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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Mi fa davvero piacere. Sapete anche perche' ;)

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Mauri, oggi l’ultimo atto del processo sportivo

la carriera del giocatore appesa ad un filo

È POSSIBILE CHE LA CORTE FEDERALE INASPRISCA LA PENA PORTANDOLA A DUE ANNI

di ALBERTO ABBATE (Il Messaggero 02-10-2013)

In bilico, Mauri, la sua carriera, la sua verità. Di nuovo sul filo il suo destino, è appeso a un altro grado: oggi ci sarà il via libera al secondo giudizio. Appuntamento alle 14 alla Corte Federale, l'ex amico Zamperini – tramite un fax, ieri – ha già fatto sapere che non si presenterà. Così saranno Buceti e Melandri, legali di Mauri (che parlerà nel pomeriggio) a gridare l'innocenza di Stefano. Poi, il presidente Mastrandrea e gli altri giudici si chiuderanno in Camera di consiglio. Difficile trovino subito l'accordo e quindi la sentenza. Che potrebbe anche slittare alla prossima settimana, durante la sosta del campionato. Le ipotesi in piedi – dall'illecito all'omessa denuncia della Disciplinare - rimangono tante. Eppure, gli ultimi spifferi parlano del possibile inserimento dell'articolo 1 – divieto di scommesse e lealtà sportiva - come estrema “colpa” sulla testa di Mauri, oltre all'omessa denuncia di primo grado per Lazio-Genoa. Il club biancoceleste non pagherebbe nulla, il giocatore invece si beccherebbe due anni di stop.

L’AMICIZIA CON ZAMPERINI

Indagato, carcerato, sporcato. Per un’omessa denuncia? Al momento sì. Sembra troppo fragile l’ipotesi d’illecito. Il pm Di Martino ha addirittura rinchiuso Mauri in carcere, ha ottenuto solo assordanti urla d’innocenza: «Io non c’entro nulla con le scommesse», ha continuato a ribadire Stefano alla Corte, che ha chiesto una nuova istruttoria – prima volta nella storia – per chiarirsi le idee. Al momento con l’omessa denuncia se la “caverebbe” con 4 mesi, il Tnas di Portanova docet. Ma il brianzolo è certo della sua verità. Teme solo di pagare la vecchia amicizia con Zamperini, che oggi non si presenterà per “scagionarlo”: «Sapevo che aveva la passione per le scommesse. Spesso lo vedevo con fogliettini di agenzie Snai», si confidava Mauri già in Procura Federale. E nell’interrogatorio d’inizio giugno a Cremona: «A dicembre quando ero a Miami, mi sono detto: Ma allora, qualcosa si vede che ho fatto, com'è possibile che abbia tutte queste accuse?» . E ho pensato: «È sempre stato vicino a me, lo conosco da dieci anni, non mi ha mai dato questa impressione. Da lì poi non l’ho più sentito». Ne farà a meno anche oggi.

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Il giorno del giudizio

Calcioscommesse, via al processo per gli ex del Bari

Richiesta di danni I tifosi e la società sono pronti a costituirsi parte

civile e potrebbe farlo anche la Figc, lamentando il danno d’immagine

Conte testimone Durante il processo potrebbero essere chiamati come

testimoni personaggi importanti del calcio italiano, per esempio Conte

di VINCENZO DAMIANI (Corriere del Mezzogiorno - Bari 02-10-2013)

BARI — I tifosi e la società sono pronti a costituirsi parte civile e potrebbe farlo anche la Figc, lamentando il danno d'immagine.

Comincia oggi il processo bis sul calcio scommesse che vede coinvolti 27 calciatori, quasi tutti ex Bari. L'unico giocatore imputato ancora sotto contratto con il club biancorosso è Francesco Caputo, fermo ai box per la squalifica che gli è stata inflitta dalla giustizia sportiva in secondo grado (è in attesa del giudizio del Tnas).

L'udienza di oggi non dovrebbe riservare particolari colpi di scena, dovrebbe trattarsi di una semplice «udienza di smistamento» per assegnare il procedimento al giudice che se ne occuperà sino alla sentenza.

I giocatori coinvolti nel secondo capitolo dell'inchiesta sul calcio marcio - indagine svolta dai carabinieri e coordinata dal pm della Procura di Bari, Ciro Angelillis - sono accusati di frode sportiva in concorso. Alla sbarra, tra gli altri, c'è anche il portiere del Torino, Jean Francois Gillet, ex capitano e simbolo del Bari per dieci anni, tanto da vedersi consegnare dal sindaco Michele Emiliano persino le «chiavi» della città (che ha per il momento ridato indietro). Durante il processo potrebbero essere chiamati come testimoni personaggi di spicco del calcio italiano, ad esempio potrebbe essere convocato l'allenatore della Juventus, Antonio Conte.

Il tecnico non è indagato, però potrebbe essere citato come teste in quanto, all'epoca dei fatti contestati, era alla guida del Bari dei miracoli, la squadra che vinse il campionato di serie B battendo persino la corrazzata Parma.

Due le partite di serie B ritenute truccate dalla Procura: Bari-Treviso del 10 maggio 2008 che finì 0-1, e Salernitana-Bari del 23 maggio 2009, 3-2. Gli incontri, secondo l'accusa, furono venduti dai biancorossi in cambio di 220mila euro complessivi. Per perdere Bari-Treviso dieci calciatori biancorossi, nella ricostruzione degli inquirenti, avrebbero intascato in totale 70mila euro. Il danaro sarebbe stato consegnato dal calciatore del Treviso William Pianu ai baresi Ivan Rajcic, Vincenzo Santoruvo, Davide Lanzafame, Jean Francois Gillet, Marco Esposito, Nicola Belmonte, Nicola Strambelli, Massimo Bonanni, Massimo Ganci e Vitangelo Spadavecchia.

Per far vincere la Salernitana, invece, due calciatori e un dirigente della squadra campana, gli atleti Luca Fusco e Massimo Ganci (ex Bari) e il team manager Cosimo D'Angelo, avrebbero offerto 150mila euro a 16 calciatori biancorossi, e al «tuttofare» Angelo Iacovelli.

I calciatori biancorossi che, sempre secondo la pubblica accusa, avrebbero ricevuto il danaro, circa 7mila euro a testa, sono: Andrea Masiello, Cristian Stellini, Davide Lanzafame, Vitali Kutuzov, Marco Esposito, Nicola Santoni, Alessandro Parisi, Daniele De Vezze, Gianluca Galasso, Simone Bonomi, Francesco Caputo, Jean Francois Gillet, Corrado Mario Colombo, Raffaele Bianco, Mark Edusei e Stefano Guberti. Alcuni degli imputati hanno chiesto di patteggiare, versando circa 10mila euro per la costruzione di campetti da calcio.

Partite truccate, Caputo & C. in aula

Al via il processo penale: 25 gli imputati. Tra i testimoni c’è Conte

L’accusa: giro di soldi tra i giocatori del Bari nelle gare con Salernitana e Treviso

di ENZO TAMBORRA (la Repubblica - Bari 02-10-2013)

Per sperare che Caputo venga riabilitato dal Tnas, se ne riparla non prima di dicembre. La possibilità che il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport del Coni prenda in esame prossimamente il ricorso dell’ex capitano del Bari, squalificato per tre anni e sei mesi per illecito sportivo, sono praticamente svanite visto che tardano ad arrivare le motivazioni della sentenza di secondo grado, quella della Corte di giustizia federale. Caputo è stato squalificato nell’ambito del filone barese relativo al calcioscommesse relativo alla presunta combine in Salernitana-Bari del 23 maggio 2009.

L’attaccante altamurano si è sempre dichiarato innocente, tant’è che ha evitato di chiedere il patteggiamento convinto che sarebbe giunta l’assoluzione. Non sono stati dello stesso avviso prima la Commissione disciplinare, poi la Corte di giustizia. Caputo, assieme ad altri 24 imputati, dovrà affrontare anche il processo penale che inizia oggi a

Bari e che riguarda anche la gara Bari-Treviso del 10 maggio 2008. Ai calciatori imputati viene contestato il reato di concorso in frode sportiva per avere venduto per complessivi 220mila euro le due partite. In particolare, per perdere la gara contro il Treviso dieci calciatori biancorossi intascarono, secondo l’accusa, 70mila euro. Il denaro sarebbe stato consegnato dal calciatore del Treviso William Pianu, ex Bari, ai calciatori baresi Rajcic, Santoruvo, Lanzafame, Gillet, Esposito, Belmonte, Strambelli, Bonanni e Ganci.

Stralciata la posizione di Spadavecchia, in quanto la memoria difensiva dei suoi legali è stata ritenuta convincente dall’accusa. In merito alla sconfitta contro la Salernitana, gli allora calciatori della squadra campana Ganci e Fusco e il team manager Cosimo D’Angelo, avrebbero offerto 150mila euro a sedici calciatori del Bari e all’amico dei calciatori Angelo Iacovelli, accusato di favoreggiamento reale. Secondo le indagini, Iacovelli avrebbe ricevuto l’intera somma destinata ai giocatori che si sarebbero divisi 7mila euro a testa, trattenendo per sé 38mila euro. Oggi verranno accolte le richieste di patteggiamento presentate da Stellini, Lanzafame, Esposito, Santoni e Andrea Masiello e stilato il calendario delle udienze.

In apertura del processo, il giudice Pirrelli dovrà verificare la regolarità delle notifiche dell’atto di fissazione del processo e verificare se ci sono richieste di costituzione di parte civile di tifosi e società. Nella lista dei testi presentata dall’avvocato Piero Nacci Manara, legale di alcuni degli ex giocatori del Bari, figurano anche i nomi dell’ex allenatore biancorosso Antonio Conte, del direttore sportivo Giorgio Perinetti e dell’attuale difensore del-l’Inter Andrea Ranocchia. E intanto si avvicina la data del processo del filone d’inchiesta relativo alla presunta combine nel derby Bari-Lecce: udienza fissata per il prossimo 27 novembre.

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CALCIOPOLI: IERI E’ RIPRESO IL PROCESSO DI NAPOLI, IL 15 OTTOBRE LA PROSSIMA UDIENZA

«Sorteggio truccato: la prova dov’è?»

In appello il mistero del dvd scomparso

In aula parla Pairetto: «Quando Facchetti chiamò Bergamo per chiedere che

Collina arbitrasse Juve-Inter. Mai avuta una scheda straniera da Moggi»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 02-10-2013)

C’è un video che può incastrare Moggi, Bergamo e Pairetto . O meglio, c’era un video. Perché del dvd contenente il filmato ripreso dai Carabinieri e che, secondo l’accusa, dimostrava come i designatori arbitrali truccavano i sorteggi non vi è traccia. Sparito. O meglio, sparito, poi riapparso - in parte - sul sito del Corriere della Sera nel marzo scorso, ma mai visionato in aula e mai visionato dalle difese. Eppure doveva essere la prova regina per dimostrare l’affinata tecnica con cui i vertici della cupola moggiana truccavano il sorteggio arbitrale, assecondando le richieste dell’ex dg della Juventus. Così ci avevano raccontato i pm del processo di Napoli e in particolare Capuano, che condusse l’ultima parte del dibattimento, citando nella sua requisitoria finale proprio il video: «Guardate il filmato!», aveva esortato. Peccato che non si poteva vedere, perché non era più a disposizone: «Il documento richiesto è in possesso dell’Ufficio di Procura dal giorno 29/7/2009», scrive la Cancelleria della IX sezione a chi lo richiede. Al posto del video una ricostruzione del sorteggio con alcuni fotogrammi del famigerato filmato, ripreso nel centro tecnico di Coverciano il 13 maggio 2005: ma la sequenza delle immagini riversate nel rapporto del maresciallo Sergio Ziino molto probabilmente non rappresenta il cronologico svolgersi degli eventi di quella mattina. Le foto sono mischiate: e forse non per sbaglio. Qualche scena di quel video, infatti, era stata vista (trasmessa in televisione il 15 dicembre 2009, in una fiction de La7 su Calciopoli) e smentiva la ricostruzione dell’accusa. I pm sostenevano che fosse il designatore Paolo Bergamo a estrarre la pallina «incriminata» dall’urna trasparente davanti a dieci giornalisti e altri testimoni (fra i quali anche un notaio), ma a pescare la pallina fu in realtà un cronista, com’era consuetudine. Nel caso specifico Riccardo Bianchi, della Provincia di Como, che fu sentito nell’udienza del primo ottobre 2010 a Napoli e disse: «Arrivai a Coverciano 15 minuti prima del sorteggio (...). Pairetto, come da procedura, ha estratto le pallina con le partite, mentre io ho estratto quelle coi nomi degli arbitri (...). Nessuno mi suggerì di muovere la mano a seconda di colpi di tosse, e certo Bergamo e Pairetto non mi indirizzarono in alcun modo: l’avessero fatto nei giorni precedenti avrei potuto fare lo scoop della vita e sarei diventato famoso. Il sorteggio fu regolarissimo».

DEJA-VU Anche ieri, nella prima udienza del processo d’appello di Calciopoli si è parlato di sorteggio truccato e anche ieri sono state chieste notizie del misterioso video (ancora una volta richiesto da parte delle difese). E in attesa di vederlo saltare fuori, in aula è stata registrata la dichiarazione spontanea dell’ex designatore Pairetto: «Vi assicuro della bontà del sorteggio, come è stato dimostrato dal processo. Era impossibile falsare il sorteggio, perché avevamo le due urne con al centro il notaio. In una c’erano le sfere, nell’altra gli arbitri. Le urne erano trasparenti. Io estraevo la pallina con la gara e solo dopo il giornalista estraeva quella con l’arbitro. Le palline ammaccate? Tutte lo erano, erano irriconoscibili. Il sorteggio si poteva truccare solo se il giornalista, che cambiava ogni volta senza che noi lo sapessimo, fosse stato d’accordo con noi. Le griglie erano il segreto di pulcinella, quasi tutti riuscivano ad individuarle prima del sorteggio. Abbiamo composto griglie delle partite per evitare che vi fossero preclusioni». Per altro, anche nel primo grado di giudizio, la presunta manipolazione del sorteggio era stata esclusa dai giudici che diedero ragione alla difesa. L’appello, tuttavia, ricomincia da qui: una sorta di surreale deja-vu, in cui riemerge un’altra delle verità nascoste dall’accusa, ovvero che a telefonare erano tutti i dirigenti e non solamente Luciano Moggi. Ha detto Pairetto nella sua dichiarazione: «Noi avevamo contatti con i dirigenti di tutte le squadre dal Chievo al Napoli con Ferlaino, dalla Lazio al Milan, dall’Atalanta al Messina, insomma tutte proprio tutte. Persone con cui colloquiavamo normalmente anche di griglie, con i vari dirigenti che ci telefonavano. (...) In un’occasione Faccheti disse a Bergamo di mettere in un sorteggio tre nomi di cui due preclusi, ma lo faceva perché voleva Collina in un Inter-Juventus, nulla di anomalo e drammatico. Tra l’altro quella gara venne data a De Santis, in teoria il “nemico pubblico” dell’Inter che invece vinse quella gara. La Federazione non solo non ci vietava questi rapporti con i dirigenti ma anzi ce li incentivava. Carraro ci aveva chiesto di fare degli articoli il lunedì sulla Ġazzetta come commento alla moviola». Ultima annotazione sulle schede svizzere: «Io non ho mai ricevuto una scheda straniera da Moggi. Le ho utilizzate, ma mi erano state date dalla Uefa per le mie funzioni all’interno della Federazione europea. Non so da dove nascano i contatti e come mi sono attribuiti da parte di chi ha redatto a mano questi elenchi».

L’INDAGINE La prossima udienza sarà il 15 ottobre, quando parlerà il pm Antonio Ricci e avanzerà le richieste di pena, poi le difese inizieranno a smantellare le accuse, anche grazie a nuove intercettazioni ritrovate nel mare magnum delle 180mila telefonate registrate e per la maggior parte ignorate dagli inquirenti. Luciano Moggi e gli altri imputati puntano a smontare almeno l’accusa di associazione a delinquere che, con l’assoluzione nel rito abbreviato di dieci arbitri, ha già subito un contraccolpo. Per molti tifosi della Juventus, tuttavia, il processo d’appello è l’occasione per rituffarsi nelle tante, troppe incongruenze dell’inchiesta che ha fatto condannare il club nel 2006. Il sorteggio truccato - ricordiamolo - fu uno dei capisaldi su cui si reggeva la sentenza sportiva (retrocessione con penalizzazione e due scudetti tolti), ma nessuno - a sette anni di distanza - ha saputo ancora fornire una prova di quella manipolazione. E il video scomparso potrebbe finire in un’altra inchiesta, quella per la quale a marzo è stato aperto un fascicolo a Roma dalla dottoressa Laura Condemi e che dovrebbe “indagare su come si... indagò” nel 2004-05.

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Una telefonata, il figlio ammazzato,

il calcio e lo specchio nero di José Anigo

di RONALD GIAMMÒ (IL FOGLIO 02-10-2013)

Au village sans prétention, j’ai mauvaise réputation”

George Brassens

“La mauvaise reputation”

Certi presagi arrivano nel sogno. Altri punteggiano il quotidiano senza che si riesca a intercettarli. A Marsiglia basta un colpo di telefono. E se ti chiami José Anigo, queste cose le sai. E’ una mattinata d’inizio settembre quando il telefono del direttore sportivo dell’Olympique Marsiglia si mette a trillare. L’orario è insolito, lui sta per raggiungere il suo ufficio nella sede del club, la squadra naviga tranquilla: giornalisti e procuratori si faranno vivi più tardi. Anigo risponde e dall’altra parte del filo c’è sua nuora. Si agita, piange, gli dice che suo marito, Adrien, non è andato a scuola a prendere i bambini. José prova a calmarla, poi riattacca e si dice: “Hanno ammazzato mio figlio”. Poche ore più tardi la conferma arriverà dalla radio. A restare sull’asfalto del XIII arrondissement è Adrien Anigo, trent’anni, un passato di furtarelli e rapine conclusosi nel 2007 con un arresto poi annullato nel 2010 per un vizio di procedura. Aveva aperto un negozio di sport, possedeva quote di un grande bar in centro. Era in macchina, è stato affiancato da due scooter. Un colpo in testa, uno alla carotide.

Per José Anigo il presagio non ha mai la leggerezza e la musica delle belle notizie. E’ un’edera che gli cresce dentro, l’eco di una voce che viene da un passato distante 35 anni, quando giovane e spaccone incastrava le sue giornate nel quartiere nord della città e bisognava decidere da che parte schierarsi. Lui scelse Marsiglia. Prima come calciatore, da pulcino fino alla prima squadra. Poi come allenatore e infine da direttore sportivo. Il passato però non è un avversario che si dribbla facilmente. Gli amici di ieri sono diventati i voyou di oggi: affari, interessi, richieste. Il nome di Anigo, ha riferito di recente una fonte della polizia alla Provence, è sulla bocca dell’élite del milieu locale e le intercettazioni del 2011, disposte per provare i legami tra criminalità e club, hanno solo ufficializzato ciò che tutti tacevano per pudore. Si sente la voce di Richard Deruda, nome della criminalità focese, spingere affinché Anigo procuri un contratto a suo figlio. Il ds tergiversa, dice di aver chiamato dieci club ricevendo altrettanti rifiuti, ma Deruda non ne vuol sapere, “non farmi girare le scatole”, digrigna tra i denti, “o vuoi che ti rinfreschi la memoria?”. Seguirà una perquisizione nella sede del club: nessuna prova, solo parole prive di riscontri.

Quello di Deruda è solo uno dei tanti nomi ambigui che gravitano attorno all’Olympique da quando è Anigo a tenerne le redini. Contabilità e commissioni sulla compravendita dei giocatori sono un’esca facile e appetitosa. Avvertimenti anonimi, estorsioni, minacce di morte tra le nebbie del porto: a emergere è la faccia di Jean- Luc Barresi, famiglia tra le più note in quel di La Ciotat, un anno speso in carcere nel 2002 e oggi agente di alcuni giocatori. E ancora, Jean-Cristophe Cano e Christophe D’Amico, procuratori anche loro, al centro di alcune operazioni di mercato dalle plusvalenze sospette. Tutti conoscono tutti in questo mondo, ma se vieni da Marsiglia ci si conosce meglio degli altri.

Facile cadere nelle suggestioni quando è un nome come quello di Anigo a occupare le cronache, ma le storie del direttore sportivo dell’OM e quella di suo figlio non potrebbero essere più distanti. Perrine Baglan, corrispondente a Marsiglia per la BFM Tv, dice al Foglio che “negli ultimi dieci anni il paesaggio è cambiato, difficile dare una data precisa per questa trasformazione”, ma il grand banditisme che dominava Marsiglia e raccontato da Izzo è stato oggi sostituito da un “neo banditisme urbano e di quartiere molto violento, formato da voyou sempre più giovani e sempre più armati in lotta tra loro per il controllo del traffico di droga”. I “vecchi” hanno spostato i loro interessi altrove, nei casinò, nelle corse. Oggi a Marsiglia sbarcano cargo carichi di tonnellate di droga (venti ne sono arrivate dieci giorni fa da Tolone) e intercettare armi dalle rotte delle rivoluzioni arabe è sempre più facile ed economico. Per un kalashinokov bastano mille euro e se prima il sangue era l’ultima via, oggi è diventato per molti un biglietto da visita.

La Francia però non resta a guardare. Marsiglia è sempre stato un “petit caillou” (il sasso nella scarpa) per Parigi. Un recente sondaggio ha rivelato che il 57 per cento dei francesi sarebbe favorevole all’invio dell’esercito. Più pragmatico è sembrato il ministro dell’Interno, Manuel Valls, che, rispolverando l’ennesimo programma di riconquista del territorio, ha parlato di un “approche global” che oltre alla presenza massiccia e visibile di forze dell’ordine si occupi anche della riqualificazione delle aree più degradate della città. “Parole!”, sbotta parlando con il Foglio Mario Albano della Provence, “per ora si sono visti solo poliziotti”. Difficile invertire la rotta, cercare di offrire una scelta, quando il tasso di disoccupazione in alcuni arrondissement sfiora il 70 per cento e la paga di una giornata per lo spaccio di cannabis o cocaina oscilla tra i 150 e i 450 euro.

José Anigo nel frattempo è sparito e l’inchiesta che dovrebbe far luce sull’assassinio di suo figlio, seppur alle prime battute, è già stata etichettata come una “strada senza fine”. Sugli spalti del Vélodrome non si è più visto e i cancelli della sua casa sorvegliata dai cani e protetta da vetri blindati sono ancora inviolati. Ha dichiarato all’Equipe che è vero, “ho una morfologia e dei tratti del viso che danno di me una cattiva immagine. Ma non sono l’uomo che è stato descritto così spesso ultimamente”. Ha negato qualsiasi legame tra l’omicidio del figlio e la sua gestione del club. Nessuna ritorsione dietro a quel gesto. Sì, Adrien era un tifoso come tanti, veniva a vedere le partite, ma “io ho fatto di tutto per cercare di tirarlo fuori da quella strada che alla fine l’ha inghiottito”. Eppure, più che l’immagine – il collo taurino, il cranio pelato come uno scudo di bronzo, gli occhi luciferini – sono le parole a tradirlo e a dare credito a una reputazione che gli si è incollata addosso. “Oggi ci si ammazza per delle fesserie (conneries, ndr), ma questa è sempre stata una città che mangia i suoi figli”, ha chiosato stanco sulle colonne del maggior quotidiano sportivo di Francia. Nessuna traccia di pentimento, solo una serena accettazione dell’ineluttabilità.

Infine, fedele al copione della redenzione, ha dichiarato di voler trasformare il suo dolore in concreto impegno per la città, specialmente per quei quartieri così ricchi di un’umanità che aspetta solo di essere ben incanalata. Si farà vedere, Anigo, scenderà per le vie, sarà a disposizione di chi vorrà provare a fare qualcosa. Non servono poliziotti. Dopo toccherà alle scuole. Le rivoluzioni si fanno un giorno alla volta e per innescarle, da quelle parti, servono solo ammirazione e soggezione e una faccia alla quale poter credere. Le parole, laggiù, se l’è sempre portate via il Mistral e Marsiglia la ribelle, la terribile, la fantastica, non conosce parole che possano domarla. Almeno fino al prossimo trillo.

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Nervi tesi La piattaforma satellitare chiede un’esclusiva che potrebbe «creare valore», il Biscione pensa a un’alleanza con Bogarelli

Colpi proibiti nella partita per la tv

Le guerra dei diritti: Infront garantita da se stessa, Sky

pronta a offrire di più per bloccare l’offensiva di Mediaset

La novità della Lega Lunedì prossimo l’assemblea di Lega, l’ultima

idea è una vecchia idea: creare un canale televisivo gestito dai club di A

di MASSIMO SIDERI (CorSera 02-10-2013)

Più che una partita di calcio regolamentare quella dei diritti tv della serie A sembra ormai un incontro da Fight Club , di quelli dove, lontani da telecamere e arbitri, volano anche dei colpi proibiti. Dopo lo show improbabile all’ultima assemblea della Lega Calcio di Riccardo Silva, il patron della MpSilva che gestisce i diritti esteri del campionato Tim, e del suo ex socio Marco Bogarelli, uomo in Italia dell’advisor Infront, il Corriere ha avuto la cosiddetta «lettera di patronage» usata per sbaragliare la concorrenza al tempo dell’asta con un minimo garantito a stagione di 91o milioni. La Letter of Comfort , che fino a oggi era rimasta nascosta, in realtà è firmata da Infront Holding AG. Nemmeno, dunque, dal fondo BridgePoint che controlla Infront che, evidentemente, non se l’è sentita di garantire. Inoltre non si parla di cifre.

Peraltro è doveroso registrare che lo stesso Silva aveva approfittato della platea dell’assemblea dei club per dire che gli articoli sulla sua galassia di società sparsa per i paradisi fiscali nascono da una errata lettura dei bilanci di MpSilva Limited Dublino dopo che egli stesso aveva riconosciuto: «Ci sono stati degli errori contabili. Li correggeremo». Siamo dunque alla Versione di Silva numero 4. Peraltro, nonostante le promesse, non sarà possibile visionare i contratti che Silva conclude in giro per il mondo perché, come ha raccontato, vengono venduti in pacchetti insieme ad altri campionati e sport. Nella sostanza, dunque, sarebbe impossibile sapere quanto guadagna effettivamente dal campionato italiano l’uomo venuto dal Milan Channel, di cui è stato manager e poi proprietario.

