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K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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l'opinione CONTE, LA JUVE E QUEI NERVOSISMI DEL VECCHIO CALCIO

di Antonio Maglie - Corsport -30-01-2013

L'esibizione dl Antonio Conte, l'altra sera, subito dopo la sconfitta con la Lazio, pur comprensibile nelle motivazioni, è apparsa nella sostanza poco elegante. Non si tratta di scegliere tra il tecnico in versione «descamisado» e il tecnico in versione «cabarettista» ma di avere un confronto con un protagonista che, al di là delle rabbie contingenti, riesca a onorare il suo ruolo in maniera accettabile.

Ma proprio la strana performance dell'Olimpico (dopo l'altra molto meno strana ma più movimentata di sabato scorso) sollecita qualche interrogativo e/o riflessione sui motivi alla base dell'attuale nervosismo della Juventus. Contano certamente gli ultimi risultati, meno straripanti di qualche tempo fa, comunque inevitabili all'interno di una stagione lunga in cui tra molti alti ci può essere anche qualche basso. Ma forse contano molto di più i risultati (non ) conseguiti dalla società fuori dal campo, ad esempio nelle elezioni in Lega. Per la prima volta, negli ultimi venti anni, il club bianconero è «ai margini» del governo di via Rosellini. Una situazione nuova visto che il periodo sabbatico seguito a Calciopoli non può far testo perché prodotto da altre situazioni e condizioni. Essere «ai margini» provoca sensazioni strane, moltiplica le paure, soprattutto se poi vai in campo contro quello che è considerato il leader (o uno dei leader, l'altro è Galliani) del fronte dei vincitori. Ti tempo è passato, ma evidentemente la Lega continua a essere «l'ossessione» di chi vuole vincere sul campo e ritiene che molti giochi si facciano, però, fuori dal campo. Era esattamente la tesi dl Franco Sensi che lanciò l'assalto al Palazzo d'Inverno all'inizio del Duemila. Non era certamente infondata (e in qualche misura i fatti successivi gli hanno dato ragione) ma se queste preoccupazioni condizionano ancora i comportamenti, allora vuol dire che tanti passi in avanti il calcio italiano, in questi anni, non ne ha fatti. Il rinnovamento evocato, in realtà non è stato mai realizzato e, d'altro canto, chi mai avrebbe dovuto realizzarlo se i presidenti e i dirigenti sono più o meno i medesimi di allora? La paura che sembra orientare le proteste della Juve al dl là delle recriminazioni specifiche (in taluni casi fondate, in altri infondate) dimostra che nessun passo in avanti è stato fatto nella costruzione di una Lega capace di essere garante dl tutti e non solo di alcuni.

La stessa Juve, che pure ha sventolato la bandiera del rinnovamento, ha tenuto nel tempo atteggiamenti dl rottura finalizzati alla difesa dei propri interessi, dalla contestazione «postuma» delle sentenze di Calciopoli all'accordo collettivo con i calciatori (all'epoca, peraltro, il suo grande alleato era proprio Lotito), dalle denunce contro la Figc alla «terza stella» reclamata ma poi esibita solo nello stadio e non sulle maglie. Le preoccupazioni che oggi sono della Juve, sono state di altri ieri e saranno di altri ancora domani. A meno che, nel frattempo, uscendo dagli egoismi di parte, i presidenti riescano a entrare nell'ordine di idee che la Lega può essere utile a tutti se non è utile solo a qualcuno. Questo può avvenire creando una struttura di governo nuova, affrancata dalla tutela del «vincente» di turno. Ma per creare una governance nuova bisogna evitare comportamenti vecchi, vecchi come quelli tenuti in questi anni anche dalla Juventus.

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Conte sarcastico: Juventus spiazzata dalle sue battute

Marco Ansaldo - La Stampa -30-01-2013

Tra venti giorni Antonio Conte riceverà la Panchina d’Oro come miglior allenatore della passata stagione: con quello che ha ottenuto sul campo sarebbe ingiustificabile che i suoi colleghi non lo votassero per pura antipatia, come successe a Mazzarri l’anno scorso. Conte è stato il più bravo e continua a dimostrarlo. Il problema è che, in un momento di momentanea difficoltà, si è fatto stizzoso. Riesce a passare dalla parte del torto persino quando ha ragioni da vendere come sabato per il rigore negato contro il Genoa o martedì per le decisioni di Banti nella semifinale di Coppa con la Lazio. In un caso ha usato il cuore da ultras, nell’altro il sarcasmo che è un’arma magnifica ma difficilissima da maneggiare.

La sapeva usare l’Avvocato Agnelli («Davanti alla porta Laudrup sembra sempre sfortunato»), ne era un maestro Peppino Prisco («Il Milan è andato in B due volte, una a pagamento e l’altra gratis»). C‘era una leggerezza intelligente che colpiva senza disturbare. All’Olimpico Conte poteva concedersi la battuta sui rigori non visti con la Lazio invece ha perso la pazienza quando alla Rai gli è stato chiesto di parlare con pacatezza, ha esagerato nell’ironia ed è caduto nella provocazione. Fatti suoi. Un po’ meno sua è la sensazione di nervosismo che trasmette, al punto che qualcuno ci legge un disagio legato alla pochezza del mercato di gennaio.

La Juve ha 3 punti di vantaggio, ha sfiorato la finale di Coppa Italia con una formazione da provinciale, può giocarsi con il Celtic l’accesso ai quarti di Champions League: non c’è una ragione per alimentare un negativo clima di ombre anche se è vero che la squadra ha subito dei torti che, insieme alla flessione di rendimento, le hanno complicato la vita.

Lamentarsi è comprensibile ma serve a poco. L’atteggiamento del tecnico ha sorpreso anche la società che teme un contraccolpo negativo proprio quando, con la qualità del gioco e i risultati, aveva allontanato l’immagine arrogante del passato. Ma questo è Conte. Chi nasce quadrato non muore tondo e lui gli spigoli non li ha smussati con l’età.

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Gasport -30-01-2013

Lettere - Bianco e nero - a cura di Antonio di Rosa

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Panenka #16

LA FAMILIA DEL FÚTBOL

Un organismo con más socios que la ONU. Un presidente con un sueldo mayor que el de Barack Obama. Joseph Blatter no se esconde: "En la FIFA tenemos mucho poder". Lo saben sus 209 miembros -el último en llegar, la Asociación de fútbol de Sudán del Sur-, que rinden pleitesía a la vez que aguantan la presión genital de una institución que abraza y ahoga, que escucha y silencia a partes iguales. O estás dentro o no estás en ningún sitio.

Blatter disfruta del dominio, a todas luces incontestable y difícilmente expoliable, que el cargo de presidente de la organización futbolística más influyente del mundo le ofrece desde 1998. Maneja la FIFA como si fuera un reloj de su Suiza natal, marcando los tiempos de cada acontecimiento, gestionando a la perfección la idoneidad de cada escenario y acomodando todo tipo de intereses comerciales de gobiernos y multinacionales a un discurso enternecedor: el balón rueda por y para la concordia internacional. Inflexible ante los amaños de partidos, vista gorda ante los sobornos que se enrocan en su propia casa.

Si por algo luchó en la Asociación Internacional de Amigos de los Ligueros, que presidió durante los setenta, fue por preservar el encanto del desnudo. Tal vez por eso nadie ha conseguido dejarle en bragas. Malentendidos intencionados, salidas de tono, amenazas y una pedantería propia de alguien que no teme a nada acompañan a Blatter en cada rueda de prensa, en cada comparecencia pública, en cada defensa de sus decisiones. Como en las películas de aventuras, ninguno de sus enemigos se acaba llevando el tesoro. Y el suyo está muy bien custodiado.

Los gobiernos tiemblan cada vez que Sepp pronuncia el nombre de un estado. En Portugal, fue una carta de la FIFA la que obligó a cambiar un artíċulo de la ley del Deporte luso. La federación de Grecia fue directamente suspendida. Y en España una advertencia de dejar a la selección sin participar en el Mundial de Sudáfrica hizo tiritar a medio país. El trasfondo: una orden ministerial que dictaminaba avanzar elecciones a la RFEF. Blatter lo frenó en seco. Los afiliados a la FIFA responden sólo a la FIFA y si los gobiernos intervienen, la propia organización te aparta de los torneos internacionales y deja de reconocer tu campeonato nacional. Es la versión interesada del primo de Zumosol. Si te saca de un marrón, le debes una. Lo sabe bien la Federación de Fútbol de Bosnia, suspendida durante más de un año por no adecuar sus estatutos a las directrices FIFA. O dicho de otro modo, "la familia del fútbol", como se autodenomina en sus comunicados, necesita legitimar la sumisión de sus 'hijos'.

Este junio se cumplirán 15 años de la votación de Blatter como presidente. Nadie le hace sombra. Su coraza es inquebrantable. "Queremos que el fútbol aporte esperanza", sugiere a menudo. Y esperanza es justamente la que han perdido todos quienes abogan para que la FIFA sea un poco más transparente, democrática y creíble.

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Looking for Mr. Fix-it

Police around the world believe the mastermind of a hugely

lucrative illegal sports betting empire is a shadowy figure from

Singapore. Yet authorities there are refusing to arrest him.

by DECLAN HILL (OTTAWA CITIZEN 22-12-2012)

Rovaniemi is the town that Santa Claus built. Located on the Arctic Circle in northern Finland, its main claim to fame — until recently, that is — is as the “official home” of old St. Nick. There is a theme park on the outskirts of the town and many of Rovaniemi’s hotels and restaurants have names like “Rudolf’s Place” or the “Elf’s Lair.”

It was in this surreal, small Arctic town on a cold day in February 2011 that a mysterious visitor knocked on the door of the Finnish national police detachment.

What he told the police that day would lead to an international investigation that would rock the sports world on four continents, result in several deaths and the exposure of a network of corruption stretching around the world.

Arttu Granat was one of the policemen on duty when the visitor walked into the office. He recalls the man telling them that an international match-fixer, a Singaporean named Wilson Raj Perumal, was in town to arrange the outcome of the games of Rovaniemi’s soccer team.

At first, Granat and his colleagues could not believe it. A thousand people, at most, come out to watch their local soccer team.

But Granat said that as the man’s story began to unfurl, “we started to realize that we had something real. So we started to build up the surveillance team.”

For the next few days, the Rovaniemi police followed Perumal around town. They soon realized that their informant — who had vanished as mysteriously as he had arrived — was right: Perumal was fixing the local soccer team and he was travelling on a false passport. They arrested him and threw him in jail.

Wilson Raj Perumal is one tough guy with a long history as a violent match-fixer. He’d been fixing games in the Malaysian and Singaporean soccer leagues since the 1990s and had been convicted of breaking the leg of a soccer player who would not follow his orders.

At first, Perumal was not a model prisoner. A few days after his arrest, he tried to escape. That led to a fight featuring Perumal taking on three police officers.

But alone in his jail cell in the isolated Finnish town, Perumal began to realize he was running out of alternatives. He knew he’d been betrayed. He knew that if he were released, he’d be deported back to Singapore and he would not survive. Singaporean prisons are not noted for their niceness. Nor are his criminal colleagues.

So Wilson Raj Perumal began to talk. His story shocked the soccer world. Perumal told them he was a senior member of a network of international criminals who fixed matches around the globe, from Finland to Zimbabwe to El Salvador to Germany to Italy to Canada. Since then, his story has been confirmed countless times and has sparked police investigations across Europe, Africa, Latin America and Asia.

However, what has gathered little attention is that the leader of the gang, another Singaporean named Dan Tan Seet Eng, continues to run a lucrative game-fixing operation in a number of countries.

He is the man who organized Perumal’s capture by the police. And he’s wanted under an international arrest warrant issued by Interpol — although so far, no one in Singapore, where Dan Tan lives, has bothered to arrest him.

The globalization of sports gambling has been nothing short of a revolution. In the way the Internet affected the music and travel industries, so, too, has the gambling world has been transformed. Gamblers can now place bets on almost any professional sports event, no matter how big or small, no matter where it occurs in the world.

The gambling markets that Canadians know — Las Vegas, the provincial lotteries or even the gambling networks run by organized crime — are small potatoes in this new world. According to André Noël Chaker, a consultant for the World Lottery Association and an expert in the field of sports betting, as much as 70 per cent of this international market is based in Asia.

Macau, the gambling centre of Asia, has one casino that takes in revenue equal to that earned by all of the casinos in Las Vegas combined.

In total, Macau’s gambling operation is six times the size of Vegas’s. As for sports gambling, just one of the many Asian sports gambling companies has a gross annual turnover four times larger than the sporting equipment giant Adidas.

Because much of this vast and powerful market is illegal, it is difficult to find an accurate estimate of its size. In 2005, the gambling executive Simon Holliday, writing in the journal Foreign Policy, placed the total size of the Asian gambling market at $450 billion, nearly twice the amount of federal government spending in Canada last year and more than four times the value of the entire Asian pharmaceutical industry.

What is known for sure is that illegal gambling has corrupted a broad range of sports across Asia, from Japanese sumo wrestling to Pakistani cricket to Taiwanese baseball.

But perhaps none more than soccer.

“The Chinese soccer league is a national disgrace,” former Chinese Premier Hu Jintao said in the fall of 2009, declaring that the extensive match-fixing in his country’s main league had become an international embarrassment. Soon after, China’s police moved in and arrested more than 200 top league officials, club owners, referees, players and coaches.

There have been similar scandals in soccer leagues across Asia. In Malaysia, the corruption was so bad that a cabinet minister estimated that 70 per cent of games in the country’s domestic leagues were being fixed by gamblers.

Asian sports fans are not stupid, of course. In a world of international television broadcasts and globalized marketing, they are turning their attention away from corrupted leagues at home toward sports on other continents. From soccer in England to the National Basketball Association in North America, interest in non-Asian sports is rising exponentially in Asia.

Asian bettors are following suit. Why bet on a game in a corrupt league when you can just as easily bet on a game in Europe or North America?

To service this massive and growing gambling interest, companies with thousands of employees have sprung up to report on sports events all over the world. In places as far flung as Ottawa and Rovaniemi, these monitors go to games to provide reports on the quality of teams and player injuries for Asia’s gambling markets.

So, then, what’s a hard-working Asian criminal fixer to do? They do what’s required to stay in the game: travel around the world to fix games in the same way that they fixed matches closer to home.

This was the business strategy of Wilson Raj Perumal and his one-time partner Dan Tan. According to the now-voluminous files from the dozens of national police investigations sparked by Perumal’s arrest in Finland, he and Dan Tan were two of the best match-fixers in the business, travelling the world to spread corruption to many sports in many countries and making millions doing it.

Fixing a soccer game is not an easy business, and requires a set of specialized skills. To be successful, a criminal has to weave a net in two directions. The first is the obvious part — bribing players, referees and managers to actually lose or underperform in their games. The second is fixing the vast sports gambling market. This is a tricky skill, akin to insider trading on the stock market.

Bookmakers don’t like to be defrauded, which is what fixing a match is all about. To satisfy themselves that nothing unseemly is taking place, they anxiously scan the betting odds of every sports event. As a result, getting them to accept the bets on a game in a size large enough to make it worthwhile for the fixers can be a difficult job.

According to Perumal, European police forces and gambling world sources, Dan Tan is a grandmaster at escaping bookmakers’ scrutiny. Tan’s key contacts are local thugs and criminals with the connections to the players and teams in their countries that are needed to get them to lose games. Tan then marshals his assistants to get bets under the betting radar screen.

