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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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La Fifa indaga sulle tre vite di Mbemba

Il giocatore, vincitore al Viareggio con l’Anderlecht, ha fornito tre date di

nascita diverse: dal 1988, in Congo, al 1994, quando ha raggiunto il Belgio

di NICOLA BALICE (TUTTOSPORT 27-02-2013)

TORINO. Cantava Vasco, qualche tempo fa: «Quanti anni hai?». La risposta, nel caso di Chancel Mbemba potrebbe essere: «Quanti ne servono». Il difensore centrale congolese dell’Anderlecht continua a far parlare di sé, e la vittoria alla Viareggio Cup riporta all’attenzione l’inchiesta della Fifa legata alla sua reale identità anagrafica. Giocatore che è arrivato in Italia e disputa con l’Anderlecht anche la Next Generation Series con un documento che ne attesta la nascita in data 8 agosto 1994, quella della terza giovinezza: la prima lo vedeva nascere nel 1988, la seconda nel 1991. Una situazione controversa e ancor più complicata rispetto quella del più celebre Luciano ex Eriberto, reo confesso nel 2002 della falsificazione della propria identità, o delle leggende metropolitane legate a Abedì Pelè o Anthony Yeboah . E diversa anche da quella di Max Barrios , giocatore “spuntato” nell’Under 20 del Perù agli ultimi campionati sudamericani di categoria e che la federazione dell’Ecuador avrebbe in realtà identificato in Juan Espinoza , venticinquenne: altro profilo su cui è in atto un’indagine.

LE TAPPE Andando con ordine, la situazione di Mbemba è legata a doppio filo alla Federazione del Congo e a quella del procuratore brasiliano Paulo Teixeira . Ai tempi in cui il difensore era tesserato per società congolesi (E.S. La Grace, Mputu e Mk Étanchéitéas), i documenti riportavano l’8 agosto 1988. Il primo ringiovanimento è datato 2011, quando la federazione congolese ha inserito Mbemba nelle liste dell’Under 23 in vista delle qualificazioni olimpiche come giocatore nato il 30 novembre 1991, quindi a tutti gli effetti schierabile. Nello stesso periodo entra in scena anche l’Anderlecht, con la società che sempre nel 2011 riuscì a portarlo in Belgio. Nella sua vita europea Mbemba risulta nato l’8 agosto 1994, partecipando con questa nuova data non solo all’attività giovanile dell’Anderlecht (che in verità non avrebbe potuto tesserarlo secondo l’articolo 19 del Regolamento Fifa sullo status e sul trasferimento dei calciatori, che impedisce le trattative internazionali di minorenni) ma anche all’ultima edizione della Coppa d’Africa con la Nazionale del Congo. E ora non resta che attendere la conclusione dell’inchiesta Fifa o, magari, ulteriori documenti.

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la Repubblica SERA 27-02-2013

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ilcaffè 24-02-2013

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Caos nelle inchieste

Palazzi si spiega ma i dubbi restano

di MARCO MENSURATI (la Repubblica 28-02-2013)

ROMA — Dopo quasi due anni di indagini sul calcioscommesse, il procuratore federale Stefano Palazzi ha rotto il suo proverbiale silenzio, nel tentativo di fornire ai tifosi le coordinate del suo sempre più intricato lavoro. In particolare, Palazzi - impegnato in questi giorni negli interrogatori relativi al secondo filone di Bari ha tenuto a spiegare per quale motivo stia mandando avanti con massima velocità un fascicolo (casualmente quello con gli “indagati” meno importanti) e stia tenendo fermo l’altro (quello con gli “indagati” di serie A). «Abbiamo un’indagine che a livello penale è terminata e quindi cercheremo di fare nel tempo più breve possibile», ha detto Palazzi parlando di Bari, spiegando che per l’altra indagine si attende invece la chiusura dell’inchiesta di Cremona: «Dovremo valutare gli esiti di questa attività istruttoria », ha detto - dimenticando che in molti casi precedenti, Conte incluso, non aveva esitato a processare (e far condannare) decine di calciatori sulla base proprio degli atti di Cremona, e senza attenderne «gli esiti». Non sembra un caso che Palazzi abbia poi dovuto parlare del «caso Mauri», giocatore che, nonostante l’arresto (contro il quale gli avvocati sono ricorsi fino in cassazione, sempre perdendo), continua a giocare in serie A e in Europa. «Ci sono ancora indagini in corso. Siamo in stretto contatto con il procuratore Di Martino con il quale mi lega un rapporto di affetto e di stima e ammirazione per quello che sta facendo». Affetto e stima - a quanto trapela dal riserbo degli investigatori - non proprio ricambiati.

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CALCIOSCOMMESSE LA FIFA HA DECISO DI ESTENDERE A LIVELLO INTERNAZIONALE LE 70 SQUALIFICHE EMESSE IN ITALIA

Bari: Palazzi accorcia i tempi

Maurizio Galdi - Gasport - 28-02-2013

Abbiamo un’indagine che a livello penale è terminata e quindi noi cercheremo di fare nel tempo più breve possibile», sono le parole del Procuratore federale Stefano Palazzi all’Ansa. Ma non si sbilancia sul termine dell’inchiesta e sugli eventuali deferimenti. Stessa cosa per il filone cremonese che coinvolge, tra gli altri, anche il capitano della Lazio Stefano Mauri. «Un suo deferimento? Questa domanda riguarda il merito, si tratta di questioni sulle quali ci sono ancora indagini in corso della Procura di Cremona». Intanto con il pm di Martino a Cremona il procuratore federale si è sentito e ha chiesto l’invio degli interrogatori a Gegic, Erodiani e Gervasoni che, secondo gli inquirenti cremonesi, renderebbero «più delicata» la posizione di Mauri. Intanto, ieri, la Disciplinare della Fifa ha esteso a livello internazionale 70 squalifiche emesse dagli organi di disciplina italiani proprio per il calcioscommesse. Palazzi chiude con una considerazione sulla vicenda delle combine: «Da appassionati di questo sport speriamo che tutto si possa fermare al più presto. Questi sono aspetti di carattere eccezionale rispetto a un movimento che è composto da tantissime persone perbene e da tantissime gare che non sono alterate. Si tratta di un’eccezione grave, ma comunque di un’eccezione».

Le audizioni Intanto ieri sono state rinviate le audizioni di Stefano Guberti e quelle di Nicola Santoni e Giorgio Perinetti previste per venerdì. Sono comunque stati ascoltati dai sostituti di Palazzi Daniele De Vezze (Matera), Raffaele Bianco (Carpi), Vincenzo Santoruvo (Frosinone), Alessandro Parisi (ex Torino), Massimo Bonanni (società svizzera). Oggi tocca a Cristian Galano (Bari), Davide Desideri (ex ISM Gradisca), Giuseppe Statella (Pavia), William Pianu (allenatore Treviso), Mark Edusei (società svizzera), Massimo Ganci (Frosinone), Ivan Rajcic (Benevento). Santoruvo è stato sentito per oltre tre ore per la presunta combine di Bari-Treviso, stessa partita al centro dell’audizione di Bonanni. Per De Vezze, invece, la partita «incriminata» sarebbe Salernitana-Bari, come Bianco e Parisi che sono stati sentiti dopo di lui. Il 7 marzo, cioè giovedì prossimo è atteso anche Andrea Ranocchia. «Chiarirò la mia posizione come ho fatto quando è stato archiviato il mio caso — ha detto il difensore dell’Inter, che a Bari si era avvalso della facoltà di non rispondere —. Sono tranquillo e sereno e spero che tutto si risolva il prima possibile».

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CALCIOSCOMMESSE

Palazzi stringe sul Bari-bis «Adesso bisogna velocizzare»

«L'inchiesta penale è finita, valutano l'attività istruttoria. Mauri? E' ancora aperta l'indagine.

Corsport - 28-02-2013

-«Abbiamo un'indagine che a livello penale è terminata e quindi noi cercheremo chiare nel tempo più breve possibile». Lo ha dichiarato il procuratore della Figc, Stefano Palazzi, in merito al filone 'Bari-Bis' relativo all'inchiesta sportiva sul Calcioscommesse.

Sotto la lente degli 007 federali ci sono le presunte combine di Bari-Treviso (0-1) dell'Il maggio 2008 e Salernitana-Bari del 23 maggio 2009 e gli interrogatori proseguiranno almeno sino al 12 marzo. Tra i convocati anche gli ex baresi Antonio Conte e Andrea Ranocchia («Mi hanno convocato per parlare, andrò lì e chiarirò la mia posizione come ho fatto prima quando è stato archiviato il mio caso», ha detto oggi l'interista). L'obiettivo è chiudere al più presto, con i deferimenti che potrebbero scattare già ad aprile. Palazzi però non si sbilancia. «Dovremo valutare gli esiti di questa attività istruttoria - dice il procuratore Palazzi - Appena sarà possibile valutarli in modo univoco e trarre delle conseguenze. Altrimenti saremmo costretti a fare ulteriore attività istruttoria per definire queste situazioni che sono sotto esame nostro e lo sono state prima ancora della Procura di Bari. Che ringrazio sempre, così come ringrazio sia il procuratore Laudati che il procuratore di Cremona Di Martino».

Ieri gli inquirenti federali hanno ascoltato gli ex biancorossi Raffaele Bianco, Daniele De Vezze, Massimo Bonanni, Alessandro Parisi e Vincenzo Santoruvo, secondo il pentito Andrea Masiello "portavoce della proposta dei giocatori del Treviso" e per l'ex compagno Davide Lanzafame colui che assieme a Ivan Rajcic (sarà ascoltato domani) «ci portò i soldi che ci saremmo divisi». E proprio per la gravità della sua posizione, il suo interrogatorio è stato il più lungo (quasi 3 ore e mezza). Tutti i giocatori hanno deciso di parlare facendo però soltanto ammissioni parziali volte ad alleggerire più che altro le proprie posizioni. Servono tempi rapidi per evitare anche la prescrizione di Bari-Treviso (0-1). «Dal primo luglio 2007 i termini sono diversi. Sarà oggetto di valutazione sia di parte nostra che degli avvocati», rileva Palazzi. Occorrerà attendere di più, invece, per il filone d'inchiesta cremonese che coinvolge, tra gli altri, anche il capitano della Lazio Stefano Mauri. «Un suo deferimento? Questa domanda riguarda il merito - puntualizza - si tratta di questioni sulle quali ci sono ancora indagini in corso da parte della Procura di Cremona Siamo in contatto con il procuratore Di Martino». Non è esclusa quindi una nuova estate di processi.

OGGI NUOVE AUDIZIONI - Proseguono le audizioni sul filone Bari-bis dell'inchiesta sul calcioscommesse. La Procura della Figc, che lunedì' ha fissato 31 nuovi interrogatori, ascolta oggi i tesserati Daniele De Vezze, Raffaele Bianco, Vincenzo Santoruvo, Alessandro Parisi e Massimo Bonanni. Domani, invece, sarà la volta di Cristian Galano, Davide Desideri, Giuseppe Statella, Mark Edusei, Massimo Ganci, Ivan Rajcic e del tecnico del Treviso William Pianu. Rinvii per Stefano Guberti, Nicola Santoni e Giorgio Perinetti

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SCOMMESSOPOLI

Palazzi ha fretta ma verdetti solo a maggio

Il procuratore federale dovrebbe chiudere l'inchiesta entro marzo, però processi e sentenze sono attesi soltanto dopo la fine del campionato

SIMONE DI STEFANO - Tuttosport - 28-02-2013

Prima considerazione: ci attende una terza estate di processi. Seconda: tutti, anche il procuratore federale Stefano Palazzi, si augurano sia l'ultima: »Quando potremo mettere un punto fine a questa situazione - ha detto ieri Palazzi - sarà oggetto di discussione magari in sede di convegni e conferenze. Noi parliamo attraverso i nostri provvedimenti di deferimento odi archiviazione. Da appassionato di questo sport mi auguro che possa terminare al più presto e che si possa guardare a un futuro ancora migliore. Si tratta di aspetti gravi ma di carattere eccezionale rispetto a un movimento che è composto da tantissime persone perbene e da tantissime gare che non sono alterate». Era la prima volta che Palazzi parlava da quando si è rimessa in moto l'istruttoria per il filone Bari-Bis. Si procede a oltranza, ieri sono stati ascoltati De Vezze, Bianco, Santoruvo, Parigi e Bonanni (rinviate le audizioni di Guberti, Perinetti e Santoni), oggi toccherà a Galan, Desideri, Statella, Pianu, Ganci e Rajcic, e presto sarà la volta dei vari Conte e Ranocchia, che si dice »tranquillo e sereno, chiarirò la mia posizione come ho fatto quando è stato archiviato il mio caso».

CHIAREZZA SULLA TENIPISTICA «Abbiamo un'indagine che a livello penale è terminata e quindi noi cercheremo di fare nel tempo più breve possibile», ha spiegato Palazzi, che ha già tutto il materiale in mano e un'inchiesta penale già chiusa. SI, ma quanto breve»? «Dovremo valutare gli esiti di questa attività istruttoria - dice il pm del calcio - e appena sarà possibile, valutarli in modo univoco e trarre delle conseguenze». Sulle spine sono in molti, il Torino, per esempio, con il presunto coinvolgimento di Jean-Francois Gillet, Alessandro Gazzi, Paulo Vitor Barreto e anche Salvatore Masiello. Per il primo c'è il rischio di doppia omessa denuncia, magari patteggiando. Per gli altri si balla dal-l'omessa denuncia al proscioglimento. Quattro giocatori nel minestrone: non c'è nessuno come il Toro che in questo momento ha bisogno di chiarezza sulla tempistica. Una cosa è certa, se non dovessero esserci rivelazioni clamorose (nuove partite o nuovi tesserati coinvolti da dover sentire), la procura federale conta di chiudere l'inchiesta già a fine marzo. »Altrimenti - aggiunge Palazzi - saremmo costretti a fare ulteriore attività istruttoria».

FILONE CREMONESE II pm federale sa bene che dalle prime rivelazioni di Andrea Masiello sulle nuove combine del Bari, l'attività istruttoria può durare al massimo un anno e per questo scadrà esattamente a luglio. A meno di una richiesta di proroga, che al momento appare inverosimile perché in quel periodo si sarà già estinto il secondo grado di processo e si starà pensando già a cosa fare con la faccenda cremonese, dalla cui procura continuano ad arrivare indiscrezioni su nuovi tabulati che attesterebbero il pieno coinvolgimento di Stefano Mauri nella presunta combine di Lazio-Genoa. «Un suo deferimento? Questa domanda riguarda il merito - puntualizza Palazzi - si tratta di questioni sulle quali ci sono ancora indagini in corso da parte della Procura di Cremona. Siamo in stretto contatto con il procuratore Di Martino». Questo aiuta anche a comprendere la scelta di non processare subito. Diverso per il caso barese, con la procura che conta di emettere i deferimenti già entro aprile. Anche se la sentenza di primo grado non avverrà prima della fine del campionato, il 19 maggio, proprio per evitare di interferire -Napoli docet - sulla stagione in corso e quindi consentire ai giocatori di poter essere in campo sino a quando non saranno emesse le sentenze.

NESSUNA PRESCRIZIONE Essendo due gare di 4 e 5 anni fa, si è parlato anche di rischio prescrizione. N iente paura: «Dal primo luglio 2007 i termini sono diversi ricorda Palazzi. Da quel momento i termini sono passati a 8 anni per gli illeciti dei tesserati, a 4 quelli per le società. Quindi l'unica prescrizione potrebbe interessare il Treviso, ma essendo nel frattempo fallito non sarebbe perseguibile.