Che il clima si stia riscaldando in vista della prossima assemblea presieduta da Maurizio Beretta lunedì prossimo lo si capisce anche da una convocazione a venerdì arrivata ieri da Mediaset. Titolo: «Rinnovo dei diritti tv della serie A: cosa può cambiare per i tifosi». Nell’aria sembra ancora circolare l’ipotesi di un canale della Lega, una vecchia idea di Adriano Galliani riesumata ora dal suo uomo Bogarelli per contrastare un accordo «Mediaset-Sky». La questione compare all’ordine del giorno dell’assemblea di lunedì.

In realtà rumor di mercato parlano di contatti tra Infront e lo stesso canale del Biscione per lavorare sull’ipotesi del canale. Mentre Sky, tanto per smentire Bogarelli che aveva adombrato in Lega il patto tra le due piattaforme televisive di Murdoch e Berlusconi, ha scritto a Lega e club (la lettera è firmata dall’ad di Sky Italia, Andrea Zappia) per ripetere che la vendita per esclusiva potrebbe «creare valore» e, comunque, difendere gli attuali livelli pari a circa un miliardo per il solo mercato interno. Il gruppo ha ricordato che Mediaset paga meno della metà rispetto a Sky per avere un pacchetto molto simile e comunque senza esclusive. Per il campionato in corso il canale di Murdoch ha sborsato 561 milioni per 380 partite e Mediaset 268 milioni per 324. È il modello simulcast (cioè su tutte le piattaforme). La disparità nasce dal fatto che all’epoca dei primi accordi il satellite raggiungeva tutto il territorio mentre il digitale, leggi Mediaset, no (la situazione è cambiata dallo switch off della tv analogica in poi). Peraltro Mediaset ha anche dichiarato di perderci e di rimanere in campo solo per limitare il competitor. Resta da capire dove pensa di guadagnare con queste premesse Infront lanciando un canale tv. O, meglio: è probabile che l’unico a poter guadagnare sicuramente da un progetto del genere è proprio Bogarelli visto che, avendo evidentemente delle capacità predittive, aveva già introdotto nel contratto del 2009 l’eventuale diritto di esclusiva per il canale tv. Il calcio in Italia ha 4,4 milioni di utenti-tifosi. Basterebbe moltiplicare per capire quale potrebbe essere il risultato a livello di giro d’affari.

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SPERIAMO CHE

SIA L’ULTIMA VOLTA

di ALBERTO POLVEROSI (CorSport 03-10-2013)

Mario Balotelli andrà in Nazionale. Non sappiamo dire se è una notizia positiva o negativa. Di sicuro è una notizia che fa discutere. Tecnicamente la decisione di Prandelli, sostenuta dal club Italia, è precisa: la squalifica del milanista scade il giorno prima del raduno della Nazionale a Coverciano e finora il codice etico non ha mai aggiunto “pena alla pena”. Ma all’interno dello stesso codice bisogna fissare anche dei gradi di pena, non tutte le colpe sono uguali. Se Osvaldo salta un torneo intero come la Confederations Cup perché ha disertato la premiazione della Coppa Italia, si fatica a capire perché Balotelli non resti a casa dopo aver minacciato un arbitro con una frase da bullo, mentre mostrava i muscoli a torso nudo e faceva la faccia cattiva: “Ti ammazzo”. Non può essere il calendario a salvare un giocatore che si comporta in un modo così greve, rozzo e violento da indurre il Milan a non presentare ricorso: senza il turno infrasettimanale la squalifica di tre giornate si sarebbe esaurita solo dopo la Nazionale e in quel caso sarebbe rimasto a casa. Se Mario va da Abete gli dice “Ti ammazzo”, che succede? E quando poi si è presentato davanti alle telecamere di Sky per scusarsi, lo ha fatto a metà: «Non devo chiedere perdono a tutti (la domanda era se chiedeva scusa anche a Prandelli, ndr). Non ho ammazzato nessuno». In effetti si era limitato alle minacce.

Anche sulle vicende di Amsterdam ci sarebbe da riflettere. Nell’aprile del ‘97 Gabriel Batistuta andò a giocare con la Fiorentina al Camp Nou contro il Barcellona di Figo e Ronaldo, semifinale di Coppa delle Coppe. I centomila catalani lo stavano insultando nella sua lingua (“Batistuta hijo de p...“) e il Barça stava vincendo 1-0 quando Bati, con una botta dal limite dell’area, gelò Vitor Baia e tutto lo stadio, si portò l’indice al naso e disse ai catalani di tacere. Finì 1-1, come Ajax-Milan di martedì sera. Quello era Batistuta. Poi è arrivato Balotelli che ha voluto imitarlo, dimenticando un paio di particolari. (1) Il rigore dell’1-1 era stato da lui procurato per un fallo inesistente: un minimo di decenza gli doveva consigliare di tornare a centrocampo ringraziando l’arbitro. (2) A parte i fischi al momento del tiro, nessuno lo aveva provocato.

Eppure vale la pena ricordare a questo giocatore perso nel suo mondo che il ct della Nazionale gli aveva consegnato la squadra e il futuro azzurro ben prima che lui lo meritasse. Doveva essere la Nazionale di Balotelli. Per questo dovrebbe essere più giusto, più corretto, più attento e più sensibile di tutti gli altri azzurri. Invece è l’esatto opposto. La speranza è che questa sia l’ultima volta. Non l’ultima volta di Balotelli (nessuno si può illudere), ma l’ultima volta di Prandelli. O cambia Mario, o lo lasci a casa. Per ora non c’entra niente uno come lui accanto a un capitano come Buffon.

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Calcioscommesse, partenza con rinvio

e in tre ora chiedono di patteggiare

Sono gli ex biancorossi Stellini, Lanzafame e Santoni

Al centro le gare contro Treviso e Salernitana. Il processo riprende l’11 dicembre

di GABRIELLA DE MATTEIS (la Repubblica - Bari 03-10-2013)

Hanno annunciato una richiesta di patteggiamento. Tre ex calciatori del Bari sperano così di uscire dal processo su due presunte combine, organizzate tra il 2008 ed il 2009. E per questo hanno chiesto di concordare una pena. E’ accaduto, ieri, nella prima udienza del processo davanti al Tribunale di Bari. Un’udienza che, per un difetto di notifica, è stata subito aggiornata all’11 dicembre prossimo. E c’è stato solo il tempo per i tre ex calciatori biancorossi di invocare il patteggiamento.

I giocatori sono Cristian Stellini, Davide Lanzafame e Nicola Santoni, tre dei 25 imputati. Al centro del procedimento ci sono gli incontri di serie B Bari-Treviso del 10 maggio 2008 (finito 0-1) e Salernitana-Bari del 23 maggio 2009 (conclusosi 3-2). Secondo l’accusa, sostenuta dal pm Ciro Angelillis, le due partite sarebbero state vendute, le due sconfitte del Bari avrebbero, cioè, avuto un prezzo: 220mila euro. Per perdere Bari-Treviso dieci calciatori biancorossi avrebbero intascato complessivamente 70.000 euro. Il danaro sarebbe stato consegnato dal calciatore del Treviso William Pianu ai baresi Ivan Rajcic, Vincenzo Santoruvo, Davide Lanzafame, Jean Francois Gillet, Marco Esposito (che ha già patteggiato la pena), Nicola Belmonte, Nicola Strambelli, Massimo Bonanni, Massimo Ganci e Vitangelo Spadavecchia. Per far vincere alla Salernitana la partita, due calciatori e un dirigente della squadra campana, gli atleti Luca Fusco e Massimo Ganci (ex Bari) e il team manager Cosimo D'Angelo, avrebbero offerto 150.000 euro a 16 calciatori del Bari e al faccendiere del Bari-calcio Angelo Iacovelli (accusato anche di favoreggiamento reale).

I calciatori biancorossi che avrebbero ricevuto il danaro, circa 7.000 euro a testa, sono: Andrea Masiello (che ha patteggiato la pena), Cristian Stellini (ex secondo di Conte alla Juve, poi squalificato), Davide Lanzafame, Vitali Kutuzov, Marco Esposito, Nicola Santoni, Alessandro Parisi, Daniele De Vezze, Gianluca Galasso, Simone Bonomi, Francesco Caputo, Jean Francois Gillet, Corrado Mario Colombo, Raffaele Bianco, Mark Edusei e Stefano Guberti. Secondo le indagini, Iacovelli avrebbe ricevuto la somma destinata ai calciatori, distribuendola in parti uguali e trattenendo per sé 38mila euro.

Le richieste di costituzione di parte civile non sono ancora state formalizzate. Potrebbero chiedere di partecipare al processo i club e alcuni tifosi. La difesa degli imputati sta valutando la possibilità di citare come testimone il tecnico della Juventus, Antonio Conte.

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Mauri, che botta

ora sono 9 mesi

La Corte Federale ha aggravato la squalifica

Ammenda di 50 mila euro alla Lazio

I legali del giocatore ricorreranno al Tnas

«Non ci sono prove»

di DANIELE RINDONE (CorSport 03-10-2013)

ROMA - Lazio salva, nessuna penalizzazione, solo un appesantimento della multa comminata dalla Disciplinare. Doppia omessa denuncia per Mauri, la sua squalifica s’è allungata da 6 a 9 mesi: potrà tornare in campo dal 2 maggio in poi (il 4 maggio si giocherà Lazio-Hellas Verona). Ha il contratto in scadenza nel 2014, il futuro è un’incognita. La Corte di Giustizia federale coordinata dal presidente Gerardo Mastrandrea ha aggravato la condanna del capitano laziale applicando l’omessa denuncia del tentativo di illecito anche in relazione a Lecce-Lazio del 22 maggio 2011 (dopo quella per Lazio-Genoa del 14 maggio 2011). I legali del giocatore parlano di sentenza «non solo ingiusta, ma incomprensibile» . Gli avvocati Melandri e Buceti hanno inviato una nota all’Ansa: «Non ricorrevano elementi obiettivi che confortavano la sanzione per omessa denuncia relativamente alla gara Lazio-Genoa ed ora, nella più totale assenza di prova, la medesima contestazione viene estesa dalla Corte federale alla gara successiva...» . Le motivazioni si conosceranno fra 30 giorni, chiariranno le accuse. La seconda omessa denuncia, fa notare qualcuno, è stata applicata nonostante il fatto che la Corte federale, durante l’ultimo interrogatorio di Mauri, non abbia fatto domande su Lecce-Lazio. Non è tutto: Gervasoni, durante il suo interrogatorio, appena iniziò a parlare della gara “incriminata” fu stoppato dal presidente della Corte perché riteneva che quei fatti fossero chiari. I legali di Mauri, nella peggiore delle ipotesi, speravano nella conferma della sentenza di primo grado. C’è chi parla di condanna scontata, in virtù dell’inasprimento, dopo il metro “tenero” usato dalla Disciplinare. In realtà Mauri ha corso un grosso rischio. La Corte federale avrebbe potuto riconoscere l’illecito contestato da Palazzi (aveva chiesto anche una penalizzazione per la Lazio secondo il criterio della responsabilità oggettiva). Il procuratore ha insistito chiedendo la condanna pesante, la Corte ha accolto solo in parte il suo reclamo. Ieri, ad un certo punto, s’era temuto il peggio, s’erano diffuse voci relative ad una possibile penalizzazione della Lazio. Lotito ha tirato un sospiro di sollievo, la società s’è vista solo aumentare la multa inflittale in primo grado: da 40 mila euro è salita a 50 mila euro per responsabilità oggettiva. La sanzione dell’omessa denuncia è quantificabile in 6 mesi. La seconda, in continuazione, inasprisce la pena di 3 mesi: ecco spiegati i 9 mesi complessivi di squalifica. Mauri ne ha scontati due (la prima sentenza ha avuto effetto dal 2 agosto), ne deve scontare altri 7 a meno di sconti nell’ultimo grado di giudizio sportivo.

IL RICORSO - Gli avvocati del giocatore hanno 10 giorni per impugnare la sentenza al Tnas (Tribunale Nazionale Arbitrale per lo Sport), lo faranno. L’obiettivo è bruciare le tappe, il ricorso può essere incardinato in tempi brevi. Il Tnas potrebbe calendarizzare le prime udienze tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, la sentenza arriverebbe entro dicembre. I legali hanno studiato bene il caso, hanno capito che possono muoversi subito, non aspetteranno la pubblicazione delle motivazioni. Il Tnas spesso ha concesso sconti, è la speranza di Mauri. L’intervento dell’avvocato Buceti: «Non è stata raccolta nessuna prova oggettiva, si tratta di una valutazione che la Corte ha fatto per troppa sensibilità verso stimoli ambientali. Mauri ci ha confermato che la consegna dei biglietti all’amico Zamperini avveniva da anni». Zamperini non s’è mai presentato davanti alla Corte.

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La violenza Secondo una ricostruzione fatta sul web ci sarebbe stata l’intesa con un gruppo di ultrà inglesi nascosti da sciarpe azzurre

Assalto al pub,

raid con i supporter del Millwall

Prima della partita a Londra l’improvvisa aggressione: tutto distrutto e due feriti

Il manager «Sono venuti da noi tanti tifosi azzurri: tutti simpatici e corretti non capisco la violenza»

I giornali I media britannici allarmati: «Sono tornati gli hooligans ma sono i napoletani»

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 03-10-2013)

Piebury Corner è uno di quei pub minuscoli che fanno tanto Londra. Si trova nel quartiere di Ashburton Grove, in Holloway Road, a poche centinaia di metri dall’Emirates Stadium. Martedì alle 17, poche ore prima della gara di Champions, è stato teatro di una scena di ordinaria follia che ha fatto il giro del mondo contribuendo ad etichettare l’aggressione come una violenza degli ultrà del Napoli. Eppure, ieri, il popolo del web, attraverso una ricostruzione passo dopo passo e molto fedele, è riuscito a chiarire ulteriormente la prima versione del fatto: aggressione c’è stata, con una strana alleanza, inedita fino a ieri, tra «tifosi» del Millwall e quelli del Napoli. Molti inglesi, peraltro, portavano addosso anche le sciarpe del Napoli, contribuendo a far credere che gli assalitori fossero tutti azzurri. I supporter del Millwall sono legati a quelli azzurri da non si sa bene che tipo di amicizia che però li ha spinti a spostarsi dal quartiere di London Borough of Southwark, a sud del Tamigi, fin alla zona di Arsenal. Tra di loro, quasi un centinaio, ovvio non si esclude che ci fossero anche dei tifosi napoletani.

Il gruppo dei supporter inglesi e napoletani, ma tutti con sciarpe azzurre intorno al collo (da qui l’attribuzione del blitz esclusivamente ai napoletani) avrebbe fatto irruzione nel pub - occupato dai sostenitori dell’Arsenal - scatenando il panico, distruggendo tutto il possibile e picchiando alcuni dipendenti e una decina di clienti con una violenza unica e inaudita. La notizia è rimbalzata sui quotidiani del mattino e il Daily Mirror ne tenta una ricostruzione, parlando di circa 50 clienti che erano all’interno del locale. Paul Campbell, il manager del pub, è rimasto ferito e sconvolto per l’accaduto. Racconta: «Abbiamo ospitato i tifosi del Napoli per tutto il giorno, sono stati tutti simpatici e nessuno ha dato alcun tipo di fastidio, non è mai nato alcun problema. All’improvviso hanno fatto irruzione questi violenti, prendendo sedie e tavoli. Nessuno li aveva provocati, è stata un’aggressione gratuita. C’erano tre ragazze che sedevano vicino a me e questi delinquenti appena entrati hanno afferrato la sedia da sotto le ragazze. Alla fine del loro blitz c’era sangue dappertutto. Il bilancio è di due feriti: a un mio dipendente sono stati applicati 16 punti». È proprio il profilo Twitter del pub che parla, senza incertezze, di napoletani come protagonisti della violenza.

A suggellare la versione di uno strano miscuglio di tifoserie, il sequestro di un vessillo del Millwall nel settore destinato ai tifosi azzurri: come è noto è vietato esporre qualsiasi tipo di bandiera in uno stadio inglese. La stampa inglese ha preso al volo l’occasione per ricordare gli incidente avvenuti nel passato con protagonisti i tifosi italiani: lo scorso anno furono i laziali a provocare incidenti prima della gara di Europa League con il Tottenham Hotspur e vengono citate, nel 2010, le aggressioni a Napoli dei tifosi azzurri a quelli del Liverpool.

Per l’episodio del pub assalito, non risultano arresti da parte della polizia britannica. Ma c’è un tifoso al seguito del Napoli che è stato fermato per qualche ora e poi rilasciato: si tratta di un giovane che, probabilmente ubriaco, avrebbe preso a calci una ragazza inglese proprio nella zone a ridosso dello stadio dell’Arsenal.

La notizia del pub in un lampo ha fatto il giro del web. «A Londra sono tornati gli hooligans, ma non sono inglesi, sono i napoletani», scrivono un po’ tutti. Sarcasmo invece da parte del quotidiano The Indipendent: «L’unico danno il Napoli l’ha fatto con i suoi tifosi: distrutto Pierbury Corner».

Isoliamo i teppisti

di MARILICIA SALVIA (IL MATTINO 03-10-2013)

Già il risultato non ci ha detto bene, e questo bastava e avanzava, ieri mattina, per condannarci a un risveglio carico di inquietudine e amarezza. I titoli che avremmo trovato sui giornali - compreso il nostro - aleggiavano come spettri, nelle menti dei tifosi svogliatamente diretti verso le edicole e da lì al lavoro, a scuola, ai crocicchi del nostro eterno bar sport. Figuraccia internazionale, autostima sotto i tacchi, improvviso ritorno di fiamma per il troppo in fretta ripudiato Cavani eccetera eccetera. Ma tanta pena sia pure comprensibile diventa poca cosa davanti alla rabbia per un'altra, ben più grave sconfitta.

La sconfitta incassata sempre martedì dalle parti dello stadio, nel pub londinese di Holloway Road dove un gruppo di tifosi (tifosi?) napoletani ha letteralmente distrutto arredi e fracassato finestre e, soprattutto, ferito un paio di avventori (ovviamente) supporters dell'Arsenal. Non solo: davanti allo stadio un altro gruppetto se l’è presa addirittura con una povera donna che passava di lì, colpendola incredibilmente a cinghiate. Insomma sconfitta pesante, e su questo non c'è da scherzare. Sconfitta di civiltà, in un campionato che non prevede la gara di ritorno: la violenza, la sopraffazione non si cancellano mai, non si dimenticano, lasciano il segno in chi le subisce.

Per questo serve, e serve subito, un segnale di assoluta e netta presa di distanza. Lo diciamo noi per primi: questi napoletani non ci rappresentano, né come «coinquilini» di una città che si porta dentro una grande tradizione di fratellanza e rispetto per il prossimo, né come supporters di una squadra, una delle più amate nel mondo, da sempre capace di ispirare simpatia e attenzione positiva. Altro che titoloni tristi sulla prestazione grigia degli uomini di Benitez, ieri sui siti online di tutto il mondo l'unico titolo «sparato» in tutta evidenza raccontava lo stupore e lo sdegno per le gesta dei «neapolitan hooligans», documentate da fotografie e testimonianze inequivocabili. Fermiamoci subito. La società di De Laurentiis si faccia sentire, presti ogni collaborazione possibile agli inquirenti per arrivare all'identificazione dei colpevoli: se è gente partita per Londra con il biglietto dello stadio in tasca, stringere il cerchio non è impossibile. E in ogni caso, si facciano più stringenti controlli, si impedisca la prossima volta di far salire sull'aereo simili ambasciatori di comportamenti inqualificabili. I tifosi stessi, quelli veri, quelli che hanno a cuore le sorti della squadra esattamente quanto le sorti della città (e sono tantissimi, sono la stragrande maggioranza) facciano terra bruciata intorno ai pochi teppisti indegni di sostenere i colori azzurri. Lo sport non è questo, Napoli non è questa, e la posta in gioco è altissima. Napoli lotta faticosamente ma legittimamente per conquistarsi un posto d’onore nella Champions del turismo mondiale; a Napoli e nella fascia costiera che si estende fino a Sorrento sono milioni gli inglesi che ogni anno arrivano per godersi le nostre bellezze. Non è un eccesso ricordare che un pugno assestato in un pub può mandare in frantumi anni di credibilità, di lavoro serio, di speranze per il futuro. Napoli, il Napoli, non lo meritano (però Benitez: la prossima volta metta una sveglia sotto le magliette dei calciatori. Tanto sono mimetiche, non si noterà).

Le figuracce all'estero preoccupano. In Italia fa niente, ci si abitua.

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LUNEDI’ IN LEGA

Riparte la lotta per i diritti tv

Si pensa a rivedere il sistema: Sky propone i pacchetti

in esclusiva ma i problemi sono tanti in tempi di crisi

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 03-10-2013)

Lunedì prossimo la Lega tornerà a parlare di diritti televisivi. I presidenti ascolteranno le proposte di Infront e cominceranno a ragionare anche della televisione della Lega, una specie di araba fenice che scompare e ricompare ad anni alterni. I presidenti hanno avuto modo di ascoltare i «compratori», in particolare Sky che da tempo è il principale finanziatore del calcio italiano. La questione televisiva, come è a tutti noto, ha aspetti decisivi, strategici nella vita e nella competitività (sempre più a rischio per mancanza di fonti di ricavo) della Serie A. Ma che il prossimo rinnovo si svilupperà su una precaria linea di confine è un dato di fatto.

CONCORRENZA - Primo problema: come vendere? Sino ad ora la Lega ha scelto la strada della vendita per piattaforme. Mettendole in concorrenza, ha fatto crescere il valore dei diritti e ottenuto ricavi che in Europa non hanno paragoni. Ha subìto anche contraccolpi negativi perché la proliferazione di offerte alla «clientela» sempre più vantaggiose dal punto di vista del prezzo ha finito per allontanare il tifoso dallo stadio: se posso acquistare tutto per una ventina di euro al mese, perché mai devo spendere centinaia di euro per acquistare un abbonamento in un impianto dove la partita la vedo al freddo, sotto la neve, la pioggia e con qualche rischio legato alla presenza di «teste calde» sugli spalti? Questa spinta al rialzo garantita dalla vendita per piattaforme reggerà anche in futuro? In quanti saranno disposti ad acquistare a valori elevati non potendo di fatto contare su alcuna vera esclusiva visto che tutti, alla fine, hanno tutto? D'altro canto, una azienda, anche editoriale, investe di più se individua margini di redditività e in questo momento (lo dicono tutti) i margini nella migliore delle ipotesi sono ridotti, nella peggiore, nulli.

NOVITA’ - Secondo problema: come, eventualmente, cambiare il sistema? Sky ha proposto la vendita di «pacchetti in esclusiva», superando, così, la diversificazione per piattaforme. L'idea affascina perché nell'immediato consente di preservare gli attuali valori ponendo le condizioni per una loro nuova crescita nel futuro. Ma, dal punto di vista dei presidenti, ci sono alcune controindicazioni. E' evidente che in un mercato asfittico questo tipo di vendita può portare all'annichilimento della concorrenza sul versante dei compratori e di questa concorrenza i presidenti non vogliono (e anche non possono) fare a meno.

CRISI - Terzo problema. La situazione del mercato è critica; chiudere con la vendita per piattaforme potrebbe indebolire qualche soggetto imprenditoriale che, impoverendosi, si allontanerebbe dal business calcistico per ripiegare su forme di intrattenimento meno costose. In questo quadro complesso si inserisce la possibilità di una tv della Lega che dovrebbe avere proprio il compito di tenere alto il valore dei diritti. La sostanza è che nessuno sa come si riorganizzerà il mercato dopo questa crisi che molti assicurano essere alla coda finale. Ecco perché mai come in questa fase la Lega deve provare a darsi quella «forma» di «aziende delle aziende» che ha in altri Paesi (Germania, Inghilterra, addirittura Francia) ma che in Italia è spesso stata sopraffatta dagli opposti egoismi.

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EL ACENTO por EL PAÍS 03-10-2013

Telediario fuera de juego

No se trata de oponerse a la popularidad del fútbol como el nuevo dios de nuestra época. Ni de entrar a considerar sus posibilidades como motor de la economía: Bernard Pivot, el mayor divulgador de la información cultural en Francia, sugiere el aumento del número de jugadores sobre el campo a 12 o 13 por equipo, con la finalidad de combatir el paro juvenil... La cuestión es si el telediario aguanta todos los golpes francos y tiros a la escuadra; dicho de otro modo, si el servicio público de televisión debe respetar los espacios informativos como una de las razones fuertes de su existencia.

El martes pasado, a las 9 de la noche, los espectadores no pudieron ver el telediario en su formato normal porque La 1 retransmitía un partido de fútbol. No es la primera vez ni será la última. Tampoco se trataba de un evento excepcional, como la final de un apasionante campeonato, ni de la cobertura de la selección española de fútbol (TVE no dispone ahora de los derechos para hacerlo), sino de un encuentro de la Champions League. Como es habitual en estos casos — cualquiera que sea el equipo afectado —, cada vez que un partido coincide con el horario del telediario, este queda reducido a un condensado de noticias en el descanso del encuentro.

La oferta de fútbol televisado ya es muy abundante. ¿No es exagerado darle prioridad a este tipo de eventos, también en la principal cadena estatal? El servicio público de televisión debe comunicar con su país y esforzarse —como lo intentan numerosos periodistas y técnicos— por ofrecer una información de la mayor calidad, pluralidad e imparcialidad posibles. Resulta peligroso restar importancia y seriedad a los informativos, incluso por parte de los que alegan la vuelta del dirigismo gubernamental a TVE. Es muy respetable el interés de los seguidores de un club por los partidos de su equipo, y que eso les parezca más importante que la información nacional, internacional, económica o cultural. Pero nada impide a TVE atenderles. No le faltan canales para ello, sin tener que alterar la duración y el horario de los informativos de La 1.

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Match-fixing case: 4

on detention orders

Alleged ringleader Dan Tan

is believed to be one of them

by K.C. VIJAYAN (The Straits Times 03-10-2013)

Detention orders were yesterday served on four men nabbed last month for their alleged role in a football match-fixing syndicate.

The orders were issued by Deputy Prime Minister and Home Affairs Minister Teo Chee Hean under the Criminal Law (Temporary Provisions) Act, which allows for suspects to be detained without trial.

