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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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É un bilancio in rosso: - 50 milioni

Dopo il volatilizzarsi dei cinesi, i conti non tornano per Moratti Il passivo resta pesante nonostante i tagli

and. ram - Corsport - 6-03-2013

Riletto a posteriori, il danno maggiore procurato dal volatilizzarsi della China Railway Construction non è stato quello della perdita del partner che avrebbe costruito il nuovo stadio nerazzurro, ma il defilarsi di un socio che avrebbe portato nel club capitali freschi (55 milioni in cambio del 15% delle quote) da utilizzare nelle operazioni correnti. Ecco perché i conti nerazzurri in questo momento rimangono difficili: lo ha certificato anche l'ultimo cda nel quale sono stati illustrate le cessioni e gli acquisti conclusi nel mercato di gennaio, ma anche il passivo leggermente superiore ai 50 milioni con cui si è chiusa la semestrale nerazzurra. Stando così le cose, il presidente Moratti va incontro alla necessità di staccare l'ennesimo assegno "pesante" per risistemare i conti oltre a dover fare i conti con la concreta possibilità di vedersi infliggere al termine del campionato 2013-14 almeno una multa il mancato rispetto dei parametri del Fair play finanziario dell'Uefa. Impossibile pensare di andare avanti in queste condizioni a lungo e da qui la necessità di centrare la qualificazione alla prossima Champions, ma soprattutto di cercare nuovi soci che nel presente acquistino anche più del 15%e che in un futuro a lungo termine possano addirittura rilevare il pacchetto di maggioranza. In quest'ottica va letto il dossier "Tripletta" che a inizio 2013 è stato realizzato da Lazard, una delle banche d'affari più attive nella consulenza alle imprese per le operazioni di fusione ed acquisizione, e che è destinato a solleticare l'appetito di magnati di ogni parte del mondo desiderosi di investire nel calcio italiano. Lazard insieme a Four Partners aveva già assistito l'Inter nella ricerca e nella trattativa conclusa con i cinesi.

NUOVI SOCI - Sembra che all'Inter si siano interessati gruppi imprenditoriali provenienti dalla Russia, dagli Emirati Arabi, dall'Estremo Oriente e dagli Stati Uniti. Per il momento, però, siamo ai primi contatti, niente più e i passaggi da fare per arrivare alle firme sono molti. L'obiettivo di Moratti è realizzare un affare sullo stile di quello con i cinesi ovvero ingresso in società dei nuovi soci che si occuperanno dalla costruzione dello stadio con tanto di sfruttamento delle attività alberghiere, residenziali e commerciali che il nuovo impianto (e le zone limitrofe) prevedranno. Sulla scelta della loca-tion della casa nerazzurra del futuro il club di corso Vittorio Emanuele è piuttosto avanti (San Donato è in vantaggio su Rho), sul nuovo partner ancora no. E anche la Mabetex, che aveva mostrato un certo interesse, ha rallentato pur rimanendo alla finestra. Ecco il perché dal drastico taglio del costo del personale (dai 190 milioni del 2010 agli attuali 120, dei quali 100 per stipendi dei giocatori) e di operazioni di mercato a parametro zero (Campagnaro, Andreolli, Botta) o quasi (Laxalt, Rocchi, Carrizo e Kuzmanovic). Con nuovi soci il futuro potrebbe cambiare.

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Tempi delicati L'Inter riflette sul futuro di Antonio, il presidente cerca un socio di minoranza

Cassano senza scuse verso il divorzio

Le inquietudini societarie di Moratti

Convocato - Stramaccioni convocherà «il ribelle» per il Tottenham domani in Europa League

Antonio Cassano non si è scusato nemmeno ieri coni compagni, per il semplice motivo che, come lui stesso ha avuto modo di spiegare tempo fa, la parola «scuse» è un sostantivo che non appartiene al suo vocabolario. Lo si era capito già in passato, ma c'è sempre chi vuole forzare la mano alle situazioni, anche perché è meglio usare l'estintore quando ci sono da riscuotere commissioni legate ad altri giocatori (Kovacic), perché i direttori che popolano la società Fc Internazionale 1908 hanno bisogno del procuratore di Cassano (Bozzo) per andare a prendere un diciottenne dalla Dinamo Zagabria.

Cassano si è allenato con profitto ieri e se questa mattina non cambierà umore (agli artisti capita), Stramaccioni lo convocherà per la trasferta di Londra (domani sera il Tottenham, andata degli ottavi di Europa League). Del resto, avendo a disposizione soltanto Palacio, come attaccante, il tecnico è costretto a convocare chi invece meriterebbe di restare fuori rosa, come si usava ai tempi di Mourinho in casi del genere. Non solo: essendo stato Stramaccioni il principale sponsor di Cassano all'Inter (imitazioni comprese, tutti artisti all'Inter), non può rinnegare la scelta in una fase della stagione così delicata, nella quale salgono la febbre da traguardo finale e la tensione. Resta il fatto che si va inevitabilmente verso il divorzio a fine stagione, perché l'attaccante da due mesi cammina in campo e perché la squadra considera l'episodio di venerdì scorso come l'ultimo di una lunga serie, quello che chiude la storia, al di là delle pubbliche prese di posizione dello zoccolo duro della squadra, che ha voluto evitare di accendere nuovi incendi in un momento così difficile.

D'altronde sono tempi strani per llnter in lotta per conquistare i play off di Champions League (serve il terzo posto, con concorrenza spietata) e per sistemare i conti che, nonostante la riduzione del monte ingaggi, restano in rosso, con pesante e continua esposizione del presidente. La società costa comunque troppo (vedi il rosso dell'ultima semestrale) e le scelte di mercato degli ultimi due anni, ancorché costose, non sono state in linea con le attese, come si è capito anche a Catania. Come ha spiegato in esclusiva al direttore di Tutto-sport, in un'intervista che apre scenari inediti sul futuro, Mo-ratti cerca un socio di minoranza e considera la costruzione del nuovo stadio (non prima del 2017-2018) la condizione indispensabile per dare solidità alla società, anche in rapporto alle regole del fair play finanziario. Il presidente è arrivato in cima al mondo, ha riscritto la storia, ha vinto tutto ed è in una fase di riflessione, anche se il pallone continua a rotolare. La società ha basi solide, però è evidente che c'è l'esigenza di cercare qualcuno che possa affiancare il presidente, dando maggiore solidità al club. Resta da capire se Moratti non pensi addirittura alla possibilità di cedere il club, ripercorrendo le scelte del padre, Angelo, nel maggio 1968, che decise di lasciare dopo aver vinto tutto. Recuperare la possibilità di andare in Champions darebbe una nuova spinta al presidente, ma non tutti nella squadra sembrano averlo percepito, visto il modo in cui hanno buttato al vento il vantaggio che avevano sulla concorrenza, dopo la vittoria sulla Juve. Adesso forse è tardi per i ripensamenti. Domani c'è il Tottenham, domenica il Bologna, il 14 marzo ancora il Tottenham e poi la Sampdoria. Un tour de force in mezzo a tante inquietudini.

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Notizia del 07 Marzo 2013 - 16:43

Questo è il comunicato ufficiale apparso sui siti di Genoa e Milan, che invita i tifosi ad assistere alla partita con un'unica idea in testa: il calcio è una festa, un momento di divertimento che nulla ha a che fare con la violenza.

MILANO - Era il 9 settembre del 2010, di lì a poco si sarebbe giocata la Supercoppa Primavera TIM proprio tra Genoa e Milan, quando, a nome della Lega Serie A, di Genoa e Milan, alla presenza dei genitori di Vincenzo Spagnolo, abbiamo scoperto nel piazzale antistante lo Stadio Ferraris una targa in memoria di "Spagna", volendo con quel gesto rendere omaggio alla memoria del giovane sostenitore rossoblù, tragicamente scomparso quindici anni prima, ma anche testimoniare la nostra piena fiducia che Genoa-Milan potesse disputarsi in un clima di ritrovata serenità.

Il match tra il club più antico d’Italia e quello più titolato al mondo, complessivamente vincitori di 27 scudetti, che sarà seguito in tv dagli appassionati di 163 paesi del mondo e allo stadio dal pubblico delle grandi occasioni, apre venerdì sera la 9ª giornata di ritorno del Campionato di Serie A TIM portando con sé la ferma volontà di lanciare un messaggio positivo: Genoa-Milan è e dovrà essere per sempre soltanto una festa di calcio, un grande appuntamento sportivo di cui le due città, le tifoserie delle due squadre e tutti gli appassionati del calcio italiano possano sentirsi davvero orgogliosi.

Questo è l’obiettivo principale della Lega Serie A e dei due club, ma anche dei vertici delle amministrazioni delle città di Genova e Milano, sulla cui piena collaborazione e supporto sappiamo da sempre di poter contare. In particolare il Prefetto, il Questore e il Sindaco di Genova si sono fattivamente adoperati affinché la città possa vivere questa grande serata nella maniera migliore possibile, favorendo quel clima di partecipazione ed entusiasmo che naturalmente si addice ad un così importante avvenimento sportivo. A ciò ha contribuito anche il costante impegno profuso dalla famiglia Spagnolo, a cui daranno manforte le iniziative proposte in campo dal Genoa Cfc che, oltre ad ospitare nel pre partita sul terreno di Marassi alcune glorie del passato, nell'ambito dei festeggiamenti del 120° anniversario della Società, ha invitato ben 250 bambini delle scuole calcio affiliate al Grifone ad assistere gratuitamente a Genoa-Milan.

Per questo, a tutti loro va il nostro più sentito ringraziamento.

"Vivere nel cuore di chi resta non è morire": il ricordo di Vincenzo attraverserà senza dubbio le menti di tutti i presenti, ma i presupposti per assistere in maniera serena e festosa alla sfida tra Genoa e Milan sono davanti a noi.

Buona partita a tutti.

Maurizio Beretta, Enrico Preziosi, Adriano Galliani.

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Soldi pubblici alle squadre di calcio:

l’inchiesta olandese fa tremare l’Europa

La Commissione europea vuol fare chiarezza sulle somme di denaro date dagli enti locali a 5

società d'Olanda (tra cui il Psv Eindhoven). Una sorta di aiuti di Stato che dribblano le norme

del fair play finanziario, ma violano l'Antitrust. Si indaga anche su casi simili in altri Paesi

di LUCA VENDEMIALE (il Fatto Quotidiano 07-03-2013)

Ancora problemi per Michel Platini, grande capo del calcio europeo: è notizia di ieri l’apertura di un’indagine a carico di cinque squadre olandesi (tra cui il Psv Eindhoven) per possibili irregolarità di bilancio. Stavolta, però, la faccenda sembra più seria rispetto ai precedenti casi di semplice violazione del Fair-play finanziario: l’accusa alle società olandesi, infatti, è di aver ricevuto sotto banco aiuti dalle amministrazioni locali. Ed essendo coinvolte delle istituzioni statali e trattandosi di soldi pubblici, l’inchiesta è stata avviata non dalla Uefa ma proprio dalla Commissione Europea.

Nel mirino delle autorità, oltre al Psv Eindhoven (attualmente primo nella Eredivisie, la Serie A olandese), sono finiti anche Willem II e Nec Nijmegen (che pure militano nella Eredivisie), Den Bosch e MVV Maastricht (club di Serie B). Le presunte infrazioni risalirebbero al 2010 e al 2011, quando i cinque club avrebbero ricevuto svariati milioni di euro dalle rispettive municipalità, nell’ambito di transazioni che non sarebbero state comunicate all’Esecutivo Ue. L’operazione più significativa sarebbe quella tra il Psv e il Comune di Eindhoven: quest’ultimo avrebbe acquistato dalla società calcistica terreni per quasi 50 milioni di euro, per poi ridarli in concessione al club. I Comuni di Den Bosch e Maastricht hanno invece rinunciato a crediti di 1,65 e 1,7 milioni di euro; il Comune di Nijmegen si è fatto carico di un debito di oltre 2 milioni contratto dal Nec, e infine il Comune di Tilburg ha concesso una riduzione del canone di fitto dello stadio con valore retroattivo, che ha permesso al Willem II di risparmiare circa 2,5 milioni di euro.

All’epoca dei fatti, tutti i club si trovavano in difficoltà economica e il sospetto è che le amministrazioni locali siano intervenute per aiutarli irregolarmente. Aggirando i vincoli del Fair-play finanziario, ma soprattutto dell’Unione Europea: le transazioni potrebbero configurarsi come dei veri e propri aiuti di Stato; e, pertanto, violare le norme Antitrust europee. “Personalmente ritengo che le società calcistiche dovrebbero cavarsela da sole, e non chiedere una mano ai contribuenti quando si trovano in ristrettezze finanziarie. Ma se degli aiuti vengono concessi, almeno questo dovrebbe essere fatto nel rispetto delle regole”, ha commentato Joaquín Almunia, vice presidente della Commissione garante della concorrenza. I commissari al momento non si sbilanciano né sui tempi, né sull’esito dell’indagine. Se verrà dimostrato che le misure adottate sono incompatibili con le normative Ue in tema di aiuti statali, le cinque società dovranno restituire il denaro ricevuto, e potrebbero incappare anche in sanzioni aggiuntive.

Ma c’è di più. La Commissione Ue, contattata dal fattoquotidiano.it, ha fatto sapere di voler estendere il raggio dell’inchiesta anche ad altri Paesi del continente: “Abbiamo ricevuto segnalazioni da parte di cittadini e compagnie di vari Stati europei, che denunciano la concessione di aiuti di denaro pubblico a società calcistiche. Al momento non possiamo divulgare l’identità di chi ha inoltrato la denuncia, e tantomeno dei club coinvolti. Alcune di queste lettere si sono rivelate prive di fondamento; in altri casi, invece, verranno condotte delle indagini preliminari”.

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La FIFA veta a seis menores de La Masia

Dos denuncias anónimas ante el primer organismo del fútbol

impiden al Barça alinear a media docena de jugadores cadetes

e infantiles por vulnerar el reglamento para estos fichajes

por LUIS MARTÍN (EL PAÍS 07-03-2013)

La FIFA ha bloqueado la ficha de seis jugadores de las divisiones inferiores del Barcelona, todos menores de edad, como respuesta a dos denuncias anónimas, supuestamente procedentes de sendas federaciones. El veto afecta a los coreanos Lee Seung Woo, Paik Seung-Ho y Jang Gyeolhee (Cadete B), al francés Chendri (Cadete A), a Adekanye (Infantil A), un adolescente con pasaporte holandés de origen nigeriano, y al camerunés Patrice Sousia (Infantil A). El Barcelona, que oficialmente prefiere guardar silencio, argumentando que su voluntad pasa por encontrar una solución que beneficie “principalmente a los niños”, defiende la idea de que, por lo menos en el caso de los tres jugadores coreanos, epicentro de la denuncia, fue la federación de origen la que les instó a llegar a un acuerdo para que los niños crecieran en La Masia bajo la tutela azulgrana. “Fueron ellos los que llamaron a la puerta de La Masia. Hay cola pidiendo pruebas para que aceptemos formar a críos con talento para el deporte”, sostienen en el club, donde defienden que cumplen sobradamente con los requisitos marcados por la FIFA, al menos en los que se refieren a proporcionar al jugador una formación escolar o capacitación futbolística conforme a su vocación; que le permita iniciar una carrera que no sea futbolística en caso de que cese en su actividad de profesional, y tomar todas las previsiones necesarias para asegurar que se asiste al jugador de la mejor manera posible.

El Barcelona admite que no cumple con otros requisitos básicos, los que afectan a la idea de la FIFA de solo admitir como legales las fichas que afecten los cambios de federación en tres supuestos: que los padres cambien, por razones no relacionadas con el fútbol, su domicilio al país donde el nuevo club tenga su sede; que la transferencia se efectúe dentro del territorio de la Unión Europea (UE) o del Espacio Económico Europeo (EEE) si el jugador tiene entre 16 y 18 años y, en último caso, que el jugador viva en su casa natal a una distancia menor de 50 kilómetros de la frontera nacional.

La ley, seguida a rajatabla, cuestiona la legalidad jurídica vigente en España. De hecho, cerca de 15.000 fichas avaladas por la Federación Catalana deberían ser revisadas porque señalan a hijos de familias inmigrantes sin legalizar sus papeles de residencia, para los que participar en competiciones deportivas supone un camino inmejorable para fomentar su integración social.

La ley dictada por la FIFA para contentar principalmente a las federaciones de Argentina y Brasil y para evitar los abusos que se produjeron en un momento determinado con niños futbolistas africanos, genera ciertas paradojas: El supuesto padre de dos gemelos venezolanos menores de 15 años, con indudable talento deportivo, uno para la práctica del baloncesto y el otro para el fútbol, podrá enviar a sus dos hijos a vivir a La Masia, pero sólo el que juegue a baloncesto obtendrá ficha federativa; al segundo, se le prohibiría jugar según la normativa de la FIFA. El Barcelona, que no es el único club afectado por el asunto, mantiene otro frente abierto, generado por la sentencia del llamado caso Baena, que afecta a los contratos que firma con los padres de los niños que incorpora a La Masia.

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Tentarono un’estorsione a Negro

“Paga o diciamo che vendi le partite”

Condannati i due malviventi: “Dietro di noi boss della mala romana”

di GIUSEPPE SCARPA (la Repubblica - Roma 07-03-2013)

Se Paolo Negro non gli avesse consegnato i trenta mila euro loro avrebbero spifferato alla stampa che si era venduto la partita tra Siena e Lazio del campionato 2006/2007. Un’accusa infamante sempre respinta dall’ex centrale biancoceleste. E ieri a sostegno della tesi dell’ex difensore laziale c’è stata la sentenza nei confronti degli autori del ricatto: Emanuele Fois e Filippo Fazioli sono stati condannati, in abbreviato, rispettivamente a tre anni e quattro mesi e due anni e otto mesi di reclusione. Hanno scelto il rito ordinario gli altri tre componenti della banda che tentarono di taglieggiare il calciatore e per questo sono stati rinviati a giudizio Marco Fardellotti, Valentino Aliberti e Andrea Caprinozzi.

