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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Modello Udine? Glielo dovete regalare lo stadio, altrimenti s'incazza pure


IL MATTINO 21-08-2013

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Razzismo, l’allarme in Figc

“Avremo tante curve chiuse”

E sarà punita anche la discriminazione territoriale

Un lavoro delicato per il giudice Tosel

Il Viminale invita le questure a non sottovalutare

di FULVIO BIANCHI (la Repubblica 21-08-2013)

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«Sarà un campionato con tante curve chiuse»: questo il timore che si respira negli ambienti della Figc e della giustizia sportiva. D’altronde, le regole lasciano poco spazio di manovra al giudice sportivo, l’ex magistrato friulano Gianpaolo Tosel. In caso di cori razzisti, come primo provvedimento, subito la chiusura di un settore. In caso di recidiva, multa di 50.000 euro e chiusura di tutto lo stadio. Basta con le solite (inutili) ammende. E niente esimenti o attenuanti: le ha cancellate l’ultimo consiglio federale il 5 agosto (nei giorni precedenti, per il caso Constant, il Sassuolo si era salvato: solo ammenda). Il presidente Figc, Giancarlo Abete, è stato chiaro: «Noi questa gente non la vogliamo negli stadi». Si vogliono punire gli idioti (ma purtroppo ne vanno di mezzo anche i tifosi perbene), più che i club.

La Lazio è stata la prima a finire sotto la mannaia di Tosel e domenica con l’Udinese la curva Nord resterà deserta. A meno che venerdì non venga accolto il reclamo d’urgenza presentato da Lotito alla Corte di giustizia federale. La speranza è scontarla nella seconda casalinga col Chievo. I tifosi biancocelesti hanno una tesi singolare e promettono: «Non lo faremo più, ma i buu non sono un coro d’offesa razziale». Il giudice non la pensa così. La Roma invece era stata punita con le norme vecchie (niente tifosi in Curva Sud col Verona) perché gli insulti a Balotelli a San Siro erano stati l’ultima goccia nel vaso. Una delle preoccupazioni maggiori riguarda proprio Mario, il più colpito dai buu dei beceri da stadio, quasi alla pari con Napoli e i napoletani. E sabato si comincia con Verona-Milan: i tifosi veneti in passato si sono distinti per atteggiamenti razzisti. Il senatore Gentile (Pdl) allarga il fronte: «Basta con gli slogan tipo “Vesuvio erutta per noi”, o “Napoli vergogna d’Italia”. La Lega calcio ha tollerato sin troppo». Pur non essendo cori razzisti ma di “discriminazione territoriale”, non cambierà comunque la sanzione. In base all’articolo 11 del cgs (codice giustizia sportiva) è prevista la chiusura della curva. Un problema delicato per Tosel, che dovrà scegliere una linea interpretativa non facile. Bisognerà considerare il contesto, l’intensità, eccetera. A rischio, per i cori di discriminazione territoriale, anche le curve di Bergamo, Verona e Brescia (in B). Non ci sono più gli sfottò di un tempo ma in troppi ormai si divertono a insultare, offendere, provocare i giocatori di colore (perché si fanno i buu a Balotelli e non ad Abbiati?) sperando che lascino il campo. Lo hanno fatto Boateng e Constant: non succederà in campionato, Galliani ha parlato chiaro ai suoi.

Il mondo dello sport è pronto a fare la sua parte sul fronte razzismo e le norme volute da Michel Platini, recepite subito in Italia, sono durissime. Restano problemi invece con l’applicazione della Legge Mancino del 1993 (arresto e detenzione sino a quattro anni). È vero che non sempre è semplice individuare e punire gli autori dei buu, ma alcune questure sottovalutano pericolosamente il fenomeno. L’Osservatorio provvederà a sollecitare una maggiore attenzione.

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FRANCE football | MARDI 20 AOÛT 2013

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FRANCE football | MARDI 20 AOÛT 2013

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Sulle orme del padre...


Libero 22-08-2013

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Ride bene chi ride ultimo


Bacchettate per i legali di Moggi
di SEBASTIANO VERNAZZA (SPORTWEEK 24-08-2013)

L’estate della Cassazione. La suprema Corte ha confermato in via definitiva la condanna di Silvio Berlusconi per frode fiscale e, pochi giorni dopo, ha respinto il ricorso di Luciano Moggi contro la radiazione che la giustizia sportiva gli ha inflitto per Calciopoli. Il giudice ha bacchettato gli avvocati dell’ex direttore generale della Juve: «esposizione sommaria dei fatti. (…) Nella specie il ricorso principale non solo manca del tutto dell’esposizione del fatto come premessa rispetto alla successiva esposizione dei motivi, ma per di più non consente alla Corte, neanche attraverso la lettura dei motivi stessi, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti». I legali di Moggi hanno spiegato che si è trattato di un passaggio tecnico: per arrivare alla Corte europea dei diritti dell’uomo, bisognava passare per ogni grado di giudizio in Italia, dove la Cassazione rappresenta l’ultimo grado. Ne prendiamo atto, anche se la tesi sembra auto-consolatoria e ci ricorda un po’ la storia della volpe e dell’uva. «Ci hanno preso in giro», ha detto a Tuttosport il professor Federico Tedeschini, avvocato di Moggi. E poi: «se Strasburgo mi darà ragione, andrà a segnare non solo la sorte della giustizia sportiva, ma anche di un certo modo di fare giustizia». Dichiarazione impegnativa, ma siamo sicuri che a Strasburgo, in Francia, dove ha sede la Corte europea dei diritti dell’uomo, Tedeschini presenterà un ricorso esemplare, anche se non siamo del tutto convinti che una «chiara esposizione dei fatti» giovi alla causa del suo assistito…

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WorldSoccer | September 2013

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Biglietti nominativi e tessera tifoso: così non va

(ansa)

spy calcio,

Andrea Abodi, dopo aver elogiato il premier Enrico Letta (che abbia cambiato idee politiche?), ha approvato i biglietti nominativi e bocciato la tessera del tifoso. I nominativi forse in un primo periodo sono serviti per tenere a casa qualche delinquente da stadio, ma adesso tutta la materia (a cominciare dalla tessera del tifoso: inutile) va rivista radicalmente. Ma da chi? Da Angelino Alfano? D'accordo che è (sarebbe) il ministro dell'Interno, ma si occupa soprattutto di Berlusconi e delle grane del Pdl. Figuriamoci se si interessa ai problemi di milioni di tifosi. Milioni, ripeto. Ci vuole coraggio e pazienza ad andare in uno stadio (vedi Spy Calcio del 26 agosto): chi ha figli minori ha un sacco di problemi e di difficoltà, chi vuole comprare il biglietto all'ultimo momento molto speso deve rassegnarsi, chi ha l'ombrello (e piove in stadi scoperti) meglio che lo lasci a casa, chi vuole andare in trasferta meglio che lasci perdere, eccetera ecccetera. Il tifoso sovente viene visto come un potenziale delinquente: ci sono anche quelli, certo, come ci sono i beceri che fanno i cori razzisti (bravi quelli di Verona, speriamo che l'ironia trovi adesso imitatori). D'accordo che Balotelli è un provocatore, ma basta con i cori razzisti, con gli odiosissimi buuh: il Milan però deve insegnarli, e in fretta, rispetto ed educazione. Mario si fa forse condizionare da qualche amico brasciano, e si comporta (troppe volte) come un bambinone. Lo scorso anno ha giocato solo mezza stagione col Milan: risultato, 3 giornate di qualifica e sette ammonizioni. Prima partita

quest'anno di Champions: subito un giallo ad Eindhoven (e l'arbitro gli ha risparmiato il secondo per simulazione). Prima partita di campionato: anche qui un giallo. Gli arbitri (italiani) non lo sopportano più. Lo stesso molti rivali. Protesta e si lamenta in campo. Fuori scrive bischerate su Tweet. Galliani è atteso da un lavoro complicato: Balotelli è un talento che non va sprecato ma deve capire che siamo in Italia e che il calcio ha una sua importanza. In Inghilterra, mica la passava così liscia.

Lega Pro: calciatori in sciopero, ma i club giocano. Che succederà?
Stamattina l'ultima mediazione (nel pomeriggio consiglio federale, domani assemblea Lega Pro): Giancarlo Abete (63 anni ieri, auguri) tenta di convincere i calciatori a trovare un accordo con i club e non scioperare domenica nella prima di campionato. Anche perché i club giocheranno (se non lo fanno perdono a tavolino), magari mandando in campo, come soluzione estrema, la squadra Berretti. Non verrà prorogato il mercato di 15 giorni: d'altronde, spiegano dalla Lega Pro, a scendere in sciopero sono i calciatori svincolati, per loro il mercato non è un problema.
"Sciopero? Spero che comunque alla fine prevalsa il buon senso", ha dichiarato Francesco Ghirelli, dg della Lega Pro. "Noi giochiamo, le società scendono in campo e chi non scenderà sul terreno di gioco si assumerà le proprie responsabilità. Con lo sciopero si avrebbe l'effetto che i giocatori non prenderebbero gli emolumenti, i tifosi si arrabbierebbero e le società oltre a perdere l'incontro a tavolino incorrerebbero in qualche penalità. Spero, però, che domani ci sia un atto di responsabilità per entrare in campo e confido molto nelle capacità di mediazione del presidente federale Abete". Prima del consiglio federale, come detto, è stato fissato un incontro al quale parteciperanno per la Lega Pro il vice presidente Pitrolo (il presidente Mario Macalli non può partecipare) e Ghirelli. Il dg della ex serie C porterà le cifre, per difendere la sua posizione e la battaglia che porta avanti per valorizzare i giovani: quest'anno previsti contributi 8-9 milioni di euro, lo scorso anno (col minutaggio) erano 23 milioni 650.000.

(27 agosto 2013)

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The brand plays on

...but for how long?

‘Clubs are becoming more sophisticated in how they raise funds’

‘Sport has become the infiltrator of choice for global advertisers’

by MATTHEW SYED (THE TIMES 28-08-2013)

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I guess everyone has a personal favourite when it comes to embarrassing shirt sponsors. Mine is the time Livingston, the Scottish club, announced a deal with Intelligent Finance, a company that offers to make your money work for you. Two seasons later, the club went bust.

