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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Mondiali da morire

Lavori per Qatar 2022, «strage quotidiana»

La denuncia dei sindacati: «Condizioni di schiavitù, temperature assurde,

viene ucciso un operaio al giorno». La Fifa cambierà data al torneo

La legge permette la schiavitù: la manodopera è filippina.

Ma sulla necessità di giocare in inverno s’è già esposta l’Uefa

di GIANNI PAVESE (l'Unità 26-09-2013)

MANCANO ANCORA NOVE ANNI, MA I MONDIALI DI CALCIO DEL QATAR FANNO GIÀ DISCUTERE. LA SCELTA ESOTICA, MOLTO RIGUARDOSA DEGLI SPONSOR E DEGLI INCASSI, RISCHIA DI RIVELARSI UN BOOMERANG. La polemica sulle date e gli orari di gioco è già deflagrata, e la Fifa sembra orientata a contrattare con gli organizzatori uno spostamento in altra stagione delle partite. L’Uefa di Michel Platini ha già preso una posizione forte, non unanime ma deliberata a maggioranza e peserà sulle scelte della Fifa: il comitato esecutivo ha detto sì alla proposta di per giocare il Mondiale 2022 in inverno. Il motivo sono le assurde temperature che dovrebbero altrimenti affrontare i calciatori, gli addetti ai lavori, gli spettatori: va bene che sarà un Mondiale soprattutto venduto ai “telespettatori”,ma fra giugno e luglio le temperature salgono verso i 50 gradi e la competizione ne sarebbe falsata. E anche se in costruzione ci sono stadi avviniristici (i rendering sono oggettivamente meravigliosi), l’aria condizionata non può risolvere tutti i problemi. La Fifa deciderà il prossimo mese: lo spostamento più probabile è per i mesi di gennaio e febbraio (con i campionati maggiori che sarebbero interrotti e poi ripresi) mentre più problematica è la soluzione di spostarli fra ottobre e novembre.

Gli stadi, allora: ed ecco il nuovo scandalo, denunciato dalla confederazione sindacale internazionale (Csi), che ha criticato il «silenzio» della Fifa sulla «grave situazione» dei diritti degli 1,2 milioni di operai che lavorano in Qatar per i Mondiali. Ogni giorno, secondo la Csi, muore in media un lavoratore a causa delle alte temperature e della mancanza di misure di sicurezza. La Csi ha espresso il suo appoggio ad una riprogrammazione del torneo in inverno: secondo la Csi, la situazione degli operai dovrebbe chiarire ogni dubbio. E comunque si chiede un intervento «che imponga agli organizzatori degli standard di sicurezza sul lavoro degni dell’evento che si va a preparare». La Csi ha registrato un numero record di vittime a luglio, quando sono morti 32 lavoratori originari del Nepal, la maggior parte dei quali aveva 20 anni. «La Fifa non deve permettere», ha concluso la segretaria generale della Csi, Sharan Burrow, «che la Coppa del Mondo si sviluppi sopra un sistema di moderna schiavitù». Quattro mesi fa il Qatar aveva lanciato la campagna di assunzione proprio per 1,2 milioni di lavoratori. Mancando manodopera in questi emirati o sultanati della penisola araba, soprattutto pieni di ricchi, l’appello si rivolse così ai migranti. L’afflusso fu denunciato anche da Amnesty international: la prassi ricordava le tratte degli schiavi. Ma quello che allarma sono i continui incidenti mortali sui cantieri e i casi di schiavitù, che rischiano di gettare un'ombra inaccettabile sull'organizzazione dell'evento, che ha già raccolto investimenti per 2,87 miliardi di dollari. L'Ituc (la sigla in inglese dell’unione dei sindacati) ha più volte denunciato che le autorità qatariote avrebbero firmato una nuova legge sul lavoro nel quale di fatto si tollerano sfruttamento e lavoro forzato. Secondo Sharan Burrow, segretario generale dell'Ituc, al momento di ottenere il visto i migranti hanno dovuto sostenere e accettare condizioni di semi schiavitù: «Per la legge del Qatar, chi assume ha il controllo totale sul lavoratore. Egli decide se l'operaio può cambiare lavoro, tornare nel suo Paese oppure restare».

LE DENUNCE

Quando i sindacati portarono a conoscenza di questa legge, confortarono la loro denuncia dei numeri riguardo l’anno precedente: «Nel 2012, il ministero del lavoro qatariota ha ricevuto oltre 6mila denunce da parte di singoli o gruppi di lavoratori migranti». La maggioranza delle rimostranze riguardava casi di sfruttamento, ritardo nel pagamento dei salari, stipendi non corrispondenti a quanto pattuito, ma anche minacce, casi di violenza e decessi dovuti alla poca sicurezza dell'ambiente lavorativo.

Con tassi di crescita economica che in alcuni periodi hanno toccato il 19%, il Qatar è fra i Paesi più ricchi al mondo. Negli ultimi 10 anni un esercito di milioni di filippini, nepalesi, indonesiani, vietnamiti, africani ha lavorato per costruire palazzi, centri commerciali, porti, oleodotti, infrastrutture. Su una popolazione di 1,9 milioni di abitanti, solo 300mila sono cittadini qatarioti.

Fifa ‘concerned’ by

Qatar work conditions

by OLIVER KAY (THE TIMES 26-09-2013)

Fifa, football’s governing body, announced today that it is “very concerned” by reports of abuse of migrant workers in Qatar, its highly controversial choice as host nation for the 2022 World Cup.

Amid accusations that Nepalese workers are being subjected to “systematic forced labour” in Qatar, the Fifa executive committee have pledged to discuss the matter at their next meeting in Zurich on October 3 and 4 as doubts grow about the ethical – as well as the practical – possibility of staging the World Cup in the tiny Ara nation.

According to documents obtained from the Nepalese embassy in Doha, and seen by The Guardian, at least 44 Nepalese workers died in Qatar between June 4 and August 8, many of them due to heart attacks, heart failures or workplace accidents. There were also claims of forced labour on infrastructure projects linked to the 2022 World Cup.

In a statement this afternoon, Fifa said: “Fifa is very concerned about the reports presented by the media regarding labour rights’ abuses and the conditions for construction workers in projects at Lusail City, Qatar. Fifa will again get in contact with the Qatari Authorities and the matter will also be discussed at the executive committee meeting under point ‘Fifa World Cup Qatar 2022’ on October 3 and 4 2013 in Zurich.”

A statement from the Qatar 2022 Supreme Committee responded: “Like everyone viewing the video and images, and reading the accompanying texts, we are appalled by the findings presented in The Guardian’s report.

“The health, safety, well-being and dignity of every worker that contributes to staging the 2022 Fifa World Cup is of the utmost importance to our committee.”

Aidan McQuade, director of Anti-Slavery International, who has seen the documents, told AFP that the evidence was “certainly highly indicative of a brutal working environment, which is not good for anybody.” He added: “It is indicative of forced labour and it seems to even go beyond that. This is an open secret and there is not a concerted effort to stop it.”

Modificato da Ghost Dog

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Panorama | 2 ottobre 2013

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E’ ACCADUTO SABATO DOPO LA GARA DI CAMPIONATO

L’Ajaccio di Ravanelli

sospettato di doping

Analisi di sangue e urine sia per i giocatori corsi,

«preparati» da Ventrone, sia per quelli del Rennes

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 26-09-2013)

Fabrizio Ravanelli e Giampiero Ventrone sabato scorso si sono probabilmente sentiti braccati dal passato. Perché nello stadio «de la Route de Lorient» è accaduta alla fine della sfida tra Rennes e Ajaccio qualcosa di inconsueto non solo per il calcio francese, ma per il football in generale. Conclusa la partita con la vittoria del Rennes, 22 giocatori su 22 sono stati invitati a sottoporsi al controllo antidoping. Analisi di sangue e urine per accertare che nulla fosse fuori della norma. Ravanelli allena l’Ajaccio e Ventrone è il suo preparatore atletico. E sulla squadra corsa si sono addensate nuvole cariche di sospetti. Figli, in qualche maniera, del passato sia di Ravanelli che di Ventrone. Lo ha spiegato a «le Figaro» il dottor Jean Pierre de Modenard, autore del libro: «Il doping nel calcio»: «Corrono dubbi sull’Ajaccio perché delle “voci” circolavano riguardo al tecnico italiano che ricordano l’uso di cocaina ai tempi in cui giocava a Marsiglia». Una cosa è certa, Rennes-Ajaccio (che per la cronaca è finita 2-0) ha riaperto il capitolo spinoso del doping nel mondo del pallone.

