in some cases, even speak about the possibility of the issue.

‘The Fix’ is now published in twenty languages. Ridley Scott’s team is producing a Hollywood television series based on it.More pertinently it has been used by police investigators around the world as their guide –including the Greek Anti-Corruption investigators who even put it in their official court documents.The new book ‘Insider’s Guide to Match-Fixing’ is attracting attention around the world. They both detail how the Asian syndicates work to target players, referees and sports officials.They provide charts, statistics and in-depth interviews to properly understand and defend against fixing.

However, the books have not been published in the UK. Part of the reason is the refusal of much of the British media industry to examine the ultimate corruption in the sport.

So lets get cracking – finally – and start to clean up the Beautiful Game in the UK.

5) Oh yes, one final point. Anyone notice where the alleged fixer comes from? Singapore. Good thing the Singaporean authorities are right on top of the issue - NOT.

Certo che se in UK i media si rifiutano di indagare meglio e più a fondo il mondo degli scommettitori e delle scommesse non si genera quel circolo virtuoso o perverso (dipende dai punti di vista) che porta a scoperchiare il marcio. Invece lì tutto il calcio sarebbe circonfuso di grazia e legalità, si attirano investitori stranieri, si strappano contratti televisivi e pubblicitari mostruosi e si continua pervicacemente ad insinuare che in Italia il marcio sia all'ordine del giorno.

Ah, caro AA in fase di monitoraggio: guarda che non hanno capito nemmeno tanto bene che nel 2006 per Calciopoli non si trattò di match-fixing (ma di guerra tra bande), neanche l'eccellente D.Hill che si nasconde dietro banche dei favori (inesistenti) per accusare L.Moggi.

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IL PULICICLONE di ANGELO CAROTENUTO (Repubblica.it 04-11-2013)

Letteratura dell’anti-madridismo.

E dell’anti-juventinismo

Tutto comincia nelle Asturie. La scintilla si accende con un coro. “Asì, asì, asì gana el Madrid”. Così vince il Madrid. Così come? Grazie all’arbitro: questo significa il coro che ormai accoglie il Real su quasi tutti i campi di Spagna. Il 25 settembre del 1979 è la data di nascita universalmente accettata dell’antimadridismo.

Il pretesto è un episodio come tanti, l’espulsione al sesto minuto di Enzo Ferrero, numero 11 dello Sporting Gijón allo stadio El Molinón. Ferrero è marcato da San José, scatta, i due si ostacolano, si mettono le mani addosso, ci scappano un paio di spintoni, San José cade. Rosso. L’arbitro manda fuori Ferrero. Asì gana el Madrid. Sul prato arriva di tutto.

Quando la gente asturiana vede il rosso a Ferrero, si scatena ripensando all’anno prima. Il Gijón era stato avversario del Real per il titolo. Aveva perso lo scontro diretto in casa, giocandolo senza Dória né Ferrero, espulsi la settimana prima a Salamanca. Una polemica enorme era scoppiata in precedenza per un gol concesso al Real contro l’Athletic Bilbao (3-3 il risultato finale). Classifica finale: Real 47, Gijón 43. Quel cartellino rosso, insomma, diventa l’istante finale di un’inimicizia covata a lungo ed è l’alba di un’ostilità che ancora dura. Alla sua prima stagione da allenatore del Real, Mourinho infatti la rinfocola accusando l’allenatore del Gijón, Manolo Preciado, di essere andato al Camp Nou di Barcellona con le riserve. Per perdere. “Mourinho è una canaglia, a Gijón siamo gente del popolo, ma sappiamo perdere. In Inghilterra lo metterebbero in prigione”, fu la risposta. Mourinho dovette andare in panchina con quattro guardie del corpo, ma quando a Preciado morì il padre gli telefonò.

Settembre 1979. L’anti-madridismo esplode quando la Spagna ha da poco chiuso l’esperienza della dittatura. Francisco Franco, il caudillo, muore nel novembre del 1975. Il suo regime politico (1939-1973) si sovrappone a lungo con la guida al Real di Santiago Bernabéu (1943-1977). Il Real delle cinque Coppe dei Campioni di fila dal ‘56 al ‘60, la sesta arriverà nel ‘66. Scrive Daniel Gómez Amat in La patria del gol: “La percezione popolare che il Real Madrid sia la squadra del regime nasce con le vittorie europee, debitamente utilizzate da Franco, incollato al televisore ogni volta che giocano los Blancos. Grazie ai gol del Real, la Spagna migliora la sua immagine internazionale e il Real si converte in un super ambasciatore al servizio della diplomazia franchista”. È il cosiddetto nacionalfutbolismo. Gómez Amat riporta un discorso attribuito al ministro José Solís Ruiz, uomo noto come “il sorriso del regime”. Nel ’59 Solís Ruiz dice ai calciatori del Real: “Avete fatto molto. Gente che ci odiava, grazie a voi, ora ci comprende, grazie a voi: avete rotto molti muri”.

Quando a Gijón la scintilla si accende, ha tutto questo po’ di roba da infuocare. Nacio Vegas, cantautore asturiano che si rifà alla lezione di Bob Dylan e Tom Waits, tifoso dello Sporting, in un’intervista una volta ha detto che “l’antimadridismo nasce come reazione a un calcio sostenuto da valori come arroganza e disprezzo dei rivali, rappresentati da calciatori come Juanito, Hugo Sánchez, Cristiano Ronaldo. Conosco madridisti che sono antimadridisti”.

Il capofila letterario di questo sentimento è stato Manuel Vázquez Montalbán. “Il Barça rappresenta l’esercito, disarmato e simbolico, che la Catalogna non ha mai avuto”, la frase che Madrid non gli ha mai perdonato. Barcellona a parte, le culle dell’antimadridismo più convinto sono Pamplona e Bilbao, sebbene il San Mamés abbia attribuito ovazioni a campioni come Stielike e Laudrup. L’Oviedo, rivale del Gijón, per reazione appoggiava il Real. Fino al 1988, quando finì male uno scontro fra ultrà durante la festa di san Matteo. Anche il Riazor, a La Coruña, era un campo amico, ma quando il Deportivo si scoprì squadra da titolo e rivale del Real, il coro di Gijon arrivò anche là. E poi a Valencia, che un tempo era stata la seconda casa del Madrid. Lì il Real aveva giocato in campo neutro una partita di Coppa contro il Porto: 68 mila spettatori, 80 milioni di pesetas di incasso, vittoria per 2-1. Tutto perfetto, eppure venne il giorno in cui il presidente madridista Lorenzo Sanz pagò la clausola per sfilare Mijatovic agli amici valenciani. Rottura delle relazioni diplomatiche.

Una squadra che spacca un Paese. Come da noi succede alla Juventus. Mezza Spagna è del Real, l’altra metà è contro. Mezza Italia è bianconera, l’altra metà è convertita alla religione dell’anti-juventinismo. Eppure, la Juve nasce per unire. Lega a lungo l’aristocrazia sabauda e gli immigrati meridionali, i nostalgici della monarchia e gli uomini della sinistra. E’ la squadra di tutti. Quasi. Il motivo? C’entra il Medio Evo, così scrive Gianni Brera in “Storia critica del calcio italiano”:

“Sulle direzioni del favore popolare – il tifo! – varrebbe la pena di indagare con riferimenti socioculturali e persino etnici. Il primo responso, ad ogni modo, è questo: che agli italiani piace parteggiare per chi vince. La Juventus gioca bene, vince sempre e non è né lombarda né emiliana né veneta né toscana: appartiene a una regione che ha innervato l’esercito e la burocrazia nazionali: di quella regione, il capoluogo è stato anche capitale d’Italia. Nel Medio Evo non esisteva se non come povero villaggio. Nessuna città periferica aveva contratto odii nei suoi confronti, all’epoca dei Comuni. Essa batteva ormai le decadenti squadre del Quadrilatero e offriva agli altri italiani la soddisfazione di umiliare le città che nel Medio Evo avevano spadroneggiato: i romagnoli andavano in visibilio quando Bologna veniva mortificata dalla Juventus, così i lombardi di parte ghibellina come pavesi e comaschi quando le milanesi venivano battute in breccia, e ancora i lombardi che avevano squadre proprie, come bergamaschi, bresciani e cremonesi, e le vedevano puntualmente vendicate dalla Juventus”.

Poi la Fidanzata d’Italia ha visto piano piano crescere la schiera degli antipatizzanti. Qualcosa si spezza il 16 aprile del 1961, quando uno Juve-Inter viene sospeso per invasione di campo (le tribune non bastarono a contenere gli spettatori). Sarebbe 0-2 a tavolino, la Caf accoglie il reclamo della Juve. Moratti padre si infuria. Per la ripetizione della partita, due mesi dopo, manda in campo la squadra giovanile, compreso il diciannovenne Sandro Mazzola. La Juve vince 9-1 e si aggiudica lo scudetto. E’ questa la radice riconosciuta della pianta dell’anti-juventinismo. Verranno poi un rigore non concesso a Rivera in Juve-Milan del ‘72 (errore ammesso in tv da Lo Bello), er gol de Turone, quello annullato a Graziani della Fiorentina nello sprint scudetto’82, il rigore Iuliano-Ronaldo del ‘98, il gol fantasma di Muntari nel 2012. Insomma, tutta la letteratura dei militanti dell’anti-juventinismo. E in mezzo c’è Calciopoli, la ferita delle ferite per l’intero calcio italiano, non ancora rimarginata.

La politica da noi è entrata nella discussione molto meno che in Spagna. E’ la squadra dei padroni, provava a sostenere l’opposizione operaista nell’Italia degli anni Cinquanta. Ma in tanti tifavano Juve pure in fabbrica, tanti pure dentro i quadri del Pci. Così un giorno Palmiro Togliatti domanda a Piero Secchia: “Tu pretendi di fare la rivoluzione senza sapere il risultato della Juve?”. La verità è che vivere da anti, alla fine, logora. Vale per la Juve e vale per il Real. Lo ammise finanche Peppino Prisco, a lungo vice presidente dell’Inter, e dei bianconeri velenosissimo avversario. “Alla lunga ci si rassegna”.

mai letta un'accozzaglia di luoghi comuni e cazzate più lunga di questa....