Other classics include AC Milan’s 1980s tie-up with a high-fashion Italian jeans brand. Across the middle of the players’ chests was emblazoned the unfortunate word: Pooh.

Today, the market for sports sponsorship is a serious business. According to Sporting Intelligence, the combined income for Barclays Premier League clubs has increased by £18.65 million year-on-year to a record £165.75 million this season. The figure is set to rise more dramatically next season when Manchester United’s deal with Chevrolet, worth £52 million a year, kicks in.

Clubs are becoming more sophisticated in how they raise funds, too. Spurs have two shirt sponsors: one for the Barclays Premier League and another for cup competitions. Other clubs have sponsored training kit in addition to sponsored playing kits. United’s training kit deal with Aon is worth £19 million per season alone, which is more than the main shirt deals for 15 of the other 19 clubs. The global status of the Premier League is reflected in ten of the 20 shirt sponsors being overseas companies.

Shirt deals are valuable because they supposedly take a brand closer to the action. Perimeter advertising is great for visibility, but it is not terribly dissimilar to buying billboards on the side of a road. With shirt sponsorship there is a literal connection between the brand and the athletes: the logo is on their chests. And this intimacy seems to have a dramatic effect on consumer behaviour.

This may seem odd when you take a step back. We all know that United chose Chevrolet not because the players like the cars, or would go out and buy one. Rather, it is because Chevrolet wrote the fattest cheque. If Jaguar, Aston Martin or Mercedes had paid more, United would have gone with them instead. The tie-up is not based on mutual appreciation; it is a transaction.

And yet, while we recognise the brute logic underpinning the deal, we are nevertheless suckers for it. The association will change the way that we make spending decisions. The mystique of United — the commitment to attacking football, their success, the star quality of the players — will rub off on Chevrolet. At a subliminal level, we will confuse the transaction for an endorsement.

This is the way much of the marketing industry works, of course, but it is fascinating that sport has become the infiltrator of choice for global advertisers. It is athletes such as Roger Federer and teams such as United who are the most potent vehicles to plant surreptitiously ideas of success, prestige and ambition in our minds when we think of the brands they endorse.

This role was once played by Hollywood stars. Actors are less prevalent today (with notable exceptions), however, for a simple and important reason: consumers began to see through the pretence. When actors were telling us just how much they liked Marlboro or Coca-Cola, it was just too obvious that they were, well, acting. They were playing a role in return for money, like in their movies. With sport, there is an extra layer to the artifice so the “association” retains a spurious credibility.

How long this lasts is a fascinating question, not just for advertisers, but for sport, too. According to a report by PricewaterhouseCoopers, the accountancy company, the market for sports sponsorship will, by 2015, be worth more than $45 billion (now about £29 billion).

The financial basis of sport is inextricably linked to the advertising budgets of global multinationals. The moment that consumers wake up to the fact that these associations are advertising mirages, this money will dry up. And it could happen soon.

One of the most remarkable things about the advertising industry (in sport and elsewhere) is that, by and large, the subterfuge goes unchallenged. The announcements of new sponsorship deals are choreographed by directors of clubs sitting alongside marketing directors of sponsoring companies, and they speak portentously about “brand symmetry” and the like. It is astonishing that people don’t laugh out loud.

When Rory McIlroy was introduced as the new face of Nike Golf last September, for example, Cindy Davis, the president of Nike Golf, described him as “the epitome of a Nike athlete”. McIlroy then talked about how “proud” he was to be a part of the “Nike family”. That he had never gone near a Nike club until he was tempted with a reported $125 million paycheque was studiously ignored. It was the elephant in the room. With celebrity endorsements (even those that don’t go as spectacularly wrong as Nike’s deal with McIlroy), it always is.

At some stage, people will wise up. The advertising industry has undergone a number of revolutions already. One hundred years ago, advertisements were basic statements of fact (in very ancient days, merchants stood at the gates of a city shouting about the goods on offer). Today, advertisements are comic or ironic, often seeking to influence without seeming to. In other words, the layers of subliminal messaging have grown in direct proportion to the sophistication of consumers.

This is why my hunch is that celebrity endorsements will not last more than a decade or so in anything like their present form. Like actors telling us how much they like something, the manipulation is too obvious. We will see through Chevrolet attempting to influence our choice of prestige car by paying a multimillion pound cheque to a team of footballers who are otherwise indifferent to its brand.

Advertising will not die; it will simply move on. The danger for sport — and it is a serious one — is that it is left behind.

El Barça se entrega a Catar

Ingresará 96 millones en tres años por la

publicidad en la camiseta, el museo y el estadio

El equipo azulgrana ha pasado de Unicef con Laporta a Qatar Airways con Rosell

por RAMON BESA (EL PAÍS 28-08-2013)

El Barça explicó ayer con grandilocuencia los términos del contrato firmado con Qatar Airways hasta junio de 2016, que es cuando finaliza el mandato de la junta presidida por Sandro Rosell. El club ingresará durante las tres próximas temporadas 30,5, 32 y 33,5 millones de euros, unos 96 millones en total, y cobrará una prima de cinco millones si en el mismo período gana la Champions. El consejo considera que es el mejor contrato de patrocinio de una camiseta de fútbol que se ha firmado hasta el momento a excepción del suscrito por el Manchester United, que en los próximos siete cursos percibirá 425 millones de General Motors.

El acuerdo permitirá al Barcelona competir con los mejores clubes del mundo y fichar jugadores como Neymar sin necesidad de gravar la economía de los socios, que, según la entidad, pagan una de las cuotas más bajas de los clubes de Europa, y por otra parte persistir en rebajar la deuda, actualmente cifrada en 330 millones. Ha sido al fin y al cabo la propia masa social la que ha facultado a la directiva en las asambleas de 2003 y 2010 para que pudiera publicitar la zamarra. Así lo recordó ayer Rosell cada vez que fue repreguntado por las condiciones del contrato cuando se supo que a partir de ahora habrá también publicidad de Qatar Airways en la fachada del Camp Nou, en las gradas del estadio y dispondrá de un espacio del Museo.

Los nuevos activos de la línea aérea catarí, que así fue como ayer se definió su progresiva expansión en el universo azulgrana, son los que provocaron varios requerimientos a la junta. El equipo ha pasado de exhibir el logo de Unicef en el mandato de Joan Laporta a llevar la marca de Qatar Foundation con la llegada de Rosell. La directiva defendió entonces que se trataba de un cambio de fundación e insistió en las virtudes de Catar como país pese a admitir que no era una democracia. Ahora Qatar Foundation ha sido sustituida por Qatar Airways y la publicidad ya no se limita a la indumentaria sino que se extiende al museo más visitado de Cataluña, con 1,5 millones de personas al año, y a la placa en la que figuraba el nombre de futbolistas como Di Stéfano y ahora destacan dos azafatas.

A pesar de que las cláusulas del contrato se han ido sabiendo y aplicando con el tiempo y por tanto no fueron presentados a los compromisarios, Rosell cree que los términos de la “alianza” conocidos ayer no deben ser sometidos de nuevo a los socios. No percibe que haya habido engaño al pasar de publicitar una camiseta a la globalidad: “Es el acuerdo más democrático de la historia del club, pues se presentó a la asamblea sin la obligación de tenerlo que hacer y fue aprobado con el 90% de los votos. La percepción que puede tener el 10% restante es errónea”. Tampoco advirtió ninguna incompatibilidad en que el patrocinador del club azulgrana sea al mismo tiempo el propietario del París Saint Germain.

El vicepresidente Javier Faus explicó incluso que el club no ejerció el derecho de veto que tenía cuando Sports Investments, la entidad del gobierno catarí con la que se firmó el contrato, decidió cambiar Qatar Foundation por Qatar Airways. “Nos comentaron que por la política del país les interesaba promocionar la compañía aérea”, terció Rosell, “y aceptamos porque el cambio ayudaría al aeropuerto de Barcelona: además de patrocinar directamente al Barcelona también patrocinan la economía de la ciudad de Barcelona y de Cataluña”. El convenio, sin embargo, no establece que la compañía tenga que poner aviones a disposición del Barça. A cambio, hasta seis naves llevarán pintados los colores azulgrana.

Algunos colectivos ya han expresado su intención de protestar por el acuerdo y anuncian su intervención en la próxima asamblea. Entienden que con la actual comercialización el club va perdiendo la identidad que se había ganado con intangibles. La pregunta es cómo se conjuga el més que un club con la marca Barça que incluye una segunda zamarra con los colores de la senyera. Hay serias dudas sobre si los valores del club son compatibles con los de Catar. La actuación del consejo de Rosell no ha sido precisamente demasiado respetuosa con activos que forjaron la leyenda de la institución como Johan Cruyff y Pep Guardiola.

La gestión de Rosell, un presidente que se maneja muy bien en el mundo del fútbol en tanto que exdirectivo de Nike, está siendo igualmente escrutada desde que se marcó como prioridad la “excelencia y la honestidad”, aprobó un código ético como libro de cabecera y fiscalizó las cuentas de Laporta con una due diligence y la acción de responsabilidad aprobada por los socios. A partir de la transparencia que exige para el club, al presidente se le requiere por las posibles comisiones ganadas en sus negocios en Brasil y Catar y se le pide que corrija a su entrenador Martino por denunciar que el precio de Bale “es una falta de respeto al mundo en general”. “No sé si tengo que dar explicaciones sobre mi vida antes de llegar a la presidencia”, resolvió Rosell. “Me lo estoy pensando. Soy legal, honesto, transparente y todo lo tengo declarado”. Ricardo Teixeira, expresidente de la Confederación Brasileña de Fútbol, está tramitando la residencia pasiva en Andorra, según informó Catalunya Ràdio. Alguna de las personas que le ayudan en los trámites están relacionadas con la junta del Barça. Teixeira, amigo y exsocio de Rosell, está siendo investigado por la fiscalía brasileña.