A fifth suspect in the case was issued a police supervision order in lieu of prison detention. He is now required to, among other things, be subjected to a curfew, and report to the police regularly.

Lawyers Hamidul Haq and Thong Chee Kun, from Rajah & Tann, have been hired to defend Tan. Mr Haq said: “We will explore all legal options open to us.”

It is understood that one of those options could include an application for a judicial review of their client’s detention order.

The five were among 14 suspects arrested during an islandwide raid conducted by the police and anti-graft officers on Sept 17.

This, after two years of investigation that involved extensive collaboration between the local authorities and their overseas counterparts such as Interpol’s Global Anti-Match-fixing Task Force.

The Straits Times understands that the five arrested under the Act include Singaporean Anthony Santia Raj who had been flagged in similar investigations overseas, and former S-League player Gaye Alassane, a Mali-born Singaporean who is suspected of rigging football matches in Central America.

The remaining nine suspects, believed to include Tan’s Chinese national wife, are being investigated for corruption but have since been released on bail.

The Home Affairs Ministry declined to confirm the names of the 14, citing ongoing investigations. Well-placed sources said more arrests are expected.

The detention and supervision orders were issued after justifications to detain them under the Act were made by the police to the Attorney-General’s Chambers and Mr Teo some time last week.

The case will now have to be referred for a review by an independent advisory committee – which comprises private citizens such as senior lawyers – within 28 days.

The committee will present its findings to the President, who will have the power to cancel, confirm or vary the orders.

The Act, which was introduced in 1955 to tackle organised crime, has been invoked to deal with members of drug, loan sharking and other criminal syndicates, including secret societies. In such cases, witnesses may not be keen to testify in court for fear of reprisals.

Detention orders are reviewed annually, and supervision orders are reviewed once every three years. Suspects detained recently under the Act include human smuggling kingpin Wu Feng Xia in 2011 and six gang members involved in the Eunos Crescent slashing incident in 2007.

The Act itself requires parliamentary renewal once every five years, taking into account prevailing circumstances.

It was last renewed for the 12th time in 2009, and the next review is due before October next year.

A ministry spokesman said that the Act is used “judiciously”.

An average of 37 new detention orders and eight new police supervision orders were issued each year from 2009 to last year, she added.

FIFTH PERSON RECEIVES POLICE SUPERVISION ORDER

Detention orders issued for 4

S’poreans in match-fixing case

Suspects to appear before committee of lawyers,

ex-judges that will submit recommendations to President

by PHILIP GOH (Today 03-10-2013)

SINGAPORE — Five of the 14 Singaporeans who were arrested in a matchfixing swoop earlier last month will be detained further under the Criminal Law (Temporary Provisions) Act (CLTPA), the Ministry of Home Affairs (MHA) confirmed yesterday.

Among the five, four of the suspects — believed to include Tan Seet Eng, also known as Dan Tan, the alleged mastermind of a global match-fixing syndicate — have been issued with detention orders.

The fifth was issued with a police supervision order.

Responding to media queries, the MHA said in accordance with provisions under the CLTPA, the orders will be referred to a Criminal Law Advisory Committee (CLAC) — comprising former judges and experienced lawyers in private practice — within the next 28 days.

The five suspects, who have the right to legal representation, will appear before the CLAC, following which the committee will make their recommendations to President Tony Tan. The President will consider the recommendations and “may, acting on the advice of Cabinet, cancel, confirm or vary the order”, the MHA said.

Noting that the orders have “yet to be confirmed by the President”, a spokesperson said the ministry was unable to release the names of the five persons “as the process has not yet been completed”.

Under the CLTPA, offenders issued with detention orders can be detained for 12-month periods, subject to annual reviews.

The Act is typically used to cripple gang activities and local syndicates, especially in cases where witnesses are unwilling to come forward. It was last reviewed in 2009 and will be up for review again in October next year.

The nine others who were also arrested for alleged involvement in the global match-fixing syndicate had been released on bail.

For this group, “investigations are still ongoing and we are unable to provide further details at this point”, the ministry said.

The syndicate that was busted in the joint operation, conducted by the Singapore Police Force and the Corrupt Practices Investigation Bureau, was recently described by Mr Ronald Noble, Secretary-General of inter-governmental police body INTERPOL, as the “world’s largest and most aggressive ... with tentacles reaching every continent, and the mastermind was someone many believed was untouchable”.

An AP report last month said the crackdown was the result of investigations by the Singapore authorities and not in response to requests from foreign law enforcement agencies. It is believed none of the matches in question were in Singapore or Malaysia.

In February, at an INTERPOL conference in Kuala Lumpur, Mr Noble had urged action against Tan.

The conference was held following a report earlier from Europol, the European police agency, which said a Singapore-based syndicate was allegedly behind a global match-fixing ring involving 425 people, including players and officials from 15 countries.

It is said to have directed matchfixing in 380 European football matches, raked in profits of around €8 million (S$13 million), and paid out some €2 million in bribes.

Sources close to the investigations said Tan has been on the radar of the Singapore authorities since 2011. In May this year, it was reported that he was assisting with investigations after being charged in Hungary with fixing 32 games in three countries.

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World Cup stadium too dangerous for workers

by JAMES HIDER (THE TIMES 04-10-2013)

Brazil’s preparations for next year’s World Cup suffered another setback when a judge ordered a halt to construction work at one of the football stadiums amid fears that the lives of builders were at risk in the rush to finish it.

With work on six of the 12 venues behind schedule, Judge Lorena Colnago ordered a halt to building on the Arena da Baixade stadium in Curitiba because conditions were so dangerous.

“Countless infractions have been committed, in various stages of the building process,” she said, warning that workers were in danger of “being buried, run over and of collision, falling from heights and being hit by construction material, among other serious risks”.

Atlético Paranaense, the Brazilian football club which is overseeing the overhaul of the stadium, said that the work was already 80 per cent complete. The stadium’s construction company and court inspectors are expected today to discuss the crisis. Meanwhile, Jerome Valcke, the secretary general of Fifa, has already told the club not to fit a retractable roof in order to hit Fifa’s December deadline to have the venues ready.

Last week, the Labour Ministry said that more than 100 workers upgrading the airport in São Paulo, in anticipation of the influx of hundreds of thousands of football fans, were living in “slave-like conditions”.

Brazil’s World Cup preparations have been bedevilled by cost overruns, missed deadlines and protests at the expense of hosting the World Cup and the 2016 Olympics in a country where millions live in slums.

Several of the stadiums have been condemned as white elephants, constructed in cities such as Brasilia and in the Amazon, where there is no long-term demand for vast, stateof-the art arenas.

There has even been a suggestion that the €200 million stadium in Manaus, deep in the heart of the Amazon jungle, may be used as a jail after the World Cup, because the state’s prison system is overcrowded.

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RAZZISMO A MONZA

«Se chiudiamo la curva

la diamo vinta agli ultrà»

Ghirelli, dg LegaPro: «Buu fatti apposta per ostacolare il club.

La sanzione punirebbe una società esemplare, non i colpevoli»

di MATTEO SPAZIANTE (Libero 05-10-2013)

Lo scontro Figc-Lega Pro ha preso il via. Una sorta di faida interna alla Federcalcio, nata intorno ad un fatto preciso: i cori razzisti dei tifosi del Monza domenica scorsa, e la seguente decisione del Giudice Sportivo della ex serie C di non punire gli ultrà come successo in A. Una scelta palesemente contraria alla via della «tolleranza zero» decisa dalla Uefa e applicata anche in Italia la scorsa estate, tanto che la Figc ha deciso di fare ricorso alla Corte di Giustizia Federale contro la decisione. Un provvedimento che però Francesco Ghirelli, direttore generale della Lega Pro, difende con vigore. Con la consapevolezza di essere andati contro una regola, ma anche di averlo fatto per un motivo preciso.

Direttore Ghirelli, può spiegarci la situazione?

«Dobbiamo partire da due presupposti: il primo è che siamo totalmente schierati nella lotta contro il razzismo, tanto che abbiamo inserito un codice etico (unici ad averlo fatto) nelle norme da rispettare per l’iscrizione delle società al campionato, codice che, se correttamente attuato dal club, può essere utilizzato come prova in caso di sanzioni; la seconda è che condividiamo pienamente la scelta della Uefa e della Figc di non ammettere attenuanti in caso di razzismo, l’abbiamo approvata noi stessi nel consiglio federale».

Detto questo, però...

«Si, c’è certamente un problema, ed è quello del Monza. Questa società sta facendo delle iniziative incredibili rispetto a quanto normalmente avviene contro il razzismo: sulla sua divisa ufficiale ha la scritta «Stop the racism» («stop al razzismo», ndr),ha messo manifesti e locandine contro questa piaga non solo in città ma anche a Milano, rivestendo anche alcuni bus di linea. Ci sono però delle persone, che chiamo persone solo perché ho rispetto degli animali, che fanno una battaglia contro la società, un sottile ricatto, per dire alla società “guarda che tanto comando io qui, e ti faccio un tale casino così la smetti con le iniziative che stai facendo”. Ecco, credo che di fronte a situazioni e ad una società così attiva, le misure devono essere di diverso tipo, bisogna salvaguardare quelle società virtuose».

Non crede però che si sia creato un precedente pericoloso?

«Questo lo valuterà il giudice, non mi permetto di entrare nel merito. Bisogna evitare che ci sia un segnale in controtendenza rispetto alla tolleranza zero, nello stesso tempo però bisogna evitare checi sia un segnale di controtendenza verso le società che effettivamente, e non a chiacchiere, fanno azioni di quel tipo».

Farete una richiesta per modificare la regola? Magari differenziandola per i vari campionati?

No, assolutamente no. È la stessa identica cosa, sia che si parli di San Siro che del Brianteo di Monza. La cosa che chiediamo è che ci sia un’attenta valutazione in modo tale che non ci sia un arretramento rispetto ai ricatti che alcuni fanno di fronte ad una società che concretamente opera contro il razzismo. Questo mi preoccupa ».

Cosa succederà se il giudice darà ragione alla Figc?

«Se succederà, mi auguro che i dirigenti della Lega Pro e il presidente della Figc vadano a Monza per ringraziare la società, per spiegare alla gente perché si è dovuto fare un’azione di quel genere e soprattutto quanto ancora più impellente sia mettere fuori dallo stadio quelle persone».

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Agnelli: «Lega immobile

Così l’Italia non cresce»

Nella lettera agli azionisti il presidente della Juve attacca

e chiede una gestione diversa dei diritti tv della A all’estero

Il club presenta il ricorso all’Alta corte per l’incasso della Supercoppa non diviso a metà

di MARCO IARIA (GaSport 04-10-2013)

È la tradizionale lettera agli azionisti in vista dell’assemblea. Ma i destinatari, in realtà, sono altri. Scrive Andrea Agnelli, senza giri di parole: «Mentre i campionati dei Paesi più evoluti evidenziano incrementi di ricavi, collettivi e individuali, nonché di competitività sportiva, l’Italia, ossia la Lega Serie A, rimane immobile in una terra di mezzo che rischia di essere spazzata via dalla polarizzazione in atto». Così il presidente della Juventus aggiorna il suo cahier de doléance sui mali del calcio italiano, inaugurato un anno fa. Sotterrata (o quasi) l’ascia di guerra con la Figc per Calciopoli, tornato vincente sul campo, il club bianconero ha cominciato nel 2012, proprio di questi tempi, a invocare la necessità di riformare un sistema in «declino rapidissimo». Nel frattempo Agnelli ha sostenuto un candidato di rottura per la presidenza di Lega (Abodi), è uscito sconfitto dalle elezioni di gennaio che hanno portato alla riconferma di Beretta e al trionfo dell’asse Galliani-Lotito. Passato all’opposizione, non ha mai perso occasione per pungolare il «governo». A fine agosto la lettera delle sette sorelle sui diritti tv, ora le accuse di mismanagement. Agnelli alza il tiro, dopo che «in questi ultimi 12 mesi il nostro Paese non ha compiuto alcun passo in avanti ».

Accuse Sono due i capi d’imputazione per la Lega, secondo il presidente della Juve. Innanzitutto, l’incapacità di essere una controparte «autorevole ed efficace», come ha dimostrato invece di saper fare l’Eca, l’associazione dei club europei, con gli accordi assicurativi per i nazionali, la partecipazione agli utili di Europei e Mondiali e il potere consultivo sulle decisioni dell’Uefa. E poi la disattesa valorizzazione del prodotto Serie A, in primis all’estero, con la Lega che «deve conquistare un ruolo più attivo, commercializzando i diritti collettivi con maggiore visione e programmazione strategica». Il compito dell’organismo che riunisce le squadre del massimo campionato dovrebbe essere quello di «consentire ai club maggiormente impegnati sul fronte domestico di consolidare l’equilibrio tra competitività sportiva e risorse finanziarie, ma ciò senza intaccare, anzi, auspicabilmente incrementando, la possibilità dei grandi club di competere nelle coppe e sul mercato globale con i migliori brand internazionali ». Proprio questa è la prossima sfida della Juve, che ieri peraltro ha depositato il ricorso all’Alta corte presso il Coni sugli incassi della Supercoppa (non divisi a metà), dopo la dichiarazione di incompetenza della Corte di giustizia.

Numeri L’assemblea del 25 ottobre approverà il bilancio 2012-13 che si è chiuso con una perdita di 15,9 milioni (80% in due esercizi) e con un fatturato da record per la Juve, a 274,8 milioni (plusvalenze escluse). «Un’importante tappa di un percorso di crescita e risanamento, che però non è ancora completato. Molto lavoro rimane da fare, soprattutto sul fronte della diversificazione e della stabilizzazione dei ricavi», riconosce Agnelli che punta sull’aumento dell’appeal bianconero all’estero, in cui «ci si gioca una parte cospicua della sostenibilità finanziaria della società». L’altro fronte sarà la Continassa (cantieri chiusi entro il 2017), operazione immobiliare in grado di diversificare le entrate. Ma la lettera si chiude con le cose di campo. L’«appuntamento con la storia» è il terzo scudetto di fila. «Un’occasione che non vogliamo farci sfuggire afferma Agnelli ma sappiamo quanto la competizione sia cresciuta».

In vista delle contrattazioni per i diritti di Serie A sul piatto la distribuzione in proprio

Calcio, la Lega pensa alla sua tv

Per gli abbonati il prezzo sarebbe inferiore anche del 70%

di CLAUDIO PLAZZOTTA (ItaliaOggi 04-10-2013)

Lo ha minacciato ogni qual volta ci si avvicinava a una nuova asta per i diritti televisivi della Serie A. Ma questa volta la Lega calcio potrebbe fare sul serio, e decidere di distribuire in autonomia il prodotto calcio, ovvero la motivazione principale a sottoscrivere un abbonamento di pay tv con Sky o Mediaset Premium. Le schermaglie sono solo all’inizio, in questa vendita delle stagioni 2015-2016, 2016-2017 e 2017-2018. Ma a differenza degli anni passati, quando un sistema di distribuzione autonomo sarebbe comunque costato centinaia di milioni di euro, ora la tecnologia consente un investimento nell’ordine delle decine di milioni euro. Per cui l’alternativa, o arma di ricatto, messa sul tavolo dalla Lega calcio, è un po’ più minacciosa e credibile del solito. E offrirebbe il prodotto calcio a un prezzo medio inferiore del 70% rispetto al prezzo medio che paga ora un abbonato Sky.

Come sempre, è una questione di soldi: nell’ultimo contratto triennale, dalla stagione 2012-2013 a quella 2014-2015, la Lega calcio ha incassato circa 900 milioni di euro all’anno dai due principali player della pay tv. Circa 600 milioni da Sky, e circa 300 mln da Mediaset. Entrambe le piattaforme trasmettono sostanzialmente la stessa cosa, e ai piani alti di Sky qualcuno inizia a essere stanco di questa situazione, e pretende pacchetti di vere esclusive nel prossimo contratto, per giustificare il prezzo doppio pagato rispetto al concorrente.

Però il discorso che in ambienti Infront (l’advisor della Lega per la vendita dei diritti) si fa è un po’ diverso: Sky, soprattutto grazie al calcio di Serie A, fattura 2,9 mld di euro all’anno, e Mediaset Premium circa 550 mln. Ciò significa che il driver principale per la sottoscrizione degli abbonamenti pay partecipa alla creazione di un fatturato di 3,45 mld di euro all’anno, di cui l’84% va a Sky e il resto al Biscione. Giusto, quindi, che vi sia una sproporzione di prezzo tra i due, anche a parità di prodotto venduto, poiché Sky si rivolge a una fascia del mercato alto-spendente, mentre Premium ha un parterre di clienti di profilo più basso, una fascia che Sky non è mai riuscita a conquistare negli anni.

Qualcuno potrebbe obiettare a Infront che lo scandalo non è tanto il costo pagato da Sky rispetto a Mediaset, ma le ricche commissioni che la stessa Infront incassa per la gestione di un’asta dove i contendenti principali sono solo due, e non possono essere altri. Tuttavia, si fa notare, alla nascita della offerta pay di Mediaset, Sky pagava già circa 600 mln all’anno, mentre Mediaset meno di 100 mln. Al secondo rinnovo dei diritti, Sky è rimasta a 600 mln, Mediaset è salita a 220 mln. E al terzo, con Sky sempre ferma a 600 mln, Mediaset è arrivata a 300 mln. Quindi, mentre la dinamica dei costi per Sky è rimasta costante, quella di Mediaset è cresciuta molto. A questo, quindi, sarebbe servito il lavoro di Infront: a fare lievitare gli incassi della Lega, soprattutto grazie a Mediaset.

Ma l’advisor, come detto, può anche servire a consigliare la Lega calcio di distribuire direttamente la Serie A, senza passare per Sky o per Mediaset, togliendo così alle due offerte di pay tv la motivazione principale per la sottoscrizione di un abbonamento.

Una volta si attivava un contratto alla pay per tre motivi: il porno (che fino a qualche stagione fa dava a Sky fatturati vicini ai 70 mln all’anno, ora crollati a meno di 20 mln), il cinema (ma anche qui le abitudini di consumo vanno verso modelli alla Netflix, dove pago se guardo, e non verso 50-60 euro al mese di default per avere il diritto di vedere un film), e il calcio, che essendo un evento live non replicabile, è diventata, come detto, la principale motivazione di sottoscrizione di abbonamenti ed è una straordinaria arma nelle mani della Lega.

Al momento in Italia ci sono circa 5 milioni di abbonati Sky e Mediaset che guardano solo il calcio, e a cui la Lega può offrire questo prodotto investendo poche decine di milioni, con un prezzo medio di abbonamento del 70% inferiore a quello medio di Sky.

Inoltre, il potenziale pay in Italia è molto più ampio: ci sono gli attuali sette milioni di case che hanno un abbonamento, più i 3,9 mln di famiglie che in passato ne hanno avuto uno.

E mentre la Lega minaccia, ci sono anche le schermaglie Sky vs Mediaset.

In ambienti vicino al Biscione e pure in Lega si pensa, per esempio, che Sky, nelle trattative in partenza per il rinnovo dei diritti, punti a diventare monopolista: abbia cioè voglia di togliersi dai piedi Mediaset, ritenendola debole sia commercialmente, sia politicamente, in questa fase.

La pay tv di Murdoch, tuttavia, ha ufficialmente sempre respinto questo scenario, chiedendo, invece, pacchetti di offerta più segmentati, ed esclusive vere, e non per piattaforma di trasmissione (ormai prive di senso).

Un salto di qualità per il calcio in tv

di JACQUES RAYNAUD (CorSera 04-10-2013)

Caro direttore, in questi giorni si discute del rinnovo dei diritti televisivi per il calcio italiano per il 2015-2018. È un dibattito di straordinaria importanza a cui anche Sky vuole contribuire. Tutti amiamo il calcio. Il calcio non è solo un gioco. Di calcio si discute, si scrive e a volte si vive: è una passione vera che coinvolge e unisce milioni di persone nel nostro Paese, a prescindere dai colori della propria squadra del cuore. È uno straordinario moltiplicatore di valori ed emozioni e, senza dubbio, uno spettacolo unico.

Ed è proprio lo spettacolo che tutti noi vogliamo: grandi campioni, squadre competitive a livello internazionale, stadi gremiti, moderni e ospitali. I tanti appassionati non si accontentano di assistere a un torneo di calcio qualsiasi, vogliono «il campionato più bello del mondo».

In questi anni, il baricentro del calcio in Europa si è spostato verso altri Paesi, alcuni dei quali, solo pochi anni fa, erano lontani anni luce dall’Italia. Non è solo una questione di ranking internazionale. Per questo è più che mai necessario creare valore e fare, tutti insieme — squadre, broadcaster e istituzioni — quel salto di qualità che ci restituisca «il campionato più bello del mondo».

La Serie A è un patrimonio comune da valorizzare e non una risorsa da sfruttare. Crediamo sia importante, prima di cominciare questo percorso, guardarsi intorno e constatare che l’Italia, rispetto a tutti gli altri principali Paesi europei, è caratterizzata da un doppia anomalia. Il nostro è l’unico campionato in cui i diritti televisivi vengono venduti per piattaforme tecnologiche e, fatto ancora più unico, a prezzi estremamente diversi pur trattandosi di pacchetti del tutto simili.

Anomalia, quest’ultima, che in passato era stata giustificata dalla natura sperimentale della piattaforma digitale terrestre, ma che oggi è un paradosso, visto che il digitale terrestre raggiunge ormai la totalità delle famiglie italiane e ha una platea potenziale di gran lunga superiore a quella del satellite. Come evidenzia infatti l’ultima relazione annuale dell’Agcom, gli ascolti televisivi per piattaforma sono per l’84,4% sul digitale terreste e per il 15,5% via satellite (il rimanente 0,1% via IPTV).

Il mercato è fermo da tempo. Gli abbonati al calcio e agli altri sport sono circa 4,4 milioni, suddivisi quasi equamente fra le due piattaforme. E non crescono ormai da anni, malgrado il prezzo a cui vengono offerte le partite di Serie A sia già il più basso rispetto ai principali campionati europei.

Oggi la Lega Calcio, nel disegnare il futuro del calcio italiano, è chiamata a fare una scelta chiara e ha davanti a sé due percorsi alternativi. Continuare a offrire agli operatori pacchetti per piattaforma che siano però sostanzialmente equivalenti non solo nei contenuti ma anche nel valore economico. Oppure percorrere la via scelta da tutte le principali Leghe europee: offrire pacchetti di esclusive — anche a segmenti nuovi — che mettano in competizione tra loro i diversi operatori, fermo restando — come prevede la legge — che nessun operatore può acquisire la totalità dei diritti in esclusiva. E Sky non vuole certamente l’esclusiva totale!

In questa lista non c’è l’opzione di trasformare la Lega Calcio in un broadcaster televisivo: una soluzione dove i club si assumerebbero il rischio di impresa, e visti gli esperimenti fallimentari a livello internazionale risulterebbe a dir poco azzardata.

La soluzione che predilige Sky è che la Lega Calcio offra anche dei pacchetti di esclusive, liberamente contendibili e senza divisione tra piattaforme. Perché è l’unico percorso in grado di portare una reale competizione, di favorire l’ingresso di nuovi player, di accrescere le risorse di tutto il sistema e il numero di abbonati. I club potrebbero in questo modo recuperare competitività rispetto alle altre Leghe europee; e i telespettatori avrebbero la garanzia di un prodotto valorizzato al massimo, senza per questo dover rinunciare alla possibilità di avere accesso a tutte le partite. In tutti i campionati in cui si è scelto questo modello, infatti, gli operatori hanno stretto fra loro accordi commerciali che permettono agli appassionati di avere accesso a tutte le offerte su diverse piattaforme.

In questi 10 anni Sky ha investito oltre 6 miliardi di euro nel sistema calcio italiano, ha introdotto le tecnologie più innovative e rivoluzionato il modo stesso di raccontare il calcio. Vuole continuare a farlo con la stessa energia e lo stesso entusiasmo di sempre, ma non è possibile immaginare che continui a sostenere i due terzi dei costi del sistema, pagando più del doppio del suo principale concorrente per trasmettere le stesse partite. È un modello discriminatorio né equo, né giusto, né sostenibile. Tutti dobbiamo fare la nostra parte.

Sky Sport Channels

Lotito: Agnelli ci danneggia

Dura replica dopo la lettera agli azionisti: «Le critiche le faccia in assemblea»

Il presidente della Lazio contro il collega juventino

«Le monarchie non ci sono più, deve ascoltare anche le idee degli altri»

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 05-10-2013)

Il messaggio è chiaro: «Le critiche di Andrea Agnelli danneggiano la Lega». La lettera agli azionisti inviata giovedì pomeriggio dal presidente della Juve ha scatenato la reazione di Claudio Lotito, uno dei leader del «fronte dei tredici» (il più vicino a Maurizio Beretta, il presidente) che di fatto guida via Rosellini. Lunedì i presidenti si ritroveranno in assemblea e gli schieramenti torneranno a confrontarsi: da un lato la maggioranza, dall’altro l’opposizione, cioè sette società (Juventus, Roma, Fiorentina, Inter, Sampdoria, Verona e Sassuolo) che non si riconoscono nell’attuale «gestione» e chiedono (come ha spiegato Agnelli) un «cambio di passo». A cominciare dai diritti televisivi, nervo sensibile della Serie A. Lunedì l’advisor, Infront, illustrerà il suo piano per la vendita 2015-2018.

REPLICA - Parafrasando Enrico Cuccia, Lotito ha fatto sapere ieri ad Agnelli che i «voti non si pesano, si contano». Lo ha fatto probabilmente ricordando i rapporti che intercorrevano tra «l’inventore» di Mediobanca e lo zio del presidente della Juve, l’Avvocato Gianni Agnelli che spesso diceva: «Quando si presenta un problema penso sempre: come ragionerebbe Cuccia» . Il banchiere, rispetto a Lotito, teorizzava il contrario: i voti si pesano e non si contano. Ma il presidente della Lazio ritiene che l’epoca delle egemonie bianconere sia stata ormai archiviata: «I problemi vanno affrontati all’interno dell’assemblea, e bisogna fare in modo che le proprie idee acquisiscano autorevolezza per farle condividere ai propri colleghi» . E ancora: «Devi fare in maniera che le persone condividano la tua posizione e lavorare su questo. Se non lo fai rimani isolato» . Per Lotito «questo atteggiamento di critica mediatica non fa altro che danneggiare la credibilità di una istituzione» , cioè la Lega. Il presidente della Lazio sostiene, infatti, che i problemi vanno affrontati «nelle sedi istituzionali» , restando disponibili «ad ascoltare anche le idee degli altri, cercando di trovare una soluzione condivisa altrimenti si rischia di fare le monarchie e le monarchie non ci sono più».