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Il fratello dello «sceicco» vende collanine nel bazar

Nella bottega di famiglia dell'uomo che vuole la Roma

L'appartamento chiuso «Questa resta casa sua, il suo apppartamento è sempre chiuso a chiave. Se dovesse aver bisogno può tornare quando vuole»

DAVIDE FRATTINI - Corriere della Sera - 28-02-2013

NABLUS - La bottega sta in uno dei vicoli più stretti del mercato, dodici metri quadri affollati di rosari islamici in plastica, accessori per narghilè, bastoni intarsiati, chitarre e oud, mini riproduzioni della moschea Al Aqsa a Gerusalemme, tabacco da rollare, collanine colorate, peluche. Dei quattro figli maschi solo Azzam è rimasto qui dove il padre ha passato le giornate, gli altri hanno lasciato Nablus e lo scompiglio della Città Vecchia. Allam lavora in Arabia Saudita, Issam vive a Ramallah, Adnan si è infilato in una trattativa che comincia a ricordare le contrattazioni senza fine di questo bazar palestinese: è lui lo «sceicco» che proclama di voler entrare come socio nella Roma, che chiede di diventarne il vicepresidente e che ha fino al 14 marzo per dimostrare di poter sborsare almeno 50 milioni di euro.

La cifra non sembra sbalordire Azzam e i suoi vestiti impolverati, anche se non vede il fratello maggiore da una ventina d'anni. «Non è venuto al funerale di nostro padre, morto nel 1990, perché gli israeliani avevano imposto il coprifuoco in città. Così ha fatto visita alla mamma un po' di tempo dopo». Da allora si sentono due-tre volte alla settimana, via telefono o Facebook. «Ha cominciato a raccontarmi della sua passione per la squadra di calcio, mi ha raccomandato di guardare le partite in televisione, io sono tifoso solo della nazionale palestinese».

Adnan Adel Aref sta andando avanti nell'operazione. Ieri ha inviato un comunicato all'agenzia Ansa per smentire «qualsiasi comunicazione fatta a mio nome sul presidente James Pallotta, su UniCredit, sulla società e sulla squadra. La persona che ha parlato non è il mio portavoce e non condivido nulla di quanto è stato detto». La persona che ha parlato è Gigi Moncalvo, ex direttore della Padania , intervenuto come «consulente» del palestinese.

La casa di famiglia sta in cima a una collina, quartiere di Rafidia. È stata costruita un paio di piani alla volta, quando c'erano i soldi per comprare il cemento e pagare i muratori: la prima parte nel 1964, le altre stanze hanno dovuto aspettare fino al 1996. Ormai è circondata da palazzoni e cantieri, che portano l'ombra e portano via la vista sulla vallata. Il giardino - «dove siamo cresciuti e giocavamo insieme» - è chiuso da un muretto, le stanghe arrugginite spuntano dal cemento.

Azzam, 43 anni, ripete con orgoglio il proprio cognome perché i Qaddumi sono un clan potente di queste zone. Quando deve entrare nei dettagli di quali parenti conosca, parla del più noto - Faruq che è stato tra i fondatori dell'Organizzazione per la liberazione della Palestina ed era vicino a Yasser Arafat - come di un cugino molto lontano e molto poco frequentato (un clan può essere composto da centinaia di famiglie).

Adnan ha raccontato al quotidiano Il Tempo di «essere stato ripudiato» da giovane e di aver perso «i diritti e il sostentamento», perché aveva annunciato di volersi sposare in Italia e si era rifiutato di obbedire al padre che gli ordinava di tornare in Cisgiordania. «Nostro padre non era contrario al matrimonio, gli chiedeva di fissare le nozze al più presto, da musulmano non poteva accettare che convivesse». Azzam non sa come commentare le affermazioni sulla «parte di eredità presente in America» e congelata dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 (sempre lo «sceicco» al Tempo ): «Non abbiamo affari con gli Stati Uniti. Io addirittura non ho mai aperto un conto corrente, non mi fido delle banche e tengo i soldi a casa».

Della presunta ricchezza di Adnan dice solo «perché vi stupite? Ha relazioni e conoscenze con principi sauditi». Eppure l'ultima volta che il fratello ha inviato denaro dall'Italia è stato un anno fa. «Ha mandato 2.700 dollari per nostra madre che vive con me. Ma è stato così complicato recuperarli per i ritardi burocratici che gli ho chiesto di non farlo più. Noi non abbiamo bisogno di soldi, ho la mia auto nuova (un'utilitaria blu metallizzata), posso comprare quel che mi serve».

Adnan ha frequentato la scuola superiore Qadri Tuqan a Nablus e dopo il diploma ha studiato Chimica farmaceutica in una università irachena. A Perugia è arrivato nel 1980. «Questa resta casa sua, il suo appartamento e quelli degli altri fratelli e sorelle (siamo otto in tutto) che non vivono qui sono chiusi a chiave. Se dovesse aver bisogno, può tornare quando vuole».

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Vittorio Oreggia - Tuttosport -1-03-2013

Per accedere all'ufficio di Massimo Moratti, quarto piano della sede dell'inter, pieno centro di Milano. tra boutique chiccose e signorine in tacco a spillo. bisogna passare dalla sala dei trofei. imponente e illuminata da luci soffuse. Un bell'impatto. non c'è che dire, il biglietto da visita per chi tifa nerazzurro o per chi, semplicemente, è costretto a osservare. I Moratti, intesi come stirpe, come Famiglia. hanno riempito quella bacheca in maniera sostanziale e non c'è bidogno di una laurea in psicologia per percepirne l'orgoglio. Ora il presidente è concentrato sulla rifondazione della squadra attraverso un percorso low cost e sulla costruzione di uno stadio di proprietà, poi più avanti potrà anche passare la mano perché, come confessa. dopo un po' di tempo «c'è bisogno di facce e di idee nuove . Ma il legame con i tifosi resta comunque, forte, fortissimo: gente passionaria e appassionata. -da non fregare».

Presidente Massimo Moratti, è vero che vuole vendere l'Inter?

«No guardi, tutto nasce dal socio cinese che ha manifestato interesse per entrare in società. Poi ci sono stati altri abboccamenti in Europa e in Oriente».

Lei ha incaricato la banca d'affari Lazard di entrare in azione e di sondare il terreno...

«Sì, lo ammetto. La Lazard la conosco bene, è una banca molto esperta nel ramo delle fusioni e delle acquisizioni. Ma la linea, mi creda, è quella cinese. Cerco un socio per costruire lo stadio».

Un socio al...

«Non è importante il quantum... Al 30 al 40 per cento. Io resto minimo con il 51 per cento. E' importante, piuttosto, che lo stadio sia qualcosa che appartenga alla società e non sia delegato a un esterno. Veda, costruire uno stadio non è il mio mestiere. Gli americani sono eccezionali, un socio americano sarebbe interessante. Nei potenzial buyers di Lazard ci sono americani?».

Ce ne sono, in effetti. Ma, sia sincero, a Lei è mai venuto in mente di cedere l'Inter?

«Non poche volte, sl. Ma penso che sia venuto in mente anche ad altri presidenti, tranne che ad Andrea (Agnelli ndi): lui è appena arrivato nel mondo del calcio. Lo farò quando sarà giusto perché, in fondo, dopo un po' è necessario un cambiamento di facce. E aumenta il bisogno di idee nuove».

Suo padre, Angelo, lasciò dopo aver vinto tutto. E Lei ha vinto tutto: 16 trofei in 18 anni di presidenza.

«Deve esserci il momento giusto, poi se capita... Vendere mi torna in mente e per tante ragioni. Ma poi...».

Ma poi?

«Poi penso ai tifosi, alla fiducia che ripongono in me. E mi dico: non li posso fregare».

E se non trovasse un socio per lo stadio?

«Lo farò comunque. Mi piace moderno, ma non modernissimo. Che sia funzionale e che ricalchi lo stile della città. Mi hanno presentato una serie di progetti, uno mi intriga da pazzi. E' fuori discussione che ci sia bisogno di una legge capace di sveltire le procedure burocratiche, significherebbe che lo Stato è vicino».

Lei parla al futuro, ma proprio i tifosi che non vuole "fregare" percepiscono una tendenza al ridimensionamento. E soffrono.

«E' evidente che abbiamo scelto un profilo più basso. Era già successo con la Grande Inter. Non è materialmente possibile riavere gli stessi giocatori che ti hanno permesso di vincere e di gioire. Bisogna gettare le basi per il futuro e armarsi di pazienza. E poi, malgrado le elezioni, non mi pare che la situazione economica generale consenta esposizioni, direi, stonate. Non dimentichiamo che il calcio ha un ruolo anche sociale».

Questa stagione come la giudica?

«Di passaggio. Anzi, di costruzione. All'inizio ho percepito tanti ostacoli, poi siamo andati meglio e abbiamo preso piede, poi mi sono illuso... Mi conforta che tutti perseguiamo il medesimo obiettivo».

A giugno ci sarà la rivoluzione?

«Bisogna avere pazienza. E nel calcio si impara ad averla. E' necessario saper tenere, saper resistere alle tentazioni. I condizionamenti arrivano dagli avversari: loro comprano un fuoriclasse e tu cosa fai? Sei portato a dire: non posso restare con le mani in mano, io. E allora ti esponi, compri, spendi... Non è più sostenibile un ragionamento di questo tipo».

Berlusconi si è appena regalato Balotelli ..

«Berlusconi vuole bene al Milan, ma è il primo a sapere che nel calcio bisogna darsi una calmata. Però se c'è un'elezione all'anno, lui un campione all'anno lo compra. E' una scusa per divertirsi».

Lei nel corso degli anni è cambiato...

«Sono più giovane...».

E' più parsimonioso.

«L'acquisto più intelligente della mia gestione è stato Ronaldo. E l'ho fatto io personalmente. In questo momento, lo ripeto, è indispensabile stare più attenti. Una volta mi sentivo obbligato a comprare per provare a vincere... Ma qui si scivola su Calcio-poli... Avevamo una squadra fortissima e non riuscivamo a imporci. Ricorda? Ronaldo, Djorkaeff e la panchina... Una panchina fantastica. Niente».

Calciopoli, già. Finirà mai?

«E' finita, mi sembra. Con i più e con i meno. Almeno speriamo».

A distanza di 7 anni, che idea si è fatto?

«Non voglio risvegliare una brutta malattia che è stata estirpata».

Lei ritiene per davvero che adesso il calcio sia più pulito o c'è sempre chi nasconde la polvere sotto il tappeto?

«Credo di sì, che sia più pulito. Prima c'era una organizzazione, come l'hanno definita gli atti processuali, adesso c'è Scommessopoli, che sono tentazioni esercitate sui giocatorì,Tutta un'altra storia».

Agnelli riuscirà a sfilarLe l'ormai fantomatico scudetto?

«No, non ci riuscirà. Io so com'era quella situazione, non ne percepisco alcuna ingiustizia, è solo una conseguenza. Poi io dichiaro che quello scudetto lo amo di più un po' per provocazione e un po' perché è figlio di una sofferenza di troppi anni».

A proposito, Lei definì Andrea Agnelli un giovin signore... •

Vorrà mica farmi fare polemica con l'Andrea?».

Rapporti buoni, dunque?

«Ottimi. Voglio bene ad Andrea. E' giovine, è signore ed è bravo. Ha raccolto la Juventus in una situazione di grande difficoltà, in due anni l'ha portata a vincere lo scudetto, anzi in tre anni due scudetti, perché sono sicuro che lo rivincerà. Si dedica anima e corpo alla società, un dovere di Famiglia. Tra di noi c'è affetto».

E siete alleati in Lega.

«Alleati, sì. Condividiamo un programma..

Non è rischioso essersi chiamati fuori dalla Lega?

"Certi rischi si devono correre, sperando nella lealtà di chi sta sulla barca. Tra me e Agnelli esiste la chiarezza di una posizione, poi sul campo siamo rivali.. Galliani invece non molla l'osso. E' una tattica, quella di Galliani. Una strategia anche vincente. A lui piace avere le leve del potere, però è preparatissimo. E forse più... elastico».

Torniamo all'Inter. L'ultimo bilancio è in rosso di circa 90 milioni, il prossimo pure. Quanto pesa la Champions League?

«Trenta milioni di mancati introiti. La Champions League è la base sulla quale lavorare. Non so quanto venga recepito da chi va in campo. E' una questione di sopravvivenza».

Senza Champions League anche Stramaccioni traballa?»...

«Non posso fare con lui gli stessi ragionamenti .cheho sviluppato con allenatori più maturi. Per come lo conosciamo, Stramaccioni ha tanti pregi e sarebbe un peccato se venisse bruciato da situazioni temporanee fini a se stesse. Ecco perché sono attento a non buttarlo via».

Mourinho si risiederà sulla panchina nerazzurra?

'Siamo rimasti molto affezionati. Di recente ha rilasciato una dichiarazione che più o meno suonava così: noi interisti... Immagino che al Real Madrid non abbiano apprezzato. Guardi, José entrava nello spogliatoio ed era come se si accendessero mille lampadine. Poi è arrivato Benitez, che era un tipo completamente diverso e... lasciamo perdere. Comunque, non c'è possibilità che torni..

Zanetti il prossimo anno si siederà alla scrivania che è appartenuta a Giacinto Facchetti?

Ma nooo. E' il più giovane: ma vede quanto corre? Si figuri se Zanetti smette. Continua, continua».

Milito e Cambiasso: rinnovano con contratti decurtati?

«Sono due persone che vogliono bene all'Inter e sono disponibili. Quando ne parleremo non ci saranno problemi di alcun tipo..

Samuel si ritira?

«Se non c'è, uno pensa: è vecchio e ha sulla schiena tante battaglie. Ma quando c'è è una roccia. No, non si ritira..

A proposito di contratti: Cassano è in procinto di prolungare.

«Non mi risulta. Ha ancora un anno con noi».

Invece l'argentino Icardi rappresenta il dopo Milito...

«Dovrebbe essere un nostro rinforzo, se chiuderemo con la Sampdoria. Ma non è il vice Milito che, paradossalmente, con l'infortunio sarà ancora più carico. Ad ogni modo, Icardi lo vedo bene da noi».

Si è pentito di aver dato via Livaja?

«Senza dubbio, senza dubbio... Ma Schelotto ha fatto gol nel derby! Livaja, ad organico pieno, non poteva rimanere, doveva andare a giocare. E si è subito rotto Milito•.

Carew, una comparsa. '

Una brava persona, però avrebbe impiegato almeno un mese per entrare in forma e il campionato ormai sta volgendo al termine".

Un passo indietro: dopo il Triplete poteva mettere un punto e andare subito a capo, con un ricambio generazionale. Moggi e Giraudo fecero così vinta la finale di Roma nel 1996...

«Beh, se ne sono andati Eto'o e Balotelli. E l'allenatore. Mica potevo ribaltare tutto, non esisteva motivo per rivoluzionare la squadra. E poi devono esserci le corrette opportunità di mercato. Il dilemma era: continuare con campioni magari un po' appagati o puntare sui giovani che però hanno bisogno di tre anni per capire come funziona l'Inter e come si vince?».

Stasera c'è Napoli-Juventus. La vedrà e come la vivrà?