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L'EQUIPE 28-08-2013

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Finalmente cominciano le danze in Lega: "spargimento di sangue" causa Infront

Il caso Nel bilancio della MpSilva si parla di 213 milioni per cessione all’estero, ma alla Lega ne sono arrivati soltanto 90

Yacht di lusso e società irlandesi
Non tornano i conti dei diritti tv

Il mistero dei 123 milioni che sarebbero dovuti andare ai club
Assemblea Nei prossimi giorni ci sarà un’assemblea
importante, si torna a parlare di un canale tv gestito dalla Lega
di MASSIMO SIDERI (CorSera 29-08-2013)

C’è un altro calcio che scende in campo quando i giocatori della serie A vanno in panchina. Il pallone c’entra e non c’entra. Perché in quest’altro football al suo posto si usano società irlandesi, megayacht e fondi estero su estero. Tutto a telecamere rigorosamente spente. La cosa singolare è che visto da quest’altro punto di vista, con alla mano i contratti sui diritti tv che in questi giorni stanno animando la Lega Calcio, il «campionato di calcio più bello del mondo»—così come lo pubblicizza in questi giorni Sky strizzando l’occhio ai tifosi italiani—sarà pure bello ma pare che non valga molto economicamente parlando. Per la stagione 2012-2013, l’incasso complessivo per la Lega è stato di 966 milioni di euro, ma solo 120 vengono dall’estero. Tanto vale, anche con HD e tecniche moderne di ripresa, il calcio italiano fuori dai confini nazionali. Poco? Di sicuro non molto. Eppure c’è chi ci guadagna. L’uomo della magia (o del giallo, come vedremo) è Riccardo Silva. A cui si arriva tramite l’advisor della Lega sulla cessione dei diritti tv: Infront, il cui ceo a livello mondiale è il nipote del presidente della Fifa, Blatter, e il cui uomo forte in Italia è un volto noto nel settore, Marco Bogarelli, ex socio di Silva.

Ora il caso vuole che mentre poche settimane fa, in pieno luglio, la Lega Calcio riuniva senza preavviso la commissione tv per ascoltare l’allarme di Bogarelli anche sul mercato interno a causa di fantomatici accordi Sky-Mediaset, la MpSilva emergeva dalla nebbia dei paradisi fiscali con i conti della sua società irlandese. La Media Partners and Silva Limited ha chiuso la passata stagione (giugno 2012) con oltre 213 milioni di euro da «vendite dei diritti tv di serie A e B». Stando dunque al bilancio Silva si è staccato un maxi dividendo da 67 milioni, più alto di quello di Berlusconi. Soprattutto, visto che secondo gli esperti i diritti all’estero della B sono molto al di sotto dei 10 milioni, ciò che colpisce è la distanza con quanto incassa la Lega (nel 2011-2012, dunque nel periodo corrispondente, era stato 90 milioni).

Ieri però è stato lo stesso Silva ad allargare i contorni del giallo dichiarando che quei 213 milioni sono da considerarsi come gli introiti non solo nella Lega italiana, ma di molte altre attività tra cui «il campionato di calcio francese per tutti i Paesi del mondo, la Premier League inglese e la tedesca Bundesliga per 60 Paesi e diversi tornei di tennis tra cui il Roland Garros». Dalla serie A verrebbero solo «100 milioni». In soldoni ha contraddetto quanto scritto nero su bianco sul bilancio della società messa in Irlanda per evidenti questioni fiscali.

Nell’ambiente Silva è anche noto per delle lussuose feste a suon di modelle (ha una società nel settore) e champagne sul mega-yacht Vicki da 70 metri, il cui valore si aggirerebbe tra i 20 e i 30 milioni. La barca è nota perché usata come piattaforma di Pr alla fiera Sportel di Montecarlo. In ogni caso l’imprenditore 41enne, ex manager di Milan Channel e peraltro legato per parte di madre alla famiglia che possedeva la Fabbri Editori, è evidentemente molto efficace nella vendita ma i guadagni che sgocciolano nella cassa della Lega appaiono ridotti. Il che sarebbe solo uno smacco per l’orgoglio dei tifosi italiani se non fosse che sui bilanci delle società di calcio gli introiti da diritti «audiovisivi » pesano, in media, per il 65%. Non è una novità che siamo nell’era del marketing e dell’immagine. E il calcio mercato si fa anche e soprattutto con l’affaire-tv. D’altra parte basterebbe ricordare Daniel Pablo Osvaldo che in Premier League gioca con una squadra di provincia come il Southampton e Gareth Bale, che sta per passare al Real Madrid per 100 milioni. La Liga e la Premier League sono vere industrie. Noi siamo a livello artigianale. Eppure solo nel 2008-2009 il gap non era abissale come ora. Decadenza o conti che non tornano? Il sentimento diffuso è che qualcosa bolla in pentola. Le minoranze in Lega (cioè, per contrappasso, gli uomini più potenti del calcio, da Moratti ad Agnelli, Della Valle e Garrone oltre al fondo Raptor) hanno manifestato i dubbi sui proventi e la gestione di Infront, chiedendo «un advisor di fiducia dei club». La pentola dovrebbe esplodere nei prossimi giorni con la convocazione dell’assemblea della Lega sul cui ordine del giorno potrebbe tornare un vecchio adagio: la Lega ha bisogno di un canale tv da fare gestire guardacaso alla Infront (c’era già una postilla di esclusività nel contratto del 2009) a causa dell’inaridirsi del valore del settore. C’è solo da aspettare un anno per vedere quanto guadagnerà invece Silva per la stagione chiusa prima dell’estate.

Il Sole 24ORE 29-08-2013

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Sbarramento di sette club

sui diritti tv. Lega bloccata
Fiorentina, Inter, Juve, Roma, Sampdoria, Sassuolo
e Verona:

«Lo sviluppo dov’è? Offerte più vantaggiose da altri advisor»
di MARCO IARIA (GaSport 29-08-2013)

È il primo atto ufficiale di quell’opposizione che, dopo la riconferma in gennaio di Beretta sull’asse Galliani-Lotito, si è andata coagulando attorno a chi aveva sostenuto la candidatura di Abodi. Fiorentina, Inter, Juventus, Roma, Sampdoria, Sassuolo e Verona hanno inviato una lettera al presidente di Lega e al d.g. Brunelli e, per conoscenza, agli altri tredici club scoperchiando il vaso di Pandora dei diritti tv. Una materia storicamente bollente che torna ora sul tavolo con l’avvio dell’iter di vendita del nuovo ciclo 2015-18: in gioco ci sono i due terzi del fatturato della A.

Approfondimenti La missiva si propone di fungere da «stimolo» per una riflessione «approfondita e necessaria prima di adottare qualsiasi decisione relativa ai ricavi futuri da diritti audiovisivi», ma sotto sotto è una frustata alla gestione degli ultimi mesi (dovremmo dire anni) della Lega, ritenuta incapace di una visione di largo respiro sul calcio italiano, di cui è il traino economico. Non a caso, le sette dissidenti sottolineano come «né in commissione diritti audiovisivi né in assemblea sia stato mai trattato il tema – centrale – dello sviluppo del prodotto televisivo Serie A né sia mai stato affrontato quello del Canale Serie A se non in modo del tutto superficiale». La parola «progettualità», come un qualcosa che manca dalle parti di via Rosellini, è l’architrave del ragionamento delle sette. La loro preoccupazione è che, dopo che il piano d’azione dell’advisor Infront «è stato sbrigativamente presentato all’assemblea del 29 luglio», a settembre Beretta convochi i club per deliberare i prossimi passi senza le analisi «sul contesto di mercato, sulle opportunità alternative, sugli sviluppi futuri e sui vantaggi/svantaggi che ne potrebbero derivare». Lo snodo dei diritti 2015-18 è delicatissimo: per le sette società si possono «incrementare i ricavi intraprendendo un processo di sviluppo innovativo», ma il rischio adombrato dalla stessa Infront, in scadenza, nelle recenti riunioni è che il miliardo di introiti annui possa ridursi, con un cartello Sky-Mediaset, a meno che non sbarchi Al Jazeera.

Azioni preliminari Ecco i quattro passi suggeriti: convocare in assemblea Sky e Mediaset per conoscere il loro punto di vista; far preparare una stima indipendente sulle previsioni dei ricavi con benchmark su Premier e Bundesliga, studiando le loro azioni di crescita; richiedere all’advisor un piano strategico di sviluppo; individuare l’advisor per il nuovo mandato con una gara come nel 2007. L’ultimo punto è centrale. «Sul mercato - si legge - vi sono operatori che ritengono la Serie A un prodotto non sufficientemente sviluppato e disposti a garantire ricavi attuali a fronte di una fee più competitiva e vantaggiosa per la Lega rispetto a quella attuale. Una gara per la selezione dell’advisor appare utile anche in ragione del presunto contesto di mercato oligopolistico nel quale operano Sky e Mediaset». Insomma, le sette ritengono eccessiva la commissione pagata a Infront in questo triennio (35 milioni), soprattutto per l’Italia, considerato che i soggetti sono i soliti noti. Quanto ai diritti esteri (la A incassa un quinto della Premier), sono un «driver fondamentale per la crescita della A negli anni a venire» ed «è necessario che la Lega si adoperi per massimizzarne lo sviluppo». La lettera è un avviso ai naviganti. Sette club è il numero sufficiente per bloccare qualsiasi delibera, anche quella sull’advisor. E sono stati avviati contatti con De Laurentiis, da sempre sensibile sul tema, che potrebbe garantire un appoggio esterno. In serata Beretta ha risposto: «Proposte costruttive e condivisibili. Su alcune di esse la Lega è già al lavoro. Massima trasparenza e massimo coinvolgimento da parte di tutti».

Diritti tv: la Juve

guida la crociata
Sette club di A chiedono chiarezza alla Lega
di STEFANO SALANDIN (TUTTOSPORT 29-08-2013)

TORINO. Non importa che il triennio per il rinnovo della vendita dei diritti tv scada solo nel 2015: la “battaglia del grano” è già cominciata e promette di essere, come sempre accade quando in ballo c’è una montagna di soldi, parecchio dura. E, in attesa di entrare nel vivo del conflitto, si affilano le armi: la prima schermaglia serve (è servita, probabilmente) a stoppare quello che, da alcuni club, veniva giudicato come un’indebita e controproducente accelerazione. Riproponendo subito la stessa spaccatura che aveva portato alla rielezione alla presidenza di Maurizio Beretta nel gennaio scorso, con l’appoggio di Claudio Lotito e l’esclusione dal Consiglio di Juventus, Inter, Roma e Fiorentina. E ieri proprio questi quattro club sono stati i firmatari (con Sassuolo, Verona e Sampdoria) di una lettera spedita alla Lega nella quale si chiede di avviare una approfondita analisi di mercato in vista della commercializzazione dei diritti nel prossimo triennio. Quello, appunto, che partirà dal 2015. Una richiesta che, a prima vista, poteva far trasparire l’intenzione di entrare nel merito dei criteri di distribuzione, ma che invece mira a bloccare l’iniziativa che avrebbe avuto intenzione di attuare la maggioranza che regge la Lega: inserire, all’ordine del giorno dell’assemblea del 12 settembre, la votazione per il riaffidamento all’advisor Infront (lo stesso che se ne occupa ora) dell’incarico per la commercializzazione dei diritti.