NERVOSISMO - Una cosa è certa: l’assemblea di lunedì si preannuncia tesa e incerta. Le «sette» vogliono una gestione più forte della Lega ed è su questo tema che tra di loro l’accordo è solido. Sulla questione della vendita dei diritti tv e degli advisor, invece, le opinioni non coincidono del tutto. Perché se alcuni (la Juve, ad esempio) vorrebbero un cambio dell’advisor (si parla dell’Img), altri non sembrano essere scontenti dell’operato di Infront. La situazione, poi, è complicata dagli intrecci tra mondo editoriale e mondo calcistico che, in questi casi, tornano di attualità. Quello di Adriano Galliani e del Milan è chiaro e noto da tempo: il club è controllato da Fininvest che controlla anche Mediaset. Nel frattempo, però, nello scorso mese di maggio, John Elkann (presidente di Exor che controlla la Juve) insieme all’ex premier spagnolo, Josè Maria Aznar, è entrato nel consiglio d’amministrazione della nuova News Corporation, la società di Rupert Murdoch che controlla Sky. La partita delle Tv è come sempre è complessa e affascinante.

LA BATTAGLIA SUI DIRITTI TV: INTERVENGONO MEDIASET E SKY

Giordani: Necessario un piano

pluriennale per poter progettare

di PIETRO GUADAGNO (CorSport 05-10-2013)

MILANO - La battaglia per i diritti tv del triennio 2015-18 è in pieno svolgimento. E dopo la richiesta di Sky di cambiare tipologia di vendita, passando da quella per piattaforma a quella per prodotto, creando quindi dei pacchetti esclusivi, ieri è arrivata la presa di posizione di Mediaset. L’occasione è stato un incontro con la stampa dell’ad di Rti Marco Giordani. Se la Lega già ottiene il massimo dal prodotto calcio per come è stato realizzato finora, perché cambiare con il rischio di non incassare più il miliardo a stagione del triennio in corso? E’ ciò che si chiede il network di Berlusconi, pronto a tirarsi indietro, nel caso in cui i nuovi pacchetti siano troppo penalizzanti per il secondo acquirente. Giordani, per la verità, ha anche ventilato che Mediaset possa mettersi in concorrenza con Sky per i pacchetti più ricchi, ma la sensazione è che sia un’ipotesi remota.

FUGA DEGLI ABBONATI - Secondo Cologno Monzese, il rischio è che si vada incontro a una riduzione dei ricavi per la Lega è concreto. Anche perché i diritti della Serie A, divisi per abbonato sono già i più alti d’Europa: 176 euro, contro i 143 della Premier League e i 120 della Bundesliga. Meglio di così, insomma, non si può fare. «Tutti definiscono Infront un advisor, ma è più la banca della Lega garantendo un minimo di 900 milioni annui», ha sottolineato Giordani. Sky, per intendersi, ha dato la disponibilità ad aumentare la sua offerta pur di avere più esclusive, ma non arriverà mai a pareggiare l’attuale cifra complessiva. Il prodotto calcio è considerato vecchio e non in grado di attirare nuovi abbonati, argomenta Mediaset. Anzi, mentre gli abbonati sono 4.735.000 (3.107.000 Sky, 1.628.000 Premium), secondo uno studio di McKinsey, nel corso degli anni, ben 3,9 milioni di abbonati hanno lasciato le pay-tv. Giordani ha evidenziato la mancanza di dialogo con via Rosellini, soprattutto sulla compilazione dei calendari. La situazione potrebbe cambiare solo davanti a segnali precisi, come «un piano industriale pluriennale che ci aiuti a comprendere che almeno si inizia a progettare qualcosa». Non dispiacerebbe, ad esempio, la possibilità che il campionato prosegua anche durante le vacanze di Natale.

Reynaud: L’esclusiva rivitalizza

il prodotto. Così non si va avanti

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 05-10-2013)

«Così non si va avanti, ecco perché proponiamo la vendita dei diritti televisivi per pacchetti di esclusiva». Jacques Reynaud guida i canali sportivi di Sky.

Perché dite che va cambiato il sistema di vendita?

«Perché vogliamo rivitalizzare il prodotto. La vendita per pacchetti d’esclusiva può favorire tutto questo».

Mediaset pensa sia giusto continuare con il sistema attuale.

«Noi abbiamo una visione non dico romantica, ma particolare dello sport: vogliamo essere il bello del calcio, aiutarlo a crescere. Siamo contenti quando tornano Kakà e Balotelli, o arriva Gomez o trova una panchina Benitez. Sono segnali di crescita: noi vogliamo contribuire a questa crescita, a creare domanda, a portare la gente negli stadi. Vogliamo essere una forza positiva per il bene del calcio. Non si può restare fermi».

Perché?

«I fatti dicono che gli abbonati non crescono e che i broadcaster sono in difficoltà».

La parola «esclusiva» sollecita dubbi e preoccupazioni.

«Perché viene interpretata come esclusione. L’esclusiva è il motore di una pay tv. E, comunque, non parliamo di esclusiva totale: non la consente la legge e non la vogliamo noi. Questo è un modello che esiste in altri Paesi, a esempio in Germania con l’esclusivista che poi sublicenzia».

L’imprenditore avrebbe un ruolo di distributore...

«Esattamente. In Inghilterra Sky ha venduto al cavo. Non parliamo di qualcosa di rivoluzionario, ma di una linea che viene seguita anche altrove: in Inghilterra non c’è solo Sky così come in Francia non c’è solo Canal Plus».

C’è il timore che l’esclusiva ammazzi la «concorrenza»: alla fine sul mercato restereste solo voi.

«I fatti, le aste che si svolgono negli altri paesi dimostrano il contrario. La possibilità di conquistare l’esclusiva incentiva anche gli altri operatori. Una cosa, però è certa: la situazione attuale non regge. Non è possibile che un operatore venda lo stesso prodotto a un terzo; non è possibile che per l’acquisto dei diritti a noi venga chiesto un corrispettivo pari a più del doppio di quello chiesto ad altri».

Contratto Lunedì il rinnovo. Giallo sul numero dei clienti

Calcio e diritti tv

Il gioco al ribasso tra scontri e sospetti

La scelta tra Sky, Mediaset e Lega

L’advisor Sul tavolo anche la prosecuzione

del rapporto con Infront, l’advisor della Lega

di MASSIMO SIDERI (CorSera 05-10-2013)

Destino bizzarro quello del campionato di calcio italiano: chi dovrebbe promuoverlo (anche nell’ottica di guadagnarci) lo denigra: «Sento parlare dei confronti con la Premier League inglese. Ma loro sono una Mont Blanc, noi dobbiamo vendere una Bic» ha detto ieri Marco Giordani, amministratore delegato di Rti-Mediaset. Ma l’affermazione va contestualizzata: in vista del rinnovo dei contratti per il triennio 2015-2018, il valore della serie A, in termini di diritti tv, è ormai l’incubo che popola le notti del settore. La temperatura dello scontro è alta. Sul quadrato ci sono Sky che spinge per avere delle esclusive, Mediaset che vorrebbe mantenere l’attuale assetto che li vede godere di un supersconto del 50% per avere poche decine di partite in meno e la Lega Calcio che vorrebbe tirare la volata del canale Tv, intuizione dell’uomo di Adriano Galliani, Marco Bogarelli (Infront). Più che «Fuga per la vittoria» questo rischia di diventare il copione di «Fuga per la sconfitta».

Ognuno tira l’acqua al proprio mulino ma non è chiaro chi tiri l’acqua al mulino del calcio italiano. Giordani ieri ha mostrato di temere l’ipotesi esclusiva. «Vendere in esclusiva? È come mettere la polvere sotto il tappeto. Inoltre avere un solo cliente vorrebbe dire meno promozione e dunque rischio di decrescita. La vendita attuale — ha proseguito il manager — la considero già miracolosa. Oggi ha funzionato. Ha aperto il mercato. Cambiandolo ci sono dei rischi. La modalità di oggi massimizza già i fatturati e mi sembra di poter dire che andrebbero anche abbassati». D’altra parte, è normale che Mediaset che è un acquirente dei diritti dica che valgono poco (salvo poi doverli valorizzare per rivenderli ai clienti). Più curioso che lo dica anche l’advisor della Lega, Infront, che dovrebbe fare gli interessi dei club, motivo per il quale intasca 30 milioni l’anno.

Lunedì, in assemblea Lega, ci sarà sul tavolo anche la questione del rinnovo del loro contratto. Che a questo punto sembra quasi non trovare molte giustificazioni economiche: con solo due grandi player con cui trattare la Lega potrebbe farcela anche da sola. A maggiore ragione ora che Andrea Zappia, numero uno di Sky Italia, ha anche messo su bianco di essere pronto a lavorare per la crescita del valore del campionato, con le esclusive.

Ma è proprio su questo che Giordani ha lanciato dei nemmeno tanto velati messaggi: «Se ci tolgono qualcosa ci ritiriamo ». D’altra parte Mediaset ci ha sempre perso, nonostante paghi 268 milioni per 324 partite contro i 561 milioni di Sky per 380 match. Il manager ha poi difeso la Infront (galassia non distante vista la relazione tra Marco Bogarelli, Galliani, il Milan e le reti Mediaset) dicendo che l’advisor fa da «banca alla Lega» grazie alle garanzie che offre sul contratto di vendita dei diritti. Cosa smentita dal Corriere che ha pubblicato mercoledì la famigerata «lettera di patronage», in realtà una lettera di garanzia da parte della holding Infront AG collegata alla stessa Infront.

La sensazione è che si sia venuto a formare un blocco duro di club e parte dei broadcaster che vogliono tentare di smontare il sistema cominciato da Galliani quando era presidente della Lega. A confermarlo sono anche le affermazioni del presidente della Juventus, Andrea Agnelli, giunte giovedì.

Un piccolo giallo, tanto per mettere pepe su una vicenda già al peperoncino, si è poi coagulato intorno ad alcuni numeri dati da Giordani che ha parlato di 3,1 milioni di clienti Sky e 1,6 Mediaset. Gli abbonati al calcio in Italia sono 4,4 milioni: di cui 2,1 di Sky e, considerando le carte prepagate, 2,3 di Mediaset.

Lunedì ci sarà da ridere (forse).

Sui diritti tv è scontro tra Mediaset e

Sky e intanto MP&Silva conquista i Mondiali...

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24ORE.com | Calcio & business 05-10-2013)

Lunedì prossimo si annuncia un’assemblea della Lega piuttosto accesa. Al confronto tra i 20 club, che hanno visioni divergenti sulla configurazione del nuovo contratto dei diritti tv della Serie A per il triennio 2015-2018, si aggiunge quello tra i due broadcaster che si dividono il mercato domestico, Sky e Mediaset premium. Per l’advisor Infront che finora ha garantito alle società un incasso minimo di circa 900 milioni a stagione non sarà facile trovare un compromesso.

Ieri, Mediaset ha organizzato a Milano un incontro con i media per spiegare la propria strategia, mentre il vicepresidente Sport Channels e Pubblicità di Sky, Jacques Raynaud, ha scritto una lettera al Corriere della Sera. I due operatori in realtà avevano già esposto le rispettive (e opposte) valutazioni nel rendez-vous con i presidenti del 20 settembre. Per Sky solo una reale esclusiva – al netto dei limiti della Legge Melandri e dell’Antitrust – può sostenere i ricavi. La tv del Gruppo Murdoch è il maggiore finanziatore della A: dal 2003 ha versato ai club 6,3 miliardi, con un incremento di 195 milioni in uno scenario di calo di profitti e abbonati. Per Sky non è più possibile che la Lega offra sostanzialmente lo stesso prodotto a più operatori. Il pacchetto ottenuto da Sky include tutte le gare (380), mentre quello di Mediaset 324 match, con una differenza di costo, per Raynaud, ingiustificata: in questa stagione, rispettivamente, 561 e 268 milioni.

In Premier e Bundesliga in occasione dell’ultimo rinnovo la concorrenza fra broadcaster e aziende tlc (Bt contro BSkyb in Gran Bretagna e Sky contro Duetsche Telekom in Germania) ha portato ad aumenti dei fatturati superiori al 50 per cento. In Italia si dovrebbe puntare, più che su diverse piattaforme, su pacchetti di esclusive (per esempio, per squadre). Una soluzione che non convince Marco Giordani, ad di Rti-Gruppo Mediaset, che ha sottolineato ieri (alla luce di una ricerca McKinsey) come il mercato italiano del calcio pay tv sia «maturo», con una riduzione degli abbonati totali sotto i 5 milioni e «3,9 milioni di clienti "persi"». Secondo Giordani, l’ingresso di Mediaset Premium ha permesso di allargare la platea a una clientela di circa 1,5 milioni di famiglie che sono passati dal free al pay grazie ai prezzi più bassi. Per cui l’attuale doppia offerta segmentata per piattaforma massimizza il valore del mercato: in Italia il prezzo dei diritti per abbonato è di 176 euro, contro i 143 in Gran Bretagna e 120 in Germania. L’audience di Serie A dimostra d’altro canto che solo un terzo dei match supera un milione di telespetattori, mentre un altro centinaio ha meno di 100mila spettatori. Questo significa per Giordani che pacchetti di esclusive disegnati per classi di match o per squadra ne renderebbe alcuni scarsamente convenienti. Mediaset e Sky potrebbero concorrere solo per i pacchetti con i club più "seguiti" e disertare gli altri bandi, con la conseguenza che molte squadre potrebbero non avere copertura e che le risorse complessivamente ricavate dal Calcio italiano Spa si ridurrebbero.

Intanto, il Comitato esecutivo della Fifa ha incaricato la Media Partner&Silva di vendere in Italia i diritti tv per i Mondiali 2018 e 2022. L'azienda vende già diritti di eventi in oltre 200 Paesi e per l'Italia vende all'estero i diritti tv della Serie A e altri sport. ''Di solito - ha spiegato il capo comunicazione della Fifa Walter De Gregorio - la Fifa vende direttamente i diritti per i Mondiali. Ma dato che abbiamo qualche difficoltà con il mercato italiano, abbiamo incaricato una società specializzata''.

Mediaset avverte Sky:

non vogliamo le briciole

La tv di Murdoch ha chiesto alla Lega una forte esclusiva sul torneo

Il Biscione difende le dirette delle big: «Altrimenti non conviene più»

di MARCO IARIA (GaSport 05-10-2013)

In attesa dell’assemblea di Lega di lunedì nella quale l’advisor Infront svelerà la sua proposta per il rinnovo del mandato, si infiamma il dibattito sui diritti tv del triennio 2015-18. Le due emittenti che finanziano il calcio italiano hanno visioni antitetiche su come debba essere commercializzato il campionato di Serie A in futuro. Beninteso, sono Lega e Infront a decidere come vendere i pacchetti. Ma nel mercato, si sa, contano domanda e offerta. E visto che un terzo operatore (leggi Al Jazeera) non si vede all’orizzonte, la partita dei diritti domestici rimane tra le solite Sky e Mediaset, a meno dell’ingresso di un canale autonomo della stessa Lega. Adesso il massimo torneo italiano si può vedere in diretta integralmente, su entrambe le piattaforme, satellite e digitale terrestre. Insomma, tutti fanno tutto (Mediaset, per la verità, non trasmette le otto squadre dal minor bacino). Sky ha già fatto sapere alle società che vorrebbe una svolta: la vendita per prodotto, e quindi una bella dose di esclusiva. Non totale, perché la Legge Melandri la vieta. Ma di sicuro sulle partite più interessanti. E arriviamo al dunque.

Divergenze Mediaset non è affatto disposta a prendersi le briciole. «Se la Lega comincia a toglierci dei pezzi, magari a noi non conviene più acquistare i diritti della A», dice l’a.d. di Rti Marco Giordani. Risposta senza mezzi termini ai desiderata di Sky, e cioè un soggetto dominante e un competitor debole. Le società, cui interessa solo di guadagnare più soldi possibile, potrebbero pure accettare se Sky, come si sussurra, fosse disposta a coprire anche la fetta di Mediaset e garantire così gli attuali 829 milioni annui di introiti dalle pay tv. Ma, come detto, la Melandri vieta l’esclusiva in capo a un singolo soggetto. Ecco perché la sopravvivenza di un secondo operatore è fondamentale. Mediaset resterà in campo se potrà continuare a trasmettere le partite delle big: sa bene che l’interesse sulla A è molto polarizzato e, a fronte dei 2,8 milioni di telespettatori medi per le 38 partite più viste, c’è un’audience di appena 19mila persone per la classe di gare meno seguite.

In calo Il tema è economico. Come tenere botta alla crisi e, se possibile, fare di più? Secondo Sky attraverso pacchetti di esclusive, per Mediaset tutto deve restare così com’è. E lo spiega con uno studio di McKinsey che analizza l’interesse per il calcio in pay tv in base al prezzo dell’abbonamento. «La situazione attuale con due offerte segmentate per piattaforma è quella che massimizza il valore». Giordani tira fuori alcune cifre per sostenere che più di così proprio non si può fare e che, anzi, nel 2015-18 l’offerta potrebbe ridursi: le pay tv hanno perso per strada 3,9 milioni di abbonamenti dal loro avvento a oggi; Sky e Mediaset già pagano i diritti più degli operatori inglesi e tedeschi in rapporto ai rispettivi abbonati (176 euro contro i 143 della Premier e i 120 della Bundesliga). Tutto vero, com’è altrettanto vero che per chi fa questo business il calcio resta il driver principale. Un modo, comunque, ci sarebbe per rivitalizzare il prodotto. «Stadi nuovi, torneo più competitivo, niente scandali, investimento sui giovani, insomma un piano di sviluppo della Lega». Ma Giordani chiede troppo. Chiede riforme invocate da tempo. Invano.

Palazzo di Vetro di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 05-10-2013)

Agnelli e quei diritti televisivi

all’estero che non quadrano

Ora, c’è da scommetterci, Maurizio Beretta dirà di trovarsi perfettamente in linea con le parole, anzi la lettera agli azionisti, di Andrea Agnelli. E ringrazierà per il fattivo contributo. In realtà, il presidente della Juventus ha preso un bastone, lo ha rivestito di ovatta, e lo ha elegantemente dato in testa al presidente della Lega di Serie A («immobile in una terra di mezzo», come la sua Lega) più e più volte, pur sapendo benissimo che quello non farà una piega. Nuovo capitolo della querelle di Lega, dove a braccetto di Beretta c’è il sempiterno vicepresidente Galliani, il consigliere federale scelto Lotito e più o meno tutto il Consiglio di Lega. Dal quale, come è noto, sono escluse Juventus, Inter, Roma, Fiorentina, Sampdoria, Verona e Sassuolo, le sette sorelle che, dissentendo, hanno fatto cartello. Al centro di tutto i ricavi, cioè i soldi e quanto a loro si accompagna, il rinnovo dei diritti televisivi per il triennio 2015-2018. Roba da un miliardo di euro l’anno, di cui si tornerà a discutere nell’Assemblea di lunedì, dove peraltro non accadrà nulla di risolutivo.

Ci guardiamo bene dall’entrare nel merito di audizioni, interventi e convegni di quanti sono in partita, che si susseguono incessantemente. Ciascuno ha le sue buone ragioni da esporre, a cominciare dall’advisor Infront che è legato alla Lega da un contratto in scadenza nel 2016 e non 2015 come sarebbe stato più logico aspettarsi, per passare a Sky e finire con Mediaset, che fin qui contribuisce alla torta pagando più o meno la metà di quanto non faccia il competitor, il tutto quasi a parità di prodotto. Incuriosisce il capitolo che riguarda la vendita dei diritti per l’estero. La Serie A per il 2010-2012 ha percepito (minimo garantito assicurato da MP & Silva) 91 milioni l’anno, che sono diventati 117 l’anno per il 2012-2015 . C’è stato il pasticcetto, relativo al bilancio 2011-2012 della holding irlandese MP & Silva Limited, dove i milioni per la «vendita dei diritti media per la serie A e B italiana » erano, nero su bianco, 213,3. Da cui le successive spiegazioni/assicurazioni di mister Silva su quegli anomali 213,3 che non meritano di essere messe in discussione. A vigilare su quei conti c’è nientemeno che Galliani, uno dei massimi esperti di televisioni in Italia, impensabile gli possa sfuggire qualcosa. Nel frattempo i diritti esteri per la Premier League 2013-2016 sono stati venduti per una cifra vicina ai 900 milioni di euro l’anno. 900 contro 117. Ora, è vero che la Premier League è una cosa e la Serie A un’altra. E’ vero che quelli sono avanti e noi siamo indietro. Ma insomma, Galliani ne converrà, è dura da mandare giù l’idea che siamo così «tanto» indietro. Dice Agnelli nella sua lettera che la Lega, in primis all’estero, «deve conquistare un ruolo più attivo, commercializzando i diritti collettivi con maggiore visione e programmazione strategica ». Si raccomanda soprattutto la «visione»: nel senso di andare a vedere bene.

Poco meno di due milioni e 700mila euro: 400mila euro alla Lega, 438mila euro alla Juventus, 1,8 milioni di euro alla Lazio. Sarebbero questi i numeri della ripartizione dell’incasso della finale di Supercoppa disputatasi il 18 agosto a Roma. Modalità dettate dal Consiglio di Lega (Beretta, Galliani, Lotito etc), con la Juve «rea» di avere disertato, ma lo aveva detto a marzo, la più remunerativa sede di Pechino. La Juve ha presentato giovedì appello all’Alta Corte presso il Coni, dopo che la Corte di Giustizia federale del calcio aveva dichiarato il ricorso «inammissibile per incompetenza». A prescindere da chi avrà ragione e chi no, la curiosa vicenda ha messo a nudo un «buco» nelle norme interne alla Federcalcio, dove è di tutta evidenza non dovrebbero esserci, come invece si è scoperto, un’Assemblea di Lega appellabile e un Consiglio di Lega non appellabile. Per fortuna Malagò, che le carte di Abete le ha in mano dal 18 aprile, ha dato la sua parola: riscrittura delle norme che regolano la giustizia sportiva entro la fine dell’anno. Non resta che attendere.

Scontro Mediaset-Sky

“Guai a cambiare regole”

di ANTONIO DIPOLLINA (la Repubblica 05-10-2013)

Aumentare il costo dei diritti? Siete matti. Creare esclusive, magari di singole squadre e rivenderle? Siete matti. Rincarare l’abbonamento per il tifoso? Idem. E così via. Parola di Mediaset. Situazione: un altro weekend, in tv tutta la serie A, la B e venti partite live di calcio estero. La festa del calcio in pay-tv è sempre tale, all’apparenza. Ma tra pochi mesi si rinnova il contratto, quello che attualmente porta circa 900 milioni nelle casse delle squadre. Due terzi li paga Sky, un terzo Mediaset Premium. Situazione 2: La Lega Calcio (toh) bussa a denari. Sky sta dicendo da giorni che la quota di esborso a suo carico o va rivista o vanno riviste le prerogative. E rincara: Mediaset può offrire in pratica lo stesso prodotto e lo paga molto meno, bisogna cambiare. In più, insiste Sky, Mediaset gioca nel digitale terrestre che, com’è come non è (inutile rinvangare, forse) è entrato a viva forza nelle case degli italiani, tutte. Viste queste premesse, toccava a Mediaset dire qualcosa. E non si sono fatti pregare. Le sentenze di cui sopra sono arrivate dai massimi dirigenti delle tv del Biscione, in particolare Marco Giordani, a. d. della divisione televisiva. Pensare a rivoluzioni è pressoché folle. E via, sparando sul muro una serie di grafici e slides tese a dimostrare che: 1) il mercato del calcio in pay-tv è maturo — leggasi saturo, per non dire peggio. 2) È quasi un miracolo aver mantenuto le posizioni attuali, qualunque cambiamento — nel senso che vorrebbe Sky o in quello dei presidenti — finirebbe con l’aumentare i costi per l’abbonato. 3) Questa sarebbe doppia follia, in quanto gli abbonati medesimi non crescono di numero da anni, la spesa in pay-tv va di pari passo con gli altri consumi (e quindi buonanotte), il business insomma è quello che è. Un solo dato su tutti: per quello che spendono in diritti, ogni abbonato in Inghilterra costa alle tv 143 euro, in Germania 120. Da noi 176. In quanto sono di meno, ovvio. Mediaset quindi sostiene che muovere la minima foglia in futuro significa correre rischi enormi. E sulle richieste di Sky, che vorrebbe perequare gli esborsi tra le due pay? Risposte vaghe, o meglio: è il mercato che vuole così e lo ha dimostrato. E se arrivasse Al Jazeera, per dire, e si prendesse tutto? Giordani è sarcastico: «Per pochi euro in più i presidenti di A si inginocchierebbero ogni giorno verso la Mecca». Ma dopo pochi anni anche quelli capirebbero che il mercato non regge più di tanto, ci saluterebbero e resterebbe il deserto. Insomma, meglio non toccare nulla. Ma a occhio, prima di comporre una simile questione e arrivare a una soluzione che veda contenti tutti ci vorranno battaglie campali.

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Fifa president Sepp Blatter paves

way for winter of discontent at

2022 Qatar World Cup finals

by MATT DICKINSON (THE TIMES 05-10-2013)

The one certainty about the Qatar World Cup is that it remains the worst decision in the history of sport — and there is no suggestion of reversing it.

“The Fifa World Cup 2022 will be played in Qatar,” Sepp Blatter said yesterday at the organisation’s headquarters in Zurich, before adding a presidential: “Voila!”

The rest of the world can continue to jump up and down, scream and shout about the madness of taking the tournament to a tiny nation in a desert. We can bang our heads wondering how Fifa could award the tournament to the Middle East and then announce yesterday, fully three years later, that it would start consulting over an unprecedented and inevitable switch to winter.

We can ask how many migrant workers must die in conditions of slavery. We can ask if Fifa is not embarrassed by the chaos, scandal and controversy.