Tan does his work with a rare mix of warm charm and chilling menace. He is rarely photographed or seen in public. He has been to a number of high-level soccer international tournaments, and top players report that he is friendly and open. His reputation for ready, quick cash payment is solid. But mess with him and there will be consequences, as Perumal found out.

For a time, Dan Tan worked with the infamous Sapina brothers in Germany, a pair of Croatians who run a bar in Berlin. The Sapinas, who have been fixing soccer games for years, first came to official attention when they managed to get a young referee, Robert Hoyzer, to throw games for them. After their convictions, they met with Dan Tan to begin another, much larger network of corruption.

According to court documents, Dan Tan got together with the brothers and a European gambling executive in Vienna in the summer of 2008. At the meeting, they devised a system of grading each game: If local criminals managed only to bribe the referees, the fix would receive a one-star rating; if they’d bribed two or three players from one team, the fix would receive two-stars and so on all the way up to a five-star fix when players from both teams and their owners were on the take.

In this way, the syndicate would know how much money they could safely invest on fixed games.

Their system in place, Tan and the Sapinas began to work together, establishing a worldwide fixing network. In all, they fixed dozens of matches in nine countries. In eight of those countries, national police have begun investigations.

The exception is Canada, where the network succeeded in fixing a match in the third-tier Canadian Soccer League, yet there still has been no official inquiry in the match. The CSA’s rather tepid response was to visit FIFA’s world soccer headquarters in Zurich to figure out how to deal with the problem.

Flushed by all of his success, Dan Tan stepped up his activities and started a new and much bigger network.

It is fashionable among anti-corruption consultants to claim that sports fixing is a victimless crime. They should visit Jouko Kiistala, the former head of the soccer team in Rovaniemi, Santa’s official home in northern Finland.

Kiistala first became involved with the team as a young star in 1964. He dedicated more than 47 years to the team as a player, assistant coach, coach and then general manager. Over the years, he consistently tried to find ways for his small-town team to beat the big-city boys from Helsinki.

In the 1990s, he came up with the idea of importing players from Zambia. He recruited the players, found them apartments and paid them good wages.

“I trusted them,” he said in an interview at a local hotel. “Some of them were like family to me. When the police first arrested them, I was angry with the cops. I defended my players.”

As Kiistala talks, he begins to cry. Rovaniemi used to be known as a Cinderella team, gaining a reputation for punching far above its weight and sometimes winning national trophies and competing in European championships.

Now the team is known for fixing.

In the middle of the police investigation, the team’s directors called Kiistala and suggested he resign. No one suspected him of fixing, but Kiistala was left with no official connection to his life’s work.

He is not the only victim caught up in this trail of corruption.

Robert Kutasi was chairman of REAC, one of the top soccer teams in Hungary. Kutasi had been a leader in his league for his anti-corruption efforts. In March of this year, after learning his own team was suspected of fixing games and six of his players had been arrested, he told the Hungarian newspaper Nemzeti Sport: “My life is over. What I fought for has come to nothing. This club has become beaten down by filth. What I worked for has been ruined by people that I trusted.”

The next day, apparently devastated by the idea of his beloved team involved in corruption, he jumped off the roof of his house.

Kutasi is one of at least a half dozen people who have encountered violence in connection with sports corruption.

In 2011, near the northern Italian town of Cremona, a local soccer player was found groggy in his car after a serious accident. When police tested him, they discovered that he had been drugged before a match with sleeping pills.

There was a rash of suicides in South Korea. In Germany, the organized crime task force investigation that was launched against a fixing network began when a mobster, on an intercepted phone call, was heard threatening to murder the daughter of a prosecutors.

According to Perumal and the Finnish police investigators in Rovaniemi, he and Dan Tan got together in 2008 to establish another international fixing syndicate. This network was to be even bigger than Dan Tan’s operation with the Sapinas.

It had links with Chinese gamblers and to European criminals who had connections with players, coaches and team owners in a vast network of corruption. The syndicate was bound together, according to Perumal, with absolute violence.

In his testimony, Perumal talked about a classic mafia-style meeting at which the world was literally divided up into areas of control for each of the criminals in the network. Perumal said he was “given” most of Africa and Central America.

He later arranged fixed matches for the Zimbabwean national team.

According to an investigative report written by Zimbabwean sports officials, at one point he had almost the entire national soccer team working for him.

Perumal also fixed games in South Africa. This week, after the release of a special report, the country’s soccer federation admitted that Perumal could have also been aided by some of its top officials.

One of the games Perumal helped fix is believed to be an international friendly played May 31, 2010, just before the World Cup in South Africa. South Africa defeated Guatemala 5-0 in the game, which featured three extraordinary penalties.

While Perumal was working his geographical areas, Dan Tan and the rest of the syndicate were fixing games across Europe, including those involving some of Italy’s top teams. Dan Tan and his Serbian business partners were so successful that Italy’s outgoing prime minister, Mario Monti, suggested suspending the whole league for a year just to sort out all the corruption.

Despite all of their on-field success, Perumal and Tan’s relationship soured. As happens in any business field, the partners fell out over money. Perumal is now in protective custody in Hungary, but in an interview with the Italian investigative journalism site Invisible Dog he claimed: “I am now at ‘war’ with (Dan) Tan,” who he described as the most wanted man in Italy.

But not, it seems, in Singapore.

Although Interpol, the international police force, has issued an arrest warrant for Dan Tan in his native Singapore, police there have not charged him or brought him into custody. This on an island city state half the size of Ottawa where police prosecute citizens for chewing gum and whip street hooligans.

European police are somewhat mystified by this. To ensure the local police could find him, they provided Tan’s address, birth date, phone number and social insurance number. Word came back that the intercepted phone conversations on which some of the Interpol arrest warrant was based were illegal in Singapore.

In response, the Europeans pointed out that they also supplied corroborating witnesses statements. Indeed, Perumal’s testimony alone should have been enough to have Tan arrested, or at least brought in for questioning. Last week, Tan’s purported right-hand man in Italy, a Serbian criminal, turned himself into authorities.

So what’s really behind Singapore’s refusal to act against Dan Tan? I think I know one possible reason.

While working on my book, The Fix, I spent time around the kind of people in Tan’s and Perumal’s fixing network. I taped members of a fixing syndicate secretly meeting with Ghana’s goalkeeping coach before the 2006 World Cup.

It is important to remember that fixing syndicates don’t work alone. They often need money to pull off high-profile fixed matches. To conduct these kind of fixes, their organizations rely on influential backers, people with money and power.

Perumal hinted at this in his Invisible Dog interview, and although the journalists asked repeatedly for the names of the backers, Perumal refused to identify them, claiming he was afraid for his family’s safety in Singapore.

The last thing Singapore’s government wants is a convicted match-fixer standing up in a European court and revealing who some of his powerful financial backers might be.

Another possible reason for the refusal to arrest Dan Tan is that the fixers have corrupted some very big sports events. International sports officials are not enthused about the idea of yet another convicted match-fixer standing up in court and providing another list of important games he fixed and players he bribed.

So for the moment, a seemingly phoney war continues. Sports authorities speak about the dangers of match-fixing but no official has publicly denounced the Singaporean government for not arresting Dan Tan.

All the while, his network seems to be still at work. In October, the captain of the Guatemalan national team was banned for life for fixing games.

Meantime, FIFA, the organization in charge of international soccer, has plans for a $20-million education centre to teach against the evils of match-fixing.

Its location? Singapore.

Modificato da Ghost Dog

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Champions League tie

in England was fixed

by SAM MUNNERY (THE TIMES 04-02-2013)

Last updated at 11:42AM, February 4 2013

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Antonio Conte, now the Juventus coach, was suspended for his role in a match-fixing scandal while managing Siena Jonathan Moscrop/AP

A Champions League game played in England in the last four years is one of 380 matches to have been fixed across Europe, the continent’s police agency believes.

Europol has not revealed which match it suspects of corruption after a wide-ranging investigation that has placed more than 380 matches under suspicion, including World Cup and European Championship qualifiers.

Investigators say they have uncovered an organised crime syndicate based in Asia that was co-ordinating the operation, claiming that hundreds of players, officials and serious criminals were involved in fixing the outcomes of matches.

Rob Wainwright, the head of Europol, said the probe uncovered “match fixing activity on a scale we have not seen before”. Betting profits from the racket totalled €8 million (about £6.9 million) with €2 million-worth of bribes being handed out to players and officials, he revealed.

“This is the work of a suspected organised crime syndicate based in Asia and operated with criminal networks around Europe,” he said.

“It is clear to us this is the biggest-ever investigation into suspected match-fixing in Europe. It has yielded major results which we think have uncovered a big problem for the integrity of football in Europe. We have uncovered an extensive criminal network.”

Wainwright said the investigation has already led to several prosecutions. Asked specifically about the allegations surrounding the Champions League tie held in England, Wainwright declined to identify the match because of “ongoing judicial proceedings”.

However he did say it happened in the last three to four years. “The focus has been on other countries, not the United Kingdom. However we were surprised by the scale generally of the criminal enterprise and just how widespread it was,” he said.

“It would be naive and complacent of those in the UK to think such a criminal conspiracy does not involved the English game and all the football in Europe.”

In a statement, Uefa said it would co-operate with the investigation.

“Uefa is aware of the statements made by Europol regarding the alleged match-fixing that has taken place in various football competitions and expects to receive further information in the coming days,” European football’s governing body said.

“As part of the fight against the manipulation of matches, Uefa is already co-operating with the authorities on these serious matters as part of its zero-tolerance policy towards match-fixing in our sport.

“Once the details of these investigations are in Uefa’s hands, then they will be reviewed by the appropriate disciplinary bodies in order that the necessary measures are taken.”

It was not immediately clear how many of the matches have been revealed in previous match fixing investigations at a national level in countries including Germany and Italy.

Champions League tie

in England was fixed

by SAM MUNNERY (THE TIMES 04-02-2013)

Last updated at 11:42AM, February 4 2013

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A Champions League match in England has been cited in the investigation Action Images

A Champions League game played in England in the last four years is one of 380 matches to have been fixed across Europe, the continent’s police agency believes.

Europol has not revealed which match it suspects of corruption after a wide-ranging investigation that has placed more than 380 matches under suspicion, including World Cup and European Championship qualifiers.

Investigators say they have uncovered an organised crime syndicate based in Asia that was co-ordinating the operation, claiming that hundreds of players, officials and serious criminals were involved in fixing the outcomes of matches.

Rob Wainwright, the head of Europol, said the probe uncovered “match fixing activity on a scale we have not seen before”. Betting profits from the racket totalled €8 million (about £6.9 million) with €2 million-worth of bribes being handed out to players and officials, he revealed.

“This is the work of a suspected organised crime syndicate based in Asia and operated with criminal networks around Europe,” he said.

“It is clear to us this is the biggest-ever investigation into suspected match-fixing in Europe. It has yielded major results which we think have uncovered a big problem for the integrity of football in Europe. We have uncovered an extensive criminal network.”

Wainwright said the investigation has already led to several prosecutions. Asked specifically about the allegations surrounding the Champions League tie held in England, Wainwright declined to identify the match because of “ongoing judicial proceedings”.

However he did say it happened in the last three to four years. “The focus has been on other countries, not the United Kingdom. However we were surprised by the scale generally of the criminal enterprise and just how widespread it was,” he said.

“It would be naive and complacent of those in the UK to think such a criminal conspiracy does not involved the English game and all the football in Europe.”

In a statement, Uefa said it would co-operate with the investigation.

“Uefa is aware of the statements made by Europol regarding the alleged match-fixing that has taken place in various football competitions and expects to receive further information in the coming days,” European football’s governing body said.

“As part of the fight against the manipulation of matches, Uefa is already co-operating with the authorities on these serious matters as part of its zero-tolerance policy towards match-fixing in our sport.

“Once the details of these investigations are in Uefa’s hands, then they will be reviewed by the appropriate disciplinary bodies in order that the necessary measures are taken.”

It was not immediately clear how many of the matches have been revealed in previous match fixing investigations at a national level in countries including Germany and Italy.

In a separate case in Italy last year, prosecutors exposed an international gambling ring which paid players to throw matches deliberately in a sports betting scandal known as Scommessopoli, which echoed the 2006 Calciopoli scandal that resulted in Juventus being demoted to Serie B and stripped of its 2005 and 2006 Serie A championship titles.

Antonio Conte, now the coach of Juventus, was banned from football for ten months - reduced to four on appeal - for his part in Scommessopoli, a major investigation into irregular betting patterns and incidents of match-fixing involving 45 people and 13 clubs.

Conte, the former coach of Siena in Serie B, was cleared of direct involvement in match-fixing but was charged with failing to report attempts to fix Siena matches against Novara and AlbinoLeffe during the 2010-11 season. An Italian football tribunal acquitted him of wrongdoing in relation to the Novara match and Italy’s sporting arbitration court in October reduced his ban to four months.

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L’inaccettabiltà del deficit di tutela anche alla luce della concorrente menomazione delle garanzie difensive in

sede disciplinare: l’esperienza di “scommessopoli”

da LA GIUSTIZIA DISCIPLINARE SPORTIVA DOPO LA SENTENZA DELLA CONSULTA TRA ULTERIORI CONTRADDIZIONI DI SISTEMA E SPUNTI RICOSTRUTTIVI

di ANTONINO DE SILVESTRI (GiustiziaSportiva.it | Pubblicazione numero 2 | 2012)

Avvocato del Foro di Vicenza, responsabile dell’area giuridica del Master SBS

La clamorosa vicenda disciplinare in ambito FIGC di quest’estate, giornalisticamente denominata “scommessopoli” la quale, seppur tutt’ora in corso (1), ha già avuto l’effetto di limitare pesantemente la carriera di molti calciatori, alcuni dei quali che hanno vivamente proclamato la loro innocenza offre spunto, al di là di ogni valutazione in merito, per denunciare, anche sotto altro profilo, l’inaccettabilità della soluzione interpretativa che sbarra la strada al ripristino giurisdizionale del bene della vita ablato in via disciplinare.

1)
I comportamenti di rilevanza disciplinare, collegati alle due clamorose inchieste condotte dalla Procura della Repubblica di Cremona e da quella di Bari, sono stati giudicati sia dalla Commissione Disciplinare nei giorni 2, 3, 4 e 5 agosto di quest’anno (CC. UU. nn 11 e 12/ CDN del 10 agosto 2012) e, in grado di appello, dalla Corte di Giustizia Federale nei giorni 21 e 22 agosto (CC. UU. nn. 29 e 30/CGF del 22 agosto 2012). La quasi totalità dei sanzionati, sia tesserati che società, hanno avanzato ricorso innanzi al TNAS e, allo stato, risulta deciso solo quello concernente Antonio Conte che, com’è largamente noto, si è visto ridurre a quattro mesi il periodo di sospensione dall’attività ufficiale. La pendenza dei relativi procedimenti mi esime, pertanto, dal fornire dettagli e osservazioni circa le singole posizioni.

Occorre infatti riconoscere che l’attuale struttura del procedimento disciplinare (calcistico, ma il discorso è ovviamente estensibile anche alle altre federazioni), risulta essere tutt’altro che a tenuta in punto di rispetto delle garanzie difensive.