ALTRO PERCORSO Iniziativa ritenuta, appunto, troppo frettolosa dai sette firmatari che pretendono, e non solo perché i tempi stavolta lo consentono, un percorso che risponda a criteri manageriali. Niente contro Infront, sostengono, ma è necessario che i 20 club possano farsi un’idea più complessa delle possibilità che offre il mercato per la cessione di diritti. Quelli che, già ora, garantiscono un gettito di circa un miliardo (966,2 milioni) di euro l’anno. Così, nella lettera è stata ribadita la necessità di un percorso che preveda l’audizione dei più importanti manager del settore: degli amministratori delegati di Sky e Mediaset (attuali detentori dei diritti) ai dirigenti di altri network e advisor potenzialmente interessati. Per arrivare, alla fine del percorso, a una gara nella quale gli advisor, compreso ovviamente lo stesso Infront, potranno presentare le proprie offerte. Che le cose possano andare davvero in questa direzione è da verificare, ma intanto il fatto che la lettera sia stata firmata da 7 club ha evidenziato come non vi possa essere, nella prossima assemblea, la possibilità di arrivare a una maggioranza nel caso di votazione. La replica di Beretta, non a caso, va già nella direzione della disponibilità all’apertura di un confronto: «Le proposte contenute nella lettera delle sette società mi sembrano costruttive e condivisibili. Su alcune di queste proposte, peraltro, la Lega è già al lavoro. Certamente - ha concluso il presidente di Lega - questi temi saranno all’attenzione della prossima assemblea in programma a settembre». La prima, c’è da giurarci, di una lunga e combattuta serie.

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laRovesciata di ROBERTO BECCANTINI (GaSport 29-08-2013)

Le sei scoperte dell’estate

dal doping alla giustizia...

Nel calcio, l’estate è stagione di grandi scoperte. L’Uefa di Michel Platini, per esempio, ha scoperto il doping. Era martedì 2 luglio, quando i giornali batterono la notizia. Dal fair play finanziario al fair play ematico: più analisi del sangue per tutti e più controlli a sorpresa, anche se solo in caso di precedenti e flagranti violazioni.

Arrigo Sacchi e Giancarlo Abete hanno scoperto che, in serie A, ci sono troppi stranieri. Anzi: non ce ne sono mai stati così tanti. Molti dei quali, aggiungo io, «estranei» ai ferri del mestiere e riconducibili, aggiungono le procure, a pratiche di reclutamento non proprio limpide. La globalizzazione (dei badati, dei badanti) ha sabotato il concetto di vivaio.

Non poteva mancare la scoperta della tolleranza zero sul fronte della lotta al razzismo. Alludo ai dieci turni di squalifica inflitti a Gaetano Iannini del Matera (serie D) per aver dato del «negro di m.» a un avversario diversamente bianco. Ne prendo atto, sicuro che gli organi preposti non avranno problemi a trasferire tariffari così drastici dal basso all’alto. Conoscendo i miei polli, preferisco però non scommetterci.

Che nemmeno papa Francesco possa fare miracoli, è scoperta che riga ma non intacca la devozione. Italia-Argentina del 14 agosto era un’amichevole organizzata in suo onore. Leo Messi e Mario Balotelli lamentarono contratture assortite e, naturalmente, vennero rispediti a casa. Sua santità la Liga, sua santità la Champions: chi sono io per giudicare i guai (degli altri)?

E poi la scoperta dell’Asia, del ritardo accumulato dal modello Italia nei confronti dei conquistatori della Premier, clienti abituali e generosi di uno sterminato bazar. Tutto vero. Una sola domanda: gli inglesi, che hanno invaso l’Asia, dove giocano la loro Supercoppa, a Pechino?

Altro spunto di periodica esplorazione, la volontà di limitare il kamasutra d’area al grido di «meno abbracci più rigori». Non vi dico da quante estati ne sento discutere, e lo sento minacciare. Alla fine, però, sempre la stessa domanda - se non ora, quando? - e sempre la stessa risposta: quando.

La scoperta più stramba risale a metà luglio. Un carro armato di tifosi dell’Atalanta, con a bordo Giulio Migliaccio e Glenn Stromberg, travolse allegramente un paio d’auto pittate con i colori del Brescia e della Roma. Per la cronaca, e per la storia, lo Sherman americano della seconda guerra mondiale, di proprietà di un collezionista, allieta le feste societarie dal 2008. Basta e avanza un goliardico «teste di carro».

Per concludere, la scoperta che la giustizia sportiva va riformata. E’ un argomento di cui si parla a rate, ogni volta che da un palazzo o da Palazzi escono gli ultimi e le ultime di Scommessopoli. La prima mossa tocca al Coni, il cui presidente, Giovanni Malagò, aveva fissato un perentorio paletto: 30 giugno. Le promesse corrono, i «tavoli» giacciono. Nel frattempo, siamo sempre lì: alle «quasi» sentenze (dossier Mauri), alla ricerca di approfondire, al pio desiderio che il sistema renda moderni i suoi codici i suoi stadi. Siamo e restiamo il Paese delle larghe «attese». Che scoperta.

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Interessante ma parziale disamina sulla Infront

(indugia solo sui collegamenti con i diritti televisivi)

Il presidente della A

di STEFANO OLIVARI (GuerinSportivo.it 30-08-2013)

Galliani.jpg

La serie A è attaccata al quasi miliardo di euro a stagione garantito dalle tivù, che spartito rappresenta la fonte di entrata maggiore nel bilancio di ognuno dei 20 club che la compongono. Per questo ogni vicenda televisiva e di Lega ha effetti immediati sugli equilibri sportivi e per questo la storia Lega-Infront-MP Silva è più importante di mille fuorigioco sanzionati in maniera chirurgica. Prima le cifre: dei 966 milioni di euro televisivi di spettanza della Lega per il 2012-13, solo 120 risultano provenire da televisioni estere. La Premier League, per dare un ordine di grandezza, incassa dall’estero circa 7 volte di più. Pur con tutta l’autoflagellazione e il disfattismo del mondo non possiamo affermare che la massima serie inglese sia 7 volte più interessante o spettacolare della serie A, quindi già in partenza c’è qualcosa che non torna anche se qualsiasi prodotto mediatico anglosassone è avvantaggiato, la Premier League è storicamente amatissima in Asia (negli anni Settanta si vedeva ogni sabato Match of the Day, la storica trasmissione della BBC, in decine di paesi anche se non in Italia), il contesto ambientale è già in sé uno spettacolo, eccetera. La MP Silva, che per il triennio 2012-2015 detiene i diritti per l’estero della serie A e B, ha chiuso l’esercizio 2011-12 con un bilancio da cui risultava un introito di 213 milioni di euro da diritti tivù di A e B. Essendo risibile l’interesse della nostra B, è evidente la distanza fra 213 e i 90 incassati dalla Lega A per il 2011-12 alla voce ‘diritti esteri’. Poi il titolare dell’azienda, cioè Riccardo Silva, ha chiarito che in quei 213 rientravano diritti anche di altri campionati, ma la distanza resta. Per completare il quadro della situazione bisogna parlare dell’advisor della Lega in materia di diritti televisivi, quella Infront contestatissima da un fronte che va da Juventus a Sampdoria, passando per Inter, Roma e Fiorentina. Queste squadre sarebbero (davvero!) le principali di una presunta ‘opposizione’ al felpatissimo ma inamovibile Beretta in Lega, un Beretta (questo il non detto delle prese di posizione dei vari Agnelli e Moratti) troppo gradito al Milan e alle due grandi televisioni (Sky e Mediaset) che mettono nel sistema i soldi veri, considerando marginali quelli della Rai e di altri per highlights vari. Un gruppo che aveva tentato di piazzare Andrea Abodi, attuale presidente della B e con molta voglia di fare, al posto di Beretta, ma che era stato sconfitto da Galliani-De Laurentiis-Lotito e dalla loro capacità di convincere le medie e le piccole. Alla fine la vera battaglia sarà quella per l’assegnazione dei diritti 2015-18, quando in campo ci sarà anche Al Jazeera (vicina in estate ad un accordo con Mediaset Premium), con Beretta e Galliani che premono per scegliere subito l’advisor. Traduzione: per confermare Infront Italia, presieduta da Marco Bogarelli e popolata da dirigenti quasi tutti provenienti dal mondo Finivest-Mediaset-Milan (come del resto lo stesso Silva prima citato). In estrema sintesi: diverse società pensano, secondo noi a ragione, che il vero presidente della Lega sia Galliani con Lotito che fa il lavoro scomodo, e soprattutto (qui è questione di valutazioni, ognuno ha la sua verità) che il calcio italiano sia venduto male, all’estero ma anche in Italia. Perché è vero che la serie A vive al 70% di diritti televisivi, ma è ancora più vero che senza gli abbonati interessati al calcio di serie A sia Sky che Mediaset fallirebbero in poche settimane. Come dire: la serie A avrebbe con le tivù italiane un potere contrattuale enorme, perché può sempre minacciare di farsi la sua tivù, ma per motivi misteriosi (…) non lo usa.

Non molto convincenti queste rassicurazioni (spot del Mulino Bianco?)

Beretta apre ai club ribelli
«I vostri temi in assemblea»

Diritti tv: il presidente di Lega scrive ai sette
Niente blitz ma discussione il 13 settembre

di MARCO IARIA (GaSport 30-08-2013)

Maurizio Beretta ha preso carta e penna e ha scritto una lettera alle «sette sorelle» che lo avevano incalzato sui diritti tv. La missiva verrà recapitata stamattina a Fiorentina, Inter, Juventus, Roma, Sampdoria, Sassuolo e Verona. Il senso è questo: «I temi che avete sollevato sono assolutamente prioritari per il futuro economico della Lega. Ritengo che l’assemblea, l’unica titolata a pronunciarsi, debba avere i tempi e gli spazi necessari per affrontare questioni così strategiche per il calcio italiano e mi auguro che queste riflessioni consentano, in tempo utile e tenendo conto delle esigenze del mercato, di trovare una soluzione condivisa nell’interesse di tutta la Lega. Sarà mia cura mettere le vostre proposte all’ordine del giorno della prossima assemblea del 13 settembre ».