SOSPETTI - In Francia si parla molto delle nuove metodologie introdotte da Ravanelli e Ventrone, soprattutto dell’uso di sostanze pienamente legittime come proteine, omega 3, creatina e aminoacidi. Al momento, a dir il vero, l’uso di questi integratori alimentari non è che abbiano prodotto effetti esaltanti sulle prestazioni dei giocatori e sui risultati dell’Ajaccio che sino a sabato sera in sei partite aveva beccato tre sconfitte e conquistato la miseria di tre pareggi. Insomma, c’è da dubitare che l’uso di queste sostanze abbia garantito benefici tanto è vero che la squadra corsa si arrabatta in fondo alla classifica nonostante l’ottimismo di Ravanelli che continua a sostenere che alla fine la salvezza sarà raggiunta. Al momento, però, l’unica notizia clamorosa che lo riguarda è questo «controllo a tappeto». Lui ha commentato la cosa: «E’ la prima volta che assisto a una cosa del genere. Io penso che i controlli dovrebbero aver luogo in tutte le partite». Ciò non toglie che nel frattempo in Francia il dibattito ferva insieme ai sospetti e alle voci. Come quella che riguarda il difensore Cedric Hengbart: secondo il quotidiano sportivo, «L’Equipe», non sarebbe stato convocato per la sfida di Rennes perché si sarebbe rifiutato di utilizzare gli integratori proposti dallo staff tecnico. Insomma, un bel «giallo» o, al limite, un bel «fogliettone».

RAVANELLI ALL’ATTACCO

«Il mio calcio senza doping»

«Sport pulito: ci credo e lo pratico»

«Certe accuse fanno male a me e alla mia famiglia. La cocaina a Marsiglia?

Invenzioni. C’è una sola verità: ho subito migliaia di controlli, sempre immacolato»

di ANTONIO MAGLIE (CorSport 27-09-2013)

E’ indignato. Ne ha tutte le ragioni. Perché un controllo anti-doping è diventato l’occasione per lanciare su di lui e sulla squadra che allena, l’Ajaccio, dei sospetti. «Voci di cocaina a Marsiglia? Ma quando mai, io credo in un calcio pulito, pratico lo sport pulito. A Marsiglia ai miei tempi un solo giocatore ebbe problemi con un controllo: non ero io.Tutto questo mi fa male, soprattutto fa male alla mia famiglia, a mia moglie, a mio figlio, a mia madre». Tutto nasce dopo la partita dell’Ajaccio contro il Rennes di sabato scorso, alla fine del quale tutti i giocatori sono stati sottoposti ai controlli anti-doping. Di qui una serie di congetture, di valutazioni apparse su giornali e su siti come quello del «Figaro» che, attraverso Jean Pierre de Mondenard autore del libro «Il doping nel calcio», fa accenno appunto ai «rumeurs» marsigliesi.

In Francia si parla dei nuovi metodi di allenamento portati all’Ajaccio da Ravanelli e dal suo preparatore atletico, Giampiero Ventrone, dell’uso di integratori quali creatina, Omega 3, aminoacidi. Il quotidiano «L’Equipe», a sua volta, aveva parlato di un calciatore della squadra corsa, Cedric Hengbart, che essendosi rifiutato di utilizzare gli integratori, non era stato convocato per la gara con il Rennes, nonostante i numerosi infortunati. «Non è vero nulla» , dice Ravanelli. Aggiunge: «Il giocatore lo sa bene. La scelta ha motivazioni esclusivamente tecniche: non ha mai giocato e da tempo ho chiesto al direttore sportivo di trovargli una sistemazione nel prossimo mercato invernale».

Ma è quel rimbalzo di «voci» che tirano in ballo vicende marsigliesi che lo ha irritato. Soprattutto quel riferimenti alla cocaina: «Io sono uno che può andare a testa alta. Ho subito migliaia di controlli e mai nulla è stato trovato contro di me. La cocaina, poi... Io sono un atleta, faccio una vita sana, corro in bicicletta. Da certe cose, da certe ombre non sono mai stato sfiorato e non posso accettare che si sollevino sospetti, non posso accettarlo per me, per la mia famiglia, per le persone che mi vogliono bene». Fabrizio è stato un calciatore generoso, in campo e fuori dal campo. Uno di quelli che non ha mai tirato indietro la gamba, che ha sofferto e si è guadagnato con il lavoro tutto quello che ha ottenuto in carriera. In Francia il calcio è nel mirino, accusato di fare pochi controlli anti-doping: «Ma quelle sostanze di cui si parla sono tutte lecite, si comprano al supermercato. Noi facciamo soltanto allenamenti duri. A me i controlli stanno benissimo, anzi li vorrei tutte le settimane».

E’ indignato, amareggiato. Il fatto che la sua squadra abbia ottenuto la prima vittoria di questo campionato contro una delle Grandi di Francia, il Lione, non attenua la sua amarezza. «Non posso accettare che la mia immagine venga scalfita». In Francia i giornali tirano in ballo vecchie storie, le inchieste che hanno riguardato l’uso di farmaci alla Juventus negli anni Novanta. Alla fine lui e Ventrone sono rimasti in qualche maniera vittime di questi ricordi e dei pregiudizi che quei ricordi hanno prodotto. Ma Ravanelli rivendica la sua pulizia e quella del suo calcio: «I controlli per me sono una cosa normale e più se ne fanno e meglio è. Ripeto, noi usiamo solo integratori, quelli che usano tutte le squadre di calcio. Differenti sono solo i nostri allenamenti: più duri di quelli degli altri. Ma c’è una parola che poi, per quanto mi riguarda, non voglio proprio sentire, né può essere usata nei miei confronti: cocaina». E’ l’orgoglio del vecchio campione che fa piazza pulita di tutti i sospetti.

La precisazione di Ravanelli

Nell’articolo pubblicato ieri sul nostro giornale, dal titolo “L’Ajaccio di Ravanelli sospettato di doping”, si faceva riferimento ad alcune dichiarazioni rese dal dottor Jean Pierre de Modenard a "Le Figaro". Dichiarazioni che l’attuale allenatore dell’Ajaccio - attraverso lo studio legale Dean-Falcinelli-Migliorini - ha contestato integralmente: «in particolar modo quella relativa all’assunzione da parte di costui di cocaina al tempo in cui giocava nel Marsiglia. Notizie gravemente diffamatorie dell’onore di Fabrizio Ravanelli in quanto del tutto inveritiere nonché lesive della sua immagine di atleta e di uomo da tutti apprezzato per le sue doti sportive e per la sua assoluta probità professionale».

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Il favoloso mondo

(alla rovescia) di Antonio

JUVE FAVORITA DALL’ARBITRO, IL CHIEVO

QUASI SI SCUSA, CONTE INVECE SI ARRABBIA

FUNZIONA COSÌ L’allenatore applica al calcio il capovolgimento berlusconiano:

chi è nel giusto deve vergognarsene, chi è nel torto fa la voce grossa

IL MISTER SU SKY “Non cominciate con le moviole”. La D’Amico prova a

controbattere, riuscendoci in parte, Mauro prova a obbedire, riuscendoci totalmente

di ANDREA SCANZI (il Fatto Quotidiano 27-09-2013)

Antonio Conte è riuscito anche in questo: nel capovolgimento totale. Nel rovesciamento del buonsenso. Due sere fa, Chievo-Juventus. Ai clivensi hanno annullato un gol (sull’1-1) generosamente concesso da Buffon e misteriosamente annullato dal guardalinee Fabiano Preti. Autore della rete, Paloschi. Nessuno aveva protestato tra gli juventini. Azione lineare e trama tutt’altro che criptica, che ha reso l’errore ancora più marchiano. La Juventus ha poi vinto 2-1, con un’autorete (beffa ulteriore per il Chievo) di Bernardini. In via teorica, e più che altro logica, quello arrabbiato a fine partita doveva essere il Chievo. Macché. Il presidente Luca Campedelli, in una versione meravigliosamente eccessiva del libro Cuore, è andato addirittura a rincuorare Preti (lo stesso, peraltro, che nel novembre 2012 convalidò il gol di Vidal contro l’Inter in evidente fuorigioco): “Stia tranquillo, può succedere”.

Una lezione di fair play rara. Lo stile non è mutato quando è cominciata la processione davanti alle tivù. Sannino, tecnico del Chievo, è sembrato quasi scusarsi. Lui, mica gli altri: “I ragazzi hanno fatto il loro dovere, inutile ora stare a polemizzare sul gol annullato. Non sono questo tipo di allenatore: urlando non si cambiano i risultati. Gli arbitri sono in rodaggio come noi e De Marco aveva concesso tra l’altro il gol. Forse il guardalinee è stato tratto in inganno dalla posizione di Thereau. Le disgrazie a volte non vengono per nuocere, ora preferisco guardare agli aspetti positivi”.