I fatti si riferiscono al 2011. Il calciatore venne contatto da alcuni componenti della banda, il braccio esecutivo del ricatto. E sì perché a Negro venne fatto capire dai cinque taglieggiatori che dietro a loro c’erano persone pericolose. Fois e Fazioli, per esempio, avevano contatti con la mala “calabrese”. Gli altri invece avevano agganci con la criminalità romana. I mandanti sono persone “brutte, brutte, brutte”, dissero a Negro, soprattutto “quelli di Roma nord e di Val Melania”. Il messaggio, insomma a Negro era chiaro, paga e stai zitto.

In caso contrario i cinque avrebbero dato in pasto alla stampa una notizia devastante per la carriera del giocatore. Ossia che lui aveva partecipato ad una combine nel match di campionato 2006/2007 tra Siena e Lazio.

Allora Negro era in forza nelle file dei bianconeri e segnò nei minuti finali della partita una rete ai suoi ex compagni di squadra. Ed è proprio su questa marcatura che si concentrarono le attenzioni della banda. Secondo i cinque, infatti, Negro avrebbe alterato la partita con la sua segnatura e per fare questo qualcuno avrebbe pagato il giocatore con 500mila euro. I cinque però per starsi zitti avrebbero accettato 30 mila euro dal calciatore. Un ricatto nei confronti di Negro condito anche da minacce. Uno dei ricattatori, quello che vantava agganci con i calabresi, fece capire a Negro che dalla Calabria erano pronti ad “intervenire nella vicenda e che gli avrebbero bruciato tutto”. Una situazione pesantissima per il calciatore che decide di denunciare tutto alle forze dell’ordine. Partono così le indagini della procura con il sostituto procuratore Francesco Minisci sino all’epilogo di ieri con la condanna per estorsione ai due componenti della banda e il rinvio a giudizio, sempre per lo stesso reato, agli altri tre.

«Il mio cliente – ha spiegato al termine del processo la parte civile, l’avvocato del calciatore – siamo soddisfatti per l’esito della sentenza perché ci ha reso giustizia. Sarebbe inoltre fondamentale precisare che la procura della Repubblica e la procura federale sportiva hanno accertato che Negro nella sua carriera sportiva non abbia mai e in nessun caso abbia aggiustato partite di calcio».

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Calcioscommesse, Napoli: Cannavaro e Grava citano per danni Coni e Figc

Milano, 07 marzo 2013

I due difensori partenopei si rivolgono al Tar del Lazio per chiedere il risarcimento: a gennaio furono prosciolti dall'accusa di omessa denuncia dopo aver scontato un mese di squalifica

Quando è stato assolto, ha pianto. Ora il capitano del Napoli, Paolo Cannavaro, passa ai fatti: chiederà i danni al Coni e alla Federcalcio per il suo coinvolgimento nel processo del calcioscommesse. E con lui anche il suo compagno di squadra, Gianluca Grava.

il fatto— Lo scorso dicembre i due difensori furono squalificati sei mesi dalla Commissione Disciplinare della Figc per l'omessa denuncia nella tentata combine di Sampdoria-Napoli (1-0) del 16 maggio 2010, in base alle testimonianze di Gianello, ex portiere degli azzurri. Successivamente, però, la Corte di Giustizia federale, organo di secondo grado, li ha riabilitati. Ma ai due giocatori l'assoluzione non basta e domani attraverso il loro legale, Luciano Ruggiero Malagnini, si rivolgeranno al Tar del Lazio per chiedere la «condanna per equivalente» della Federcalcio e del Coni per il danno subito. "Riteniamo che ci siano tutti gli estremi per ottenere un risarcimento del danno a seguito del proscioglimento da questa ingiusta sanzione - spiega il legale -. Aspetteremo di vedere come si porrà la Federazione. Dopodichè vedremo i passi da fare".

richiesta— I due calciatori del Napoli avanzano una richiesta parametrata al danno subìto, ovvero un mese di stipendio, una cifra che complessivamente dovrebbe aggirarsi intorno ai 250 mila euro. Ora la palla passa agli organi federali che avranno dieci giorni di tempo per replicare all'istanza presentata dall'avvocato Luciano Malagnini.

Malagò in Figc: "E' tempo di riformare il calcio"

ROMA, 7 marzo 2013

Il neopresidente Coni al Consiglio Federale: "Secondo me c'è non solo la disponibilità, ma anche la voglia di farlo e io ho auspicato che avvenga". Donata maglia numero 10: "Grazie, per indossarla chiedo il permesso a Totti"

Consiglio Federale Figc con visita speciale: ecco il presidente del Coni, eletto un mese fa senza i voti del calcio, Giovanni Malagò. Una presenza per forza di cose ingombrante, visto che lo stesso presidente aveva detto che non sentiva l'esigenza della rappresentanza del calcio nel Consiglio Coni. Tant'è. L'incontro, durato 45 minuti, con Abete e gli altri membri del Consiglio Figc è stato sereno, ma il discorso di Malagò è andato al cuore del problema: "Il calcio, come tante altre cose in questo Paese, deve prendere la strada delle riforme. Secondo me c'è non solo la disponibilitá ma anche la voglia di farlo e io ho auspicato che avvenga". Poi i presidente Coni ha raccontato: "E' andata molto bene, ho trovato una bellissima atmosfera. E' stata una chiacchierata allegra e serena, sono molto contento di essere venuto e di come sono stato accolto. Ho ritrovato anche tanti amici. Io in campagna elettorale avevo detto che il calcio non era nella mia squadra che portavo in Giunta. Ma il calcio deve stare con il Coni e stiamo qui a dimostrarlo".

"se totti permette..."— Siparietto: Abete ha fatto dono a Malagò di una maglia della Nazionale italiana con impresso il numero 10 e la scritta "Malagò". La risposta? Ovvia, essendo grande tifoso della Roma: "Grazie: la maglia n°10? C'è solo un problema: devo chiedere a Totti se la posso mettere. Se lo vedo bene in Nazionale? Lo vedo bene dappertutto".

Modificato da totojuve

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Turkey escapes heat of fixing row

by ASHLING O’CONNOR (THE TIMES 08-03-2013)

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Yildirim, the Fenerbahçe president, centre, has been jailed for three years and nine months for his involvement in match-fixing

© Stringer Turkey / Reuters

Straddling two continents, Istanbul is a hot destination in sport. A source of one last big pay day for footballers such as Didier Drogba, Wesley Sneijder, it is also a place for sports chiefs to satisfy constituencies in both Europe and Asia. If its stars align, Turkey’s largest city could host the 2020 Olympic Games and the European Championship final in the same year.

Yet while Istanbul is courted by the International Olympic Committee, Uefa and Western politicians, it is as if a landmark match-fixing case in its backyard last summer never happened.

After a wire-tap investigation by police into some of Turkey’s most powerful men, one of the country’s most respected judges handed down cumulative sentences of more than 42 years for match-fixing, bribery, extortion and membership of an illegal crime syndicate. It would have been far more punitive without an eleventh-hour change in the law to reduce the maximum prison sentence for match-fixing from 12 years to three.

Mehmet Ekinci’s judgment on 93 officials, players and agents included a sentence of three years and nine months for Aziz Yildirim, the Fenerbahçe president. The facts of the case are startling considering it involved only the second half of the 2010-11 season. Of the 17 games investigated, 13 were proved to be corrupt.

Seven involved Fenerbahçe and six involved “incentive premiums” to opponents of Trabzonspor and Bursaspor, their closest rivals for the championship, in a “chairman-tochairman” approach to rigging results.

While there was no evidence of illegal betting, links to organised crime bosses were captured in phone calls and meetings in a covert police operation that — like a similar sting in Bochum, in Germany — was never intended to unearth match-fixing.

The mass convictions of club officials should have shocked football, but they barely registered outside Turkey. Instead, Fenerbahçe are on the verge of a Europa League quarter-final under the leadership of their convicted directors, released from prison on bail pending appeal of their sentences.

Trabzonspor, the club cheated out of the title on goal difference on the final day of the season, are still awaiting justice from Uefa, who initially took a “zero-tolerance approach”. Gianni Infantino, the general secretary, wrote to the Turkish Football Federation (TFF) in August 2011, a month after the start of the trial, referring to a “considerable body of evidence” of match-fixing.

In the letter, seen by The Times, Uefa told the TFF to withdraw Fenerbahçe from the 2011-12 Champions League or it would open its own investigation that could result in a heavier sanction.

Trabzonspor were entered instead. But, two years on and more than six months after the conviction of 11 Fenerbahçe executives, Uefa has yet to take further action and the TFF has absolved the club of the sins of its officials.

Trabzonspor fans claim Uefa has a conflict of interest. In August, Yapi Kredi, co-owned by UniCredit and Koc Holdings, became the official bank of the Champions League under a three-year sponsorship deal estimated to be worth €10 million (about £8.7 million).

Ali Koc, a director of Yapi Kredi, Harrow old boy and member of Turkey’s wealthiest industrial family, was a vice-president of Fenerbahçe during the fixed season, although he was not implicated in any wrongdoing.“It is a three-monkey play: hear no evil, see no evil, speak no evil,” Erdem Egemen, a lawyer and Trabzanspor fan, said. “If you speak up you come under the pressure of politicians.”

At an anti-corruption workshop organised by Interpol and Fifa in Istanbul last month, Egemen said there was no mention by the speakers of the case.

Coincidentally, it was the same day Europol declared that 680 matches had been fixed worldwide since 2008. Of that total, 79 matches were played in Turkey, making the country the worst offender. “I had the impression that Interpol and Fifa representatives were asked not to talk about the Fenerbahçe case,” Egemen said.

Most people choose to keep quiet or are told to. Mehmet Berk, a chief prosecutor in the case, was prepared to go on the record for The Times, but was overruled by his bar association. According to intermediaries, Ibrahim Akin, an Istanbul BB forward who testified that he accepted $100,000 not to score against Fenerbahçe, was too scared to talk. The fans who did asked not to be named. Yildirim, a civil engineer who made his fortune through government defence contracts, refused interview requests.

One person who would speak out was Yusuf Reha Alp, a member of the TFF disciplinary committee that banned three players and four club officials for between one and three years.

But he resigned in August after the TFF altered its rule to separate the actions of individuals from the clubs they represented. The move followed a speech to the Uefa congress in Istanbul in March last year by Recep Tayyip Erdogan, the Turkish Prime Minister and a Fenerbahçe fan, during which he said penalising clubs would punish millions of innocent supporters.

After a meeting with Erdogan, Michel Platini, the Uefa president, said he agreed with the principle. No action was taken against Fenerbahçe, who pocketed 64.1 million Turkish lira (about £23 million) as 2010-11 league champions.

“They’re saying the club cannot be held responsible. This is not right,” Alp said. “They should be punished.” He said Uefa should enforce its code of conduct, which states that clubs will be sanctioned for match-fixing, including point deductions and the loss of titles.

While the appeal is pending, critics believe Turkey should be sidelined in world sport rather than invited to stage its showcase events. “If you want the Olympics or Euro 2020, you should at least comply with fair-play principles,” Egemen said. “Most fans don’t care as long as they have the cup, but the politicians should care, the Turkish Football Federation should care.”

A Uefa spokesman said it would enforce its rules, but its disciplinary inspector was finalising his report before the case could be formally heard.

Alp says he speaks for legions of Turkish fans who have fallen out of love with a game tainted by corruption. “Once you find out everything is set up, there is no point in watching it, he said.

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Italia all’ultimo Stadio

L’INCHIESTA Imbarazzante il confronto con Germania, Inghilterra e Spagna

Palla ferma a centrocampo

E Beretta lancia l’allarme

«In Europa il calcio cresce spinto dagli impianti di proprietà»

Il paradosso: da noi legge pronta dal 2008, ma nessuno l’approva

IL VANTAGGIO Meno burocrazia: parere dei Comuni sui progetti entro un anno

CONTRADDIZIONI Per farli rendere serve l’area commerciale, ma questo blocca la legge

Quando si torna a parlare di stadi sono sempre dolori. Bene l'investimento sui vivai e la gestione della crisi economica da parte dei nostri club. Male il discorso legato agli impianti di proprietà e alla mancanza di una legge che consenta alle nostre società di dotarsene. Lo ritiene anche il presidente della Lega di Serie A Maurizio Beretta, che ha commentato la situazione generale del calcio italiano negli studi di Sky Sport 24. «Puntare sui giovani è stata la soluzione con il miglior ritorno per ora, ma c'è un problema ancora evidente - ha affermato Beretta - . Abbiamo un punto di riferimento per capacità di rigenerare ricavi sui mercati internazionali che è quello inglese - ha aggiunto il presidente di Lega - . Poi c'è il modello tedesco che ha consentito una crescita progressiva delle società. Entrambi questi sistemi, così come il calcio spagnolo, hanno un elemento di forza che manca al calcio italiano: mi riferisco agli stadi di nuova generazione e di proprietà dei club».

Ma le società italiane come si stanno muovendo per risolvere questo problema? Per ora tanto fumo e poco arrosto. Solo Juventus, nel 2011, ha svoltato. Stadio nuovo, moderno, con area commerciale annessa e ogni possibile comfort. Tralasciando il complesso e turbolento caso Is Arenas di Quartu Sant'Elena, con la continua diatriba tra il Presidente del Cagliari Cellino e la questura sarda, le uniche due altre società che hanno dato certezza della costruzione di un nuovo stadio sono Udinese, che comincerà i lavori di ricostruzione del Friuli quest'estate e la Roma. Il club giallorosso ha già ufficializzato il nuovo progetto a Tor di Valle, 60mila posti, pronto per il 2016. Per tutte le altre società di Serie A, escluse Pescara, Chievo e Milan, ci sono solo tanti progetti in cantiere, che non verranno mai approvati, senza la pubblicazione definitiva della legge sugli stadi. Navigando sul web si possono trovare anche video in 3D e modelli disegnati. Si va dal Catania Stadium di Librino, al nuovo impianto dell'Inter, che non ha ancora un luogo definito. E ci sono anche progetti molto ambiziosi come la Cittadella Viola a Firenze o l'impianto faraonico sponsorizzato da Zamparini allo Zen di Palermo. Insomma, di idee i nostri club sembrano averne tante. Cercano solamente degli aiuti legislativi per poterli mettere in pratica.

di ENRICO TURCATO (il Giornale 08-03-2013)

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Può un disegno di legge, ritenuto fondamentale da gran parte degli addetti ai lavori, rimanere bloccato in Parlamento per quattro anni e due mesi? La risposta è sì, in Italia è possibile. Il curioso caso dell'ormai famigerata «legge sugli stadi» rappresenta una delle vicende più sconvolgenti legate al nostro calcio. L'atto «disposizioni per favorire la costruzione e la ristrutturazione di impianti sportivi e stadi anche a sostegno della candidatura dell'Italia a manifestazioni sportive di rilievo europeo o internazionale» è stato presentato alla Camera il 6 novembre 2008, con firma bipartisan Pd e Pdl. Dopo approvazioni, discussioni, modifiche, litigi e viaggi da un ramo all'altro del Parlamento, a luglio 2012 sembrava esserci stata una svolta: il testo era stato approvato in sede legislativa dalla commissione Cultura di Montecitorio e doveva tornare al Senato per l'approvazione definitiva. A dicembre il nuovo colpo di scena, con il presidente della Figc Giancarlo Abete che annunciava: «La legge sugli stadi è al palo e salvo miracoli rimarrà solo una proposta. Questa è una storia italiana, da schiaffo del soldato». Tutto fermo, tutto bloccato. Per l'ennesima volta.

Perché è necessaria Le lamentele dei presidenti delle società di A e B e gli appelli pubblici dei vertici federali non si sono fatti attendere. Anche perché questa legge è vista come un piccolo grande spiraglio per rilanciare un movimento in evidente crisi. E con la sua approvazione porterebbe due importanti vantaggi. Il primo di tipo burocratico: imporrebbe ai Comuni di dare il parere sui progetti che vengono presentati entro un anno. Ciò snellirebbe la procedura burocratica e darebbe maggiori certezze, a chi vuole investire, di riuscire a ridurre notevolmente i tempi di realizzazione finale della struttura. Secondo vantaggio, di tipo economico, riguardante le cosiddette 'compensazioni'. Sarebbe cioè possibile costruire con lo stadio e dentro l'area di competenza ciò che rende economicamente sostenibile l'investimento (dai centri commerciali, ai negozi di merchandising, ai musei). Una soluzione nata dal principio per cui l'impianto utilizzato solo per gli eventi sportivi non sarebbe riuscito a ripagare l'investimento iniziale in tempi accettabili per il mondo dell'impresa. È soprattutto questo secondo aspetto a frenare l'iter legislativo.

Motivazioni del mancato accordo Infatti il principale intoppo, che ha portato a diversi stop in Commissione Cultura, è rappresentato dai vincoli alla aree di costruzione. Una parte del Parlamento considera il testo della legge troppo esposto al pericolo di speculazione edilizia e non vuole rischiare che alcuni progetti vengano bloccati dopo l'inizio dei lavori. Inoltre c'è una querelle che si protrae ad infinitum con il presidente laziale Claudio Lotito, che aveva individuato come zona per la realizzazione del nuovo 'Stadio delle Aquile' un'area, quella Tiberina, considerata a rischio idrogeologico.