Sviluppo Le società dissidenti avevano inviato a loro una volta una lettera allo stesso Beretta e agli altri tredici club chiedendo «una riflessione approfondita e necessaria prima di adottare qualsiasi decisione relativa ai ricavi futuri da diritti audiovisivi della Serie A». Oggetto della discussione il nuovo ciclo 201518: l’attuale miliardo di euro di introiti verrà confermato nonostante le nubi del mercato? Secondo le «sette sorelle » si può addirittura fare di più «intraprendendo un processo di sviluppo innovativo», cosa che «non è stata mai trattata ». Da qui la richiesta di far compiere una stima indipendente sulle previsioni dei ricavi e un’analisi comparativa con Premier e Bundesliga. «La nostra è una posizione per cercare di avere maggiore chiarezza e cogliere più opportunità ha detto Massimo Moratti . È un peccato che tante società siano fuori dalla conduzione della Lega, ma c’è rispetto reciproco pur avendo posizione diverse».

Blitz La lettera suona come un altolà al paventato (dalle stesse sette) blitz del governo di Lega di chiamare a raccolta i club a settembre per riassegnare l’incarico a Infront («individuare l’advisor per il nuovo mandato tramite una gara come avvenne nel 2007», c’è scritto nel documento). La presidenza di Lega fa sapere di non aver mai preso in considerazione l’idea di convocare l’assemblea per una simile delibera, anche perché su un tema del genere serve un lavoro istruttorio e un confronto accurati. Getta acqua sul fuoco Claudio Lotito: «Ben vengano i suggerimenti costruttivi finalizzati a incrementare i ricavi: l’iniziativa non è considerata assolutamente motivo di ostilità ma un valido contributo».

il Retroscena
La Serie A all’estero
e i margini del broker
Premier lontanissima

di MARCO IARIA (GaSport 30-08-2013)

Se il mercato domestico mette in apprensione, nell’attesa salvifica di Al Jazeera, è l’estero il cruccio del calcio italiano. Dalle battaglie di De Laurentiis alla presa di posizione dei club dissidenti, spesso ci si è lamentati della mancata valorizzazione del prodotto campionato fuori confine. Per le sette sorelle i diritti internazionali sono «un driver fondamentale per la crescita della Serie A» ed è necessario «che la Lega si adoperi a massimizzarne lo sviluppo e i conseguenti ricavi». Il confronto con la Premier è da pianto. Quest’anno la A percepirà dai diritti esteri 117 milioni di euro, contro gli 800 circa della lega inglese, che ha registrato un incremento di oltre il 50% rispetto al ciclo precedente. Ma è pur vero che la Premier si è mossa con largo anticipo, sin dagli inizi degli anni Novanta, trasformando il proprio campionato in un vero e proprio brand riconoscibile dal Giappone agli Usa.

Silva A piazzare la A e la B all’estero è MP & Silva, che si è aggiudicato i diritti 201215 offrendo all’asta circa il20%in più di Img e Sportfive. Nei giorni scorsi Il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera si sono occupati di Silva sottolineando il presunto margine che avrebbe realizzato dalla compravendita dei diritti del campionato italiano. L’esercizio in questione è il 201112, quando il broker pagò alla Lega 91 milioni. Nel bilancio della MP & Silva Limited, la holding irlandese cui all’epoca facevano capo quasi tutte le attività del gruppo (adesso ce n’è un’altra con sede in Lussemburgo), tra le note del conto economico si legge che la «vendita dei diritti media della Serie A e B italiana» ha portato ricavi per 213,3 milioni. Sembrerebbe quindi che quei diritti abbiano generato profitti per 122,3 milioni e che il calcio italiano sia stato pesantemente sottostimato. In realtà, nella relazione di gestione si specifica che «la principale attività del gruppo consiste nella vendita dei diritti tv delle partite italiane e di altri eventi sportivi internazionali ». Ed effettivamente quei 213,3 milioni non rappresentano una fetta del fatturato di MP & Silva Limited, ma l’intera torta, con la A (ricostruisce lo stesso Silva) a 95100 milioni, la Premier a 50 e altri eventi a più di 100. Il broker, incappato in un errore di scrittura contabile («lo correggerò»), si è ormai espanso a livello globale. Le previsioni di ricavi di quest’anno sono di 120 milioni dalla A, 150 dalla Premier, 30 dalla Ligue e 120 dal resto per un totale di 420 milioni.

Spiegazione gia' plausibile in cui i conflitti d'interesse sono chiari

(magari si potrebbe ricordare ogni tanto il "ricatto" di Mediaset durante i mesi piu' caldi del 2006)

Perché i diritti tv scuotono la Lega?
Le «sette sorelle» contro l’asse Galliani-Lotito:
nel mirino il ruolo dell’advisor e la vendita all’estero

di MARCO IARIA (GaSport 31-08-2013)

In Lega torna sul tavolo l’argomento più scottante: i diritti tv. Cioè i soldi che tengono in vita l’intero movimento calcistico italiano: un miliardo all’anno, due terzi del giro d’affari della Serie A. Il dibattito attorno ai diritti del prossimo ciclo 2015-18 è il primo casus belli che vede di fronte l’opposizione nata dalla rielezione di Beretta in gennaio e la maggioranza di società che ha in mano le chiavi della Lega. Fiorentina, Inter, Juve, Roma, Samp, Sassuolo e Verona da una parte, l’asse Galliani-Lotito-De Laurentiis-Preziosi dall’altra. Ma dovremmo pure dire i grandi capitani dell’industria e della finanza tricolore Agnelli, Della Valle, Garrone, Moratti, Squinzi contro il resto del mondo. In questo quadro complicato si è inserito il caso MP & Silva sulla vendita dei diritti all’estero. Cerchiamo di capirne di più.

1
Di cosa si lamentano le «sette sorelle»?
Qualche giorno fa hanno scritto una lettera al presidente Beretta e alle altre tredici società chiedendo di attuare «un percorso di sviluppo innovativo» volto alla valorizzazione del prodotto Serie A in Italia e all’estero, senza fare scelte affrettate, analizzando bene il mercato, ascoltando tutti gli operatori del settore, comparando le esperienze di successo di Premier e Bundesliga, valutando costi e ricavi di un eventuale canale della Lega.

2
Come funziona la vendita dei diritti italiani?
Dal 2010 si è tornati alla contrattazione collettiva. La Lega si avvale della consulenza di un advisor (Infront), bandisce gare pubbliche per tutti i pacchetti. Ci si è interfacciati col duopolio della pay tv Sky-Mediaset vendendo gli eventi per piattaforma e non per contenuto: cioè tutti fanno tutto (per la verità Mediaset ha solo 12 squadre su 20), non c’è esclusiva e, a differenza della Premier, tutte le partite vanno in tv. Il contratto con l’advisor prevede che questo assicuri alla Lega un minimo garantito (900 milioni annui): un fattore di rischio per Infront che in cambio riceve una commissione di 35 milioni dal miliardo di euro di vendite. Secondo i club dissidenti «ci sono operatori disposti a garantire ricavi attuali a fronte di una fee più vantaggiosa per la Lega». Dicono: che senso ha dare tutti quei soldi visto, per esempio, che per l’Italia ci sono i soliti Sky e Mediaset?

3
E per l’estero?
Anche in questo caso i diritti vengono venduti con una gara, sempre col meccanismo del minimo garantito. MP & Silva si è aggiudicato sia il biennio 2010-12 (91 milioni annui) sia il triennio 2012-15 (117 milioni) offrendo più degli altri concorrenti e assicurandosi la licenza per rivendere in tutto il mondo il campionato italiano. Nei giorni scorsi questo broker è finito sui giornali per un presunto ricco margine sulla vendita di questi diritti. Nel bilancio 2011-12 della holding irlandese MP & Silva Limited, alla voce fatturato c’è scritto «vendita dei diritti media per la Serie A e B italiana», uguale 213,3 milioni di euro. Parrebbe che, rispetto al costo di 91 milioni, il profitto sia stato di 122. Un’enormità che inchioderebbe non tanto Silva che non è tenuto a versare alcuna royalty ai club quanto la Lega, che avrebbe sottostimato pesantemente il valore del suo prodotto. Nella relazione di gestione, tuttavia, si specifica che «la principale attività del gruppo consiste nella cessione dei diritti tv per le partite di calcio italiano e per altri eventi sportivi internazionali ». Inoltre, i costi di acquisto di tutti i diritti ammontano a 162,6 milioni: togliendo i 91 del campionato italiano, è evidente che Silva ne ha spesi 70 per comprare altri eventi sportivi. I ricavi da A e B dovrebbero essere stati di circa 120 milioni, «poi però dice Silva devo toglierci i costi di accesso al segnale e altre spese e si arriva a 95-100». L’errore di scrittura contabile, tuttavia, c’è. Per sgombrare il campo dai dubbi basterebbe esibire i contratti sottoscritti dall’intermediario con le varie emittenti. Un obbligo, stando allo stesso bando della Lega. Due anni fa Juventus e Napoli chiesero copia di quei contratti. Riccardo Silva, titolare dell’agenzia, disse che li avrebbe messi a disposizione di un notaio sbiancando però le cifre per tutelarsi da possibili cause delle tv. Ora lui stesso annuncia: «Sono disponibile a far vedere alla Lega tutti i contratti di tutti i paesi del mondo. Stavolta mostreremo i corrispettivi economici sperando che non vengano forniti alle altre agenzie perché si tratterebbe di concorrenza sleale».