Io sono di Palermo e non tifo Juve perchè la mette al c**o alle milanesi (che per inteso, il Palermo tornato in A si è tolto la soddisfazione di metterla al c**o sia al Milan che alla Juve)

tifo Juventus perchè da sempre annovera alcuni fra i migliori giocatori del mondo

Tifo Juve perchè un bel pezzo di Juve vinse i mondiali dell'82 prima vera abbuffata di calcio per un bambino di 7 come ero io al tempo

Tifo Juve per Zoff, Cabrini, Scirea, Gentile, Rossi, Bettega, Platini, Laudrup, Tacconi, Brio, Schillaci, Baggio, Peruzzi, Ferrara, Deschamp, Del Piero, Paulo Sosa, Zidane, Vialli, Ravanelli, Trezeguet, Buffon, Thuram, Cannavaro, Nedved, Inzaghi, Chiellini, Barzagli, Vucinic, Pirlo, Marchisio, Vidal, Pogba, Tevez e Llorente....

Tifo Juve perchè tifare Juve, da sempre equivale a tifare il meglio. E il meglio, di solito, è anche vincente!

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Guardalinee ucciso da baby calciatori

Olanda Tragedia della follia: calci e pugni su un dirigente del Buitenboys durante una partita

In una delle squadre giocava il figlio della vittima che ha assistito al pestaggio

Tre giocatori tra i 15 e i 16 anni arrestati per il presunto coinvolgimento

di ALESSANDRA BOCCI (GaSport 04-12-2012)

Un posto normale, abitato da gente normale. Nieuw Sloten. Case di legno, pannelli solari, uno di quei quartieri satellite che si costruiscono con vaghe pretese di modernità. Un posto di gente mescolata, bianchi, asiatici, africani, un cocktail che si trova ovunque in Europa e più spesso in Olanda. Solo che da questo cocktail di normalità è uscito un branco selvaggio. Sono usciti i colpevoli di un episodio che ieri ha scioccato l'Olanda. Perché è difficile non restare scioccati quando si gioca una partita fra ragazzi e alla fine sul campo resta un morto.

Pestaggio Il fatto è successo domenica ad Almere, vicino ad Amsterdam. La squadra di Nieuw Sloten era andata a giocare contro il Buitenboys. Un dirigente del club stava facendo il guardalinee, capita spesso e nessuno ci fa caso. Si chiamava Richard Nieuwenhuizen, aveva 41 anni, è morto di botte. Massacrato da alcuni ragazzini della Nieuw Sloten. Alla fine della partita lo hanno assalito. «È fuggito, ma lo hanno inseguito e pestato», ha detto un portavoce della polizia. Lo hanno preso a pugni in faccia, poi a calci in testa, e ancora a calci mentre era a terra già tramortito. È stato ricoverato in gravi condizioni in ospedale ed è morto qualche ora dopo per lesioni cerebrali. Fra i ragazzini che giocavano nel Buitenboys c'era anche uno dei suoi figli. Tre della Nieuw Sloten sono stati arrestati. Hanno fra i 15 e i 16 anni.

Indignati Il ministro dello Sport, Edith Schippers, ha detto che quello che è successo è «assolutamente orribile. La federcalcio olandese e la giustizia reagiranno in maniera molto dura». Allenatori e calciatori hanno commentato la tragedia e il tecnico dell'Ajax Frank de Boer ha detto che in quanto genitore è assai preoccupato. «Non riesco a credere che sia accaduta una cosa del genere, che ragazzi di 15-16 anni possano avere un momento di follia così. Qualcosa deve essere fatto, perché non ci sono parole».

Precedente Le parole invece si trovano sempre ma raramente servono. E l'Olanda si scopre meno tollerante e più violenta. «Se scrivo su Twitter che l'Ajax ha segnato un bel gol tempo cinque minuti mi arrivano quaranta insulti», si è lamentato un commentatore sportivo durante un talk show. «La verità è che la mentalità dell'olandese sta cambiando. In peggio». Il paese degli esteti del calcio conta la seconda morte assurda in un anno. Mesi fa, alla periferia di Amsterdam, un sessantenne era morto durante un match fra dilettanti per un calcio al petto ricevuto da un suo giocatore permaloso. Si era fatto espellere, e lui lo aveva criticato. Proprio in questi giorni era stato condannato per omicidio preterintenzionale. Aveva passato il segno, come i ragazzini normali del normale quartiere di Nieuw Sloten.

la settimana prossima sarà il primo anniversario di questo tragico episodio.

Presto verrà decisa la punizione per i principali imputati che - si legge - hanno serissimi problemi di educazione. Tanto è che uno di loro ha provato a rimorchiare (???) l'avvocato della moglie del guardalinee.

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mai letta un'accozzaglia di luoghi comuni e cazzate più lunga di questa....

Io sono di Palermo e non tifo Juve perchè la mette al C**O alle milanesi (che per inteso, il Palermo tornato in A si è tolto la soddisfazione di metterla al C**O sia al Milan che alla Juve)

tifo Juventus perchè da sempre annovera alcuni fra i migliori giocatori del mondo

Tifo Juve perchè un bel pezzo di Juve vinse i mondiali dell'82 prima vera abbuffata di calcio per un bambino di 7 come ero io al tempo

Tifo Juve per Zoff, Cabrini, Scirea, Gentile, Rossi, Bettega, Platini, Laudrup, Tacconi, Brio, Schillaci, Baggio, Peruzzi, Ferrara, Deschamp, Del Piero, Paulo Sosa, Zidane, Vialli, Ravanelli, Trezeguet, Buffon, Thuram, Cannavaro, Nedved, Inzaghi, Chiellini, Barzagli, Vucinic, Pirlo, Marchisio, Vidal, Pogba, Tevez e Llorente....

Tifo Juve perchè tifare Juve, da sempre equivale a tifare il meglio. E il meglio, di solito, è anche vincente!

Bisogna tener presente che le argomentazioni contenute in pezzi simili sono criticabili normalmente, a differenza di articoli (al limite o oltre la querela) come quelli di Zambardino (altro ex Repubblica) comparsi quest'anno su blog fazioso/permaloso o un altro su limes (pure galassia Repubblica) risalente ormai ad un anno fa.

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la settimana prossima sarà il primo anniversario di questo tragico episodio.

Presto verrà decisa la punizione per i principali imputati che - si legge - hanno serissimi problemi di educazione. Tanto è che uno di loro ha provato a rimorchiare (???) l'avvocato della moglie del guardalinee.

Sono normali, per l'Olanda, i tempi trascorsi per la condanna in un caso del genere?

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Che affari con i futuri disoccupati!

di SEBASTIANO VERNAZZA (SPORTWEEK 30-11-2013)

Sportitalia è fallita, molta gente rischia di perdere il lavoro, le frequenze sono passate a Lt Sport. In rete si discute: diversi siti e blog si sono concentrati su Michele Criscitiello, volto della “fu” Sportitalia ora a Lt Sport. Punto di partenza un articolo che Italia Oggi ha dedicato al conduttore. Secondo il quotidiano economico, nel 2012 la Micri, società del giornalista, ha avuto ricavi per 800 mila euro e utili per 243 mila euro. Tra le attività a bilancio ci sono gli workshop, corsi di giornalismo a pagamento di cui ha parlato Matteo Bonfanti su Bergamo & sport: «C’è chi sul sogno di centinaia di ragazzi senza occupazione ci fa un sacco di soldi. Ed è il caso di Michele Criscitiello e della sua geniale trovata: gli ormai famosi workshop. Tre nel 2013 (maggio, settembre, ottobre), durata una settimana, 360 euro il costo dell’iscrizione, 150 partecipanti a ogni sessione. L’introito per la Micri (Michele Criscitiello) Communication è superiore ai 160 mila euro. Lui le chiama “opportunità per i giovani”, noi in un altro modo sapendo che cosa accade a questa povera gente, dopo i sette giorni con il nuovo gotha del giornalismo sportivo italiano: 148 se ne tornano a casa con le tasche vuote, 2 vengono assunti dalla Micri, che gli promette di essere impiegati per 3 mesi o a Sportitalia (azienda con un’istanza di fallimento, che perciò non potrebbe avere nuovi dipendenti) o a Udinese Channel o a Tuttomercatoweb». Nulla che violi la legge, ma qualcosa non torna a livello deontologico: l’ordine dei giornalisti e la Fnsi, sindacato della categoria, non hanno nulla da dire?

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il venerdì 29 novembre 2013

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Niente twitter se vuoi il

MARACANÀ

Sognare la coppa per caricarsi. Mogli e fidanzate in ritiro. Niente

social network. Il Ct spiega la sua ricetta. E accenna a un voto...

di GIANNI PERRELLI (l'Espresso | 5 dicembre 2013)

Un Mondiale si prepara come una finale olimpica. Programmando tutti i dettagli con mesi di anticipo. Un lavoro che coinvolge la tecnica, la tattica, la psicologia, la medicina, l'alimentazione, l'ambiente, la meteorologia. E che deve tener conto soprattutto della condizione fisica degli atleti al termine di una stagione logorante e dei carichi di lavoro a cui sottoporli. A certi livelli il calcio non può fare a meno della scienza».

Cesare Prandelli, il ct azzurro che ai mondiali brasiliani del 2014 (12 giugno - 13 luglio) tenterà di rinverdire i fasti di Enzo Bearzot (1982 in Spagna) e Marcello Lippi (2006 in Germania), si accosta al massimo evento calcistico con il rigore del certosino. Ma alla vigilia del sorteggio dei gironi (6 dicembre) confessa di abbandonarsi spesso anche all'onda delle emozioni. «Mi diverto a immaginare come potrei vivere la gioia del quinto titolo italiano la sera del 13 luglio al Maracanà. Mi vengono in mente le figure di Bearzot che si abbraccia con Sandro Pertini e quella di Lippi che si catapulta raggiante verso i suoi azzurri dopo l'altalena finale dei rigori. Sognare non costa nulla. Anzi aiuta a pensare in grande. Lo dico sempre ai miei giocatori. La fantasia dura purtroppo pochi attimi. Subentra quasi subito la consapevolezza che in un Mondiale posso giocarmi tutto in una frazione di partita, in un solo minuto. Sarà una competizione massacrante. Ci saranno forti sbalzi di orario e di temperatura. Insidie non facili da gestire, simili a quelle che affrontò Arrigo Sacchi nel '94 negli Stati Uniti. Problemi che impongono soprattutto realismo».