Dati allarmanti In tutto questo il confronto tra i dati sugli spettatori della Serie A e quelli degli altri principali campionati europei continua ad essere impietoso. Siamo distanti anni luce da Germania, Inghilterra e Spagna, sia come qualità delle strutture, ormai vecchie e arretrate (nel 1990, con i Mondiali, l'ultimo grande rinnovamento generale ndr), che come capacità di portare tifosi in tribuna. Venerdì 15 febbraio erano presenti a San Siro (considerato ancora un'eccellenza europea con capienza di oltre 80mila posti) per Milan-Parma 33.077 spettatori, 24.519 abbonati e 8.558 paganti. D'accordo che i rossoneri non sono in lotta per lo scudetto, ma nemmeno l'acquisto di Balotelli e la rimonta compiuta tra gennaio e febbraio sembrano aver trascinato la gente allo stadio. La comparazione con la Premier League è impietosa: il 17 febbraio a vedere ad Anfield Road Liverpool-Swansea City, con i Reds settimi in classifica, c'erano 44.832 persone, sui 45.362 posti disponibili. In Germania, il Borussia, a prescindere dai risultati, sono 10 anni che chiude la propria media spettatori al Westfalenstadion sopra i 70mila. Basta osservare le statistiche degli ultimi anni per rendersi conto di questo assioma ormai assodato: negli altri principali campionati europei la gente continua ad andare allo stadio, in Italia no. Una triste trend negativo, tutto tricolore, che dipende da un mix di motivazioni, più o meno collegate tra loro: le pay tv, la comodità del divano, ma anche e soprattutto la mancanza di stadi adeguati e rinnovati. Sì, perché l'unica squadra italiana che è riuscita a costruirsi un impianto moderno e accogliente, ora sta già raccogliendo i frutti dello sforzo economico sborsato. La Juventus, da quando lo Stadium è stato inaugurato, in campionato non è mai andata sotto i 35mila spettatori sui 41mila posti a disposizione.

La più chiara dimostrazione che i tifosi, gli appassionati, allo stadio ci andrebbero ancora volentieri. Ma se quella legge continua a rimanere al palo, non avendo tutte le società le possibilità dell'investimento finanziario effettuato dai bianconeri (lo Stadium è costato 120 mln e, tra acquisizione dell'area e progetti, l'iter per la realizzazione è durato 8 anni), il rischio è che i nostri stadi non si rinnovino mai, allontanando sempre di più l'Italia dall'elíte del calcio europeo.

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Lo sceicco fa il furbo:

«Sponsor retroattivo»

Parigi aggira il fair play

di ALESSANDRO GRANDESSO (GaSport 08-03-2013)

Qualsiasi calcolatrice andrebbe in tilt di fronte all’enigma finanziario del Psg. Il club francese spende senza contare, ma alla fine ha i conti in regola. Dall’ultimo bilancio chiuso a giugno 2012 emerge infatti solo un deficit di 5, 45 milioni di euro, nonostante gli oltre 150 milioni investiti dal principe del Qatar nella prima annata nella Ville Lumière. Saliti nel frattempo a oltre 250 con gli acquisti dei vari Thiago Silva, Ibrahimovic, Lavezzi, Lucas, Verratti. Un paradosso retroattivo sdoganato dalla Direzione Nazionale di Controllo e Gestione (DNCG) della Lega francese, che rivendica l’ispirazione del fair play finanziario Uefa.

Balzo Il miracolo qatariota emerge alla voce «altri prodotti » tra le entrate del bilancio Psg, passata da 17 a 125,4 milioni di euro. Un balzo, a fronte di un differenziale di biglietteria, marketing e diritti tv di appena 14 milioni, che per il settimanale L’Express rivelerebbe l’entrata in vigore precoce del contratto d’immagine con il Qatar Tourism Authority (QTA), ufficializzato però solo qualche settimana fa. In pratica c’è l’inedito effetto retroattivo che valorizza l’ormai inseparabile binomio Psg-Qatar, difeso dal dg del Psg, ex presidente Juve, Jean-Claude Blanc il mese scorso sul Parisien: «Da 18 mesi è sistematico. Quello del QTA è un investimento che lega l’immagine di un club con un paese dove magari vi si presentano le star, portandoci in ritiro la squadra, pubblicizzandolo a livello planetario, offrendo più garanzie di una sponsorizzazione di un unico evento magari dispendioso come un Mondiale».

Vip Per Blanc si tratta di «un’innovazione » che magari «mette in discussione certe gerarchie » sollevando polemiche e perplessità dei big club europei alle prese con drastiche cure dimagranti. È tutto in regola anche per la DNCG presieduta da Richard Olivier, spesso presente in tribuna Vip del Parc des Princes, e che lo scorso settembre elogiava sul settimanale Jdd l’investimento del Qatar che «ha risvegliato la Ligue 1». Tocca ora all’Uefa valutare un accordo che dovrebbe garantire al Psg 600 milioni di euro in quattro anni, ma che copre pure la prima campagna acquisti culminata con i 45 milioni spesi per Pastore, portando alla ribalta il Qatar. Intanto, il Lione fa brutta figura con un rosso da 28 milioni, come il Marsiglia a -8: due club a caccia di sceicchi altrettanto dispendiosi.

il retroscena

Ma l’Uefa non ci casca: soldi bloccati

di FABIO LICARI (GaSport 08-03-2013)

Quella del Psg è una bella pensata. Messa in giro ad arte già a dicembre (e rivelata da Le Parisien) per vedere le reazioni. In due parole: la Qatar Tourism Authority — comunque la vediate, sempre i padroni del Psg — stipula un contratto di sponsorizzazione mostruoso con il club (da 150 a 200 milioni all’anno fino al 2106) e lo rende retroattivo. Peccato che:

1) il valore sia totalmente fuori dalle cifre di mercato, perché top club come Barcellona guadagnano non più di 50/60 milioni all’anno;

2) la retroattività non abbia senso;

3) l’odore di conflitto d’interessi sia insopportabile.

Insomma, è l’ultimo mezzuccio per aggirare il fair play che, al momento, vedrebbe il Psg condannato senza speranza dopo anni di spese compulsive. La Uefa ha seguito queste acrobazie e ha già pronto il piano B: niente retroattività, riconoscimento di massimo 50-60 milioni di sponsorizzazione, il resto «congelato» ai fini dei conti del fair play. Altrimenti il gioco sarebbe sporchissimo. Se poi qualcuno a Nyon cambiasse improvvisamente idea – tutto può succedere – da quel momento il fair play sarebbe finito. Buttato nel cestino. Possibile?

In Turchia c'è addirittura chi si fa finanziare dal governo una centrale idroelettrica

Ecco come il calcio aggira

il fair play finanziario

Mentre la Uefa punisce le squadre medio-piccole, permette alle grandi di eludere le regole

di ALESSANDRO OLIVA (LINKIESTA 08-03-2013)

Sponsorizzazioni gonfiate, conflitti di interessi e persino soldi ricavati da una centrale idroelettrica. A un anno dalle prime sanzioni Uefa basate sul fair play finanziario, molti club di calcio europei si muovono per aggirare le regole finanziarie imposte da Platini. Con il serio rischio di esporre tali regole al rischio bufala. Un rischio che la stessa Uefa sa di correre, perché dopo una prima serie di provvedimenti contro alcune squadre medio-piccole– volti a dimostrare che si sta facendo sul serio – ora il governo europeo del calcio sta chiudendo più di un occhio sulla finanza creativa di certe squadre più blasonate.

Non solo, ma a Nyon si parla di “messaggi incoraggianti dal fair play finanziario”. Lo scorso 4 febbraio, presentando il quinto rapporto comparativo sulle licenze Uefa per club, il segretario generale del calcio europeo Gianni Infantino ha spiegato che le squadre stanno rispettando il fair play finanziario, che prevede dal 2014 sanzioni fino all’esclusione dalle coppe per i club che nell’ultimo triennio hanno sforato 45 milioni di euro alla voce ‘perdite’. Secondo i dati presentati da Infantino, la tendenza è di quelle positive: le perdite diminuiscono, mentre aumentano le entrate: “In media, negli ultimi cinque anni, le entrare sono cresciute del 5,6% annuo: sapreste dirmi quale settore ha avuto una crescita simile negli ultimi 4-5 anni con questa crisi? Questo dimostra che il calcio professionistico gode di ottima salute dal punto di vista degli introiti”. I segnali sono sempre più incoraggianti, segnalano dall’Uefa: si è registrata una riduzione delle passività per trasferimenti e stipendi da 57,1 milioni a 30 milioni dalla prima valutazione (giugno 2011) a quella successiva di un anno dopo. Da giugno 2012 a settembre 2012, la cifra si è ridotta a 18,3 milioni di euro. In percentuale, il dato equivale a una riduzione del 47% delle passività per trasferimenti e stipendi da giugno 2011 a giugno 2012, e di un ulteriore 40% nei tre mesi successivi.

La Uefa però non spiega da dove arrivano questi introiti. Inoltre, a Nyon si rammaricano per il fatto che nonostante il boom di entrate dello scorso decennio, poche risorse sono state investite a più lungo termine. Le immobilizzazioni (stadi, campi di allenamento, attrezzature, ecc.) dei 237 club che partecipano alle competizioni Uefa di questa stagione ammontano a un totale di 4,8 miliardi, di cui un terzo (1,6 miliardi) proviene dalle sette squadre inglesi. Un vero peccato, perché secondo il fair play finanziario le uscite per le infrastrutture non sono considerate passività in quanto generatrici di introiti.

E allora, che origine hanno tutte queste entrate che rallegrano l’Uefa? I casi di alcune squadre possono darci una risposta. Prendiamo il Paris Saint Germain, club francese acquistato lo scorso anno dallo sceicco Nasser Al-Khelaifi. Visto il ricco portafoglio messo a disposizione, la società si è lanciata nelle ultime due stagioni in grosse operazioni di mercato come il mega-acquisto di Zlatan Imbrahimovic e Thiago Silva spendendo più di quanto abbia incassato (in tutto 250 milioni di euro). In barba al fair play finanziario, che impone esattamente il contrario. Per rientrare dalle spese e non incorrere nelle multe di monsieur Platini, il Psg ha pensato bene di firmare un contratto di sponsorizzazione con la Qatar Tourism Authority. Secondo quanto riportato dal giornale Le Parisien, la Qta verserà al club progressivamente 700 milioni in 4 anni. Il contratto è stato strutturato in modo tale da alzare anno per anno il tetto salariale del Psg, così da poter allo stesso tempo assicurare i 14 milioni netti all’anno a Ibra e ingaggiare altri giocatori. Una sponsorizzazione fuori mercato, che neanche lontanamente si avvicina alle altre del calcio europeo: il Barcellona, solo per fare un esempio, incassa 30 milioni dalla Qatar Foundation. Ma soprattutto, una sponsorizzazione stipulata ad hoc per aggirare il fair play finanziario. Una vera e propria cascata di denaro che servirà a chiudere il bilancio in pareggio mettendo almeno 200 milioni di euro alla voce ‘sponsor’ e che aggiusterà anche il consuntivo della stagione precedente: nell’accordo è presente una clausola che rende l’accordo retroattivo al 2012.

C’è un secondo problema: la Uefa nelle regole del Fpf vieta espressamente le transazioni tra i club e le società ad essi collegati. E la Qatar Tourism Authority, esattamente come la Qatar Sports Investments proprietaria del Psg, sono controllate direttamente dal governo qatariota. Una situazione simile a quella del Manchester City, società che al pari del Psg è di proprietà araba e spende più di quanto incassa. Per ovviare alle spese pazze ha ceduto i naming rights dello stadio alla Etihad con un accordo di 400 milioni per 10 anni. Etihad che è compagnia aerea degli stessi sceicchi di Abu Dhabi proprietari dei Citizens. Sui due casi la Uefa ha promesso indagini nel primo caso e fatto spallucce nel secondo, spiegando che parte degli introiti verranno investiti nel settore giovanile. Mentre nel settembre 2012 non ha esitato a bloccare i premi per la partecipazione alle coppe ad alcuni club di piccolo-medio livello (tra cui Rubin Kazan e Atletico Madrid) per alcuni pagamenti insoluti. Un comportamento, quello della Uefa, che fa credere che alla fine le big del calcio la scamperanno e che alla fine pagheranno solo le squadre meno blasonate. Il motivo è chiaro: escludere le grandi dalle coppe significa svalutarne il valore economico a cominciare dall’abbassamento del prezzo dei diritti tv e dl minore interesse degli sponsor.

Ma anche nella fascia delle medio-piccole c’è chi ha trovato modi fantasiosi per incamerare soldi necessari a mettere a posto i conti. Vedi il caso del Trabzonspor, squadra turca che ha ottenuto dal governo il permesso di autofinanziarsi costruendo una centrale idroelettrica di 28 megawatt sul Maro Nero. L’impianto costerà 50 milioni di dollari e sarà capace di generare energia per 10 milioni all’anno. Anche in questo caso, la Uefa non ha avuto nulla in contrario.

Come Gazprom si mangia

tutto il calcio europeo

IL FAIR PLAY FINANZIARIO DI PLATINI FINISCE IN UN GASDOTTO RUSSO

COPPA CAMPIONI L’impero di Mosca sponsor della Champions

riempie di soldi i club di mezzo continente e poi allarga la sua rete

di ALESSANDRO OPPES (il Fatto Quotidiano 08-03-2013)

Al diavolo il fair play finanziario, a parole asse portante della politica Uefa. In tempi di recessione, che non risparmia affatto il football europeo, Michel Platini chiude un occhio, o forse anche tutti e due. E il conflitto d’interessi cresce, fino a diventare un mostro fuori controllo. Tanto da arrivare al paradosso secondo cui, sui campi di calcio, la parola “gas” è diventata ormai sinonimo di “boccata d’ossigeno”.

Gas come Gazprom, il colosso energetico russo, monopolista sul mercato interno e maggior estrattore a livello planetario di metano, di cui possiede il 18 per cento delle riserve. Ma poi ci sono le altre riserve, quelle finanziarie, della compagnia controllata dal Cremlino, diventate ormai quasi imprescindibili perché il mondo del pallone non scoppi. Patrocinatore ufficiale della Champions League dal luglio scorso e fino al 2015 (insieme a Ford, Unicredit, Heineken, MasterCard, Adidas, PlayStation e Htc), Gazprom è allo stesso tempo sponsor di tre grandi club continentali, lo Schalke04 tedesco, lo Zenit russo, di San Pietroburgo, e il britannico Chelsea (campione d’Europa in carica), il cui modello economico è stato criticato apertamente dall’Uefa nell’ultimo rapporto finanziario del 2012. Il fiume di denaro che ha inondato le campagne acquisti della scorsa estate non poteva certo passare inosservato. Buona parte dei 101 milioni di euro spesi dalla squadra londinese per una serie di ricchi ingaggi (40 milioni per Hazard, 30 per Oscar) sono arrivati proprio dalle casse del gigante energetico.

Il quale, allo stesso tempo, forniva anche allo Zenit gli 80 milioni necessari per l’acquisto del brasiliano Hulk e del belga Witsel. Operazioni condotte proprio nel momento in cui Platini faceva la voce grossa contro quei club che aggiustano i loro risultati di bilancio con cospicue apportazioni di imprese “influenti e potenti”. Nel rapporto dell’Uefa si denuncia proprio il caso del Chelsea, che vive delle risorse inesauribili di Gazprom e del proprietario della squadra Roman Abramovich (il magnate russo vendette la sua compagnia Sibneft proprio a Gazprom nel 2002, un anno prima di acquistare la squadra inglese). L’organismo europeo – che minaccia di punire, a partire dal prossimo anno, chi non rispetterà il limite massimo di 45 milioni di debiti – punta il dito anche contro i grandi club degli emiri, Manchester City e Paris Saint Germain, che violano le regole del fair play finanziario spendendo regolarmente più di quanto incassano (il Malaga, proprietà dello sceicco Abdullah Al-Thani, è già stato sanzionato con l’esclusione per un anno dalle competizioni continentali). Ma c’è qualcosa che non torna nel discorso dell’Uefa. Perché, proprio mentre denuncia il “modello Chelsea”, apre le porte a Gazprom come sponsor ufficiale della Champions League? La tattica del colosso energetico – che sarà anche uno dei principali finanziatori della Coppa del mondo del 2018 assegnata alla Russia – non potrebbe essere più chiara. E se non ci sarà nessuno capace di contrastarla, la prospettiva è che l’intero calcio europeo diventi ostaggio della società moscovita. Esclusa un’irrefrenabile passione sportiva, Gazprom è mossa da un evidente interesse geo-strategico.

Nel dicembre scorso sono partiti i lavori per il gasdotto Southstream (progetto realizzato in società con Eni, con i francesi di Edf e con la tedesca Basf), che porterà il gas dalla Russia in Italia saltando l’Ucraina e passando sotto il Mar Nero. Allo stesso, il Northstream, attraversando il Mar Baltico, raggiungerà la Germania e avrà come punto terminale l’Olanda. Di che stupirsi, allora, se la compagnia, non ancora contenta delle attuali sponsorizzazioni, punta a riempire di valuta pregiata le casse dei club di mezzo continente ? Sul fronte nord, in Germania tratta con il Bayern e in Olanda con il Vitesse. Allo stesso modo, si muove nei Balcani.

Lo scorso anno, ha elargito generosamente 4 milioni di euro alla Stella Rossa di Belgrado proprio mentre acquistava la maggioranza del pacchetto azionario della compagnia petrolifera nazionale, come preludio alla decisione di far passare Southstream anche attraverso la Serbia. Stesso discorso anche per la Bulgaria: arriva il gasdotto e, al tempo stesso, si profila una ricca sponsorizzazione a favore del Levski Sofia. L’ultima idea dell’intraprendente Aleksej Miller, presidente di Gazprom, è una Superlega di calcio russo-ucraina, proposta con la benedizione di Vladimir Putin. Per il momento, il presidente della Fifa Joseph Blatter si oppone. Ma chissà, le vie del gas sono infinite.

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BUNDESLIGA

LA LEZIONE TEDESCA?