Il primo grado del rovesciamento: la parte lesa non solo non protesta, ma neanche si lamenta. Mancava però il secondo grado del rovesciamento, l’altra metà del capovolgimento: il “cattivo” che non solo non chiede scusa, ma fa pure il gradasso. Zittendo con fastidio i plebei che osano – peraltro educatamente – rimarcare l’irregolarità. Ed è qui che, come sempre, è arrivato Antonio Conte. Il quale, con coerenza ammirevole, non ha mai inseguito in vita sua la simpatia. Anche da calciatore, se solo qualcuno osava irriderne il doratissimo crine, soleva reagire con la sportività belluina di chi aveva appena subito un bombardamento a tappeto sul giardino di casa.

L’APPROCCIO non è cambiato da allenatore: tutti ricordano la memorabile conferenza stampa durante la quale, in un profluvio di congiuntivi disattesi e dizioni personalissimi, straparlò di “Pippppo” (Carobbio) e “agghiacciandeeee ” (con un effetto caricaturale persino superiore a quello di Crozza). Sottolineare che Conte non è simpatico è come dire che Boccia non è Berlinguer: dato di fatto. Inseguire l’antipatia non è un reato, anzi (spesso) una cifra distintiva redditizia anche nel calcio, da Mourinho in giù. Solo che, mercoledì sera, Conte è andato oltre. In collegamento con Sky Sport, al cospetto celeste di Nostra Signora dei Feticisti Ilaria D’Amico, si è comportato come se quello danneggiato fosse lui. Livido in volto, aggressivo nello sguardo e nelle parole. Il suo esordio, invero amichevolissimo, è stato: “È sbagliato enfatizzare l’episodio. È un errore non eclatante (se fosse accaduto a lui, avrebbe chiesto l’intervento della Wehrmacht, nda). Adesso non cominciate a fare moviole o contromoviole”.

L’attacco preventivo: non osate ricordarmi che ho vinto rubacchiando. La D’Amico ha provato a controbattere, riuscendoci in parte. Mauro ha provato a obbedire, riuscendoci totalmente. La scena appariva sempre più surreale: i tartassati che si sottomettevano ulteriormente, come Troisi e Benigni nella lettera al “santissimo” Savonarola in Non ci resta che piangere (“E noi lì, sotto i Suoi piedi, tutti zitti”); e i beneficiati dal dolo che ostentavano sicumera. Lungi dal fare un minimo di autocritica, parola che del resto non ha mai dimostrato di amare granché, Conte ha concesso uno strapuntino agli amanti anacronistici della sportività: “Quando accadrà contro di noi, andremo a rincuorare l’assistente come ha fatto Campedelli come Preti”.

E ovviamente gli hanno creduto tutti, un po' come Berlusconi quando giura di essere onesto sulla testa dei propri figli. La refrattarietà ad ammettere di essere stati agevolati dall’arbitro è trasversalmente condivisa nel calcio. Conte, coerentemente, porta tale tendenza al parossismo. Due anni fa si arrampicò sugli specchi anche dopo il gol non concesso a Muntari in Juventus-Milan, solo che in quel caso fu amenamente zimbellato da Boban, appena più agguerrito di Marchegiani (e non ci vuole molto).

CHIEDERE scusa non costerebbe nulla: si farebbe bella figura e nessuno potrebbe certo toglierti i punti ingiustamente presi sul campo. Eppure non lo fa quasi nessuno. Conte si è spinto oltre: se anche l’errore c’è, non bisogna parlarne. O perché nella sua testa è forse scontato che la Juventus sia aiutata, o perché in ogni caso parlarne lo indispone. Lo disturba. Lo mette di malumore. E gli altri, come i “vilan” di Fo e Jannacci in Ho visto un re, devono stare sempre allegri perché il loro piangere fa male al re, al ricco e al Conte. L’allenatore bianconero ha applicato al calcio il rovesciamento berlusconiano: non è normale chiedere l’applicazione di una regola/sentenza, bensì volgare e persino empio. Al contrario, la prassi da assecondare è che il condannato si lamenti teatralmente, tanto della giustizia quanto di chi osa rispettarla. Un mondo al contrario e alla rovescia. Chi è nel giusto deve vergognarsene, chi è nel torto fa la voce grossa. Giustamente, perché la correttezza è fuorimoda. Il rispetto delle regole è eversivo. E a quel punto, effettivamente, l’anomalo diventa Campedelli. Mica Conte.

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Questo andrea scanzi, invece, è simpatico.

O no?

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Il favoloso mondo

(alla rovescia) di Antonio

JUVE FAVORITA DALL’ARBITRO, IL CHIEVO

QUASI SI SCUSA, CONTE INVECE SI ARRABBIA

FUNZIONA COSÌ L’allenatore applica al calcio il capovolgimento berlusconiano:

chi è nel giusto deve vergognarsene, chi è nel torto fa la voce grossa

IL MISTER SU SKY “Non cominciate con le moviole”. La D’Amico prova a

controbattere, riuscendoci in parte, Mauro prova a obbedire, riuscendoci totalmente

di ANDREA SCANZI (il Fatto Quotidiano 27-09-2013)

Antonio Conte è riuscito anche in questo: nel capovolgimento totale. Nel rovesciamento del buonsenso. Due sere fa, Chievo-Juventus. Ai clivensi hanno annullato un gol (sull’1-1) generosamente concesso da Buffon e misteriosamente annullato dal guardalinee Fabiano Preti. Autore della rete, Paloschi. Nessuno aveva protestato tra gli juventini. Azione lineare e trama tutt’altro che criptica, che ha reso l’errore ancora più marchiano. La Juventus ha poi vinto 2-1, con un’autorete (beffa ulteriore per il Chievo) di Bernardini. In via teorica, e più che altro logica, quello arrabbiato a fine partita doveva essere il Chievo. Macché. Il presidente Luca Campedelli, in una versione meravigliosamente eccessiva del libro Cuore, è andato addirittura a rincuorare Preti (lo stesso, peraltro, che nel novembre 2012 convalidò il gol di Vidal contro l’Inter in evidente fuorigioco): “Stia tranquillo, può succedere”.

Una lezione di fair play rara. Lo stile non è mutato quando è cominciata la processione davanti alle tivù. Sannino, tecnico del Chievo, è sembrato quasi scusarsi. Lui, mica gli altri: “I ragazzi hanno fatto il loro dovere, inutile ora stare a polemizzare sul gol annullato. Non sono questo tipo di allenatore: urlando non si cambiano i risultati. Gli arbitri sono in rodaggio come noi e De Marco aveva concesso tra l’altro il gol. Forse il guardalinee è stato tratto in inganno dalla posizione di Thereau. Le disgrazie a volte non vengono per nuocere, ora preferisco guardare agli aspetti positivi”.

Il primo grado del rovesciamento: la parte lesa non solo non protesta, ma neanche si lamenta. Mancava però il secondo grado del rovesciamento, l’altra metà del capovolgimento: il “cattivo” che non solo non chiede scusa, ma fa pure il gradasso. Zittendo con fastidio i plebei che osano – peraltro educatamente – rimarcare l’irregolarità. Ed è qui che, come sempre, è arrivato Antonio Conte. Il quale, con coerenza ammirevole, non ha mai inseguito in vita sua la simpatia. Anche da calciatore, se solo qualcuno osava irriderne il doratissimo crine, soleva reagire con la sportività belluina di chi aveva appena subito un bombardamento a tappeto sul giardino di casa.

L’APPROCCIO non è cambiato da allenatore: tutti ricordano la memorabile conferenza stampa durante la quale, in un profluvio di congiuntivi disattesi e dizioni personalissimi, straparlò di “Pippppo” (Carobbio) e “agghiacciandeeee ” (con un effetto caricaturale persino superiore a quello di Crozza). Sottolineare che Conte non è simpatico è come dire che Boccia non è Berlinguer: dato di fatto. Inseguire l’antipatia non è un reato, anzi (spesso) una cifra distintiva redditizia anche nel calcio, da Mourinho in giù. Solo che, mercoledì sera, Conte è andato oltre. In collegamento con Sky Sport, al cospetto celeste di Nostra Signora dei Feticisti Ilaria D’Amico, si è comportato come se quello danneggiato fosse lui. Livido in volto, aggressivo nello sguardo e nelle parole. Il suo esordio, invero amichevolissimo, è stato: “È sbagliato enfatizzare l’episodio. È un errore non eclatante (se fosse accaduto a lui, avrebbe chiesto l’intervento della Wehrmacht, nda). Adesso non cominciate a fare moviole o contromoviole”.