Il Mondiale da protagonista per lei è una novità assoluta. Da spettatore che sensazioni le ha regalato questa grande manifestazione?

«Per me il Mondiale è un filo rosso di emozioni. Il primo ricordo è legato a Italia-Germania 4-3, la partita delle partite, nei Mondiali messicani del '70. Non avevo neanche tredici anni ed era la prima volta che in televisione vedevo un incontro in piena notte. Alla fine tutti gli italiani si riversarono per strada. Un'euforia collettiva che superava i confini del calcio. Nell'82 a Madrid c'erano i miei compagni della Juve, gli amici di tutti i giorni. Io ero rimasto a casa, perché fra i convocati c'erano giocatori più forti di me, ma idealmente mi sentivo in mezzo a loro. Era un po' come se partecipassi anch'io a un trionfo su cui nessuno avrebbe scommesso dopo l'inizio stentato. Lo stesso effetto sorpresa lo abbiamo vissuto in Germania nel 2006 dopo il ciclone di Calciopoli. È nei momenti difficili che esce l'uomo».

Bearzot non l'ha mai fatto esordire nella Nazionale maggiore, eppure nella sua carriera di allenatore lei lo ha sempre considerato il suo punto di riferimento.

«Bearzot, quando mi chiamava nella "under 21", aveva sempre espressioni affettuose nei miei confronti. Mi colpiva la sua signorilità. Mi piacque poi il modo elegante con cui si allontanò da un mondo convulso come il nostro pur rimanendo sul piedistallo del mito».

In Brasile farà tesoro dell'esperienza di Lippi?

«Lo sentirò, gli chiederò consigli, cercherò soprattutto di capire i risvolti psicologici di un'avventura tanto impegnativa. Marcello è un maestro. È l'unico che ha centrato gli obiettivi massimi in due continenti diversi. Parlando con personalità così vincenti puoi cogliere tanti segreti. Anche quelli piccoli che poi sono i più grandi».

Nel '50, dopo la tragedia di Superga, gli azzurri partirono per il Mondiale del Brasile in nave. Si allenavano sul ponte e molti palloni finirono nell'Oceano. Oggi lei fa molto ricorso alla tecnologia. Come la userà al Mondiale?

«è un supporto essenziale. è più facile coinvolgere e motivare i giocatori con l'aiuto degli strumenti audiovisivi. Studiando alla moviola gli schemi tattici, i difetti di posizione, le caratteristiche degli avversari, cresce la consapevolezza e si sviluppa l'eclettismo. Un tempo c'erano i campioni che sapevano trovare le soluzioni vincenti e i calciatori normali a cui si richiedeva una cosa soltanto. Oggi tutti devono saper fare tutto. Certo, nemmeno con la tecnologia puoi eliminare gli errori. La partita perfetta, sosteneva Gianni Brera, dovrebbe finire zero a zero. Ma sarebbe probabilmente noiosa, mentre il fascino del football è soprattutto lo spettacolo. Si sono adeguati anche gli arbitri che hanno la consegna di lasciar correre. Gli incontri ad alto livello sono spesso decisi da grandi giocate. A volte però anche da piccoli sbagli. Un allenatore può solo sforzarsi di ridurre al minimo i rischi».

Perché si è orientato ad aprire il ritiro degli azzurri alle mogli e alle fidanzate?

«Perché abbiamo sperimentato nella Confederations Cup che la presenza degli affetti serve a stemperare le tensioni e a prevenire eventuali tentazioni. Lo scorso giugno in Brasile alcuni giocatori di altre nazionali rimasero coinvolti in festini a luci rosse. Se fosse capitato a noi ci avrebbero tagliato a fettine».

Lei però impedirà l'uso dei social network durante il ritiro.

«L'evento è importante ed è giusto attenersi a un regolamento interno che favorirà la concentrazione. Per comunicare ci sono le conferenze stampa».

Secondo una robusta corrente di pensiero la Nazionale dipende troppo dalle lune di Mario Balotelli. Spera che il campionato le dia più ampie possibilità di scelta?

«No, non mi aspetto niente dal campionato anche se quest'anno è uno dei più combattuti. Ma a livello tecnico lo giudico leggermente inferiore a quelli dell'Inghilterra e della Spagna. E anche a quello della Germania, dove si ha il coraggio di investire sui giovani ed è sorto un centro tecnico federale in ogni land mentre l'Italia ha solo Coverciano. Monitoro una rosa di 35 giocatori da cui usciranno i ventitré selezionati per il Brasile. Comprende anche campioni al momento fuori dal giro come Totti e Cassano, per i quali la porta rimane aperta. Le scelte finali dipenderanno anche dalle condizioni fisiche e dalla continuità. In assoluto è un gruppo fortemente competitivo, dotato di grande carattere, che può puntare al massimo se saprà osare giocando un football offensivo. Durante la mia gestione ha scalato una dozzina di posizioni nel ranking mondiale. Oggi lo giudico ancora un gradino al di sotto di Brasile, Spagna, Argentina, Germania e Olanda. Tutte squadre dotate di protagonisti abituati alla pressione delle grandi finali. Mi auguro che i nostri club facciano molta strada nelle Coppe. Più avanti si va e più si coglie lo spirito delle sfide internazionali».

Per un calo dovuto all'appagamento negli ultimi incontri delle eliminatorie l'Italia ha però fallito l'ingresso nell'élite delle otto teste di serie. Fino a che punto è un handicap?

«Bisogna chiedersi con che criterio la Fifa formula la graduatoria. Con tutto il rispetto per la Colombia, il Belgio e la Svizzera, che sono teste di serie, l'Italia non è sicuramente più debole di quelle Nazionali. Le dirò poi che, sotto sotto, sono contento dell'esclusione. Avremo meno riflettori addosso. E i nostri tifosi non daranno tutto per scontato».

Tornando a Balotelli, in pochi mesi è passato dalla copertina del "Time" a uno scetticismo diffuso sulle sue possibilità di maturazione. Massimiliano Allegri, che lo allena nel Milan, per giustificarne l'accantonamento si è spinto a ricordare che faceva la riserva anche nell'Inter e nel Manchester City.

«Penso che Allegri lo abbia provocato per farlo reagire. Prima o poi Balotelli dovrà mettersi in testa che ha sì un grande talento ma nel calcio non si vince mai da soli. Glielo ripetiamo ogni minuto».

Anche in Nazionale, con le sue intemperanze, ha creato qualche problema. Lei cosa gli dice quando deve metterlo in riga?

«Con me non è mai maleducato. Nel fondo, mi creda, è d'animo buono. Certo, fa le cavolate di tanti ragazzi della sua età. E ci aggiunge del suo, senza rendersi conto che essendo un personaggio pubblico dovrebbe avere una condotta più responsabile. Quando lo richiamo, in genere mi fissa e poi riconosce: ‘Mister, ha ragione'. Con lui ci vuole pazienza. Ma non sono mai stato neanche sfiorato dall'idea di privarmi della sua esplosività per punirlo. Se non lo utilizzassi, quelli che mi imputano un eccesso di tolleranza sarebbero i primi a criticarmi».

Dopo i Mondiali pare che lei voglia andarsene. Una tentazione che ebbe anche al termine degli Europei. Se vince, magari ci ripensa un'altra volta.

«Non ho ancora detto la parola definitiva. Deciderò fra marzo e aprile. Potrei lasciarmi di nuovo catturare dal contatto quotidiano con il campo. Non mi dispiacerebbe fare un'esperienza in qualche paese dove il calcio ha il suo giusto valore e non è come da noi un'ossessione. Siamo messi molto male rispetto ad altre nazioni. Altrove si va allo stadio per lo spettacolo, da noi per tifare contro prima ancora che a favore. Fino alle degenerazioni viste in Salernitana-Nocerina».

Il calcio cosa può fare per isolare i facinorosi?

«Nel mio piccolo con la Nazionale ho cercato di promuovere l'impegno sociale portandola in realtà difficili. Una testimonianza che spero serva ai bambini. Sugli adulti, quelli inquinati, non ho molta fiducia. Sono ormai irrecuperabili».

Lei in politica, dopo un passato ondivago, oggi è vicino a Matteo Renzi. Cosa l'attira del suo programma?

«È un politico al servizio della cittadinanza, al di là degli schieramenti. Un leader più pragmatico che ideologico. Mi aspetto un cambio di marcia basato sulla solidarietà».

Se dovesse selezionare la Nazionale dei politici?

«Assegnerei una sola maglia: la numero dieci a Renzi. Poi posso dire che ho affetto per Giorgio Napolitano, che è sempre stato vicino alla Nazionale e considero un faro per il nostro paese. Dal punto di vista umano stimo anche Beppe Grillo. L'ho conosciuto personalmente quando siamo intervenuti insieme per salvare un bambino in grandi difficoltà. L'ho sentito molto vicino alla gente».

Gianni Agnelli, che era il suo patron alla Juve, sapeva di calcio più di Silvio Berlusconi?

«Aprezzava di più il gesto estetico. A Berlusconi piace invece calarsi nei panni dell'allenatore e disquisire di moduli».

A cosa rinuncerebbe per vincere il Mondiale?

«Ho smesso di fumare già due anni fa. I voti non si rivelano, si custodiscono in gran segreto».

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l'Espresso | 5 dicembre 2013

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Frosinone, cancellata

la diffida alla curva

«Non è discriminazione»

Ribaltata la decisione del giudice sportivo, i cori diventano

un campo minato. Monza: niente multa, c’è la condizionale

di MAURIZIO GALDI (GaSport 29-11-2013)

Ieri la Corte di giustizia federale (Cgf) a sezioni unite ha «spiegato» che i cori di discriminazione territoriale sono un «campo minato» e che bisogna stare molto attenti nel sanzionarli. Ieri, infatti, ha parzialmente accolto il ricorso del Frosinone (difeso dall’avvocato Mattia Grassani) per la chiusura della curva (sanzione sospesa per un anno in virtù delle nuove norme sulla sospensione della sanzione fino a recidiva) inflitta dal Giudice sportivo della Lega Pro dopo la gara Frosinone-Benevento del 3 novembre. In virtù di questa decisione alla società ciociara è stata inflitta solo l’ammenda di 2.000 euro.