È UN CALCIO DI RIGORE

BILANCI TRASPARENTI E IN ATTIVO. CLUB GIOVANI E COMPETITIVI. INVESTIMENTI

SUI VIVAI. STADI SICURI E SEMPRE PIENI. ANCHE LA GERMANIA DEL PALLONE

È UN MODELLO DI VIRTÙ. RISULTATO: TUTTI CONTENTI. TRANNE GLI HOOLIGAN

di LUCA CAIOLI (IL VENERDI DI REPUBBLICA 08-03-2013)

Comunque sia, Joseph Ratzinger tifa Bayern Monaco. Pep Guardiola anche. Già, il Bayern. Il club del presidente Karl-Heinz Rummenigge, ex interista, si è portato a casa l’allenatore più ambito d’Europa quando tutti erano convinti che Pep l’allenatore che ha «inventato» il Barcellona delle meraviglie scegliesse il campionato inglese. Una sorpresa? Fino a un certo punto. La scelta tedesca di Guardiola non è difficile da capire. Il Bayern (113 anni di vita, 22 scudetti, 15 coppe, 4 Champions) è la formazione più laureata di Germania. Chi governa il club, di pallone ne sa, e parecchio: Hoeness, Rummenigge e Sammer, tutti ex calciatori. L’ossatura della squadra è robusta. I campioni non mancano. Vedi Manuel Neuer, Arjen Robben, Frank Ribéry o Mario Gómez. Il vivaio è risorsa importante. Ma soprattutto c’è una situazione economica da far invidia a tutta Europa. Il Bayern Munchen, al giugno 2012, ha registrato un fatturato record di 332, 2 milioni. Più 14 per cento rispetto all’anno precedente. Risultato: il Bayern, nella classifica dei club più ricchi del mondo, si piazza subito dietro Real Madrid, Barcellona e Manchester United. Con la piccola differenza che i club spagnoli e i Red Devils inglesi sono pieni di debiti mentre quella bavarese è una società sana che non smette di attrarre investitori. Adidas, Audi o Telekom sono fra i suoi sponsor. Ma il Bayern non è un caso isolalo. È tutta la Bundesliga ad essere come dice Christian Seifert della Lega tedesca «un modello di crescita di sano sviluppo». Un esempio anche per il malmesso calcio italiano.

In Germania, i conti tornano. Nella stagione 2011-2012 le diciotto squadre della massima divisione hanno raggiunto, prima volta nella loro storia, quota 2,081 miliardi di euro e registrato un utile di 55 milioni. Certo, anche qui l’indebitamento complessivo aumenta. Ma niente a che vedere con le cifre spaventose di Italia, Inghilterra o Spagna. «È ovunque lo stesso problema » spiega Holger Preuss, professore di economia dello Sport dell’Università di Magonza. «In Europa tutti i club per competere si assoggettano a una concorrenza spietata. Superano i loro budget e spendono ogni giorno di più per aggiudicarsi i migliori giocatori». Se nelle ultime 15 stagioni i ricavi dei cinque grandi campionati europei sono cresciuti del 243 per cento, la Germania ha aumentato i suoi del 293. L’Italia è ferma al 182 per cento. Dati che hanno proiettato la Bundesliga al secondo posto tra i campionati dell’Ue. Davanti, in termini di fatturato solo l’Inghilterra. Ma i record teutonici non si fermano qui. Il campionato tedesco, è leader mondiale negli introiti commerciali e nelle sponsorizzazioni: 816 milioni di euro. Fa il pieno di spettatori: 13 milioni l’anno scorso.

E tutto ciò senza parlare di televisione, manna per il calcio europeo. Sky Deutschland, lo scorso agosto, si è aggiudicata i diritti tv battendo il gigante Deutsche TeIekom. Pagherà, a partire dal 2013/14, per quattro stagioni, 4,15 miliardi di euro per trasmettere le partite della Bundesliga e della seconda divisione. C’è da aggiungere che il campionato tedesco garantisce 40 mila posti di lavoro e produce introiti fiscali allo Stato per 719 milioni di euro l’anno. Perciò, Reinhard Rauball, presidente della Lega, può affermare: «L’espansione economica del nostro calcio è al servizio del bene comune». Come sono riusciti i tedeschi ad essere i primi della classe anche nel pallone? Grazie alla razionalizzazione delle risorse e a un controllo economico stretto. I club, ad esempio, devono dimostrare, prima dell’inizio di ogni stagione, risorse sufficienti per coprire i costi e in particolare quelli relativi a giocatori e personale. Ce l’hanno fatta perché nel campionato tedesco non sono ammesse le proprietà straniere di società calcistiche. Insomma i paperon de’ paperoni che comprano un club come fosse un nuovo yacht qui non sono consentiti. Perché come dicono gli economisti, l’ingresso di capitali stranieri, vedi Inghilterra, provoca una corsa all’inflazione dei prezzi. E poi gli stadi: moderni, funzionali, costruiti o rimessi a nuovo. Gli orari delle partite non sono disastrosi come in altri campionati e i prezzi dei biglietti sono ragionevoli. Senza contare gli investimenti in infrastrutture e programmi nazionali per vivai e scuole calcio. Insomma, si punta sul prodotto fatto in casa e sui giovani: l’età media della Bundesliga è di 25 anni contro il 27 dell’Italia. Ne viene fuori un campionato ben organizzato, equilibrato, competitivo. Basti pensare che negli ultimi dieci anni hanno vinto cinque squadre diverse (Bayern Monaco, Borussia Dortmund, Wolfsburg, Stoccarda e Werder Brema). Niente a che vedere con il modello spagnolo, una Liga ormai bipolare dove, da quasi dieci anni, o vince il Real Madrid o il Barcellona con trenta punti di vantaggio sul terzo classificato.

Qualche problemino però ce l’hanno pure in Germania: gli hooligan e la violenza. Gli scontri aumentano. E anche le contromisure: controlli all’entrata degli stadi, sorveglianza video, sanzioni più aspre. Provvedimenti che hanno portato gli ultras a scioperi del tifo e a scendere in piazza.

Gunter Gebauer, professore di Filosofia all’Institut für Sportwissenschaft, dell’Università di Hannover mette il dito nella piaga: «La tensione è alta. I tifosi vogliono il calcio vero, non vogliono andare allo stadio come all’opera. Per loro una partita non può essere soft: deve avere del condimento piccante. Mentre la Federazione vuole un prodotto depurato dalla violenza, vuole fare del calcio un evento culturale, uno spettacolo per famiglie». È anche in questa logica che forse si può leggere l’arrivo di Pep Guardiola, l’allenatore che porta quel tocco di glamour e di spettacolo che alla Germania ancora mancava.

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Parte l’inchiesta sui

misteri di Calciopoli

La Procura di Roma sta indagando

sui video e le telefonate “sparite”

L’ex arbitro Dondarini aveva presentato

un esposto: «Il pm Condemi mi ha chiamato»

di GUIDO VACIAGO (TUTTOSPORT 08-03-2013)

TORINO. «Com’è possibile che nell’inchiesta di Calciopoli siano sparite o non siano state correttamente trascritte numerose telefonate, importanti per scagionare alcuni imputati? Com’è possibile che dalle prove di quel processo sia, a un certo punto, sparito un dvd, che doveva in teoria provare l’alterazione del sorteggio arbitrale?». Paolo Dondarini , ex arbitro italiano coinvolto nello scandalo del 2006 e risultato innocente sia nel procedimento sportivo che in quello penale (nel secondo grado di giudizio del rito abbreviato), è tormentato da queste domande da quando nel processo di Napoli hanno iniziato a emergere verità diverse da quelle disegnate nell’inchiesta condotta dai pm Giuseppe Narducci e Filippo Beatrice , sulla base delle indagini coordinate dall’allora maggiore Auricchio del nucleo operativo dei Carabinieri di via In Selci a Roma. E, in fondo, Dondarini non è l’unico a porsi quelle domande. La novità è che potrebbero arrivare delle risposte, come spiega lo stesso Dondarini, che nel dicembre del 2011 aveva presentato un esposto alla magistratura per la “questione telefonate” e lo aveva integrato nella primavera scorsa per la “questione dvd”. «E il 21 febbraio sono stato chiamato dal pm Laura Condemi che ha aperto un fascicolo». E’ insomma partita “l’indagine sull’indagine” che potrebbe spiegare i misteri di Calciopoli. «E’ un’indagine a carico di “noti”, anche se i nomi non sono stati ancora ufficializzati». E’ tuttavia logico pensare che al centro ci sia chi ha condotto l’inchiesta Calciopoli.

UNO Il primo punto è quello delle telefonate non brogliacciate (ovvero intercettate, ma non correttamente riassunte o non riassunte per niente e rese irreperibili per le difese) o ritenute “irrilevanti” nonostante rilevanti lo fossero (come dimostrato nei tre processi fin qui celebrati) e nonostante chi le aveva ascoltate per primo, ovvero i carabinieri che effettuavano tecnicamente le intercettazioni, le avessero contrassegnate con i famosi “baffi rossi” che indicavano le conversazioni particolarmente importanti per l’inchiesta. Il pm dovrà capire perché quelle telefonate sono state ignorate e se i diritti degli imputati sono stati violati (chi indaga deve farlo sempre in tutte le direzioni).

DUE Il secondo è il mistero del dvd. Durante le indagini, infatti, i carabinieri filmarono un sorteggio arbitrale. L’obiettivo era dimostrare che fosse truccato (cosa che il processo di Napoli ha smentito). Il dvd, a un certo punto del processo (nel luglio del 2009) è però “sparito” o, meglio, è stato prelevato dai pm, non più inserito fra le prove e sostituito con una serie di fotogrammi che non ricostruivano in modo corretto il contenuto del video e contenevano alcune gravi imprecisioni (la più importante e fondamentale: il giornalista chiamato a sorteggiare gli arbitri viene indicato come un dipendente della Federcalcio).

LA QUERELA Ma la dottoressa Condemi si dovrà occupare anche della querela che Dondarini ha sporto contro il pm Narducci per la pubblicazione del libro “Calciopoli, la vera storia”, uscito a dicembre e di cui l’ex arbitro ha chiesto il sequestro cautelare. «Purtroppo il pm non ha ancora preso in considerazione la questione. Eppure c’è una grave imprecisione perché Narducci scrive che sono stato condannato in primo grado per associazione a delinquere e mi assegna delle frodi sportive per le quali non sono stato neppure accusato! Sei partite fra cui Udinese-Brescia e Bologna-Juventus che erano state arbitrate da Dattilo e Pieri , figuriamoci!».

IL DIRITTO Ristabilire la verità a tutti i livelli è d’altronde diventata una specie di missione per Dondarini: «Se vieni riconosciuto innocente (e secondo le motivazioni della sentenza di secondo grado, Dondarini poteva essere riconosciuto tale anche tre anni fa in primo grado di giudizio, ndr) non puoi accontentarti. Io non sarò soddisfatto finché non avrò capito perché sono successe certe cose. Esigo delle risposte. La mia vita professionale è stata rovinata, ho diritto di conoscere il perché». E non solo lui.

Modificato da Ghost Dog

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Rizzitelli, guai con il fisco:

conti segreti a Malta

L’ex giocatore della Roma avrebbe trasferito all’estero i pagamenti ricevuti dagli sponsor

I profitti mai dichiarati all’Agenzia delle Entrate scoperti dal pm Tescaroli

di FEDERICA ANGELI (la Repubblica - Roma 08-03-2013)

Un conto segreto a Malta dove aveva depositato tutti i soldi che riceveva dagli sponsor evadendo completamente il fisco. Nel mirino della procura di Roma è finito, ancora una volta, il nome del calciatore Ruggiero Rizzitelli. E, ancora una volta, i suoi soldi, — si tratta di centinaia di migliaia di euro, dicono gli inquirenti — sono stati scoperti dal pubblico ministero Luca Tescaroli grazie ai primi esiti delle rogatorie internazionali richieste in diversi paesi del mondo sono passati per le mani del Madoff dei Parioli e dei suoi soci.

L’idolo della curva giallorossa ai tempi di Dino Viola aveva consegnato ai broker quasi 5 milioni di euro. Il denaro ritrovato qualche giorno fa in una banca dell’arcipelago a 80 chilometri dalla Sicilia però è un’altra storia. Sono altri soldi, oltre quel ricco bottino di cui non si è mai saputo nulla. E, a quanto sembra dalle carte in possesso al vaglio della magistratura, Rizzitelli non poteva ignorare che i suoi soldi, ricevuti da sponsor eccellenti quali ad esempio la «Lotto», finissero in quel paradiso fiscale, al riparo dalle tasse.

«Ho buttato al vento tutti i calci di una vita tirati al pallone e ho perso quasi cinque milioni di euro, i risparmi di quando facevo il calciatore», dichiarò “Mister 10 miliardi” a Repubblica, quando la truffa del Madoff dei Parioli e la lista dei nomi dei vip caduti nella trappola esplose sui giornali. Il calciatore era molto amico di Roberto Torregiani, uno dei broker soci di Gianfranco Lande, e «una decina di anni fa» accettò di investire tutti i risparmi di una vita nella Egp, una delle tante società aperte dalla gang dei Parioli su cui transitavano i soldi dei clienti per sparire poi in conti all’estero. «Un annetto fa — disse sempre al nostro quotidiano rispondendo a un’intervista — ho cominciato a mangiare la foglia. Avevo chiesto di rientrare di una certa cifra, ma invece del denaro ho ricevuto consigli a desistere. Io insistevo e loro tentennavano, balbettavano. “Ma guardi, è meglio che lasci i soldi lì dove stanno, perderebbe troppi interessi”. Insomma ho capito che le cose non quadravano. Ora sono in mano agli avvocati. Che devo dire... a volte cerco di prenderla con filosofia ma spesso mi prende una rabbia: era la mia pensione ». E invece ora l’ipotesi investigativa è che Rizzitelli, a differenza di tanti altri investitori ignari, sapesse che, grazie all’amico Torregiani, su quel denaro investito non avrebbe pagato un euro di tassa perché depositati su un conto corrente maltese, scoperto due giorni fa.

Al momento Rizzitelli non è indagato e, l’evasione fiscale, qualora accertata, potrebbe addirittura essere prescritta tanto sono gli anni ormai trascorsi. Tuttavia parte del suo “tesoro” era al riparo. Ora è stato in parte recuperato e la magistratura deciderà come procedere.

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Identity crisis stirring up a hornets’ nest

by OLIVER KAY (THE TIMES 09-03-2013)

What is a football club? Is it the players, the bricks and mortar, the brand? Is it the community, the supporters, the atmosphere? Or is its sense of identity shaped by the times it has lived through — the Busby Babes, Hillsborough, the Lisbon Lions, Michael Thomas charging through the midfield, Jimmy Glass’s last-minute goal, David Pleat skipping across Maine Road in a pair of brogues, “Agüer-oooooooooo”.

In the language of the terraces: “Who are yer?” It is a question the Manchester City hierarchy pondered in their first year under Sheikh Mansour’s ownership. The upshot was a 60-page album presented to every employee from the first-team to the office staff. What hits the spot is less the images of players past and present than those of Moss Side and Ancoats, the pain etched on the supporters’ faces, the graffiti and the letters “MCFC” written in condensation on a window.

Some would call it marketing guff — even if it was intended for internal eyes only — but the mission statements are all about serving and inspiring the community, about building on “an immense pride in the city and the roots of the club”, retaining “a deep, lasting kinship with communities in Manchester and cities further afield” and, while this is far easier said than done, developing local talent to form part of a world-class team. And when you think about it, shouldn’t these be the central tenets of every club’s ethos?

Which brings us to Watford. I’ve always had a sneaky soft spot for Watford. Maybe it was a 1980s thing — Luther Blissett, John Barnes, Steve Sherwood’s red goalkeeper’s kit, Murphy’s Mob. And it is nice to see them flying high in the npower Championship, hot on Cardiff City’s heels in the race for promotion to the Barclays Premier League.

But as much as money has transformed City and various clubs into something barely recognisable, it is hard to look at the club sitting second in the Championship and avoid the feeling that their identity is at risk. They still wear Watford colours — the red shorts of the 1980s were actually a move away from tradition — they still play at Vicarage Road, but their identity is in danger of being obscured.

Watford are being reinvented as the English branch of a network built around Udinese and Granada, all three of them owned by the Pozzo family. The idea is that the three clubs use a sophisticated network of scouts to import high-class talent, particularly from South America, Africa and Eastern Europe, and move the players between the three clubs on a loan basis in order to help their development before, ideally, selling them on at vast profits, as Udinese have done with Samir Handanovic, Kwadwo Asamoah, Mauricio Isla and Alexis Sánchez in recent years.

So suddenly Watford, impoverished until last summer’s takeover, have had a squad bolstered by 14 loan signings, including two from Granada and ten from Udinese, one of whom, Fernando Forestieri, has since made his move permanent. Players such as Marco Cassetti, Almen Abdi and Matej Vydra, the young Czech Republic forward, have brought quality that, after a slow start, is blending into a team who look ripe for promotion under Gianfranco Zola’s management.

In the meantime, Watford have caused surprise locally and certainly within youth-development circles by opting not to pursue Category One status for their hitherto well regarded Harefield academy. Instead they have opted, like Luton Town and Stevenage, for Category Three — a category below Barnet — on the basis that the projected £1.5 million annual cost is, according to Scott Duxbury, the chief executive, “not a viable business plan because you can’t always sell players and, if you do, you are at risk of relegation”.

Duxbury maintains that Watford’s approach to youth development remains unchanged. We will see. Either way, a commitment to doing everything possible to develop the local talent should be central to any club’s ethos. Even if that talent is not good enough to make the first team, an investment in it would seem part of the two-way relationship that is meant to exist between club and community – particularly if the alternative is that players toddle off to Barnet in pursuit of a better education.

Does any of this matter to Watford’s supporters if they are in the Premier League next season? On the surface, perhaps not. But on my previous trip to Vicarage Road, for the FA Cup fourth-round tie against Tottenham Hotspur last season, I marvelled at the homegrown talent in Sean Dyche’s team – not just Marvin Sordell and Adrian Mariappa, subsequently sold to Bolton Wanderers (pre-Pozzo) and Reading respectively, but above all Sean Murray, who excelled in midfield against Scott Parker and Luka Modric. This season, in competition with Cassetti and others, Murray has barely played.

Would supporters rather have a successful, high-quality team than one containing promising but limited players raised locally? In almost all cases, yes. (Just ask City fans.) But it is clearly a consideration for Watford’s supporters, who would regale Murray with chants of “He’s one of our own” — a chant that predated the takeover but seems far more resonant on the teenager’s more occasional appearances these days.

The question is about what happens next. Certainly there will be no repeat of that arrangement next season; the Premier League permits a maximum of four loan signings per club per season, no more than one from the same club, and the Football League, aware of objections to Watford’s approach, are likely to try to close the loophole that allowed the influx of 14 loan signings.