Meanwhile, Blatter sits on his throne in Zurich and congratulates himself on the presence of women in the executive committee room. “Qatar will be played in 2022. We don’t know if it is winter or summer, but we have had sunshine in the executive committee today because we had three ladies present,” Blatter said.

The fact that they were not there on tea-making duties is heralded as a sign of progress at Fifa towers. It was that sort of day at Fifa yesterday, when you despaired that the world’s most loved game has such leadership.

Blatter’s one consistent message was that anyone who expects the 2022 tournament to be taken from Qatar will be disappointed. Never mind that the voting process was riddled with collusion and that numerous members of the original committee have been shamed in financial scandals.

“There is no reason to call into question this decision even if at the time we only had 22 members who voted and out of those 22 there has been a change of nine,” Blatter said.

Never mind that there is an ongoing investigation by Michael Garcia, Fifa’s head of investigations, into the bidding process for the 2018 and 2022 tournaments. Plans continue, and few expect Garcia to make a bombshell discovery that derails the Qatar World Cup.

Never mind that awarding the tournament to a baking desert smaller than Yorkshire was so nonsensical in the first place, with the impossibility of staging it at the traditional time of June and July.

Blatter stated yesterday that the bidding documents said only that the tournament was “expected” to be in the summer. “It’s still nine years, we have plenty of time,” he said, blithely.

And so Qatar 2022 moves inevitably and inexorably towards the final conclusion that it will be football’s first winter World Cup. Everyone knows that a summer tournament is impossible because of the heat, but first it is necessary to appease the leagues and broadcasters outraged by this colossal disruption to the sporting calendar.

Yesterday Fifa’s executive committee agreed to set up a working party to discuss the feasibility of moving the tournament. The least worst timing is likely to be November-December 2022.

Jerome Valcke, the general secretary, will lead those scheduling discussions “with slight supervision” from Sheikh Salman bin Ebrahim Al Khalifa, of Bahrain, president of the Asian Football Confederation and a member of Fifa’s executive committee.

The prominence of Valcke is good news for the Premier League because Richard Scudamore, the chief executive, is on good terms. Scudamore is likely to play a leading role and, on the reluctant assumption that summer is unthinkable, will steer towards a November-December outcome rather than the January date preferred by Uefa.

“We need to carry out very deep consultations,” Blatter said. “We need to show some diplomacy and wisdom.”

Fifa’s main concern will be soothing American broadcasting giants Fox and NBC, which contribute $1 billion (about £62 million). With 87 per cent of Fifa’s revenues directly generated by the World Cup, and most of that through broadcasting, Valcke may face a problem of television companies demanding discounts.

With so much at stake, Blatter sought to buy Fifa time yesterday, saying that no decision on winter-summer will be taken until late 2014 at the earliest, and it could be early in 2015. “We will end this consultation after the World Cup in 2014,” Blatter said. “Let us play that with an easy conscience and then afterwards look at the results.”

In the meantime, Blatter said that he would travel to Doha to speak to the Emir about conditions of modern-day slavery that have resulted in dozens of migrant workers dying in appalling conditions. Blatter expressed “sympathy and regret” about the deaths on a day when Hassan al-Thawadi, secretary general of the Qatar 2022 supreme committee, issued a statement saying that government authorities were investigating the allegations.

“It is not Fifa’s primary responsibility, but we can’t turn a blind eye,” Blatter said. “This intervention can only be carried out by Qatar itself, and they have confirmed they will do so.”

In the circumstances, Blatter faced questions about whether it was wrong to award such a prestigious prize to Qatar in the first place. His only concession was that it was “a mistake to think we could play this competition easily in the summertime”.

He concluded by saying that “I am not a prophet” — but anyone can foresee a winter outcome to the continuing farce.

President may go on and on,

all the way to fifth term

by MATT DICKINSON (THE TIMES 05-10-2013)

As if it is not bad enough being stuck with a World Cup in Qatar, football may also be stuck with Sepp Blatter. There is growing expectation that the great survivor is gearing up to stand for the fifth term as president, staying in power beyond his 80th birthday.

Why would he jump off the gravy train? Blatter’s life revolves around the job he has held since 1998, when he succeeded Joao Havelange.

It pays him well — quite how well nobody knows, which is one of the many concerns about Fifa governance — and it takes him around the world. Blatter proudly boasts that he has visited every one of the 209 member countries.

Even at 77, he has a determination to keep going and is contemplating political life beyond the next presidential vote in 2015.

The only mooted challenger is Michel Platini and if Fifa’s greatest headache is the Qatar 2022 winter-summer debate, it is a more damaging issue for the Uefa president. He is the only member of the executive committee who has admitted voting for the tiny emirate.

No one knows how Blatter voted — suspicions are that he opted for the United States — so he can claim that he is clearing up a mess of Platini’s making.

Having lost his position as Blatter’s annointed successor some years ago, Platini is believed to have engaged in lobbying this week to gauge support, even though he will not make a decision until next year on whether to stand.

Platini knows just what a formidable opponent he would be taking on. Fifa seemed in its worst crisis during the scandals around the World Cup bidding process and revelations of bribes for senior members, but Blatter survived and can now claim that he has implemented a process of reform.

He has changed the World Cup voting to include the full congress. As he reminded us numerous times yesterday, he even allows women to join the hierarchy.

Blatter will believe that he has now taken the heat out of the Qatar debate with yesterday’s year-long consultation over summer-winter. He will think he has solved another crisis.

Yesterday he certainly did not sound like a man who was looking to wind down. When the 2022 World Cup is played in Qatar, in winter, do not discount Blatter still being around.

Blatter still a cause of

Fifa’s woe, not its saviour

by OLIVER KAY (THE TIMES 05-10-2013)

As Fifa continues to tie itself and the entire game in knots with its attempts to unravel a mess entirely of its own making, after its ludicrous decision to stage the 2022 World Cup in Qatar, it is worth recalling Sepp Blatter’s final warning to his friends and cronies on the executive meeting before that fateful vote in Zurich nearly three years ago.

Rather than emphasise the importance of this vote and the human and sporting considerations involved, the Fifa president made clear where his priorities lay by reminding them of “the evils of the media”. By implication, that was the “evil” British media, who had questioned the integrity of the bidding process. By sheer coincidence, England’s bid for the 2018 tournament was rejected in the first ballot.

Blatter has begun to take the moral high ground given that, unlike his rival Michel Platini, he did not vote for Qatar. Laughably, he paints himself as a kind of Eliot Ness figure, trying to clean up his organisation, forgetting that the war against Fifa corruption was led by the very “evil” media against whom he railed.

What a pity that, rather than turning his fire on the media in the build-up to the vote, he did not listen to calls to delay the ballot until a full inquiry had taken place. A pity, too, that, rather than implicitly sabotage the English bid, he did not raise any of the main serious concerns regarding a World Cup in Qatar— or at least ask his friends to take a quick look at Fifa’s evaluation report, which laid out a few good reasons, though by no means all, for considering Qatar an unsuitable host.

It might have saved him, Fifa and a lot of trouble and, what is more, earned them just a shred of credibility.

La Fifa insiste: 2022 in Qatar

IMPOSSIBILE GIOCARE D’ESTATE NEL DESERTO. BLATTER TEMPOREGGIA SULL’IPOTESI DEL MONDIALE IN AUTUNNO, MA NON CAMBIA IDEA

50° ALL’OMBRA L’assegnazione al ricchissimo Emirato è stata condizionata

da provati episodi corruttivi. Ma per il governo del calcio va tutto bene

di LUCA PISAPIA (il Fatto Quotidiano 05-10-2013)

Un matrimonio che s’ha da fare, per i troppi interessi in ballo, dai petroldollari ai fragili equilibri della Fifa. E così Blatter al termine della due giorni di riunione del comitato esecutivo della Fifa a Zurigo annuncia: “Il Mondiale del 2022 si giocherà in Qatar, questo è sicuro, se d’estate o d’inverno questo è da decidere”. Il tutto nonostante l’inchiesta pubblicata settimana scorsa dal Guardian, che segue una denuncia dello scorso gennaio di Human Right Watch, sulla condizione di schiavitù dei lavoratori migranti che costruiscono gli stadi in cui saranno disputati i Mondiali. Ma alla Fifa questo non interessa, il vero nodo della questione per il governo del calcio è oramai quando disputare le partite, e soprattutto la battaglia politica per le elezioni del 2015.

Come annunciato ieri da Blatter, la decisione sul periodo in cui giocare è rimandata al prossimo anno. Detto che in estate con 50 gradi all’ombra è impossibile giocare, con tutta probabilità sarà novembre, per non avvicinarsi troppo all’Olimpiade Invernale di gennaio. D’altronde, qualche settimana fa a Drubovnik nemmeno la Uefa era stata in grado di giungere a una conclusione unitaria: Platini ipotizzava una pausa invernale dei campionati continentali e della Champions League, per giocare nel periodo natalizio, mentre Rumenigge, a nome dei maggiori club europei, spingeva per un Mondiale primaverile. Detto che ci sono in ballo interessi economici, televisivi e commerciali, che influiranno sulla decisione finale, nessuno ha avuto il coraggio di dire la cosa più semplice: bisognerebbe ripetere la votazione per l’assegnazione dei Mondiali 2022.

QUANDO il 2 dicembre 2010 la Fifa annuncia che i Mondiali del 2018 si giocheranno in Russia e quelli del 2022 in Qatar, subito si capisce che c’è qualcosa che non quadra. Lord Triesman, capo della federcalcio inglese, certa di ospitare la competizione del 2018, denuncia al Parlamento britannico presunte mazzette. È solo l’inizio. Un’inchiesta della Bbc mostra come tre delegati Fifa abbiano ricevuto pagamenti illegali dalla Isl, una compagnia svizzera cui la Fifa ha appaltato la copertura televisiva dei Mondiali di calcio.

Il Sunday Times porta le prove di corruzione nei confronti di altri quattro delegati. A rimanerci scottati più di tutti sono infatti gli inglesi, convinti di riuscire a organizzare la competizione nel 2018. E infatti denunciano il potentissimo Jack Warner, boss del calcio centramericano e il cui pacchetto voti è spesso decisivo nelle votazioni, di avere chiesto 4,5 milioni per votare Gran Bretagna.

E la voce che circola nei corridoi di Zurigo è che gli inglesi l’abbiano davvero pagata la cifra, ma poi Warner abbia votato e fatto votare diversamente. Cornuti e mazziati. Fatto sta che Warner si dimette, e l’anno dopo è invece squalificato Mohammed bin Hamman, boss del calcio asiatico. I due, oltre che aver lavorato per la candidatura del Qatar, avevano infatti provato a sfidare l’ex alleato Blatter nella corsa alla presidenza Fifa del 2011, ovviamente vinta dallo svizzero. Nonostante la Fifa abbia le prove di questi episodi di corruzione, e il comitato etico abbia squalificato o radiato i colpevoli, l’assegnazione dei Mondiali al ricchissimo emirato del Golfo non è stata mai in discussione. C’è un altro giocatore infatti sulla scacchiera, è il francese Platini, ex fedele delfino di Blatter che ora è diventato il suo principale avversario nella corsa alla poltrona Fifa del 2015.

PROPRIO al congresso Uefa di Drubovnik, Platini ha dovuto ammettere per l’ennesima volta di avere partecipato a una cena all’Eliseo, poche settimane prima che fossero assegnati i Mondiali al Qatar, con l’allora presidente francese Sarkozy e l’allora emiro Al Thani.

Ma, come ha sempre detto Platini, si è semplicemente trattato di una cena di piacere, dove non si è discusso né dell’acquisto del Psg da parte della compagnia di investimenti qatariota, né del-l’ingresso della televisione qatariota Al Jazeera nel mercato televisivo calcistico francese. E nemmeno del fatto che il figlio di Platini, Laurent, dall’anno dopo abbia cominciato a lavorare proprio per la stessa compagnia d’investimenti qatariota che controlla il Psg e che organizza i Mondiali del 2022.

Una tela di ragno in cui tutti possono in qualche modo entrare in contatto tra loro e cambiare fazione, e che al centro vede un’immensa quantità di denaro. Ecco perché non saranno 44 operai nepalesi morti, o 50 gradi all’ombra di temperatura, a impedire che il Qatar ospiti i Mondiali del 2022.

FOOTBALL’S OWN GOAL

Why did Fifa decide to hold a World Cup in temperatures of 45C?

by JONATHAN CALVERT & FRANCESCA ANGELINI (THE SUNDAY TIMES 06-10-2013)

It took a trip to the Palestinian territories earlier this year to convince Sepp Blatter, the Fifa president, that summer temperatures in the Middle East are far too severe for a World Cup football tournament.

“The month was July — the same time of year the 2022 World Cup in Qatar will be played,” said a source with knowledge of the visit.

“He watched a match and it suddenly dawned on him: oh gee, it’s going to be hot.”

A week later Blatter, the most powerful man in football, made an announcement that took even his own officials by surprise. He said he would propose to Fifa’s executive committee that the Qatar World Cup should be played in the winter.

Last Friday Fifa set up a commission to examine the options, knowing that holding the competition during the winter would incur the wrath of football clubs, leagues, sponsors and broadcasters, not to mention other sporting competitions around the world.

Despite Blatter’s belated conversion, there has never been any dispute that the climate of the small desert state would be unsuitable for the world’s biggest sporting tournament.

So why, in December 2010, did 14 out of 22 members of Fifa’s executive committee vote for Qatar to host it? Were they convinced by the tales of futuristic air-conditioned stadiums? If so, why do they no longer appear to believe in them? Or were they voting for other reasons?

THE man charged with answering the last question is Michael J Garcia, an American lawyer hired as Fifa’s ethics investigator. He will travel to London next week as part of his inquiries into alleged irregularities in the voting for the World Cup to be staged in Qatar in 2022 and Russia in 2018.

The scandal of cash for votes in the bidding process for the World Cup was exposed by a Sunday Times Insight investigation. Our disclosures led to the suspension of two of the voters and six Fifa officials.

At the start of the 2022 bidding process, the countries competing for the 2022 tournament — Japan, Australia, America and South Korea — had not regarded Qatar as a serious rival. It had seemed preposterous that the World Cup could be played, watched and enjoyed in temperatures peaking at more than 45C.

“The heat was such an obvious problem that we didn’t feel the need to raise it during the campaign,” one of the competitors said last week.

“We knew they had pots of money but we never believed the World Cup would go there. Itwas a fatal mistake.”

The Qatar bidders provided an answer: air-cooling technology that would be powered by solar panels. It had never been used in a big stadium.

On a scorching day in September 2010, World Cup inspectors escorted the Qatar bid team to a prototype stadium the size of a tennis court in Doha, the capital.

The miniature stadium was an impressively cool 23C, despite an open roof that let in the 44C heat from the desert sun. This was intended to be the blueprint for the nine new and three upgraded stadiums that would be cooled at both pitch level and in the stands. The energy would come from a field of solar panels.

The inspectors could see, however, that a big leap had to made from cooling a prototype with 500 seats to achieving the same results in a stadium holding 80,000 people.

The inspectors’ report, published two weeks before the vote, noted that Qatar’s cooling technology depended on innovations that had yet to be proven. They described the operational risk as “high” — the worst of any bidder.

The report also noted: “The fact that the competition is planned in June/July, the two hottest months in this region, has to be considered as a potential health risk for players, officials, the Fifa family and spectators, and requires precautions to be taken.”

This was supposed to be the document on which Fifa’s executive committee would base its vote. Yet the warnings about debilitating heat and untested cooling systems were apparently overlooked by most of the voters.

Harold Mayne-Nicholls, who led the inspection team, revealed recently that only one member of the executive committee had asked him about the heat before voting: “You heard a lot of rumours that people had taken their decisions [already] and it wouldn’t matter what the report says.”

So the bid with the worst inspection report won and from the outset there was criticism. How could players be at the top of their game in searing summer heat? What about fans unaccustomed to temperatures so high that hotels close their terraces in July, even at night?

While the Qatar organising committee talked up its cooling system, Michel Platini, president of the European football body Uefa, began pushing publicly to switch the tournament to winter. It seemed that Platini, who had voted for Qatar, did not entirely trust the cooling technology.

Neither did some of the experts. A year after the vote John Barrow, an architect with Populous, a firm hired to design one of the stadiums, cast doubt on the air-conditioning. He said the technology was too expensive and in environmental terms “notoriously unsustainable” when used on a large scale. “We are doing away with all the air-conditioning kit that is going to cost a fortune to run,” he said.

His claims were denied by Qatar, which insisted that solar power would still be used.

It is an unprecedented technological challenge, however. Phoenix, in Arizona, has an air-conditioned stadium but that is powered conventionally. Jack Boyle, one of its architects, pointed out that Qatar’s humidity and sandy winds would create an even more “hostile” environment.

It is estimated that the airconditioning could cost tens of millions of dollars per match if the tournament is held during the summer. And to accommodate the needs of fans the costs could run to billions. “In Arizona, when we designed the stadium, we assumed that people who come to football games live there and know it’s hot,” Boyle said. “They don’t park their car far away and plan on a two-mile walk. They wear appropriate clothing and use the shuttle. Qatar . . . will have people from all over the world who are not used to that.”

Fifa has had concerns about this for some time. But Blatter was saying privately that the switch would be made only if Qatar requested it, according to insiders. “He wanted the Qataris to come on bendedknee and then they would have to make some offer of compensation to theother bidders, theTV companies and other competitions,” said a source.

Blatter’s announcement had removed his bargaining power, the source said. So Fifa is now facing multimillion-pound legal actions from those affected if it moves the date.

ITS headaches have been compounded by reports that construction workers are subjected to “slave trade” conditions as Qatar builds infrastructure for the tournament. Last week Nepal said 70 of its nationals had died on building sites in Qatar since January 2012.

The question of how Fifa had dug itself into this hole is being studied by Garcia. His work could result in Qatar being stripped of the tournament if he finds evidence to prove allegations of unethical tactics.

Qatar has always insisted that it acted correctly. It denies that it broke any rules. However, the oil-rich state has been forced to defend itself against a series of bribery allegations.

Its bid committee vastly outspent all the other competitors in the campaign and Jérôme Valcke, the Fifa secretary-general, admitted in a leaked email that Qatar had “bought the WC [World Cup]”. He said later that he had been referring to the money spent on marketing the bid.

An undercover Sunday Times investigation at the height of the contest in autumn 2010 unearthed a series of allegations that Fifa has never fully explored.

In particular, allegations that Qatar had offered some Fifa voters large sums of money in return for their support were published two years ago in a letter from this newspaper to the Commons culture, media and sport select committee.

These were unproven allegations which have been strongly disputed by Qatar but this newspaper believed they merited further investigation.

In the evidence to the committee we raised concerns that six officials who had held some of the most senior positions in Fifa had been recorded giving advice that a bidder needed to buy certain votes to succeed.

The evidence refers to a conversation with Ismail Bhamjee, a former member of the Fifa executive committee, that was secretly recorded. Bhamjee, from Botswana, alleged he had been told some African members would be paid up to $500,000 by Qatar for their votes. Our letter reported that Michel Zen- Ruffinen, the former Fifa secretary general, claimed Qatar was using a middle man to arrange financial deals with African members.

Amadou Diakite, another past executivec ommittee member, was also recorded claiming the African voters had been offered between $1m and $1.2m by Qatar for “projects”.

Last year we published documents showing Qatar had secretly offered $1m to the son of one of the voters to arrange an “African legends dinner”.

Samson Adamu, son of the then Fifa executive committee member for Nigeria, was offered the money months before father Amos was due to vote on who would host the tournament. In fact Amos Adamu never voted. Hewas suspended after being secretly filmed by this newspaper in September 2010 — three months after the dinner — offering to sell his vote on the 2018 World Cup for a payment of £800,000, which he said he would use to build football pitches in Nigeria. He had told our reporters that his 2022 vote was not for sale because he had pledged it to Qatar.

Fifa passed the allegations about the Qatar contract with Samson Adamu to Garcia. World Cup bidders are barred from entering into any financial relationship with relatives of Fifa’s executive committee.

The Australian bid wrote to Blatter last month asking that any decision on moving the 2022 date be delayed until Garcia has ended his inquiries.

Australia has got its wish. Garcia’s report is expected in the late spring and Blatter said on Friday the decision on Qatar would not be made until after the 2014 World Cup in Brazil.

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ll calcio, la violenza

Raid di Londra

sentiti gli ultrà

«Noi estranei»

Caccia ai teppisti: da Scotland Yard

sono in arrivo le impronte digitali

L’ipotesi Tra loro gli aggressori dei romeni feriti a Napoli durante la partita con il Steaua

di GIUSEPPE CRIMALDI (IL MATTINO 06-10-2013)

La caccia ai teppisti è ufficialmente aperta. Potrebbero avere le ore contate i responsabili dei raid scatenati prima della partita disputata dal Napoli a Londra contro l'Arsenal in Champions League. Un pugno di scalmanati, forse anche meno di dieci persone, già finite nel mirino della polizia inglese intervenuta su almeno due episodi che hanno gettato un'ombra di vergogna sull'intera tifoseria azzurra - organizzata e non - che era in trasferta in Inghilterra martedì scorso.

Procede la Digos della Questura, guidata dal primo dirigente Luigi Bonagura. A Londra, come sempre accade ormai da anni quando ci sono le trasferte del Napoli, erano presenti due funzionari della stessa Digos, sezione tifoserie. Ma i fatti oggetto dell'indagine che presto potrebbe confluire in un'informativa diretta alla Procura della Repubblica di Napoli, all'ufficio presieduto dal procuratore aggiunto Gianni Melillo, presentano elementi e fattori che rilevano significative anomalie rispetto alle indagini già svolte in una materia di per sé sempre molto complessa e delicata.

Significativi riscontri potranno giungere dagli atti già richiesti proprio dalla polizia italiana a Scotland Yard. A cominciare dai risultati dattiloscopici, dal lavoro svolto dai «forensic» inglesi che hanno lavorato per tutta la notte, dopo gli incidenti, alla ricerca di tracce evidenti che darebbero la possibilità di inchiodare a precise responsabilità gli autori dei raid. Ottenute le impronte digitali, il lavoro degli investigatori potrebbe fornire insomma uno scatto in avanti. Ma c'è di più. Ed è un dato significativo: dalle prime risultanze in possesso della polizia i responsabili dei due episodi finiti sotto indagine (la devastazione di un pub-ristorante con il ferimento del suo gestore, e una vigliacca aggressione nei confronti di una ragazza inglese da parte di un secondo gruppo di supporters napoletani) non apparterrebbero a frange del tifo organizzato. Per far luce su quanto accaduto, anzi, da parte dei gruppi ultrà azzurri è scattata una forma di fattiva collaborazione con le forze dell'ordine. E questo è già un gran bel risultato che va sottolineato.

Martedì primo ottobre, Londra. Manca un'ora al fischio d'inizio della partita dell'Emirates Stadium quando un gruppetto di facinorosi entra nel «Pierbury Corner», un pub che si trova non distante dall'Emirates Stadium, e scatena l'inferno: vetrine sfasciate, sedie e tavolini mandati all'aria: e poi lì l’episodio gravissimo del ferimento del gestore del locale, Tim Garwood, pestato a sangue. I farabutti aggressori indossano sciarpe azzurre e gettano il fango su un'intera tifoseria, quella napoletana, mai stata tanto disciplinata e composta come quella sera a Londra.

La vittima finisce in ospedale con una profonda ferita alla testa suturata con dodici punti. Garwood riferirà poi di aver visto un centinaio di supporter napoletani passeggiare davanti al locale prima che alcuni di loro facessero irruzione. Al momento c'erano circa 50 clienti. Il secondo episodio è l'aggressione ad una passante, una giovane donna inglese, da parte di un pugno di napoletani che alla fine la prendono anche a calci e cinghiate. Una vergogna, come detto. Emerge anche un sospetto: tra i vigliacchi che hanno commesso queste aggressioni potrebbero esserci gli stessi soggetti che a Napoli ferirono alcuni tifosi romeni in occasione della partita di Champions Napoli-Steaua Bucarest.

Saranno pure gli stessi che distruggono latrine in trasferta ed assaltano autobus in casa? #jolly

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Spot the deference in

Fifa’s banana republic

by SIMON BARNES (THE TIMES 07-10-2013)

As Sepp Blatter went blattering on at the executive committee meeting in Zurich last week, it’s possible that people who like football were struggling to understand how Fifa got to be like this. How could an international organisation dedicated to sport have come up with (a) Blatter and (b) the stupidest decision in the history of sport?

Yet this is only a problem if you see Fifa as a sporting organisation, one that is by definition devoted to such matters as fresh air, healthy exercise and the elevation of the human spirit. If you look on Fifa as a banana republic, it all falls into place.

You don’t expect the president of a banana republic to be interested in the welfare of his citizens. You don’t expect him to be interested in the nation he governs. You don’t expect him to care how his nation is viewed overseas. All he cares about is his own power — revelling in it, increasing it, extending it.

Thus you build up a clique of what’s-in-it-for-me understrappers who will stick by you for as long as they can stick their fingers in the honey pot — what’s amusingly termed “loyalty” in this sort of world. And you get flattered by them and you get humoured by heads of state who think you’re nuts but can always find a use for what you’re selling, until you have no option but to agree with them all: you really are God’s representative on earth.

Admittedly, sporting administrators don’t have the power of life and death (or do you count those migrant workers?). It’s the illusion of supreme power when combined with the reality of supreme deference that matters here.

I once interviewed Blatter’s predecessor, João Havelange, who abruptly changed the subject from football to the cubic capacity of his lungs.

In an interview elsewhere, he agreed, with some unconvincing expressions of reluctance, that yes, he probably was the most powerful man on earth.

Blatter has never revealed himself as quite that crazy, but the insane mess about Qatar is something that could only come about from the same banana-republic, me-me culture.

The Olympic Games used to be like that. Juan Antonio Samaranch was more interested in his own power than anything to do with actual sport. As a result, he presided over a culture of bribes and favours and kickbacks that was eventually exposed before all the world in the Salt Lake City scandal.

His successor, Jacques Rogge, waged war on corruption and went for democracy and consolation. He even did humility, staying in the Athletes’ Village rather than the local zillion-star hotel’s Dictator’s Suite. It is to be hoped that Thomas Bach, his successor, continues in that tradition.

Yet football has persisted in the old way of autocracy. Naturally, the most important matter on Fifa’s agenda is the power of the president. Now, as Matt Dickinson, my colleague, reported from Zurich last week, Blatter is expected to run for a fifth term of presidency, which would take him past his 80th birthday. He’s obviously got Robert Mugabe’s record in his sights.