Resta il coro «Chi non salta un sannita di m... è», non è discriminazione territoriale. «Senti che puzza, scappano anche i cani, sono arrivati i napoletani» lo è. La differenza in due diverse pronunce della Corte di giustizia federale: la prima a sezioni unite, la seconda solo della prima sezione,ma entrambe sotto la presidenza di Gerardo Mastrandrea. La seconda è di soli sei giorni prima: era relativa al ricorso della Juventus contro la chiusura del primo e secondo anello della Curva Sud inflitto dopo Juventus-Genoa. Decisione che, dopo la chiusura di entrambe le curve inflitta dopo la partita col Napoli (e per gli stessi cori), aveva fatto saltare la sospensione e portato alla chiusura per due partite dei settori. Quelo dei tifosi del Frosinone è stato ritenuto un coro «ingiurioso» (anche se ieri è stato reso noto soltanto il dispositivo e per le motivazioni si dovrà aspettare almeno trenta giorni) e per questo dalla chiusura – anche se sospesa – si è arrivati alla sola ammenda.

Cori razzisti Di tutt’altro tenore la decisione, sempre della Cgf a sezioni unite, che ha accolto il ricorso del presidente federale Giancarlo Abete contro un decisione del Giudice sportivo di Lega Pro che aveva sanzionato con la sola ammenda (9.000 euro) il Monza per i cori di «discriminazione razziale » dei suoi tifosi. Un probabile mero errore dovuto al cambio delle norme che era sfuggito al Giudice sportivo Pasquale Marino, ma non ad Abete. Era successo durante Monza-Rimini del 29 settembre e i cori erano rivolti dai tifosi brianzoli contro un calciatore di colore del Rimini. I cori ripetuti avevano costretto l’arbitro a sospendere la partita in attesa che lo speaker facesse l’annuncio di rito. Ora per il Monza è scattata la chiusura della curva sud, anche se con le nuove norme la sanzione è sospesa per un anno, salvo che i tifosi di Monza non ripetano il loro comportamento discriminatorio in altre gare. Respinto il ricorso dei brianzoli per i 3 turni di squalifica al tecnico Asta.

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Gillet: caos Mondiale

Il Tnas potrebbe restituire

il portiere a Torino e Belgio

Lo «scontificio» ridurrebbe lo stop a soli 6 mesi, ma è polemica per la

disparità di trattamento: iter ad personam, anomalie e voci di pressioni

di FRANCESCO CENITI & MAURIZIO GALDI (GaSport 30-11-2013)

Sono giorni di passione per Jean François Gillet: il portiere del Torino attende l’esito del ricorso presentato al Tnas, l’arbitrato del Coni è l’ultima possibilità per ribaltare il doppio verdetto emesso dai giudici Federcalcio che lo hanno squalificato 3 anni e 7 mesi per l’omessa denuncia di Bari-Treviso e l’illecito in Salernitana Bari (gare del finale di stagione nel 2008 e 2009). Soprattutto sulla seconda partita l’inchiesta penale condotta dalla Procura di Bari ha raccolto abbondante materiale (anche grazie a diverse collaborazioni) per portare a processo una ventina di calciatori, contestandogli la frode sportiva. Che ci fu una vera e propria combine di squadra è assodato dagli atti (con soldi versati ai giocatori dei pugliesi per regalare la vittoria agli avversari), ma in sede sportiva la battaglia è sulle varie responsabilità. Non sono sfumature: un’omessa denuncia significa uno stop breve, mentre una combine di solito stronca una carriera. Gillet aspetta e i rumors sono positivi: lo «scontificio» del Tnas sembrerebbe intenzionato a fare scempio dell’attuale condanna, con buona pace dei giudici Figc, restituendogli subito il campo con «vista» su Brasile 2014. La squalifica sarebbe ridotta a 6 mesi: il colpo di spugna cancellerebbe l’omessa denuncia di Bari-Treviso e l’illecito di Salerno, dove resterebbe in piedi la meno grave omessa denuncia, ammessa nel dibattimento pure dai legali del portiere. Per carità, se così fosse vorrà dire che il Tnas avrà ravvisato degli elementi diversi rispetto alla Disciplinare, alla Corte federale e al Gip di Bari che ha accolto le richieste dei pm di Bari. Nell’attesa di sapere se davvero andrà a finire così per poi leggere questi elementi diversi, già ora la vicenda Gillet è l’esempio di una giustizia (sportiva) che induce a pensare male, facendo figli e figliastri. Vediamo di capire meglio.

Le motivazioni Gillet è stato condannato in secondo grado lo scorso 27 luglio. Nello stesso processo (denominato Bari-bis) sono stati fermati altri 21 tesserati. Per tutti l’ultima speranza per ribaltare i verdetti è riposta nel Tnas. Un organismo discusso: dovrebbe essere cancellato dalla imminente riforma della giustizia sportiva promessa a gran voce dal neo presidente del Coni, Giovanni Malagò. Il Tnas è un arbitrato dove si possono portare nuove prove, chiedere testimonianze, acquisire atti. Un unicum giuridico al mondo, soprattutto perché entra nel merito di sentenze disposte da un’altra istituzione: la Federcalcio. Con i casi sul calcioscommesse la modifica (parziale o totale) della sentenze è divenuta una prassi. Ecco perché gli addetti ai lavori chiamano il Tnas «lo scontificio». Malagò ne è consapevole : il 18 dicembre inizieranno i lavori per la riforma annunciata. Vedremo se alle parole seguiranno i fatti. Solo così si eviteranno situazioni antipatiche come quelle dell’arbitro Guido Calvi, scelto dalla difesa di Gillet. Calvi è un membro laico del Csm: tra le altre cose ha il compito di vietare ai membri togati la partecipazione a qualsiasi organismo giudicante che non sia interno alla magistratura ordinaria. Lo vieta agli altri, ma lui continua a esercitare questa funzione. Non c’è nessuna violazione, ma certo la cosa stride non poco.

Il Mondiale sullo sfondo Torniamo a Gillet: la prima anomalia arriva il 17 settembre. Escono quel giorno, infatti, le motivazioni dell’appello sulla condanna del portiere, indispensabili per avviare il ricorso al Tnas. Stranamente è l’unico tesserato ad avere questo trattamento. Passano i giorni e l’anomalia resta. Un mese dopo appaiono quelle di Caputo (ex capitano del Bari) forse a seguito della protesta violenta dei suoi avvocati sulla disparità di trattamento. Tutti gli altri squalificati, nonostante le lamentale dei legali, devono aspettare altri 40 giorni. Il procedimento è lo stesso, ma mentre Gillet è già in odore di sentenza al Tnas, gli altri avvocati solo in questi giorni possono preparare il ricorso. Perché questa palese e ingiustificata differenza? Nei corridoi gira una voce: ci sarebbe stata una forte pressione esterna per accelerare l’iter su Gillet. Non solo, prima di questa «spinta» il portiere avrebbe pensato a un’altra strada: farsi tesserare in prestito da una squadra belga (si può fare)e poi far discutere a Bruxelles la richiesta di una riduzione della squalifica. Forse c’entra qualcosa la possibilità di una convocazione del portiere col Belgio perché ritenuto uomo importante all’interno della nazionale in vista del Mondiale? Forse si spiega così l’iter anomalo di motivazioni uscite ad personam ? Forse si spiegano così i rumors che danno per certa la riduzione della squalifica? Per avere delle risposte basta aspettare.

Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 30-11-2013)

Giustizia sportiva e nomine,

Malagò pesca nel vivaio

Ci vuole un attimo a trasformare il nuovo Coni del fare nel meno seduttivo Coni del faremo, come capita troppo spesso all’attuale Governo. Preoccupato da questa rischiosa deriva, il presidente Giovanni Malagò sfrutta le brevi soste tra i suoi frequenti viaggi (l’altro ieri in Val d’Aosta, ieri in Veneto) per darci dentro con la riforma della giustizia sportiva. Annunciata come una priorità in campagna elettorale, quando si parlava di realizzarla entro lo scorso 30 giugno, poi portata a fine anno solare per evidenti impossibilità realizzative, la riforma è diventata un mantra. S’ha da fare, altrimenti la figuraccia diventa peggiore di quella che sta facendo la Politica con la legge sugli stadi.

Calendarizzatore come nessun altro, Malagò ha già fissato il giorno, anzi la due giorni: Giunta Coni di mercoledì 18 dicembre, Consiglio Nazionale di giovedì 19. E’ lì che la grande riforma verrà licenziata urbi et orbi. A questo punto uno si immagina il riassunto delle puntate precedenti, fatto di settimane, mesi di lavoro per mettere a punto qualcosa che sappia distinguersi dalla riforma pateracchio del febbraio 2012, momento non proprio esaltante della pur dignitosa legislatura Petrucci-Pagnozzi. In realtà, la cronaca è piuttosto avara: il documento-memoria richiesto anzi preteso da Malagò al calcio, che Abete presentò a stretto giro di posta, data 18 aprile. Poi, con un balzo temporale di ben sette mesi, la grande e poco pubblicizzata adunata che si è tenuta al Coni il 20 novembre. Quel giorno Malagò, che quando si mette in moto va a una velocità capace di infrangere il muro del suono, ha ricevuto e ascoltato insieme a Chimenti, Fabbricini e Soro i responsabili delle Procure federali di tutte le federazioni dalle ore 17 alle ore 18, le commissioni Disciplinari di tutte le federazioni dalle 18 alle 19, e le Corti di Giustizia o più in generale i giudici di secondo grado di tutte le federazioni dalle 19 alle 20. Tanta capacità di sintesi ha lasciato stupito, o meglio stupefatto, più di un interlocutore, scettico sulla possibilità che una riforma complessa come quella della giustizia sportiva possa consumarsi con tre ore di adunate oceaniche, dove basta l’indirizzo di saluto di un Palazzi qualsiasi, proverbiale per la propria lentezza non solo investigativa, per dare un ulteriore taglio ai tempi a disposizione.