L’attacco preventivo: non osate ricordarmi che ho vinto rubacchiando. La D’Amico ha provato a controbattere, riuscendoci in parte. Mauro ha provato a obbedire, riuscendoci totalmente. La scena appariva sempre più surreale: i tartassati che si sottomettevano ulteriormente, come Troisi e Benigni nella lettera al “santissimo” Savonarola in Non ci resta che piangere (“E noi lì, sotto i Suoi piedi, tutti zitti”); e i beneficiati dal dolo che ostentavano sicumera. Lungi dal fare un minimo di autocritica, parola che del resto non ha mai dimostrato di amare granché, Conte ha concesso uno strapuntino agli amanti anacronistici della sportività: “Quando accadrà contro di noi, andremo a rincuorare l’assistente come ha fatto Campedelli come Preti”.

E ovviamente gli hanno creduto tutti, un po' come Berlusconi quando giura di essere onesto sulla testa dei propri figli. La refrattarietà ad ammettere di essere stati agevolati dall’arbitro è trasversalmente condivisa nel calcio. Conte, coerentemente, porta tale tendenza al parossismo. Due anni fa si arrampicò sugli specchi anche dopo il gol non concesso a Muntari in Juventus-Milan, solo che in quel caso fu amenamente zimbellato da Boban, appena più agguerrito di Marchegiani (e non ci vuole molto).

CHIEDERE scusa non costerebbe nulla: si farebbe bella figura e nessuno potrebbe certo toglierti i punti ingiustamente presi sul campo. Eppure non lo fa quasi nessuno. Conte si è spinto oltre: se anche l’errore c’è, non bisogna parlarne. O perché nella sua testa è forse scontato che la Juventus sia aiutata, o perché in ogni caso parlarne lo indispone. Lo disturba. Lo mette di malumore. E gli altri, come i “vilan” di Fo e Jannacci in Ho visto un re, devono stare sempre allegri perché il loro piangere fa male al re, al ricco e al Conte. L’allenatore bianconero ha applicato al calcio il rovesciamento berlusconiano: non è normale chiedere l’applicazione di una regola/sentenza, bensì volgare e persino empio. Al contrario, la prassi da assecondare è che il condannato si lamenti teatralmente, tanto della giustizia quanto di chi osa rispettarla. Un mondo al contrario e alla rovescia. Chi è nel giusto deve vergognarsene, chi è nel torto fa la voce grossa. Giustamente, perché la correttezza è fuorimoda. Il rispetto delle regole è eversivo. E a quel punto, effettivamente, l’anomalo diventa Campedelli. Mica Conte.

Quindi Conte non doveva nominare carobbio, un pentito, uno che si e' quasi quasi venduto anche la madre? Questi giornali e giornalisti di regime sono un capolavoro.

Modificato da ClaudioGentile

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French player trapped in Qatar

hell says ‘I’m being destroyed’

A story of exploitation in the sovereign Arab

state that is due to host the World Cup in 2022

by OLIVER KAY (THE TIMES 28-09-2013)

Zahir Belounis smiles as he takes his elder daughter to school. He smiles at the school gates as he drops her off, smiles as he tries to find ways to occupy his time. Then he picks up the telephone, makes his daily inquiries and rages as he is told that he still cannot go home to Paris. He puts his brave face back on. Finally, when his wife and daughters are asleep, he cries and cries.

“At night, I cry like a girl,” the French footballer tells “Sometimes I have black ideas. Do they want me to kill myself? Sometimes I think that is the only way to finish this. For them, that would be fantastic. But I won’t give them this.”

“They” are the people or the authorities who have combined to leave Belounis feeling trapped and helpless in Qatar. He is unsure where to direct the blame — at El Jaish, the club that he says abruptly stopped paying him two years ago; at the Qatari Government; at the French embassy in Doha, which has failed to secure him an exit visa to return to Paris; at François Hollande, the president, whom he button-holed at an event in Doha this year — so he ends up blaming himself.

“Why did I come here?” he asks. “My life is worse now than when I was in France, fighting to be a football player. I was not a famous player. I don’t have big money. We have used my savings. We hardly have one Euro more. My family and friends helped me. Wehave enough money to eat, to live, but only this — not if my daughter wants money for toys. You can’t imagine the shame. I hate myself. Shame on me.”

Not many interviews go like this. Not many interviews involve breaking off to try to offer words of support to a man who feels unable to support his family. Belounis wants to tell his story, though. In a week when Qatar’s plans to host the 2022 World Cup have been hit by reports of abuse of migrant workers on construction projects related to the tournament, his story offers another insight into the human costs of one small country’s ambition to turn itself into a leading player on the global sports scene.

Belounis, 33, thought he had hit the jackpot in 2007 when, after years in football’s hinterlands — in the French regional leagues, in Malaysia, in the Swiss third division with FC La Tour/ LePaquier— he was offered a contract to play professionally for El Jaish, a new club linked to the Qatari military. If playing in Qatar was good enough for Pep Guardiola, Romario and Gabriel Batistuta, it was more than good enough for Belounis.

“For three seasons it went so well,” he says. “In 2010 I wanted to come back to France, but the club came to see me and they promised everything if I would stay. I signed a new contract for five years. In 2010-11 we had a great season. I was the captain and leader of the team. It was my dream.

“I’m not a big player, but I touched this club and I became famous here. I was respected. We finished first and were promoted [to the Qatar Stars League]. Then they wanted famous players. They kicked me out like a dog and stopped paying me.” Just like that? Belounis says so. “They said: ‘It’s finished for you here,’ ” he says. “I understood that. I thought I would go back to France.

“They said: ‘For sure we will pay you until you have a new club.’ Every month, they tell me ‘the next month’, ‘the next month’. So I wait and I wait. I was told that, if I complained, I wouldn’t get my exit visa. I said: ‘I don’t want to cause any problem. Pay the money I am owed and I will go.’ But they don’t pay me anything. For two years now, I wait.

“Last October I took a lawyer. He told the club they had two weeks to resolve the problem. It wasn’t. I then took an English lawyer. Nowmy case is going to the court, but I wait and wait. I ask the French Embassy to help, but I’m still waiting. I even spoke to President Hollande when he came to the French school in Doha, in June. I spoke to him for 20 minutes. He said it will be resolved soon. Nothing has happened.”

The French Embassy in Doha did not respond to inquiries by about Belounis. Neither did El Jaish.

Out of sensitivity for his case, he will not discuss the precise figure he believes he is owed, but it is understood, after more years, to be a sixthan two figure sum.

You wonder whether Belounis could havemade life easier by making a financial sacrifice, even when he was being told that he would be paid the sum owed, but that route seems to have closed long ago. Under the system, workers cannot leave Qatar without an exit visa that can only be granted with the permission of their sponsor. Belounis’s sponsor, El Jaish, have not granted that permission.

“Why am I still here?” he asks. “I did nothing bad. I don’t talk badly about Qatar, about the Qatari people. I only talk aboutmy situation.”

Belounis has a roof over his head, but perhaps not for long. “I still have the house of the club,” he says. “But one month ago, they told the French Embassy I have to pay ¤4,000 a month. Of course I don’t have that.

“I’m not allowed to go to the club. It would make me crazy if I did go. They are destroying my life. The club won. My football career is over now. I don’t know what more they want.”

La denuncia del sindacato mondiale dei calciatori FIFPro ormai risale a diversi mesi fa eppure questo disgraziato è ancora ostaggio della kafala qatariota.

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Erdogan se la prende anche con gli ultrà

RETATA DI TIFOSI DELLA SQUADRA DI ISTANBUL CHE HANNO PARTECIPATO ALLE PROTESTE DI GEZI PARK.

di ROBERTA ZUNINI (il Fatto Quotidiano 28-09-2013)

Il giro di vite settimanale del premier turco, Tayyip Erodgan, questa volta ha avuto come obiettivi i tifosi delle tre squadre di Istanbul e il gruppo Koc, la dinastia imprenditoriale laica più importante del Paese. L'ormai famigerata polizia di Istanbul, all'alba di ieri, ha fatto irruzione nelle case di un centinaio di tifosi arrestandone più di settanta. Tra questi il più noto è Alen Markaryan, il leader di origini armene del Carsi, il cuore della tifoseria del Besiktas che in giugno aveva partecipato attivamente alle proteste per salvare il parco di Gezi.

LA CAUSA DELLA RETATA di tifosi non sarebbe l'invasione di campo da parte dei supporter bianconeri avvenuta negli ultimi minuti del derby Galatasaray-Besiktas di domenica ma qualcosa di misterioso che il ministro degli Interni Muammer Guler ha spiegato così: “L'operazione non è legata alla legge numero 6222 che punisce la violenza in ambito sportivo, ma riguarda un'indagine in corso su un gruppo criminale organizzato che ha preso di mira calciatori e tifosi delle squadre avversarie con l'obiettivo di derubarli e minacciarli”. Secondo la stampa di opposizione si tratterebbe di una ritorsione nei confronti del Besiktas per aver proposto e quindi formato Istanbul United, un'unione delle squadre della megalopoli - Galatasaray e Fenerbahce - per sostenere tutti assieme le proteste di Gezi e combattere la deriva autoritaria-islamica di Erdogan che ha però dalla sua parte un nuovo gruppo di tifosi islamici chiamato 1453, dalla data della conquista ottomana di Costantinopoli.