4
C’è qualcos’altro dietro l’offensiva delle «sette sorelle»?
I diritti tv rappresentano una materia sensibilissima per mettere in crisi la governance stessa della Lega. C’è uno scontro di potere e di visioni sul futuro del calcio italiano. E la défaillance contabile di Silva desta qualche perplessità nell’opposizione, da cui traspare un sospetto attorno al conflitto d’interessi di Silvio Berlusconi, proprietario di una squadra di calcio, il Milan, che fa parte dell’esecutivo di Lega con Galliani vicepresidente, fondatore di un colosso media fatto da un’emittente (Mediaset) che trasmette le partite di Serie A e la cui galassia ha avuto in passato a che fare (Milan Channel) con l’advisor della Lega e il broker dei diritti esteri. Un intreccio, tuttavia, che può non essere strano se si pensi che negli ultimi 20 anni la struttura e il know how della tv commerciale italiana sono discesi dall’esperienza berlusconiana.

5
Cosa può succedere ora?
Beretta ha assicurato che le richieste delle «sette sorelle» verranno ascoltate e spiegato che non c’era alcuna intenzione di convocare un’assemblea a settembre (sarà il 13) per deliberare sul prolungamento dell’incarico a Infront. Le ribelli la pensano diversamente: temono che in assemblea ci sarà un blocco e non escludono un blitz. Stanno al varco, pronte a una strategia più aggressiva.

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La «mina vagante» Flamini

libero e senza procuratori

Si muove sempre da svincolato niente plusvalenze per

le squadre o affari per i procuratori. Il ritorno a casa Arsenal

di LORENZO LONGHI (l'Unità 30-08-2013)

FOSSERO TUTTI COME LUI, I MINO RAIOLA DEL PALLONE SAREBBERO COSTRETTI AD INVENTARSI UN ALTRO MESTIERE. O, SE NON ALTRO, AVREBBERO MENO POTERE IN UN CALCIO IN CUI I CONTRATTI VALGONO ZERO DI FRONTE ALLA PROSPETTIVA DI UN AFFARE DI BILANCIO. Invece Mathieu Flamini è un’eccezione, entrato in circolo come un virus impazzito: nei tre trasferimenti eccellenti che sinora hanno caratterizzato la sua carriera, nessun club ha mai ricavato denaro o plusvalenze dal suo addio. Perché Flamini si è sempre mosso da svincolato, decidendo egli stesso della sua vita calcistica. Dal Marsiglia all’Arsenal nel 2004, dai Gunners al Milan nel 2008, dai rossoneri di nuovo alla corte di Wenger un paio di giorni fa: club o agenti non sono mai riusciti a lucrare sul suo lavoro, mentre lui ha monetizzato al massimo i frutti del suo rendimento in campo.

Non è mai stato uno sprovveduto, l’ex rossonero. Avendo iniziato a studiare legge prima che la sua carriera spiccasse il volo, ha sempre mostrato una consapevolezza superiore a quella di diversi colleghi. Tanto che, dopo l’ottimo esordio in prima squadra nel Marsiglia 2003-04, sfruttò il vuoto legislativo nella regolamentazione dei trasferimenti per i giocatori ancora privi di contratto professionistico, rifiutando un’offerta dell’Om per firmare un accordo ben più remunerativo con l’Arsenal. Il Marsiglia fece ricorso al Tas e perse, ottenendo appena un’indennità di formazione pari a poco più di 400mila euro, quando il giocatore valeva già dieci volte tanto. Flamini, che non ha un procuratore vero e proprio, sotto l’aspetto legale si fa assistere da Alexandra Missirli-Monneret, avvocatessa marsigliese che lo segue dai tempi della vittoria al Tas e, da allora, ha sempre dettato la linea con i club che lo hanno tesserato. Basti pensare che, quando Wenger non accettò la sua richiesta di aumento dell’ingaggio, Flamini - in campo sempre professionista eccellente e pedina di peso - decise di arrivare a scadenza e nel 2008 si accordò da svincolato con il Milan: 4,5 milioni annui per quattro anni. Nel 2012 accettò poi un drastico taglio per un rinnovo a 1,8 milioni, un anno per poi decidere il da farsi. È storia di poche settimane fa: il club rossonero avrebbe voluto prolungargli il contratto (a centrocampo di uno come lui avrebbe ancora bisogno), ma i parametri di via Turati a Flamini non andavano più bene. Svincolo, accordo con Wenger, triennale da 2 milioni l’anno.

Senza cessioni né plusvalenze: scadenze rispettate, ammortamento concluso, professionalità pura e nessuna parcella milionaria all’agente di turno. Da una Champions all’altra, migliorando durata del contratto e ingaggio. Fossero tutti come lui…

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Salviamo il gioco più bello del mondo

di IAN BURUMA (la Repubblica SERA 30-08-2013)

Traduzione di MARZIA PORTA

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Marotta non lo dice ma si ispira a queste valutazioni quando va a fare la spesa

nei magazzini dell'Udinese e dell'Atalanta con la carta revolving personalizzata

Moneyball visionary makes his

pitch to clubs’ bean counters
by RORY SMITH (THE TIMES 31-08-2013)

It has been a busy decade for Billy Beane. It is ten years since the release of Moneyball, the seminal Michael Lewis work that placed the unassuming general manager of the Oakland A’s front and centre in a revolution that swept first baseball and then the whole of sport.

He has become an icon, a figurehead, a sought-after speaker and consultant.

Brad Pitt played Beane in the book’s eponymous film. All that on top of the day job, keeping the A’s competitive in the face of an overwhelming financial disadvantage. Still, though, he has found time to indulge in his one guilty pleasure: football.

He fell in love with the game on a visit to London to celebrate his wife’s birthday years ago, captivated by the emotion, the fervour, the screaming headlines and the breathless coverage. He is a ferocious consumer of it, citing five podcasts — including The Times’s own offering, the game, naturally — as regular, required listening. Still, though, one thing takes him aback: the noise.

“Look at Arsenal,” he says in his office at the O.co Coliseum, home of the A’s, eyes wide, hands raised to the heavens in disbelief. “They lose the first week to Aston Villa — who might be better than everyone thinks anyway — and the whole place is going crazy. People want them to tear up their business plan, to get rid of it. It’s one match! It wasn’t just that game, obviously, it was a reaction to the summer, and you knew it was coming, but still.

“Every year they are in the top four. They are paying down their debts. They have a stadium. If you are looking for a model, that is the one you look at. They will be in an even stronger position going forward, but as well as they do things, the first week they lose and everyone goes crazy. That is noise.”

Beane hates noise. Noise is emotion. Beane, in his professional capacity, does not do emotion. It is his ability to resist it that lies at the heart of Moneyball. Beane and his protégés and loyalists stand for reason, and analysis, and logic. “Ignoring that noise is huge in sports,” he says. “People get emotional and make emotional decisions.”

This, of course, is football’s noisiest weekend, as the hysteria of the transfer window reaches fever pitch. Wenger, more than most, knows just how deafening the screeching can be. The Frenchman’s failure to add a star name to Arsenal’s squad over the past two months has caused mutiny to simmer in the stands of the Emirates Stadium.

Beane sympathises with his plight. His experience, though, suggests that Wenger’s apparent lack of enthusiasm for dipping into his club’s vast resources may not be as disastrous as has been assumed.

It is no surprise that the American boasts some fellow-feeling with the Arsenal manager. Both men, after all, are pioneers. Just as Wenger’s arrival in North London heralded a sea-change in English football’s attitudes to nutrition, preparation, tactics and scouting, so Beane’s devotion to analytics turned baseball on its head.

There is one crucial difference: where Wenger seems to have stagnated, and been caught up and surpassed on the trail he blazed, Beane has continued innovating. He looks back on the statistics he used in 2002, the season depicted in Moneyball, as though they were “something from The Flintstones”. Now, the A’s have moved on.

“It is like water finding cracks,” he says. “We are always looking for a space to occupy that gives us a chance. There are layers we are peeling back now. Catching position is one thing we are looking at. We are more hardcore, more myopic, more linear now than we ever were. Anything we have not quantified, we are looking for a way to do it. Everything comes down to a math problem.”

Football has proved resistant to that logic. Most clubs now possess sprawling analytics departments producing reams of information, but the general consensus remains that the game is too fluid, too dynamic, to be broken down like baseball. “It is always funny when you hear that you can use analytics in any business, in crime, in wars, in anything, but you can’t use it in this one thing,” Beane says.

The recruitment strategy adopted by Beane over the past two years, though, may be far more palatable to a sport still suspicious of analysis and academia; it is here that Wenger, battered and bruised after a summer of transfer market disappointment, may find succour.

“Star players are not available to us,” Beane says. “So two years ago, we started making sure we did not have any bad players. We started managing from the bottom. Every update we got on player performance, we would just cut the guy from the bottom. We did it unconsciously at first, but then it became a conscious effort.”

An economist would recognise the strategy: this is the O-Ring theory of development, a concept first suggested by the economist, Michael Kremer, in 1993. It suggests that performance is improved more by cutting the chaff than adding to the wheat, and by coincidence, one of the research assistants on Kremer’s paper, Farhan Zaidi, is now Beane’s director of baseball operations.

Instead of trying to sign the best players they can, the A’s concentrate on continually upgrading their weakest link. It works: last year they lifted the American League West; this season, they are neck and neck with the big-spending Texas Rangers. Beane has a team devoid of big names that won just one game fewer than the star-studded New York Yankees last season. “We really micro-managed it last year,” he says. “We were quite ruthless by the end.”

The implications for football are substantial. Every summer, Wenger — and his peers — come under pressure to sign the biggest name they can. It would make worse television, but perhaps have more effect, if they concentrated instead on the more mundane task of managing from the bottom up.

The problem, of course, is that football does not readily change its ways.

Beane is not claiming to have a magic formula — those podcasts have taught him that “all 20 clubs in the Premier League need managing in different ways” — but his experience suggests that there is, at least, more than one formula. “The information is there,” he says. “It just needs someone to execute it.” What football needs, in other words, is someone who does not hear the noise.

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MAURI RISCHIATUTTO

E LA SOCIETÀ TREMA

Giovedì prossimo riprende il processo in Appello

Potrebbe passare la linea dura del procuratore Di Martino

IL CENTROCAMPISTA POTREBBE SUBIRE UN LUNGO STOP

IL CLUB QUATTRO PUNTI DI PENALIZZAZIONE

LA CORTE È SPACCATA

di DANIELE MAGLIOCCHETTI (Il Messaggero 02-09-2013)

IL CASO

ROMA Mauri rischia la carriera. La Lazio, per responsabilità oggettiva, una penalizzazione. E forse anche l’Europa. Il processo d’Appello sta per ricominciare, ma la commissione che compone la Corte di Giustizia Federale è spaccata, solo ed esclusivamente sulla posizione del centrocampista biancoceleste. Tanti dubbi, troppe situazioni confuse.