Cosa scaturirà da tutto ciò? Mistero, ma non troppo. Celerità dei processi sportivi coniugata a una tutela dei diritti della difesa, rivisitazione parziale della responsabilità oggettiva, diversa gestione del patteggiamento, ipotesi di nuova divisione tra organi inquirenti e organi requirenti (Palazzi da buon superprocuratore è contrario), ci sarà di tutto un po’. La sola certezza, ed è una buona notizia, è che scomparirà il famigerato Tnas, lo «scontificio» (copyright di Malagò) che proprio in queste ore sembra ne stia combinando un’altra delle sue con Gillet. Presso il Coni rimarrà una versione riveduta e corretta dell’Alta Corte di Giustizia che probabilmente cambierà nome (il più gettonato è quello di Corte Suprema, ma non è detto) , sorta di vera e propria Cassazione dello Sport, potrà intervenire sulla legittimità delle sentenze federali ma non sul merito. Su chi sarà chiamato a presiederla, è match stretto tra due «ragazzi in gamba» della scuderia Malagò, provenienti dal vivaio Canottieri Aniene: il professor Mario Sanino, che è parte attiva nella riscrittura dei codici di giustizia sportiva insieme agli avvocati Conte e Tobia, e il dottor Pasquale De Lise, entrambi assidui frequentatori del calcio. Il primo presiede la terza sezione giudicante della Corte di giustizia federale. Il secondo guida la Commissione dei garanti della giustizia sportiva Figc dopo avere presieduto il Tar del Lazio e poi il Consiglio di Stato. Due «ragazzi» di 75 e 76 anni, uno dei quali, probabilmente Sanino con De Lise che potrebbe consolarsi facendo il garante dell’intero Coni, prenderà il posto dell’attuale presidente dell’Alta Corte di Giustizia Riccardo Chieppa. Che, complimenti vivissimi, di anni ne ha 87.

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Curve pericolose

Rapine, minacce e spaccio di coca

vite da ultrà come quelle dei boss

Da Milano a Napoli, i clan fanno business negli stadi

La metà dei 1.540 registrati ha dei precedenti penali. I più temuti quelli di Verona e Juve

di PAOLO BERIZZI (la Repubblica 30-11-2013)

C’erano una volta le cupole del tifo. Sono rimaste le cupole e basta. Comandano loro adesso. Come i clan criminali. Spesso proprio per conto degli stessi clan. Da Torino a Roma, da Milano a Napoli gli ultrà ricattano, minacciano, picchiano. Controllano il territorio e macinano soldi, applicano la violenza come legge mafiosa. È la peggior faccia degli ultrà formato 2013. Quella che fa osservare agli analisti che «sono cambiati i connotati delle curve », perché «al posto dei vecchi capi — molti cronicamente daspati — è subentrata la malavita ». Milan, Inter, Juve, Lazio, Roma, Napoli. Il palcoscenico del «salto di qualità» sono le grandi curve, quelle da sei, otto, diecimila tifosi (il numero si assottiglia o si dilata a seconda che si considerino gli iscritti ai 400 gruppi censiti dal Viminale, o più in generale “il bacino d’utenza”). Partiamo da una battuta sentita l’altra notte tra i 120 ultrà laziali bloccati a terra dalla polizia a Varsavia. «Se c’era Diabolik non stavamo qua... «. Per i non frequentatori della curva Nord dell’Olimpico, Diabolik è Fabrizio Piscitelli, leader storico degli Irriducibili che a 47 anni (32 passati in curva) è finito a Regina Coeli perché da capo ultrà, secondo la Dda, si è trasformato in narcotrafficante tirando le redini di un «agguerrito gruppo criminale operante nella zona sud di Roma attraverso il tramite del clan Abate di San Giorgio a Cremano» (camorra).

Da Diabolik a Sandokan, un altro “eroe”; da Roma a Milano, sponda Milan. Sandokan è, al secolo, Giancarlo Lombardi. Il leader della “Curva Sud” rossonera dopo la scalata a suon di pestaggi operata dai suoi “Guerrieri”. Lombardi non è un ultrà: è un criminale che gira in Ferrari e che ha «precedenti penali per rapina, lesioni, estorsione, tentato omicidio». Gli piacciono i soldi e per i soldi è disposto a tutto. Già condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi per tentata estorsione al Milan (col suo gruppo minacciava i dirigenti della società rossonera per avere i biglietti delle partite a prezzi stracciati o gratis), l’anno scorso patteggia un anno e 8 mesi: secondo la Procura riciclava denaro per un’associazione che truffava le banche, frodava il fisco e con i proventi si comprava locali alla moda. Braccio destro di Sandokan è Claudio Tieri. In una telefonata con un altro della banda, Tieri si confronta su come «pressare » i vertici del Milan; il ricatto è: lancio di fumogeni in campo e multa a carico della società. «Se ‘sti M***A ci girano un po’ di soldi non sarebbe mica male», ammonisce. «Come fanno alla Lazio che non pagano le multe ma pagano gli ultrà, pagano e basta». Così prendono il potere i nuovi capibastone. Sabato scorso, Milan-Genoa a San Siro. Uno striscione in curva Sud festeggia il ritorno allo stadio dopo una condanna a quattro anni e mezzo di carcere (pestaggio di un ultrà interista che nell’aggressione perde un occhio e si suiciderà) di Luca Lucci, altro delfino di Sandokan- Lombardi. «Bentornato Luca, amico vero e grande condottiero ». Di Lucci gli archivi del Tribunale raccontano altro. Che comprava coca dalle gang di Milano, e che ha fornito l’auto con cui nel 2006 il boss calabrese Antonio Ausilio, detto «il Topo», uccide l’avvocatessa Maria Spinella, colpevole di non averlo difeso bene. I clan criminali, un tempo sullo sfondo, sono entrati direttamente in curva. Maurizio Marinelli, direttore del Centro studi sicurezza pubblica della polizia, lo spiega così. «I Daspo hanno colpito soprattutto i capi storici delle tifoserie. Che stanno fuori dagli stadi anche per anni. Il vuoto di potere e il venir meno dello zoccolo duro favoriscono l’ingresso in curva dei gruppi malavitosi. A loro interessa fare soldi coi biglietti, il merchandising, la sicurezza, i parcheggi, i bar». Un giro da milioni di euro.

Succede anche a Torino. Nelle curve di Juve e Toro più che la fede calcistica oggi comandano i duri legati alle “famiglie”. Non è solo un campione di poker Loris Grancini — il capo dei Viking juventini con sede a Milano. È anche — secondo gli investigatori — un uomo vicino a Cosa Nostra e alla cosca calabrese dei Rappocciolo. Un tipo «abilissimo a far perdere le proprie tracce per il suo inserimento in circuiti criminali di elevato spessore» — dicono gli uomini della Squadra mobile. Nel 1998 è protagonista di una sparatoria, poi viene coinvolto in un’inchiesta per tentato omicidio. Amico di Sandokan Lombardi, sostenitore di politici del Pdl e “facilitatore” per boss in carcere, Grancini non è in cattivi rapporti nemmeno coi ras della curva interista nonostante il tentativo, fallito, di estendere anche lì il suo potere. Dettano legge le cupole delle curve. A volte sono emanazioni dei clan. A Napoli l’anno scorso un’indagine della Digos sradica il gruppo “Bronx”. Il capo è Francesco Fucci, ai domiciliari per traffico di droga, considerato vicino al clan camorristico dei Mazzarella. «Gli ultrà napoletani sono tra i più pericolosi» — dice Carlo Ambra, coordinatore dal Viminale delle “Squadre Tifoserie”. Le stime dicono che dei 1.540 ultrà “registrati”, la metà sono pregiudicati. Ma la classifica dei più pericolosi, nel campionato in corso, vede in testa quelli del Verona. Seguono Juve, Nocerina, Lazio, Napoli e Roma. C’era una volta il tifo.

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MARCA 30-11-2013

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SPORT 01-12-2013

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If only Millwall had men

who could fix results

by ROD LIDDLE (THE SUNDAY TIMES 01-12-2013)

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The news that some lower-league games may have been “fixed” by shadowy foreigners bunging the players money will come as little surprise, I suspect, to those of us who occasionally watch football at the basement level. And, indeed, some distance above.

Uncharitably, we may have put down the staggering uselessness of the players to a simple lack of ability, the own goals and missed chances something to be pitied. Whereas it may well have been a cunning ruse to ensure that they trouser a few thousand quid, which they can use to pay off their gambling debts and alimonies.

Apparently, more than a million quid was staked on the outcome of a recent lower-league game, more than was forked out by punters on Barcelona in a Champions League tie on the same evening.

There have been other games at that sort of level causing ears to prick up, here and there — one involving a side in the Conference National league saw £300,000 splashed out on bets. It’s all terribly depressing for those of us who rather love the lower leagues, the “grass roots” of football; hopeless but terribly honest and eager young men chasing a ball across a treacherous quagmire, watched by 19 people who don’t emerge from the bar until the ref signals four minutes of stoppage time.

And then, back into the bar after the final whistle has sounded, to mingle with the players and their Wags. The Wags are mostly rough as hell, down in your Isthmian, Screwfix and Sydenham leagues, the tanning salons and cosmetic surgeries they attend less sophisticated and expensive even than the ones used by Wags in Division Two of the Football League. Rough, lumpy, orange and grim; watching them downing their vodka and Slimlines after the game cheered me up almost as much as did the awful football. So it is depressing to wonder whether their husbands and boyfriends were on the take, conniving rather than incompetent.

Two people have so far been charged and appeared in court as a consequence of the latest specific allegations. The first, Chann Sankaran, is Singaporean; the other, Krishna Sanjey Ganeshan, has joint Singaporean and British nationality. The charges relate to conspiracy to defraud.

Three former lowerleague footballers plus a former Premier League player who is now an agent were also arrested, although no charges have yet been brought. The football authorities for the lower leagues suggested that it was “inappropriate to comment” at the moment; a puzzling if familiar statement.

It seems tome that the generality of the problem is certainly worthy of comment, even if we cannot comment on the specifics for legal reasons.