Al gruppo Koc, che contribuisce per il 10% del Pil nazionale, invece il governo ha revocata una maxi commessa pubblica per la costruzione di navi militari. Erdogan aveva pubblicamente accusato i Koc di essere dalla parte dei manifestanti perché in uno dei loro hotel, il Divan, dietro Gezi, la direzione aveva dato ospitalità ai ragazzi feriti e ai medici che tentavano di medicarli durante l'attacco finale della polizia il 15 giugno. Già nei mesi scorsi tutte le società del gruppo sono state “visitate” più volte da una task force della guardia di finanza.

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Somalia, per i bimbi soldato

il calcio al posto delle pistole

Un progetto in collaborazione fra Federazione locale e Fifa

a cui hanno aderito centinaia di minori strappati alla guerra

di FRANCESCO CAREMANI (l'Unità 28-09-2013)

MOGADISCIO È LA TERRA DI NESSUNO, L’INFERNO DEI BAMBINI SOLDATO, LÌ DOVE AFFARI E POLITICA OCCIDENTALI HANNO FALLITO. È qui che nell’estate del 2006 il tribunale delle corti islamiche, secondo una rigida interpretazione della Sharia, con una legge ha vietato il gioco del calcio, considerato un atto satanico che corrompe i musulmani. Un divieto che non ha impedito alla Nazionale somala di giocare, in Kenya o Gibuti, senza successo le partite di qualificazione alle manifestazioni internazionali, così come al campionato di andare avanti tra mille difficoltà. Un modo per resistere e non arrendersi alla violenza dei signori della guerra che dal 1991 (dopo la caduta di Siad Barre) hanno trasformato il Paese in un campo di battaglia.

Lo stadio Banadir, situato nel quartiere orientale di Mogadiscio (Abdel-Aziz), è stato di recente ricostruito da zero grazie a un accordo tra la federazione di calcio somala e la Fifa: nuove tribune e nuovo manto in erba sintetica. L’obiettivo è quello di permettere alla Somalia di giocare in casa (scontri armati permettendo) le partite di qualificazione e puntare ai Mondiali 2018. Ma il progetto più importante di questa collaborazione riguarda i ragazzi e i bambini che possono scegliere tra diventare soldati di Al Shabaab o rifiutarsi, combattere, emorire per un Paese che ha affogato l’innocenza nelle acque dell’Uebi Scebeli, fiume che passa a nord della capitale. «Put Down The Gun, Take Up The Ball» (getta la pistola, prendi la palla) sta cambiando il volto del calcio somalo, riuscendo dove la comunità internazionale ha fallito. Sono ormai centinaia i ragazzi che hanno abbandonato le armi per tirare calci a un pallone, trovando nel gioco una motivazione diversa, l’alternativa al piombo e alla violenza.

La diplomazia del cuoio sta ottenendo un successo ancora più importante, sensibilizzando gli islamici e avvicinandoli al football: «Non sapevo niente prima di calcio - ha ammesso lo sceicco Abdi Rahim Isse Addo, portavoce dell’Unione delle corti islamiche somale, all’inaugurazione dello stadio Banadir - ma adesso mi piace e penso che verrò più spesso a guardare i bambini che giocano. Dio è grande». Un dato, però, è certo: nessuno dei ragazzi coinvolti nel progetto della Fifa è tornato a imbracciare un fucile, la maggior parte di loro appartiene a famiglie indigenti e il pallone diventa anche simbolo di riscatto sociale, qualcosa che prima era impensabile e sconosciuto. Un giorno potrebbero diventare come Cisse Aadan Abshir, recordman di presenze e gol in Nazionale (gioca in Norvegia nel Nybergsund IL, Seconda divisione), o Ali Abdulkadir che milita nella squadra locale dell’Elman FC, vincitrice degli ultimi campionati.

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Telefonino vietato in panca

Ma la prova è complicata

Una circolare della Lega, d’ispirazione Fifa, vieta strumenti elettronici per comunicare

di FABIO LICARI (GaSport 28-09-2013)

Piange il telefono. E non ridono neanche tablet e smartphone. La Lega è chiarissima sull’uso ammesso in panchina. Circolare 14, che in pratica traduce la circolare Fifa 1302 e la regola 4 del calcio: «L’uso di sistemi di comunicazione elettronica tra calciatori e/o staff tecnico non è consentito». Unica deroga: il walkie-talkie che i medici possono usare per parlare con la panchina quando prestano le cure in campo.

La prova? Sembra quindi non esserci scampo per Garcia. Ma con chi stava parlando al telefono il tecnico della Roma? La Federcalcio si è rivolta all’Uefa per chiedere un parere: come verificare che un tecnico, non solo Garcia, parli con la panchina e non con la famiglia? In fondo nell’area tecnica non è vietato l’uso del telefonino in sé, ma la comunicazione tra chi prende parte alla gara.

Uefa Anche la Uefa ha una circolare in merito. Impedisce l’uso di qualunque dispositivo elettronico nell’area tecnica. Quindi niente telefonino o ipad. Nel playoff 2011 con l’Udinese, gara d’andata, Wenger (Arsenal) era squalificato ma fu beccato a parlare con la panchina via telefono (attraverso uno dello staff che gli sedeva accanto in tribuna). Prese una giornata in più di squalifica. Nel 2011 anche la Task Force Fifa del calcio, con Beckenbauer e Albertini, si schierò a favore del divieto verso qualunque strumento dotato di connettività (che altrimenti, è ovvio, potrebbe significare una moviola in campo).

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Il Sassuolo torna nel mirino dei pm

Interrogato Tisci, avrebbe riconosciuto

Mister X. Presto inquirenti in Asia per Dan

di FRANCESCO CENITI (GaSport 28-09-2013)

Due interrogatori in una settimana, oltre 10 ore e verbale secretato. Si è conclusa ieri la maratona di Ivan Tisci, ex di Modena e Pescara arrestato il 28 maggio 2012 nell’inchiesta calcioscommesse. Otto giorni fa Tisci si era presentato spontaneamente davanti al pm Roberto di Martino con gli avvocati De Rensis e Mari, per chiarire una posizione molto compromessa dopo le rivelazioni di Almir Gegic, considerato dalla Procura il capo insieme con il latitante Ilievski della banda che operava in Italia per conto del boss di Singapore Dan Tan, catturato nei giorni scorsi in Asia. Gegic aveva negato molte cose, ma su Tisci era stato prodigo di particolari. Chiara la strategia difensiva dell’ex giocatore: collaborare con il pm per un possibile patteggiamento. E l’incontro di ieri va in questa direzione: il materiale raccolto deve essere stato giudicato in modo positivo. Non solo su Mister X e i soci (Tisci li avrebbe riconosciuti dalle foto segnaletiche). Sarebbero emersi nuovi particolari su gare di A combinate da Mister X (alcune già sospette), mentre altri passi sarebbero stati compiuti su nominativi già noti all’inchiesta. Gli inquirenti si sarebbero concentrati su un nome che avrebbe una sorta di effetto domino. E così il verbale è stato secretato.

Sassuolo nel mirino Non solo, si è parlato di match nel mirino già dal giugno 2011. Sotto i riflettori diverse squadre, compreso il Sassuolo citato anche per la sfida col Modena. Ma gli spunti nel verbale di Tisci sono diversi. Come gli incontri in un hotel a Milano con Mister X e Antonio Bellavista (ex capitano del Bari, arrestato nel giugno 2011) per conoscere informazioni (da pagare) sicure su gare di A giocate nel pomeriggio. Proprio in quell’albergo ci sarebbe stato l’incontro Gegic-Ilievski-Mister X: gli slavi avevano 300 mila euro in contanti per comprare un risultato sicuro. Soldi giudicati insufficienti. Quel denaro, secondo gli investigatori, arrivava da Singapore.

Dan Tan E non è da escludere un viaggio in Asia degli inquirenti per gli atti su Dan Tan. In quell’occasione il boss potrebbe essere interrogato sugli affari italiani. Ma l’inchiesta va avanti: i tempi per nuovi colpi di scena su Mister X e soci non sono lontani. Un mese, forse più. Nell’attesa in Procura potrebbe sfilare anche il presidente del Siena, Mezzaroma. Ci sono alcune cose che lo riguardano nell’interrogatorio estivo dell’ex portiere bianconero Coppola.