The expectation is that several of those loanees will follow Forestieri’s example in signing on a permanent basis. Others will go back to Italy. Either way, players will continue to be circulated between Watford, Udinese and Granada. And given the size of the enormous financial rewards for staying in the Premier League, in comparison to Serie A or La Liga, it is quite possible that Watford, if they continue to progress, will end up replacing Udinese as the senior partner in the arrangement.

Every supporter wants their club to be the best they can be. But they also want them to have a sense of identity. As a town, Watford rightly considers itself more than a mere satellite of London. As a club, it should want to be more than a mere satellite of Udinese. And if that relationship ends up being reversed in the future, relief in Hertfordshire should not detract from the loss of identity that would be felt at a club that has won great admiration in Italy in recent years.

It goes back to that question: “Who are yer”? For 132 years, Watford Football Club have known exactly what it is, winning admiration, certainly over recent decades, for its commitment to developing local talent and for strong links with its community.

Nobody should patronise a club and suggest that they should be happy with a humdrum existence outside the elite. All clubs have the right to improvement. But all clubs also have a duty to represent their community – not just by winning matches, but by ensuring that the bond between club and town is preserved. Watford, as a long-established “community club”, have more to lose in this regard than most.

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ESCLUSIVA TJ - Antonello Angelini: "Ecco come truccavano il video del sorteggio non truccato"

08.03.2013 17:40 di Redazione TuttoJuve

Antonello Angelini, co-conduttore del programma di Radio Radio, "Il Bianco e il Nero", ha commentato gli ultimi sviluppi dell'annosa vicenda "Calciopoli" sulle colonne di TuttoJuve.com. Ecco le sue considerazioni:

In questi giorni moltissimi tifosi mi hanno chiesto cosa ne pensassi delle ultime novità relative a Calciopoli. Rispondo qui a tutti non avendo il tempo di rispondere uno per uno. Ne approfitto anche per fare il punto sulla Juventus in campo.

1 Sentenza Giraudo: non mi metto a contestare punto su punto, tanto potrete leggere le considerazioni di chi ne sa quanto me sui siti specializzati. La constatazione da fare è che probabilmente la verità su Calciopoli non sarà mai scritta in un tribunale . Gli juventini rimarranno convinti di aver subito un grandissima ingiustizia, gli altri (interisti e vari) la penseranno all’opposto. I capi di accusa si stanno sgretolando pezzo dopo pezzo, ma mai del tutto, perché alcuni tribunali italiani funzionano così. Sono convinto che se il processo fosse stato a Bari, i PM avrebbero archiviato il tutto seguendo le indicazioni di Arcangioli (uno dei due ufficiali dei carabinieri responsabili dell’inchiesta). Invece a Napoli, Narducci e Beatrice hanno dato retta ad Auricchio ed è nato questo processo senza capo né coda, basato sui tabellini della giornalaccio rosa dello Sport, sulle dichiarazioni dei siti dei tifosi della Lazio e sui 'si dice' e i 'de relato' del mondo del calcio, su alcune chiacchierate telefoniche e su alcune balle mediatiche tipo il sequestro Paparesta e il sorteggio truccato che poi truccato non era. Un processo talmente mediatico che la Procura e il Tribunale ci si giocano la faccia. Alla fine tutte le sentenze sono state nel senso di tentare di tenere in piedi il possibile di questo castello di cartone. Giraudo paga per telefonate (anzi telefonata una ) di Moggi con Bergamo in cui si confrontano le griglie . Oltretutto nella sentenza sbagliano addirittura ad ascoltare la telefonata perché l’arbitro che poi esce per Juventus –Udinese nemmeno è quello che era nella griglia ipotizzata da Moggi ma un altro. E poi il solo fatto di parlare di griglia è illecito sportivo? E Facchetti non parlò di griglie? E molti altri non lo fecero? Per me non è reato per gli uni nè per gli altri. Insomma ne ho viste abbastanza. Ma come un sistema politico che non sa espellere chi non va bene e non sa fare autocritica, anche il sistema giudiziario italiano prima o poi imploderà. Lo stesso dicasi per la giustizia sportiva incapace di spiegarci i suoi doppiopesismi.

2 Mi chiedono della indagine sulla indagine. Anche qui purtroppo non posso essere ottimista. Dondarini bene ha fatto a denunciare i fatti. Ma credono lui e il suo avvocato che qualcuno pagherà o verrà messo spalle al muro per gli errori (voluti o no che siano) fatti durante l’ indagine? Qualcuno farà un confronto con i carabinieri che ascoltavano le telefonate, di fronte a Narducci e Auricchio nel quale verrà chiesto perché le telefonate con baffo rosso giudicate importantissime dai carabinieri che ascoltavano, siano rimaste fuori dall’ inchiesta e con loro altri possibili imputati e reati? Qualcuno chiederà davvero dove è finito il video del sorteggio sparito e sostituito con delle fotografie invertite nell’ ordine temporale così da far credere che il sorteggio potesse essere truccato? Ci vorrebbe un bel titolo di un giornale rosa del tipo “Ecco come truccavano il video dei sorteggi non truccati”. Sarebbe più verosimile dell’originale che molti ricorderanno: 'Ecco come truccavamo i sorteggi degli arbitri' . Qualcuno chiamerà a confronto l’assistente Coppola per chiedergli chi gli disse che 'l’Inter non interessava'? Non sarebbe così complicato. Qualcuno chiederà e indagherà davvero sulla telefonata tagliata relativa alla salvezza della Fiorentina tra Moggi e Della Valle? Qualcuno chiederà davvero conto se è vero che le intercettazioni ambientali dell’ incontro Mazzini-Bergamo-Della Valle nel ristorante furono eliminate perché non vi era nulla di compromettente, come sostiene il carabiniere pentito nell’ intervista al Corsport? Qualcuno chiederà infine conto del perché alcune telefonate sono sparite (e alcune sono proprio una decina di telefonate Pairetto-Facchetti e un paio tra sede Inter e Bergamo oltre che altre del Bologna) come sostengono i legali della difesa e Nicola Penta? I legali Bordoni per Dondarini e Palazzoni per Pieri sostengono di voler andare sino al CSM per fare chiarezza su tutta la vicenda. Speriamo che possano far luce almeno su alcuni punti.

3 Riflessione finale: I tabulati delle sim intercettate vengono da 'Telecom ufficiale'? Visto che contengono indicazioni che la Telecom ufficialmente non forniva sino al 2006 , come sostenuto dall’avv .Gallinelli il dubbio è grande e per me è qualcosa di più di un dubbio. Se nemmeno questo è servito a far aprire gli occhi a tutti i non juventini, credo che ci sia ben poco da fare. Gli altri vogliono il colpevole per forza e la Juve e Moggi avevano il perfetto phisique du role".

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Platini: "Juve Fortissima, all'avvocato sarebbe piaciuta. Milan puoi farcela"

Il presidente Uefa: "Bella l'identità nazionale bianconera. E per il Barcellona sarà dura. Io sono come Grillo: lotto contro i poteri forti"

Fabio Licari - Gasport -9-03-2013

NYON (Svizzera), 09 marzo 2013

A Michel Platini piacerebbe parlare di Juve, Barcellona, Messi e Ronaldo, ma il discorso scivola inevitabilmente su fair play, razzismo, violenza, scommesse. "Altrimenti avrei fatto il giornalista. Ho scelto di fare il presidente per non limitarmi a commentare: volevo anche fare". All’Uefa dal 2007, con un mandato fino al 2015 e un bivio: restare a Nyon oppure tentare l’avventura alla Fifa dopo Blatter. Deciderà presto. "Ma non so quando. Domani, tra un mese o un anno: sono curioso anch’io. Potrei anche smettere o restare all’Uefa".

Non è che Blatter stia pensando di ricandidarsi?

"E chi può saperlo? A Parigi ha annunciato il ritiro, poi ha detto cose diverse, ora non so. Alla gente importano Bayern, Messi, Manchester-Real. Di Fifa e Uefa, per fortuna, frega poco".

Invece il fair play importa ai tifosi.ll Psg annuncia un’improbabile sponsorizzazione retroattiva...

"Non so se il Psg sia un problema. Quel che conta è che il sistema c’è, le sanzioni anche, e non si guarda in faccia a nessuno. I club lo sanno e hanno detto 'sì'. Noi avevamo un mandato morale. Quante volte devo ripetere che Moratti, Berlusconi e tanti altri mi pregavano di intervenire e ridurre 'perché noi non possiamo farlo'?".

Il fatto che suo figlio lavori per il Qatar non la aiuta...

"Ma lavora per una società del Qatar, non per il Psg. Vorrebbe fare l’avvocato sportivo e non può per il conflitto d’interessi. Capisco la facile analogia. Ma se mangio spaghetti sono per Berlusconi?".

L’Unione Europea suggerisce una tassa sui trasferimenti di lusso.

"L’Ue sa che i problemi sono nati dopo Bosman: giusta la possibilità dei calciatori di liberarsi a fine contratto, sbagliata la libera circolazione che ha dato potere a pochi. Significa che dobbiamo fare qualcosa. Per aiutare i club, non ucciderli".

L’ultima analisi finanziaria dice: i club sono più virtuosi.

"Sanno che c’è il baratro. Gli italiani sono molto virtuosi".

Sa che il vincitore delle elezioni italiane è stato Grillo, un ex comico che parla di politica onesta?

"Me lo ricordo in tv quand’ero alla Juve: anche Reagan era un attore. E non dice quello che sto facendo io nel calcio?".

Qatar 2022: molti club non sono convinti di giocare in inverno.

"E come si fa a luglio in Qatar a 50 gradi, dico io. Spiegai all’Emiro: se voto per voi mi piacerebbe giocare a dicembre e allargare il torneo a tutto il golfo. Se vogliono luglio, facciano pure. Dov’è il problema di fermare due mesi il campionato?".

Qualcuno teme che Lei voglia la stagione nell’anno solare.

"No, idea abbandonata. Ma se in 92 anni di Mondiale si gioca una volta in inverno...".

È accettabile che in alcune città ogni partita abbia un contorno di accoltellati?

"No, ma cosa c’entra col calcio? I mille stupidi che hanno fischiato Boateng mica erano lì per la partita? Potrei impedire alcune trasferte, per esempio. Ma posso controllare i turisti? E se si rivolgono ai bagarini? Mi spiace, preferisco accusare la sicurezza pubblica".

Lotito si lamenta delle porte chiuse per la Lazio.

"C’è chi pensa di togliere punti. Cosa preferisce?".

Parlando di Boateng: ha fatto bene a lasciare?

Benissimo. Però era un’amichevole. Fosse un torneo Uefa sarebbe giusto parlarne con l’arbitro e chiedere la sospensione. Loro hanno gli strumenti, devono usarli in casi così".

Più facile contro gli scommettitori che contro i razzisti?

"Sì. Le scommesse sono un dramma, il calcio non è credibile, ma possiamo vincerle. Il razzismo è figlio anche della cultura del nazionalismo così forte in Europa".

Novità 5 arbitri: contento?

"Usi il superlativo. Sì. Degli arbitri, dell’esperimento, dello straordinario lavoro di Collina. Ho fiducia totale in lui".

In Italia, però, sembra che spesso manchino di coraggio.

"Non è questione mia. Dopo cento anni, ho dato agli arbitri quattro occhi in più per vedere quello che non potevano".

Ma non sensori o telecamere...

"Così poi le usiamo per fallo di mano, fuorigioco e ci fermiamo sempre. E poi è gravissimo che il Board abbia concesso la possibilità di usare la tecnologia in alcune partite di un torneo. Come se in Champions alcune avessero i 5 arbitri e altre no. Al Mondiale per club non è successo niente, vediamo in Confederations. Di solito c’è un caso ogni 40 anni".

Arbitri: che cosa pensa del rosso a Nani?

"Che l’arbitro Cakir ha visto e interpretato. È il suo ruolo".

Chi vince la Champions?

"Uh, se poi dico che mi piacerebbe dare la coppa alla Juve qualcuno se la prende. Ho visto due grandi tedesche, Bayern e Borussia. E anche la Juve: la seguo da due anni, è fortissima, mi piace la sua identità nazionale. A volte gioca con nove italiani: discorsi vecchi, non si possono più fare, ma mi piace. Sarebbe piaciuta anche all’Avvocato che avrebbe amato meno un calcio con mille stranieri che vanno e vengono".

Juve da Champions?

"Se il Barcellona va fuori è apertissima".

Riparlato con Andrea Agnelli dopo la storia del francobollo da risparmiarsi...

"Certo. Nessun problema. Bastava mi chiamasse prima, senza bisogno della lettera: gli avrei spiegato".

Le manca l’Avvocato?

"Sì, ma da presidente Uefa devo pensare al futuro".

Ora c’è Barcellona-Milan.

"Non è facile recuperare il 2-0, neanche per il Barça. È il bello del calcio: vendi Ibra e Silva, non puoi schierare Balotelli, e fai 2-0 al Barcellona. Sei il Chelsea e perdi in Europa League con la Steaua. Sei il Manchester e prendi due gol in 10’: non basta essere in 10 per giustificarlo. La mia Juve, l’Ajax, il Bayern facevano tre finali di fila, ora ogni anno si cambia: niente come la Champions".

Neanche i club vogliono più cambiarla.

"Ne parleremo. Io l’ho democratizzata e mi va bene così".

Ma Lei ha anche detto: "Ha ucciso l’Europa League".

"No, ha ucciso tutti i tornei Uefa. Ma l’Europa League incarna lo spirito europeo: possono vincerla tutti. La Champions no".

De Laurentiis dice: la Champions potrebbe valere molto di più.

"Perché non viene a lavorare al marketing Uefa?".

Napoli è anche Maradona: vi parlate ogni tanto?

"A Dubai due mesi fa. Gli voglio bene anche se non condivido tutte le sue idee. È buono e simpatico, se mai un giorno avrà bisogno di aiuto io ci sarò".

Guardiola al Bayern: sorpreso?

"No, è il riconoscimento del valore del calcio tedesco".

I suoi campioni preferiti?

"Messi e Ronaldo. Due modi diversi di essere fuoriclasse".

Lei a quale modo dei due somigliava?

"A nessuno".

I campioni di oggi sembrano meno impegnati di Platini, Rummenigge, Beckenbauer: forse non saranno dirigenti.

"Neanch’io pensavo di essere presidente Uefa. Purtroppo quando sei un campione sei anche un prodotto che può perdere la personalità perché c’è tanta gente attorno a te".

Sa che Lei alla Juve era uno di quelli che recuperava più palloni?

"Davvero? Lo dirò a Marco e Antonio che mi rompevano sempre le balle: "Difendi! Difendi!".

La cosa di cui è più contento?

"Della fiducia della famiglia del calcio".

E l’errore?

"AverLe parlato…".

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Paraísos fiscales de Primera

Las tres Haciendas vascas se plantean ahora cambiar la opaca

normativa de los deportistas profesionales tras hacerse público

que la mitad de sus ingresos están libres de impuestos

“Es un caso perfecto de autoelusión fiscal”, critica el catedrático de Hacienda del País Vasco Ignacio Zubiri

por PEDRO GOROSPE (EL PAÍS 10-03-2013)

Si mete goles, que pague menos impuestos”. Podría ser una caricatura sobre la fiscalidad aplicable a los deportistas profesionales vascos, pero quien la pinta con palabras, el catedrático de Hacienda Pública de la Universidad del País Vasco Ignacio Zubiri, lo hace con una buena dosis de indignación, tras hacerse público que estos deportistas tributan solo por la mitad de los ingresos que reciben de sus clubes o empresas.

Los leones del Athletic o los jugadores de la Real Sociedad, pero también los futbolistas de la Segunda División, las plantillas del Bilbao Basket y del Baskonia de Vitoria, además de pelotaris y ciclistas del Euskaltel con residencia fiscal en Euskadi —no así los remeros—, se pueden acoger a un sistema que les permite llevarse la mitad de sus ingresos limpios.

“Es absurdo poner el foco en esto. Hasta hace dos años había un amplio consenso político y social al respecto”, resuelve Gorka Arrinda, máximo accionista del Bilbao Basket y propietario de uno de los despachos más potentes de representación de jugadores y entrenadores en España, aunque admite que “quizá habría que modificar los porcentajes”.

La polémica la ha provocado el diputado general de Bizkaia, José Luis Bilbao, del PNV, que reconoció esta semana la existencia de esa tributación ventajosa y anunció un encarecimiento de la misma, posiblemente empujado porque la izquierda abertzale de Gipuzkoa —Bildu— ya lo ha hecho, y plantea dejar libre de gravamen solo los primeros 300.000 euros. A partir de esos ingresos, las rentas tributarán al tipo que proceda. Por tanto, cambian los porcentajes, pero el concepto que justifica la exención fiscal —el hecho de que la de los deportistas representa una “renta irregular” o “una renta fugaz”— da la impresión de que persiste.

En este debate, los deportistas prefieren mantenerse al margen. Su principal preocupación es saber cuánto les queda limpio. Ellos negocian sus contratos en dinero neto, con lo que un eventual cambio en su tributación no les va a afectar. El dinero extra que logren las Haciendas vascas después de un lustro de caída anual de los ingresos tributarios repercutirá directamente en las arcas de sus clubes. “No tengo nada que decir de eso”, aclaraba el jugador del Athletic Club de Bilbao Oscar de Marcos esta semana. “Estamos a la espera”, interviene un portavoz de la presidencia del club.

Desde la Asociación de Futbolistas Españoles (AFE) aseguran que en el resto de España se hace de manera diferente. Aunque la tributación de los jugadores profesionales siempre ha estado en el centro del debate debido al cobro de los derechos de imagen a través de sociedades radicadas en países extranjeros —que en algunos casos han llegado a facturar hasta el 99% de los ingresos de los futbolistas—, “está normalizado para jugadores nacionales y extranjeros” desde hace una década, cita esta fuente.