A spokesman for Europol, which has been investigating match-fixing across the continent, said that there was corruption throughout the game in Europe so it is “no surprise” that it should be occurring in England too. This was aman called Soren Pedersen, but it is probably too late in the day to grab him by the lapels and say: “That’s because you are a foreigner, Soren, and do not understand that British sportsmen and women are pristine and incorruptible. It could not possibly happen here.”

In recent years we’ve had to quietly drop our insistence that all foreigners cheat and are on drugs as a consequence of various revelations that our own sportsmen and women also cheat, from time to time, and take drugs. It always seemed a bit much to expect that we, alone in Europe, would be free fromthe predations of the betting syndicates. No longer can we exult in the old joke: “And here are next week’s football results from Serie A”.

I suppose we will have to wait to discover the mechanics of it all. It is one thing for Matthew Le Tissier to snigger in public about how he’d kick a ball out of play to trouser some dosh from the bookies regarding the timing of the first throw-in of the game. (Why wasn’t more made of that revelation, incidentally? It seems to have been passed off as just being a “bit of a laugh”. But it isn’t, is it?)

These latest accusations, though, seem to involve complex and very precise scorelines, both at half-time and full-time. Can three or four players who have been bunged money really exert that level of influence on a game? I have to say, if they can swing a game to that degree, then I wish we had one or two of them at Millwall.

No sport is free from cheating and corruption, and no country either. The only possible cure is to make the penalties so stiff and the vigilance so tight that the rewards are easily outweighed by the risk of being caught and sent to jail.

One assumes it is only because the wage levels are so absurdly high in our top division, and the television cameras ever present, that the Premier League remains above the fray.

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Silvio ordina la tregua fino ad aprile

“Non possiamo perdere i diritti tv”

L’ira di Adriano: lei è solo una ragazzina viziata

Il Cavaliere ai suoi: “Non posso dare l’impressione di avere perso il controllo”

Piersilvio si schiera contro la sorella dicendo no alla rottura

di ETTORE LIVINI (la Repubblica 01-12-2013)

Scusate, eravamo su “Scherzi a parte”. L’addio di Adriano Galliani al Milan? Non c’è più. La rabbia dell’ad dei rossoneri («La pazienza è finita, sono stato umiliato, me ne vado! »)? Uno sfogo, già dimenticato. Quattro ore di psicodramma serale a Villa San Martino tra Silvio Berlusconi e l’uomo che continua a giurargli affetto «immutato e immutabile» — più qualche telefonata supplementare ieri mattina — hanno rimesso assieme, per quanto non si sa, i cocci della Dinasty di Milanello: il numero uno del Diavolo resta al suo posto anche se dimezzato e a tempo determinato (ad aprile dovrebbe farsi da parte). Barbara Berlusconi, la rottamattrice che voleva pensionarlo anzitempo, porta a casa lo scalpo della promozione ad amministratore delegato. E ad Arcore si festeggia in tono minore e sotto i primi fiocchi di neve il pericolo scampato: “Bene così — commenta minimalista uno degli uomini più vicini al Cavaliere che ha seguito passo passo la drammatica notte di Arcore — . La verità è che non potevamo permetterci di perdere un uomo importante come Adriano”.

Vero? Solo in parte. A convincere l’ex premier a mettere il casco blu per obbligare i due litiganti a sotterrare l’ascia di guerra non sono stati tanto i dubbi sui destini del Milan, ma le possibili ricadute del Vietnam rossonero sulla già fluida situazione politica romana. Quando venerdì pomeriggio ha letto sulle agenzie lo sfogo di Galliani — raccontano i suoi collaboratori — il Cavaliere ha fatto un salto sulla sedia: la coltellata alle spalle di Angelino Alfano, vera o concordata che sia, ci sta. La bufera nel cuore pulsante dell’impero del Biscione — il cerchio magico dei fedelissimi e la famiglia — era troppo. “Non posso dare l’impressione di aver perso il controllo della situazione anche tra le mura di casa. Sarebbe un segnale di debolezza mortale!” avrebbe confidato ai suoi. E staccando agenzie di stampa e telefono (e ignorando il dibattito tv per le primarie del Pd) si è messo a tavolino per mettere il silenziatore alla tragicomica telenovela del Diavolo.

I motivi per spegnere l’incendio, del resto, sono tanti. Galliani è a fianco di Silvio dagli anni d’oro di Edilnord, ha fondato con lui Canale 5 ed è uno degli azionisti di riferimento della sua cerchia più stretta di amici. Dell’ex premier e dei suoi affari conosce quindi vita, morte e miracoli. A 360 gradi. Non solo. In questi giorni la Lega Calcio sta trattando il rinnovo del contratto per i diritti tv. Un affare da un miliardo di euro l’anno fondamentale per il futuro di Mediaset. E a tirare le fila dei negoziati c’è la Infront di Marco Bogarelli — fedelissimo dell’ad del Milan — che negli ultimi anni (ad Arcore è considerato un onore) è riuscita a far infuriare Sky per i presunti trattamenti di favore alle tv di Cologno. “Questo non è proprio il momento per divorziare da Galliani” avrebbe fatto sapere un preoccupatissimo Piersilvio a papà. Meglio insomma provare a ricucire almeno fino alla spartizione della torta del calcio in televisione.

La mediazione con Barbara, condotta con continue telefonate durate fino a ieri mattina e coordinata anche da Bruno Ermolli, non è però stata facile. Le incomprensioni delle scorse settimane — compresi gli sfoghi freschi di stampa dell’ad — sono ferite che non si rimargineranno più. Galliani ha insistito per ore accusando la figlia dell’ex-premier di essere poco più di una ragazzina viziata “pronta solo a scaricare le responsabilità delle sconfitte su altri salvo prendersi lei i meriti delle vittorie”. Lei, fumantina come sempre e senza peli sulla lungua, gli avrebbe rinfacciato le scelte tecniche sbagliate (compresa la difesa ad oltranza dell’allenatore Massimiliano Allegri) ma anche “inciuci con la Curva e con gli Ultra” e la gestione un po’ sbarazzina dei rapporti con alcuni procuratori. Il Cavaliere avrebbe strigliato il manager (“non puoi tradirmi come un Alfano qualsiasi!”) e tirato le orecchie alla figlia (“ma ti pare il momento di far su questo casino?”). Poi, deposto il bastone, ha messo sul tavolo le carote: un occhio di riguardo per la liquidazione d’oro di Galliani quando — pare ad aprile — leverà le tende da Milanello. E lo zuccherino per Barbara, sotto forma di una promozione dimezzata prima dell’incoronazione a Regina dei rossoneri prevista a primavera quando il suo rivale si farà da parte.

Tutto è bene quello che finisce bene? Meglio non sbilanciarsi troppo. In primis perché quando c’è di mezzo la vulcanica Barbara le sorprese sono sempre dietro l’angolo. E la sua mezza marcia indietro di ieri — “l’ho fatto per papà”, ha detto a mezza voce — l’ha privata della vittoria per ko cui puntava. “Deve accontentarsi” dicono i suoi collaboratori. In fondo il risultato, vale a dire l’uscita di scena dell’ad, è stato portato a casa, anche se a scoppio ritardato. “Non è poco — aggiungono i fedelissimi dell’Evita milanista — e se ci siamo riusciti è solo perché lei c’ha messo la faccia alzando i toni e forzando la mano. Se no Adriano sarebbe rimasto al Milan fino a 90 anni”. L’ennesima puntata della Dinasty del Biscione, serie “La decadenza”, va così in archivio. Ma viste le fibrillazioni ad Arcore e dintorni (Marina e Piersilvio, dice il tam tam di Villa San Martino, sarebbero infuriati per il blitz della sorella) c’è da scommettere che per la prossima non ci sarà da aspettare molto.

IL CASO

I costi dei diritti calcio,

la spina nel fianco

E’ UNA VOCE NON COMPRIMIBILE COME LE ALTRE DEL BILANCIO DEL

GRUPPO E CON LA PROSSIMA AGGIUDICAZIONE SI POTREBBE PASSARE

A UNA FORMAZIONE DEI DIVERSI PACCHETTI MENO FAVOREVOLE

di STEFANO CARLI (la Repubblica | AFFARI&FINANZA 02-12-2013)

C’è una voce dei costi del bilancio Mediaset che non si è potuta tagliare, che dovrebbe salire ancora nel 2014 e che potrebbe addirittura impennarsi dal 2016 ed è quella relativa all’acquisizione dei diritti tv del calcio. Il campionato italiano di Serie A è in declino di audience ma resta il secondo più caro d’Europa dopo la Gran Bretagna. Infront, l’adivsor attuale, offre per i prossimi anni un ammontare bloccato attorno al miliardo di euro, e lo stesso, più o meno, offre adesso l’americana Img che ha appena avanzato una sua offerta alla Lega. Il costo complessivo non andrà a discostarsi dai livelli attuali, ma per Mediaset il problema resta perché difficllmente i pacchetti dei diritti saranno organizzati come adesso. Finora il vantaggio di Premium Calcio, la pay tv di Mediaset, era nel fatto che poteva disporre di un pacchetto di diritti che non comprende la totalità delle partite, ma ha comunque tutte quelle che contano, con un prezzo di acquisizione dimezzato rispetto a Sky. Se invece i pacchetti dovessero essere formati mettendo direttamente in competizione il Biscione con Sky il rischio sarebbe duplice: o un prezzo di aggiudicazione più alto, a cui si dovrà accompagnare anche un incremento dei costi di acquisizione degli abbonati, oppure il rischio di rinunciare al calcio nei propri palinsesti a pagamento. Solo che mentre Sky sta investendo per diminuire la calciodipendenza del suo portafoglio abbonati (lo ha ribadito l’ad Andrea Zappia presentando la scorsa settimana l’ultimo prodotto del canale Sky Arte, un viaggio nei Musei Vaticani in 3D) Mediaset da questo punto di vista sembra ancora parecchio indietro.