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E il Bayern liberò Breno

da carcere e mal di vivere

MOLTI CASI DI DEPRESSIONE, ANCHE NELLO SPORT, FINISCONO IN TRAGEDIA. AL BRASILIANO,

CHE PAREVA CONDANNATO A BEN PEGGIO DEI 3 ANNI E 9 MESI DI PRIGIONE PRESI PER UN

MOMENTO DI FOLLIA, È ANDATA BENE. GRAZIE AL CLUB CHE GLI HA DATO UNA SECONDA CHANCE

di PAOLO CONDÒ (SPORTWEEK 28-09-2013)

Dopo tredici mesi passati in prigione, l’ex difensore del Bayern e della nazionale olimpica brasiliana Breno ha ottenuto in agosto il benefcio della semilibertà: per cinque ore al giorno – presto otto se tutto flerà liscio – può uscire dal carcere e lavorare nella sede del club bavarese. Hoeness e Rummenigge – che non lascianomai a piedi chi è legato al Bayern, e questo va loro riconosciuto – gli hanno oferto un doppio incarico nel settore giovanile, impiegatizio e sul campo, come assistente allenatore. Chi l’ha visto assicura che Breno sia molto motivato a nonsprecare quest’opportunità. Ha soltanto 23 anni, e tutta la vita davanti.

L’avevo visto giocare all’Olimpiade di Pechino del 2008, uno stopper fsicamente dominante e dotato di piedi buoni per far ripartire l’azione:magari con la tendenza a distrarsi di un David Luiz anziché la concentrazione di un Thiago Silva, ma a 18 anni non esiste difetto che non si possa correggere. Breno erauna grande promessa e il Bayern – che l’aveva acquistato dal San Paolo per 12 milioni – era convinto di essersi assicurato l’erede di Lucio. Il problema, come racconta Fernando Aramburu nel suo blog sul País, è che le molte panchine iniziali, unite a un paio di brutti infortuni, cominciarono a deprimerlo; e siccome neanche un positivo prestito al Norimberga cambiò il suo status in Baviera (una volta rientrato continuò a giocare poco), Breno si lasciò andare. Ricco, circondato dagli affetti – moglie e tre fgli malgrado un’età in fondo giovanissima –, apparentemente senza un problema, e invece disperato. Nel settembre del 2011 i pompieri accorsero alla sua villa, nella periferia residenziale di Monaco, perché le fiamme l’avevano avvolta. Breno li accolse del tutto ubriaco, con tre accendini in tasca e materiale infammabile addosso. La moglie avrebbe poi raccontato di essere fuggita da una finestra con i bambini temendo qualche gesto sconsiderato del marito alterato. Un anno dopo il brasiliano venne condannato per incendio doloso alla pena di tre anni e nove mesi. È possibile che alla fne dell’anno il ricorso presentato dal suo avvocato vada a buon fne, e il resto della pena gli venga condonato. In quel caso Breno vorrebbe tornare in patria, riprovando a giocare nel San Paolo. Mario Balotelli, a Manchester, nella famosa notte dei petardi si limitò a bruciare il bagno di casa sua, e al di là di una tirata d’orecchi la cosa non ebbe seguito: Breno ha avuto problemi più gravi, ma saremmo contenti se anche l’evoluzione del suo mix talento/mattane trovasse il giusto equilibrio. Mica per il calciatore. Per l’uomo.

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IL CALCIO INGLESE FA INGRASSARE

NELLA STAGIONE DI PREMIER AUMENTANO IL CONSUMO DI BIRRA, CIBO

SPAZZATURA E FUMO. E C’È CHI SMETTE ANCHE DI FARE SESSO…

di LUCA BERGAMIN (SPORTWEEK 28-09-2013)

Tifare per una squadra di calcio fa male a salute e famiglia, almeno in Inghilterra. Un sondaggio condotto tra i fan delle squadre di Premier ha stabilito, infatti, che i supporter del Chelsea eccedono con le pinte di birra: il 48% sostiene di berne almeno 5 a ogni match, per un totale di 1.200 calorie! I tifosi del Manchester United esagerano nel junk food: il 52% durante la stagione calcistica fa un take away di cibo spazzatura almeno tre volte a settimana. Quelli del West Ham sono invece grandi scommettitori (si giocano almeno 25 sterline a partita) e vantano anche il primato dei più accaniti fumatori nei giorni di partita: il 35% consuma un pacchetto. La fame di calcio fa venire... più fame, soprattutto ai tifosi del Man City: il 34% aumenta di una taglia ogni fine campionato. Conseguenze negative anche per le mogli, soprattutto di chi tifa il Tottenham: il 23% dei mariti ammette di non fare sesso per tutta la Premier! In generale il 52% dei tifosi rinuncia a migliorare il proprio regime alimentare fino al fischio finale della Premier, il 40% rinvia la dieta. Izzy Cameron, nutrizionista britannico che per il Diet Chef ha condotto l’inchiesta, sentenzia: «È impressionante quanto il calcio influisca sulla vita dei maschi inglesi compromettendone salute e serenità familiare».

Modificato da Ghost Dog

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Il favoloso mondo

(alla rovescia) di Antonio

JUVE FAVORITA DALL’ARBITRO, IL CHIEVO

QUASI SI SCUSA, CONTE INVECE SI ARRABBIA

FUNZIONA COSÌ L’allenatore applica al calcio il capovolgimento berlusconiano:

chi è nel giusto deve vergognarsene, chi è nel torto fa la voce grossa

IL MISTER SU SKY “Non cominciate con le moviole”. La D’Amico prova a

controbattere, riuscendoci in parte, Mauro prova a obbedire, riuscendoci totalmente

di ANDREA SCANZI (il Fatto Quotidiano 27-09-2013)

Antonio Conte è riuscito anche in questo: nel capovolgimento totale. Nel rovesciamento del buonsenso. Due sere fa, Chievo-Juventus. Ai clivensi hanno annullato un gol (sull’1-1) generosamente concesso da Buffon e misteriosamente annullato dal guardalinee Fabiano Preti. Autore della rete, Paloschi. Nessuno aveva protestato tra gli juventini. Azione lineare e trama tutt’altro che criptica, che ha reso l’errore ancora più marchiano. La Juventus ha poi vinto 2-1, con un’autorete (beffa ulteriore per il Chievo) di Bernardini. In via teorica, e più che altro logica, quello arrabbiato a fine partita doveva essere il Chievo. Macché. Il presidente Luca Campedelli, in una versione meravigliosamente eccessiva del libro Cuore, è andato addirittura a rincuorare Preti (lo stesso, peraltro, che nel novembre 2012 convalidò il gol di Vidal contro l’Inter in evidente fuorigioco): “Stia tranquillo, può succedere”.

Una lezione di fair play rara. Lo stile non è mutato quando è cominciata la processione davanti alle tivù. Sannino, tecnico del Chievo, è sembrato quasi scusarsi. Lui, mica gli altri: “I ragazzi hanno fatto il loro dovere, inutile ora stare a polemizzare sul gol annullato. Non sono questo tipo di allenatore: urlando non si cambiano i risultati. Gli arbitri sono in rodaggio come noi e De Marco aveva concesso tra l’altro il gol. Forse il guardalinee è stato tratto in inganno dalla posizione di Thereau. Le disgrazie a volte non vengono per nuocere, ora preferisco guardare agli aspetti positivi”.

Il primo grado del rovesciamento: la parte lesa non solo non protesta, ma neanche si lamenta. Mancava però il secondo grado del rovesciamento, l’altra metà del capovolgimento: il “cattivo” che non solo non chiede scusa, ma fa pure il gradasso. Zittendo con fastidio i plebei che osano – peraltro educatamente – rimarcare l’irregolarità. Ed è qui che, come sempre, è arrivato Antonio Conte. Il quale, con coerenza ammirevole, non ha mai inseguito in vita sua la simpatia. Anche da calciatore, se solo qualcuno osava irriderne il doratissimo crine, soleva reagire con la sportività belluina di chi aveva appena subito un bombardamento a tappeto sul giardino di casa.

L’APPROCCIO non è cambiato da allenatore: tutti ricordano la memorabile conferenza stampa durante la quale, in un profluvio di congiuntivi disattesi e dizioni personalissimi, straparlò di “Pippppo” (Carobbio) e “agghiacciandeeee ” (con un effetto caricaturale persino superiore a quello di Crozza). Sottolineare che Conte non è simpatico è come dire che Boccia non è Berlinguer: dato di fatto. Inseguire l’antipatia non è un reato, anzi (spesso) una cifra distintiva redditizia anche nel calcio, da Mourinho in giù. Solo che, mercoledì sera, Conte è andato oltre. In collegamento con Sky Sport, al cospetto celeste di Nostra Signora dei Feticisti Ilaria D’Amico, si è comportato come se quello danneggiato fosse lui. Livido in volto, aggressivo nello sguardo e nelle parole. Il suo esordio, invero amichevolissimo, è stato: “È sbagliato enfatizzare l’episodio. È un errore non eclatante (se fosse accaduto a lui, avrebbe chiesto l’intervento della Wehrmacht, nda). Adesso non cominciate a fare moviole o contromoviole”.