Quanto sopra affermato potrebbe destare sorpresa in chi, astenendosi dall’esaminare nel dettaglio le prescrizioni del Codice di Giustizia Sportiva della FIGC, si limitasse a prendere atto, oltre che del dettato legislativo di riferimento, delle inequivocabili affermazioni di principio contenute nello Statuto Coni e nelle altre fonti secondarie volte a “conformare” l’autonomia autodisciplinare delle singole Federazioni.

Ed infatti, secondo il d.lgs n. 242/1999, la Giunta Nazionale del CONI è tenuta a individuare i criteri generali dei procedimenti di giustizia sportiva in modo tale che questi “ rispettino i principi del contraddittorio tra le parti e del diritto di difesa”; lo Statuto dell’ente, da parte sua, “garantisce giusti procedimenti per la soluzione delle controversie nell’ordinamento sportivo”; i Principi Fondamentali dello stesso, ancora, impongono alle Federazioni di “adeguare gli statuti ed i regolamenti ai Principi di Giustizia emanati dal CONI e, per quanto non previsto espressamente, ai principi del diritto processuale civile, penale e amministrativo”; tali ultimi Principi prevedono, infine, “che deve essere assicurata la giustizia tecnica e eventualmente personale in ogni stato e grado del processo” e che la giustizia sportiva debba “ essere rapida nel rispetto del diritto di difesa (2).

2)
Le fonti citate nel testo sono, rispettivamente: l’art 7 comma h,
bis
d. lgs 23 luglio n. 242; l’art. 2 n. 8 Statuto CONI; il Quindicesimo Principio Fondamentale degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali e delle Discipline Sportive Associate, rubricato di Giustizia Sportiva, 15.8; i Principi di Giustizia Sportiva, ai punti 4.2 e 4.7.

Tali proposizioni risultano tutte recepite, a cascata, sia nello Statuto della FIGC, secondo il quale “le norme relative all’ordinamento della giustizia sportiva devono garantire il diritto di difesa” che nello stesso Codice di Giustizia Sportiva, il quale prescrive che, “in assenza di specifiche norme del presente codice e degli altri regolamenti federali, gli organi della giustizia sportiva adottano le proprie decisioni in conformità ai principi di diritto applicabili all’ordinamento sportivo nazionale e internazionale” nonché, ancora, che “dovrà essere assicurata la difesa in ogni stato e grado del processo” (3).

3)
Art. 33 n. 2 Statuto FIGC e 2.1 CGS.

Se poi si considera che l’Alta Corte di Giustizia Sportiva, il massimo organo giustiziale con funzioni nomofilattiche, oltre che di tutela dello ius litigatoris, sembra offrire ulteriori e dotti supporti nella medesima direzione (4), non sembrerebbero poter residuare dubbi circa il rispetto delle garanzie difensive nei procedimenti de quibus.

4)
Secondo l’Alta Corte di Giustizia Sportiva (decisione n. 9, anno 2012, L. Moggi c/ FIGC), che non manca di sottolineare come i principi di diritto dalla stessa enunciati “ devono essere tenuti in massimo conto da tutti gli organi di giustizia sportiva”, “l’ordinamento della giustizia sportiva, per quanto autonomo ed indipendente, non può sottrarsi ai principi fondamentali irrinunciabili contenuti nella Costituzione italiana e sugli atti, anche essi fondamentali, dell’Unione europea, dovendo invece interpretare e applicare le norme dello stesso ordinamento sportivo alla luce degli anzidetti principi fondamentali, soprattutto quelli attinenti alla persona umana e alla sua tutela (cfr, al riguardo, la decisione di questa Alta Corte n. 12/2011, sul ricorso relativo alle elezione FISI, sul punto che riguarda i principi del giusto processo”. Principi che tale ultima decisione aveva tra l’altro individuato, nel rispetto “del contraddittorio tra le parti in condizioni di parità”.

Anche perché, si dovrebbe aggiungere ad ulteriore e definitivo riscontro, come sia la stessa legge n. 280/2003, all’art. 1, a riconoscere che l’autonomia dell’ordinamento sportivo, dunque anche nella scelta dei propri schemi giustiziali, debba cedere il passo alla sovranità, e quindi alla soggezione al sistema della legalità costituzionale ove si versi in materie, quali il diritto al lavoro dei calciatori professionisti e quello d’impresa delle società di appartenenza, la cui rilevanza per l’ordinamento statuale è fuori discussione.

Non è certo questa la sede per affrontare funditus una tematica di così ampio respiro, e comunque assai controversa, quale quella delle garanzie difensive che devono essere rispettate nei diversi moduli procedimentali non giurisdizionali alla luce del generalissimo principio del “ giusto processo” e delle sue specificazioni applicative.

Né si vuole prescindere, nella specie, dalla realistica considerazione che i procedimenti disciplinari sportivi si fondano su peculiarissime esigenze di speditezza, coessenziali al regolare svolgimento dei campionati, che imponendo la predeterminazione dei loro tempi di durata, risultano di fatto incompatibili con il pieno esercizio dei diritti di difesa nei termini usuali (5).

5)
Un panorama esaustivo su come dovrebbe atteggiarsi il procedimento disciplinare sportivo ove allo stesso dovesse applicarsi integralmente il principio del “giusto processo” in P. GUALTIERI,
La giustizia sportiva nel calcio
, in,
Dir. spor.
, 2011, pp 189 ss. I risultati della invero esaustiva analisi non possono però essere totalmente condivisi perché l’A, muovendo dal presupposto che anche tale procedimento avrebbe “natura giurisdizionale” (p. 191) coerentemente ritiene, secondo il costante esempio della Corte Costituzionale, “che il diritto di difesa ed il principio di ragionevole durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini del bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema delle garanzie: più specificamente, quest’ultimo non può comportare la vanificazione degli altri valori costituzionali che in esso sono coinvolti, primo fra i quali il diritto di difesa, che l’art. 24 comma 2 proclama inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” (p. 195).

Appare però difficilmente contestabile, al di là di ogni questione teorica e di “bilanciamenti” tra esigenze contrapposte, come il modello di procedimento disciplinare disegnato dal Codice di Giustizia Sportiva offra spazi difensivi a dir poco ridotti e come, in buona sostanza, la sorte degli incolpati sia inaccettabilmente rimessa, in larga parte, all’operato e alle valutazioni della Procura Federale.

Questa, infatti: a) ha il monopolio assoluto delle indagini, che conduce in assoluta segretezza, ed anche se negli interrogatori degli incolpati è prevista l’assistenza del difensore, questa appare però meramente formale. E se i capi di incolpazione devono essere comunicati agli interessati prima del deferimento, tale incombente si risolve in una mera anticipazione delle determinazioni già assunte, posto che essa non è soggetta a nessuna altra formalità prima di procedere all’atto di rinvio, che non risulta di fatto condizionato dalla spendita di alcuna attività difensiva; b) decide se e chi deferire a suo insindacabile giudizio, al di fuori di ogni possibile interlocuzione con l’incolpato; c) il fascicolo del dibattimento è composto unicamente dal materiale dalla stessa raccolto, ed è su questo che si svolge il giudizio. L’istruttoria dibattimentale è praticamente inesistente, risolvendosi in sostanza nella requisitoria della stessa Procura, scontata e meramente ripetitiva delle decisioni già assunte con il deferimento, salvi gli aggiustamenti per eventuali patteggiamenti, e nella successiva arringa del difensore sul l’anzidetto materiale da questa raccolto e valutato, essendo assai raramente i documenti prodotti idonei a far valere le ragioni dell’incolpato. Non è prevista, e comunque non praticata, alcuna forma di interrogatorio, sia diretto che indiretto (è ammessa solo la possibilità di rendere dichiarazioni libere che, com’è noto, sono praticamente inidonee ad influire sull’esito del giudizio), né si procede di regola all’escussione di testimoni (6).

6)
Maggiori dettagli in punto di svolgimento del procedimento per illecito sportivo in F. BAGATTINI,
I procedimenti
, in AA VV,
Commento al nuovo Codice di Giustizia Sportiva. Aspetti giuridici e casi pratici
, Giuffrè, Milano, 2008, pp 263 ss; ulteriori spunti critici in P. GUALTIERI,
op. cit
., pp 195 ss.

Il modulo procedimentale attualmente vigente è dunque di stampo strettamente inquisitorio, ben diverso dal sistema accusatorio a cui si ispira l’attuale codice di rito, ed in ogni caso con garanzie largamente minori da quelle offerte da quello previgente, a carattere misto, in cui era almeno prevista la separazione (di massima) tra funzioni inquirenti e requirenti nonchè, soprattutto, la possibilità di difendersi a dibattimento, rendendo l’interrogatorio e escutendo testi, sia pure indirettamente (7).

7)
Rileva condivisibilmente P. GUALTIERI,
op. cit.
, p. 198, che la struttura del procedimento
de quo
è “di inaccettabile matrice inquisitoria”.

E’ del resto la stessa Commissione Disciplinare la quale, nel respingere le numerose eccezioni sollevate quest’estate dai difensori, ha ritenuto di dover specificare che “nel processo penale, fondato sul sistema accusatorio, la prova si forma nel dibattimento. Al contrario, nel procedimento sportivo, ha valore pieno di prova quanto acquisito nella fase delle indagini o prima ancora dell’apertura di esse (ad esempio i rapporti arbitrali che godono perfino di fede privilegiata) o da indagini svolte in altro tipo di procedimento (ad esempio, atti inviati all’A.G.). Non può essere reclamata, pertanto, l’applicazione al presente procedimento delle norme previste dal libro III del codice di procedura penale.

Il principio del contraddittorio si realizza nel rispetto delle forme previste dal CGS e non in base al codice di procedura penale che regola posizioni e diritti di tutt’altra natura e rilevanza.

Ne discende che il raggiungimento della prova di fatti contestati deve essere valutato esclusivamente in base ai principi dettati dal Codice di Giustizia Sportiva e costantemente seguiti dagli organi di giustizia sportiva” (8).

8)
E’ quanto si legge nel CU n. 11/ CDN 2012/2013.

Ma non è tutto, perché il vulnus ai diritti della difesa, con conseguente incremento delle probabilità di sanzionare innocenti, si incentra anche sui parametri usati per valutare il materiale unilateralmente raccolto.

Secondo le sezioni unite della Corte di Giustizia Federale, pronunciatesi sul punto anche in occasione dei procedimenti di questa estate, per addivenire ad una affermazione di responsabilità “non sarebbe necessaria la certezza assoluta dell’illecito né il superamento del ragionevole dubbio, come nel diritto penale” ma, come ad esempio stabilito nell’art. 4 delle disposizioni antidoping, alle quali dovrebbe “riconoscersi una portata generale”, basterebbe “acquisire una ragionevole certezza in ordine alla commissione dell’illecito“.

Tale singolare canone di giudizio cozza però con la presunzione di non colpevolezza, che alla luce del “giusto procedimento”, dovrebbe pur sempre rappresentare un principio fondamentale di tutti i procedimenti di natura sanzionatoria, ed è sulla scorta di tale ordine di idee che un arbitro del TNAS, abitualmente attestato sull’indirizzo sopra enunciato, ha ritenuto di non dover concordare con i colleghi esprimendo la propria dissenting opinion (9).

9)
Le espressioni virgolettate sono contenute nell’anzidetto C.U., ma quello enunciato è un principio ormai largamente consolidato a livello di giustizia endofederale, anche perché supportato dal conforme indirizzo del TNAS. La
dissenting opinion
è stata espressa dall’arbitro Bottari nel lodo 26 aprile 2012, Signori c/FIGC.

Il punto di maggiore criticità, quello che ha cagionato le generalizzate doglianze dei difensori, reiterate anche nei procedimenti pendenti innanzi al TNAS, attiene però allo specifico tema delle chiamate in correità che sono il generalizzato fondamento di tutti i provvedimenti sanzionatori le quali, avuto riguardo anche alle citate fonti CONI, dovrebbero essere valutate tutte alla stregua del disposto dell’art. 192 comma 3 cpp e della copiosissima giurisprudenza che su questo si è formata (10).

10)
La norma di cui all’art. 192 comma 3 cpp costituisce una novità rispetto al passato, perché nell’abrogato codice di procedura mancava una disposizione simile, anche se dottrina e giurisprudenza, abbandonato l’originario orientamento, erano concordi nel ritenere che la chiamata in correità, per poter fondare una pronuncia di responsabilità, doveva essere comunque “vestita”, confermata cioè da altri elementi probatori. La previsione attuale, da riguardarsi come garanzia di razionalità ed espressione di valori di civiltà giuridica impone ora, dopo una preventiva valutazione di intrinseca credibilità del chiamante in correità, la ricerca di elementi di supporto, obiettivi ed estrinseci, i c.d. riscontri esterni, che ponendosi in rapporto di circolarità, consentano al giudicante di confermarne la piena attendibilità della chiamata. La giurisprudenza ha poi elaborato in materia molteplici sub criteri in relazione alla ricorrente specialità dei singoli casi concreti, tutti rinvenibili nella abbondante giurisprudenza di legittimità facilmente reperibili in qualsiasi rassegna, dei quali si omette dunque la citazione. In dottrina, parimenti abbondante, vedi, per tutti, D. ROCCHI,
Sui gravi indizi di colpevolezza e sulla chiamata di correo in materia cautelare
, in,
Cass. pen.
2003
, 11 pp 34 85 ss; R. OLIVIERI DEL CASTILLO,
Giudice cautelari e libero convincimento. Chiamate in correità: servono garanzie
, in D & G, 2006, 44 pp 62 ss

La materia risulta assai delicata per effetto della previsione, da parte dell’art. 24 CGS, del c.d patteggiamento collaborativo, che autorizzando la Procura Federale, nei casi di collaborazioni fattive, a richiedere l’applicazione di sanzioni particolarmente miti e convenienti perché del tutto svincolate dalle pene specificamente predeterminate, costituisce peraltro un formidabile incentivo a coinvolgere, anche nel dubbio, per lucrare i relativi benefici, il maggior numero possibile di tesserati, specie se di rilevante caratura (11).

11)
il Codice di Giustizia Sportiva prevede, rispettivamente agli artt. 23 e 24, due diverse forme di applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento). La prima è strutturata sulla falsariga dell’analogo istituto del codice penale di rito, e ne è escluso il ricorso nei casi di recidiva, di pluralità di illeciti, di avvenuta alterazione dello svolgimento o del risultato della gara ovvero nel caso di conseguimento del vantaggio in classifica. La seconda, fondata sulla ammissione di responsabilità e di collaborazione fattiva per la scoperta o l’accertamento di violazioni regolamentari (c.d. patteggiamento collaborativo) non solo è ammissibile in ogni caso, ma legittima la Procura Federale a chiedere (ed ottenere) qualsiasi riduzione delle sanzioni edittali ovvero la loro commutazione in prescrizioni alternative ovvero, ancora, la loro determinazione in via equitativa. Maggiori dettagli, sui due istituti, in F. BAGATTINI,
Le sanzioni
, in, AA VV,
Commento
,
cit.
, pp 249 ss.