«La vedrò e la vivrò come una partita divertente. Da una parte c'è un campione, Cavani, uno dei pochi che può decidere da solo una gara; dall'altra c'è una macchina da guerra che gioca con piacere e che, lo ripeto, riconquisterà lo scudetto..

Un po' di tristezza per l'Inter?

«Mannò. Stiamo costruendo, gliel'ho detto. E nel calcio ci vuole pazienza..

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Aldo Grasso / Malintesi (SETTE | 09 - 01.03.2013)

I cinque arbitri in campo? Bocciati

L’esperimento è un vero fallimento, ha spesso

esiti ridicoli (anche nelle partite internazionali)

ma nessuno ha il coraggio di dirlo

È un fallimento, ma nessuno ha il coraggio di dirlo. L’esperimento dei cinque arbitri per le partite di calcio ha spesso esiti ridicoli, anche in campo internazionale. Com’è noto, da un po’ di tempo, l’arbitro, i due assistenti e il quarto ufficiale sono affiancati da due assistenti arbitri aggiuntivi che stazionano nei pressi della linea di fondo. Quest’estate il responsabile degli arbitri dell’Uefa, Pierluigi Collina, esprimeva grande soddisfazione per la quinterna: «Le sperimentazioni sugli arbitri di porta, fortemente voluti dall’Uefa, hanno dato risultati importanti, e la decisione dell’Ifab di passare da una fase sperimentale a quella definitiva lo dimostra. Adesso, chiunque vorrà utilizzarli sarà libero di farlo. Me ne sono occupato direttamente, e sono molto contento di questo risultato». Gli faceva eco quel grande paraguru di Michel Platini, presidente dell’Uefa, che pur di conquistare la poltrona di Joseph Sepp Blatter, presidente della Fifa, la massima organizzazione calcistica mondiale, è pronto a rinnegare il suo esemplare passato: «Mettere la tecnologia in campo significherebbe dover decidere ogni fuorigioco facendo riferimento allo strumento, così come ogni pallone uscito fuori dal campo o ogni calcio di rigore designato, perché l’arbitro essendo un essere umano può anche sbagliare le piccole decisioni». Sì, ma piccole decisioni sbagliate moltiplicate per cinque fanno grandi decisioni sbagliate. Se ne lamentano calciatori, allenatori, persino l’ex arbitro Paolo Casarin: «Credo proprio che l’esperimento dei cinque arbitri sia fallito… Con l’arbitro dietro la porta è inammissibile non concedere certi rigori, forse qualcuno ha dormito. Se anche raddoppiando gli arbitri non si riesce a vedere le cose semplici…».

LINEA DI PORTA. L’Uefa canta vittoria per l’introduzione del cosiddetto assistente arbitrale aggiuntivo: «Quello che abbiamo riscontrato su oltre 1.200 partite è un migliore controllo della partita. Si è registrato un calo degli episodi dubbi – in particolare su situazioni di palle da fermo quali corner e punizioni – un migliore controllo della linea di porta, nonché una maggiore precisione nelle decisioni degli arbitri assistenti. Tali obiettivi sono stati raggiunti grazie all’impiego degli assistenti arbitri aggiuntivi». In realtà, gli arbitri aggiuntivi non hanno fatto altro che deresponsabilizzare quello principale: forse cinque teste sono troppe per prendere una decisione e così nessuno più si assume l’incombenza di decidere. In attesa che le tecnologie rendano meno arbitraria la fatica dell’arbitro. Se no, si torni alla terna: brava, incapace, in mala fede, comunque parte consustanziale del gioco.

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Corsport 1° marzo 2013

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Disparar a fallar

¡380 partidos de primer nivel amañados! ¡400 futbolistas implicados! El mundo del balompié fingió sorpresa e indignación cuando la Europol presentó su última investigación sobre la manipulación deportiva. El influjo de las redes de apuestas ilegales en jugadores de élite constituye uno de los últimos tabús del fútbol. Una manta de la que René Schnitzler tiró hace tres años. Él, que un día apuntó a promesa goleadora de Alemania, apura hoy su sanción federativa por vender al peso las derrotas de sus equipos para alimentar su ludopatía.

"A pesar de pegarme las noches apostando en timbas, seguía

siendo titular de un equipo de Segunda: ése era mi potencial"

"De la depresión o el alcoholismo ya se habla... pero nadie

menciona la ludopatía como un problema entre deportistas"

"Las mafias me pagaban para que convenciera a mis compañeros

de dejarnos ganar. Pero no lo hice. Me iba directamente al casino"

por ÀLEX LÓPEZ VENDRELL (PANENKA #17)

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Lejos quedan las alusiones a superhéroes. Schnitzler es hoy más terrenal que nunca.

Sentado en una celda de la comisaría de Bochum, aquella noche de diciembre de 2010, René Schnitzler esperó durante horas a que los agentes le interrogaran. Un lapso de tiempo parecido al que cualquier futbolista profesional está acostumbrado a ventilarse en escenarios muy diferentes: los aeropuertos. Quizá por eso Schnitzler recordó cómo él y los chicos habían matado el rato en terminales de media Europa. Qué risas. Como aquella vez que con el Bayer Leverkusen volaron a Varsovia: tan aburridos estaban que cada uno echó 500 euros en el gorro de Dimitar Berbatov, engordando un bote para el dueño de la primera maleta que vomitara la cinta de equipaje. O aquella otra ocasión en que lanzó un chicle a la papelera desde varios metros de distancia y acertó. Y uno de sus colegas le retó a repetirlo con un incentivo de 1.000 euros. "Ahora me llevaría las manos a la cabeza pero entonces era un entretenimiento divertido. ¿Qué son 500 euros para alguien que gana 20.000 al mes? Allí está el peligro del juego: en algún momento pierdes la visión de la realidad", afirma ahora que se ha alejado de las comisarías. Y de los aeropuertos. Ding dong ding: próxima salida, la terapia contra la ludopatía.

En la figura de Schnitzler - hoy 20 kilos más redondeada por culpa de la sanción que la Federación alemana le impuso: tres años y medio sin practicar fútbol de élite - se reúnen varias aristas normalmente acalladas por los medios. Jóvenes millonarios con demasiado rato libre entre un entrenamiento y el siguiente. Redes ilegales de juego, con tentaciones oscuras e intermediadores muy cercanos al entorno de los futbolistas. Y finalmente la ludopatía, una adicción sobre la que la prensa deportiva guarda un sospechoso silencio que contrasta con la pujanza publicitaria de algunas casas de apuestas. "Cuando sólo trabajas dos horas y media tienes que llenar el tiempo de alguna manera. Y es normal que muchos futbolistas apuesten. Piensas: si de algo sé es precisamente de esto. Es un poco lo que les ocurre a los traders en bolsa, que pretenden capitalizar sus conocimientos como expertos del sector", plantea. "De todas maneras, nunca fui el típico futbolista cien por cien concentrado en el balón", admite.

Nacido en la muy futbolera Mönchengladbach en 1985, cuando el Borussia aún inspiraba temor en todo el continente, el brillo deportivo de René fue más fugaz que la mano de un trilero. Todavía no se había ganado un puesto en la Bundesliga y ya estaba dilapidando su sueldo -y su cartel futbolístico- en timbas nocturnas. "A pesar de pegarme toda la noche jugando seguía siendo titular de un equipo de Segunda, lo cual habla de mi potencial". Poco a poco, la que parecía una promesa - "es el doble de bueno que Mario Gómez", proclamó su seleccionador sub 20, Michael Skibbe, en 2005- se convirtió en un farol.

Tras pasar por las canteras de Borussia y Leverkusen, Schnitzler recaló en 2007 en la Reeperbahn: la calle más gamberra de la muy gamberra Hamburgo. Y la sede de varios tipos de clubes, entre ellos uno de fútbol: el FC Sankt Pauli, el más transgesor, noctámbulo y pendenciero de Europa. En su primera temporada, aún acertó a firmar seis goles en 21 partidos, pero René aceleraba hacia otra clase de juegos. "Una vez recorrí los 400 kilómetros que separan Mönchengladbach de Hamburgo en dos horas y media. Con un coche de 100. 000 euros uno es un poco más rápido", señala quien ahora se mueve con un utilitario de segunda mano. A esa misma velocidad, las mafias detectaron en él un vehíċulo para acceder al fútbol profesional. "No me extraña que se acercaran a mí: siempre estaba en partidas ilegales, era fácilmente influenciable y necesitaba pasta".

100.000 EUROS POR NO HACER NADA

Así llegaría el último partido de la temporada. Un extraño intermediario surge entre las sombras y el humo de alguna timba. Le alarga un papel con cinco cifras y un símbolo en la quiniela: 40. 000 euros para que el Sankt Pauli pierda ante el Mainz. Y Sankt Pauli pierde 1-5. Luego seguirían más partidos, más papeles con cinco cifras y más derrotas. Alguna en el último minuto, con un extraño gol a consecuencia de un error del portero. Hasta que un par de partidos no producen el marcador deseado y todo se rompe. Algún tiempo después, en diciembre de 2010, la policía conducirá a René a una celda en Bochum, en la que se acordará de las largas esperas en los aeropuertos. La persona saldrá, pero entre aquellas rejas sigue esperando elevar su rumbo el proyecto de futbolista que alguna vez fue Schnitzler.

"Nunca he ayudado a manipular un partido", se defiende hoy, como entonces, el delantero. "Me daban tanta pasta porque pensaban que la repartiría con tres o cuatro compañeros, especialmente el guardameta. Un único futbolista, por sí solo, no tiene tanta influencia en el partido como para definir el marcador". La policía y la Federación alemana le creyeron: la sanción hasta la campaña 2013-14 no responde a un delito por manipulación sino a la aceptación de 'pagos antideportivos'. "Me supo muy mal, especialmente por Mathias Hain, el portero del Sankt Pauli que falló en aquel partido. No sabía nada de todo esto".

René no repartía el dinero con sus compañeros, no les animaba a dejarse ganar, lo cual lejos de simplificar su situación la agrava aún más. "Nunca pensé que pudiera tener problemas con esa gente". Se refiere al padrino de la mafia holandesa de apuestas, Paul Rooij, que le pagó unos 100.000 euros por hacer una labor que Schnitzler no hizo: sólo tuvo la suerte de que los marcadores coincidieran. "En cuanto cobraba esa pasta me iba al casino. No caí en la cuenta de que a un estafador es muy difícil estafarlo". Ahora René no descarta alguna venganza por parte de Rooij. "Entendería que esté cabreado, pero no puedo pasarme las 24 horas del día encerrado. Sé que hasta el año pasado este tipo tenía prohibido entrar en Alemania. Sí, supongo que podría aparecer en mi entorno, aunque intuyo que no sería él personalmente".

RENE EN ‘SLOW-MOTION'

El Schnitzler actual poco tiene que ver con el del pasado. Lejos de los tugurios del juego ilegal y de los personajes que le 'prestaban' dinero para seguir alimentando a la bestia. Todo en él se ha ralentizado, y no sólo porque haya engordado muchos kilos y se desplace en un Golf usado. Sus días se limitan a vegetar en casa, acudir a las terapias contra la ludopatía y ofrecer charlas por todo el país para denunciar esa lacra. Su batalla contra la adicción al juego saltó a la palestra a comienzos de 2011, cuando publicó un libro junto a dos periodistas alemanes para explicar su situación. En él revela que hasta cuatro internacionales alemanes entran regularmente en casas de apuestas, tres durante el último Mundial. "Los futbolistas están acostumbrados a niveles muy altos de adrenalina, no aceptan la derrota; siempre buscan revancha", ilumina en el libro el psicólogo del Bochum, Thomas Graw. El ex jugador del Tenerife Oliver Neuville, coincidía con Schnitzler en algunas timbas. Y otro ex futbolista sancionado por aceptar sobornos, Marcel Schuon, mantiene que "en cada equipo hay cuatro o cinco apostadores usuales". Un retrato global que trasciende la mera predisposición individual de Schnitzler hacia el juego y dibuja una aceptación de la cultura apostante sin facilitar mecanismos de defensa para las personalidades más débiles. "Hablo de ello en charlas y programas de fútbol, porque me ayuda; sirve para romper un tabú: problemas psíquicos, alcoholemia… de todo eso se habla ya, pero todavía no de la ludopatía". En cambio, los diarios sensacionalistas prefirieron centrar el foco en los aspectos más morbosos del libro, como el extendido uso de prostitutas de lujo entre algunos futbolistas.

A partir del próximo 30 de septiembre, René podrá volver a jugar al fútbol de forma profesional. "A ver en qué forma me encuentro. Ahora estoy en un equipo de amigos pero apenas me muevo. Dejé de estudiar con 17 años y tampoco sabría trabajar en otra cosa", explica. Bueno, quizá sí: "Por mi experiencia podría ganarme muy buen sueldo como jugador de póquer pero sería fatal para mi adicción. Sería como poner a un alcohólico a servir copas".

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Doping, passaporto biologico:

il calcio si muove, ma solo a parole

Lo sport più popolare si adeguerà ad altre 25 discipline che stanno lottando seriamente contro il fenomeno? Il prossimo 7 marzo se ne discuterà al consiglio federale della Figc, ma siamo alla dichiarazioni di intenti. Si dovrebbe partire con i calciatori della Nazionale in ritiro, ma a quel punto mancherebbe il fondamentale fattore sorpresa

di EUGENIO CAPODACQUA (Repubblica.it 01-03-2013)

ROMA - Il calcio sta pensando al cosiddetto "passaporto biologico". Una sorta di carnet che registra i test ematici, campionati preferibilmente a sorpresa, in modo da stabilire la "fotografia" dei valori individuali; consentire di determinare la forbice della variabilità soggettiva (in più o in meno); ed eventualmente fermare l'atleta che va oltre questi limiti. All'alba del 2013 "sua maestà" il calcio prende vagamente in considerazione l'idea di seguire la strada di altre 25 discipline che hanno riconosciuto - dati scientifici alla mano - come il passaporto biologico sia uno strumento fondamentale e insostituibile per evitare la fitta schiera di furbi e furbetti che per anni ha aggirato o eluso i controlli. Il prossimo 7 marzo il consiglio federale della Federcalcio prenderà visione dell'ipotesi di istituire una sorta di passaporto biologico per i propri tesserati.

Si comincerà con il mettere sotto controllo prima di tutto gli atleti del giro della Nazionale per poi eventualmente allargare alle altre categorie. Ma al momento siamo ancora alla dichiarazione di intenti. E quanto questo fatto strida con il doping sempre più raffinato e facilmente occultabile dei nostri giorni (specie se si hanno danarose strutture mediche di supporto) è subito evidente. Siamo al doping genetico e ancora si discute se e come sottoporre i calciatori ad un monitoraggio riconosciuto in tutto il mondo come unica arma contro il dilagare della farmacia proibita. Nonché strumento fondamentale per la tutela della salute anche nello sport super professionistico e miliardario del pallone.

La scienza aggiorna quotidianamente il proprio sapere per l'inarrestabile (e giusta) ricerca verso sostanze o pratiche che risolvano i principali problemi di salute pubblica. E il doping è sempre dietro l'angolo. Pronto a sfruttare quegli aspetti collaterali delle nuove sostanze (pratiche) che possono consentire di migliorare la prestazione o di recuperare prima e meglio le fatiche di ogni disciplina. Ne è esempio probante la famigerata eritropoietina, l'ormone che è addirittura un salvavita (per i malati di reni e di tumore), ma le cui capacità di stimolare la produzione dei globuli rossi del sangue, dunque di trasportare più ossigeno, hanno nell'ultimo ventennio sconvolto i risultati di tantissime discipline, specie quelle di resistenza. In questo il doping è velocissimo: gli atleti sono spesso le cavie migliori. Pronti come sono ad assumere addirittura prodotti la cui sperimentazione non è ancora conclusa. Con tutto quel che ne consegue.