The other thing that characterises the president of a banana republic is his ruthless treatment of his enemies. Alfredo Stroessner, of Paraguay, had them dropped from aeroplanes, Idi Amin was said to eat them.

Blatter’s favourite enemy is England, which, I am sure, is why England’s excellent World Cup bid for 2018 got two votes, for football is surely secondary to any issue affecting Blatter’s power.

Which is why any criticism of Blatter from an English source will be written off as the whingeing of a sore loser, as if I had a vested interest (Fifa expects everyone to have vested interests) in a home tournament.

Fifa stands before the world as a fool. So did Uganda, so did Paraguay. But here’s the terrible truth of the matter: the world’s contempt made no difference whatsoever. The great leaders in question just kept buggering on.

José Mourinho has just preached a thoroughly worthy sermon on diving. Perhaps he’s totally sincere, but who’s going to believe that? Practically everything he says is for a hidden purpose — veiled attacks, self-justification, destabilisation of opponents, unsettling referees, gibes at various authorities, manipulation of transfer values, contract negotiation, flirtation with potential future employers, buffing up his highly saleable public image — with the result that he’s forfeited the right to be taken seriously on any subject. It’s what happens to games-players.

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IlCaso

MA LA DISCRIMINAZIONE TERRITORIALE

È PROPRIO TUTTA DA CONDANNARE?

di RUGGIERO PALOMBO (GaSport 08-10-2013)

Quattro giorni dopo la Lazio, tocca al Milan. Porte chiuse con l’Apollon Limassol in Europa League, porte chiuse con l’Udinese in campionato. Sentenze Uefa e domestiche che si sovrappongono nel rispetto della nuova dura normativa internazionale voluta da Platini per combattere ogni forma di razzismo, inclusa la tanto discussa discriminazione territoriale. Eventi che destano stupore, quasi che gli avvisi ai naviganti provocati dalle quattro chiusure di settori dello stadio che li hanno preceduti (Roma, Lazio, Milan, Inter) fossero passati inosservati. Eppure le regole imposte dall’Uefa sono note, inequivoche e a disposizione di tutti, basta consultare il codice di giustizia sportiva sul sito www.figc.it, articoli 11 e 18. «Costituisce comportamento discriminatorio ogni condotta che comporti offesa, denigrazione o insulto per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica». Se a commettere la violazione è un calciatore la pena minima è di 10 giornate di squalifica. Se a commettere la violazione è il pubblico, paga la società. Le sanzioni non sono interpretabili: settore a porte chiuse per la prima violazione, stadio chiuso per la seconda con, in casi di particolare gravità, la partita persa e altre sanzioni accessorie; in caso di ulteriore recidiva «si applicano, congiuntamente o disgiuntamente tra loro» la sanzione della perdita della gara, ulteriori porte chiuse (una o più gare), penalizzazione di uno o più punti in classifica fino addirittura all’esclusione dal campionato. Eccessivo finché si vuole, ma di sicuro educativo. E poi, come si dice, basta saperlo prima.

Il giudice sportivo Tosel, nella sentenza, ha scritto «sanzione minima». È un messaggio speciale inviato al Milan che ha polemizzato («Il provvedimento, che è privo di giustificazione, sarà oggetto di ricorso»), a Galliani che non ha sentito nulla e ai tifosi. Domenica a Torino 800 milanisti hanno replicato i beceri e irriferibili cori contro i napoletani di Milan-Napoli del 22 settembre, che erano costati la curva chiusa di Milan-Samp del 28. Quel giorno, in altro settore, nuovi cori, «noi non siamo napoletani», che Tosel valutò come non discriminatori. Il comunicato degli ultrà, ieri sera, sgombra il campo dagli equivoci: come già è accaduto per la tessera del tifoso, è in atto una sfida, un vero e (proprio) braccio di ferro. Niente di casuale o isolato, con buona pace di quanto sembra sostenere il Milan, nemmeno il fatto che a essere in prima linea è la frangia estrema di tifosi di una grande conciata attualmente malissimo in classifica.

Dove porterà tutto questo? Difficile a dirsi. La discriminazione territoriale, al contrario della «classica» e tanto più odiosa discriminazione razziale, è una brutta bestia, adatta a ogni tipo di interpretazione e strumentalizzazione. Il vicepresidente dell’Osservatorio del Viminale, Roberto Massucci, ammoniva: «Normativa durissima, attenti ai ricatti delle curve». Probabilmente aveva visto giusto, anche se il «ricatto» in questione è rivolto più al «sistema» che al club, e l’autoironia degli ultra napoletani ne rappresenta la indiretta conferma. Ma fare un passo indietro, adesso, è impensabile. Magari lo facciano avanti le società, che con le curve hanno antiche ed evidentemente poco educative frequentazioni. A costo, se proprio occorre, d’avere stadi vuoti per un po’.

CARI GIUDICI,

CHE STRANE COINCIDENZE

di MARCELLO ZACCHÉ (il Giornale 08-10-2013)

Il tifoso milanista, con qualche anno di esperienza, è uno che ne ha viste di tutti i colori. Prima dell’arrivo di Silvio Berlusconi del 1986, per esempio, gli sono toccate la fatal Verona del ’73; la retrocessione per uno scandalo scommesse del 1980 che oggi farebbe ridere i polli; e quella all’ultimo minuto del campionato ’81-82, per un «errore» dell’allora portiere del Napoli. Poi sono arrivate otto finali diCoppa Campioni e 8 scudetti in vent’anni, grazie alla presidenza di Berlusconi. Ora i tempi sono tornati difficili. I cicli sono fatti così. E ci sta. Ma non vorrebbe mai, il tifoso milanista, trovarsi ora a dover pagare conti di altri. O, per essere più chiari, dover necessariamente accettare che la mala parata giudiziaria e poi politica di Berlusconi venga estesa anche al vecchio cuore rossonero. Che c’era prima e ci sarà anche dopo. E che vota tanto a destra quanto a sinistra. Eppure, in questo turno di campionato che il Milan dovrà giocare a porte chiuse per «discriminazione territoriale», c’è qualcosa che fa pensar male, anche a costo di commettere peccato. Secondo l’articolo 11 delle norme federali di comportamento l’origine territoriale, presentata che diventa «discriminazione», è uno dei tipi di offesa dell’avversario che fa scattare le sanzioni, al pari dei motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica. Ma che c’entra il territorio? E qual è il confine del territorio? Vale solo per Nord-Sud? O arriva fino ai singoli quartieri di una grande città? E che senso ha nel Paese dei Campanili? Ma a parte questo fatto che le norme sembrano state scritte da chi non ha mai messo piede in una curva, nello specifico ci troviamo di fronte a cori contro i sostenitori del Napoli, intonati a Torino «alcuni minuti prima della gara, al 6’ e al 43’ del secondo tempo». Peccato che nessuno li abbia sentiti. Ci saranno sicuramente stati, ma ci sarà una differenza tra un vergognoso «coro territoriale» che attraverso i media si sente in tutto il mondo e un altro che sì e no arriva dall’altra parte dello stadio? Invece no. E sul tifoso milanista piove a dirotto sul bagnato di questo pessimo inizio di campionato. Si vede che non è aria. Come non lo è nemmeno per il suo presidente. Speriamo almeno che sia solo una beffarda coincidenza.

IL RIGORE E IL CAOS

di MAURIZIO CROSETTI (la Repubblica 08-10-2013)

La chiusura abbastanza inattesa di San Siro per cori che stavolta, in verità, non aveva sentito quasi nessuno, solleva problemi enormi. Dopo quattro curve svuotate dal giudice e uno stadio intero squalificato per razzismo, il sacrosanto dovere di superare anni di impunità e vergogna con sanzioni più severe (ci sono, finalmente) si scontra con la fragilità con cui queste norme vengono applicate. Il diritto pretende certezza, ma non si può dire che stia accadendo: la confusione è massima.

La prima questione è stabilire con esattezza giuridica i confini della discriminazione razziale e territoriale. Galliani e il Milan ora guidano una specie di rivolta in Lega, perché si elimini almeno il concetto di discriminazione territoriale. Ma Platini e l’Uefa ribadiscono che non si fanno sconti, e che l’intolleranza va bandita per sempre, a qualunque costo. Non sarà per niente facile ricomporre posizioni così distanti, e interessi non sempre coincidenti.

Visto l’andamento ondulatorio delle sanzioni, il sospetto è che tutto dipenda dalle relazioni degli ispettori del giudice sportivo. Qui, l’uniformità è essenziale, dunque Tosel farebbe bene a convocare il suo staff per fissare i “paletti” su cui si basano le sentenze. Altrimenti ci si espone al dubbio, se non addirittura al grottesco: lo hanno appena dimostrato alcuni tifosi del Napoli, autori di “auto razzismo ironico”, con l’invito ad essere squalificati pure loro. Una barzelletta.

La seconda questione è il colossale potere concesso agli ultrà. Per colpa della responsabilità oggettiva che incombe sui club (io sbaglio e tu paghi), poche decine di persone hanno in mano il destino di uno stadio e di una squadra, dunque di un’intera stagione: perché, dopo la chiusura dell’impianto, arrivano le penalizzazioni in classifica, poi le esclusioni dal campionato e dall’Europa. La nuova linea dura contro il razzismo, per molti versi necessaria e persino tardiva, rischia di regalare ai violenti una formidabile arma di ricatto, sempre carica e puntata alla tempia dei presidenti, e in ultima analisi degli stessi giocatori che in teoria questi tifosi idolatrano. Un’arma che colpisce anche il pubblico sano, costretto a disertare lo stadio dopo avere pagato l’abbonamento: un danno economico e morale. Molto difficile uscirne. Servono coraggio e tempo, bisogna tagliare davvero i ponti con il peggio del tifo, con la minoranza padrona. Mettendo però in conto quell’arma già pronta a colpire.

SPORTWEEK 08-10-2013

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Rilancio in Lega

Diritti tv: Infront promette

ai club 900 milioni all’anno

Gli sviluppi Ora la raccolta delle domande dei club, prossimo incontro tra 2 settimane

di MASSIMO SIDERI (CorSera 08-10-2013)

Marco Bogarelli ieri si è presentato all’assemblea della Lega vestendo i panni del venditore: ha fatto la sua proposta e, per dimostrare quanto conti la partita del rinnovo sui diritti tv della serie A, si è portato dietro sia un rappresentante di Bridgepoint, il fondo di private equity che da circa un anno e mezzo ha acquistato Infront, sia il nipote di Blatter, Philippe, ceo e chairman del gruppo a livello mondiale. L’advisor della Lega ha offerto una garanzia per un minimo garantito di 900 milioni che potrebbe salire a 930 nei prossimi anni fino al 2021 (il rinnovo in realtà è per tre a partire dalla stagione 2015-16). Era stato lo stesso Bogarelli a spargere ansie nella Lega Calcio affermando che il mercato dei diritti nazionali era in pericolo a causa di un non ben identificato accordo tra Mediaset e Sky Italia. D’altra parte, il suo pronostico pessimista era di luglio: in due mesi, evidentemente, l’advisor ha notato un cambio significativo del mercato tanto da arrivare a un rilancio. Forte della delegazione internazionale l’uomo che viene da Milan Channel, vicino da sempre ad Adriano Galliani, ha tentato di forzare la mano chiedendo ai club una risposta entro «questo venerdì». Blitz fallito. Ora verranno raccolte le domande dei club, ma la sensazione è che passeranno almeno due settimane per il prossimo incontro. Bogarelli ieri ha anche riconosciuto l’autenticità della Letter of Comfort firmata nel 2009 dalla stessa Infront Holding AG, cioè una scatola finanziaria a monte della società, e pubblicata dal Corriere. Per il futuro l’advisor ha parlato di garanzie bancarie. Si tratterà ora di vederle. Il canale tv intanto non muore: Bogarelli si riserva di battere questa strada in caso di offerte non soddisfacenti. Insomma un colpo al cerchio e uno alla botte.

ASSEMBLEA

Infront mette sul piatto

5,5 miliardi per sei anni

Questa la proposta(minima) per la creazione di una

"tv della Lega". Milan e Juventus non entusiaste

I vertici della Bridgepoint accompagnati da Blatter jr chiedono per

fine ottobre una risposta definitiva Parma e Livorno: si può fare

di PIETRO GUADAGNO (CorSport 08-10-2013)

MILANO - Minimo garantito di 5,5 miliardi di euro complessivi per 6 anni, dal 2015 al 2021. E' questa la sintesi dell'offerta di Infront, che di fatto prova a far saltare il banco dei diritti tv, visto che nella proposta è inserita anche la concreta ipotesi della creazione della cosiddetta "tv della Lega". Per il momento, però, la proposta non ha scaldato più di tanto i club della massima serie, o almeno una buona parte di essi. A cominciare da Milan e Juventus, vale a dire le società che più di ogni altre possono orientare il timone della Lega. Per la verità, altre società più piccole, come Parma e Livorno, avrebbero voluto addirittura arrivare immediatamente ad un accordo. Mentre De Laurentiis ha tirato in ballo pure i diritti per l'estero, che non erano all'ordine del giorno, alzando l'asticella fino a 1,2 miliardi a stagione, aggiungendo pure l'accusa che «qui in Lega non c'è cultura d'impresa».

BUSINESS PLAN - Alla fine, però, l'Assemblea ha stabilito che, al di là della cifra complessiva, erano ancora molti i punti da chiarire attorno all'offerta di Infront, a partire da un dettagliato business plan. Ragion per cui, nel giro di qualche giorno, dubbi e richieste di chiarimento da parte di ogni club verranno raccolti e inviati all'advisor, che poi fornirà le sue risposte, da valutare in via definitiva nella prossima Assemblea. I tempi comunque saranno stretti, anche perché la stessa Infront vorrebbe fissare con la fine di ottobre la scadenza per un sì o un no.

BRIDGEPOINT - Ad ogni modo, Infront si è presentata in forze in via Rosellini. Ad accompagnare il presidente italiano Bogarelli, infatti, c'erano pure Philippe Blatter, nipote del numero uno della Fifa Joseph e Ceo del Gruppo, e soprattutto i vertici di Bridgepoint, gruppo di private equity internazionale, tra i più importanti a livello mondiale, che controlla la stessa Infront dal 2011. Entrando più nel dettaglio, comunque, la proposta prevede che per il primo triennio (2015-18) il minimo garantito resti di 900 milioni di euro a stagione, per poi passare a 930 per quello successivo (2018-21).

NUOVA TV - Il risultato, però, è che tutto sarebbe nelle mani di Infront, che avrebbe piena libertà sia nella formulazione dei pacchetti da proporre a Sky e Mediaset - evidentemente diversi da quelli attuali così da soddisfarne almeno in parte le richieste - sia di avviare il progetto di una propria televisione che trasmetta le partite della serie A, a prescindere però dal fatto che le offerte dei due network raggiungano o meno la quota desiderata. Secondo quanto illustrato da Bridgepoint, il bacino potenziale di utenti interessati, tra neo abbonati e coloro che abbandonerebbero Sky e Mediaset, arriverebbe addirittura a superare i 5,5 milioni.

MILAN E JUVE - I nodi da sciogliere, però, sono ancora molti. A cominciare dal veicolo che si occuperebbe di creare la nuova tv. Si è parlato di una società formata da Lega e Bridgepoint, oppure di un'altra costituita dai 20 club di serie A e anche di singolare joint-venture tra Sky, Mediaset e la stessa Lega. A tirare le fila in mezzo alla confusione - tanto che qualcuno si è preoccupato dell'impatto avuto da Birdgepoint... -, ci hanno pensato Milan e Juventus, con Galliani e Agnelli che si sono appartati per un quarto d'ora, facendo il bis del riavvicinamento già avvenuto in occasione dell'ultima Assemblea. L'ad rossonero, ad esempio, non ritiene che la nuova tv sia la leva obbligata per spingere Sky e Mediaset a non abbassare le proprie offerte, anche perché senza calcio il loro business crollerebbe. Il presidente bianconero punta solo a ottenere il massimo risultato dalla cessione dei diritti tv e non vuole vincoli.

DIRITTI TV

B. è davvero finito? Primo test

la guerra del calcio Sky-Mediaset

CHI CI GUADAGNA Scontro tra aziende e club sul prezzo per trasmettere

le partite: oggi il Biscione paga la metà di Murdoch per offrire lo stesso prodotto

di STEFANO FELTRI (il Fatto Quotidiano 08-10-2013)

Per capire se il potere di Silvio Berlusconi è davvero finito non bisogna guardare solo il Senato, ma la Lega Calcio, dove si sta consumando uno scontro che per le aziende del Cavaliere vale centinaia di milioni di euro.

Da quando è scattata la riforma Melandri nel 2010, la Lega Calcio vende i diritti della Serie A in blocco. Sky e Mediaset comprano praticamente lo stesso pacchetto di partite (380 Sky, 324 per Mediaset che rinuncia ad alcuni match minori) ma la televisione di Rupert Murdoch paga per la stagione 2013/14 561 milioni di euro, la società controllata da Berlusconi soltanto 268. Motivo? Che nel mondo dei diritti tv del calcio il digitale è ancora considerata una tecnologia sperimentale. In nessun altro Paese d’Europa succede che due tv concorrenti vendano lo stesso prodotto, con una concorrenza soltanto sul prezzo (29 euro al mese per Sky, 19 Mediaset) e non sul prodotto.

LA LEGA CALCIO non tratta i diritti da sola, ma si avvale di un advisor, una società di consulenza che dovrebbe garantire il massimo incasso ai club raccolti nella Lega. Si chiama Infront, un gruppo internazionale specializzato in diritti sportivi (il capo è Philippe Blatter, figlio di Joseph, presidente della Fifa) la cui filiale italiana è guidata da uomini di matrice berlusconiana: Marco Bogarelli, che è stato nel cda di Milan Channel, il suo vice Andrea Locatelli ha lavorato otto anni in Fininvest. E Riccardo Silva, l’omologo di Bogarelli che con la Media Partners & Silva vende i diritti all’estero, è il presidente e proprietario di Milan Channel. A fine agosto, sette club di Serie A hanno scritto alla Lega una lettera indignata: il mandato che la Lega di Adriano Galliani (numero uno del Milan) aveva affidato nel 2007 a In-front scade nel 2016, ma la società di Bogarelli sta già provando a vendere i diritti anche per il triennio 2015-2018. E Juventus, Roma e Inter (più Fiorentina, Sassuolo, Sampdoria ed Hellas Verona) non hanno intenzione di accettare un’altra tornata di negoziati in cui pare esserci “una evidente carenza di progettualità per lo sviluppo a lungo termine e per il conseguente incremento dei ricavi”. Anche Sky ha dichiarato guerra: il responsabile dei canali sportivi, Jacques Raynaud, ha scritto una lettera sul Corriere della Sera per chiedere la fine di un sistema di vendita da cui ha beneficiato soprattutto il diretto concorrente, cioè Mediaset.

NELLA RIUNIONE in Lega di ieri, Infront ha chiesto un rinnovo del mandato dal 2015 al 2021, tra 2015 e 2018 promette alla Lega un minimo garantito di 900 milioni di euro e nei tre anni successivi 930 milioni. Per il disturbo Bogarelli trattiene una trentina di milioni di commissione. I club ribelli si chiedono: come è possibile che la Premier League valga 3 miliardi e la Serie A meno di 1? Gli esperti di settore dicono che il valore viene dall’esclusiva: se il trionfo della Roma sull’Inter di domenica sera si può vedere sia su Sky che su Mediaset, il suo prezzo scende. Offrire gli stessi match su più piattaforme toglie attrattiva. Il gruppo di Murdoch vorrebbe quindi alcuni pacchetti in esclusiva, Mediaset si oppone. La In-front minaccia una terza soluzione traumatica che dovrebbe far rientrare le ribellioni: se non si trova un compromesso, la Lega venderà da sola le sue partite, facendo una televisione controllata direttamente dai club.

Per Sky sarebbe l’apocalisse. Per Mediaset invece no, come spiega un esperto al Fatto : la Lega dovrebbe affittare frequenze tv da cui trasmettere, e Mediaset ne ha in abbondanza (più complicato per Rai e Telecom), poi servirebbe un lavoro di produzione, di cui già si occupa in parte Infront, infine serve una tecnologia che discrimini chi paga l’abbonamento e chi no. Guarda caso l’unica disponibile in Italia è quella dei decoder Nagra (c’era quella alternativa di Telecom e poi Dhalia, ma è stata abbandonata). Le partite della Lega, insomma, finirebbero comunque per passare dai decoder Mediaset Premium. E la tv berlusconiana potrebbe approfittarne per vendere anche altri prodotti, come i film.

NEGLI ALTRI PAESI la concorrenza si fa offrendo prodotti diversi, da British Telecom contro BSkyB in Gran Bretagna a Sky Deutschland contro Deutsche Telekom. In Italia i due contendenti offrono le stesse partite. E con la convergenza delle diverse piattaforme (le partite Sky si possono vedere sull’IPad) è sempre più arduo sostenere che i due mercati – satellite e digitale – siano mondi non comunicanti. A parole tutti, dal consulente Infront ai club alle televisioni, dicono di voler “massimizzare il valore”, cioè portare quanti più soldi possibile nelle casse della Lega. Ma lo spezzatino sembra andare a beneficio quasi esclusivo di Mediaset, che si aggiudica la parte pregiata del calcio alla metà del prezzo di Sky. E anche di Riccardo Silva: la sua holding irlandese Media Partners & Silva, secondo l’agenzia Radiocor, ha distribuito dividendi sul 2012 per 70 milioni. Ma i ricavi per la cessione delle partite di Serie A e Serie B all’estero avrebbe determinato ricavi soltanto per 213 milioni (la Premier League inglese viene venduta per almeno 650 milioni di euro).

Il modello Infront deve essere votato in Lega: i sette club ribelli possono bloccare il rinnovo del mandato alla società di Bogarelli (servono 14 voti a favore su 20). Ma circolano già sospetti sulla Sampdoria che sarebbe pronta a passare con il fronte Milan-Infront. E a quel punto l’attuale sistema verrebbe confermato fino al 2021. Per la gioia di Mediaset e del suo azionista più noto.

Diritti tv, Infront offre 5,5 miliardi

L’advisor si fa avanti per commercializzare i match

di A dal 2015 al 2021. Con la televisione della Lega

Una ricerca di Eurisko dice che un nuovo canale attirerebbe oltre 5 milioni di utenti

di MATTEO BREGA & ALESSANDRA GOZZINI (GaSport 08-10-2013)

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Sei stagioni con incassi garantiti dal 2015 al 2021 per un totale di 5,490 miliardi di euro. È questa, in sostanza, la proposta formulata ieri da Infront ai 20 club di A durante l’assemblea di Lega a Milano. Alla quale erano presenti i vertici dell’advisor, compreso Philippe Blatter (presidente e Ceo di Infront), nipote di Sepp (numero 1 della Fifa), e quelli di Bridgepoint, il fondo azionista di riferimento di Infront con Xavier Robert, senior partner; fondo che ieri si è dichiarato sostenitore dell’operazione (il mercato interno garantisce di suo 750800 milioni, Bridgepoint andrebbe a coprire l’eventuale gap).

La proposta Infront Italy, rappresentato dal presidente Marco Bogarelli, ha chiesto di attivare le procedure finalizzate alla commercializzazione dei diritti tv del triennio 2015-18 con una certa sollecitudine (si parla di 30 giorni al massimo). Inoltre, ha chiesto che venga prorogato il contratto dell’advisor con la Lega (in scadenza nel 2016) fino al 2021 con la possibilità di aprire contestualmente il canale della Lega per produrre in proprio i match di A. Il passo avanti dell’offerta di ieri riguarda il minimo garantito: si andrebbe infatti dai 900 milioni di euro all’anno fino al 2018 ai 930 fino al 2021. In tutto, per sei stagioni, 5,490 miliardi da destinare ai club.

La tv Infront, insieme con la Commissione Diritti Audiovisivi della Lega, è pronto così a definire un piano per la distribuzione dell’intero prodotto. Una scelta che si potrebbe rendere necessaria, secondo l’advisor, nel caso in cui le offerte raccolte dal mercato (da Sky e Mediaset) fossero inadeguate. Una sorta di tutela da parte dei 20 club che sventolerebbero questa possibilità anche come una minaccia. Infront in tutto questo chiede un mandato più lungo, fino al 2021 appunto, per sviluppare pienamente il business. Ora i club di A hanno tempo fino a venerdì per raccogliere tutti i dubbi, trasformarli in quesiti e girarli a Infront che la settimana prossima risponderà. Prima della successiva assemblea ci sarà tempo per un ulteriore incontro tecnico tra i club.

Le società Non si chiedeva ai club un voto immediato sulla proposta, però vanno comunque registrate alcune perplessità. Soprattutto dei grandi club che avrebbero chiesto a Infront un business plan più articolato sullo sviluppo del prodotto calcio, quali sarebbero le modalità di suddivisione degli introiti del canale stesso e come verranno gestite le retrocessioni e le promozioni stagionali con l’ingresso di nuovi soggetti. Lo scetticismo non nasce da posizioni preconcette, ma solo dalla volontà di un ulteriore approfondimento della materia. Per Infront il canale tv è fondamentale, ma allo stesso tempo non lo reputa un passaggio vincolante per sottoscrivere la proposta fino al 2021. Nel frattempo vaglierà anche la possibilità di effettuare uno studio di fattibilità del canale, per il quale Infront e il fondo Bridgestone si assumeranno il rischio dell’avviamento per una cifra compresa tra i 3 e i 5 milioni.

Ricerca Eurisko Infront ha commissionato a Eurisko una ricerca per capire a quanti potenziali utenti potrebbe interessare un canale della Lega tutto dedicato alla A. E i dati emersi sarebbero rilevanti: 1,4 milioni di utenti arriverebbero da Mediaset, 2,3 da Sky e 1,9 da nuovi abbonati. Il totale parla di 5,6 milioni per un ipotetico nuovo canale. Ieri si è anche parlato della possibilità di ripensare ai pacchetti di Sky e Mediaset. Con la possibilità di provare ad andare incontro alla richiesta di esclusività del pacchetto destinato a Sky con qualche nuova soluzione.

LA LEGA E I DIRITTI TV

Offerta Infront

5,5 miliardi dal 2015 al 2021

La cifra ricalca il minimo garantito del triennio in corso.