Tale circostanza avrebbe dovuto indurre i giudicanti, secondo le doglianze di molti difensori, a dedicarsi alla ricerca degli indispensabili riscontri obiettivi individualizzanti nei confronti di ciascun singolo incolpato, come costantemente richiesto in materia dalla giurisprudenza processual penalistica piuttosto che fondarsi, a fini di condanna, su pseudo motivazioni, assunte a clausole di stile, secondo cui le chiamate in correità dovrebbero considerarsi attendibili “perché auto ed etero accusatorie” e perché “non risulterebbero motivi di inimicizia con il chiamato” (12).

12)
Le espressioni virgolettate, sono rilevabili in tutti i CC.UU. citati, e costantemente utilizzate a fini di richiesta e di irrogazione di sanzioni. Sono comunque largamente generalizzatele doglianze dei difensori sul punto, che sotto vario profilo hanno lamentato come la valutazione delle chiamate in correità sia avvenuta sotto vario profilo
in malam partem
. In particolare le censure risultano incentrate: a) sulla omessa considerazione della c.d. scindibilità della chiamata, nel senso che la riscontrata veridicità di una sua parte non si estende
tout court
al suo intero contenuto; b) sulle circostanza che il ritenuto automatismo tra confessione e attendibilità delle chiamate non tiene in alcun conto che determinati contesti appaiono di per sé stessi equivoci per la presenza di più persone (tipico lo spogliatoio in cui avvengono con maggiore frequenza i fatti illeciti); c) sulla necessità, a fini di responsabilità, che i riscontri esterni risultino “individualizzati”, riferiti cioè non alla generica commissione dell’illecito, ma alla specifica, dettagliata e personalizzata indicazione del ruolo asseritamente svolto dal correo.

Come ormai si reclama da più parti, occorre dunque ridisegnare un modello di procedimento disciplinare equo il quale, pur a fronte delle irrinunciabili esigenze di speditezza, non mortifichi però i diritti degli incolpati garantendo loro, le (tendenziali) garanzie del contraddittorio (13), sia “verticale”, attinente ai rapporti degli incolpati con i giudicanti che “orizzontale”, concernente invece la dialettica accusa – difesa (14).

13)
Rileva M. CLARICH,
Garanzia del contraddittorio nel procedimento
, in
Dir. amm.
, 2004, 01, p. 62 come ”le garanzie del contraddittorio, sottese alla nozione ormai costituzionalizzata di giusto processo (art. 111 Cost.), non costituiscono un insieme predefinito e costante di poteri, doveri e facoltà attribuiti alle parti all’interno del processo…esse sono invece suscettibili di variazioni e adattamenti, per esempio, in funzione del tipo di processo.

14)
Maggiori dettagli, sulle due tipologie di contraddittorio, sempre in M. CLARICH,
op. cit.
, p. 64.

Quanto al primo, non potendo ipotizzarsi un dibattimento di stampo accusatorio che vede la prova formarsi in quella sede anche con il concorso dell’incolpato per l’impossibilità di prevedere tempi certi di durata, sarebbe però auspicabile un ritorno allo sdoppiamento tra funzioni inquirenti e requirenti, come del resto era già previsto prima della riforma del 2007 che, oltre ad evitare che la Procura Federale continui a rimanere il giudice del proprio operato, consentirebbe all’incolpato di far valere le proprie ragioni innanzi all’organo requirente terzo per tentare di opporsi al deferimento (15). A tali fini e per quelli di cui dirò subito dopo, si potrebbe prevedere che il ripristinando Ufficio Indagini, nel comunicare la chiusura delle stesse e nell’effettuare una discovery totale, mettendo a disposizione tutti gli atti, debba assegnare all’indagato un termine per farsi interrogare e/o per produrre dichiarazioni difensive.

15)
Osserva ancora M. CLARICH,
cit.
, come “separare le funzioni istruttorie e le funzioni decisionali significa accrescere l’effettività del contraddittorio “verticale”, ed anche P. GUALTIERI,
op. cit.
, p. 201, sostiene che “dovrebbe essere sancito il principio di separazione della fase investigativa da quella del giudizio”.

Quanto al contraddittorio “orizzontale”, relativo cioè alla dialettica tra le parti, occorrerebbe offrire il massimo spazio possibile alle indagini difensive (anche in prevenzione, ad esempio a seguito dell’interrogatorio dell’organo inquirente) le quali, all’uopo regolamentate, consentirebbero all’incolpato di difendersi “provando” e di arricchire il fascicolo del dibattimento con apporti difensivi anche su aspetti tralasciati o ignoti all’accusa (16).

16)
La materia dovrebbe essere dettagliatamente regolamentata. Quanto alle modalità di assunzione delle dichiarazioni difensive, non sussistono validi motivi per disporre che le stesse debbano essere assunte sulle scorta delle norme del codice di procedura penale (cfr artt. 327
bis
e 391
bis
cpp), anche se la logica di tali previsioni può essere ovviamente mutuata e adattata al procedimento disciplinare, imponendo ad esempio ai difensori assumenti l’obbligo di avvisare i dichiaranti delle ipotesi di illecito in cui potrebbero incorrere nel caso di informazioni non veritiere. Attualmente la norma sanzionatoria applicabile non potrebbe che essere quella, generica e sussidiaria, di cui all’art. 1 CGS. Sarebbe però a mio avviso opportuno enucleare una specifica e più grave figura di illecito disciplinare che possa fungere da deterrente per chi rende false dichiarazioni concernenti la responsabilità di terzi, non solo innanzi all’organo inquirente ma anche, appunto, secondo la logica di cui all’art. 371
ter
cpp, ai difensori dell’incolpato.

Deve segnalarsi, da ultimo, un’ evidente discrasia di sistema che attiene all’intera struttura dell’attuale procedimento disciplinare.

Il CONI, in sede di modifica dei Principi Fondamentali degli Statuti Federali, nell’intento di ripristinare il principio del doppio grado di giudizio, venuto meno a seguito dell’interpretazione giurisprudenziale che ha considerato il lodo della soppressa Camera di Conciliazione e Arbitrato, come un provvedimento di terzo grado di giustizia sportiva, ha infatti ritenuto di fissare la regola dell’alternatività, per l’appello, tra il TNAS (che ha preso il posto di quella), e l’organo giustiziale endofederale di secondo grado, nel caso della FIGC la Corte di Giustizia Federale (17).

17)
…Il ripristino dell’alternatività in appello e del doppio grado di giudizio sono ora fissate rispettivamente
sub
15.3 e 15.4 dei nuovi Principi Fondamentali degli Statuti delle Federazioni Sportive Nazionali, deliberati il 2 febbraio 2012 e approvati il 7 giugno 2012.

Tale soluzione, però, continuerà a perpetuare l’equivoco, secondo cui commissioni federali e istanze arbitrali sarebbero omologabili tra loro, accentuandolo ulteriormente perchè tutto lascia credere, infatti, che i sanzionati finiranno con l’optare per l’istanza esofederale sicuramente più garantista ed affidabile.

Innanzi al TNAS, perciò, si continuerà a convenire, anche per il previo esperimento del tentativo di conciliazione, il massimo rappresentante della federazione interessata (quella i cui organi giustiziali hanno irrogato la sanzione impugnata) in aperto contrasto con il Terzo Principio Fondamentale dettato dallo stesso CONI, che esige la netta distinzione tra i poteri di gestione sportiva e quelli di gestione della giustizia federale (18).

18)
E’ quanto si legge
sub
3.6 nel Terzo Principio, rubricato come separazione dei poteri, rimasto inalterato anche nel nuovo testo

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Il marcio dello sport

Editoriale (Le Monde 05-02-2013)

Amate lo sport, i suoi bei gesti, i suoi successi, i suoi sforzi fuori dal comune? Dimenticateli! Vi piacciono il denaro facile, i trucchi improbabili e le grandi truffe? Allora scommettete sullo sport d’alto livello. Si potrebbe sintetizzare così la cronaca delle ultime settimane.

Il 17 gennaio, con la confessione del ciclista Lance Armstrong, pensavamo di aver toccato il fondo. Il “campione” ha ammesso di essersi dopato nei suoi anni di gloria con un cocktail di Epo, trasfusioni e testosterone senza il quale, ha ammesso, non avrebbe potuto vincere sette Tour de France.

Dopo il ciclismo è il turno del calcio. L’odore dello scandalo ha cominciato a diffondersi dopo la pubblicazione, il 29 gennaio, di un’inchiesta della rivista France Football sugli accordi che hanno portato la Federazione internazionale del calcio (Fifa) ad assegnare al Qatar l’organizzazione dei Mondiali del 2022.

Ma l’atmosfera è diventata irrespirabile dopo la rivelazione dello smantellamento di una rete criminale internazionale sospettata di aver organizzato scommesse online su centinaia di partite truccate. L’annuncio è stato fatto il 4 febbraio dall’Europol. Il suo direttore, Rob Wainwright, ha dichiarato che c’è “un grave problema nel calcio europeo”, per poi precisare la portata dello scandalo: tra il 2008 e il 2011 almeno 680 partite sono state “comprate”, soprattutto in Europa ma anche in Africa, in Asia e in America Latina. Sono coinvolte 425 persone tra giocatori, arbitri, dirigenti e intermediari, originari di una quindicina di paesi diversi, tra cui Singapore, dove si troverebbe il centro di quest’organizzazione criminale.

Nelle stesse ore il quotidiano sportivo spagnolo AS ha pubblicato un’intervista sconvolgente all’ex presidente della squadra basca Real Sociedad. “Per sei anni la Real ha usato dei fondi neri per comprare prodotti dopanti”, ha detto Iñaki Badiola, che ha diretto la squadra nel 2008. E poi ha aggiunto: “Il fornitore potrebbe essere stato Fuentes”.

Eufemiano Fuentes è un medico spagnolo che si trova sotto processo a Madrid per il suo coinvolgimento in una vasta rete di doping ematico smantellata nel 2006 dalla guardia civil spagnola. Già all’epoca si sapeva che tra i suoi clienti non c’erano solo ciclisti, ma anche calciatori. Doping, scommesse truccate e riciclaggio di denaro da parte delle organizzazioni maiose: tutta l’etica dello sport è profondamente scossa da questi scandali.

I dirigenti sportivi mondiali devono assumersi in fretta le loro responsabilità, altrimenti finiranno, volenti o nolenti, per apparire come complici.

traduzione adr (Internazionale 8/14 FEBBRAIO 2013)

Declan Hill : "Ce scandale

des matchs truqués n'est

pas si compliqué à résoudre"

par EMMANUEL VERSACE (Le Monde 05-02-2013)

Auteur du livre "Comment truquer un match de foot ?" (2008, Ed. Florent Massot), le journaliste d'investigation canadien Declan Hill estime que la lutte contre les matchs truqués ne peut aboutir sans une coopération internationale des autorités, notamment avec certains pays d'Asie.

L'enquête d'Europol apporte-t-elle de nouveaux éléments ?

Cela fait des années que je travaille sur ce sujet et j'ai été moi-même surpris par l'ampleur du phénomène. Beaucoup de journalistes présents à la conférence de presse d'Europol se sont uniquement focalisés sur les matchs soupçonnés d'avoir été truqués dans leur propre pays. Mais d'après Europol, près de 680 matchs internationaux sont concernés... C'est un pourcentage extrêmement élevé sur les quelques centaines de matchs joués entre équipes nationales chaque année. Aujourd'hui, nous savons qui sont les personnes impliquées, mais celles-ci ne sont toujours pas derrière les barreaux.

Europol a une nouvelle fois mentionné l'implication d'un réseau mafieux asiatique. Connaît-on les suspects ?

J'ai été invité fin janvier à Rome par Europol à une conférence sur les matchs truqués. Par la suite, je devais à nouveau prendre la parole en février à Kuala Lumpur, en Malaisie. Après mon intervention à Rome, Europol m'a cordialement invité à ne pas me rendre à Kuala Lumpur, parce que dans mon discours, j'ai dit que le problème des matchs truqués n'était ni compliqué à résoudre, ni un long combat à mener, contrairement à ce que les gens peuvent penser. Il y a un homme qui est au centre de tout. Son nom est Dan Tan. Nous savons qui il est car un mandat d'arrêt international a été émis à son encontre par Interpol. C'est pourquoi je ne pensais pas que mes propos tenus à Rome étaient controversés, mais apparemment ils le sont.

Au moment où le mandat a été lancé contre lui, le gouvernement de Singapour a refusé de l'extrader, invoquant qu'aucun traité d'extradition n'était signé entre l'Union européenne et Singapour. Cela a laissé tout le temps à Dan Tan d'effacer toutes traces de son activité. C'est certain qu'il a des soutiens très haut placés. Si on lit entre les lignes de cette dernière conférence de presse, tout converge vers cet homme. C'est donc en l'arrêtant que nous pourrons limiter le nombre de matchs truqués dans le monde.

Cet homme que vous mettez au centre du réseau est-il aidé par d'autres organisations criminelles en Europe ?

Bien sûr. Beaucoup ont été arrêtés ou sont ciblés par les polices européennes. Mais ces organisations ne peuvent pas travailler seules. La mondialisation des criminalités est un phénomène relativement nouveau. Et pour le combattre, nous avons besoin d'essayer de nouvelles méthodes. Les gouvernements asiatiques doivent prendre leurs responsabilités et combattre les réseaux mafieux dans leur pays. En fin de compte, ce sont leurs ressortissants qui viennent dans nos pays truquer des matchs. Ce qui a été dit à cette conférence de presse résume seulement deux ans d'investigation, de 2009 à 2011, et ils ont trouvé 380 matchs truqués. C'est un long problème que seuls la FIFA et Interpol peuvent régler s'ils s'en donnent les moyens.

Selon vous, la FIFA a-t-elle la volonté réelle de résoudre ce problème ?

Je ne le crois pas. Pour moi, c'est le plus grand scandale de l'histoire du sport.

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Una norma della Fifa dà il via libera

Spiazzate le società di A: «Ma le regole non erano altre?».

-C'è fermento tra i dub italiani la chance può essere colta da altri

E se andie un italiano chiedesse di andare?

il Edmondo Pinna e Fabio Massimo Splendore - Corsport - 7-02-2013

ROMA - L'articolo di riferimento è il numero 6, il regolamento da prendere in considerazione è quello della Fifa. Il regolamento della Fifa sullo Status e sui Trasferimenti dei Calciatori (quello rivisto è entrato in vigore dal 1 dicembre 2012). Nel dettaglio. L'articolo 6 («Periodi di tesseramento») recita: «I calciatori possono essere tesserati esclusivamente durante uno dei due periodi annuali di tesseramento stabiliti dalla Federazione nazionale». Arriviamo al punto cruciale: «In deroga a tale principio, un professionista il cui contratto sia giunto a scadenza prima del termine del periodo di tesseramento può essere tesserato al di fuori di tale periodo». Ed è il caso che ci interessa. Secondo l'interpretazione della Fifa (come da commentario), tale eccezione (che esiste addirittura dalla circolare del 2002 in materia) si applica anche nel caso di risoluzione contrattuale. Il termine è «expired», ma tutto deve avvenire entro la fine della finestra di mercato della società acquirente. Saha ha risolto il suo contratto il 30 gennaio con il Sunderland. Avrebbe potuto farlo alle 18.59 del 31 gennaio. L'avesse fatto alle 19.01 avrebbe dovuto aspettare il mercato estivo. Tutto facile? Neanche per sogno. Per-chè... Ieri gli addetti ai lavori - manager, ds, dg, presidenti - erano in molti tra l'incredulo e il perplesso. «Ma il punto 7 comma b del comunicato federale150 /A del 27 aprile 2012 che fine fa? E chi ci ha detto che cambiava?». Questa la domanda secca. Già, il punto 7: «Calciatori professionisti provenienti da federazione estera con rapporto scaduto nella precedente stagione sportiva terminata entro il 31 luglio 2012 (...) - La richiesta di tesseramento dovrà pervenire (...) da domenica 1 luglio 2012 a sabato 30 marzo 2013 (ore 12)». E di lì il dubbio amletico ed eterno: ma la Fifa può determinare sui regolamenti interni delle singole Federazioni? Non sempre è così. E se è cambiata la norma perché non dirlo per tempo? E ora caccia allo straniero svincolato al 31 gennaio... E se - occhio a questa - anche un italiano si appellasse alla Fifa per il libero tesseramento da svincolato al 31 gennaio, sicuri che gli verrebbe detto no? A Zurigo sospirano...