Ed è per questo motivo che il 16 agosto, dopo una giornata convulsa, da parte della Cgf (Corte di Giustizia Federale) è stata presa la decisione, unica nella storia dei procedimenti sportivi, di sospendere il giudizio su Mauri e sulla Lazio, e non su tutti gli altri imputati, disponendo ulteriori attività d’indagine anche attraverso audizioni con la garanzia del contraddittorio davanti alla stessa Corte.

IL RETROSCENA

Ma come si è arrivati ad un simile provvedimento che ancora fa discutere? Sono le 17,15 del 16 agosto e uno dei legali di Mauri, Amilcare Buceti, termina il suo intervento: è l’ultimo del dibattimento. Da quel momento il presidente della commissione, Gerardo Mastrandrea, apre la camera di consiglio. Si va avanti piuttosto spediti sulle posizioni dei vari Milanetto, Benassi, Rosati, Ferrario, Zamperini e delle due società Lecce e Genoa, respingendo i ricorsi della Procura Federale.

ILLECITO CANCELLATO

In sostanza viene cancellato l’illecito. Dura tutto poco meno di un’ora. Quindi arriva il momento di valutare la posizione di Stefano Mauri e della Lazio: Palazzi aveva chiesto 4 anni e sei mesi per il capitano e 6 punti di penalizzazione per la società; la Disciplinare aveva ridotto la pena a 6 mesi per lui (per omessa denuncia) e 40 mila euro di multa al club. Qualche giudice pensa di proseguire con la stessa, indulgente, procedura adottata per gli altri tesserati. Il clima, tutto sommato, sembra sereno.

IL NODO

Ma ecco l’intoppo. Un nutrito gruppo di persone che fanno parte della commissione solleva dubbi pesanti sulla posizione del laziale. A sostegno di questa tesi, qualcuno tira fuori l’intervista shock del procuratore Di Martino ai quotidiani La Ġazzetta dello Sport e La Repubblica, dove il pm di Cremona, oltre a prendere una posizione pesante contro la giustizia sportiva, senza mezze misure punta il dito solo contro Mauri sostenendo che nei suoi confronti «le prove sulla frode sportiva sono granitiche».

Apriti cielo. Diversi membri della corte, luminari ed esperti di diritto, sono turbati da queste parole. «Vi pare che un magistrato si espone così se non ha qualcosa? E che figura ci faremmo noi se dovessimo assolvere Mauri e poi tra qualche mese viene dimostrato che è colpevole?», sostiene qualcuno durante la discussione. I dubbi non fanno che crescere minuto dopo minuto e la camera di consiglio diventa all’istante rovente.

ATMOSFERA PESANTE

Si discute animatamente, tanto che ad un certo punto la maggior parte spinge per condannare Mauri a tre anni per illecito e di conseguenza penalizzare di quattro punti la Lazio. Non c’è però unanimità e la linea dura non passa. Qualcuno chiede di giudicare solo attraverso le carte usate in Appello, senza lasciarsi influenzare da elementi esterni né dimenticarsi le decisioni che sono state prese minuti prima per gli altri imputati. Ma la soluzione non si trova, qualcuno resta sulle proprie posizioni. L’atmosfera è pesante. Alla fine, poco dopo le 19 e 30, si arriva alla tregua e, grazie all’intuizione di tre-quattro giudici, alla inedita decisione di applicare l’articolo 34 comma 4, ovvero di sospendere il giudizio su Mauri e la Lazio.

ORA CHE FARE?

La realtà è che la Corte è spaccata e non sa che tipo di decisioni prendere. Giovedì 5 settembre, i dieci giudici si rivedranno all’Nh Hotel per riprendere il discorso, ma soprattutto per stilare il calendario degli interrogatori.

Anche qui sembra esserci parecchia incertezza su chi sentire e soprattutto chi convocare prima: Mauri, Zamperini, Gervasoni o anche altri tesserati della Lazio, che potrebbero sostenere che Mauri e Zamperini avevano contatti continui per i biglietti. L’indecisione che regna attualmente all’interno della commissione potrebbe far rischiare grosso a Mauri e la Lazio.

CASO BESIKTAS

Che se venisse penalizzata in campionato rischierebbe anche la posizione in Europa, come è accaduto di recente al Besiktas, anche se i turchi rispondevano per responsabilità diretta e non oggettiva come la Lazio. Una differenza non da poco.

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Football makers fear stitch-up

over goal of the perfect sphere

by ROBIN PAGNAMENTA SIALKOT (THE TIMES 02-09-2013)

Pakistan may never have excelled at football, but for decades the nation’s football-making industry was an undisputed world champion, stitching hundreds of millions of balls for export around the globe.

However, the industry has now been driven into a state of crisis by strict Fifa directives governing the roundness of balls.

The result has been devastating for the workforce in the city of Sialkot, which ten years ago produced 85 per cent of the world’s footballs, employing 100,000 people as stitchers.

Production in the city, located northeast of the Punjab province, has collapsed from over 40 million balls in 2007 to 22 million this year, while the workforce has shrunk to barely 10,000.

“I am 79 years old and I’ve been making footballs all my life,” says Iqbal Sandal, in his empty factory. “I am just living for the day when hand-stitched footballs make a comeback.”

Safdar Ali, 52, who started stitching balls aged 12, says the impact has devastated villages. “There used to be 40 stitchers in my village alone — now there are just two,” says Mr Ali, who has five children. “People can’t earn enough to survive.”

Locals say the trouble began in 2006 when Fifa introduced new specifications which favoured uniform, machine-made products over traditional hand-stitched balls.

“It’s become more stringent and it’s difficult for hand-stitched manufacturers to maintain a uniform circumference,” explains Assad Bajwa of Talon Sports.

The latest rules, introduced this year, permit only a 1.3 per cent deviation from a perfect sphere — a tough target for traditional Pakistani stitchers to meet. As Fifa has tightened its rules, China and Thailand have rushed in with cheaper machine-stitched balls that, although of lower quality, have in a few years grabbed over half the global market. “It’s changed the whole scenario,” says Mr Bajwa. “One day there will be no need for hand-stitched balls.”

Traditionalists in Sialkot scoff at the latest “thermo-bonded” balls. “They are not footballs,” snorts Professor Safdar Sandal. “There is no artisanship. They are mass produced — like biscuits.” Iqbal Sandal dismisses them as “giant tennis balls”.

Mr Sandal points to the English FA, which insists on traditional handstitched balls. All Premiership matches still use Sialkot footballs made by a local company, Silver Star.

Nevertheless, Sialkot faces an uphill struggle. With nearly 3,000 stitches per ball, a good Pakistani stitcher can make 3-4 footballs per day, for which they receive 100 rupees per ball (about 67p) but a machine stitcher can produce 50 at just 4p per ball.

All of this is gloomy news for the city where, according to local legend, the first football was stitched in 1889 after a British army officer asked a local saddler to repair his damaged ball. He agreed and also copied its leather panels, using them to make a replica.

The ball was so good that he began selling them to other soldiers, and to British regiments across India.

The industry has faced a crisis before. Persistent allegations of child labour dogged the industry in the 1990s, prompting new monitoring and production methods that pushed up costs.

Some Sialkot companies are buying equipment to make machine-made balls to compete with China, although frequent power cuts pose a problem.

But Iqbal Sandal remains convinced about hand-stitched balls. “The world needs real footballs — and Pakistan can make them,” he said.

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Ecco come ha fatto Galliani ad avere gratis Kaka.

Il Real Madrid ha usufruito delle sue notorie capacità #maghegginrossonero

Los números secretos de Bale
El Tottenham sostiene que el Madrid le impuso la firma de una
cláusula de confidencialidad para no revelar oficialmente la
cuantía del traspaso, que sigue siendo motivo de controversia

Levy afirma que el club blanco ha pagado 85,4 millones de libras, 101 de euros, al contado
por DIEGO TORRES (EL PAÍS 03-09-2013)

Las cifras de los contratos que formalizaron el fichaje de Gareth Bale por el Real Madrid son objeto de controversia en España. En el resto del mundo, especialmente en Gran Bretaña, tanto el Tottenham, el club vendedor, como el agente del futbolista, Jonathan Barnett, se están encargando de divulgar los contenidos, en algunos casos mostrando copias de los documentos para que no quede lugar a dudas. Según dos fuentes consultadas por este periódico que han tenido acceso a estos papeles, Bale fue traspasado al Madrid por algo más de 100 millones de euros (85.400.000 libras esterlinas) y su salario neto alcanzará los 13 millones. Estas revelaciones, contrastadas por medios como la BBC, The Guardian o La Ġazzetta dello Sport, entran en contradicción con la versión de los dirigentes madridistas. En el Madrid aseguran que pagaron 91 millones al Tottenham y firmaron seis millones netos anuales de salario para el jugador pero, de momento, sin ofrecer pruebas documentales.

Bale fue presentado ayer en el estadio Santiago Bernabéu ante unos 30.000 aficionados rendidos a la parafernalia. No hay otro club en el mundo capaz de coordinar una campaña de comunicación y propaganda con más eficacia que el Madrid. Dice un alto funcionario del club que entre las preocupaciones del presidente Florentino Pérez destacaron mantener en secreto los números de la operación. En el Tottenham aseguran que Pérez, preocupado por la mala imagen que podría reflejar en España una cantidad desorbitada, obligó a Levy a firmar una cláusula de confidencialidad por la cual ambas instituciones se comprometieron a no hacer oficiales las cifras de la compraventa de los derechos de Bale. El presidente del Tottenham, sin embargo, está ventilando los números extraoficialmente porque componen un récord en la historia de las transacciones deportivas. Más que lucir curríC**O, Levy quiere demostrar a los aficionados de su club que no ha permitido que le arrebaten a su mejor futbolista —piedra angular de su proyecto de conquista de la Premier— sin cobrar una cantidad inaudita. Levy afirma que el Madrid pagó 85.400.000 libras, al contado y en una sola vez.