L’attacco preventivo: non osate ricordarmi che ho vinto rubacchiando. La D’Amico ha provato a controbattere, riuscendoci in parte. Mauro ha provato a obbedire, riuscendoci totalmente. La scena appariva sempre più surreale: i tartassati che si sottomettevano ulteriormente, come Troisi e Benigni nella lettera al “santissimo” Savonarola in Non ci resta che piangere (“E noi lì, sotto i Suoi piedi, tutti zitti”); e i beneficiati dal dolo che ostentavano sicumera. Lungi dal fare un minimo di autocritica, parola che del resto non ha mai dimostrato di amare granché, Conte ha concesso uno strapuntino agli amanti anacronistici della sportività: “Quando accadrà contro di noi, andremo a rincuorare l’assistente come ha fatto Campedelli come Preti”.

E ovviamente gli hanno creduto tutti, un po' come Berlusconi quando giura di essere onesto sulla testa dei propri figli. La refrattarietà ad ammettere di essere stati agevolati dall’arbitro è trasversalmente condivisa nel calcio. Conte, coerentemente, porta tale tendenza al parossismo. Due anni fa si arrampicò sugli specchi anche dopo il gol non concesso a Muntari in Juventus-Milan, solo che in quel caso fu amenamente zimbellato da Boban, appena più agguerrito di Marchegiani (e non ci vuole molto).

CHIEDERE scusa non costerebbe nulla: si farebbe bella figura e nessuno potrebbe certo toglierti i punti ingiustamente presi sul campo. Eppure non lo fa quasi nessuno. Conte si è spinto oltre: se anche l’errore c’è, non bisogna parlarne. O perché nella sua testa è forse scontato che la Juventus sia aiutata, o perché in ogni caso parlarne lo indispone. Lo disturba. Lo mette di malumore. E gli altri, come i “vilan” di Fo e Jannacci in Ho visto un re, devono stare sempre allegri perché il loro piangere fa male al re, al ricco e al Conte. L’allenatore bianconero ha applicato al calcio il rovesciamento berlusconiano: non è normale chiedere l’applicazione di una regola/sentenza, bensì volgare e persino empio. Al contrario, la prassi da assecondare è che il condannato si lamenti teatralmente, tanto della giustizia quanto di chi osa rispettarla. Un mondo al contrario e alla rovescia. Chi è nel giusto deve vergognarsene, chi è nel torto fa la voce grossa. Giustamente, perché la correttezza è fuorimoda. Il rispetto delle regole è eversivo. E a quel punto, effettivamente, l’anomalo diventa Campedelli. Mica Conte.

l'ennesimo signor nessuno che sa come far carriera

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l'ennesimo signor nessuno che sa come far carriera

parli poco ma parli bene

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De Laurentiis jr scortato dai vigili

scatta l’inchiesta della Procura

Il vice presidente del Napoli “sotto protezione” da due anni

Il servizio voluto dal Comune. L’esposto partito dal comando di via De Giaxa

di ALESSIO GEMMA (la Repubblica - Napoli 29-09-2013)

La Procura della Repubblica indaga sulla scorta dei vigili urbani al figlio di Aurelio De Laurentiis, presidente del Calcio Napoli. Sono stati assegnati alla sezione investigativa della polizia municipale i primi accertamenti sul servizio istituito nell’ottobre 2011: al momento non sono ipotizzati reati né ci sono indagati. Titolare dell’inchiesta è il pm Stefania Buda, la stessa che ha già acceso i riflettori della Procura sulle buche stradali, mettendo sotto accusa anche il sindaco de Magistris, e sulla mancata bonifica di Bagnoli. Il caso di Edoardo De Laurentiis, vice presidente del Napoli, accompagnato da due agenti allo stadio San Paolo in occasione delle partite, fu sollevato nell’agosto scorso da Repubblica.

Una disposizione scritta firmata dall’allora comandante Luigi Sementa autorizzava i caschi bianchi a trasportare da casa all’impianto di Fuorigrotta il figlio di De Laurentiis servendosi di un furgone a vetri oscurati di proprietà del Comune. Il motivo? La tutela di un “soggetto a rischio”.

Campionato 2011: Edoardo De Laurentiis denunciò all’autorità giudiziaria aggressioni e danneggiamenti alla sua auto perpetrati da gruppi di supporter del Napoli. Chiese ausilio alla polizia municipale e Sementa, d’intesa con il sindaco e l’ex assessore alla Sicurezza Giuseppe Narducci, istituì una “scorta”. Avvertita anche la questura. Dopo due anni, il figlio del patron continua a beneficiare della protezione dei caschi bianchi. Nel frattempo al posto di Sementa è subentrato Attilio Auricchio, responsabile del corpo di polizia municipale, che ha prorogato il servizio. Possibile che in 24 mesi non siano cambiate le condizioni che attentavano alla sicurezza del vice presidente del Napoli? Ma soprattutto: la protezione di un cittadino è stabilita dal comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza che riunisce intorno al tavolo della prefettura tutte le forze dell’ordine presenti sul territorio. Perché per De Laurentiis junior si è superato l’iter istituzionale? Domande che hanno ispirato un esposto partito dalle stanze di via De Giaxa, sede del comando della polizia municipale, e finito sulle scrivanie della Procura. “Vigili tassisti” sbottò ad agosto il sito di Dagospia; mentre i consiglieri di maggioranza e opposizione gridarono allo “scandalo”. Anche perché ogni domenica sono impegnati allo stadio circa 120 agenti per regolare la mobilità e l’ordine pubblico. Una spesa per il personale di circa ottomila euro a partita che pesa sulle casse di Palazzo San Giacomo. L’ex comandante Sementa rivelò a Repubblica: «Non potevo sottrarre tutti quegli agenti alle altre incombenze in città. Non c’erano più risorse per gli straordinari. Dissi all’assessore Narducci: “Facciamo pagare il servizio a De Laurentiis”. Ma la richiesta fu stoppata dal sindaco».

Quei bravi ragazzi: Narducci, De Magistris ed Auricchio ft. De Laurentiis family

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Quei bravi ragazzi: Narducci, De Magistris ed Auricchio ft. De Laurentiis family

"Bravi" nel senso manzoniano del termine?

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"Bravi" nel senso manzoniano del termine?

In realta' pensavo al film di Scorsese ma il senso e' quello

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Why Argentina is a no-go area for away fans
by RICK BROADBENT (THE TIMES 30-09-2013)

Argentine football has become a no-go area with all away fans banned this season due to spiralling violence that has led to 70 people being killed since 2000.

However, organised bands of hooligans, called barras bravas, are still ruling the domestic football scene. Unlike their British counterparts, the Argentine versions are run as businesses, with members of the groups earning money from black-market sales, extortion, money-laundering and drugs.

Ringleaders are estimated to earn about £20,000 a year, while the groups demand large sums from players and club officials in return for their support. Last year three barras bravas from Racing Club threatened a player with guns and demanded he leave the club.

Those who have stood up to the hooligans, who also control the streets outside the games and make vast sums from charging for parking, have suffered for their stance.

One of them is Javier Cantero, the president of Independiente. When he boldly said that he would cut all financial ties with the people controlling the Diablos Rojos group, a band of 30 supporters burst into his office and threatened him. Undeterred, he has stayed true to his word. That, in turn, led to a bomb threat at a school belonging to the club on a day when hundreds of fans had chosen to march in support of Cantero. This July the trouble continued when he was attacked by hooligans hurling chairs as he addressed fans in a basketball arena after relegation.

Cantero’s stance is no mean feat given the way the barras bravas are embedded in the higher echelons of football. In 2010, Diego Maradona had to deny that the national team had knowingly flown to South Africa with the barras bravas. It was alleged that the Argentine Football Association had even paid for their tickets.

However, thanks to Cantero’s lead, the AFA finally took the step of issuing a blanket ban on away fans after police shot a man dead at a match between Estudiantes and Lanús in June.

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“Non avrei dato la scorta a De Laurentiis jr”

L’ex assessore Narducci: “Non ne sapevo nulla perché nessuno mi informò”

di ALESSIO GEMMA (la Repubblica 30-09-2013)

«Non sapevo nulla. Nessuno mi ha mai informato. Altrimenti la scorta dei vigili al figlio di De Laurentiis non sarebbe mai partita, né sarebbe proseguita nel tempo ». Giuseppe Narducci, magistrato ed ex assessore alla Sicurezza della prima giunta de Magistris, non trattiene «il rammarico». Aveva la delega alla polizia municipale nell’ottobre 2011 quando i vigili iniziano ad accompagnare Edoardo De Laurentiis allo stadio in occasione delle partite. Un servizio su cui ora indaga la Procura. «Ho appreso tutto da “Repubblica”. Assurdo».