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Italia Oggi 02-12-2013

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Modificato da Ghost Dog

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El País 03-12-2013

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FourFourTwo | January 2014

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Supercoppa: vince la Juve

Deciderà l’assemblea

Alta corte: non doveva essere il consiglio

di Lega a stabilire la divisione dei proventi

di MAURIZIO GALDI & MARCO IARIA (GaSport 03-12-2013)

Non è una questione di soldi ma di principio. Il danno di 700 mila euro per la ripartizione non a metà degli incassi della Supercoppa farebbe un baffo a un bilancio da 275 milioni di fatturato. Qui, però, c’è in ballo un gioco di potere. Ed è per questo che la vittoria della Juventus davanti all’Alta corte di giustizia ha anche una valenza politica. L’avviso che lancia Agnelli, sull’Aventino da un bel po’, è chiaro: il consiglio di Lega, da cui Juve, Inter, Roma e Fiorentina stanno fuori, non può permettersi di forzare la mano. La sentenza dell’Alta corte, dopo che la Corte di giustizia aveva rigettato il ricorso per incompetenza, riapre il caso Supercoppa: non doveva essere il consiglio a decidere sulla divisione dei proventi, ma l’assemblea. Annullata la delibera del 27 giugno, con quegli 1,8 milioni alla Lazio a titolo di «risarcimento» per il mancato gettone di Pechino. La Juve, dopo aver rinunciato alla trasferta cinese, era destinata ad accontentarsi delle briciole: dei 2,6 milioni incassati all’Olimpico, le sarebbero toccati circa 440 mila euro (e 400 mila alla Lega), appunto 700 mila in meno rispetto a una divisione paritetica. Ma i calcoli sono da rifare. L’Alta corte passa la palla all’assemblea, l’unico organismo ad avere competenza per la ripartizione delle risorse tra i club».

Subordinata Nell’udienza sia la Lega (difesa da Stincardini) sia la Lazio (Gentile) avevano sostenuto l’inammissibilità del ricorso bianconero presentato dagli avvocati Chiappero e Gabasio, mentre la Figc, con Medugno, aveva sottolineato come non fosse possibile per l’Alta corte deliberare sulla ripartizione, ma solo eventualmente rinviare all’assemblea la decisione. Di fatto pure la richiesta «subordinata» della Juventus, che alla fine ha visto accettare il principio fondamentale che sui diritti collettivi il solo organo autorizzato a decidere è l’assemblea perché «rappresenta tutte le società».

Infront Esulta l’a.d. bianconero Beppe Marotta: «È stato un autogol del consiglio di Lega, che può solo proporre ma non deliberare. Il tutto tornerà all’assemblea». Quando? Dipenderà da Agnelli e Lotito. Sì, proprio i due duellanti, delegati dalla Lega a trattare con Infront per il rinnovo del mandato. Anche in questi giorni si sono sentiti al telefono con Marco Bogarelli compiendo dei passi in avanti. Una volta raggiunta l’intesa verrà convocata l’assemblea per licenziare la pratica dell’advisor. E magari pure quella della Supercoppa.

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 02-12-2013)

Ma quei confronti sono

molto peggio delle parolacce

Grande dibattito sull'anormalità di bambini che si divertono a gridare tutti in coro ɱerda, imitando quei gran geni dei grandi che li accompagnano. E' tremendamente italiano, questo disperdere energie nelle polemiche che contano poco o niente (qualcuno ha mai visto gli insegnanti di una scolaresca in gita alle prese con 22 ragazzini messi tutti insieme? Se sì, può immaginarne 12 mila?) e perdere di vista le cose che contano tanto.

Nessun dibattito, infatti, sulla consolidata usanza, molto originale, del "confronto" post partita tra ultrà e giocatori. Lunedì sera è toccato a quelli della Lazio, chiamati sotto la curva a render conto della sconfitta. Tutti a testa bassa, tutti comprensivi, tutti con le orecchie ben sturate a sentire il coro: fuori le palle. Questa, evidentemente, non è un'anomalia come quella dei bambini che dicono le parolacce. Questa è la normalità delle nostre curve. Avevate dimenticato chi comanda? A nanna, bambini. Sogni d'oro.

Buongiorno di MASSIMO GRAMELLINI (LA STAMPA 03-12-2013)

Il bambino che è in noi

Assiepati festosamente nelle curve dello Juventus Stadium al posto degli squalificatissimi ultrà, i ragazzini delle scuole medie non hanno approfittato dell’occasione per intonare un canto scout o una poesia di Gianni Rodari, ma per gridare «ɱerda» al portiere avversario ogni qual volta il tapino si accingeva a rinviare il pallone. Lo stupore degli adulti è stato grande, così come la loro indignazione. Ma da chi mai avranno imparato, le creature innocenti, a irridere il rivale anziché applaudirlo calorosamente? Il dilemma deve avere attraversato anche la mente di quel padre di Riccione che domenica aveva ricevuto la visita dei carabinieri dopo avere trascorso la mattinata sugli spalti di un campetto di provincia a insultare gli avversari della squadra del figlio.

Insomma, come è stato possibile? Ai piccoli fans delle curve si chiedeva di redimere quei luoghi infetti con una testimonianza di ilare sportività. Invece sono stati contagiati dal morbo ultrà, e non solo loro. Se il coro scatologico avesse risuonato dentro le classi, gli insegnanti avrebbero fatto schioccare i votacci. Mentre allo stadio, dove erano massicciamente presenti in veste di accompagnatori, lo hanno tollerato con liberalità. Del tutto simili al mio severo papà, implacabile nello sgridarmi quando da piccolo mi scappava una parolaccia, eppure prodigo di comprensione se l’improperio mi sgorgava sulle gradinate dello stadio, all’indirizzo della squadra dirimpettaia. Da sempre in Italia il calcio non è l’oppio dei popoli, ma il loro eccitante legalizzato.

JUVENTUS Che beffa

Multati anche i bambini

di STEFANO CASELLI (il Fatto Quotidiano 04-12-2013)

Dovevano salvare il calcio italiano e l’hanno inguaiato ancora di più. I bimbi tifosi della Juventus, per aver urlato “ɱerda” all’indirizzo del portiere avversario, sono costati alla società 5 mila euro di multa. L’esperimento – dato il perdurare della squalifica – si ripeterà nella prossima gara contro il Sassuolo. E se i ragazzini ci ricascassero? Scatterà la recidiva? Chi andrà in curva la prossima volta? Sia chiaro, è giusto e sacrosanto combattere con ogni mezzo (quindi anche con la chiusura delle curve e degli stadi) il razzismo e la violenza (talvolta criminale) di certa anacronistica sottocultura ultras; ma punire un coretto di bambini (ancorché stupidino) che non contiene nulla di offensivo e razzista rischia di essere ridicolo. Il tifo “contro” (entro giusti limiti, va da sé) può addirittura essere goliardico, leggero e bene accetto per chi lo subisce. Fa parte del gioco. Fare il verso della scimmia a un giocatore di colore o invocare l’eruzione del Vesuvio non fa parte del gioco; lasciarsi andare a qualche esuberanza verbale a volte sì. Il rigore esige ragionevolezza. Ha ragione dunque il presidente del Coni Malagò a non condividere e la Juventus a dirsi “scioccata”. La prossima volta, tuttavia, si faccia semplicemente rispettare la sanzione così com’è, senza scorciatoie. Ci saremmo risparmiati una figuraccia.

Una doppia birichinata

di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 04-12-2013)

«Per avere suoi (giovanissimi...) sostenitori rivolto ripetutamente ad un calciatore della squadra avversaria un coro ingiurioso». Nella motivazione della sentenza di Gianpaolo Tosel, che ha inflitto 5000 euro di multa alla Juve, c’è già il senso della doppia birichinata. Quella, sgradevole, per carità, dei bambini chiamati ad occupare e possibilmente a nobilitare le curve lasciate vuote causa squalifica dei beceri di turno che accompagnano con un «m...» collettivo i rinvii del portiere Brkic . E quella del giudice sportivo, che infatti usa la parentesi con annessi puntini sospensivi, modalità assai insolita per un documento ufficiale della giustizia sportiva. Non è il caso di crocifiggere Tosel, vittima di altrui segnalazioni, ottimo giudice sportivo in mille altre circostanze, e anche in questa certo ispirato dalle migliori intenzioni, per quello che a prima vista ha l’aria di essere un piccolo eccesso di zelo, o se vogliamo di protagonismo. Ed è ovvio sottolineare che se in uno stadio si prendono a multare tutte le parolacce che questo o quello spettatore indirizzano all’arbitro di turno, alla squadra avversaria o perfino al proprio giocatore che si è appena mangiato un gol fatto, avremmo probabilmente risolto il problema del debito nazionale, in barba a leggi di stabilità, Imu, Ires, Tares e altre amenità del genere.

Di una vicenda che è perfino arrivata sulle prime pagine dei quotidiani generalisti (La Stampa di ieri, con un Gramellini d’annata) si sono scritte e dette tante cose. Il tecnico dell’Udinese Guidolin ha ricordato come il «sentire il vociare dei bimbi era bellissimo, quei cori quando il nostro portiere rinviava no. È stato giusto parlarne, perché non è assolutamente bello. Dobbiamo lavorare sull’educazione del tifo». Ha ragione, ma lavorarci vuol dire anche non fermarsi e andare avanti. Continuiamo a pensare che l’educazione del tifo passi anche attraverso iniziative benemerite come quella della Juve, che ha riempito le sue curve di diecimila e passa bambini e che, come ha ricordato il presidente del Coni Malagò, il bilancio tra il dare (un messaggio positivo) e l’avere (indietro «anche» un coro disdicevole) sia positivo e degno di essere riproposto a ogni latitudine. Anche perché, come ci informa un dispaccio di agenzia proveniente ieri da Londra, la vulnerabilità dei bambini può andare molto al di là di un distorto spirito di emulazione dei grandi. Una ricerca commissionata dalla Premier dice che molti bambini vengono utilizzati per introdurre negli stadi materiale pirotecnico, fumogeni e petardi, tutta roba vietata. Vengono usati dai «grandi» di cui sopra, perché meno soggetti a controlli e perquisizioni. Forse è anche pensando a rischi come questi, e ai tanti e troppi padri nella migliore delle ipotesi distratti, che Tosel con la sua minimulta ha inteso inviare un messaggio. Cinquemila euro per diecimila bambini: certo, se si potesse sottrarre a ciascuno di loro mezzo euro di paghetta, avremmo la certezza che il messaggio è davvero giunto a destinazione...