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TENSIONE ATTORNO ALLA SOCIETA'

Bologna, soldi freschi o è il baratro

STEFANO BUDRIESI - Tuttosport -7-02-2013

BOLOGNA. Le "tensioni finanziarie" a cui ha fatto riferimento il direttore generale Zanzi preoccupano la piazza di Bologna A metà mese bisogna onorare le ultime mensilità di stipendi dei giocatori, per non incorrere in una penalizzazione in cui i rossoblù già incapparono sotto Porcedda. D presidente Guaraldi avrebbe in animo di prendere il toro per le coma, ovvero anticipare i bonifici addirittura prima della scadenza. L'aumento di capitale già in agenda (ma tutto da sottoscrivere) verrebbe dopo il 15 febbraio: secondo Renda, uno dei soci, occorrono 4.2 milioni per finire la stagione. La delibera del Consiglio aveva "chiamato" 6 milioni totali. Se tutti sottoscrivessero in base alle loro quote, Guaraldi ne avrebbe in carico circa 3. Ma l'aria che tira fra i soci della compagine rossoblù è tale per cui molti passeranno la mano, ovvero hanno già palesato l'intenzione di non mettere mano al portafoglio. Quindi il presidente dovrebbe coprire una quota maggiore, e chissà' se sarà in grado di farlo.

IMPEGNI Si vedrà come e in che termini il Bologna dalle casse perennemente vuote riuscirà a far fronte agli impegni. Certo Massimo Zanetti continua a restare alla finestra e non sembra intenzionato a prendere in mano la società dalla sua posizione di minoranza. Dopo i 4 milioni inizialmente versati e le dimissioni da presidente, il signor Segafredo ha mandato rari e dilazionati nel tempo segnali di interesse. La sua intenzione appare tuttavia chiara: non liquidare nessuno in ogni caso. Niente soldi per cacciare chi c'è ora, in altri termini. Viene da sè che Zanetti ha tutto l'interesse ad aspettare l'evolversi della questione.

FRENATO L'ipotesi del petroliere Volpi nel frattempo pare caduta definitivamente, dopo il comunicato tombale dell'advisorTamburi. Questa trattativa di fatto non è mai decollata, col patron dello Spezia, uomo di enormi potenzialità economiche, a trovarsi chiuse tutte le porte. Guaraldi, costruttore di mestiere, appare in difficoltà, ma resta attaccato con le unghie soprattutto al progetto del nuovo centro tecnico. D problema è che in questo momento le banche non sono così generose nell'aprire i rubinetti. E la gestione del Bologna, con una trentina di giocatori in rosa, resta estremamente onerosa e necessita come ossigeno di denaro fresco. Ovviamente tutto si rallenta. E' bloccato ad esempio il rinnovo di Diego Perez: l'uruguagio vuole un triennale ricco, il Bologna offrirebbe due anni a cifre più modeste. L'impellenza però resta pagare i giocatori. Le associazioni dei tifosi, create da Consorte, vigilano e un po' pure tremano. Domani ci sarà un incontro tra i rappresentanti dei 4000 tifosi che contribuirono al salvataggio del Bologna e la dirigenza rossoblù. La sede giusta per fare molte domande.

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La Rovesciata

Ha pagato Zeman

E perché non Baldini e Sabatini?

I due dirigenti della Roma si sono smarcati appena la classifica si è messa a piangere

Roberto Beccantini - Gasport -7-02-2013

Nella mia griglia estiva la Roma figurava al quarto posto.Oggi, dopo 23 giornate, è ottava. Succede di sbagliare pronostico, succede che te lo facciano sbagliare (alibi). Ciò premesso, non licenzierei mai un allenatore in corso d’opera. Nemmeno Zdenek Zeman. Scusate: perché Zeman sì e i dirigenti che lo reclutarono no? Franco Baldini e Walter Sabatini l’hanno sfangata anche stavolta. Sabatini è quel genio che, dopo il 3-3 di Bologna, convocò i giornalisti e spiegò loro che «stiamo valutando l’esonero ». Non l’annuncio di un fatto; l’ipotesi di un annuncio. Da lunedì 28 gennaio a venerdì 1˚ febbraio, sera di Roma-Cagliari sappiamo tutti com’è finita (e dov’è finito il «progetto»). Con Zeman è difficile restare sereni.

Il calcio, gli eccessi, le crociate: al diavolo lemezze misure e le mezze stagioni. Quando a Firenze, in Coppa Italia, sfoderò una pudìca difesa a tre, ci demmo dei pizzicotti: possibile? La Roma vinse 1-0, ai supplementari, e si qualificò per le semifinali. Zeman Usa e getta, dunque. Come se Baldini e Sabatini ne potessero ignorare il catechismo. Dall’utopia orizzontale di Luis Enrique, che non seppe resistere alle pressioni ambientali, all’eresìa verticale del boemo, che non ha saputo domarle, sfamarle.

Urge l’ennesima svolta, serve un’altra rifondazione. L’allenatore è pagato per pagare. Ne sono già saltati dieci, in questo campionato: nove esonerati, uno dimissionario (Giovanni Stroppa). Enrico Preziosi, il padre-padrone-padrino che ogni tanto parla di etica, proprio lui, ne ha scaricati due, addirittura: Gigi De Canio e Gigi Delneri. Davide Ballardini potrebbe essere quello giusto. Geloso e non meno cannibale, Maurizio Zamparini, a Palermo, ha replicato colpo su colpo: da Giuseppe Sannino a Gian Piero Gasperini, ad Alberto Malesani (auguri).

Tutti i tecnici hanno un proprio stile, ci mancherebbe: più o meno coerente, più o meno versatile. Non Zeman. O meglio: con Zeman non si può sbagliare, Zeman allena da sempre allo stesso modo, 4-3-3 e «più non dimandare », il miglior attacco corrisponde spesso alla peggior difesa, o a una delle più bucate. Ha preso il Pescara, in serie B, e l’ha portato di peso in serie A. Aveva Lorenzo Insigne, Ciro Immobile e Marco Verratti: li ha plasmati e valorizzati. Chi non scrisse «ha riaperto Zemanlandia » alzi la mano. Ha fatto il suo tempo, e potrà ritrovarlo solo in periferia, lontano da piazze troppo isteriche, troppo invasive.

Per questo, non giustifico le attenuanti generiche concesse a Baldini e Sabatini. Gli errori di Zeman — dai compromessi di mercato al caso De Rossi, alla scelta del portiere—sono fuori discussione: in discussione sono coloro che, a inizio stagione, fissarono il futuro societario a un’operazione così spericolata, salvo poi smarcarsi vigliaccamente non appena la classifica si èmessa a piangere, e la curva a strillare.

Zeman è un dogma scolpito: «Non avrai altro schema all’infuori dime». Soltanto nella lotta al marcio è sceso a patti: Antonio Giraudo e Luciano Moggi sì; tutti gli altri «santi dipinti», da Franco Carraro in giù, no (o molto meno). Baldini e Sabatini sono ancora lì, al loro posto. ComeseZeman avesse fatto cose dell’altro mondo, e non, semplicemente, del «suo» mondo.

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La farsa di Is Arenas: contro il Milan a Torino

Veto della Prefettura all'agibilità dello stadio. Cellino: "O a Quartu o perdiamo a tavolino"

Giovanni Capuano - sport.panorama.it - 7-02-2013

Intanto la notizia: Cagliari-Milan in programma domenica 10 febbraio 2013 per la 5° giornata di ritorno della Serie A si disputerà sul campo neutro dell'Olimpico di Torino e non a Is Arenas. La decisione è stata presa dopo un braccio di ferro durato giorni e ha scatenato la reazione furibonda del presidente del Cagliari Cellino che ha annunciato l'intenzione di non mandare la squadra a Torino e di perdere la partita a tavolino per 0-3 come già accaduto (ma per motivi differenti) contro la Roma.

Un vero e proprio caos che la Lega Calcio ha cercato di dirimere trovandosì, però, davanti a un muro invalicabile. A porre il veto all'agibilità dell'impianto di Quartu è stata infatti la Prefettura di Cagliari. Un parere vincolante superabile solo con la firma e l'assunzione di responsabilità da parte del sindaco del piccolo comune sardo. Firma che, però, non è arrivata in tempo.

1 - PERCHE' NON SI GIOCA A IS ARENAS?

Non si gioca perché la Prefettura di Cagliari ha fatto sua la deliberazione della Commissione provinciale di vigilanza, organo tecnico che presiede alla certificazione degli stadi e che ha dichiarato l'impianto di Quartu "inadeguato a fronte della inidoneità dello stadio di Is Arenas a supportare lo svolgimento della partita in oggetto (Cagliari-Milan) per motivi di ordine e sicurezza pubblica connessi alla situazione strutturale dell'impianto".

2 - MA NON ERA ARRIVATO IL VIA LIBERA DEL VIMINALE?

Via libera con restringimenti, ma pure sempre ok alla disputa della gara. L'Osservatorio aveva classificato Cagliari-Milan come partita di categoria 2 e quindi con stadio aperto senza limitazioni con potenziamento del numero delle forze dell'ordine. Però l'Osservatorio ha funzioni di consulenza per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza all'interno degli stadi, mentre la Commissione deve fare valutazioni tecniche in materia di agibilità. Dunque il suo parere pare essere predominante.

3 - SONO DUE ORGANISMI DELLO STATO CHE SI CONTRADDICONO?

Non solo, ma entrambi dipendono dallo stesso Ministero dell'Interno. E' evidente che la vicenda di Is Arenas ha dei lati oscuri che si faticano a comprendere e che dividono anche gli addetti ai lavori. In questa occasione è mancata anche la 'copertura' della firma del sindaco di Quartu Sant'Elena che avrebbe potuto consentire lo svolgimento della partita in deroga. Perché? Si attendono risposte.

4 - EPPURE IN PASSATO IS ARENAS E' STATO APERTO...

E' stato aperto in diverse occasioni e contro il Napoli (26 novembre 2012) addirittura in notturna. Quella sera è filato tutto liscio e poi ci sono state le gare contro il Chievo (a Is Arenas), il pasticcio contro la Juventus a Parma e di nuovo la partita contro il Palermo. Cellino garantisce di aver via via adeguato l'impianto secondo le indicazioni. Ma la piena agibilità non gli è stata concessa.

5 - PERCHE' NON TRIESTE?

Questa è una domanda interessante. Ufficialmente il Cagliari si è iscritto a questo campionato di serie A indicando come sede per le partite interne lo stadio 'Nereo Rocco' di Trieste. Al termine ultimo per consegnare la documentazione, infatti, Is Arenas non era pronto e c'era il rischio di non potersi iscrivere. Però Trieste - secondo quanto ha fatto sapere la Questura locale in dicembre - non è a norma per carenze strutturali. Ecco perché contro la Juventus la gara è stata spostata a Parma e ora va a Torino. Non è un caso che il comunicato ufficiale della Lega Calcio parli di trasferimento da Trieste a Torino senza nemmeno citare Cagliari. Certo che viene da domandarsi come abbia fatto il Cagliari ad iscriversi indicando uno stadio non a norma.

6 - COSA RISCHIA IL CAGLIARI ADESSO?

Cellino ha fatto sapere che non intende presentarsi a Torino anche a rischio di perdere la gara a tavolino per 0-3. E' già successo contro la Roma anche se in quel caso la partita fu cancellata dalla Prefettura dopo la 'ribellione' del Cagliari. La società sarda rischia ulteriori sanzioni da parte della Lega. E' un gioco pericoloso e non solo per la classifica. Cellino deve decidersi in fretta perché ha l'onere di organizzare la partita trasportando a Torino tutto quanto serve (tabelloni, addetti, attrezzature).

7 - QUAL E' LA POSIZIONE DEL MILAN?

Galliani ha personalmente telefonato al presidente della Lega Maurizio Beretta chiarendo la disponibilità ad attendere fino all'ultimo momento utile il via libera per Cagliari. Tecnicamente se non vengono cancellati voli e prenotazioni l'attesa può durare fino a 36 ore prima. Però esiste anche la necessità di bloccare lo stadio alternativa. Adesso che la Lega ha scelto l'Olimpico di Torino tornare indietro potrebbe essere impossibile.

8 - COME FINISCE QUESTA VICENDA?

Più facile vincere al Superenalotto. Risposta domenica alle ore 14,59. E in ogni caso il problema si riproporrà ancora nei prossimi mesi con danni di immagine incalcolabili per il calcio italiano, dubbi sulla regolarità del campionato e inaccettabili penalizzazioni per i bilanci del Cagliari che già sono in sofferenza.

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POLITICA E SPORT

Lotito in

FUORIGIOCO

La mancata candidatura. Un altro incubo scommesse. Niente

nuovo stadio... Per il patron della Lazio i tempi si fanno duri

EPPURE SOLO POCHE SETTIMANE FA FESTEGGIAVA I RISULTATI DELLA

SQUADRA E L’ELEZIONE DEL SUO CANDIDATO IN LEGA CALCIO

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso | 14 febbraio 2013)

Pochi giorni bastano per passare dal trionfo sui Fori imperiali alla crocifissione. È la metafora del calcio e Claudio Lotito la conosce per diretta esperienza. I suoi dieci anni alla guida della Lazio sono stati una successione di alti e bassi, dalle contestazioni dei nostalgici dell'epopea cragnottiana al risanamento finanziario del club, dall'inferno di Calciopoli alla vittoria elettorale in Lega calcio, dove Lotito ha imposto il suo protégé Maurizio Beretta mettendo nell'angolo gente che si chiama Massimo Moratti (Inter, 18 scudetti) e Andrea Agnelli (Juventus, 28 scudetti e/o 30 sul campo).

Uno smacco terrificante incassato da due famiglie storiche del capitalismo italiano ad opera di un imprenditore di prima generazione che fattura qualche decina di milioni di euro con quattro imprese di pulizie e una di vigilantes.

Accadeva a gennaio, il mese scorso, una vita fa. La Lazio era candidata allo scudetto e finalista di Coppa Italia dopo avere eliminato la Juve campione d'Italia. Il multiproprietario Lotito, che controlla il greco antico, il latino e anche la Salernitana insieme al cognato Marco Mezzaroma, si apprestava a sbarcare in Parlamento con il Pdl in Campania. Come ben sa un uomo di cultura classica, sussistevano le condizioni ideali per la "fthonos theon" (invidia degli dei), che puntualmente ha colpito.