Anni fa un ciclista rischiò di morire per aver assunto Pfc (perfluorocarburo), un prodotto per ossigenare il sangue ancora in fase sperimentale. Oggi sono alle viste nuove sostanze di origine genetica, realizzate con tecnica ricombinante in grado di mettere alla prova i test più evoluti. Ma per contrastare il fenomeno ci si muove con la lentezza di un bradipo. Intanto una domanda: il doping nel calcio c'è? C'è, lo ammettono i massimi dirigenti; ma gli attuali controlli, fatti nella stragrande maggioranza dopo le gare, non riescono ad incrociare la realtà del fenomeno. Dunque sono inutili. Il doping nel calcio non sarà "organizzato" a livello societario, come sostiene il dottor Pino Capua, grande esperto e responsabile del settore antidoping della Figc, ma lo stesso medico azzurro deve ammettere (e ammette pubblicamente in un'intervista a Rete Sole ) che i ritmi asfissianti di gara (una partita ogni tre giorni mediamente e a intensità notevole), nonché gli infortuni (il calcio è sport di contrasto) possono essere una forte spinta verso la farmacia proibita.

Individuale o di squadra, però, se il doping c'è, positività dell'ordine dello 0 virgola qualcosa per cento (quelle del calcio nostrano) non fotografano la verità di un movimento che nel 2011 superava il milione di tesserati (4 positivi: 3 per cannabis, le famigerate "canne" e 1 per cocaina, droga spesso solo voluttuaria). E, se questo è vero, ci si domanda perché ci si ostini a mettere in piedi programmi onerosi e tutto sommato inutili. Per il 2013 la Figc prevede qualcosa come 2.804 controlli per una spesa di 1,5 milioni di euro. Ma si tratta nella totalità di test post gara, peraltro concentrati nelle fasce superiori, dedicando scarsissima attenzione a quelle giovanili, dove invece la tentazione è più facile (meno controlli) e l'ambizione di arrivare spesso è cattiva consigliera. Ed è semplicemente illusorio pensare che oggi una squadra professionistica, magari con tanto di "lab" dedicato ai calciatori, rischi qualcosa in gara. La prova? Basta vedere la "qualità" delle positività accertate. Dopo l'ondata di nandrolone dei primi anni 2000, gli anabolizzanti sono pressoché scomparsi.

Eppure servono eccome per il recupero, specie se si deve affrontare un match tre volte la settimana. Dunque poco più di 2800 controlli, su 941 gare, per il 2013. Sorvolando sul fatto che sono molto meno dei 4.975 del 2010 (il doping cresce e si evolve e i controlli diminuiscono?) si tratta di cifre che non dicono un alcunché se raffrontate alla mole delle gare di una stagione che conta almeno 588.770 partite, (cifre della stagione 2009-2010 secondo l'ultimo censimento Figc, n. d. r.); ovvero lo 0,85%. Con positività ridicole: lo 0,12%. Questa assoluta inadeguatezza adesso dovrebbe spingere d'urgenza a migliorare il "sistema". Ma ci si muove con la lentezza della tartaruga. E soprattutto ipotizzando procedure che non servono affatto a creare un "passaporto biologico" affidabile.

Si dovrebbe cominciare con la nazionale, partendo da test fatti in ritiro. Test, dunque, ben programmati e per nulla a sorpresa. Perciò presumibilmente inefficaci a cogliere eventuali magagne. L'elemento sorpresa nel doping è uno dei fattori fondamentali. Per questo da anni, ormai, la stessa Wada, l'agenzia mondiale antidoping, raccomanda che siano la maggioranza. E invece da noi accade esattamente il contrario: si continua a spendere inutilmente per test post-gara che al di là di un blando effetto deterrente, non hanno altro. Serve la sorpresa, non il test pianificato. I ciclisti e gli atleti delle altre discipline che hanno accettato il "passaporto" sono obbligati ad una reperibilità quotidiana attraverso un sofisticato programma informatico (Adams). Questo strumento è imprescindibile per creare un passaporto individuale credibile. Ogni altra soluzione sarà solo un inutile pannicello caldo.

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SCOMMESSE Indagine penale conclusa per evitare la prescrizione dell’inchiesta barese

Il pallone si è sgonfiato

Audizioni di 36 calciatori ed ex. Il procuratore federale della Figc, Palazzi, assicura deferimenti in tempo breve. Ma l’impressione diffusa è l’ammorbidimento giudiziario

di NICOLA SELLITTI (il manifesto 03-03-2013)

Indagine penale conclusa. E tempi brevi per evitare la prescrizione di una delle gare del filone d’inchiesta di Bari. La road map aggiornata di Scommessopoli, lo scandalo delle gare truccate che ha rivoltato il calcio italiano dal giugno 2011. Due filoni in campo, quello di Bari – ora è in atto il Bari-bis con audizioni di 36 persone, tra calciatori, ex calciatori, allenatori, per concorso in frode sportiva - e di Cremona. Sul nuovo capitolo del capoluogo pugliese, il procuratore federale della Figc Stefano Palazzi ha assicurato che i deferimenti arriveranno in tempi brevi. Un percorso giudiziario che porterà all’interrogatorio anche del tecnico della Juventus Antonio Conte – allora guida dei pugliesi – previsto il prossimo 11 marzo. E qualche giorno fa ha riferito di nuovo agli inquirenti l’ex collaboratore di Conte, Cristian Stellini, che in precedenza aveva patteggiato due anni e sei mesi per le vicende legate a quando assisteva Conte sulla panchina del Siena. Per Stellini, Conte è assolutamente estraneo alla presunta combine della gara persa dal Bari contro la Salernitana (23 maggio 2009), una di quelle sotto accusa: un gruppo di calciatori biancorossi aveva deciso in maniera «democratica » di cedere la partita ai campani. Prima di Stellini, era stato interrogato l’ex centrocampista del Bari Alessandro Gazzi e Jean Francois Gillet, portiere del Torino, ex numero uno pugliese. Per lui, rischio di essere incriminato per frode sportiva. Per il secondo filone, che coinvolge tra gli altri anche il capitano della Lazio Stefano Mauri, in attesa di deferimento, i tempi sembrano più lunghi. E se non pare da escludere una nuova estate di processi, il procuratore federale della Figc Stefano Palazzi ha difeso lo stesso il movimento calcistico italiano. «Quando potremo mettere un punto fine a questa situazione sarà oggetto di discussione magari in sede di convegni. Noi parliamo attraverso i nostri provvedimenti di deferimento o di archiviazione ed è improprio esprimere un giudizio con i procedimenti ancora in corso. Da appassionato di questo sport ci auguriamo che possa terminare al più presto e che si possa guardare a un futuro ancora migliore».

Nonostante le parole distensive di Palazzi, c’è la diffusa sensazione dell’ammorbidimento giudiziario e mediatico di un fenomeno/terremoto che nel frattempo ha raggiunto dimensioni planetarie con le 380 partite dal 2008 al 2011 truccate in 15 Paesi europei. Tanto che c’è pure il rischio prescrizione per una delle due gare sotto la lente degli inquirenti del primo filone barese, la presunta combine di Bari- Treviso (0-1) dell’11 maggio 2008. E poi sconti di pena, ritardi nei processi, come da consolidata tradizione italiana. Nulla della «tolleranza zero» o dei tempi certi e rapidi annunciati dai vertici del calcio italiano quando scoppiava l’epidemia dell’imbroglio, in primis il presidente della Figc Giancarlo Abete. In serie A e B continuano a scendere in campo atleti che si sarebbero spartiti migliaia di euro per gare taroccate. Un esempio per tutti, le testimonianze su Lazio – Genoa del 14 maggio 2011 e Lecce – Lazio della settimana successiva Presunte gare falsate, secondo il filone di Cremona.

Ancora in sospeso le posizioni di Mauri e dell’ex capitano genoano Milanetto. La giustizia sportiva non chiarisce, i calciatori si dicono innocenti e sono avvolti dai sospetti. Processo solo a giugno, una volta chiusa l’inchiesta penale. E solo negli ultimi 12 mesi il Tnas del Coni ha «abbonato» circa 271 mesi complessive alle pene comminate dalle sentenze della Corte di giustizia. E uno strato di miele ha avvolto anche la responsabilità oggettiva, senza peraltro un cambiamento dei regolamenti. Per esempio, l’Albinoleffe ha subito una penalizzazione di cinque punti, ventidue in meno rispetto alla prima richiesta. E su 61 condanne in appello, solo cinque pene confermate in arbitrato: revisionate tutte le altre.

Tanto rumore per nulla, nonostante la presenza costante in Scommessopoli della malavita organizzata. Poco più di dieci giorni fa all’aeroporto di Malpensa veniva arrestato Admir Sulic, uno dei componenti del cosiddetto gruppo degli scommettitori zingari, emerso nell’ambito dell’inchiesta cremonese nel dicembre 2011. In quei giorni ci fu anche l’arresto del capitano dell’Atalanta Cristiano Doni. Sulic, colpito anche da un mandato di cattura internazionale, viveva da qualche tempo a Singapore. Punto nevralgico - secondo gli inquirenti - del sistema delle scommesse illecite. Infatti una società con base nel paese asiatico sarebbe stato il vertice dell’organizzazione che aveva come obiettivo quello di alterare i risultati della partite di calcio in vari campionati di Europa. A Singapore lo sloveno non poteva essere arrestato in assenza di un trattato di estradizione per i reati di cui è accusato: associazione per delinquere e frode sportiva.

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Tarjeta al armario del fútbol

La federación alemana impulsa un plan para ayudar a los jugadores que quieran hacer pública su homosexualidad ? ● El gran miedo es el rechazo de los compañeros y de la hinchada ? ● El objetivo es que los clubes se posicionen contra la homofobia

El proyecto surgió tras una entrevista a un jugador anónimo

En España no ha habido ninguna iniciativa en favor de la igualdad

Todos asumen que hay profesionales gais en la selección, pero no lo dicen

La amenaza o el amarillismo persiguen a los que sí lo hacen

En le mundo del balompié aún reina un ambiente homófobo

"Espero que no haya maricones en la selección", dijo Cassano

por ENRIQUE MÜLLER Y EDUARDO RODRIGÁLVAREZ (EL PAÍS 03-03-2013)

“¿Adónde vas si quieres una rebanada de pan?”, le pregunté. “Al panadero, supongo”. “¿Adónde vas si quieres una pata de cordero?”. “Al carnicero”. “Entonces, ¿por qué sigues yendo a ese maldito club de maricones?”. La extraña conversación figura en la autobiografía de Brian Clough, el extravagante entrenador del Nottingham Forest y se refiere al futbolista Justin Fashanu, antes de que este anunciara públicamente su homosexualidad y comenzara un tortuoso camino profesional y personal que acabó llevándole al suicidio. El 3 de mayo de 1998 apareció ahorcado en un garaje de Shoreditch (Londres) con una nota manuscrita en la que expresaba: “No quiero ser más una vergüenza para mis amigos y familia”. Fashanu había sido el primer futbolista profesional de élite que manifestó públicamente su homosexualidad, algo que no le impidió seguir jugando en distintos equipos de varios países, tras haber sido conocido como el primer futbolista negro por el que se pagó en Inglaterra un millón de libras (1,15 millones de euros) por su fichaje. Todo fue demasiado para Justine, al que su propio hermano John, también futbolista, calificó como “un paria”.

Fashanu es el emblema de la tragedia, que surgió no por un hecho relacionado directamente con el fútbol, sino por la denuncia nunca probada de acoso sexual que le interpuso un joven de 17 años en EE UU, tras una turbulenta vida de verdades y mentiras en los tabloides y revistas inglesas. “Me pagaban mucho dinero por contar mentiras sobre aventuras amorosas con parlamentarios, deportistas o actores, pero me hubieran pagado más por silenciar mi homosexualidad”, señalaba en una entrevista.

El fútbol ha utilizado el escudo de la virilidad para esconder un ambiente homófobo más global que afecta tanto a hombres como a mujeres. Del fútbol femenino se ha dicho que ni es fútbol ni es femenino, expresión suprema de una intolerancia absoluta. Del mismo modo que se asegura que cuanto más violento es el deporte, más lesbianas lo practican. Las chicas del balonmano conocen bien ese estigma, aunque los éxitos a veces parapetan esa violencia social. Poco importó en EE UU que la entrenadora de la selección de fútbol femenino Pia Sundhage o una de sus futbolistas, Megan Rapinoe, fueran lesbianas: habían conseguido el oro olímpico. Lo otro puede esperar.

El viejo y popular refrán español “más vale prevenir que curar” cobrará una inédita y crucial actualidad en el exquisito mundo del fútbol profesional alemán, incluida la selección, cuando la poderosa Federación Alemana de Fútbol (DFB) envíe a todos los clubes de la Bundesliga un documento que tiene como título Umgang mit comingouts im Fussball, que en español podría llamarse Cómo hacer frente a la salida del armario en el fútbol.

El documento está siendo elaborado por un grupo de ocho expertos que se reunió, por primera vez, en octubre del año pasado y enumera una serie de medidas que pueden ayudar a facilitar la vida de un jugador profesional que haya decidido salir, voluntariamente, del armario, una decisión que podría revolucionar el mundo del fútbol profesional alemán.

“La DFB siempre trabaja en temas sensibles y la homosexualidad en el futbol profesional es un tema altamente sensible”, dijo Stephan Brause, un portavoz de la Federación Alemana de Fútbol, durante una entrevista telefónica con EL PAÍS. “Esta iniciativa pretende abarcar dos escenarios posibles: tenemos que saber cómo reaccionar si mañana un profesional sale voluntariamente del armario y también tenemos que estar preparados, si un jugador nos pide ayuda”, añadió.

La inédita acción de la DFB también encierra una verdad que aún incomoda al mundo profesional del futbol alemán y a decenas de miles de fanáticos que acuden todos los fines de semana a los estadios germanos para aclamar a sus clubes favoritos. En el fútbol profesional alemán, incluida la selección, hay un número no especificado de jugadores homosexuales que, por temor a ser abucheados en los estadios, no se atreven a hacer pública su condición sexual. Según estudios de distintas universidades inglesas, la mayoría de los futbolistas conocen la homosexualidad de varios de sus compañeros de equipo, aunque son pocos los que lo hacen público.

“La idea nació después de que un jugador profesional homosexual diera una entrevista anónima a la revista Fluter donde confesó la enorme presión que sufre al tener que ocultar su homosexualidad”, dijo Stephan Brause, al revelar cómo nació la idea de formar el grupo de trabajo que puede revolucionar el mundo futbolístico germano. “La entrevista tuvo un enorme impacto, hasta el punto de que hasta la canciller Angela Merkel alentó a los jugadores a que salieran del armario”, añadió el portavoz de la DFB.

La entrevista en cuestión fue publicada en septiembre del año pasado y, aunque la revista juvenil Fluter no pertenece al mundo periodístico comercial germano (está financiada por un organismo oficial que se ocupa de difundir la enseñanza política en el país), tuvo un gran impacto. El jugador anónimo, además de admitir que soñaba con la posibilidad de visitar un restaurante junto con su compañero, también confesó que conocía a varios jugadores homosexuales de la Bundesliga.