La exención de la mitad de los ingresos basándose en que son rentas irregulares “es una regulación solo de las Haciendas vascas”, asegura. “Pero es que los salarios de los jugadores no son rentas irregulares”, explica Zubiri subiendo el tono. Las diputaciones vascas pactaron con los clubes hace más de dos décadas anclar la tributación de los deportistas profesionales en el capítulo de las rentas irregulares a cambio de eliminar la red de sociedades que creaban los asesores de los jugadores para tributar menos.

El artíċulo 19 de la norma del IRPF de Bizkaia —la de Álava es similar y la de Gipuzkoa lo era antes del cambio— define, al hablar de las rentas irregulares, que “el rendimiento íntegro del trabajo se obtendrá por la aplicación de los siguientes porcentajes: a) Cuando los rendimientos de trabajo tengan un periodo de generación superior a dos años y no se obtengan de forma periódica o recurrente, el 60%; este porcentaje será del 50% en el supuesto de que el periodo de generación sea superior a cinco años o se califiquen reglamentariamente como obtenidos de forma notoriamente irregular en el tiempo”.

El problema es que esta normativa estaba pensada para indemnizaciones laborales, por sepelio o traslados, o pagas especiales por 20 o 30 años de servicio en una empresa —se cobraban en un momento, pero habían sido generadas a lo largo de varios años—, pero no para los ingresos de los jugadores. Las diputaciones reglamentaron esa adaptación para poder aplicarla al caso, pero en un ejercicio de transparencia notable esos reglamentos “no se han publicado”, coinciden dos fuentes consultadas.

“Es perfecto”, critica Zubiri, “es un caso perfecto de autoelusión fiscal, les dejamos que eludan la mitad de los impuestos para que no lo hagan de otra manera”, argumenta. Para Arrinda, sin embargo, hay que tener en cuenta otros parámetros. Si los jugadores ingresaran sus rentas totales divididas entre los 40 años de media de vida laboral de un trabajador normal, su tributación no sería la máxima que deberían pagar cada uno de los 8 o 10 años de su vida como deportista. “Yo sí creo que son rentas irregulares”, precisa el representante de jugadores. “¿Que el 50% de tributación parece poco?, pues cambiémoslo, pero hasta hace dos años a nadie le parecía poco”.

Hay otro problema, además de su opacidad. La regulación ad hoc de las diputaciones vascas para estos deportistas no contempla la posibilidad de que los beneficiarios de la normativa tengan que devolver las ventajas fiscales que obtuvieron durante su vida laboral si generan ingresos cuando esta se acaba.

“El tratar a contribuyentes similares de manera diferente o primar a unos colectivos en función de coyunturas tiene además una penalización por la UE”, asegura un ex diputado vasco de Hacienda que prefiere no identificarse. El caso de las vacaciones fiscales, en el que Competencia de la UE ha propuesto una serie de multas a las Haciendas vascas al considerar que determinadas exenciones y ventajas fiscales ofrecidas a las empresas en la década de los ochenta y noventa tenían la consideración de ayudas ilegales de Estado, “se puede aplicar a esta tributación de los deportistas. En el fondo suponen ayudas encubiertas a clubes que luchan en Europa por los mismo objetivos deportivos”, estima la misma fuente. Con el sistema de rentas irregulares, la tributación de los deportistas apenas supera el 23% o el 24% de todos sus ingresos. Si los jugadores negocian en neto, para seguir ganando lo mismo, pasar de un 24% de presión fiscal al doble supondría un gasto adicional de entre 11 y 12 millones a un club que gasta 50 millones en plantilla.

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FINITO IL BOOM PETROLFOOTBALL PARIGI ADDIO

di TONY DAMASCELLI (il Giornale 10-03-2013)

Parigi valeva bene una messa ma quelli del football, alla voce Paris Saint Germain, hanno un’idea diversa delle funzioni religiose. Nel senso che nonostante la qualificazione in champions, la vittoria di ieri, un po’ sofferta, sul Nancy con il solito doppio Ibra, il can can degli sceicchi sembra aver esaurito l’effetto magico e attraente. D’accordo i soldi, ma Ibrahimovic ieri ha respinto con il dito che si muoveva come un tergicristallo gli applausi dei parigini (dopo i fischi), si è fatto ammonire, starà fuori dalla prossima di champions; Leonardo si sta incapricciando di nuovo dell’Inter, perché all’Inter vogliono tornare tutti, quelli belli e quelli brutti; Ancelotti sembra un «cumenda» con l’aria di chi ha capito che è ora di chiudere i bagagli Louis Vuitton e andarsene in Spagna, Verratti piace al Manchester United, Pastore non piace più a nessuno. Mistero buffo e glorioso, il resto della Francia tifa per Lione e Marsiglia che stasera si sfidano, lo spirito chauviniste riemerge nonostante l’invasione straniera. Ma c’è una champions di mezzo, c’è la prospettiva di andare in finale a Londra, con l’unico inglese a rappresentare la nazionale della regina, David Beckham, anche ieri utilizzato part time, con la moglie Vittoria in tribuna ad applaudire con quel bon ton sciocco, quasi avesse le mani di cera liquida. Bisogna aspettare ma anche riflettere. Forse il boom del petrolfootball ha una controindicazione, le squadre di globetrotter vanno bene per i tornei estivi, dopo entrano in campo le soubrettes con tutti i loro privilegi, vizi e difetti. Manca il capo, nonostante Al Thani, il padrone del giocattolo calcistico, voglia comprarsi (insieme con l’italiano Borletti) i magazzini Printemps. Per la tour Eiffel si discuterà in un secondo tempo.

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Egitto, è guerra ultrà

Tre morti e 65 feriti

Il Cairo va in fiamme

Scontri con la polizia dopo le condanne per Port Said

Tra le vittime un bambino, molotov sulla Federcalcio

di ANDREA LUCHETTA (GaSport 10-03-2013)

Di fronte allo stadio dell’Al Ahly, nella Cairo bene, i tifosi sono incerti. Non sanno come giudicare l’ultima sentenza per il massacro di Port Said, dove nel febbraio 2012 persero la vita 72 loro compagni. La conferma delle 21 condanne a morte comminate a gennaio scatena una gioia selvaggia. Canti, fumogeni, razzi, balli. Ma è il minimo del minimo. La partita si gioca sul destino di 9 poliziotti e 3 funzionari dell’Al Masry, accusati di aver favorito il massacro. La sentenza di ieri è una polpetta avvelenata: regala contentini a tutti e sparge fiele in egual misura. Difficile immaginare un nodo più intricato. Gli ultras dell’Al Ahly vogliono la condanna dei poliziotti e dei dirigenti dell'Al Masry. Ma se il tribunale li accontentasse, Port Said esploderebbe, e la polizia — in sciopero da giorni — minaccerebbe di abbandonare il governo. Alla fine i giudici decidono di non decidere: due funzionari delle forze dell’ordine condannati a 15 anni, e 7 assolti, come i dirigenti dell’Al Masry. Sullo stadio dell’Al Ahly piomba una cappa di incertezza. La base vuole vendetta, e alcune centinaia di tifosi si dirigono verso il ministero dell’Interno mentre i leader tentano di placare gli animi. Gamal, 26 anni, allo stadio di Port Said è sfuggito a due ultrà dell’Al Masry che lo inseguivano con una spada, mentre la polizia guardava. Maoggi predica calma: «Dovete capire che in Egitto i poliziotti non vengono mai condannati. Mai. La sentenza di oggi è un piccolo progresso».

Pistole e fumo Gamal teme che nella tifoseria si crei una spaccatura. Per un’ora regna l’incertezza, e la rabbia cresce. La valvola di sfogo si trova a poche centinaia di metri. Un fiume di ultrà lascia lo stadio. Dopo pochi minuti due nuvoloni di fumo oscurano il cielo di Zamalek. Bruciano un dopolavoro della polizia e la sede della Federcalcio. Incontriamo alcuni funzionari di fronte ai resti del palazzo. «Sono arrivati in 5-600, hanno rubato i trofei e appiccato il fuoco con le molotov I poliziotti non sono intervenuti, no». Di ritorno dalla scorribanda gli animi sono più distesi. I leader annunciano la linea: «Avremo la nostra vendetta, non temete. Ma non oggi: ci sono troppi minorenni in giro. Un passo alla volta». Vince la linea della pazienza, e un ragazzino festeggia sfoderando la pistola: due colpi per aria mentre la folla rinnova l'invito a føttere Port Said.

Tre vittime Nel pomeriggio, come ogni giorno, gli scontri intasano l’area fra il Nilo e Piazza Tahrir. La polizia carica e spara lacrimogeni, frotte di ragazzini fra i 7 e i 15 anni imbastiscono sassaiole. Ogni tanto compaiono i passamontagna dei black bloc, che alzano la tensione con razzi e molotov. La polizia arretra per pochi metri, prima di lanciare cariche coi blindati. Poco distante, in una moschea su Piazza Tahrir, spirano un bimbo di 8 anni e un uomo colpito alla schiena mentre soccorreva un ferito. Secondo Al Ahram sarebbero stati uccisi dai pallettoni della polizia. Poche ore dopo una terza vittima, mentre i feriti sono 65. Gli ultrà negano di aver partecipato agli scontri, fedeli alla linea del mattino. Nel frattempo, a pochi chilometri, vanno a fuoco una scuola e due ristoranti. Il tutto mentre a Port Said gli ultrà dell’Al Masry tentano senza successo di bloccare il Canale di Suez, slegando le barche ormeggiate e lanciando pneumatici in fiamme. Le sentenze hanno permesso di scongiurare l’esplosione del Cairo e l'ammutinamento della polizia. Difficile però scommettere sulla tenuta di un equilibrio così precario. «Forse avrete notizie degli ultrà già nei prossimi giorni» conclude Gamal.

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United seeks world’s biggest sponsorship

All eyes in Wall Street are on talks with Nike

by DAVID ROBERTSON (THE TIMES 11-03-2013)

Manchester United may still be smarting from its eviction from the Champions League, but the club is hoping to recover financially with what could be the most valuable sponsorship deal in sporting history.

The defeat to Real Madrid last Tuesday led to downgraded forecasts on Wall Street, where United’s shares are traded. But the impact will be forgotten if United can clinch a sponsorship deal with Nike in the coming months.

According to insiders, executives from United and Nike will begin detailed talks on the merchandising and sponsorship contract “imminently”.

United signed a 13-year deal with Nike in 2002 that was worth £303 million plus 50 per cent of profits from merchandise sold. The deal is forecast to be worth approximately £38 million this season. Although the existing contract does not end until 2015, Nike and United have just entered a six-month exclusive renegotiating period.

If the two sides fail to agree, United can spend six months talking to other suppliers, such as adidas or Puma — although Nike still has the option to trump any deal with a competitor.

Sources familiar with the talks said that Nike was likely to try to complete a deal during the exclusivity period and that United was pressing for the new contract to begin a year early, in 2014.

Jefferies International, the New York investment bank, has estimated that the new arrangement could be worth £61 million to United next year. Nomura believes that it could be worth £74 million.

Michael Nathanson, an analyst at Nomura Securities, said: “There are very few superstar sporting franchises like Manchester United and I would expect Nike to work hard to keep the team. For United, these long-term commercial contracts are like an annuity because the income is not dependent on results on the field, which can vary from year to year.”

It was suggested last year that United were looking for a ten-year deal with Nike worth £1 billion, but this may be ambitious if rumours about the club’s recent underperformance at the cash register are true.

According to insiders, United’s merchandising revenue has been surpassed by Barcelona and Real Madrid and this could have implications for the Nike deal.

“United’s performance has lagged some of the other top European clubs and that has been reflected in merchandising sales,” a Wall Street source said. “This is likely to be reflected in the sponsorship deal. Talks on the new deal will be a delicate mating dance.”

The final value may change depending on what gets left out of the new contract, with United likely to hold on to online sales and its soccer school, which are part of the current deal.

There has been some speculation that United could ditch Nike entirely and try to run the merchandising operation on its own, although this is thought unlikely.

United will also benefit next year from a seven-year sponsorship deal with Chevrolet worth $559 million (£375 million). The combination of these new commercial deals and higher television revenue is expected to nearly double the profits at Old Trafford.

United and Nike declined to comment.

Creative accounting gives clubs

imaginative way of balancing books

by GABRIELE MARCOTTI (THE TIMES 11-03-2013)

OK, this is it. Now we know. And soon we’ll find out what Uefa is made of. Ever since the Qatar Investment Authority became Paris Saint-Germain’s majority shareholder in 2011, PSG have been throwing around money like Sheikh Mansour and Roman Abramovich rolled into one: £92 million in the first year, £128 million this season.

Heck, if you want to turn an underachieving French club into a continental juggernaut, you have to spend big. What nobody could explain was how the Qatari owners were going to chuck all this money at the team and still comply with Financial Fair Play requirements.

We got our answer last week, when the Direction Nationale du Contrôle de Gestion, the body that supervises and licences French football clubs, released its report for the 2011-12 season. It showed PSG recording a loss of just £4.8 million.

Nothing to see here, right? Not exactly. PSG achieved that figure only because a “magic number” appeared on their balance sheet: £109.2 million in “other income”.

We don’t know just what that “other income” is — the DNCG report doesn’t specify and PSG haven’t exactly been forthcoming, not least because in France, companies not wishing to file their accounts can pay a fine of a few thousand pounds and avoid doing so — but speculation is rife that it refers to some kind of mega-sponsorship deal signed between the Qatar Tourism Authority and the club.

What we do know is that it is not part of any of the traditional income streams that football clubs enjoy — media rights, commercial income or match-day revenue — because those are all itemised elsewhere and add up to a comparatively paltry £84.5 million. We also know that, as things stand, there is a greater chance of Zlatan Ibrahimovic passing through the eye of a needle than there is of PSG satisfying FFP requirements.

FFP regulations cap the total losses that a club can sustain at £39 million during the first “monitoring period” (the 2011-12 and 2012-13 seasons). Some expenses related to youth development and infrastructure costs are excluded from the calculation and the rules state that Uefa will take “trends” into account. That is, a club might be outside the parameters but as long as they are moving in the right direction they’ll let it slide. But you do not need to be a qualified accountant to understand that there is no way PSG would come close to meeting the requirements without that “other income” figure.

The good news — unless you are a PSG fan — is that Uefa is on to this. In fact, its regulations address this situation specifically. “Related party transactions” — that is, attempts to camouflage capital injections as sponsorship or other deals — are subject to “benchmarking”. It is a similar story with Etihad’s deal with Manchester City. Since it is pretty obvious that Sheikh Mansour has a fairly tight relationship with Etihad — which is owned by the Abu Dhabi government and chaired by his half-brother and fellow royal, Sheikh Hamed — just as the Qatar Investment Authority and the Qatar Tourist Authority are run by the same government, their transactions are treated differently.

Rather than applying the full value of a deal, Uefa says that it will use “benchmarks”: the value of comparable transactions signed between unrelated companies. What this means is that, in theory, PSG may have a £100 million plus deal with the Qatar Tourism Authority, but only £20 million to £30 million will actually count on their books for the purposes of FFP.

The rest is financial sleight of hand. Despite the deal being agreed only in January 2013, the money would somehow count towards the 2011-12 and 2012-13 seasons, according to the newspaper Le Parisien. That might be enough to satisfy the DNCG but it should be meaningless to Uefa’s Club Financial Control Body (CFCB), which will crunch the numbers.

Many have cast doubt on Uefa’s willingness to enforce its own rules. The fact that Europe’s elite clubs — the likes of Bayern Munich, Real Madrid, Manchester United and Arsenal — were the first to call for FFP is supposed to be some kind of safeguard against a failure to apply the rules. After all, if they stick to the regulations and others don’t and get away with it, they could make life very difficult for Uefa.

But when you look at how brazen PSG (and, to be fair, some of the Eastern European clubs) have been in their approach, how seemingly oblivious they’ve been to FFP and how their solution seems to have been nothing more than “hiding in plain sight” — a big cheque from the owner masquerading as a legitimate commercial transaction — you wonder if they think they know something the rest of us do not. And, inevitably, whether Uefa will have the courage to make them pay.

Footballman who scores in big business

Olympique Lyonnais owner has achieved a long-awaited goal

by PAUL BETTS (FINANCIAL TIMES 11-03-2013)

In the six years since Jean-Michel Aulas, owner and president of Lyon’s topflight soccer club Olympique Lyonnais, launched a plan to build a stadium in the east of the city, the €400m project turned into a political football dividing local officials, environmentalists, fans and residents.

Mr Aulas never gave up and he has finally clinched the contract with Vinci construction group to build the 58,000-seat stadium in time to host the European championships in 2016.

The Olympique Lyonnais owner does not have the reputation of being a pushover. He is an atypical figure in corporate France and more akin to a Silicon Valley entrepreneur. Mr Aulas, 64, started his first business when only 19 rather than climbing the traditional French educational ladder. He founded Cegid, a software company specialising in accounting and fiscal services in 1983 and eventually acquired competitors, developed the business and listed the company on the stock exchange.

Football was his other big passion. In 1987, he was asked to help restore the fortunes of Olympique Lyonnais which was languishing in the second division. From the beginning he adopted a business approach and set about returning the club to the French first division (achieved in barely four years).

He rid the club of its debts, reorganised its management and, over two decades, transformed it into one of the richest in Europe. Lyon won its first ever Ligue 1 title in 2002 – the start of a recordbreaking streak of seven successive titles.

In spite of his successes on the pitch and in business, the outspoken Mr Aulas has not escaped criticism and remains a controversial, if dominant, figure in Lyon and French football. His opponents dislike his overtly commercial and financial approach to the game. Lyon is the first and only French club to be listed on the stock exchange. He has turned the club into a strong business brand. For Olympique Lyonnais, or OL as it is known, is not just a football team. It has a number of subsidiaries operating in the media sector (OL Image), in services (OL Organisation), in catering (OL Brasserie), in distribution (OL Merchandising) and it is also involved in a travel group.

These days, Mr Aulas devotes most of his time to his football interests, having sold a large stake in his software company to the Groupama mutual insurer.

In an interview in Le Monde, he said he did not see himself so much as a traditional football club boss but as an entrepreneur having developed a new business model for the sport. He is focusing on his new stadium, which will involve the construction of two hotels, a leisure centre and office buildings.