La faida delle candidature in Campania, con l'estromissione di Nicola ‘o Mericano Cosentino motivata da due rinvii a giudizio, ha tolto di lista "a fortiori" il presidente della Lazio, che a marzo del 2012 è stato condannato in secondo grado a 18 mesi per aggiotaggio sui titoli della Ss Lazio insieme allo zio di sua moglie Cristina, il costruttore Roberto Mezzaroma.

La candidatura a Salerno è saltata anche per altri motivi. La reginetta del Pdl locale, Mara Carfagna, fresca di separazione dal marito Marco Mezzaroma (fratello di Cristina), ha assistito con apprensione ad alcune iniziative impopolari tipiche della parsimonia lotitiana. Per esempio, la richiesta di fare pagare il biglietto di ingresso allo stadio Arechi ai portatori di handicap e ai loro accompagnatori, oltre che ai ragazzini delle giovanili, ad esclusione però di quelli impegnati come raccattapalle.

Ma la Salernitana occupa una frazione residuale delle cure che richiede la Lazio. Dopo una lunga fase di quiete, lo scandalo delle partite truccate è tornato ad oscurare l'orizzonte del club romano. La vicenda è esemplare di come funziona la giustizia sportiva. Un rapido riassunto s'impone. Il 28 maggio 2012 il capitano biancoceleste Stefano Mauri viene arrestato dai giudici di Cremona per l'inchiesta sulle scommesse clandestine. Logica vorrebbe che, dopo un fatto di rilevanza penale, scattasse un'indagine della giustizia sportiva. Invece Mauri non viene neppure deferito al tribunale della Federcalcio (Figc), mentre decine di altri calciatori coinvolti nel calcioscommesse mai incarcerati e a volte nemmeno indagati dalla magistratura penale subiscono pesanti squalifiche sportive.

I maligni attribuiscono la circostanza all'accresciuta moral suasion del patron laziale sul sistema del calcio italiano. Oltre alla sua capacità di indirizzare il governo della Lega calcio, in alleanza con Adriano Galliani e Aurelio De Laurentiis, Lotito punta con decisione alla vicepresidenza della Figc e ha buone carte per raggiungere l'obiettivo.

Fatto sta che fino a tutto gennaio il presidente della Federcalcio, Giancarlo Abete, non conferma né smentisce l'inizio di un procedimento sportivo contro Mauri. Il capitano delle Aquile continua a giocare (29 partite e 4 gol in stagione finora).

Poi, lunedì 4 febbraio, l'Europol ufficializza i risultati dell'indagine sulle partite truccate a livello continentale per opera del clan degli ungheresi. E l'incubo ricomincia. Tra gli oltre 300 match aggiustati c'è Lecce-Lazio del maggio 2011 dove, secondo il pentito Gabor Horvath, giocatori e dirigenti si erano impegnati per un punteggio finale con almeno quattro gol sul tabellino (finì 4-2 per la Lazio).

C'è di che mettere a rischio l'operazione di immagine della squadra per la stagione 2012-2013, affrontata con un tecnico emergente (il croato-svizzero Vladimir Petkovic) che faceva il volontario alla Caritas del Canton Ticino e che Lotito dice di avere scelto «perché è un bravo allenatore e perché ha alti valori morali», un attaccante (Sergio Floccari, matador della Juve in semifinale di Coppa) pellegrino al santuario di Medjugorje, e una campagna contro il razzismo molto lodevole.

Abbastanza lodevoli anche i bilanci del club, che ha chiuso il 2011-2012 con un utile di 3 milioni di euro e fa segnare nel primo trimestre 2012 una perdita di 5 milioni. La squadra ricava circa 80 milioni, quasi la metà dei 145 incassati dalla Roma nel 2011, ma ha costi più equilibrati. Per sostenere i ricavi Lotito ricorre, come altri, alla vendita anticipata dei diritti tv Sky. A comprare è la società di factoring di Unicredit, la banca che controlla il 40 per cento dell'As Roma e che ha Beretta come capo delle relazioni esterne.

I buoni acquisti fatti sul calciomercato a prezzi e salari convenienti non dicono tutto del talento di Lotito per gli affari. Il vero colpo della Lazio, completato a ottobre dell'anno scorso, è l'immobile di via Valenziani a Roma. L'edificio (2.500 metri quadrati con 450 metri quadrati di giardino in una zona di grande pregio) è stato acquistato al prezzo stracciato di 7,5 milioni complessivi. Ironia della storia, a vendere è la curatela Cirio, il gruppo alimentare proprietario della Lazio fallito per mano di Sergio Cragnotti e affidato ai commissari Luigi Farenga e Attilio Zimatore, professionista scelto da Unicredit per traghettare la Roma della famiglia Sensi nelle mani dei proprietari americani.

Il talento di Claudio per il mattone è scritto chiaro nei conti della sua immobiliare. La Appia srl ha un patrimonio valutato in 50 milioni tra la villa presidenziale sull'Appia antica e le proprietà di Cortina d'Ampezzo dove Lotito è arrivato al seguito della moglie Cristina Mezzaroma, di professione imprenditrice agricola e figlia di Gianni, palazzinaro romano e romanista.

Il colpo più grosso non è andato a segno e riguarda proprio l'azienda agricola Alpa di Cristina e Marco Mezzaroma, a nord della capitale. Lì il proprietario della Lazio vuole costruire lo stadio delle Aquile ma l'area è considerata a rischio di dissesto idrogeologico. Lotito per ora resterà all'Olimpico. Tra scommesse e zona Champions a rischio bisognerà difendere più che attaccare.

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Il Caso

LO SCONTIFICIO APERTO DAL TNAS E I DIRITTI DI CHI HA PATTEGGIATO

di MAURIZIO GALDI - Gasport - 8-02-2013

Tribunale nazionale di arbitrato per lo sconto, pardon per lo sport. Fino a ieri, ma siamo in tempo per far salire lo score, il Tnas del Coni (al Foro Italico preferiscono dire «presso») con le decisioni su Terzi e Vitiello ha sommato un totale di 345 mesi di sconto sulle sentenze della Disciplinare e della Corte di giustizia federale della Federcalcio, mentre sono state confermate soltanto cinque sentenze su sessantatrè. Cancellata anche la credibilità dei «pentiti» Gervasoni e Carobbio che la giustizia ordinaria continua a ritenere «determinanti». È il Tnas a essere lo scontificio, o gli organi di giustizia della Federcalcio sono i «ghigliottinifici»? E questa la domanda che si fanno gli avvocati, molti dei quali oltre che soddisfatti sempre più perplessi, ma anche i comuni tifosi. La fretta è stata cattiva consigliera per le sentenze dell'estate? O qualcosa è cambiato e ora, all'improvviso, scopriamo che tutto quello che è accaduto è stato solo il «solito gonfiare dei giornali»? A sentire le parole di Blatter (il presidente della Fifa), dei massimi responsabili di Europol e Interpol, non sembrerebbe davvero così. Ci sono le partite combinate, dietro c'è la malavita organizzata italiana e straniera, ci sono le inchieste penali di Cremona, Bari e Napoli. E all'estero quelle della Germania con le condanne. Insomma, come sempre, l'Italia cerca di dimenticare nascondendo la testa sotto la sabbia e cancellando l'illecito sportivo trasformandolo in slealtà: resta il reato sportivo ma suona meglio e soprattutto è il grimaldello per «scardinare» la responsabilità oggettiva.

Forse scottata dalle frequenti bacchettate del Tnas, su questa strada sta cominciando a portarsi avanti anche la Corte di giustizia federale della Figc. Le motivazioni sul caso Gianello sono illuminanti: stravolti in poche pagine decenni di giurisprudenza sportiva, sembra di essere tornati al 2001 quando veniva sostenuto che per Atalanta-Pistoiese non c'era la prova dell'illecito. Peccato che ad anni di distanza uno dei protagonisti, Cristiano Doni, l'abbia confessato.

Continuiamo a porci la stessa domanda: quelli che hanno patteggiato finora sono degli stupidi? Hanno pagato spesso molto più degli altri e anche le loro società. E perché gli sconti l'anno scorso non ci sono stati? Era la stessa inchiesta. Morale: ben venga la riforma della giustizia sportiva o di quel che ne resta. Ma che si faccia presto, e, soprattutto, bene. Almeno questa volta.

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"C'è chi vende due partite per aggiustare i bilanci"

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Calcioscommesse, le rivelazioni di un anonimo pentito: "Moltissimi calciatori e dirigenti sono coinvolti. Anche in Inghilterra e Germania"

Giulio Mola - Il Giorno - 8-02-2012

Milano, 8 febbraio 2013 - Non è il “mister X” sulle cui tracce c’è la procura di Cremona nell’ambito dell’inchiesta sul calcioscommesse, ma un ex calciatore famoso, che ha visto e sentito di tutto dentro e fuori i campi di gioco. E che, nell’anonimato, per evitare ritorsioni, ci racconta come il pallone sia finito nel fango.

Anche Lei faceva parte del sistema?

«Scommettevo pure io, è vero. Puntatine di 100-200 euro al massimo dopo qualche “soffiata” di gente che era nell’ambiente. A volte andava bene, più spesso male, visto che in pochi mesi ci ho rimesso 40mila euro».

Quindi imbeccate e consigli spesso erano bufale?

«Io e altri miei colleghi ci fidavamo. Ci si ritrovava nei weekend a Milano, serate goliardiche fra amici nelle solite discoteche o nei ristoranti del centro. C’erano calciatori importanti, che avevano guadagnato tanto in carriera, ci si sfidava per vedere chi aveva avuto le dritte giuste, per poi ritrovarci il lunedì e prenderci in giro».

Le scommesse, un vizio...

«Guardi che in Italia l’80% di calciatori e dirigenti scommette, anche se lo fa per interposta persona. Ma a me è capitato di assistere a cose assurde durante partite a carte: tutto facile con internet, bastava un click, e poi un altro, ogni volta che si premeva il tasto si puntavano 10mila euro. Una sera su una partita si scommise sul 3-3...e quella gara finì proprio 3-3».

Sui siti stranieri tutto era più facile..

«Certo, perché prima erano meno sorvegliati. L’inchiesta degli ultimi giorni, le 380 partite truccate in Europa, hanno portato alla luce cose che tutti sapevano e che anche Trapattoni ha confermato. In paesi poveri come Romania, Bulgaria e in generale quelli dell’est europeo o dell’Africa è più facile corrompere giocatori e arbitri che guadagnano mille o duemila euro al mese. Fischiare tre o quattro rigori non è un problema se poi la mafia del calcio ti offre soldi per aggiustare i risultati».

Si spieghi...

«La storia del tè avvelenato dato ad una nazionale prima di una finale mondiale pare non sia leggenda. Così come il punteggio clamoroso di una recente semifinale dell’Europa League firmato di fatto da organizzazioni criminali capaci di comprarsi anche i campioni...».

E’ successo pure in Italia..

«Sì, ma anche in altri tornei prestigiosi, quello inglese e tedesco, falsavano le gare. Qualche anno fa un’importantissima squadra di Premiership perse nettamente in casa contro una formazione modesta, si diceva che la società avesse bisogno di soldi. Un po’ come succede da noi, ci sono club e presidenti che si vendono un paio di gare a stagione per aggiustare i bilanci... ».

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IL CASO

Un ministro accusa

«Da noi in Australia doping in ogni sport»

Corsport - 8-02-2013

SYDNEY - Un'indagine dell'Australian Crime Commission ha concluso che il doping è diffuso nello sport professionistico australiano, al punto che ad alcuni atleti vengono somministrate sostanze non ancora approvate per uso umano.

Secondo un'indagine durata un anno, è il crimine organizzato a distribuire il doping ad atleti e personale di supporto inclusi medici, scienziati e allenatori.

Le sostanze proibite includono peptidi, ormoni e droghe illecite. Secondo la commissione nessuna disciplina è immune dallo scandalo: «I risultati sono scioccanti e disgusteranno i tifosi sportivi australiani - ha detto il ministro della Giustizia iason Clare - Numerosi atleti di diversi club di sport importanti sono sospettati di usare correntemente o di aver usato peptidi, in violazione delle norme antidoping. È una frode con l'aiuto di criminali».

Il ministro ha assicurato che il governo australiano intende reprimere duramente i casi di doping e di partite truccate, e la crescente influenza del crimine organizzato sugli sport, ma si è rifiutato di fare i nomi di atleti e squadre coinvolte.

E' stato anche individuato un caso potenziale di partita truccata, ma non ha rivelato dettagli della partita o dello sport. Ha tuttavia sottolineato che le risultanze non sono collegate allo scandalo globale che ha colpito il calcio dopo che l'Europol ha scoperto che centinaia di partite sono state truccate da bande criminali di base a Singapore.

Il presidente della Rugby League (il rugby a 13) Dave Smith, ha invece ammesso che sono implicati dei giocatori e dei club della sua disciplina.

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Commissione Ue

«Va cambiato íl calciomercato»

Ad aprile Bruxelles proporrà controlli sulle transazioni finanziarie, una "tassa fair play" a favore dei piccoli club e un tetto al numero di giocatori tesseratili per società calcistica

Tuttosport -8-02-2013

BRUXELLES. Cartellino giallo della Commissione Ue al mondo del pallone. Uno studio dimostra che le regole del calciomercato sono squili rate a favore dei club piùricchi. Ad aprile ru:elles proporrà controlli su transazio finanziarie, una "tassa fair play" a favore cla,I piccoli club ed un tetto al numero di giocatori tesserabili.

I SOLDI Lo studio della Commissione, pubblicato ieri, rileva che per il calciomercato si spendono 3 miliardi di euro l'anno, ma che "meno. del 2%" degli importi derivanti dai trasferimenti arriva alle società più piccole che "allevano" i calciatori. Inoltre registra che i trasferimenti nel calcio europeo «è più che triplicato nel periodo 1995-2011, mentre gli importi spesi dalle società per i trasferimenti sono aumentati di sette volte». Una situazione che, secondo l'esecutivo di Bruxelles, «esaspera gli squilibri», mentre il livello di ridistribuzione del denaro, invece di compensare i costi della formazione dei giovani calciatori, è «insufficiente a consentire» ai club più:. piccole e *sottrarsi al : controllo esclusivo che le società più grandi continuano a esercitare sulle competizioni sportive».

EQUITÀ' La Commissaria europea responsabile per lo sport, Androulla Vassiliou «riconosce appieno il diritto delle autorità sportive di definire le regole per i trasferimenti», ma sottolinea che «tali regole non assicurano un giusto equilibrio nel settore del calcio' né condizioni di equità nei campionati enel- ' le coppe». -

STOP AI TERZI I risultati dello studio saranno analizzati dal gruppo di esperti del-1'Ue sulla "Buona governance nello sport" nella Sua prossima riunione di aprile. Tra le .proposte: una "tassa di fair play" sui trasferimenti da redistribuire ai piccoli club; tra-sparenza.dei trasferimenti; tetto alle rose; regolamentazione dei prestiti; limitare le «proprietà di terzi» per «impedire in modo sproporzionato gli investimenti finanziari nello sport»; stringere le regole di "fair play" per evitare l'eccessivo indebitamento. Inoltre «per limitare i costi di trasferimento gonfiati» lo studio raccomanda che «non sia consentito di prolungare il «periodo di protezione» dei contratti e una revisione delle clausole di riscatto per far sl che esse siano «proporzionate».