La canciller reaccionó con un raro mensaje de solidaridad dirigido a todos los jugadores gais anónimos de la Bundesliga. En el marco de una ceremonia deportiva y acompañada por Uli Hoeness, presidente del Bayern de Múnich, señaló que la sociedad alemana era tolerante y que nadie debía sentir miedo a causa de su homosexualidad, jugadores profesionales de la selección nacional incluidos.

“Debemos enviar una señal: No debéis tener miedo”, dijo la canciller en su mensaje dirigido a los jugadores anónimos. “Debéis saber que vivís en un país donde ya no hay que tener miedo”, insistió. “Yo creo que muy pronto uno o varios jugadores se atreverán a salir del armario”, añadió Ulli Hoeness, quien puso como ejemplo de la tolerancia que existe en el país al actual ministro de Asuntos Exteriores, Guido Westerwelle. “Él está casado con un hombre”, dijo.

No es la primera vez que el mundo de la política reacciona contra la homofobia en el deporte. Hace unos años, el primer ministro británico David Cameron se reunió con directivos, activistas y exjugadores para abordar el problema del racismo y la homofobia en el deporte. El presidente de la federación inglesa auspició la iniciativa Opening doors and joining in (abriendo puertas e incluyendo), que trataba de hacer frente a la obligada invisibilidad de los deportistas gais. De hecho, el propio club de fútbol de Liverpool estuvo representado oficialmente en el día del orgullo gay celebrado en esa ciudad inglesa.

Pero, a pesar de las buenas intenciones de la canciller alemana, del poderoso y famoso presidente del Bayern y de la iniciativa de la federación alemana, las salidas del armario de los jugadores profesionales están marcadas por el miedo a la reacción de los fans que asisten religiosamente a los estadios. “Un jugador homosexual sería destrozado por los hinchas, porque el fútbol, a pesar de la enorme presencia de mujeres en los estadios, sigue siendo un deporte de machos”, sentenció Tim Wiese, un exportero de la selección alemana.

Anton Hysen, hijo del que fuera central del Liverpool y del Fiorentina Glenn Hysen, ha sido uno de los últimos en decir públicamente que es gay en la revista Offside. Hysen juega en del club sueco Utsiktens BK que milita en lo que en España sería la Tercera División. Nada más anunciar su orientación sexual, recibió algún correo insultante mientras al mismo tiempo era invitado a participar en todo tipo de programas, realities o incluso en el Festival de Eurovisión. La amenaza o el folclore persigue a los o las deportistas gais.

El miedo es libre, pero en el caso de los deportes superpopulares, tienen el argumento de la implicación del mundo neofascista o neonazi en algunas de las aficiones. Los propios compañeros de equipo no son siempre los mejores apoyos. Las palabras del italiano Cassano, exfutbolista del Real Madrid, entre otros equipos —“Espero que no haya maricones en la selección”—, dieron la vuelta al mundo en la historia de la intolerancia. John Amaechi, el primer jugador de la NBA que anunció su homosexualidad, recordaba en una entrevista a EL PAÍS el pasado año que Tim Hadaway afirmó que “nunca habría aceptado a un homosexual en el vestuario”. Steve Hunter, por su parte, aseguró que no le importaba tener un compañero gay, pero puso la siguiente salvedad: “Siempre que no intente ligar conmigo, juegue como un hombre y se comporte como una buena persona”. Para rizar el rizo de la intolerancia, la primera pregunta que le hicieron a Amaechi tras decir que era homosexual en la emisora de televisión ESPN fue: “¿Tiene usted el virus del sida?”.

Robbie Rogers es un joven estadounidense que jugó en el Leeds inglés una temporada. Cuando anunció su homosexualidad, se retiró del fútbol, con todo el dolor de su corazón: “Era mi escape, mi propósito, mi identidad”. “El fútbol escondía mi secreto”, escribió en su blog anunciando su orientación sexual y su decisión de abandonar el deporte profesional. Otro estadounidense, David Testo, aseguró cuando hizo publica su homosexualidad que todos sus compañeros, amigos y familia lo sabían y que nunca sintió rechazo alguno por ello. Sin embargo, la palabra que más se repite en el mundo del deporte es miedo: a la reacción de los dirigentes, de los compañeros, del público, de los medios de comunicación...

Para evitar el escándalo y la vergüenza de ser abucheados en los estadios, los jugadores recurren al engaño y se dejan mostrar en compañía de mujeres hermosas y llegan, incluso, al altar, una medida que les permite llevar casi una vida normal, algo más propio de otros tiempos o de sociedades retrógradas. Esta pantalla femenina cobró actualidad cuando a fines de enero un conocido periodista deportivo confesó ante las cámaras de la segunda cadena de televisión pública (ZDF) que había varias agencias especializadas en contratar compañía femenina para los jugadores gais.

“Conozco personalmente a varios jugadores de la selección que han recibido compañía femenina e incluso se han casado, a pesar de ser homosexuales”, dijo Rolf Töpperwein. La confesión del periodista, que evitó mencionar nombres, confirmó también unas polémicas declaraciones de la actriz y cantante Georgina Fleur, quien admitió, también en la televisión, que había recibido la oferta de una agencia para convertirse en la novia de un jugador gay de la Bundesliga.

El primer borrador del documento que está preparando el grupo de expertos contratados por la Federación Alemana de Futbol será presentado a comienzos de marzo a los responsables del organismo y posiblemente será repartido a los clubes en abril próximo. “El documento debe ofrecer respuestas a posibles preguntas y con ello permitir que un jugador pueda, después de salir del armario, llevar a cabo una vida normal”, dijo Günter A. Pilz, un académico que dirige el grupo de trabajo citado por la revista Der Spiegel. Una de las metas del documento es conseguir que los clubes admitan públicamente que no rechazan la homosexualidad en el fútbol.

En España no se han dado pasos en ese sentido y continúa triunfando un riesgo aún peor que la declaración pública de homosexualidad: el rumor, que ha afectado a futbolistas, entrenadores y deportistas en general, ha sido pasto de los programas del corazón, donde la intimidad es ese oscuro objeto de deseo que no reclama ni respeto ni comprobación.

Las redes sociales e Internet en general están llenas de especulaciones sobre la identidad sexual de los más famosos deportistas, alimentando el cultivo de la sospecha. Iniciativas como las inglesas o alemanas no se han producido en España, como si todo el mundo siguiera la consigna que expresó hace unos años el entonces entrenador del Athletic de Bilbao, Joaquín Caparrós: “En España no hay futbolistas gais, por eso no salen del armario”. Y punto.

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In Praise of Football

For all the commercialisation and scandal, football

remains the purest and most demotic of cultural modes

by ALEX KEBLE (THE Blizzard | ISSUE EIGHT | March 2013)

Football has received significant bruising over the past twelve months: racial abuse cases, the re-emergence of match-fixing scandals in Italy, Turkey and elsewhere and increased concern over foul play, underhand tactics and abusive competitors have given outsiders an ugly impression of the sport. This image was only exacerbated by London 2012, as the state of modern football was held up against the ‘Olympic spirit’, highlighting, for some, that football is the vulgar relative of the idyllic summer games. But if we look beneath the problems, we can posit that football is not the barbarous culture of animosity it is sometimes made out to be.

At first glance, increasing corporate ownership and monetary obsession and the decreasing moral values of the sport look like legitimate reasons for abandoning the Premier League. I do not agree. Watching live football is, I believe, fundamentally a unifying experience with infinite scope for social change and artistic beauty. Being given the opportunity to witness this first hand is a privilege that should not be taken lightly.

The moral core of the sport is not in decline, despite increased media focus on prejudice; football is arguably still the most egalitarian of sports and one that continues to set a positive example for the rest of the world.

Prejudice saturates — dominates — every sector of human society; those critical of football’s regressive attitudes reflect a perverse misunderstanding of the sport’s representation of social reality. There is no evidence to suggest that the percentage of football fans that perpetuate racism is any higher than the percentage that perpetuate it in the general population. The reason figures appear higher than other major sports is that no other sport is as classless, universal and representative of society as a whole. Tennis, for example, does not need to confront racist chanting; the nature of the sport means its prejudices are played out more subtly than in crude chants. Football does not have a racism problem, society does; the problems within the sport are a reflection of deeper societal issues.

Football is not prejudiced. A minority of its supporters are, a minority of people are. The persistent condemnation of their actions by the educated governors of the sport is likely to reform perverted world-views and align supporters with the egalitarian principles that the sport is built on. It should be celebrated that acts of prejudice are called out so fiercely by competitors, officials and fans within the game. Football is not declining morally — it is growing. It is still the sport we look to to instigate social change and unite communities.

The post-structuralist Terry Eagleton once remarked that football is “several light years ahead” of socialism, providing an “experience of solidarity[. . . ] to the point of collective delirium”. Football offers the tantalising possibility that it could have been you that made the grade. And it could have. In a world in which the disparity between rich and poor is increasing, football remains the biggest industry in which the truly impoverished individual is given the platform to display imagination and artistry, with the chance of being rewarded with a wealth and status ordinarily reserved for the bourgeoisie (to use ‘bourgeois’ in its strictest Marxist sense).

With the measly possessions of a Coke can and two jumpers, a group of individuals is instantly transformed into a united cooperative, capable of remarkable displays of selfless teamwork and individual skill. Children from poor backgrounds demonstrate a level of intelligence and technical precision they will rarely be given the opportunity to show outside the football pitch; an opportunity to validate their self-worth. A street child begging in an African village can, through an ingenious weaving of condoms into a bouncing sphere – a creation built by street children across East Africa, find a sense of purpose in one of the few art forms available to them to express their creativity, passion and human will.

The sport is becoming increasingly corporate; ruled by sickening quantities of money, football increasingly resembles the ultimate capitalist venture. Clubs become businesses; fans become customers; athletes become commodities. Elite sporting occasions are glossed with phoney narratives by corporate TV executives. Moments of stunning athleticism are repackaged as Hollywoodesque plastic perfection and used to sell newspapers.

The key difference between football and other art forms is that it can never be fully commercialised. The Marxist academic Theodor Adorno described the modern culture industry, in particular Hollywood and pop music, as “a machine rotating on the spot”. When art is commercialised, its creative content becomes driven by monetary success, stifling innovation and instigating cyclical ideas that stunt the development of culture, producing docile consumers of repetitive art. Sport can never be reduced to this state. Just as the child escapes daily concerns on a football pitch, so too do the athlete, and the spectator, escape the corporate net; the white lines of a football pitch symbolise the absolute severance of monetary obsession and artistic endeavour. Granted, players may play for win bonuses, for better contracts, for offers from richer clubs — but the art form itself, the creativity on display, the performance that we come to watch, is not defined by these factors. Money may drive individual player interest but it does not direct the discipline itself, as, for example, the pop music industry drives the style of music created. Money can dominate the politics of the sport, but once on the field, the game is indistinguishable, in principle, from children playing on the street. Corporate dominance is not a valid reason to stop watching such talented athletes.

In our postmodern world, supposedly devoid of objective meaning, sport offers something concrete amid the chaos of daily life. Western industrialised society has come to represent a bitter environment of individual greed, the ultimate climate of wealth disparity, a place of alienation — in short, the antithesis of a ‘big society’. Georg Simmel’s belief that the metropolis generates indifference, apathy and an alienating monetary obsession, that “one never feels as lonely and as deserted as in the metropolitan crush of persons”, rings as true today (for some of us) as it did in the early 1900s. But for 90 minutes people from contradictory backgrounds become a collective force sharing in the universal language of football. 22 people kicking a ball on a patch of grass becomes the primary focus and concern of thousands of people united in a shared moment of solidarity. It is a brief glimpse of utopia.

And what spectacle is it that defies the regular organisation of society? It is a performance by 22 immaculate athletes. If corporate ownership is ruining competition, at least the increased monetary concern has dramatically advanced investment in technical ability. Within seemingly narrow parameters, individual athletes display remarkable moments of innovation and technical assurance. The scope for creativity — utilising a ball with a 22cm diameter on a pitch roughly 110m long and 70m across with 21 other autonomous players providing countless other variables — could be seen as equivalent to the scope for an artist painting on a canvas.

This theory has been proposed by the writer David Foster Wallace, whose theories on tennis are equally valid to football: “match play is not a fractal matter of reducing chaos to pattern, but of expansion[...] each well-shot ball admitting of n possible responses, 2n possible responses to those responses, and on into a Cantorian continuum of infinities of possible moves.” The number of variables, folding on top of one another, makes each moment in sport uniquely creative. Athletes are artists, blending a unique mix of human intelligence, integrity, skill, courage, unity and creativity. It is a spectacle that celebrates an extraordinary species capable, somehow, of a subtle blend of ferocity and beauty. In the words of Foster Wallace, “Beauty is not the goal of competitive sports but high-level sports are a prime venue for the expression of human beauty. The relation is roughly that of courage to war. ”

The highest adulation is given to those world-class athletes who combine the sublime with the tactical; a complex combination of highly refined technical artistry and semi-illogical moments of creativity. This is the beauty that Foster Wallace speaks of. There is logic behind the collective satisfaction in a welltimed pass or ingenious finish; they require a high geometric intelligence and instinctive vision comparable to that of the painter or the poet.

There are few moments in life that compare, emotionally and spiritually, to the feeling of witnessing a goal. When else have you jumped up and down in life, through nothing else but pure pleasure? The purity of the emotional impulse of a goal is beyond the descriptive capabilities of language. It is abstract and irrational and it is because of this, not in spite of this, that the feeling of ecstatic joy, euphoric completeness, is rarely replicated in any element of human life. It is a momentary glimpse of salvation, a fleeting emotion of euphoria that brushes with a feeling of oneness. In this way, more than any other, can football be considered a religious experience. Crucially, this experience is not the worshipping of a super-human deity, but the celebration of our own species’ creative potential.

Corporations may be masochistically driving the sport towards obliteration but, for now, they cannot touch the complex and enigmatic art displayed on one small patch of grass. It is an art form, an experience, that is rarely replicated in any other aspect of. The image created in the media, particularly in light of the Olympic Games and the positivity that surrounded it, is not necessarily a fair reflection of our game.

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Detto dopo di TONY DAMASCELLI (il Giornale 05-03-2013)

L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DI NICCHI&BRASCHI

L’insostenibile leggerezza dell’essere Nicchi e Braschi. Succede di tutto nel campionato di calcio, tra A e B, se ne vede di ogni, l’errore arbitrale fa parte della storia ma adesso sono in cinque e allora diventa una commedia all’italiana, un consiglio di fabbrica, una riunione di redazione, Orsato-Rizzoli-Gervasoni sono stati i magnifici esempi ed esemplari dell’ultima tre giorni pallonara, da Napoli a Milano a Roma l’Italia è stata unita dalle decisioni sghembe di questi tre arbitri che figurano tra i migliori del bigoncio.

Possiamo figurare il resto della comitiva. Ma non è il caso di infierire, le immagini si commentano da sole, si usa dire. Ma la cosa più bizzarra non riguarda le incertezze, i dubbi da don Abbondio o le sviste di questo o di quello, bensì l’assoluta assenza critica di chi li gestisce e li comanda. Si dirà: le censure vanno fatte all’interno della casa (o della casta), nulla deve uscire, se lo spogliatoio è sacro, secondo parole e pensieri di Stramaccioni, anche l’associazione italiana arbitri è una chiesa con le sue regole ferree.