Si va verso l'assicurazione di maggiori esclusive per Sky.

Juve e Milan perplesse sul progetto della tv della Lega

di STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 08-10-2013)

MILANO. Infront schiera le sue prime linee di fronte all’assemblea della Lega Serie A che deve decidere cosa fare del mandato di advisor dopo il 2016, data della scadenza dell’attuale contratto. C’è il presidente del gruppo, Philippe Blatter , nipote del numero uno della Fifa. E i vertici di Bridgepoint, il gruppo di private equity internazionale che controlla Infront dal 2011. In ballo i diritti tv del campionato dal 2015 al 2018 e anche oltre.

MINIMO QUASI MILIARDARIO Marco Bogarelli propone di proseguire con un minimo garantito da 900 milioni annui fino al 2018, con una crescita a 930 milioni nel triennio successivo. Il Napoli vorrebbe 1,2 miliardi ogni dodici mesi comprendendo anche i diritti esteri: «Sulla vendita all’estero - dice De Laurentiis - in passato abbiamo subito un biscotto perché purtroppo qui dentro non c’è la cultura dell’impresa».

LA TV DELLA LEGA In ballo anche la creazione di un canale tv della Lega per vendere direttamente le partite di A: un progetto parteciperebbe direttamente Bridgepoint. Questa sarebbe una possibilità utile anche a contrattare in maniera più forte con i due operatori del calcio a pagamento in Italia: Sky Sport e Mediaset (Infront, tra l’altro dovrà elaborare pacchetti diversi dagli attuali per soddisfare in parte le richieste avanzate dalle due emittenti, in particolare la “voglia” di maggiori esclusive da parte di Sky). Uno studio elaborato da Infront fa emergere che una piattaforma della Lega avrebbe un potenziale bacino di 5,6 milioni di utenti tra nuovi abbonati al calcio e “transfughi” di Sky e Mediaset.

RICHIESTA DI CHIARIMENTI Ma sulla creazione di questa nuova tv non c’è unanimità all’interno dell’assemblea: le divisioni sono trasversali anche all’interno dei fronti di maggioranza e opposizione. Contrarie alcune grandi e qualche provinciale scottata dalla precedente esperienza di Gioco Calcio circa dieci anni fa. Divergenze anche sul veicolo che si occuperebbe di creare la tv: una società formata da Lega e Bridgepoint, oppure un gruppo controllato dai 20 club di A (le idee sono talmente numerose che qualcuno propone addirittura una fantascientifica possibilità di una joint-venture tra Sky, Mediaset e Lega mentre lo strumento dovrebbe costituire un deterrente proprio per evitare “cartelli” delle due emittenti). Anche per questo motivo i club entro venerdì formuleranno una serie di rilievi ai quali risponderà Infront che però chiede alla Lega di decidere entro fine mese. «E’stato un interessante esame del quadro generale», spiega Beretta . «Ci vorrà ancora un mese», aggiunge De Laurentiis.

UN ALTRO JUVE-MILAN L’assemblea ha messo in scena anche un altro momento di disgelo tra Juventus e Milan, divise sul fronte politico dopo la rielezione di Beretta (i bianconeri erano a favore di Abodi ). Durante la relazione di Bogarelli, Andrea Agnelli e Galliani hanno lasciato la sala per un quarto d’ora e hanno condiviso le perplessità sulla mancanza di un business-plan relativo alla creazione della tv della Lega. Un altro segno di riavvicinamento dopo il voto comune per bocciare il quarto sponsor chiesto da De Laurentiis.

Ecco la proposta Infront alla Lega di Serie A sui diritti tv: 5,5

miliardi di minimo garantito per sei stagioni dal 2015 al 2021

di MARCO BELLINAZZO (Il Sole 24 ORE | Calcio & business 08-10-2013)

Una garanzia di incassi assicurati per sei stagioni, dal 2015 al 2021, per complessivi 5,5 miliardi. La sostanza della proposta appena presentata dal presidente di Infront Italy Marco Bogarelli all’assemblea della Lega Serie A in corso a Milano è questa.

La proposta. Infront ha chiesto di attivare con la massima sollecitudine le procedure finalizzate alla commercializzazione dei diritti tv relativi alle competizioni del triennio 2015/2016, 2016/2017 e 2017/2018, in esecuzione del contratto sottoscritto il 27 gennaio 2009. Infront assicurerà un minimo garantito di 900 milioni a stagione, come per il precedente triennio. La proposta presentata da Bogarelli prevede, inoltre, che si proroghi il contratto con l’advisor che scade nel 2016 fino al 30 giugno 2021 alle stesse condizioni del precedente, con una sola eccezione migliorativa per le società: il minimo garantito salirà da 900 a 930 milioni per ciascuna delle 3 stagioni sportive 2018/2019, 2019/2020 e 2020/2021. Per l'esattezza, quindi, la garanzia di Infront è dunque di 5.490 milioni per sei anni.

Il canale serie A. Contemporaneamente, Infront, d'intesa con la Commissione Diritti Audiovisivi della Lega, definirà un piano per l’eventuale distribuzione diretta agli utenti dell’intero prodotto Serie A in base all’articolo 13 del decreto legislativo 9/2008. Se infatti a causa dell’inadeguatezza delle offerte raccolte dal mercato, si renda opportuno dare esecuzione al progetto a partire dalla stagione 2015/2016 o dalle successive, Infront svolgerà le necessarie attività produttive e distributive. In questo caso si renderà necessario adeguare il periodo del mandato alle tempistiche di recupero dell’investimento in base allo sviluppo del business plan. L’effettiva attuazione del progetto è vincolata alla preventiva approvazione del relativo budget e delle regole di governance.

Proroga del mandato. Gli importi che Infront garantisce sono però considerevoli e il rischio di non essere in grado di recuperarli sul mercato attuale non è irrilevante. Per questo chiede alla Lega un mandato più lungo, che permetta di recuperare le eventuali perdite nel periodo fino al 2021.

La ricerca Eurisko. Infront ha anche commissionato a Eurisko una ricerca per valutare le potenzialità di un canale dedicato alla Serie A, con l’obiettivo di identificare e dimensionare il target di quanti potrebbero essere gli utenti paganti per il nuovo canale. La ricerca ha fatto riferimento a una platea di circa 23,3 milioni di individui “interessati al calcio”. Tra i dati più significativi emersi ci sono i circa 1,4 milioni di famiglie abbonate a Mediaset Premium che chiuderebbero il proprio abbonamento e i 2,3 milioni di famiglie abbonate a Sky che rinnuncerebbero al proprio (il 95% di questi lo chiuderebbero entro 6 mesi), mentre 1.9 milioni di famiglie che non hanno la PayTv acquisterebbero un canale dedicato alla serie A.

Modificato da Ghost Dog

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AS color 08-10-2013

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Tempo Scaduto di ALIGI PONTANI (Repubblica.it 08-10-2013)

Quei "bravi ragazzi" che

stanno sfasciando tutto

Come se ne esce? Come si accoppia il giusto rigore, il pugno duro, la tolleranza zero all'evidenza di aver consegnato nelle armi del nemico una pistola carica, quella del ricatto? Non se ne esce facendo come Allegri, Galliani e la loro teoria dei bravi ragazzi che sfottono: hanno fatto chiudere San Siro, quei bravi ragazzi, e si sapeva che l'avrebbero fatto. Lo faranno ancora, e altrove, gli ultrà che campano con la fetta di piccolo grande potere conquistata negli stati italiani grazie a decenni di tolleranza mille, rigore zero, morbide carezze. Ma adesso che è cominciata una guerra - quella agli incivili e ai razzisti dichiarata dall'Uefa e recepita dalla Federcalcio - il calcio italiano la deve combattere, anche se non ne aveva probabilmente nessunissima voglia. Non può tornare indietro, neppure se sotto ricatto: al Milan le prossime infrazioni costerebbero punti in classifica, partite perse a tavolino, magari l'esclusione dalle Coppe. Danni così incalcolabili da chiarire perfettamente la posta in palio e l'inadeguatezza di una politica di connivenza con chi, da uomo in più in campo, si sta trasformando in carnefice sugli spalti.

Come se ne esce? Davvero, come dicono Galliani e i presidenti in coro, la discriminazione territoriale va depenalizzata? Siamo sicuri che l'Uefa, che ha appena chiuso l'Olimpico per i cori dei tifosi della Lazio contro "i polacchi che puzzano", chieda questo? O che Vesuvio lavali col fuoco non sia razzismo? No, non siamo sicuri. E allora, forse se ne esce eliminando intanto le contraddizioni nelle sanzioni, fissando chiaramente (molto più di oggi) i confini di cosa sia razzismo, discriminazione e insulto. Gli ispettori della Figc danno l'impressione di non vedere e sentire tutti alla stessa maniera, e questo non è più tollerabile quando in ballo ci sono decisioni che alterano il campionato.

Ma non basterebbero neppure i più perfetti, fedeli e onesti degli osservatori a bordo campo per risolvere la questione. Serve soprattutto una discontinuità definitiva da parte di dirigenti, allenatori, giocatori nel loro modo di intendere i rapporti con gli ultrà. Serve che i testimonial del calcio diventino i primi artefici della lotta contro chi il calcio sta rovinando, e da anni. Serve il coraggio di quelli come Giampaolo, che hanno detto no, grazie, io gli ultrà nello spogliatoio non li voglio più, me ne vado. E serve anche l'aiuto dello Stato, che non può lasciare il calcio solo a fronteggiare il problema: i dieci, venti, cento "bravi ragazzi" che stanno sfasciando tutto, costringendo 30 mila abbonati a stare a casa mentre lo stadio si chiude, vanno presi uno ad uno e cacciati via per sempre. Non lo possono fare i club, né gli ispettori di Palazzi. Lo deve fare la polizia. Lo faccia, presto.

Davvero bravo Pontani, senza scherzi.

Sprecato alla direzione sportiva di Repubblica.

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COERENZA E MENTALITÀ

DEI TIFOSI DI CURVA B

di DAVUT GROSSI (la Repubblica - Napoli 09-10-2013)

Ha destato polemiche il gesto compiuto dalla tifoseria organizzata della Curva B domenica scorsa al San Paolo. Poco prima del fischio d’inizio gli Ultras del Napoli hanno esposto striscioni offensivi nei confronti dei napoletani intonando cori che solitamente vengono eseguiti dalle tifoserie avversarie come gesto di disprezzo. Insomma i tifosi azzurri hanno inneggiato contro se stessi usando le stesse parole con cui sono diffamati negli stadi ostili. Perché lo hanno fatto? Secondo alcuni si è trattato di una clamorosa reazione alla decisione del giudice sportivo di chiudere la curva del Milan a causa dei cori eseguiti dai tifosi milanisti durante lo scorso Milan-Napoli, secondo altri si è trattato di un gesto provocatorio e solidale tra curve. Il significato di questo gesto assolutamente unico può essere messo in relazione con ciò che costituisce la duplice essenza della coscienza Ultras: ciò che gli Ultras chiamano “coerenza” e “mentalità”. Senza questi riferimenti è impossibile capire la portata del gesto di domenica scorsa e, più in generale, è impossibile capire qualcosa delle tifoserie organizzate. Mentalità: l’espressione non designa la semplice appartenenza allo stile di vita Ultras, essa indica il fatto che l’Ultras ha posto al centro della propria opera la consapevolezza. L’espressione trova riscontro nell’uso che la tradizione filosofica idealistica napoletana ne ha fatto nella seconda metà dell’Ottocento. Con Bertando Spaventa, maestro degli hegeliani d’Italia, prendeva avvio la consuetudine di tradurre il termine tedesco Selbstständigkeit con il termine Mentalità.

Farneticazioni? Eppure l’Ultras intende la Mentalità come regola, come posizione della centralità del tifo rispetto al calcio. Veniamo alla “Coerenza”: l’idea che sostiene questo principio consiste nella persuasione che la fede vada testimoniata fino al paradosso. Tale è la disciplina che orienta l’Ultras verso il concetto del proprio compito: egli sarà disposto ad auto-togliersi (offendersi) pur di rispettare il principio di autonomia che determina la Mentalità. Nei comportamenti del Capo-Corifeo sono manifesti questi tratti. Egli dà le spalle al campo per guardare la gradinata che intona il canto in cui si ri-conosce la comunità, il coro diventa allora l’eco della parola che muove verso la curva e dalla curva. Nel campo non avviene alcuno spettacolo, esso è ora l’astratto, la pura idea, un colore, un nome ma quando il coro si rivolge al campo allora, solo allora, incomincia la storia e appare un mondo, la partita. Per questo l’Ultras è ostile al coro per il singolo calciatore, che è nient’altro che idolatria. Egli tiene ferma la verità della maglia, ciò che è comune e che pertanto è l’unica cosa ad avere valore e quindi a meritare sostegno.

Dunque solo in prima istanza l’auto-razzismo di domenica scorsa rappresentava una reazione ai provvedimenti repressivi con i quali il giudice sportivo aveva sanzionato il Milan. Gli Ultras non intendevano manifestare solidarietà ai milanisti, ma affermare la propria libertà come opposizione al tentativo di distinguere il canto dal suo contenuto, che qualcuno possa decidere sopra di esso. In secondo luogo, ed è questo l’aspetto essenziale, l’Ultras, facendosi carico dell’offesa più ignobile, si portava al di là di qualunque offesa. Ora quel coro nemico diventa segno dell’identità napoletana come affermazione, come valore non più negativo ma positivo. Cantando contro se stesso l’Ultras si porta al di là di se stesso, egli compie il gesto che trascende l’opposizione tra squadre. Il napoletano è ora il concetto stesso del cantare, dell’offendere, dell’opporre, del tifare. Egli è l’universale, e più che questo. La sua lotta, quella per il diritto al coro e all’odio, è diventata lotta per sé come individualità.

Nessuno potrà infatti più cantare “coleroso” e “lavali col fuoco” senza sentire le voci dei napoletani che hanno reso proprie queste bestemmie. Il napoletano non canta più contro quel coro, egli è dentro quel coro. L’odio non può più colpirlo. Perché il napoletano ha cantato contro di Sé per la giustizia dell’odio. Per la sua legittimità. La curva non accetta per questo l’insulto ma lo afferma, diventa artefice. Dice No a se stesso per dire Sì al proprio opporre, al proprio grido. Si tratta da ultimo, per l’Ultras, di contrastare la volontà di rendere l’agone calcistico un puro sfondo televisivo. L’idea di base consiste in ciò: che la maglia non veste soltanto i calciatori ma rappresenta una città intera. La città non deve divertirsi allo stadio ma partecipare dell’azione, dell’atto col quale essa incontra le altre nel torneo in cui si riconoscono scontrandosi come coscienze, collettività, identità.

Questo è in gioco per l’Ultras nel calcio ed è perché si tratta di una cosa seria che egli si è reso capace della più alta ironia, quella che lo ha fatto abile a distaccarsi finanche dai propri colori pur di affermarli, pur di affermare il modo dell’affermazione: il tifo ultras. Che non è il tifo occasionale, che non è il tifo della pay-tv, del salotto, delle pubblicità. Ma è il tifo dell’abbraccio, del canto, della scrittura, della partecipazione, dell’occhio che tocca, dell’urlo che è vita. Ecco che i tifosi per i colori sono andati oltre i colori dimostrando d’esser loro tanto più in alto degli sporchi cori nordisti da poterli ripetere, da poterli assumere e quindi superare. Essi domenica si sono portati oltre il razzismo. Sono diventati indifferenti al razzismo, lo hanno annientato. Quei cori sono ora in loro, non più fuori. Ne sono i padroni. Quale affronto più grande ai milanisti e quale più alta coerenza alla propria idea? L’idea che nessuno può essere discriminato per un motto, per un lazzo, per un coro.

Beninteso: l’Ultras combatte il razzismo e ha in spregio le infamie dei milanisti, ma rispetta l’odio e l’iperbole perché vede ancora dietro gli insulti di Bergamo, Brescia, Terni, Verona, Vicenza, Bari, Roma, l’odio fondamentale e le città in gioco, la dismisura ebbra di violenza: catarsi necessaria della città. Dietro l’odio s’agita lo scontro che mette in ordine; l’appartenenza geografica resta così irriducibile alla semplice preferenza. D’altronde il progetto del calcio moderno è quello di smantellare questa struttura dell’affezione in favore della pura mania televisiva, di ridurre a spettacolo la lotta e di formare tifosi da salotto spersonalizzati e non radicati nell’identità della propria tifoseria-città. Tutto questo sta dietro l’idea dello stadio come centro commerciale che l’Ultras combatte. Il calcio moderno ha bisogno di consumatori, non di tifosi, e il progetto di demonizzazione delle curve appartiene alla volontà di rimuovere il residuo agonistico-politico del tifo.

Ma il tifoso Ultras sa che è tragico il proprio destino, che il mondo nel quale vive non cambierà in virtù del proprio No, eppure egli canta. Questa la sua legge, il suo comando, l’intima coerenza della mentalità: cantare. E in questo “eppure” risiede la sua passione e la sua forza. Dal San Paolo un coro più d’ogni altro attesta dell’Ultras quest’etica della violenza non-violenta, più efficace di qualunque provvedimento politicamente corretto: “In un mondo che non ci vuole più, canterò di più, canterò di più”. Conserva l’Ultras dell’agonismo antico e delle antiche tragedie i valori più alti: la volontà di supremazia e il canto.

T.s.o.

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Abete: I club hanno

scoperto l’acqua calda...

Il presidente della Figc: «La discriminazione territoriale?

La norma esiste da anni, ora sono state inasprite le sanzioni

Prima le multe, oggi si chiudono gli stadi. Aspetto proposte»

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 09-10-2013)

ROMA - «Possiamo discutere per migliorare ma una cosa è evidente: in materia di discriminazioni il punto di riferimento è e resta la normativa dell’Uefa». Giancarlo Abete, presidente della Figc, non chiude la porta ad Adriano Galliani e alla Lega ma non la spalanca nemmeno. Lunedì ha seguito da lontano le vicende calcistiche italiane essendo impegnato a Budapest per conto dell’Uefa. Lì lo ha raggiunto la telefonata del vice-presidente del Milan. Ora aspetta di leggere la lettera che gli invierà Maurizio Beretta, presidente della Lega. Il cuore della questione è semplice: la norma, almeno per quanto riguarda la discriminazione territoriale, va riformata.

Presidente, è pronto a rimaneggiare i codici?

«Aspetto che venga articolata una proposta. Quando ci sarà, la valuteremo».

Con quali margini?

«La normativa fa riferimento a un quadro internazionale strutturato. Noi non abbiamo fatto altro che inserirci nell’alveo regolamentare definito dall’Uefa, per giunta approfondendo la questione».

Cosa intende dire?

«La normativa ha avuto due passaggi in Consiglio Federale. Gli approfondimenti non sono mancati. In più, qualsiasi novità inserita nelle Noif o nel codice di giustizia sportiva passa al vaglio del Coni».

Procedura seguita anche in questo caso?

«Senza alcun dubbio».

Discorso chiuso?

«Se ci sono da fare delle riflessioni su alcuni aspetti relativi all’applicazione della norma, ad alcune fattispecie, le faremo. Ma, ripeto, il quadro di riferimento è ben strutturato».

Galliani e i presidenti di A sollevano una questione specifica: la discriminazione territoriale, riferimento che manca nella disciplina europea.

«E’ vero ma la Uefa propone un concetto anche più generale: la dignità delle persone. E se si legge con attenzione la motivazione che ha portato alla condanna della Lazio dopo la partita con il Legia, ci si rende conto che la sanzione non è scattata per una offesa razzista, ma proprio per ingiurie che hanno riguardato la dignità personale».

I presidenti dicono, però, che questo riferimento rende la norma italiana più dura. Concorda?

«Ogni legislazione fa i conti con le situazioni specifiche. E la discriminazione territoriale non è un fungo spuntato all’improvviso nei nostri codici. C’è da tempo».

Da quanto tempo?

«Guardi, ho fatto rapidamente una ricerca: il riferimento è presente nei nostri codici dal 1990».

Non è nata con questo giro di vite richiesto dall’Uefa.

«No. L’unica novità è nel complesso sanzionatorio».

Prima arrivava una multa, adesso...

«Adesso si chiudono le curve e gli stadi. E’ questa la diversità e questa diversità ha fatto scattare l’attenzione. Ma la discriminazione territoriale era già uno strumento di contrasto: è stata solo rafforzata la pena».

Conseguenza?

«La questione della non punibilità della discriminazione territoriale i presidenti avrebbero dovuto sollevarla prima, molti anni fa. Un certo atteggiamento è punibile tanto che venga sanzionato con una multa quanto che venga colpito con la chiusura di uno stadio. Ripeto: la discriminazione territoriale è presente nei nostri codici da anni. La Uefa, nel frattempo, ha ampliato il raggio di azione parlando di dignità della persona. A volte scopriamo l’acqua calda. Prenda la storia della Lazio...».

In che senso?

«Il Fare (Football against racism in Europe, ndr) non è un soggetto sconosciuto, è una rete che collabora con la Uefa per combattere il fenomeno della discriminazione razziale. Sembra quasi, invece, che la denuncia contro la Lazio sia partita da un passante che si trovava lì per caso».

I presidenti dicono: così siamo ostaggi degli ultras. Non pensa che abbiano qualche ragione?

«Il principio della responsabilità oggettiva è la colonna portante dei codici di disciplina della Fifa e della Uefa. E’ evidente che si tratta di un principio che finisce per scaricare su un soggetto le colpe di terzi. Ma si tratta di un punto di riferimento internazionale. Quando la sanzione era di tipo pecuniario, nessuno parlava di azioni ricattatorie».

Le società devono farsene una ragione?

«C’è una disciplina internazionale a cui noi ci siamo adeguati, una disciplina di forte contrasto. Cinque-sei società italiane partecipano alle Coppe europee e si ritrovano a fare i conti con le medesime sanzioni: non ci sarà il riferimento alla discriminazione territoriale ma quello alla dignità umana è anche più generale e coinvolge veramente tutto».

Ma non si potrebbero prevedere delle attenuanti?

«L’indicazione data con le norme è chiara. Poi è doveroso un approfondimento sulle procedure, sulle fattispecie, sulle condizioni. La Federazione è aperta al confronto ma il quadro di riferimento internazionale è quello».

Il sociologo Libro sul fenomeno

«La discriminazione territoriale

è punto cardine della norma»

Valeri «È qualcosa che coinvolge tutti, giusto contrastarlo. Occorre una cultura sportiva»

di ROBERTO VENTRE (IL MATTINO 09-10-2013)

Il razzismo nello sport. Un tema scottante trattato in diverse pubblicazioni da Mauro Valeri, sociologo e psicoterapeuta, responsabile dal 2005 dell’Osservatorio su razzismo e antirazzismo nel calcio, autore del volume «Che razza di tifo», edito da Donzelli. «Stiamo attenti al monitoraggio di tutte le sentenze del giudice sportivo sui fenomeni di razzismo e discriminazione territoriale associati al calcio. E sono già numerosi gli episodi segnalati nel corso degli ultimi anni, adesso la risonanza è maggiore perché la norma è stata applicata più volte a distanza ravvicinata».

La norma sulla discriminazione territoriale, si è acceso un ampio dibattito: qual è la sua posizione?

«La norma è inserita nel codice di giustizia sportiva, la discriminazione territoriale è un punto cardine ed è uno degli elementi da contrastare con maggiore fermezza negli stadi. Giusto, anzi direi doveroso, che il giudice sportivo la applichi quando sia riscontrata la violazione di questi principi».

Galliani ha proposto l’abrograzione della norma...

«Sarebbe la cosa peggiore in questo momento perché si farebbe solo una cortesia ai razzisti. E poi la norma s’ispira a quella presente nel codice di disciplina dell’Uefa che definisce quattro punti di discriminazione territoriale collegati alla razza, alla religione, all’origine etnica e alla lingua».

I cori antinapoletani rientrano tra quelli di discriminazione territoriale?

«La valutazione di caso a caso a caso spetta al giudice sportivo. Di base i cori contro i napoletani, quelli inneggianti al Vesuvio e che ricordano il colera e il terremoto sono palesemente discriminatori. Ma il fenomeno non riguarda solo i napoletani, oppure la divisione tra il nord e il sud. È molto più esteso ed è giusto contrastarlo».

Ritiene opportuna la chiusura degli stadi?

«È prevista dalla norma e quindi va applicata, può essere un deterrente. Sicuramente in Italia va migliorata la cultura sportiva e va fatta una migliore informazione sul tema. Cioè va fatta una netta distinzione tra gli sfottò e i fenomeni di discriminazione territoriale, che sono cosa ben diversa. Alla base sarebbe opportuna una maggiore chiarezza ma soprattutto una maggiore educazione».

Le curve solidarizzano con i tifosi del Milan...

«Questo fa parte di un codice comportamentale tra tifosi. La norma va interpretata dal giudice sportivo e comunque varia da nazione a nazione perché in Italia gli elementi discriminatori possono essere diversi rispetto a quelli degli altri paesi. Sicuramente vanno debellati gli episodi di discriminazione territoriale con la stessa fermezza degli episodi di razzismo perché tutti e due fanno male».

«Laziale burino è discriminazione?»

Contucci: «È necessario chiarire il prima possibile cosa si intende

per discriminazione territoriale. Chi vive lo stadio in un certo

modo non si offende di fronte a certi insulti. A me preoccupa

quando l’insulto me lo fa il presidente di un partito politico»

«Non dimentichiamo che il calcio è uno spettacolo che si basa sul campanilismo»

di PIETRO ANDREA COLETTI (IL ROMANISTA 09-10-2013)

Dopo la decisione del Giudice Sportivo di chiudere San Siro dopo i cori dei milanisti contro i napoletani, il mondo del calcio si interroga sulla norma che uniforma la discriminazione territoriale a quella razziale. «È necessario chiarire il prima possibile cosa si intende per discriminazione territoriale. Ci devono dire cosa si può e cosa non si può più dire». Così l’avvocato penalista Lorenzo Contucci, vice-presidente di MyRoma e storico tifoso giallorosso, ha commentato a Il Romanista la controversa norma che rischia di investire anche la Roma. Infatti in caso di cori discriminatori durante Roma-Napoli del prossimo 18 ottobre lo stadio Olimpico potrebbe essere chiuso al pubblico.

Avvocato, qual è la sua opinione in merito all’applicazione della norma sulla discriminazione territoriale?