LA FARSA E L’IMPUNITÀ

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 04-12-2013)

Il calcio italiano batte un altro grottesco record. Il giudice sportivo inventa la multa per parolaccia, e punisce la Juventus (5 mila euro) perché i bambini in curva, presenti domenica nel santuario degli ultrà dopo la squalifica dei medesimi, hanno gridato “ɱerda” al portiere dell’Udinese, come adulti qualsiasi: come si permettono? Nella stessa giornata, violenze vere in molti stadi sono state quasi ignorate, mentre i bimbi finiscono dietro la lavagna. Forse potremmo chiamarla paghetta e non ammenda, e la Juventus potrebbe pagarla con i soldi del Monopoli, oppure con 5 mila lecca lecca. Questa esilarante faccenda dei bambini multati per uso improprio di parolaccia (gridarle in un luogo da adulti come lo stadio fa sentire grandi, nessuno può resistere alla tentazione) ribadisce che il vero asilo Mariuccia è il nostro calcio, giustizia sportiva compresa, e che i veri bambocci siamo noi. Più che ovvio che in caso di recidiva, per le piccole canaglie scatterà la squalifica. Ma contro il Sassuolo torneranno sulle gradinate. Intanto, mentre il giudice sportivo perde tempo con gli infanti, passa di nuovo sotto silenzio (proprio nelle stesse ore, così il contrasto diventa fortissimo) l’atto di sottomissione tribale al quale sono stati costretti i giocatori della Lazio, battuti in casa dal Napoli: ormai è una moda, i calciatori sconfitti devono chiedere scusa a capo chino agli ultrà, direttamente sul prato, per lavare l’onta della caduta. Ne sanno qualcosa il povero portiere Marchetti, che all’Olimpico già era stato obbligato al rito, e lo sventurato Evacuo, attaccante del Benevento, reo di avere salutato i suoi ex tifosi della Nocerina. Il codice è mafioso, chi sgarra se ne pentirà, e se ci fate arrabbiare vi facciamo pure togliere le magliette. Violenza psicologica, connivenza omertosa: il grave è che ci siamo abituati, nessuno ci fa più caso, il medioevo è tra noi e ci stiamo dentro benissimo: Kakà e Abbiati vadano pure a scusarsi con i trucidi della curva, il Milan quasi come la Nocerina che inscena la famosa farsa di Salerno per non giocare, sempre in virtù della regola che i teppisti del tifo sono i veri padroni. Talmente forti da obbligare la Federcalcio a cambiare una regola in corsa, quella degli stadi chiusi per razzismo, o forse era discriminazione territoriale, o magari erano l’identica cosa. E se poi quegli stadi li riempiamo di bambini, è pure peggio. Qualcuno, in queste ore scassate, richiama valori altissimi come la cultura sportiva e l’educazione. Sarebbe meglio volare più bassi, chiamando le persone col loro nome, per esempio “delinquenti”, e punirli da adulti più che da bambini. Invece, dopo il caos in terra polacca, alcuni “esponenti della Curva Nord della Lazio”, così definiti nel comunicato ufficiale, sono stati ricevuti addirittura alla Farnesina, con tutti i crismi riservati alle delegazioni degne di un ministero degli Esteri. Ecco perché in questo paese, e in questo nostro calcio, la stessa parola che hanno usato i bambini in curva viene voglia di pronunciarla sempre più spesso.

IL PUNTO di VITTORIO OREGGIA (TUTTOSPORT 04-12-2013)

Collegio svizzero

L’Italia è davvero un Paese straordinario. Così straordinario che - purtroppo sempre più spesso - logica e buonsenso vanno oltre il perimetro dell’umana immaginazione. Il giudice sportivo Tosel, ad esempio, ieri ha assestato un letale uppercut ai 12 mila bambini che domenica hanno popolato le curve dello Juventus Stadium. Cinquemila euro di multa (alla società) per aver urlato «ɱerda» quando il portiere dell’Udinese si accingeva a effettuare il rinvio. Una chiara offesa rivolta a un giocatore avversario, deve aver pensato Tosel sulla scorta del referto arbitrale o della relazione compilata dall’ispettore federale. Al catanese Spolli, che pare abbia sibilato a Balotelli «negro di ɱerda» - associando alla coprolalia anche una connotazione razziale - niente. Nemmeno un eurino di ammenda, un rimprovero, una tirata di orecchie. Ai bambini un po’ sboccati della curva invece no: i baby ultras vanno stroncati da piccoli.

Nel dare appuntamento al giudice Tosel alla prossima domenica, quando registreremo i «devi morire» e i «figlio di put...» dei tifosi... catalogati come normali - cioè normotipi da settore popolare - sollecitiamo alcune riflessioni sparse. La prima: i bambini non dovrebbero dire parolacce, ma purtroppo basta transitare davanti a una scuola elementare al termine dell’orario scolastico per ascoltare ben di peggio del «ɱerda» gridato per scimmiottare i grandi. Non è una giustificazione, ci mancherebbe, solo un’istantanea della realtà. La seconda: la multa, semmai, andrebbe comminata ai genitori e alle maestre/maestri. La terza e ultima: ɱerda o non ɱerda, al presidente Abete l’esperimento dello Stadium è piaciuto al punto da invocarne la ripetizione per Juventus-Sassuolo. Consigliamo la società bianconera di dotare i bambini di bandierine, cappellini e di un ciuccio, in maniera che non abbiamo la possibilità confezionare cori ingiuriosi per il campionato italiano. Che, ormai è risaputo, è più “pulito” di un collegio svizzero. Viene in mente una storiella sulla regina Vittoria, che aveva ordinato di mettere le mutande alle statue del suo giardino e poi si faceva possedere dallo stalliere. Anzi, si faceva ƒottere. Chissà se Tosel mi multerà, adesso.

La Ġazzetta dello Sport 05-12-2013

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ANGEL E DEMONI

L’ULTIMO CRACK NELLE MANI DEI NARCOS

Il giudice che indaga sul traffico di droga a Rosario ha sequestrato il

cartellino di Angel Correa, 18 anni, miglior prospetto argentino in stagione

di MARTIN MAZUR (EXTRATIME 04-12-2013)

Il calcio a volte è la sintesi perfetta della vita. Tutto il buono ma anche tutto il brutto si possono spiegare attraverso il pallone. Un pallone come quello che colpiva Angel Correa quando aveva 8 anni e viveva alla periferia di Rosario, barrio Las Flores, che dei fiori porta solo il nome. Nel quartiere più violento della città, tra armi, droga e la guerra di due bande di narcotrafficanti – Los Monos e los Garompas –, il piccolo Correa sapeva come difendersi giocando a calcio. E così fece, bene, troppo bene, mentre i coetanei diventavano progetti per un altro tipo di attività: la delinquenza. I boss hanno bisogno di piccoli soldati che vendano la droga al dettaglio. E i ragazzi sanno che le opportunità per loro ormai non esistono. L’unica alternativa è la strada, diventare cartoneros e vivere frugando nell’immondizia.

Cresimato dal Papa

Mentre Correa vince sui campetti da calcio, Los Monos vincono nel quartiere e si trasformano nei narcotrafficanti più temuti della città: la ragnatela si estende fino alla polizia e alle barras bravas di Newell’s e Rosario Central. Lascia morti e investimenti, tra cui proprietà, auto di lusso e, a quanto pare, il cartellino del gioiellino del quartiere. Dieci anni più tardi il suo talento l’ha fatto diventare il giovane più in voga nel campionato argentino. Arrivato 12enne a Buenos Aires, Correa gioca nel San Lorenzo e viene cresimato da Jorge Bergoglio, prima di diventare Papa Francesco. «Vedo in lui l’esplosività di Tevez e la freschezza di Aguero. Farà una grande carriera», dice il vicepresidente, Marcelo Tinelli una volta conosciuto l’interesse dell’Arsenal di Wenger.

Leo piange per 239 morti

Proprio come Correa, Los Monos non sono più una promessa, ma una (triste) realtà. Rosario, la terza città del Paese, è diventata il far west argentino: nei primi 11 mesi del 2013 si sono registrati 239 omicidi, un record che sale ogni giorno. Una cifra capace di far piangere il rosarino più noto, Lionel Messi che, con la sua fondazione e l’amministrazione comunale, ha realizzato uno spot in cui versa lacrime. Il tema è il calcio e la violenza negli stadi. «Nessuno vince. Costruiamo insieme un mondo senza violenza», è il messaggio di Leo. Ma quando ci sono di mezzo i soldi, la delinquenza smette di fare il tifo. Al giudice Vienna, incaricato dell’inchiesta su Los Monos, arriva una foto: il capo della banda e suo figlio (ammazzato il 26 maggio davanti a una discoteca) sorridono accanto ai capi ultrà del Rosario Central e del Newell’s. Grazie alle intercettazioni telefoniche, i nomi di Correa e di Tinelli finiscono per caso nell’inchiesta del giudice. «Come ha giocato il bambino? Tinelli vuole comprare il mio 30% per un milione di dollari», racconta il boss al suo interlocutore dopo una partita. E prima della gara col Boca Correa parla con un membro dei Los Monos a cui lascia 6 biglietti e indicazioni per entrare allo stadio. Per il giudice è sufficiente per porre sotto sequestro il cartellino del fantasista, il cui livello è calato nelle ultime partite del San Lorenzo (dopo il pari con l’Estudiantes si giocherà il titolo all’ultima giornata contro il Velez). Intanto la guerra tra i narcos si allarga alla politica: 2 mesi fa, 4 motociclisti mascherati sparano 14 volte contro la casa del governatore della provincia, Guillermo Bonfatti, durante Argentina-Perù. «Sapevano che ero in soggiorno a guardare la partita in tv: non volevano spaventarmi, volevano uccidermi». Il calcio, sempre il calcio. Capace di spiegare il dramma del narcotraffico, l’attentato a un governatore, le lacrime del miglior giocatore del mondo, un prete tifoso che si interessa ai poveri e diventa papa, i tentacoli criminali degli ultrà e la crescita di un ragazzo che dribbla il destino, abbraccia il pallone e sogna di diventare un campione.

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