Ma almeno il capo della Chiesa, quella vera, ha avuto il coraggio di rassegnare le dimissioni dinanzi alla propria fatica fisica e alla macchia d’olio che si allarga nel mondo di riferimento. Gli arbitri no, sono e restano intoccabili, se fischiano un rigore con qualche secondo di riflessione (dipende dal sito, dallo stadio in cui il fatto è accaduto), se esitano quasi un minuto per estrarre un cartellino giallo o uno rosso (dipende questa volta dal personaggio che si ritrovano di fronte), tutto questo fa parte del gioco delle parti e delle partite.

Il campionato procede tra la storia ridicola di Cagliari e le decisioni arbitrali che variano da un campo all’altro e modificano sensibilmente la classifica. Nessuno scandalo, nessun complotto ma la semplice constatazione che nulla è cambiato, Braschi e Nicchi, Nicchi e Braschi continuano nella loro insostenibile leggerezza.

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Inchiesta/Il campionato che brucia gli allenatori

Cento esoneri in sette anni

Un vizio italiano

Più di inglesi e tedeschi messi insieme

GIÀ 12 IN QUESTA STAGIONE Cosmi: «Segno di inciviltà sportiva». Solo un club su 30 non ha mai cambiato: il Milan

di ROBERTO CONDIO (LA STAMPA 05-03-2013)

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Non ci prendono più. Anche quest’anno saremo noi italiani i più bravi a silurare allenatori nell’Europa che conta. Un viziaccio. Purtroppo, l’unico primato continentale che ci resta quando si parla di calcio. La Serie A surclassa da tempo Liga, Bundesliga, Premier e Ligue 1. Lo farà anche in questa stagione: con l’esonero di Bergodi a Pescara siamo già arrivati a 12 cambi di panchina in 27 turni, 4 in più di quelli registrati in Spagna, il quadruplo rispetto a Inghilterra e Francia.

Zamparini e compagnia licenziante difficilmente riusciranno a migliorare nelle restanti 11 giornate il record storico di 19 benserviti fissato nello scorso campionato, ma intanto con le loro continue giravolte sono arrivati a una bella cifra tonda, impressionante: 100 allenatori destituiti in corsa dal 2006/2007 a oggi. Sei stagioni e due terzi nelle quali le altre quattro locomotive d’Europa hanno cambiato un numero decisamente inferiore di manovratori: 64 in Spagna, 55 in Germania, 40 in Inghilterra, appena 33 in Francia.

È dal 2004/2005, torneo del ritorno a 20 squadre, che i nostri club vanno puntualmente in doppia cifra. È una girandola infinita. «Progetti» che durano lo spazio di qualche settimana. Tecnici che, a differenza di quel che succede altrove, quando perdono il posto sono fuori gioco per il resto della stagione, a meno di essere richiamati dallo stesso inquieto padrone che li aveva «tagliati». Il più abituato all’esonero in corsa è Marco Giampaolo: 5 dal 2007 tra Cagliari, Siena, Catania e Cesena. Anche Serse Cosmi (3 subentri e 3 esoneri negli ultimi 4 campionati) è uno che se ne intende: «Questo viavai è segno di inciviltà sportiva, di mancanza di cultura. È una follia che fotografa bene l’attuale baraccone del calcio. Non si dice, però, che, in fondo, gli allenatori ci guadagnano. Il principio del “più lavoro per tutti” mi sta bene ma non nel mondo del pallone. In Italia, ormai, per un tecnico è diventato impossibile proporre qualcosa: non c’è più tempo, si deve provare ad avere tutto e subito. Altrimenti sei esonerato».

La legge, in effetti, è ormai uguale per tutti. Sui 30 club che hanno giocato la A nelle ultime 7 stagioni, 29 hanno provato almeno una volta a dare la famosa «scossa». La graduatoria dei mangiallenatori ha leader scontati: 13 cambi per il Palermo, 10 per il Cagliari e 6 per il Genoa. Hanno provato a svoltare in corso d’opera anche Inter e Roma (tre volte), Juve, Napoli e Fiorentina (due), Lazio (una). L’unico ad aver sempre resistito alla tentazione, fortissima all’inizio di questo campionato, è stato il Milan, che evita terremoti interni dal 2001/2002 (Ancelotti per Terim). «E i risultati gli danno ragione - commenta Cosmi -. Il segreto lo vedo in Galliani, che identifico nel club. Ho conosciuto molti dirigenti bravi a gestire i momenti facili ma nessuno come lui nel destreggiarsi nelle situazioni più complicate». L’ultima l’ha vissuta 4 mesi fa, con Allegri. L’ha difeso nel bel mezzo della bufera e Berlusconi lo ha tenuto. Non l’avesse fatto, oggi difficilmente avremmo un Milan di nuovo in zona-Champions. Ma gli esoneri in A sarebbero già 13.

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Winter of discontent sure to be a hot topic

by MATT DICKINSON (THE TIMES 05-03-2013)

It used to be so simple. The Qatar World Cup was the worst, most insane, least transparent decision taken by any group of old men who ever gathered in a room. A summer football tournament in the Gulf? It made as much sense as golf on the Moon.

That was before we even got on to the business of how Qatar actually won the bid — the disputed allegations of collusion — or the quite astonishing dullness of life in Doha.

The idea seemed so barmy that when the English bid team realised the scale of their humiliation at the World Cup vote that December day in 2010 when they lost out to Russia in the campaign to host the tournament in 2018, one senior figure muttered “please God, let Qatar win 2022”. He knew victory for the emirate would expose the madness of the entire bidding process.

Now, though, it grows more complex. No one will say it except in riddles and mealy-mouthed half-truths but, with every month, we see the growing likelihood that the World Cup in Qatar will be the first to be staged in winter.

What began as a half-baked idea to avoid the risk of fully baked supporters is not yet inevitable. But almost.

The switch to winter is coming, however scandalously expedient and after the vote we might regard it. Opposition is dropping away; support growing every time a football power broker speaks at a junket — sorry, fact-finding mission — in the emirate.

The ground is being prepared and not just in the notable concession by Fifa at the weekend when Jérôme Valcke, the general secretary, started talking about medical concerns if the tournament went ahead in summer and remarking that there is plenty of time to rejig the calendar.

We can hear the shift, too, in the private mutterings in Doha.

Publicly, the organisers say there are still no plans to move the tournament from the sweltering summer months. Off the record, the tone is changing as they begin to align themselves with the noises from football’s most influential figures, including Michel Platini, the Uefa president, who is the most vocal backer of a move to November/December.

The hosts know that shifting the tournament to winter will spare them the ludicrous task of trying to air-condition an entire country. It avoids the risk of wilting players blaming the conditions, or fans falling asleep in the midday sun and being fried alive, which would not be helpful for their optimistically anticipated tourist boom.

Fresh from what seems to have been a highly enjoyable, expenses-paid trip to Doha, the opposition is even falling away from the European clubs whose schedules would need to be transformed.

Karl-Heinz Rummenigge, chairman of the European Club Association that held its congress in Doha last month, gushed about the “astonishing” Qatari facilities. Reshaping the European season? There is time, he insisted, and he is open to the idea.

The European leagues, particularly our own Premier League, have been vehemently set against what could be three seasons of upheaval, but perhaps their dismay can be soothed with “compensation”. One analyst estimates the World Cup will cost Qatar £138 billion, so why not a little financial recompense for the inconvenience?

There will inevitably be squeals of horror in Britain from summer sports such as cricket, golf, tennis and rugby league as they try to grasp what the rearranged calendar will mean when a “Super Sunday” of Manchester United versus Chelsea is staged in the middle of July.

But when did modern football’s corporate monster care about trampling on others?

Those fans, particularly from Europe, who want to attend the World Cup will not complain. Boiling at the idea of a summer tournament, they will warm to the notion of some winter sun.

As for the massive disruption to the regular season, splitting the campaign in two would be an unprecedented upheaval, but you are unlikely to hear opposition from any of the dozens of European clubs, including United, who have taken up Qatari hospitality for winter training camps or from the national associations of Argentina, Brazil, England, Spain and Uruguay, who have all flocked to Doha to play lucrative friendlies.

Many more are sure to follow as Qatar cosies up to more footballing friends.

Who knows, perhaps the tournament might even benefit from winter scheduling if the players are not arriving fatigued at the end of a long club campaign.

Around Fifa’s top table, the Executive Committee, there remain some dissenting voices to the winter switch.

But the momentum is gathering an unstoppable force, even if it may take until 2015, when Sepp Blatter is due to stand down as Fifa president and Platini in pole position to succeed him, to become fact.

Fifa doubts that the federations of United States or Australia, the losers in the 2022 vote, will take legal action at such a late moving of the goalposts. Few expect the Fifa ethics committee’s investigation into the 2018-2022 bidding to rewind the voting.

The 2022 World Cup is seemingly heading to winter and it is a scandalously opaque process that has brought us here. But the shift looks inevitable because it is less insane than the alternative.

The ramifications? Good old Fifa will get round to those some time in the future. All they know for now is that half-baked is preferable to oven-cooked.

A World Cup Problem That Won't Go Away

by ROB HUGHES (THE NEW YORK TIMES 05-03-2013)

Even FIFA admits that there was corruption inside its ruling executive committee at the time when future World Cup destinations were being decided. Reforms, we are constantly told, are in the pipeline.

Leaving that aside, vital health and practicality issues relating to the 2022 summer event in Qatar will not go away.

Last weekend, Michel Platini, who played in major soccer tournaments and now organizes them, stirred the pot. “I am in favor of Qatar under two conditions,” he said. “Because of the heat, the World Cup will need to be held in the winter. With over 40 degrees, playing football is impossible, and for the fans it would be unbearable,” he said, referring to temperatures that reach upward of 104 Fahrenheit. Platini also said: “The neighboring countries must be included so that the World Cup is staged throughout the entire region.”

Breathtaking. One of the finest players of his time, now Europe’s leading soccer administrator and a vice president of FIFA, Platini gave his vote to Qatar when the bidding was concluded in December 2010.

Yet today, he has doubts and conditions.

His concern over player safety should have been aired before the tournament was awarded. Indeed, it should be on FIFA’s more urgent agenda right now, because there are matches that are scheduled to kick off in the midday heat at some tropical venues during the 2014 World Cup in Brazil.

Nobody doubts the priorities. Television bankrolls the 32-nation, 64-game tournament, and the matches are timed for the convenience of a global television audience.

But is it inconvenient to remind the committeemen of Marc-Vivien Foé? Foé was a high-energy Cameroonian star who collapsed and died of heart failure during FIFA’s Confederations Cup 10 years ago. Autopsies revealed that the 28-year-old player had a hereditary cardiac defect, and that the afternoon heat in Lyon might have exacerbated his condition.

Lyon is not Brazil, never mind Qatar in midsummer.

FIFA’s medical officers did act conscionably after Foé’s demise. They have increased the medical screening and the life-saving equipment at stadiums around the world. Yet at least a dozen professional players have dropped dead since 2003, in different parts of the world and in various climates.

The FIFA members who overwhelmingly approved of Qatar were reassured by a statement from the oil-rich state that “each of the five stadiums will harness the power of the sun’s rays to provide a cool environment for players and fans by converting solar energy into electricity that will then be used to cool both fans and players at the stadiums.” Qatar has the money to make that science work, if anything can.

But Platini’s latent doubts appear not to have been debated within FIFA. “It is strange that we are talking and talking about this issue,” said the FIFA general secretary Jérôme Valcke in response to Platini’s statements, “when we know that the people who have to ask the first question is Qatar itself.” “There again,” Valcke added, “maybe the FIFA executive committee will say based on medical reports or whatever we really have to look at playing the World Cup not in summer, but in winter.”

Time is ticking. Qatar has never deviated from the summer schedule for the 2022 World Cup, and it knows that it would face almighty opposition from the world’s domestic leagues were it to request a switch to the winter months.

The English Premier League, for one, would oppose any attempt to move or interrupt its season. So would many of the leading clubs, which play in the Champions League, which financially empowers Platini’s UEFA organization.

I have a suggestion, though I do not imagine it carrying any vote from FIFA or Qatar.

Let the tournament be moved to the safest time possible in that country, but allow the clubs to decide which players they release to participate in it.

That, to be sure, would kill the World Cup. However, winter is the time when most of the world’s best players earn their fortunes with European teams.

The clubs own their registrations and pay their salaries but, up to now, FIFA stipulates that priority is given to its moneymaking tournaments — not just the World Cup. In addition, FIFA mandates not just that players be released for the events, but that they also be given time to acclimate and prepare.

That is because FIFA gets its mandate from the national associations, not the clubs. It is ultimately about voting, again, because the associations decide who leads FIFA as its president. And their votes usually follow the money that is doled out from the proceeds of World Cups.

In all of this (and in politics, too), the power that has enriched FIFA down the years has revolved around its ability to make peace between the national associations and the clubs.

Europe is the mecca for club players, but other leagues in Asia or in the Americas are not in the same seasons as Europe. This, and the call on players for national team duty, inevitably means that most coveted players are already overstretched.

They play virtually year-round. And the toll on their bodies, maybe on their hearts, needs more microscopic investigation than they are given.

Nevertheless, Platini advocates now switching the Qatar World Cup for the safety of his players and the well-being of the fans, too. And FIFA responds by effectively saying it is up to Qatar to move the whole show out of kilter to the rest of the world game.

Someone, somewhere has to take a lead. But most of the elderly gentlemen who voted in Zurich for Qatar 2022 will not be in office, and may not be alive, when it takes place.

Modificato da Ghost Dog

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Gervasoni chiede di patteggiare

Rischia 2 anni

di ANDREA ARZILLI (CorSera 05-03-2013)

A Cremona sta per arrivare la prima richiesta di patteggiamento per reati connessi al calcioscommesse: è di Carlo Gervasoni, uno dei protagonisti dell'inchiesta «Last Bet» fin dall'inizio, testa di ponte degli «zingari» nelle combine accertate dalle varie Procure penali, arrestato a dicembre 2011 e squalificato in sede sportiva in varie tranche per un totale di sette anni. Tenuto conto della collaborazione, la pena su cui difesa e accusa potrebbero trovare l'accordo è intorno ai due anni di reclusione. Fosse andato a processo Gervasoni ne avrebbe rischiati fino a dieci per associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Gervasoni è il primo che chiede di patteggiare a Cremona, secondo indiscrezioni che trapelano dalla Procura lombarda il prossimo potrebbe essere Filippo Carobbio, anche lui personaggio chiave dell'inchiesta per le molte combine del Siena confessate e per aver tirato in ballo per primo il suo ex tecnico Antonio Conte. A Bari, l'estate scorsa, Andrea Masiello era riuscito a patteggiare un anno e dieci mesi dopo due tentativi a vuoto: nel mezzo, la confessione sulle partite del Bari con Salernitana e Treviso, decisive per l'apertura del filone relativo. A proposito, ieri in Figc, hanno deposto Ranocchia e Lanzafame: il primo, archiviato a Bari, ha detto di essere «estraneo ai fatti», il secondo ha confermato le combine già ammesse al pm barese.