L’ex comandante Luigi Sementa, che autorizzò i vigili, disse a “Repubblica” in agosto di aver comunicato quella scelta a lei e al sindaco.

«Se lo avesse fatto, avrei segnalato io il caso alla Procura e alla Corte dei conti. Perché quel servizio istituzionale non doveva essere svolto».

Un abuso?

«Sono persona tutelata per il mio ruolo di pm e so che le misure di protezione possono essere disposte solo dal comitato provinciale. Tavolo tra l’altro a cui partecipavo come assessore. Se fosse stata provata l’esposizione al pericolo di De Laurentiis, se ne sarebbe discusso e avrei proposto una soluzione. Ora bisognerà chiedere conto a chi ha istituito quel servizio. Non avrei mai potuto non vedere ciò che stava accadendo. Proprio io che mi sono battuto perché il Calcio Napoli sostenesse il costo dei vigili durante le partite che è tutto a carico del Comune».

Perché non l’ha inserito nella sua delibera approvata dal consiglio a marzo 2012 sui servizi aggiuntivi resi dai vigili nell’interesse dei privati? Non dovrebbe pagare anche il patron del Napoli?

«Ricordo con quanta fatica passò quella delibera. Riguarda le attività che i vigili rendono al di fuori degli stretti compiti istituzionali come viabilità e ordine pubblico nel corso di concerti, riprese cinematografiche. Durante la discussione in aula affrontai il tema della convenzione con il Napoli che ritenevo e ritengo squilibrata a favore del privato e in danno della collettività. Ma ritenni più opportuno disciplinare in un momento successivo i rapporti tra il Comune e il club. Bisognava rifare la convenzione in scadenza o mettere mano a un’altra delibera: interloquire con De Laurentiis per capire se quell’immane servizio svolto dai vigili per le partite debba ricadere solo sulle tasche dei cittadini. Si tratta anche del presidio di strade molto distanti dallo stadio. Quando termina la gara occorre garantire che la città non impazzisca con il deflusso dal San Paolo. A Milano una parte degli incassi derivanti dalle vendita dei biglietti finiscono nelle casse del Comune. È il modello da seguire».

De Laurentiis avverte in queste ore il sindaco: o mi vendi lo stadio o vado a giocare altrove. Che ne pensa?

«Non commento, lasciamo stare ».

Siamo alle solite… piaccia o non piaccia allo gnorri Narducci, il controllo sull'operato dei vigili ricadeva tra le sue responsabilità

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Siamo alle solite… piaccia o non piaccia allo gnorri Narducci, il controllo sull'operato dei vigili ricadeva tra le sue responsabilità

Qualcosa gli sarà sfuggita

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DA OGGI IL PROCESSO A NAPOLI: IL 15 OTTOBRE LA REQUISITORIA DELL’ACCUSA

Calciopoli: ecco le nuove telefonate

Inizia l’appello, attesa una dichiarazione spontanea di Della Valle. E spuntano altre intercettazioni

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 01-10-2013)

Calciopoli: si ricomincia da capo. Inizia oggi a Napoli il processo d’appello e riprende esattamente da dov’era iniziato il primo grado. Per l’accusa, infatti, è come se non fosse esistito il dibattimento svolto in aula dal 2009 al 2011 e durante il quale caddero molti delle certezze dei Pm. Riecco quindi spuntare prove che nemmeno la giudice Casoria, che sentenziò nel primo grado, aveva ritenuto concrete o plausibili. L’accusa le riprende, la difesa si prepara a rismontarle, nella speranza che il risultato finale sia diverso (nonostante molte prove cadute, alla fine il collegio giudicante del primo grado condannò Luciano Moggi per associazione a delinquere).

Indubbio protagonista del primo grado, il consulente della difesa Nicola Penta, ovvero l’uomo che ripescò le intercettazioni in cui con i designatori e gli arbitri parlavano anche gli altri dirigenti, si prepara un altro intenso periodo. «Ci saranno delle sorprese», annuncia: «E anche delle intercettazioni nuove, come una telefonata mai ascoltata prima nella quale, nei giorni precedenti Juventus-Milan del 18 dicembre 2004 il designatore Bergamo riceve una telefonata nella quale gli viene chiesto espressamente di inserire tre arbitri nella griglia del sorteggio. Non voglio anticipare nulla, ma posso dire che chi chiamava non era Luciano Moggi».

Ma, la difesa, dovrà per lo più riprendere i temi del primo grado, come quello delle ammonizioni preventive: «Dimostreremo che la teoria dell’accusa, secondo cui le avversarie della Juventus venivano indebolite attraverso ammonizione mirate ai giocatori diffidati è assolutamente infondata. Statisticamente non regge (la Juventus, per esempio, ha goduto meno dell’Inter di squalifiche avversarie, ndr), ma spesso vengono riportate circostanze del tutto errate. Si citano, per esempio, Muntari, Pinzi e Di Michele come giocatori dell’Udinese ammoniti durante la partita con il Brescia per evitare che disputassero quella contro la Juventus. peccato che nessuno di loro era diffidato e, quindi, scesero regolarmente in campo».

E’ una delle tante falle, aperte per approssimazione, nelle pagine dell’accusa in cui, spiega Penta: «Si punta sul famigerato rapporto esclusivo di Moggi con i designatori. Un tema completamente smontato dalla scoperta delle telefonate in cui tutti gli altri presidenti e dirigenti chiamavano i designatori per fare le stesse richieste o esporre le stesse lamentele, ma riproporremo il regolamento federale di allora che non vietava questo tipo di contatti. Non solo, insomma, Moggi non era l’esclusivista del rapporto con Bergamo e Pairetto, ma quel rapporto non era neppure vietato. Lo stesso discorso vale per le visite nello spogliatoio che non sono vietate tutt’ora. E’ incredibile, poi, che si debba tornare a parlare del famoso caso Paparesta che, secondo la leggenda, fu chiuso nello spogliatoio. Un episodio che non sono non è mai accaduto, come hanno testimoniato i diretti interessati, ma che è stato oggetto di un’archiviazione da parte della Procura di Reggio Calabria».Il lavoro maggiore per la difesa, comunque, è l’attenta lettura delle telefonate proposte dall’accusa: «perché possono esserci delle trappole. Vedi una chiamata presentata come decisiva per provare il fatto che Moggi fosse a capo dell’associazione a delinquere, beh quella chiamata fra Moggi e Pairetto è in realtà fra Pairetto e Manfredi Martino, allora segretario della Can: uno scambio di persona!». Si inizia oggi con le dichiarazioni spontanee, fra le quali potrebbe anche esserci quella di Della Valle che si è “prenotato” e di Innocenzo Mazzini, all’epoca dei fatti vicepresidente della Figc. La prossima udienza sarà il 15 ottobre, quando ci sarà la requisitoria del pg.

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L’INCHIESTA DI FIRENZE SULLA LEGA PRO

Gentile e le false fideiussioni

Il pm chiede l’archiviazione:

è totalmente estraneo ai fatti

di FABIO LICARI (GaSport 01-10-2013)

Totalmente estraneo ai fatti. L’incubo delle false fideiussioni per Claudio Gentile sembra finito. Dopo sei mesi di indagini, la procura della Repubblica di Firenze ha chiesto l’archiviazione del procedimento nei confronti del campione del mondo ‘82. «La notizia di reato è infondata» per totale assenza di contatti con gli altri protagonisti di una vicenda che invece, secondo il pm, «ha arrecato danno» all’immagine pubblica di Gentile, assistito dagli avvocati Michele Andreano e Fabio Freddi di Ancona che avevano chiesto un interrogatorio immediato.

Lega Pro L’inchiesta del pm Sandro Cutrignanelli è partita dopo la segnalazione della Lega Pro su fideiussioni contraffate, depositate da società sportive per l’iscrizione ai campionati. Ipotesi di reato: tentata truffa in concorso e simulazione di reato, 21 le persone coinvolte, tra le quali Gentile e Riccardo Mazzola, nipote di Sandro. Le società che avrebbero avuto rapporti con gli indagati sono Como, Casale, Chieti, Andria, Treviso, Avellino e Bellaria.

«Strumentalizzato» A Gentile era stato contestato il reato di truffa ai danni del Como: una polizza contraffatta fornita da un broker (e dal suo complice) che proprio Gentile avrebbe presentato ai dirigenti della società. In realtà, scrive il pm, si vede come «l’indagato sia del tutto estraneo alla commissione del delitto contestato». Al contrario, la notorietà e la sua posizione sono state «strumentalizzate» per avere accesso agli ambienti del Como. Insomma, per l’ex c.t. dell’Under 21 la brutta storia è ormai chiusa.

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