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SOS RCS - A POCHE ORE DAL PIANO AZIENDALE DI SCOTT JOVANE E DAL CDA CHE DEVE DELIBERARE IL MEGA-AUMENTO DI CAPITALE, SI PARLA DI DATI HORROR SULLA RACCOLTA PUBBLICITARIA DEI QUOTIDIANI: -30% A GENNAIO - L'INIZIALE TAGLIO DI ORGANICO (500 UNITÀ) NON SAREBBE PIÙ SUFFICIENTE: ORA L'ASTICELLA È A QUOTA 700, IL 14% DELLA FORZA LAVORO - ALMENO 70 PREPENSIONAMENTI AL ‘’CORRIERE’’, 30 ALLA “giornalaccio rosa” - MA L’ECATOMBE SARÀ TRA I PERIODICI: 10 CHIUSI E 5 IN VENDITA…

Andrea Montanari per "Milano Finanza"

C'è un numero che aleggia nei centri media e nelle trading room, e che sta provocando tensioni in seno ai vertici di Rcs Mediagroup. È il dato relativo al calo della raccolta pubblicitaria dei quotidiani della scuderia (Corriere della Sera e giornalaccio rosa dello Sport) nel solo mese di gennaio.

Una contrazione a doppia cifra mai registrata prima. Tanto che c'è chi si spinge addirittura a parlare di una diminuzione del 30%. Il dato preoccupa perché riguarda la principale area di business (pesa per il 35-40%) dell'intero gruppo editoriale e l'unica che al 30 settembre scorso presentava un ebitda positivo (39 milioni) seppure in netta flessione rispetto all'anno precedente (chiuso con 69,4 milioni).

Questo campanello d'allarme è risuonato nelle stanze del presidente Angelo Provasoli e dell'amministratore delegato Pietro Scott Jovane. Manager che lunedì 11, come anticipato da MF/Milano Finanza l'1 febbraio, presenterà il business plan propedeutico alla ristrutturazione ai comitati aziendali interni di Italia e Spagna e a tutte le sigle sindacali, in vista dell'approvazione del piano fissata per il giorno seguente, martedì 12, quando si riunirà il cda decisivo sulla ricapitalizzazione da 400 milioni.

Il dato negativo sulla raccolta pubblicitaria di gennaio per l'area Quotidiani costringe ovviamente a ripensare la strategia complessiva, anche alla luce dei dati di dicembre sulla diffusione dei quotidiani.

Perché se il CorSera resta di gran lunga il più diffuso d'Italia (403.879 copie al giorno contro le 426.107 di novembre), vede il diretto rivale La Repubblica (383.653 copie diffuse) vincere la sfida sul fronte delle reali vendite in edicola: 330.105 copie per la testata diretta da Ezio Mauro contro le 306.938 del giornale diretto da Ferruccio de Bortoli. Mentre, sempre in casa Rcs sono 230 mila le copie diffuse dalla giornalaccio rosa dello Sport.

È questo insomma lo scenario che si presenta ai vertici aziendali, agli oltre 5 mila dipendenti e ai rappresentanti sindacali a poche ore dall'ufficializzazione del progetto di risanamento del gruppo, che ha chiuso il 2012 in rosso di quasi 400 milioni e che necessita di almeno altri 300 milioni per sostenere lo sviluppo del business digitale. Così, sia in via Rizzoli che in via Solferino circolano le versioni più disparate della strategia impostata da Jovane.

Quel che è certo è che l'iniziale taglio di organico, stimato in 500 unità, non è più sufficiente: ora l'asticella sarebbe stata alzata a quota 700, il 14% della forza lavoro totale. E se al CorSera al momento si parla di almeno 70 prepensionamenti e alla giornalaccio rosa di circa una trentina, i veri rischi li corre la divisione Periodici, che potrebbe essere fortemente ridimensionata, tra 10 chiusure e la vendita di 5 testate.

La prospettiva aprirebbe le porte a un elevato numero di licenziamenti, tuttora però difficilmente quantificabili. In vendita poi finirebbero le partecipazioni in Dada e Finelco (radio). Quanto alla Spagna, il gruppo cerca partner per lo sviluppo del Sud America.

http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/sos-rcs-a-poche-ore-dal-piano-aziendale-di-scott-jovane-e-dal-cda-50623.htm

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COPPA D'AFRICA - IL FISCHIETTO DELLA SEMIFINALE SOSPESO DALLA CAF

I mille misteri del Burkina Faso

II c.t. indagato, l'arbitro va a casa

Put allena in Africa perché in Belgio è stato squalificato per il calcio scommesse

PAOLO CONDO' - Gasport - 8-02-2013

L'arbitro tunisino Slim Jedidi, scandaloso protagonista della semifinale di Nelspruit, è stato sospeso ieri dalla Federcalcio africana, che in un comunicato ha ammesso il proprio rincrescimento «per un livello di direzione di gara molto inferiore a quanto ci aspettavamo». La speranza di Burkina Faso, sopravvissuta e infine promossa alla finale malgrado la plateale persecuzione, è che la presa di distanza sia un primo passo verso l'annullamento della squalifica di Jonathan Pitroipa, espulso nel finale dei supplementari perché un chiaro fallo da rigore ai suoi danni è stato trasformato in simulazione da Slim, da cui un secondo cartellino giallo. Il reclamo è stato presentato già nella notte di mercoledi, e rispetto a uno sbrigativo no del delegato Caf a Nelspruit ieri a Johannesburg i papaveri dell'ente continentale sono parsi possibilisti, in attesa della riunione decisiva di oggi. «Non abbiamo il potere di cambiare una decisione dell'arbitro — ha detto il segretario generale Hicham El Amrani — ma se fosse lui ad ammettere l'errore nel referto cambierebbe tutto». Sembra un invito a Slim a riparare alle sue malefatte. Se il tipo ha il carattere mostrato in campo, forte con i deboli e debole con i forti, non ci meraviglieremmo se opponesse alle «richieste» della Caf un fiero si.

Stelle fuori Mentre la Nigeria ha festeggiato la qualificazione alla finale con la notizia che l'acciaccato Moses non ha nulla di grave e domenica sarà in campo, i burkinabé oscillano tra la gioia per un'impresa già straordinaria e l'ansia per il destino del loro giocatore migliore. Pitroipa è un attaccante veloce e tecnico, gioca (bene) nel Rennes ma il livello che ha raggiunto nel torneo va assolutamente oltre; si è pure caricato sulle spalle la squadra dopo che Main Traore, la stella principale, al terzo match si è infortunato. Senza l'overrule della Caf, Burkina sarebbe costretta a giocare la prima finale della sua storia senza i suoi due supere-roi. Non per questo si darebbe per vinta.

Che finali Ormai è chiaro che la nazionale di uno dei Paesi più poveri del pianeta ha un'anima di ferro che le permette miracoli. La stessa qualificazione alla coppa, a spese della Repubblica Centrafricana (che aveva eliminato a sorpresa il grande Egitto), è arrivata al 96' della partita di ritorno, con il gol di Traore a fissare il 3-1 dopo lo 0-1 dell'andata. Qui in Sudafrica, dopo l'1-1 nel match inaugurale con la Nigeria (pareggio di Traore al 90'), Burkina Faso ha battuto l'Etiopia 4-0 potendosi così accontentare dello 0-0 contro i campioni, uscenti e usciti, dello Zambia. Nei quarti il Togo è stato matato da Pitroipa al 105', la semifinale è finita ai rigori.

Strano ct Quel che non si pub fare è chiedere al tecnico, il belga Paul Put, di scommettere su come finirà. Il tipo, infatti, viene da una squalifica di tre anni subita al Lierse per partite truccate. Ne parla senza problemi ma in modo ambiguo, o forse fin troppo chiaro «sono innocente, non ho combinato alcuna gara; e comunque sono stato minacciato assieme alla mia famiglia»); è venuto in Africa perché la Fifa misteriosamente non ha recepito la squalifica belga, e dopo un'esperienza in Gambia sta vivendo il suo momento magico con Burkina Faso. La Legione Straniera più o meno funziona così.

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• SCOMMESSOPOLI

Ferrario convocalo dalla magistratura

SIMONE DI STEFANO - Tuttosport - 9-02-2013

ROMA. Prima Gegic, poi Gervasoni, da ora si va a oltranza. La Procura di Cremona sta accelerando sull'indagine relativa a Lazio-Genoa 4-2 e Lecce-Lazio 2-4 e per la prossima settimana (si sussurra il 13 febbraio ma non è certo), il pm Roberto Di Martino ha convocato l'ex giocatore del Lecce, Stefano Ferrarlo. Per lui si tratta del primo interrogatorio davanti alla magistratura, anche se il suo nome è contenuto nel registro degli indagati da tempo. La gara oggetto di interrogatorio sarà Lecce-Lazio (unica partita italiana oggetto di indagine anche delFEuropol), anch'essa rivelata nel dicembre 2011 da Carlo Gervasoni: ,Gegic mi disse che tramite Zamperini, lui e gli slavi si misero nuovamente in contatto con Mauri della Lazio per manipolare la suddetta partita», disse il pentito al pm, prima di aggiungere che Gegic investi sulla partita 400mila euro. Ad agevolare l'accordo sarebbe stato - secondo la teoria dell'accusa - Alessandro Zamperini, amico di Mauri e Ferrario, che li avrebbe messi in contatto con lo zingaro Ilievky. Ferrario, interrogato dal pm federale, Stefano Palazzi, non negò il contatto con Zamperini: «In un'occasione ho avuto la sensazione che esistesse un sistema attivo per le combine delle partite: è accaduto due giorni prima di quella con la Lazio del 22 maggio 2011. Il mio amico Zamperini mi chiamò per un aperitivo e mi disse che c'erano degli amici che volevano puntare dei soldi sulla partita, allora io me ne andai dicendogli che quella proposta non mi interessava». Non è un caso che l'interrogatorio di Ferrario arrivi a rimorchio di quello tenuto da Gervasoni il 4 febbraio. E non può essere un caso che arrivi soprattutto dopo la fuga di notizie sul presunto peggioramento della situazione di Mauri. L'accelerazione di Cremona è rivolta a chiudere il cerchio su Lazio-Genoa e Lecce-Lazio. Anche perché a giugno scadrà il termine di proroga e a quel punto Di Martino dovrà stendere una linea precisa rinvio a giudizio o archiviazione. La sua agenda è ricca di nomi (molti dei quali mai usciti prima) da convocare nei prossimi mesi.

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Quando regna la confusione

ALBERTO COSTA - CorSera - 9 febbraio 2013

Un comunicato della Lega Calcio diffuso attraverso dispacci d'agenzia alle 18.50 di ieri, venerdì, ha ufficializzato l'ennesimo cambio di rotta nella ricerca di uno stadio per Cagliari-Milan. Alla fine la decisione è stata presa da un tribunale con un verdetto che mette a nudo il groviglio di errori ed omissioni sparsi un po' dappertutto. Ad esempio non si comprende come sia stato possibile da parte dei vertici della Lega di serie A (sono loro che organizzano l'omonimo campionato) avallare le scelte del presidente cagliaritano Celino che prima ha indicato come stadio di casa quello di Trieste, peraltro inutilizzabile per questioni di sicurezza, poi invece si è gettato anima e corpo sul nuovo impianto di Is Arenas che, da quanto s'è capito, resta un'entità ancora imperfetta. In questa imbarazzante girandola un ruolo chiave se lo sono però ritagliato anche le cosiddette autorità preposte, sindaco, Prefetto e compagnia bella: qualcuno infatti ci deve spiegare perché Cagliari-Napoli si sia giocata a Is Arenas, Cagliari-Juve a Parma e Cagliari-Milan si sarebbe dovuta giocare a Torino. Detto che Cagliari-Roma ha fruttato ai giallorossi la vittoria a tavolino, se ne evince che pure la regolarità del campionato è andata afarsi benedire. Signori questa è la fotografia dell'Italia. Che Dio ce la mandi buona.

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QUESTA VITTORIA E' ANCHE NOSTRA

di ANTONIO MAGLIE - CorSport - 9-02-2013

C'è un giudice a Berlino, anzi a Cagliari. La citazione da Brecht non è originale ma quanto mai calzante in questa vicenda paradossale di una partita prima sottratta alla sua sede naturale da un Prefetto e poi restituita da un giudice amministrativo. Cagliari-Milan andrà in scena, domani, nell'unico teatro possibile: lo stadio di Is Arenas. Lo abbiamo detto con grande chiarezza, in questi giorni; abbiamo sottolineato che non esistevano obiettive condizioni che giustificassero una chiusura dell'impianto sardo. Perciò sentiamo questa sentenza anche come una nostra vittoria. Massimo Cellino di errori nel calcio ne ha compiuti parecchi (come, d'altronde, tutti i suoi colleghi) ma in questa vicenda ha veramente buttato il cuore oltre l'ostacolo: provato a costruire in tempi record uno stadio, messo a disposizione capitali, impegno, passione. Avrebbe meritato sostegno e solidarietà ma in un Paese che da almeno sei, sette anni parla di una legge a sostegno della costruzione degli stadi senza riuscirla a varare, si è ritrovato solo e abbandonato. Forse ha pagato la vigilia di Cagliari-Roma; forse ha pagato l'inchiesta sullo stadio che, peraltro, non lo riguarda. Certo è che si è ritrovato in un angolo. Il Prefetto di Cagliari avrà le sue buone ragioni ma in questo caso si ha l'impressione che abbia ecceduto: il robusto afflusso di una tifoseria considerata (per fatti che risalgono a più di vent'anni fa) ostile non può far scattare i lucchetti ai cancelli di uno stadio perché è come dire che i centri commerciali vanno chiusi quando l'onda dei clienti diventa troppo alta. Chi si occupa di ordine e sicurezza deve costruire le condizioni per prevenire e reprimere i fenomeni violenti garantendo, però, ai cittadini una accettabile quotidianità e nella quotidianità ci sono le occasioni di svago, le partite allo stadio. Non è pensabile che i problemi si risolvano chiudendo e negando: questo è il trionfo dell'emergenza e la rinuncia alla normalità.

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SERIE A IL CASO

Luxury tax? Nulla di buono

Le proposte dell'Unione Europea non piacciono in Italia

Gasparin: «Porre limiti non aiuta».

Marino: «A Bruxelles non sanno cosa sia il calcio».

D'Amico: «Solo demagogia».

Canovi: «Mi pare assurdo bloccare le rose delle squadre»

SANDRO BOCCHIO

CAUTELA, in attesa di vedere se ai proponimenti seguirà una concretizzazione. E comunque diffidenza, nei confronti di un organismo sovranazionale che non tiene conto di specificità e differenze. Le misure proposte dall'Unione Europea per il mondo del calcio non riscuotono grande successo da parte di chi lo vive. Anzi, sono viste come un'ingerenza in una realtà che ha suoi punti di riferimento nella Fifa e nell'Uefa. E che, comunque, già prevede alcune delle introduzioni proposte, come le rose bloccate. Il desiderio è sì quello di una ridefinizione di diritti e doveri, ma all'interno del calcio e non per intervento esterno. Come sottolineano alcuni addetti ai lavori interpellati.