L’INCHIESTA PENALE

Carobbio e Gervasoni verso

il patteggiamento a Cremona

Avevano già evitato il processo sportivo. Sulic nega

i rapporti con Tan Seet Eng. Gegic resta dentro

di ANDREA RAMAZZOTTI (CorSport 05-03-2013)

CREMONA - Dopo aver patteggiato le loro squalifiche con la Giustizia Sportiva (2 anni e 2 mesi Carobbio, 7 anni Gervasoni), i due grandi pentiti della vicenda del calcioscommesse vanno verso il patteggiamento anche con la giustizia ordinaria. Questione di settimane poi avranno la certezza di poter evitare il processo che si celebrerà a Cremona. Il pm Di Martino, tenuto conto della loro fattiva collaborazione, dovrebbe proporre pene sui due anni (per Gervasoni anche qualcosa di meno...) e in questo modo certificherà che la veridicità e l’attendibilità del racconto da loro fatto non è stata scalfita dalle sentenze della Giustizia Sportiva (e in particolar modo del Tnas) che li ha definitivi per alcuni episodi «non credibili» . Si tratta dunque di una legittimazione a tutti gli effetti del contributo dato da Carobbio e Gervasoni per ricostruire l’operato dell’organizzazione transnazionale che truccava incontri in Italia e all’estero. Resta invece da capire se adesso il magistrato avrà tempo per approfondire quelle posizioni sulle quali, per l’assenza di mezzi della sua Procura, non riesce a gettare piena luce. Il pubblico ministero, oltre ad attendere i riscontri dello Sco sui numeri di telefono contattati dal Mister X e dal Mister Y che vendevano gli “Over” sulle partite di Serie A, vorrebbe scavare un po’ sugli incontri sospetti del Siena. In passato aveva pensato di convocare anche il presidente Mezzaroma, mentre con Conte va avanti il dialogo a distanza visto che il suo avvocato, De Renzis, a Cremona è stato avvistato più volte.

GEGIC E SULIC - Il serbo per il momento rimane in carcere, ma i suoi avvocati, dopo che ha trascorso già 3 mesi dietro le sbarre, stanno valutando le mosse da fare per rimetterlo in libertà. Possibile che a breve finisca ai domiciliari a Cremona (potrebbe essere raggiunto dalla moglie in attesa di un altro bimbo) oppure avere l’obbligo di firma, una “garanzia” contro il rischio di una fuga all’estero. Ieri, intanto, interrogatorio davanti a Di Martino per Sulic che ha negato un rapporto illecito con Tan Seet Eng, il boss di Singapore. I due, secondo la versione dello “zingaro”, erano in affari calcistici e si sono visti più volte anche al Crowne Plaza di Malpensa perché Sulic gli proponeva giocatori per il mercato asiatico. Alcune operazioni sarebbero andate anche a buon fine, ma, per tirare in ballo persone che con le scommesse non c’entrano niente, lo sloveno non ha reso noti i nomi dei slavi trasferiti in Asia.

Calcioscommesse

Gervasoni patteggerà

la condanna: rischia 2 anni

di GABRIELE MORONI (Quotidiano Sportivo 05-03-2013)

Patteggerà la condanna il grande «pentito» dell’inchiesta sul calcioscommesse della Procura di Cremona. Carlo Gervasoni, ex difensore di AlbinoLeffe, Mantova, Cremonese, Piacenza, è l’uomo che con le sue fluviali cantate, nel dicembre del 2011 e nel marzo successivo, ha fatto tremare la serie A e la B. Per l’associazione finalizata alla frode sportiva la pena può arrivare fino a 10 anni, ma dal momento che Gervasoni non aveva un ruolo di leader, per il gioco degli sconti di pena ammessi dal patteggiamento, il bilanciamento fra aggravanti e attenuanti, la condanna dovrebbe fermarsi a 2 anni. Sarebbe la prima sentenza uscita da Cremona.

La strada del patteggiamenti potrebbe essere imboccata anche dall’altro «pentito» Filippo Carobbio, alle spalle un passato di centrocampista che lo ha visto militare, fra le altre squadre, in AlbinoLeffe, Bari, Grosseto, Siena Spezia. Gervasoni e Carobbio sono gli unici giocatori italiani che Admir Suljic ha ammesso di conoscere nelle quattro ore di interrogatorio davanti al procuratore di Cremona, Roberto di Martino. Suljic, 32 anni, sloveno, assistito dai difensori Marcello Cecchini, Kresimir Krsnik e Ugo Carminati, è rimasto sulla stessa linea dove si era attestato nell’interrogatorio di garanzia. Con gli amici del suo gruppo non comprava calciatori ma pagava le «dritte» sulle partite, per poi impostare le scommesse. Ha ribadito di avere conosciuto in Slovenia Tan Seet Eng detto Dan, capo del potente gruppo di Singapore, interessato a «trattare» giocatori da portare in Asia, tanto che Suljic gli aveva fornito un cd su alcuni di questi. Quali? «Non lo dico - è stata la risposta -, sono ancora in attività.

Rientra nei suoi rapporti con Dan anche il viaggio sull’auto intercettata alla frontiera, a Gorizia.

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scusate ragazzi, avrei bisogno di recuperare il video dove Ravezzani parla dell'intervista di Tavaroli e che afferma che i potenti del calcio italiano volevano fuori Moggi.

mi potete aiutare??

Modificato da ghepa

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potrebbe servirti questo?

link /www.youtube.com/watch?v=rdNcaAls2F4

Modificato da huskylover

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potrebbe servirti questo?

link /www.youtube.com/watch?v=rdNcaAls2F4

Si, in effetti oggi ho trovato solo questo perchè il file che cercavo io

http://www.youtube.com/watch?v=llMMYHjF4Z0&feature=player_embedded

è stato stranamente eliminato... mh

Peccato, perchè era molto più interessante ed esplicito.

Grazie mille comunque. :)

Modificato da ghepa

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LA RIUNIONE

Ifab, gli otto padroni del calcio

che decidono come si gioca

POTERE ASSOLUTO Il board è lo stesso da 127 anni. L’ultima innovazione,

il divieto di retropassaggio al portiere, è del 1992. Ora discute di tecnologia

di LUCA PISAPIA (il Fatto Quotidiano 06-03-2013)

Potrebbe sembrare una società segreta, una setta che farebbe felici i fautori delle teorie cospirazioniste. D’altronde gli storici narrano che il calcio sia nato a Londra in una riunione tenutasi al pub Freemason Tavern: dove il riferimento massonico è evidente.

Questa associazione, poco conosciuta nonostante la materia di cui decide abbia risonanza mondiale, è l’Ifab (International Football Association Board): un consesso di otto persone che stabiliscono le regole del gioco del calcio. E, unici al mondo, hanno il potere di cambiarle, indirizzando così il destino di un gioco che ogni anno muove una massa incredibile di denaro. La genesi avviene negli uffici londinesi di Holborn Viaduct il 2 giugno 1886, quando in Gran Bretagna la FA Cup era già alla sua 14esima edizione, ma nel resto del mondo il calcio non aveva ancora preso piede. Nel consolato britannico di Genova, non si era ancora nemmeno riunito il gruppo di armatori e marinai che nel 1893 diede vita al Genoa Cricket and Football Club, la prima squadra italiana. Per questo i membri dell’Ifab che sancirono le nove regole base del calcio sono stati i quattro rappresentanti delle Regioni britanniche (Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord).

Da allora poco o nulla è cambiato. Questa consorteria si riunisce due volte l’anno e, molto raramente, delibera cambiamenti destinati a sconvolgere il calcio: nel 1881 il rigore, nel 1925 il fuorigioco, nel 1958 le sostituzioni, nel 1970 i cartellini, nel 1992 il divieto di retropassaggio al portiere. Solo lo scorso luglio, in una riunione straordinaria a Zurigo, dopo anni di discussioni e di verifiche, ha inserito nel regolamento i due arbitri aggiuntivi dietro la linea di porta. E ha poi concesso il benestare alla sperimentazione della tecnologia sul campo, attraverso l’introduzione di meccanismi per individuare se il pallone abbia superato la linea. Il calcio come lo conosciamo oggi è evoluto a velocità pachidermiche, rispetto al mondo esterno e agli altri sport, dove oramai da anni tecnologie e replay televisivi aiutano i giudici di gara. In 127 anni le regole da nove sono diventate 17.

E con la medesima lentezza è mutata anche la composizione dell’assemblea. Nessun conclave, e tantomeno elezione, bensì la cooptazione, avvenuta nel 1913, della Fifa con due delegati, che nel 1958 diventano quattro. E così l’Ifab, ancora oggi composto da sole otto persone (i quattro britannici e i quattro della Fifa) si è riunito ieri a Glasgow per la sua 127esima assemblea, dove ha celebrato il centenario dell’ingresso della Fifa nel suo consesso.

Ha inoltre preso atto della buona riuscita della sperimentazione tecnologica al recente Mondiale per Club, e ha invitato a continuare. Poi ha deliberato che, nell’anno di grazia 2013, forse è arrivato il momento di formare anche delle commissioni interne: una tecnica, formata da ex arbitri ed esperti, e una calcistica, formata da ex giocatori e tesserati, che avranno però solo funzione di consultazione.

D’altronde a una società quasi segreta, che nascosta nella nebbia delle lande scozzesi, solo a cadenza più che decennale decide di apportare modifiche al gioco del pallone, effettivamente non si può chiedere di più.

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Professional footballers are all

interim too, so beware skid row

by MATTHEW SYED (THE TIMES 06-03-2013)

“We are all interim,” Alyson Rudd, my colleague, tweeted at the height of the Benítez saga last week. “We are all hurtling towards death.” It was a rather philosophical perspective amid the furore surrounding the Chelsea manager, but it has come back to me rather a lot this week in the context of a more weighty scandal in football.

According to statistics released by Xpro, a charity for ex-players, three in five Premier League players are bankrupt within five years of retirement, despite earning an average of £30,000 per week. They also state that one in three is divorced within a year of retirement.

Further statistics are, in many ways, even more shocking. One hundred and twenty-nine ex-professionals are serving prison sentences, of which 124 are under the age of 25. Just this week, four former players were arrested on suspicion of possessing Class A drugs with intent to supply. Their names have not been released.

One former player who went off the rails in dramatic fashion is Michael Branch. In February 1996, he was described in the programme notes at Goodison Park as “the most natural goalscorer to emerge from Everton’s ranks for years”. He is now serving a seven-year sentence at Walton prison for, among other things, handing over 3kg of amphetamine in a Liverpool car park. He ran out of money after retirement and turned to drug dealing to bail himself out.

What is going on? Football is held up as the dream job for any young man, a way of earning enough to retire comfortably while taking part in one of the great modern dramas. The acclaim, the kudos and the many other rewards are the stuff of dreams.

It is not as if it comes easy. Football is a fierce meritocracy. A domain with ultra-low entry costs (all you need is a ball and shoes), it boasts millions of youngsters competing for a few cherished places in the world’s super leagues. Those who make it possess superlative skill and fierce competitive will. They could not have come through such an exacting rite of passage without these attributes. And yet, soon after retiring, an astonishing number are on the skids.

Much of the blame is levelled — rightly — at agents. These modern-day leeches are masters at ingratiation, massaging the egos of often impressionable players, promising the world, only to disappear when the going gets tough. According to Geoff Scott, chief executive of Xpro and a former player, many of the more slippery types are on kickbacks from dubious investment vehicles, essentially putting up their clients as collateral, like glorified pimps.

“Dozens of players have been conned into investing in unregulated investment schemes ranging from carbon trading to software companies,” he says. “In many cases, players have not merely invested in one scheme, but as many as eight. We are certain that some agents are on commission from the investment vehicles. Some agents are respectable, but many are deeply unscrupulous.”

Gordon Taylor, of the Professional Footballers’ Association, disputed yesterday the statistic that three out of five Premier League players are bankrupt within five years, putting it at between 10 and 20 per cent, but the numbers are still shocking.

Clubs, too, must take a share of the blame. They often have players under their wing from a young age, but do precious little to provide them with meaningful exit routes out of the game. A decent education, the one thing that would empower young professionals, is considered anathema. Many coaches discourage players from bothering with qualifications, arguing that they get in the way of football development. It is a tragedy that this dangerous nonsense remains a cultural dogma.

But it seems to me that these targets do not tell the whole story. As I look at the stats and hear the stories, I keep coming back to Rudd’s observation: we are all interim. You see, many young players don’t realise that, like Rafa Benítez, they are interim, too. Their careers will come to an end, their skill will cease to be and they will be cast out by the very clubs that treat them like treasure. That is the way of life and, often brutally, the way of football.

One of the most striking things about Scott’s testimony is that, in his experience, players do not realise, or cannot bring themselves to believe, that football is transitory. They do not take an interest in education because they cannot see beyond the white lines of their playing careers. They do not bother with financial planning because they assume they will be earning £50,000 per week indefinitely. They carry on spending by the truck-load after retirement, because they have become accustomed to a lifestyle they never realised was fleeting.

They act as if those who surround them, blowing smoke up their rear ends, will be eulogising them for ever. They imagine that the banners held up in the stands will always be there, like permanent graffiti within the soul of the club. They suppose that their glamorous wives, who — dare we say? — were attracted to them because of their temporary status, love them unconditionally. And then they are surprised when they discover that these things are, well, interim.

It is pointless, as well as lazy, to say that footballers who succumb to this illusion are thick, because this phenomenon is universal. We all, in our different ways, mistake the temporary for the permanent and then find ourselves playing catch-up when the scenery shifts, as it always does. The Greeks were so aware of the risks that much of their literature consists of warnings. Heroes are brought low and champions vanquished, only to be left crying at the heavens. Shakespeare played with this idea, too. But the truth is that hubris and nemesis are as alive today as they ever were.

The problem in football, especially when compared with hubris of the kind you find in any office (so marvellously satirised by David Brent), is that careers are shorter, acclaim is weightier and the protagonists younger. Many of those who make it as professionals are finished by 25 or younger. In these circumstances, the dangers should not be dismissed lightly. Instead of ridiculing footballers for their travails, we should shame clubs and agents into representing their long-term interests effectively.

But the most powerful corrective to the sense of invulnerability that afflicts so many footballers is the reminder that it is temporary. Nothing would provide a more urgent wake-up call to prepare for life after football, to treat their money with more respect and to counter the tendency to narcissism. And it is not as if these reminders would be inimical to their football. Probably, a sense of perspective would improve performance.

In Ancient Rome, all-conquering generals who paraded through the streets were often followed by a slave who was tasked with one simple job: to remind the general that, for all his glory, he will one day be brought low. This was an enlightened as well as a humane tradition. We should use it not merely for footballers, but for politicians and business leaders, too. I suggest a regular tweet from Rudd: “We are all interim. And we would be wise never to forget it.”

In Inghilterra Uno studio rivela l’incapacità dei giocatori di gestirsi a fine carriera. Da Best a Gascoigne, da Nyers a Maradona

Calcio e disperazione:

3 su 5 finiscono sul lastrico

di FEDERICO PISTONE (CorSera 06-03-2013)

Prendi i soldi e schiatta. Bravi calciatori, pessimi imprenditori: bambini che si ritrovano una fortuna accumulata troppo presto e la sperperano in tempi ancora più rapidi, come a un monòpoli che non perdona e spesso non permette di ripassare dal via. Tre giocatori su cinque della Premier League, la serie A inglese, finiscono sul lastrico entro cinque anni dal ritiro.

È la sconvolgente conclusione di uno studio della XPro, associazione che tutela gli ex calciatori professionisti nel Regno Unito. Guadagnano mediamente 35 mila euro alla settimana ma più della metà si ritrova senza un soldo: investimenti ingannevoli, falsi amici, strade balorde e devastanti come droga e alcol, o semplicemente un accumulo di debiti insormontabili con il fisco. I casi più rumorosi e strazianti provengono proprio dall'Inghilterra: da George Best, il Pallone d'oro morto a 59 anni dopo una vita di prodezze ed eccessi, a Paul Gascoigne, l'ex laziale precipitato nel girone di vizi e follia e costretto a chiedere aiuto al sindacato calciatori dopo aver sperperato oltre 26 milioni guadagnati coi suoi straordinari ricami in campo.