Ci tengo a precisare che parlo a titolo personale. Credo di essere abbastanza equilibrato se dico che in assenza di parametri certi si stia esagerando. O si dice apertamente e chiaramente cosa significa e cosa si intende per discriminazione territoriale, e allora si sa quali sono i paletti che non possono essere superati, o, se non si ha questa certezza, si rischia di arrivare a delle situazioni assurde a seconda di chi è l’ispettore della Lega che si trova in campo. Faccio un esempio: se io faccio uno striscione con scritto "laziale burino" è discriminazione territoriale perché per burino si intende magari una persona che viene dai campi e che non è residente a Roma? Se così è, allora posso dire che se dovessero chiudere lo stadio alla Roma per uno striscione di questo genere saremo di fronte a qualcosa di incredibile perché quello è da sempre il modo con cui i romanisti sfottono i laziali. Ritengo che la vera discriminazione sia quando si è in presenza di epiteti che sono biecamente razzisti, bisogna riflettere se un coro contro i tifosi del Napoli che viene cantato da vent’anni possa essere ritenuto tale. Non dobbiamo mai dimenticare che il calcio è uno spettacolo che si basa sul campanilismo. Mi chiedo: in quale modo si potrà prendere in giro un tifoso rivale? Qual è il limite? Si chiarisca quello che si può e non si può dire così i tifosi sapranno come comportarsi, se però si rimane sul vago è un qualcosa che fa si che la discrezionalità sia assoluta. Senza considerare che tutto questo dà un enorme potere a chi vuole chiudere uno stadio. È sufficiente che un centinaio di persone, come accaduto a Torino con i tifosi del Milan, facciano un coro discriminatorio che a quel punto pagano 50 mila che non hanno nulla a che fare con quei 100. E ci rimettono anche le società da un punto di vista d’immagine ed economico. Io credo si stia veramente esagerando. Perché poi da cosa nasce cosa. In futuro non si potrà neanche più dire "arbitro ċornuto" perché è una discriminazione nei confronti delle donne che vogliono andare giustamente a letto con altri che non siano il marito? Si potrà dire "arbitro panzone" o "Lorenzo Contucci pelato"?

Il presidente del Coni Malagò ha detto che è necessario uniformarsi alle disposizioni dell’Uefa mentre Abete ha proposto di riflettere sulle modalità applicative della norma.

Capisco l’imbarazzo di questi organisimi. Del resto ci sono delle indicazioni che dovrebbero tenere conto delle diversità dei paesi europei. L’Italia è nazione da 160 anni, l’Inghilterra da più di 500. Determinati campanilismi sono duri a morire. D’altronde simili insulti si ascoltano anche da parte di esponenti del partito denominato Lega Nord che ha avuto il suo attuale presidente come Ministro dell’Interno, è questo il vero problema. Si parte sempre dagli stadi e dagli strati popolari quando noi abbiamo un partito che fa della discriminazione territoriale uno slogan. Bisognerebbe fare pulizia nel parlamento italiano prima che nelle curve.

Che soluzioni possono proporre le associazioni dei tifosi?

Come associazione penso che dovremmo riuscire a capire cosa si intenda per discriminazione. Da tifoso della Roma sono certo che io il prossimo anno non mi farò l’abbonamento. Nel momento in cui la politica è quella di chiudere le curve e chiudere gli stadi, e io non ho alcun potere di controllo su tutto questo, l’unica soluzione è non abbonarsi. Anche perché se io mi abbono, abbiamo visto che se chiudono la curva io non posso comprare il biglietto in un altro settore.

La Curva Nord dell’Inter ha invitato tutti gli ultrà ad azioni congiunte per far chiudere tutti gli stadi.

È una provocazione. Basterebbe riflettere su questo: se tutte quante le curve dovessero raccogliere l’invito della Curva Nord dell’Inter, noi avremo nel giro di due settimane tutti gli stadi chiusi. Non so se questo è il modo per sconfiggere il calcio moderno...

Il 18 ottobre c’è Roma-Napoli. In caso di cori discriminatori la Roma rischia la chiusura dell’Olimpico.

Abbiamo visto che bastano 100 persone quindi è impossibile controllarne 40 mila. Per quanto mi riguarda, facessero come credono. Se accade, chiuderanno probabilmente lo stadio. Roma-Napoli è sempre stata una partita connotata da una verbosità particolare. Questi rimedi eccessivi sembrano che valgano soltanto contro Napoli, perché quando a Milano dicono "romano bastardo" nessuno dice niente. È lì che è necessario che si abbia un chiarimento su cosa è discriminatorio e cosa no. Io ritengo che almeno tra tifoserie di curva queste forme di insulto sia paradossalmente accettata. Io non mi offendo se a Milano mi dicono "romano bastardo". Chi vive lo stadio in un certo modo non si offende di fronte a certi insulti. A me preoccupa quando "romano bastardo" me lo dice il presidente di un partito politico.

Stagliano: «Nel caso della Roma

al primo episodio Olimpico salvo»

di DANIELE GALLI (IL ROMANISTA 09-10-2013)

Olimpico chiuso se in Roma-Napoli si dovessero verificare dei cori contro i napoletani? C’è chi dice no. «Nell’ipotesi della Roma, ho serissimi dubbi che al primo episodio possa essere sancita la chiusura dello stadio». Mario Stagliano ne è discretamente convinto. E al "Romanista" spiega perché. «Non ritengo - spiega l’ex braccio destro di Italo Pappa alla Procura federale - che ci sia la recidiva prevista dalla normativa del 5 agosto. La sanzione della chiusura della Curva è infatti antecedente a quella data». In pratica, secondo Stagliano, la Roma è "vergine". Ha pagato in occasione della prima giornata di questo campionato i cori contro Balotelli, che risalivano alla passata stagione ed erano stati puniti sulla base di articoli precedenti al 5 agosto.

Ma cosa dice esattamente la nuova normativa? Uniformandosi ai principi della Uefa, è stato azzerato il sistema di esimenti che consentiva ai club che collaboravano di evitare, in presenza di episodi di discriminazione, le sanzioni severissime previste dall’articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva. Articolo che ora, in caso di prima violazione, dispone automaticamente - attenzione: automaticamente - la squalifica del settore responsabile, in caso di seconda violazione la chiusura dello stadio e, al terzo episodio, lo 0-3 a tavolino, la penalizzazione in classifica e, addirittura, «l’esclusione dal campionato di competenza o da qualsiasi altra competizione agonistica obbligatoria, con assegnazione da parte del Consiglio federale ad uno dei campionati di categoria inferiore».

3 domande a... WILLIAM GAILLARD

CONSIGLIERE DEL PRESIDENTE UEFA

«Razzismo o campanilismo?

Decide la Figc come agire»

In Italia si discute sulla differenza tra discriminazione razziale

e territoriale. Ecco l’intervista a Gianni Infantino, segretario

generale dell’Uefa che è riunita in questi giorni a Strasburgo.

di MAURIZIO GALDI (GaSport 09-10-2013)

1 L’Uefa ha introdotto sanzioni definite dure quando non si tratta di razzismo ma di discriminazione territoriale?

Abbiamo letto anche noi delle vicende legate alla chiusura di San Siro. La posizione dell’Uefa è chiarissima e il nostro regolamento di disciplina è altrettanto chiaro. Abbiamo introdotto delle punizioni esemplari per le discriminazioni in generale. Noi vogliamo che passi un messaggio: zero tolleranza verso le discriminazioni.

2 Ma esiste una differenza tra razzismo e campanilismo, che molti sostengono si celi dietro quello che viene tacciato di discriminazione territoriale?

Noi parliamo in generale di discriminazioni, ma siamo in contatto con le Federazioni e con loro il confronto è sempre aperto e chiaro. Era necessario dare un segnale forte contro le discriminazioni e aver previsto sanzioni dure è importante. Poi la differenziazione tra le tipologie delle discriminazioni è compito delle Federazioni.

3 L’Uefa in futuro potrebbe fare delle differenziazioni tra le discriminazioni e le sanzioni?

Non voglio parlare dell’Italia, ma della Scozia. In quella Federazione era molto importante la discriminazione religiosa e hanno ritenuto che fosse necessario intervenire. Perciò in virtù di questa interpretazione sia a livello nazionale sia per impegni internazionali, teniamo conto questi aspetti.

Lotito: “Il razzismo non c’è

e i club sono solo ostaggi”

di MARCO MENSURATI (la Repubblica 09-10-2013)

Claudio Lotito, la Lazio ha avuto un problema simile a quello del Milan.

«Sì, identico. Siamo club sotto ricatto, ostaggi».

Magari avrete anche qualche responsabilità...

«Ma che scherziamo? Che colpa abbiamo noi?»

Non potreste prendere maggiormente le distanze da certi tifosi?

«Proprio a me lo dice? Io ho combattuto una guerra senza quartiere a certa gente. E allo stadio mi fischiano ancora oggi. Il problema è molto più grande, e va capito».

Capiamolo.

«È in primis una questione antropologica. Prima nella società c’erano i punti di riferimento. C’era la sinergia tra famiglia e scuola, c’era l’oratorio, c’erano i partiti. Oggi tutto questo non c’è più. Ci sono solo giovani psicologicamente fragili. Che si rafforzano nella più banale logica del branco. È attraverso il branco che questi ragazzini, che poi sono tutti tra i 14 e 18 anni quelli che fanno certe cose, si costruiscono un’identità. E lo stadio è il luogo dove si compiono i riti del branco».

Bene. Quindi?

«Quindi bisogna reprimere i fenomeni che arrecano nocumento alla collettività, i fumogeni, le bombe carta, le botte. Ma per quelli di maleducazione occorre intervenire con intelligenza e nelle sedi opportune».

Insomma, è sbagliata la norma della Figc.

«La Figc ha recepito una regola europea. Io l’avevo detto subito che andava recepita cum grano salis, le norme devono attagliarsi agli usi e ai costumi dei posti dove si devono applicare, e alle infrastrutture ».

Alle infrastrutture?

«Già, se avessi uno stadio mio, da 30mila posti, dopo un po’ i tifosi li conoscerei a uno a uno, e potrei rifiutarmi di vendere i biglietti a chi so che si comporta male. Questo avviene negli stadi inglesi, dove c’è un rapporto empatico, intimo col club».

In Italia invece...

«Io avevo proposto come prima cosa di trovare un modo per dare una dimensione omogenea e univoca al fenomeno. Come faccio a punire uno stadio, un club, una città per venti cretini? Ci vuole che la cosa sia almeno numericamente rilevante. Poi occorre distinguere: ci sono le sfaccettature territoriali, che sono frutto di una cultura sbagliata ma che non sono offensive. E ci sono i buu: non sono razzismo, sono stupidità e maleducazione, sono la classica azione i cui effetti vanno molto oltre la volontà di chi li compie».

Insomma, come se ne esce?

«Con l’intelligenza di capire quali sono i veri problemi, con la capacità di applicare le norme tenendo conto delle situazioni e con il buon senso di non drammatizzare: in Italia non siamo razzisti, in Italia il razzismo lo abbiamo solo subito».

Il caso San Siro

Due tifosi, un avvocato e un professore

commentano la chiusura per i cori sul Napoli

“La decisione è giusta, tocca

alle società isolare gli estremisti”

Onado: si sa chi sono gli urlatori

di MATTEO PUCCIARELLI (la Repubblica - Milano 09-10-2013)

«Le direttive Uefa sono giuste, la chiusura è giusta. Bisogna rivalutare le questioni di principio», dice Marco Onado, professore nel dipartimento della Finanza alla Bocconi, commissario della Consob dal 1993 al 1998, ma soprattutto appassionato tifoso milanista per anni abbonato al secondo anello («erano gli anni di Fabio Capello, quanta nostalgia», ammette).

Fosse stato ancora abbonato, non le avrebbe dato fastidio dover pagare per dei cori di pochi?

«E certo, mi sarebbero girate le scatole e anche parecchio. Sarebbe stato anche un danno economico oltretutto. Ma sa qual è la cosa che più mi fa arrabbiare? Che non ci si decida una volta per tutte di identificare chi sono quelli che fanno questi cori. Ormai entrare allo stadio è più difficile che fare un attentato terroristico a Guantanamo. Sei iper schedato, iper controllato, steward ovunque, mille tornelli da superare, carte di identità e così via. E mi venite a dire che non si sa chi sono gli urlatori? Ma dai».

Galliani dice che comunque la sanzione è troppo dura, che cosa ne pensa?

«Ma la società deve semplicemente dissociarsi dalle frange estreme del proprio tifo. Invece di lamentarci della punizione, appunto, impegniamoci a capire chi sono questi imbecilli. Non è possibile che tutti siano sempre in balia e spesso collusi con pezzi di curva razziste e naziste ».

Ma secondo lei non c’è differenza tra razzismo e questione territoriale?

«L’insulto territoriale è comunque una forma di razzismo. Ho sentito le parole di Massimiliano Allegri, giustifica gli sfottò come li chiama lui, una cosa vergognosa. Ah, ci fosse un galantuomo come Paolo Maldini in quella società... ».

Allegri è livornese. Un coro dei livornesi contro i pisani, per dire, è razzista?

«Ma sa, i toscani sono campanilisti, poi ci vuole sempre un po’ di buon senso per rendersi conto qual è il confine. L’ultimo caso contro i napoletani era un fatto tendenzialmente razzista».

Gli ultrà milanisti e interisti protestano insieme contro la decisione, che insomma alla fine sembra aver affratellato due tifoserie nemiche...

«Eh già, la nuova frontiera della collusione, poveri noi mi viene da dire».

Resta il fatto che se il piano degli ultrà andasse in porto, si finirebbe con un campionato a porte chiuse. Non sarebbe un boomerang?

«Ma proprio per questo le società sono la chiave di tutto. Si possono dare degli incentivi a quelle che collaborano, che si schierano contro questo tifo irresponsabile, perché questo piagnucolare è insopportabile. Collabori davvero? E allora niente 0-3 a tavolino».

Ma lo stadio resta chiuso.

«Guardi a pensarci bene non sottovaluterei comunque lo 0-3 a tavolino, di questi tempi per il Milan non sarebbe un cattivo risultato».

“Così il meccanismo si presta

ai ricatti, bisogna rivederlo”

Arnaboldi: vietate le trasferte ai tifosi

di LUCA BOLOGNINI (la Repubblica - Milano 09-10-2013)

Luca Arnaboldi, avvocato, senior partner dello studio legale Carnelutti, soprattutto (in questo caso) appassionato di calcio e interista, è quasi rapito dalle ultime vicende: «I cori, la chiusura di San Siro, la Nord che invita al razzismo per far chiudere gli stadi... Siamo tra Beckett, Buzzati e Kafka. Un racconto impossibile e iper-realistico».

Tutto vero invece.

«E i problemi sono serissimi: la mancanza di senso civico e sportivo, il razzismo, l’ordine pubblico. Va impostato un lavoro di anni: cambiare la testa della gente e prendere provvedimenti ben precisi, sulla scia di quelli inglesi».

Ovvero?

«L’Inghilterra era messa peggio, con gli hooligan. Ricorderà l’Heysel. La repressione fu durissima, ma con criterio, non alla cieca, e si lavorò sulla cultura sportiva, si fecero stadi per famiglie. Da noi ci sono provvedimenti inutili e scioccamente penalizzanti, tipo la tessera del tifoso. E stadi difficilissimi, scomodi. Il luogo dell’evento determina il comportamento dell’uomo. Stadi concepiti per star insieme: si lavori su questo».

Altro?

«Il Milan dice che i cori anti-Napoli sono avvenuti in trasferta, dove non ha potere. Vero. Ma allora si vietino le trasferte».

Prego? Ma non è incostituzionale, tra l’altro?

«Sul serio. Pensi a quanti problemi si risolverebbero. Niente scontri, a parte tifosi kamikaze contro la polizia, niente lotte tra cori beceri. Sarebbe costituzionale, perché le partite per legge sono spettacoli privati, per questo le si può trasmettere in pay tv e non in chiaro. Chi le organizza fa entrare chi vuole».

Nell’attesa non si può ragionare sui cori?

«Certo. Serve un codice che precisi cos’è discriminazione razziale e cosa discriminazione “territoriale” l’innocente ironia sui luoghi comuni. Dovremmo vietare il Palio di Siena perché i contradaioli si insultano pesantemente? E poi, cos’è la discriminazione razziale? Se uno dice che Balotelli è scemo è razzismo o no? Sono cose da stabilire con certezza, non lasciate a interpretazioni. Sennò il meccanismo si presta ad abusi e ricatti. Però...».

Però?

«Però la chiusura di uno stadio può portare i tifosi estranei a reagire. Se chi è innocente rintuzzasse certe azioni di certi ultrà sarebbe il modo di non far passare l’equazione curva=violenti».

Dell’idea della Nord cosa pensa?

«Come giochino è divertente, tanto di cappello all’auto-insulto che i tifosi del Napoli si sono riservati domenica, geniale e autoironico. Ma le sanzioni sono serissime: ora il Milan rischia partite perse a tavolino, penalità, l’esclusione dalla serie A».

Da interista sarà contento dell’ipotesi.

«Come battuta sì. Seriamente, i danni sportivi ed economici sarebbero clamorosi. Le società spendano per migliorare gli stadi ed educare allo sport: se scattassero sanzioni così gravi perderebbero molto di più».

«Ma allo stadio lasciateci

la possibilità di sfotterci»

Intervista a Nino D’Angelo «Con queste nuove regole si

penalizza l’ironia. E nessun napoletano si è sentito offeso»

di RAFFAELE NESPOLI (l'Unità 09-10-2013)

«LASCIATECI ALMENO LA POSSIBILITÀ DI PRENDERCI UN PO’ IN GIRO, SE CONTINUA COSÌ FINISCE CHE ALLO STADIO CI DOVREMO ANDARECON IL BAVAGLIO». L’ex “ragazzo della curva B”, Nino D’Angelo, commenta così la squalifica inferta al Milan per “cori razzisti”. D’Angelo, simbolo di una città che ha sempre fatto dell’ironia negli stadi un vanto, si unisce ad un altro coro, quello di quanti ritengono che le nuove regole siano «troppo rigide».

Non crede che fosse arrivato il momento di finirla con i cori razzisti?

«I cori razzisti vanno sempre stigmatizzati, sono odiosi. Ma quello che stiamo vedendo è diverso. Qui si penalizza l’ironia, lo sfottò che ha sempre contraddistinto le partite. Al San Paolo si sono sempre sentiti cori sulla rivalità tutta italiana tra Nord e Sud, ma non credo che nessun napoletano si sia sentito offeso. Abbiamo sempre trovato il modo di rispondere con ironia».

Ad esempio?

«Tutti si ricordano una partita nella quale in curva B campeggiava uno striscione con su scritto “Giulietta è na’ zoċċola!”. Io se ci ripenso rido ancora. Ma il calcio è anche questo».

E come si fa a decidere se è razzismo o sfottò?

«Basterebbe un po’ di buon senso. Ascoltare dei “bu” quando un giocatore di colore prende palla, questo sì che mi infastidisce. Ma non mi venite a dire che non si può più urlare “chi non salta juventino è”, l’importante è che gli avversari siano lì a controbattere. Non mi piace sentire cori contro i napoletani in una partita che non vede il Napoli in campo. In quel caso è odio ingiustificato».

Cosa pensa degli striscioni “autorazzisti” comparsi al San Paolo?

«Sono la prova che non si deve esagerare, che le regole devono essere applicate con criterio. Del resto sanzionare le società per responsabilità oggettiva è una follia. Così si rischia anche di offrire a certe frange di tifo estremo un’arma di ricatto».

Lei va ancora allo stadio?

«Quasi mai, la partita la vedo in tv.A me mi squalificherebbero subito… Scherzo».

Non le capita di urlare comunque qualche sfottò?

«Sempre. Io poi sto messo male perché ho moltissimi amici juventini, milanisti e romanisti. Quindi è un continuo prenderci in giro».

Si sente di lanciare uno sfottò in vista del match dell’Olimpico?

«Preferisco evitare, da buon napoletano aspetto il risultato prima di parlare. Però vorrei che si riflettesse su una cosa: uno degli striscioni più belli che io abbia mai visto risale all’anno dello scudetto azzurro. Non comparve allo stadio, bensì al cimitero. Nessuno però si arrabbiò, sopra c’era scritto solo “E che ve site perso!”».

Teo Teocoli Il comico chiede il rispetto dello stile rossonero da parte (anche) di Balotelli e Mexes

«San Siro chiuso per colpa di quattro pirla? Triste

ma fanno peggio certi comportamenti in campo»

di NICOLA PALMA (Quotidiano Sportivo 09-10-2013)

«Devo dire che ne ho sentiti di più spiritosi...». E giù l’elenco di sfottò anni Ottanta: dal celebre striscione “Giulietta è ’na z...” esposto dagli ultrà napoletani a Verona al “Forza Etna” indirizzato ai sostenitori del Catania. Teo Teocoli, storico tifoso rossonero, ne ha viste di tutti i colori: «Quello che cantano oggi non mi fa ridere», chiarisce l’attore.

Ma basta un coro a far chiudere uno stadio intero?

«Non ero allo stadio di Torino domenica, ma non mi sembra che i presenti abbiano avvertito cori così ripetuti. Detto questo, non possono certo essere quattro pirla a far chiudere uno stadio come San Siro».

Come giudica quei cori?

«Fanno parte di quelle rivalità tra tifoserie che spesso vanno al di là del calcio e che c’entrano poco con lo sport. Secondo me, all’estero si stanno facendo una bella risata. Per non piangere».

Cioè?

«Voglio dire: il Meazza chiuso al tifo è una cosa enorme. Vi immaginate il vecchio Wembley o il Santiago Bernabeu chiusi per una cosa del genere?».

Difficile immaginarsi anche San Siro deserto, a dir la verità.

«In effetti, non riesco a crederci anch’io: sarà una tristezza, non voglio nemmeno pensarci».

L’ad rossonero Adriano Galliani ha chiesto l’abolizione della norma sulla discriminazione territoriale: d’accordo?

«Be’, direi che di questi tempi Galliani si dovrebbe occupare d’altro...».

Vale a dire?

«Di quello che succede sul terreno di gioco, ad esempio. Due anni fa era capitato a Ibrahimovic: fuori per tre giornate. Quest’anno è capitato prima a Balotelli, fuori per tre giornate, e poi a Mexes, squalificato per quattro turni. Non sono comportamenti da Milan, una società che ha sempre fatto della lealtà un valore fondante e che ha vinto tanto in Italia, in Europa e nel mondo. Bisogna correggere anche queste cose per tornare grandi».

PARLA L’ESPERTO

«Applicate rigidamente le regole»

Spiega il professor Colantuoni: «Serve più autonomia da parte

di chi giudica. Invece il sistema sanzionatorio è automatico»

di STEFANO SCACCHI (TUTTOSPORT 09-10-2013)

Una modifica della norma che porti verso una maggiore flessibilità. Ma anche la consapevolezza che non si può recedere dalla lotta al tifo più becero. E’ questo il parere del professor Lucio Colantuoni, docente di diritto sportivo, arbitro del Tas di Losanna e direttore del master in Diritto Sportivo dell’Università degli Studi di Milano (la nuova edizione sarà presentata a inizio novembre con un convegno proprio su queste tematiche).

Professor Colantuoni, cosa pensa della chiusura di San Siro in occasione della prossima partita casalinga del Milan?

«Credo che il giudice sportivo abbia semplicemente applicato la nuova normativa che non lascia molti margini di manovra. Il sistema sanzionatorio, introdotto nei mesi scorsi da Uefa e Figc, prevede un’assoluta automaticità: il giudice non può che prendere atto del referto, valutare le condotte ed irrogare le sanzioni tenendo conto dei casi di recidiva».

In questo caso, però, molti sostengono che i cori allo stadio di Torino non si sono sentiti.

«Sì, ma bisogna capire che il punto di osservazione che conta, secondo la normativa, è quello di chi è sul campo o vicino all’azione per rilevare certi fenomeni. I sostituti procuratori federali sono lì apposta. Se un calciatore viene squalificato per qualcosa che succede nel tunnel degli spogliatoi, è ovvio che nessuno può averlo visto dalla tribuna. Immagino che, in questo caso, chi ha rilevato i cori abbia agito con scrupolo».

La Figc come potrebbe modificare la norma dopo le proteste dei club?

«Si potrebbe concedere più autonomia a chi giudica. Poi introdurre un maggior contraddittorio nel processo. Almeno per queste materie così delicate, sarebbe possibile immaginare un confronto - magari una rapida difesa scritta - anche davanti al giudice sportivo che invece decide “inaudita altera parte” (senza ascoltare la controparte, ndr). E poi una riforma potrebbe consentire alle società di mostrare una fattiva presa di distanza dagli autori dei cori discriminatori».

In che modo?

«So bene che non è facile ed è vero, come dicono i dirigenti, che in questo modo si rischia di attribuire un notevole potere di ricatto agli ultrà. Ma è altrettanto vero che le società devono contribuire a emarginare queste frange. Non basta una telefonata di facciata in questura o un annuncio dello speaker. Servono interventi concreti per facilitare l’individuazione dei colpevoli. Ecco, di fronte a queste condotte virtuose, si potrebbe pensare di non ricorrere rigidamente alla responsabilità oggettiva».

Qual è il confine tra discriminazione territoriale e sfottò di campanile?

«Non è facilmente individuabile. Anche questo va lasciato al libero apprezzamento del giudice tenendo conto del buon senso, della sensibilità collettiva e del contenuto dell’insulto. Sicuramente non si possono più ascoltare negli stadi cori insultanti, “buu” razzisti ma anche manifestazioni di apologia di fascismo e nazismo. In questo la federazione bene fa ad adottare un criterio di fermezza».

Qualcuno si interroga sul danno subito dagli spettatori incolpevoli.

«E’ un problema spesso sottovalutato. Purtroppo non hanno molte possibilità perché i regolamenti dei club italiani escludono espressamente risarcimenti in questi casi. Proprio per questo motivo suggerisco una maggiore selettività delle sanzioni».

In quale direzione?

«Il sistema ottimale sarebbe quello di individuare con precisione i responsabili e degli specifici sotto-settori. Ad esempio attraverso le riprese e la nominatività dei biglietti. In questo modo si potrebbe chiudere anche solo una porzione di settore».

Modificato da Ghost Dog

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