Jonathan Barnett, el representante del futbolista, refirió a sus socios que hace dos semanas le llamó un alto ejecutivo madridista para pedirle por favor que ocultara las cifras del contrato entre Bale y el Madrid porque de otro modo provocaría una ola de reclamos de aumento de sueldo en la plantilla. El agente contó que Florentino Pérez temía que Özil y Benzema (con millones de euros netos), Ramos (4,5 millones), y en especial Cristiano (10 millones), supieran el contenido del acuerdo que garantizaba al galés un fijo de 11 millones más otros dos millones de variables por objetivos fácilmente alcanzables.

Barnett reveló a sus socios que el ejecutivo madridista le pidió que dijera que Bale ganaría cinco millones netos, a lo que se negó de inmediato argumentando que en el Tottenham su jugador ya ganaba 5,5 el año pasado y nadie se creería que, después de ser traspasado por un precio récord, se rebajaría la ficha. Según esta versión, ambos acordaron la semana pasada que dirían a la prensa española que Bale cobraría algo más de seis millones de euros netos. Pero Barnett aclaró que de ningún modo tergiversaría los números ante sus clientes y ante los ejecutivos de la Premier porque si lo hacía le catalogarían como estafador de futbolistas. Decir que Bale, elegido mejor jugador de la última Premier, ganaría seis millones de euros netos en Madrid equivaldría, según Barnett, a ensuciar su prestigio cuando las principales figuras del campeonato inglés superan fácilmente esa cantidad. Yaya gana 14 millones netos, Company 11, Silva y Agüero 9, Nasri 7, Eto’o y Rooney 13, Van Persie 10, Terry 11, Lampard 9, Torres y Hazard 8, Mata 5... y Soldado más de 4 millones... en el Tottenham.

La escasa colaboración que la directiva del Madrid encontró en Barnett se reflejó en la distancia con que le trató ayer Pérez durante la presentación. El inglés, flemático, calvo, armado de dos gafas de pasta circulares, tipo Lennon, hizo como si le diera igual.

En el Madrid anticipan que han preparado una versión para refutar con instrumentos ad hoc toda la información proveniente del Tottenham y de Barnett.

SPORT 03-09-2013

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L'ALLARME

In Curva Sud è lotta per la supremazia

L’ALLARME DEGLI INVESTIGATORI: ALCUNE FRANGE OLTRANZISTE SI STANNO RIORGANIZZANDO

di MARIA LOMBARDI (Il Messaggero 03-09-2013)

I finestrino in frantumi, le schegge davanti al sedile dell’allenatore. L’agguato al pullman del Verona fa alzare il livello dell’allarme.

È Roma ormai la capitale del tifo violento.Gli stadi di tutta Italia, seppure lentamente e a fatica, si vanno calmando mentre dentro e fuori l’Olimpico accade il contrario. Un fenomeno in controtendenza su cui si concentra l’attenzione dell’Osservatorio del Viminale.

A preoccupare in particolare sono gli ultras giallorossi, «oltranzisti piuttosto che ultras», li chiamano gli investigatori. All’interno della galassia della tifoseria romanista si stanno imponendo i più violenti intenzionati a prendere il sopravvento. Una lotta per la supremazia in curva Sud che potrebbe avere risvolti pericolosi se l’ala meno agguerita non riuscirà a riprendere il controllo.

L’AGGUATO

«Premeditato», non c’è dubbio. Un’imboscata in piena regola, quello dell’altra sera. Chi ha agito ha approfittato del passaggio del pullman che era scortato anche dall’elicottero per lanciare i sassi e poi fuggire. In quanti erano? Due o forse di più.

Quelli che hanno materialmente scagliato le pietre potrebbero aver contato sull’aiuto di altri che si erano appostati e hanno avvisato dell’arrivo del pullman. Si temeva che qualcosa potesse succedere l’altra sera, tra le tifoserie del Verona e quella della Roma c’è da sempre un’aperta ostilità.

IL POTERE

L’ennesimo episodio violento che fa da contorno alle partite che si disputano nella Capitale. Cosa sta succedendo? La rabbia sociale che va montando e che negli stadi può trovare una valvola di sfogo è un fenomeno che riguarda tutta le città italiane. Perchè allora altrove non accade quello che accade a Roma? I tifosi del Palermo, solo per fare un esempio, non è che stiano meglio eppure lì la situazione è sotto controllo. C’è un caso Olimpico dunque che riguarda entrambe le tifoserie, e in particolare c’è un caso giallorosso.

«Le tifoserie oltranziste si stanno riorganizzando», osservano gli esperti del Viminale. Le frange più violente degli ultras giallorossi stanno riconquistando terreno e si vanno imponendo sulle altre. Sarebbe in atto una sfida per la conquista del potere all’interno della curva romanista. Gli estremisti puntano in altro: vogliono il controllo per ragioni di business. Essere un capo della tifoseria ha sempre un ritorno economico. Le sigle sempre le stesse, «slogan più che sigle». Quelli di Bisl, «Basta infami solo lame», acronimo creato dagli ultras di estrema destra, o di Acab «All cops are bastards», tutti gli sbirri sono bastardi.

I PIANI

Se le società non riusciranno a riprendere il controllo della situazione c’è il rischio che la violenza prenda ancora di più il sopravvento. Anche perché gli «oltranzisti», come li chiamano gli investigatori, stanno ampliando il loro raggio d’azione: la guerriglia si sposta al di fuori dello stadio. L’Olimpico è sorvegliato, c’è più controllo. Gli attacchi lontano dalle curve, come quello dell’altra sera, sono difficilmente prevedibili ed è molto più complicato fermarli. Inoltre in casi di violenza fuori dallo stadio, si sa, la giustizia sportiva non ha potere di intervenire.

Il pericolo è che la domenica tutte le zone intorno all’Olimpico si trasformino in un campo di battaglia. Quello che è accaduto in occasione dell’ultimo derby con gli scontri a Ponte Milvio.

Dopo l’agguato al pullman del Verona crescono anche i timori per i prossimi appuntamenti. A cominciare dal derby del del prossimo 22 settembre.

La Lega ha fissato l’incontro Roma-Lazio per le 15: mai più di notte aveva chiesto il prefetto della Capitale. Ma c’è anche la partita con l’Atalanta a suscitare allarme per la vecchia rivalità delle tifoserie e il ritorno da giocare al Bentegodi.

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Ora che è finito il calciomercato faremo i conti con la sciatta realtà

di ALESSANDRO SCHWED (IL FOGLIO 03-09-2013)

Il calciomercato è meraviglioso, purtroppo è finito. Ecco cosa succede ovunque, grazie alla potenza onirica della speranza. Ovunque il sogno ruggisce, dalle tifoserie con le squadre destinate alle stelle, a quelle dal quinto posto scendendo fino a metà classifica, dove la speranza è prendere qualcuno con una gamba rotta appena rimessa a posto che ci stia ad abbassarsi lo stipendio, per finire alle società che strappano il prestito dei corridori, portatori della cosiddetta quantità invece che dell’inebriante qualità. Ma ovunque, si sogna in modo industriale. In cima alla classifica, grandi giorni a palpitare per l’acquisto di Tevez, Higuaín, di agguantare Gomez spalmando l’ingaggio in due lustri, il lungo duello tra Firenze e il Nord, la guerra cruenta per non vendere Jovetic alla Juve e Ljaic a Galliani e poi darlo alla Roma, tiè. Perché il calciomercato vero (la compravendita del calcio di metà inverno è una parodia, triste solitaria e finale), offre una vita bellissima, degna dell’infanzia, quando i propri eroi compiono le imprese gravemente feriti e sconfiggono da soli una legione nemica. La campagna acquisti si definisce in chat, al telefono, sulla spiaggia. Si riuniscono gli amici, si consulta se stessi, e si elabora: se vendiamo Cavani, col ricavato compriamo un centravanti, se diamo via Jovetic ci compriamo un esterno spagnolo, un interno slavo, il portiere olandese e un mediano basso. Non ci sono limiti per il calciomercato interiore. Gli scudetti e le coppe vengono giù come ciliegie dall’albero delle vittorie immaginarie, l’inno della Roma, della Fiorentina, del Napoli detonano nei rispettivi stadi invisibili: nessuno è risparmiato dal trionfo. Il calciomercato è la stagione delle soluzioni perfette, senza smentite sino a fine agosto quando comincia lo smorto campionato. L’estate invece, quando gli stadi sono vuoti e i prati ingialliti, durante la caterva delle vittorie nella Repubblica della fantasia, i presidenti delle potenziali grandi squadre fanno vivere momenti indimenticabili, le promesse trivellano le teste dei tifosi dove c’è un assetato deserto. Quale speranza è migliore della speranza che offre tutto e si aggiudica tutto? Non c’è fidanzata promessa, Imu promessa, lavoro nuovo fatto balenare anche ipoteticamente, patto con gli elettori, in grado di riprodurre una speranza così, anno dopo anno, puntualmente. Perché le fidanzate, l’Imu, i partiti passano, ma il calcio-mercato, la campagna acquisti irreale è lì ogni estate, pronta e servita, dai tempi di Altafini, Hamrin, Sivori e Maradona fino a Higuain, Tevez e Gomez. A Firenze, in piena estate, con la calura che bolle la città e la spolpa come non accade a nessuna città italiana, quando le pietre del Duomo gemono per un bollore vulcanico, irrompe il nuovo acquisto, Gomez, è lui, è lui, il numero nove che manca dai tempi di Batistuta, detto fatto allo stadio arrivano 30.000 tifosi, pronti a celebrare la più bella coppa, la vittoria del sogno. La pazzia più gioiosa che esista. Ora invece è finita. Arrivano le papere del portiere, la bolletta del gas, i muscoli cotti, il conto del dentista che doveva arrivare a metà settembre. Cominciano le variabili senza controllo: le caviglie slogate a macchinetta, il vento contrario, Higuain che scivola sugli scogli e tocca far causa alla regione. Ora è finita e non c’è niente di sciatto come l’estate che finisce e il campionato vero e proprio che inizia con i pareggi in casa. Volete mettere con il calciomercato?

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LA STAMPA 03-09-2013

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Il Comune di Capri dovrebbe revocare immediatamente la cittadinanza

onoraria all'egr. Aurelio De Laurentiis e poi proseguire oltre senza imbarazzi

IL MATTINO 03-09-2013

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Scherzi a parte

Quotidiano Sportivo 03-09-2013

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Il Sole 24ORE 03-09-2013

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