He says the project will give Lyon a huge economic boost as well as become a showcase for the city and region. Yet he still has to persuade the banks to lend him €200m to help finance the grand venture. “In France there is a cultural problem,” he once said. “Winners are not popular.”

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Il tariffario Figc: insulti razzisti a prezzo di saldo

Aligi Pontani - repubblica.it -11-03-2013

Il sensazionale tariffario del giudice sportivo della serie A va letto con ammirata attenzione. a) Striscione offensivo contro un importante dirigente del calcio europeo: 10 mila euro di multa; b) Cori a sfondo razzista all'indirizzo di un giocatore di colore della squadra avversaria, con aggravante di uso di raggi laser e lancio di accendini in campo: 30 mila euro; c) Cori a sfondo razzista all'indirizzo di un giocatore di colore, non avversario e neppure in campo: euro 4.000.

E' un menu magnifico, perché fotografa lo stato miserabile della giustizia sportiva italiana, ben chiarito già dalla atroce gestione dello scandalo scommesse. Un caos che si è propagato come un virus ovunque, perfino sul tavolo dell'onesto e bravo Giampaolo Tosel, l'uomo che delibera sui fatti brutti del week end calcistico. Secondo le sue decisioni, dunque, insultare Platini (come hanno fatto i tifosi laziali) è due volte e mezzo più grave che augurarsi la morte di Balotelli saltellando e ribadendo la non esistenza di negri italiani, come fatto dai tifosi juventini; augurarsi invece la contemporanea eruzione di Etna e Vesuvio per lavare col fuoco siciliani e napoletani, non costa proprio nulla: nelle decisioni di Tosel su Juventus-Catania non ce n'è infatti traccia, evidentemente l'addetto all'ascolto era distratto, oppure non ha sentito bene, oppure si è dimenticato di scriverlo nel referto. Può capitare, no? D'altra parte, lo Juventus Stadium, il più bello, moderno e produttivo impianto italiano, è sotto diffida per il comportamento non proprio bello, né moderno e tantomeno produttivo di parte dei suoi tifosi: sempre gli stessi, sempre più impuniti. Se l'addetto all'ascolto avesse ascoltato, quindi, lo Juventus Stadium sarebbe stato squalificato per la gara interna col Pescara: non proprio una tragedia sul piano sportivo, ma vuoi mettere il danno d'immagine?

Ecco, il danno d'immagine. Ventiquattro sanzioni per razzismo in un campionato evidentemente non bastano ancora a far capire (non a Tosel, ma a chi guida la baracca del pallone) che far finta di niente, voltarsi dall'altra parte, dare buffetti sulle guance e pacche sulle spalle non è forse il modo migliore per difendere l'immagine del calcio italiano. Perché poi ogni tanto capita anche di giocare fuori dall'Italia, capita che qualcuno perda la pazienza, capita che arrivi una sanzione certamente abnorme ma altrettanto certamente esemplare come quella inflitta dalla Uefa alla Lazio, malgrado gli sforzi del suo incolpevole presidente Lotito. Due giornate a porte chiuse in Europa per qualche braccio troppo teso. 4000 euro di multa per i peggiori tra i cori possibili. La differenza è tutta in questi pesi e in queste misure. La differenza tra chi vuole farla finita col razzismo da stadio e chi non vuole fare niente, ma andare avanti così, tranquillamente, verso il prossimo iceberg.

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Moggi è la migliore cura di tutti i tempi

http://www.ju29ro.co...ti-i-tempi.html

:sciarpata:

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Il Sole 24ORE 12-03-2013

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Detto dopo di TONY DAMASCELLI (il Giornale 12-03-2013)

CORI, STRISCIONI, INSULTI

TUTTA COLPA DI PLATINI?

Lo stadio di calcio italiano non è il teatro dei sogni (leggi Old Trafford, Manchester), nemmeno provoca miedo escenico (rileggi Santiago Bernabeu Chamartin, Madrid). Semmai è una discarica dove è possibile esporre ogni tipo di lenzuolo, con scritte volgari, razziste, infamanti oppure ascoltare le stesse a voce, in diretta, dunque un teatro dei segni e, chiedo scusa, una mierda escenica . Balotelli è presente dovunque, nei cori idioti (la multa di 4mila euro alla Juve è solo l’ultima della serie) di chi non sa nemmeno che cosa significhi razzismo, al di là dell'insulto, così come bestemmia chi non conosce la religione, perché se non crede la blasfemia è inutile, se, invece, è credente allora Dio, la Madonna e tutti i santi meritano rispetto. Poi ci sono quelli del saluto romano, teste rasate e teste di cavolo, quelli del pugno chiuso che hanno sostituito El Che con El Chavez. Poi ci sono quelli che celebrano i morti dell'Heysel ma offendendoli, poi quelli che insultano i granata morti a Superga, o i morti sul campo, i tentati suicidi, poi quelli che scrivono sui loro striscioni offese all'avversario, ai parenti, mogli comprese.

L'ultima new entry è stata riservata a Roma dalla curva laziale a Platini maiale, colpevole delle due giornate di squalifica europea dello stadio Olimpico per i saluti romani di cui sopra. L'Uefa ha fatto quello che la federcalcio e la lega italiana hanno sempre avuto paura di fare per lo stadio di Roma già noto per gli stessi episodi o per altri impianti illustri.

La stessa Uefa ieri ha respinto il ricorso della Lazio ma non è finita qui. Il presidente Platini potrebbe dare incarico al proprio ufficio legale di occuparsi dello striscione esposto domenica sera, chiedendo notizie sul servizio di sicurezza dello stadio e su eventuali responsabilità e complicità.

Penso che il calcio italiano si sia fatto riconoscere ormai dovunque e se qualcuno avesse ancora dei dubbi e ritenesse tutto ciò pretestuoso e catastrofista, allego la classifica, detta ranking, Uefa sul fair play, quello del comportamento, della lealtà: al trenta dicembre scorso siamo al ventiseiesimo posto superati nell'ordine da queste nazioni: Norvegia, Svezia, Finlandia, Inghilterra, Olanda, Danimarca, Scozia, Spagna, Germania, Nord Irlanda, Repubblica ceca, Galles, Islanda, Austria, Francia, Estonia, Bielorussia, Belgio, repubblica d'Irlanda, Svizzera, Polonia, Slovacchia, Russia, Ucraina, Portogallo.

Poi veniamo noi. Tutta colpa di Platini. Altre novità?

Razzismo tra buffetti e stangate

Juve graziata, Lazio senza stadio

Lo Juventus Stadium rischiava la squalifica, il giudice non ha dato peso ai cori

Lotito furioso con l’Uefa: “Provvedimento abnorme: 4 giorni di ricorsi inutili”

di FRANCESCO SAVERIO INTORCIA (la Repubblica 12-03-2013)

Il pugno duro è una promessa non mantenuta, l’Italia continua a combattere la sua guerra al razzismo a colpi di cerbottana. Ieri, quattromila euro di multa alla Juventus per lo spettacolo indegno col Catania: quei motivetti odiosi sui “negri italiani” che non esistono e sui vulcani che devono fare strage di meridionali li hanno sentiti tutti, e lo Juventus Stadium, già diffidato, rischiava la squalifica, come ripeteva preoccupato lo speaker. Il giudice sportivo, però, li ha ignorati. Gianpaolo Tosel ha punito il club bianconero per un «coro ingiurioso», al 4’ del primo tempo, «contro un calciatore di altra società». Ingiurioso, non razzista: l’aggettivo più grave non compare, probabilmente perché in quell’unico slogan sanzionato i tifosi augurano la morte a Balotelli — estraneo alla partita: non c’è neanche la timida scusante della trance agonistica — ma senza riferimenti al colore della pelle: dev’essere questo il ragionamento contorto sotteso alla decisione. Il legittimo sospetto è che la giustizia del pallone, dopo aver chiuso un occhio, abbia imparato anche a tapparsi due orecchie: sbarrare lo stadio alla capolista non sarebbe uno spot meraviglioso per il calcio italiano.

Il buffetto alla Juve stride con le altre decisioni di ieri. La Lazio è stata multata di 10mila euro per lo striscione in cui i suoi ultrà davano del “maiale” a Platini: due volte e mezzo più grave che offendere Balotelli. Il Genoa di 30mila euro per cori contro SuperMario, in campo a Marassi, costituenti «espressione di discriminazione razziale», anche se ingrassano il conto l’uso di laser, il lancio di accendini e monetine contro Abbiati e l’arbitro di porta, le offese al direttore di gara. In stagione, la tariffa-tipo per un’offesa razziale è stata di 10mila euro, praticamente il minimo della pena edittale (20mi-la), con uno sconto a premiare la collaborazione dei club. Nel pugno, morbidissimo, è nascosta sempre una carezza.

Non funziona così all’Uefa. Ieri mattina a Nyon il giurì d’appello ha respinto il ricorso della Lazio contro la squalifica dell’Olimpico, confermando anche la multa di 40mila euro. I biancocelesti giocheranno a porte chiuse giovedì sera contro lo Stoccarda nel ritorno degli ottavi e anche il prossimo turno interno. Tutto per il saluto romano di alcuni esagitati notati dal delegato Uefa. «Un provvedimento abnorme », commenta Lotito, «non è stata valutata la nostra documentazione né il rapporto delle forze dell’ordine. Ci hanno chiesto anche come ci siamo comportati domenica sera. Quattro giorni di ricorsi e spese sprecati». Tra una sanzione blanda e una eccessiva, l’Europa sceglie la seconda via.

In Italia sono stati finora puniti 24 casi di razzismo per 319mila euro di multa ai club di A. La Juventus è a quota 8 multe e 91mila euro: anche qui è irraggiungibile. In Europa, solo la Lazio ne ha già pagati 220mila e starà senza pubblico. Ieri, il Livorno è stato deferito per i cori razzisti di ottobre col Verona, mentre gli allievi dell’Orlando hanno lasciato il campo contro il Venturina per offese a un giocatore di colore. Il club avversario nega.

Un solo coro a referto:

club multato di 4mila euro

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 12-03-2013)

Un coro, uno solo, dopo quattro minuti dall’inizio della sfida con il Catania. «Se saltelli muore Balotelli...», legge il giudice sportivo Gianpaolo Tosel nel referto arbitrale e degli uomini della procura federale a bordo campo domenica pomeriggio. Dal referto alla sanzione, il verdetto della toga sportiva costringerà la Juve a pagare una multa di 4 mila euro per l’ingiuria lanciata dagli ultras bianconeri all’indirizzo dell’attaccante del Milan. E i cori razzisti («Non esistono negri italiani...») e quello contro i napoletani («Vesuvio lavali con il fuoco...»)? Il percorso che si conclude con le sanzioni del giudice sportivo è obbligato: Tosel prende le sue decisioni in base a quanto gli ufficiali di gara e gli inviati sui campi dal procuratore federale Stefano Palazzi scrivono nei rispettivi resoconti. Tutto quello che non è raccontato nei referti, non può finire sotto la lente di ingrandimento del giudice sportivo.

Del pomeriggio di domenica, nel dopo gara arbitrale e degli 007 federali non è rimasto che il solo coro ingiurioso, e non razzista, su Balotelli. Evidentemente, il fischietto, i suoi assistenti e gli investigatori della Figc non hanno sentito le offese piovute su Napoli e sempre sull’attaccante rossonero da una delle due curve dello Juventus Stadium. E, di conseguenza, il giudice Tosel non ha avuto alcun margine di manovra se non quello dettato dai referti finiti sul suo tavolo ieri mattina. Così detta il regolamento, così è indicato il percorso per tradurre in sanzioni i fatti, spiacevoli, della domenica.

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Calcioscommesse Il tecnico chiamato per Salernitana-Bari

Conte in procura spiega che non sapeva

«Ho chiarito tutto»

«Clima tranquillo, non temo deferimenti»

di ANDREA ARZILLI (CorSera 12-03-2013)

ROMA — Le sensazioni, le circostanze, il clima e soprattutto i luoghi nei quali il Bari apparecchiò il tarocco con la Salernitana nella serie B 2008-09. Nella miriade di domande a cui Antonio Conte è stato sottoposto ieri in Procura Figc durante le quasi tre ore di interrogatorio spiccano quelle che mirano alla ricostruzione logistica della combine e che i federali formulano sistematicamente al convocato di turno: se l'accordo tra compagni di squadra è stato raggiunto in palestra, è un conto; se invece si è deciso di vendere la partita sul pullman, è un altro. Non è una sfumatura, sul punto c'è grande confusione nello spogliatoio che è per intero sotto accusa, forse proprio dai luoghi del misfatto passa il destino del tecnico della Juve che in palestra non c'era, ma in pullman sì. Ce ne corre, quanto da un'archiviazione a un'accusa di omessa denuncia. Che oggi, comunque, sembra un po' più lontana. «Sono rimasto dentro a lungo perché abbiamo parlato di due partite (anche Bari-Treviso del maggio 2008, ndr) — le parole di Conte all'uscita dall'interrogatorio —. Ma il clima è stato sempre tranquillo, nonostante i precedenti. Abbiamo anche bevuto il tè coi biscotti. Io penso di aver chiarito tutto. Se temo un deferimento? Assolutamente no».

Gli uomini di Palazzi stanno scavando e continueranno a farlo, ma, al momento, non hanno granché in mano per mettere anche il nome di Conte nella lista dei deferimenti, che sarà pubblicata verso la fine di aprile, per un «remake» di quanto successo la scorsa estate. «Ho provato imbarazzo? — ancora Conte — No, quando si dicono le cose col cuore non c'è mai imbarazzo». Ieri, rotta la tensione del momento con battute sul calcio giocato (era presente anche il procuratore Palazzi), il tecnico della Juve, accompagnato dal solito tris di avvocati (Chiappero, De Renzis e Turco), ha negato su tutta la linea: nessuna implicazione, cosa già nota alla Procura di Bari che l'ha sentito in qualità di «informato sui fatti», e nessuna consapevolezza di combine. Ma c'è ancora qualche ombra che alcune deposizioni non hanno dissipato: tanti, e ieri l'ha ribadito pure il super pentito Andrea Masiello, dicono che Conte non sapeva niente di niente degli accordi sottotraccia del suo Bari, solo alcuni non lo scagionano del tutto, ma nessuno interpreta la parte del grande accusatore che l'estate scorsa fu di Filippo Carobbio.

Senza il famigerato «Conte sapeva» non si va avanti, insomma. Il fatto, però, che qualcuno nella sua audizione non abbia provveduto a sgombrare il campo dal dubbio lascia aperta la partita. Così la testimonianza di Bonomi, che ha pronunciato un generico «tutti sapevano», si inserisce nel fascicolo degli incerti insieme ai vari Lanzafame ed Esposito. Restano nel limbo, invece, le parole di Kutuzov che a Bari andò più a fondo: «Ci disse che lui era comunque con noi e quindi rispettava la decisione della squadra», disse allora l'attaccante bielorusso che è convocato in Procura Figc per giovedì.

Calcioscommesse L’ex allenatore ascoltato da Palazzi per due partite sospette

Combine, la versione di Conte

Due ore in Procura. Il Bari rischia il deferimento

Incontro romano «Clima tranquillo, abbiamo bevuto anche un the». Giovedì toccherà a Vitali Kutuzov

di VINCENZO DAMIANI (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - BARI 12-03-2013)

BARI — Oltre tre ore di audizione per spiegare agli 007 federali che lui delle combine di Salernitana-Bari e Bari-Treviso non sapeva proprio nulla. Ieri, a Roma, è stato il giorno dell'allenatore della Juventus, Antonio Conte, alla guida per un anno e mezzo sulla panchina biancorossa e principale artefice della promozione in serie A della squadra pugliese. Conte è stato convocato dal procuratore federale Stefano Palazzi per fornire la propria versione dei fatti su due partite dei campionati di serie B 2007-2008 e 2008-2009, quando sedeva sulla panchina del Bari. Per tre ore ha ripercorso le tappe della sua esperienza barese, raccontando il clima che si respirava in quei mesi in casa biancorossa. Il tecnico juventino, origini leccesi, si è recato negli uffici di via Campania accompagnato da Claudio Albanese, direttore della comunicazione della Juve, e dai suoi avvocati Chiappero, De Renzis e Turco. All'uscita è apparso sereno, nonostante le tre ore di audizione: «Sono rimasto dentro a lungo perché abbiamo parlato di due partite - commenta l'allenatore - ma il clima è stato sempre tranquillo, abbiamo anche bevuto il the con i biscotti durante una pausa. Penso di aver chiarito tutto. Se temo un deferimento? Assolutamente no», così ha chiosato Conte. Il tecnico rischia un secondo deferimento per omessa denuncia. L'indagine della giustizia sportiva nasce dopo che la Procura di Bari ha chiuso l'inchiesta penale sulle due partite sospette. Giovedì prossimo dovrebbe essere ascoltato dalla Procura federale l'ex attaccante Vitali Kutuzov, che ai magistrati baresi dichiarò: «L'allenatore Conte ci disse che lui era con noi se anche non avessimo giocato con il massimo impegno con la Salernitana, dal momento che avevamo già vinto il campionato. Conte disse questa cosa, a tutta la squadra, perché credo avesse sentito qualche voce che circolava negli spogliatoi sul non giocare al massimo contro la Salernitana». I deferimenti sono previsti tra aprile e maggio, trema anche il Bari.

CALCIOSCOMMESSE

Conte, stavolta il faccia

a faccia è con Palazzi

Ha risposto per 3 ore al capo della Procura. «Non

ho timori». Aspettando Kutuzov (e un Lanzafame bis?)

di EDMONDO PINNA (CorSport 12-03-2013)

ROMA - Al primo piano del Palazzo occupato da chi amministra la giustizia del mondo del calcio (Procura, giudici e Associazione arbitri), nella stanza del procuratore capo in persona, è rimasto tre ore circa. Ma le domande, quelle avrebbero preso un tempo più limitato. Antonio Conte è tornato davanti agli 007 federali. Dopo quel famoso 13 luglio, quando fu ascoltato per il filone di Cremona dell’inchiesta sulle scommesse. Dopo quella giornata arrivarono il processo, la squalifica, gli attacchi alla giustizia «agghiacciante» . Ieri, altro clima. «Pausa pasticcini, tè e caffè» ha sottolineato Conte, come a voler far capire il clima diverso. E’ tornato, Conte e ad attenderlo c’era Stefano Palazzi in persona. Lui, il capo della Procura federale, ha posto le domande. Trovando conferme di quello che si ipotizza da tempo: in questo filone Antonio Conte c’entrerebbe davvero pochissimo o nulla.