Se la gloria può diventare la nemica più subdola, anche l'insuccesso sa essere spietato: sempre in Inghilterra un esercito di giocatori da toccata e fuga nella massima serie — li hanno inventariati, sono 126 — sono finiti in carcere per reati legati all'indigenza. Quasi tutti (124) sono sotto i 25 anni: non hanno sfondato nel calcio e non disponendo di altre risorse hanno cercato di rifarsi con carriere alternative, legate soprattutto al traffico di stupefacenti dal Sudamerica alla Gran Bretagna. Come l'ex Newcastle Jason Singh, arruolato prima nella polizia e poi diventato capo gang, o come l'ex Everton Liam Maguire, che ha smesso di giocare per un grave infortunio e si è dato all'import massiccio di cannabis.

Il problema non toccherà Messi, che arraffa 100 mila euro al giorno e ha ancora una carriera davanti, ma ha coinvolto tanti illustri colleghi incapaci di gestirsi al di fuori dello spogliatoio. Nel 2005 Maradona lanciò un grido d'aiuto: «Dalla notte alla mattina mi sono trovato senza niente, ora devo ricominciare a guadagnare tutto daccapo», prendendosela con «l'ex amico» e procuratore Guillermo Coppola («Se guadagnavo cinque, a lui davo sette»).

Chi la fa l'aspetti direbbe Julio Alberto, l'ex del Barcellona che abbandonò la carriera nel 1991 finendo in un mare di debiti e depressione con cinque tentati suicidi, un record. La sua rabbia esplose proprio contro Maradona: «L'ho chiamato venti volte e non mi ha mai risposto. Io l'avevo difeso quando si era rovinato con la coca».

Luiz Antonio Da Costa, conosciuto come Müller, campione del mondo col Brasile nel 1994, nelle tre stagioni al Torino si era comprato una reggia e una Ferrari. Si è bevuto tutto e ora chiede ospitalità alla madre del suo ex compagno di squadra Pavao, periferia di San Paolo.

In comune Nyers e Skoglund non avevano solo una prolifica militanza nell'Inter anni 50, ma anche un drammatico post carriera. L'ungherese venne colpito da un ictus nel marzo 2005 ma non aveva soldi per curarsi e la pensione dall'Italia non arrivava mai: morì da solo in una clinica di Subotica in Croazia. Skoglund fu ricoverato in una clinica per alcolisti e a 46 anni venne trovato cadavere in casa, ufficialmente per infarto, per qualcuno fu suicidio. Una bussola per gestirsi oltre il campo viene dal basket: Mike Bantom, ex Roma e Torino negli anni 80 e oggi a 62 anni vicepresidente Nba, ha avviato un progetto per seguire l'atleta prima, durante e dopo la sua carriera. Anche nel calcio qualcosa, ancora poco, si muove: l'esempio viene dagli ex giocatori del Verona: nessuno viene lasciato solo anche quando la maglia è solo da memorabilia.

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L'intervista

«Pensi a quello che accade nel suo stadio»

Botti Episodi isolati, a Torino invece quanto razzismo

di PINO TAORMINA (IL MATTINO 06-03-2013)

Avvocato Claudio Botti, del comitato Te Diegum e tifoso eccellente: ha visto? Conte si lamenta ancora per l’accoglienza ricevuta a Napoli... «Quello che è successo al bus della Juventus è vergognoso ma credo che si sia trattato dell’opera di teppisti isolati. I tifosi veri del Napoli erano allo stadio. E Conte e la sua squadra hanno avuto un’accoglienza molto signorile ed educata. Ben diverso da quello che succede quando noi andiamo da loro».

Racconti pure.

«Nessuno sminuisce la gravità dei fatti accaduti prima della gara. Ma poi Conte al San Paolo ha trovato un clima di festa. Noi allo Juventus Stadium sentiamo cori razzisti e insulti di ogni genere. Dunque, il tecnico della Juventus farebbe meglio a parlare di meno».

Conte parla di un clima ostile, della polizia, della scorta...

«Le pietre lanciate sono un fatto vergognoso, inqualificabile e che tutti condanniamo. Ma Conte non ci venga a dire che quando si muove con la sua Juve a Firenze, a Roma o a Milano non è scortato pure lì da blindati delle forze dell’ordine».

Per fortuna, non ci sono stati scontri.

«Perché Conte e i dirigenti della Juventus non parlano anche dell’atteggiamento e degli atti vandalici e violenti di cui sono stati protagonisti i loro sostenitori qui a Napoli? Sbaglio o ad essere arrestato è stato un tifoso bianconero e ad essere stati denunciati sono stati una cinquantina di supporters bianconeri?».

Insomma, secondo lei se Conte doveva riparlare di Napoli-Juve era meglio farlo diversamente?

«Ma certamente. Era meglio se ribadiva che la sua squadra è la più forte e che con il pareggio ha allungato le mani sullo scudetto».

Lo pensa anche lei?

«Penso che il Napoli adesso deve conquistare i punti necessari per blindare il secondo posto e la qualificazione in Champions».

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Il pallone di Luciano

La mia risposta a Moratti

per l’intervista a «Tuttosport»

di LUCIANO MOGGI (Libero 06-03-2013)

Se chiedessero a Usain Bolt qual è la medaglia a cui è più legato, risponderebbe quella dei Mondiali di Berlino 2009, che lo ha consacrato uomo più veloce del mondo, con la vittoria nei 100 metri in 9”69. Una vittoria sudata, figlia di duri sacrifici...

Nel calcio invece c’è Moratti che elegge a scudetto “più amato” un vessillo di cartone, che non gli appartiene, perché vinto col sudore degli altri. E dalle pagine di Tuttosport (e non si capisce bene il perché) rivendica il possesso di uno scudetto vinto dalla Juventus, in un campionato regolare sia per la giustizia sportiva prima che per quella ordinaria di primo grado, scippato ai legittimi proprietari per essere regalato all’Inter dall’uomo della provvidenza, Guido Rossi, ex cda dei nerazzurri. Sentite cosa cosa ha detto: «Tengo molto a questo scudetto perché rappresenta la sofferenza di tanti anni». Come dire che non riuscivano a prevalere perché un’organizzazione (così la definisce) lo impediva. Forse potrebbe aver bisogno di aiuto e noi siamo qui per aiutarlo a ricordare il pressapochismo della sua gestione.

Il mercato

Cominciano con alcuni errori che neppure Lino Banfi avrebbe commesso nel film “L’allenatore nel pallone”: nel 2001 cede Pirlo al Milan in cambio di Guglielminpietro, nel 2002 cede Seedorf al Milan in cambio di Coco, il Milan ringrazia, di Coco e “Guly” si perdono le tracce. Cede Cannavaro alla Juventus in cambio del portiere Carini, la Juve ringrazia, di Carini si perdono le tracce. Ma c’è di più, visto che ha avuto la faccia tosta di dire che qualcuno ha cercato di convincere Cannavaro a lasciare l’Inter, i nostri lettori devono sapere la verità: i contratti dei giocatori pronti per la firma, mancava solo l’esito delle visite mediche alle quali Carini si stava sottoponendo, arriva il medico dell’Inter dr.Combi e dice che Carini ha una lesione ai legamenti del crociato anteriore. L’Inter firma comunque i contratti tanto era il desiderio di disfarsi di Cannavaro. Non vi tediamo con i 153 giocatori acquistati, vi citiamo solo i migliori nel periodo in cui poteva vincere «ma qualcuno lo impediva»: Caio, Centofanti, Gresko, Macellari, Sartor, West, Hakan Sukur, Peralta, Vampeta, Pacheco, oltre ai 15 tecnici esonerati.

Sempre (per) Moratti “il calcio è più pulito”, curioso sentirlo dire da chi ha sfruttato il passaporto truccato di Recoba, costato una condanna penale ad un suo dirigente, che dovette patteggiare una pena davanti alla Magistratura Ordinaria. Da parte della giustizia sportiva solo una piccola ammenda, in contrasto con la grave violazione. Il “nostro” evidentemente si era convinto di non aver vinto niente prima del 2006, perché ostacolato da una banda di truffatori. Non tiene conto che in quegli anni hanno potuto vincere anche le due squadre romane, nel 2001 la Lazio grazie alle pozzanghere di Perugia e all’arbitraggio di Collina (74’ di sospensione tra primo e secondo tempo), nel 2002 la Roma che, grazie al gentile omaggio dell’allora Commissario della Federazione dr.Petrucci (già in precedenza dg dei giallorossi), nella settimana che precedeva la partita Juve-Roma che poteva decidere il Campionato, apre agli extracomunitari e la Roma può schierare così Nakata che segna un gol e fa segnare l’altro per il 2-2 che consente alla Roma di mantenere il vantaggio e vincere il campionato.

Per Moratti oggi il calcio è pulito, l’Inter intanto è ripiombata nell’alveo della sua mediocrità per mancanza di progettualità, finito l’exploit del post-Calciopoli con Ibra e Vieira. Purtroppo per l’Inter non ci sarà più l’aiuto di Telecom e Guido Rossi per tentare una riedizione di Calciopoli. Forse spende spesso la parola “pulito” per far capire che attualmente regna la tranquillità tra presidenti in Lega, l’integrità morale di essi ma soprattuto del rappresentante in Consiglio Federale, Cellino, al quale per due volte si sono spalancate le porte del carcere. Qualcuno aveva pronosticato: «noi ce ne andiamo, vedrete quelli che restano». Lo stiamo vedendo.

Finta pace

Parla pure del rinato amore verso Andrea Agnelli che qualche tempo fa aveva sbeffeggiato pubblicamente, probabilmente può capitare a chiunque di non ricordare il giorno dopo quello che aveva detto il giorno prima e noi non gliene facciamo una colpa, anzi…! Crediamo poco alla pace con Andrea che conosciamo bene come uomo di fermi propositi, e non possiamo immaginare che, dopo aver seguito personalmente il padre, dr.Umberto, nei 12 anni di attività Juventus della triade, possa posporre la figura del padre a quella di Moratti, oltretutto sapendo da che parte sta la verità.

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CALCIOSCOMMESSE NEL MIRINO LA PARTITA CON IL LECCE

TENTATA COMBINE,

IL COMO DENUNCIA

Cinque giocatori, contattati da un serbo su

Facebook, si sono rivolti alla Procura Federale

C’È CHI DICE NO: ALESSANDRO MICAI (PORTIERE), CESARE AMBROSINI (STOPPER), PAOLO MARCHI (TERZINO), MICHAEL CIA (ESTERNO), LUCA TREMOLADA (FANTASISTA)

L’avvocato Grassani «Questione molto delicata ma i giocatori hanno rifiutato qualsiasi proposta»

di ANDREA MORLEO (Quotidiano Sportivo 06-03-2013)

L’abboccamento questa volta è arrivato online. Obiettivo: sondare l’eventuale disponibilità a scommettere su alcune partite di calcio, scambiarsi pronostici e, nel futuro, chissà forse anche a pilotarne i risultati. Cinque giocatori del Como sono stati contattati sui rispettivi profili Facebook da un gestore di scommesse serbo. Il tentativo di combine, avvenuto all’indomani di Lecce-Como (posticipo del 18 febbraio scorso terminato 2-0 per i pugliesi) però è subito naufragato perché i calciatori lariani - il portiere Micai, i difensori Ambrosini e Marchi e i centrocampisti offensivi Cia e Tremolada - hanno subito informato i vertici della società. Così sono scattate le denunce alla questura cittadina e alla procura federale, che ora ha aperto un’inchiesta.

La delicata vicenda è già finita sulla scrivania del procuratore federale Stefano Palazzi «perché stiamo parlando di fatti di una delicatezza estrema», come ci conferma dal suo studio bolognese l’avvocato Mattia Grassani, tra i maggiori esperti di diritto sportivo in Italia. «Innanzitutto quelle proposte ricevute dai giocatori del Como - spiega Grassani - hanno una buona credibilità perché giunte da un profilo Facebook attendibile e rintracciabile, sul quale ovviamente stanno svolgendo le indagini gli inquirenti». La reazione dei cinque giocatori è stata immediata. Tutti hanno subito cancellato i propri profili, cosa che all’inizio aveva spiazzato i tifosi azzurri che proprio su Facebook amavano scambiarsi impressioni con i propri beniamini. Poi si è passati alle denunce formali, alla magistratura ordinaria e a quella sportiva «perché il divieto di scommettere e il divieto sportivo sono reati che comportano l’obbligo di denuncia per chi viene a sapere anche indirettamente», spiega ancora Grassani.

Tutti i messaggi dello scommettitore serbo - «proposte subdole e melliflue in un italiano stentato ma molto chiaro nei suoi scopi» - che sono stati stampati, salvati e consegnati alle autorità. In quei messaggi «racconta di aver assistito in tv alla partita tra Lecce e Como. Poi sonda il terreno per una possibile collaborazione». Quei messaggi sono le prove del tentativo di combine. Come prove sono le risposte (anche queste stampate e consegnate alla magistratura) dei cinque calciatori «che hanno rifiutato qualsiasi proposta». Il direttore generale della Lega Pro,

Francesco Ghirelli, ha elogiato «l’estrema correttezza dei giocatori del Como». Resta l’ombra inquietante dell’ennesimo assalto della malavita internazionale che vuol far affari illeciti col calcio italiano.

Il caso Plauso dalla Lega

Il legale del club

«La società si è subito

mossa con la questura»

di ENRICO LEVRINI (Quotidiano Sportivo 06-03-2013)

Bocche cucite alla Calcio Como sulla vicenda della tentata combine. L’unico titolato a parlare è il legale della società, l’avvocato Fabrizio Diana del Foro di Como, a cui il club ha affidato la questione sin dai suoi albori. «Subito dopo essere stati contattati - spiega - i nostri giocatori hanno immediatamente avvisato il direttore Sportivo, Mauro Gibellini e il presidente, Pietro Porro». Intuita sin da subito la gravità dei fatti, i vertici del club azzurri hanno poi accompagnato i giocatori - Il portiere Micai, i difensori Marchi e Ambrosini e i centrocampisti offensivi Cia e Tremolada - coinvolti nell’abboccamento in questura. «Hanno sporto denuncia formale - ha spiegato ancora l’avvocato Diana - allegando tutti i messaggi ricevuti e il profilo Facebook dell’organizzatore di scommesse».

Il legale del Como conferma che il tutto è avvenuto poco più di due settimane fa, all’indomani della sfida persa a Lecce. «Dal punto di vista sportivo scommettere su una partita è un grave reato - aggiunge l’avvocato Diana -, come del resto non denunciare eventuali tentativi dicombine». Sul comportamento irreprensibile dei giocatori del Como si è pure espresso pubblicamente Francesco Ghirelli, direttore generale della Lega Pro. direttore generale della Lega Pro. Sul sito ufficiale del Como già dal pomeriggio di ieri la società ha ospitato un intervento nel quale Ghirelli sottolinea «l’estrema correttezza degli stessi e del Presidente Porro, il quale, immediatamente, mi ha chiamato, mettendoci a conoscenza dell’accaduto. Come Integrity Office della Lega Pro abbiamo messo in atto tutte le procedure che sono d’uso in riferimento a questi fatti».

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