DUBBI E CHIARIMENTI - Diversi i dubbi, le domande nella testa degli 007 federali. La solita, che accompagna l’ex tecnico di Bari e Siena: poteva non sapere? . C’è ad esempio, e su questo si concentrano spesso le domande degli inquirenti federali, da circoscrivere il luogo di quelle riunioni dello spogliatoio infedele, uno spogliatoio sul banco degli imputati e che pure, però, ha sempre confermato che l’allenatore non sapeva. Conte avrebbe negato qualsiasi cosa, in tre ore, pasticcino più, pasticcino meno. Bari-Treviso 0-1 del maggio del 2008 e Salernitana-Bari 3-2 della primavera 2009 sarebbero lontane dalle conoscenza del tecnico, così da allontanare l’amaro calice di una nuova omessa denuncia. Poteva non sapere? la domanda e quelle di Palazzi, accompagnato dal vice Squicquero e dai sostituti Mattana e Giampaolo Pinna, non avrebbero trovato crepe in una sempre più probabile risposta affermativa. Si, poteva non sapere.

PROSSIMI PASSI - «Non ho nulla da temere, non credo arriverà un deferimento. Penso di aver chiarito tutto» ha sintetizzato Conte all’uscita della Procura federale. Chiarendo anche di non aver provato «imbarazzo, perché non se ne può provare quando si parla col cuore» rispetto alle accuse che lanciò l’ultima estate nei confronti della giustizia sportiva (quindi Procura compresa). «C’è stato un clima cordiale nonostante i precedenti» . Le domande hanno trovato risposte negative, il quadro non è però completo, pure se si sta delineando. Ieri doveva venire Kutuzov, uno che con le sue parole in Procura a Bari aveva suscitato qualche fermento nei sostenitori dell’accusa. Non è venuto, arriverà (anche se non tutti ci credono) dopodomani, per la Procura è un tassello da verificare nell’inchiesta sulle gare truccate del Bari. L’ultimo? Vedremo, perché - sempre per rimanere a Conte - potrebbe essere riconvocato dai federali Lanzafame. Oggi saranno ascoltati Ettore Setten (ex presidente Treviso), Corrado Colombo (calciatore San Miniato Tuttocuoio), Fabio Brini (allenatore Carpi); Vincenzo Sommese (calciatore Ascoli).

Conte da Palazzi

Dopo 3 ore è certo

«Non sarò deferito»

Il tecnico sentito in Procura sulle combine

del Bari. E Masiello conferma: «Ranocchia

nello spogliatoio quando si parlò di accordi»

di FRANCESCO CENITI & MAURIZIO GALDI (GaSport 12-03-2013)

«Provi una profonda amarezza quando ti accorgi che dietro ci sono state cose non belle », Antonio Conte dopo circa tre ore esce dagli uffici della Procura federale e le prime parole che pronuncia sono legate alla scoperta che all’interno dello spogliatoio del Bari si programmassero delle combine. Ma sulla possibilità che per lui possa arrivare un deferimento per omessa denuncia è categorico: «Assolutamente no!». Del resto rispetto alla vicenda legate al Siena e all’omessa denuncia che alla fine gli era costata 4 mesi di squalifica, ieri Conte (accompagnato dagli avvocati De Rensis, Chiappero e Turco) ha dovuto chiarire solo alcune questioni riguardo a quanto avevano detto Bonomi e Kutuzov (quest’ultimo comunque sarà sentito giovedì).

Il suo ruolo L’audizione di Conte si è tenuta alla presenza anche di Stefano Palazzi, oltre che del vice Squicquero e di altri due sostituti. Dal verbale di Bonomi, il tecnico della Juventus ha dovuto spiegare il fatto che dallo spogliatoio fossero stati fatti uscire i «Primavera» e che Gillet avrebbe detto all’allenatore di far giocare solo i titolari. Conte ha smentito questa circostanza: «I Primavera erano sempre fuori dallo spogliatoio della prima squadra e mai Gillet mi avrebbe chiesto di far giocare questo o quello. Rispettava i ruoli e non glielo avrei permesso». Sulle dichiarazioni di Kutuzov e sul fatto che lui avesse detto alla squadra che sarebbe sempre stato dalla loro parte, Conte ha chiarito: «C’è sicuramente un fondo di verità. Perché eravamo già promossi (si era alla vigilia della partita con la Salernitana, ndr) ringraziai tutti, pur chiedendo sempre il massimo, dissi che un calo di tensione era comprensibile, ma mai avrei avallato l’ipotesi di far vincere i campani. E di una presunta volontà dello spogliatoio in tal senso non sapevo nulla. Certo a Bari si sentivano i tifosi che, gemellati con i salernitani, dicevano di non infierire, ma non ho mai dato peso a voci simili».

Clima cordiale Conte al termine ha anche parlato di una clima cordiale e di una «pausa per il caffè, il the e i biscotti». Ma era sereno perché rispetto alle accuse decise della volta precedente, ieri si è trovato solo a dover «chiarire alcuni episodi». Per questo ha poi avuto anche il modo e la voglia di parlare di Champions League. «Galliani ha detto che la Juve ha vinto lo scudetto? Non dimentichiamo che Allegri si dà l’un percento di possibilità di vittoria ed è giusto che sia così — ha detto il tecnico bianconero —. Io di cuore, mi auguro che il Milan passi il turno in Champions perché è una squadra italiana ma spero di non incontrarla nei quarti perché vorremmo andare avanti tutti e due».

Andrea Masiello Mentre entrava in Procura Conte, Andrea Masiello era già ascoltato da circa un’ora e dentro è rimasto fino alle 16. 30 con l’avvocato Pino. Masiello ha confermato quanto aveva detto ai magistrati di Bari sia relativamente alla partita con il Treviso che a quella con la Salernitana. Anche a lui, come a molti altri sentiti prima, il tema principale è stato Conte (e su questo Masiello è stato categorico: «Non sapeva nulla di quello che facevamo »), ma anche i rapporti tra compagni. In particolare sarebbero emersi altri particolari sull’acredine tra Marco Esposito e Rajcic, ma questo non sposterebbe le responsabilità sull’alterazione della gara con il Treviso: per il difensore da ricondurre in primis a Rajcic, Santoruvo, Pianu e Gillet. Masiello avrebbe poi spiegato ancora una volta le fasi che hanno portato alla combine con la Salernitana. E c’è una circostanza che dovrà essere ulteriormente valutata dalla Procura: quella sul ruolo di Andrea Ranocchia. Masiello conferma che il giocatore dell’Inter era presente nello spogliatoio quando si parlò dell’accordo. «Non ricordo se la riunione avvenne nello spogliatoio o in palestra come sostiene Stellini, ma di sicuro c’erano tutti, anche Ranocchia e Gazzi. Tutta la squadra sapeva, poi non sono stato io a consegnare i soldi e quindi non so chi li ha presi e chi no».

Conte da Palazzi per Salernitana-Bari

“Non temo un nuovo deferimento”

di MATTEO PINCI (la Repubblica 12-03-2013)

ROMA — «Non temo un nuovo deferimento »: Antonio Conte, lasciando la procura federale, mostra il volto della sicurezza. Tre ore di deposizione alla presenza del procuratore Stefano Palazzi - quasi un inedito - per chiarire se il tecnico della Juve fosse a conoscenza della combine di Salernitana- Bari del 23 maggio 2009, e valutare un’eventuale omissione di denuncia. Atmosfera serena “nonostante i precedenti”: i procuratori hanno insistito, soprattutto, nel chiedere conto di alcune dichiarazioni con cui l’ex giocatore del Bari, Bonomi, aveva confermato la versione per cui tra i senatori della squadra della combine si parlasse ovunque, ma facendo attenzione ad escludere i più giovani. Ricostruzioni negate dal tecnico. La prossima partita in procura si gioca giovedì, quando verrà ascoltato Kutuzov che davanti alla procura di Bari aveva accusato l’allenatore («Ci disse che rispettava la decisione»).

Conte tre ore davanti a Palazzi

“Non ci sarà un altro processo”

In procura per 2 gare incriminate del Bari

Si allontana l’ipotesi di omessa denuncia

di GUGLIELMO BUCCHERI (LA STAMPA 12-03-2013)

Qualche biscotto, la pausa tè e molte domande. Antonio Conte esce dal nuovo palazzo di giustizia della Federcalcio dopo tre ore e lo fa raccontando di «non temere assolutamente un altro deferimento per omessa denuncia. Se ho provato imbarazzo a trovarmi davanti alla procura dopo quanto detto in estate? Quando dici le cose con il cuore non c’è mai imbarazzo...».

Ad interrogare il tecnico della Juve su quanto accadde nello spogliatoio del Bari prima e dopo le partite con il Treviso (11 maggio 2008) e Salernitana (23 maggio 2009) è stato lo stesso procuratore federale Stefano Palazzi, di solito mai presente alle audizioni. Palazzi ha chiesto a Conte di rivivere l’atmosfera dei giorni in cui allenava in Puglia e gran parte dei giocatori del suo Bari si adoperavo per combinare le due partite citate: il tecnico bianconero ha più volte ribadito, con fermezza, di non esser mai venuto a conoscenza di accordi o della spartizione di soldi fra i suoi ex ragazzi. Il lavoro degli inquirenti federali andrà avanti ancora per qualche settimana, poi la relazione finale e i deferimenti. Gli elementi, per ora, in mano alla procura della Figc non sono tali da configurare l’ipotesi di omessa denuncia per l’allenatore della Juve. Dagli interrogatori sia in sede penale sia sportiva dei giocatori in maglia biancorossa all’epoca dei fatti non sono emersi chiari riferimenti alla possibilità che Conte fosse venuto a conoscenza di qualcosa che avrebbe dovuto denunciare agli organi sportivi e non solo. Gillet, oggi portiere granata, un passato a difesa della porta del Bari, con un fax inviato prima di Natale alla procura della Repubblica di Bari ha chiarito come l’allenatore avesse incitato la squadra a vincere anche in occasione dei due incontri incriminati. E, a proposito di chiarimenti, adesso gli investigatori federali si aspettano anche quelli dell’ex attaccante pugliese Kutuzov, già due volte convocato in procura e, per due volte assente. Kutuzov dovrebbe rispondere alla terza chiamata giovedì e, al bielorusso, verrà chiesto di spiegare cosa volesse dire con la frase «Conte stava con noi...».

CONTE VERSO LA TERZA VITTORIA

Sabato l’annuncio che resta. Domenica il +9 sul Napoli.

Ieri confronto con Palazzi: pare escluso il deferimento

di PAOLO FRANCI (Quotidiano Sportivo 12-03-2013)

«C’è stata una lunga pausa con tè, biscotti e pasticcini e il clima è stato cordiale, nonostante i precedenti..». Antonio Conte sdrammatizza e sorridendo, racconta di un’atmosfera serena e collaborativa con la procura federale. Il tè e i pasticcini magari non ci sono stati, il caffè sì, durante il faccia a faccia tra i due acerrimi ‘nemici’ della rovente estate di Scommessopoli. Antonio Conte da una parte, Stefano Palazzi, che di solito non è mai presente agli interrogatori, di fronte a lui. Nel mezzo le partite taroccate Bari-Treviso del 2008 e Salernitana-Bari del 2009, giocate quando Conte era allenatore della squadra pugliese.

«Penso di aver chiarito tutto — ha spiegato il tecnico della Juve —. Un nuovo deferimento? No, non temo possa arrivare». L’interrogatorio l’ha condotto il procuratore Palazzi in persona e Conte racconta di non aver avuto problemi con lui: «Quando si dicono le cose con il cuore non c’è mai imbarazzo». Il tecnico è apparso sorridente e rilassato. D’altra parte il campionato è quasi in archivio, con quel +9 che pesa come un macigno sul Napoli che arranca. Eppoi il suo futuro, legato a doppio filo alla Juventus, senza timore che sirene straniere possano incantarlo. Nelle tre ore di interrogatorio il tecnico della Juve ha negato tutto: non sapeva di quanto succedesse nello spogliatoio del Bari, delle partite combinate, di distribuzioni di danaro, così come confermato dai numerosi ex baresi interrogati negli ultimi giorni dalla procura federale. D’altra parte, il tecnico juventino è stato solo un testimone nell’inchiesta penale e a Palazzi ha confermato la sua totale estraneità ai fatti. Il pm del calcio gli ha chiesto di spiegare i passaggi dell’interrogatorio dei magistrati baresi all’attaccante bielorusso Kutuzov,suo ex giocatore, che in un incerto italiano, raccontò: «Conte era con noi...», ma a domanda precisa se il tecnico fosse a conoscenza degli accordi per alterare le partite, il centravanti rispose: «No». Conte ha risposto che, sempre, dice ai suoi giocatori di essere dalla loro parte, esprimendo solo un forte concetto di appartenenza. L’impressione è che su Conte non ci sia granchè, dal punto di vista di un possibile deferimento per omessa denuncia, anche se il lavoro della procura continuerà. E c’è curiosità per l’interrogatorio di Kutuzov, al quale verranno chiesti chiarimenti definitivi sulle sue contraddittorie dichiarazioni.

«Tutto chiarito»

Il deferimento si allontana

Conte sentito dalla Procura Federale

«Cordiali, nonostante i precedenti...»

«Allegri sa che per lo scudetto resta un 1%. Spero passi il Milan, ma ai quarti non lo voglio»

di SIMONE DI STEFANO (TUTTOSPORT 12-03-2013)

ROMA. Altre tre ore in procura dopo l’audizione del 13 luglio scorso e quel «vergogna» gridato da Vinovo. Stavolta l’aria di Roma è meno rarefatta, Antonio Conte la vive da testimone, anche se il rischio, minimo ma latente, di un’omessa denuncia comunque aleggia. «Clima molto cordiale, nonostante i precedenti...», si lascia andare il tecnico, sereno al punto di parlare pure di campionato. Non ha partecipato, ma era presente, anche il pm federale Stefano Palazzi il che la dice lunga sull’attenzione dedicata a Conte. Molto è cambiato da un anno fa, non la rabbia per la squalifica di quattro mesi: «...ma quando si dicono le cose col cuore non c’è mai imbarazzo», dice convinto all’uscita.

ANTENNE È arrivato alle 15, con gli avvocati Chiappero , De Rensis e Turco . E’ uscito tre ore dopo, compresa pausa merenda: «Penso di aver chiarito tutto, è andata bene - ha spiegato Conte - abbiamo pure fatto una pausa con tè e biscotti». I federali gli hanno chiesto di qualche “spiffero”, delle frasi di Davide Lanzafame e Vitali Kutuzov , che aprono scenari opposti. Deduzioni del tipo: «Conte ci disse che era comunque con noi e quindi rispettava la decisione della squadra di impegnarsi o meno», come riferì ai pm di Bari, Kutuzov (slittato al 14 marzo) che tuttavia, successivamente chiarì in tv che Conte non sapeva nulla. Così come la nota sibillina di Lanzafame: «Il giorno della gara, Conte ci parlò uno per uno per ammonirci a comportarci onestamente e per avvisarci che se si fosse accorto di comportamenti anomali, sicuramente in riferimento alle voci che circolavano, avrebbe provveduto ad opportune sostituzioni». Frasi che possono portare al nulla, come all’omessa denuncia: «Ma non temo assolutamente un deferimento», Conte l’ha ripetuto ieri, dopo aver spiegato ai federali il senso di quelle parole, come fece a Bari quando disse di aver «drizzato le antenne» perché con la Salernitana c’era un gemellaggio fra tifoserie.

LUOGO Quanto al Treviso: «Eravamo già salvi e nel Treviso c’erano tanti ex giocatori». Motivo per il quale, un tecnico fa quello che più gli compete, motivare la squadra a dare il massimo. È una colpa? La domanda l’ha fatta lui ai federali. Di contro il tecnico potrebbe esser stato utile nel capire la presunta acredine tra Esposito e Rajcic in merito a possibili questioni extracalcistiche. «Provi un’amarezza profonda quando ti accorgi che dietro ci sono state cose non belle», ha dichiarato. Palazzi sta cercando di capire, circoscrivere l’ambiente e comprendere quanto uno spogliatoio intero potesse farla alle spalle del tecnico. I suoi legali sono ottimisti, pensano a un’archiviazione ma molto dipende dal rapporto causa-luogo. Ci sarebbero un paio di aggiunte fatte da Simone Bonomi su dove avvenissero gli accordi e sul fatto che tutti lo sapevano tranne i Primavera, circostanze che Bonomi ha bollato come «non vere».

MILAN Ma a parte qualche voce fuori dal coro, Conte non sapeva. È quello che ha ripetuto anche ieri Andrea Masiello , sentito per circa due ore: «Sapete già tutto, avete i verbali», rivela l’avvocato Pino . Dove disse: «Conte era all’oscuro di tutto». A differenza di Carobbio , stavolta il pentito lo difende: «Ma parliamo di calcio và...», si lascia scappare Conte a margine. A pennello, perché oggi c’è Barcellona-Milan: «Mi auguro di cuore - sorride il tecnico bianconero - che il Milan passi il turno perché è una squadra italiana, e spero di non incontrarla nei quarti perché vorremmo andare avanti tutti e due». Dalle beghe con la giustizia sportiva al +9 ottenuto sul Napoli che vale uno scudetto al 99%. Così almeno sostiene l’ad del Milan, Adriano Galliani, al quale Conte risponde sornione: «Ma non dimentichiamo che Allegri si dà l’un percento di possibilità di vittoria ed è giusto che sia così».

Modificato da Ghost Dog

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