ANDREA D'AMICO (agente) Mi sembra la solita demagogia. Se uno ha i soldi e vuole investire nel calcio l'unico suo dovere è onorare i debiti, pagando giocatori, fornitori, altre società. Quando sento parlare di tasse sullo sport, e in particolare sul calcio, mi viene il sangue al naso. Il calcio ha anche una valenza politica, è creatore di business per altri sport. Lo stato italiano dedica a favori a titolo perso al cinema e alla stampa, perché al calcio no? Il pallone ha pure una specificità che va a vantaggio dei politici in cerca di consenso. Il calcio dovrebbe avere una tassazione agevolata e non essere considerata un'azienda con mero scopo di lucro. Il compenso dei giocatori è un argomento fortemente demagogico. E i grandi attori, allora? Sono le regole dello show-business. Bisognerebbe battersi per un'aliquota più ragionevole, piuttosto. Perché se domani il calcio chiude... E poi vogliamo parlare delle tasse sull'azzardo?

EUGENIO ASCARI (agente) La proposta non mi pare chiara: paghi la tassa su un singolo trasferimento, e sarebbe luxury tax, oppure su un monte acquisti? Mi parrebbe più interessante aumentare la quota del 2% per le squadre formatrici, che è irrisoria: lo Sporting Lisbona potrebbe così battere cassa con il Real Madrid per Cristiano Ronaldo. Ma l'Ue non si inventa niente perché è una direttiva che si pone nella direzione di quanto previsto dalla Fifa con il meccanismo di solidarietà per chi forma giocatori, inserito nelle norme per i trasferimenti. E non ci sono sostanziali no-vitti anche nell'indicazione di rose a numero chiuso: in Italia la serie B lo fa già da anni e lo stesso l'Uefa per le liste Champions ed Europa League. Numeri che puoi splafonare con i giocatori del vivaio oppure con i cosiddetti fedelissimi.

CLAUDIO VIGORELLI (agente) Si tr atta d un principio nobile, questo è fuori discussione. Ma ci sono squilibri tra paese e paese, basti pensare come l'Italia parta svantaggiata rispetto a chi ha stadi di proprietà oppure gode di una tassazione agevolata, mentre in Sud America le società sono aiutate dai fondi. E se poi ti arriva lo sceicco a investire con soldi suoi, come la mettiamo? Una volta eliminate queste differenze, quello che viene di conseguenza può avere un senso: l'aiuto a chi forma i giocatori, la tassa su chi supera un tetto nei trasferimenti, le rose bloccate. Ma è tutto il mondo del calcio che deve lavorare su questo, per funzionare nella stessa maniera.

SERGIO GASPARIN (dirigente) Al momento mi sembra una formulazione talmente generica nei contenuti che mi sembra complicato commentare. Che cosa si intende per squadre minori, per esempio? Sono quelle che hanno formato il giocatore nel settore giovanile oppure quelle che hanno operato l'ultimo trasferimento? E poi in ambito internazionale esiste già un ulteriore indennizzo. Al momento mi pare una forma che si collega al fair play voluto da Platini, e che dobbiamo ancora vedere messo in atto, per restringere le aree di spesa per i club. Dal punto di vista mentale mi considero un liberale e non ritengo che porre dei vincoli nell'operatività migliori la situazione. Ma, ripeto, tirare oggi delle conclusioni mi parrebbe sbagliato. E poi aspetti come il contributo di solidarietà, l'indennità di formazione, le rose dei giocatori bloccate ci sono già.

PIERPAOLO MARINO (dirigente) Per esperienza personale ogni volta che l'Unione Europea è entrata in ogni problematica calcistica non è mai stato positivo. Me ne sono accorto quando mi sono occupato della rescissione unilaterale del contratto. Ho notato scarsa sensibilità per quanto riguarda il nostro mondo, forse perché stanno a Bruxelles e non è che da quelle parti il calcio sia di buon livello... Non vedo comunque nulla di nuovo per quanto riguarda fair play finanziario e rose a numero chiuso. C'è già l'Uefa che controlla e io mi fido di Platini.

DARIO CANOVI (agente) Si tratta di proponimenti che non hanno norma giuridica. Non vedo perché si debba intaccare un trasferimento in base ai soldi che si spendono. Si aumentano soltanto i costi. Poi i grandi club influenzano Fifa e Uefa, non penso che permetteranno l'introduzione di una norma che li penalizzi ulteriormente. E sulle rose bloccate vedo una doppia assurdità. Limiti la possibilità di lavoro del singolo e ledi la libertà di un club: se uno ha una rosa di 24 elementi e si fanno male in 6, che cosa deve fare? Basta che uno si rivolga alla Corte Europea e vince senza problemi.

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• IL RIFERIMENTO

Quel sistema America non è imitabile da noi

Mercati e regole troppo diversi fra loro nei Paesi europei. Ma l'idea della tassa sul lusso è la prima perseguibile se legata a parametri precisi

PIERO GUERRINI - Tuttosport -9-02-2013

DI cosa parliamo quando parliamo di regole e soldi nello sport? Parafrasare uno dei più grandi scrittori del '900 (Raymond Carver, i suoi 17 racconti) per il professionismo in braghette magari è blasfemo. Ma il tema scotta, perché implica l'equità competitiva: sconosciuta nella vecchia Europa, promossa e perseguita oltreoceano anche contro l'evidenza dei mercati (per dire, New York e Los Angeles assai più potenti di una Cleveland qualsiasi...). II fatto è che il sistema americano davvero complesso, in Europa non è imitabile. Non c'è moneta unica, non ci sono leggi comuni sulle tassazioni, tantomeno i campionati sono riferibili a un solo mercato tv e commerciale, dunque non esistono identici o perlomeno parametrati contratti media tra diversi Paesi. Stavolta però, i suggerimenti Ue rappresentano il primo passo corretto: adeguare alla nostra realtà alcuni principi" fondamentali. Ad esempio la tassa di lusso, legata negli Usa al tetto di spesa e resa ancor più punitiva con il nuovo contratto collettivo Nba. Laddove se superi di un dollaro il limite, ne versi un altro (e possono arrivare sino a 5 per 1) alle casse della Lega che ridistribuisce al sistema corretto. PROBLEMI Certo, ci sono problemi. Di là i trasferimenti sono scambi di contratti (e il totale deve essere pari). E poi: tocca all'autorità sportiva dettare le regole. Qui qual è l'autorità? Nelle leghe Usa spetta all'organizzazione stessa, diretta da un commissioner super partes, stipendiato dai club ma con potere assoluto. Altro nodo: il controllo sulla tipologia di contratti per le relative tassazioni. Argomento spinoso. In Usa i contratti sono pubblici (e i giocatori pagano la percentuale ai loro agenti...). Qui le scappatoie sono mille, a cominciare dal contratto d'immagine. Altra iniziativa proposta dalla Ue, il numero massimo di giocatori in organico. Nella Nba sono 15, su 12 che giocano. E non si scappa: se ne prendi uno, ne devi tagliare un altro che diventa libero. Però nel calcio esistono prestiti e comproprietà. Come si conteggiano questi giocatori? PRINCIPIO Il principio americano mutuabile è che ci sia equità competitiva, che la percentuale di titoli vinti non sia sbilanciata come in Europa tra piccoli e grandi. E che lo sport sia sostenibile, capace di produrre profitti o, comunque, non perdite. Le regole più restrittive dei nuovi accordi collettivi non inducono alla perfetta equità. Oklahoma City che ha mercato ridotto, ha ceduto la quarta star in squadra: James Harden. Confermandolo, in 2 anni avrebbe pagato una tassa inaudita. Solo pochi club possono permettersi il lusso come i Lakers (Los Angeles). Ma, pagandolo, finanziano il sistema. Corretto, no?

altSprechi PIU' TASSE SUL CALCIO-MERCATO? E' UN PROBLEMA DEGLI SCEICCHI... dl CARLO LAUDISA L' Unione Europea che suggerisce l'adozione di una tassa del lusso per i trasferimenti-top. La Premier League che passa ai fatti e impone un tetto di indebitamento di 105 milioni di euro per i propri club nel prossimo triennio. Qualcosa si muove per porre un freno alle spese milionarie del calcio-mercato. E sullo sfondo, non dimentichiamolo, ci sono le mosse dell'Uefa: con l'avvio del monitoraggio del tanto reclamizzato fair play finanziario. Miscelando tutti questi ingredienti si profila uno scenario del tutto inedito. Se vogliamo virtuoso. Lo scopo è quello di tenere il calcio con i piedi per terra. Il contesto economico internazionale risente della crisi, mentre i ricavi dei grandi club sono in costante aumento. Una differenza che stride e pone pesanti interrogativi. E comunque c'è il tema della competitività. Chi ha più denari alla lunga sbaraglia la concorrenza a prescindere. E soprattutto scava un solco con la maggioranza delle società, impossibilitate a reggere questa concorrenza. Ma è possibile che queste misure incidano davvero in un futuro più o meno prossimo? Il rischio della confusione è concreto. Ad esempio alcuni dei suggerimenti dell'Unione Europea sono di difficile attuazione. Altri rischiano di non incidere nella maniera più opportuna. In ogni caso la realtà italiana ha dovuto fare già i conti con una politica di normalizzazione. È vero che i debiti sono ancora elevati, ma le spese pazze sono già diminuite. E noi ormai siamo diventati venditori. Quindi la possibile tobin tax non ci toccherebbe. Facciamo un esempio: la clausola di Edinson Cavalli. Il Napoli ha già messo nel conto d'incassare 60 milioni dalla sua vendita. Infatti i restanti 3 milioni pattuiti sono destinati al relativo contributo di solidarietà che la Fifa divide tra i club che hanno contribuito alla formazione del goleador di Mazzarri. E solo a titolo d'esempio un'eventuale tassa suppletiva sarebbe a carico del compratore. È un po' quel che è accaduto l'estate scorsa per Lavezzi. O nel caso del Milan per Ibrahimovic e Thiago Silva al Psg. Insomma il giro di vite all'orizzonte sembra fatto su misura per gli sceicchi di Psg e Manchester City. E non è un caso che in Inghilterra proprio lo United abbia guidato la battaglia sugli sponsor con i marchi di casa. Ora anche I'Uefa sta indagando su questi aiuti che sanno d'elusione. Insomma, lo strapotere arabo mette tutti in guardia. E suscita reazioni a catena. Ma è solo il primo passo. L'impressione è che non basti.

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Ieri l’ex diggì della Juve era a Turi: «Dal 2006 non sono

cambiato perché so che riuscirò a provare la mia innocenza»

«Moratti mi voleva. Che tristezza la relazione di Palazzi, poi la

prescrizione. A me nessuno ha mai contestato illeciti. Agli altri sì».

Le sette vite del signor Moggi

«Arbitri assolti, ora che si fa?»

di ANTONELLO RAIMONDO (LA ĠAZZETTA DEL MEZZOGIORNO 09-02-2013)

TURI. Luciano Moggi deve aver fatto un patto col diavolo. Viaggia verso le 76 primavere e si è messo alle spalle quello tsunami di nome Calciopoli. «Mi hanno strappato l’anima», sussurrò in un tragico pomeriggio barese. E gli hanno anche tolto il «giocattolo» dalle mani. Però lo guardi e sembra che il tempo si sia fermato. Pimpante come quando era il re del mercato. Brillante come quando costruiva squadre vincenti. Anche un po’ paraculo, perché no? Nel senso buono, s’intende. Perché quando lo metti in mezzo alla gente Lucianone dà il meglio di sè. Scherza, provoca, sfotte.

Ieri Moggi era a Turi. Invitato dall’amico Milko Iacovazzi e dallo Juvenstus club «Giovanni e Umberto Agnelli». Erano in tanti, ad attenderlo, all’ingresso del centro studi polivalente. «Tifosi che non dimenticano dodici anni di successi», come recitava una targa consegnata all’ex diggì. Un’ora e mezza a «braccio», spaziando nei meandri di quella calciopoli che resta una ferita aperta.

Moggi, come va?

«Sono lo stesso del 2006 perché ho ancora forza e voglia di combattere. Soprattutto non ho smesso di credere alla possibilità di poter dimostrare la mia innocenza. Mi hanno fatto mille trabocchetti ma io sono ancora qui. Aspetto l’appello, a maggio. Intanto gli arbitri sono stati assolti...».

Che significato dà a queste assoluzioni?

«Bè, mi aspetto mi dicano con chi interagiva la cupola Moggi. Siamo rimasti soli...».

A quegli arbitri è stata negata la carriera.

«Li ho visti piangere, non hanno fatto nulla di male. Quel poverino di Pieri è un uomo distrutto. E distrutta è la sua famiglia».

Moggi, ma lei cosa faceva di male? L’hanno condannata...

«Io facevo il dirigente a 360 gradi. Cercavo di fare il massimo per la Juve».

Non poteva farla evitando di parlare con designatori e suggerire griglie?

«A Napoli ho sentito tante cose. Prima ci hanno detto che io avevo un rapporto esclusivo con i designatori. E sapete che non è così. Cene, telefonate e incontri erano all’ordine del giorno. La griglia? Mi limitai a indicare quattro o cinque nomi, i migliori. Questa telefonata ha fatto il giro del mondo. Destino diverso per quella in cui Bergamo suggerisce a Meani di verificare se a Galliani certe scelte sarebbero andate bene. Ragazzi, basta aver voglia di leggere le carte».

Contesta il concetto che i designatori prendevano ordini da Moggi?

«Le carte, ci sono le carte. In una telefonata Bergamo mi dice una cosa e ne fa un’altra. E nella sfida scudetto col Milan ci manda Collina. Quel signore che incontrava Galliani nel parcheggio di un ristorante nel giorno di chiusura. Per non parlare delle richieste di quelli dell’Inter».

E quindi?

«La Juve è andata in B per la diffusa violazione dell’articolo 6, dove si parla di slealtà. Altre società sono coinvolte per l’articolo 1, cioè illecito sportivo».

Moratti, però, non accetta la relazione di Palazzi sull’Inter.

«Le carte e ancora le carte. È tutto chiaro. E poi quella relazione nasce con la consapevolezza della prescrizione in essere... Certo, dice cose interessanti Palazzi».

Vero che Moratti voleva Moggi all’Inter?

«E sì...».

Vero che fu anche la Juve a scaricare la triade?

«Così dicono. Pare temessero la scalata di Giraudo. Tutto falso».

Moggi, lei però non s’è fatto mancare niente. Chiamava pure Biscardi...

«Bè, le moviole di Rai e Mediaset erano tutte anti juventine. Io chiedevo aiuto a un salotto che un tribunale ha definito “bar dello sport”. Pensi un po’... E lo facevo per far sì che gli arbitri non venissero a Torino condizionati al contrario. Poi penso a Carraro, presidente di Lega, che diceva a un arbitro “nel dubbio non fischiare pro Juve”. Altro che Moggi padrone ».

Scusi Moggi, ma Carraro non l’avete votato anche voi della Juve?

«Sì. Ed è stato un errore. Giraudo me lo diceva spesso, “ma sei sicuro che quelli sono amici”. Non lo erano».

Perché?

«Faccio solo un esempio. Ricordate la morte del papa? Io proposi lo slittamento di un giorno della partita visto che eravamo già a Firenze. Galliani, invece, spostò la giornata di una settimana. E al telefono diceva “secondo te io dormo in piedi, così tra una settimana recuperiamo gli infortunati. Bravo il presidente della Lega, vero? Oggi c’è Beretta. E indovinate chi lo ha sponsorizzato? Il Milan».

Moggi e con la storia delle schede come la mettiamo?

«Che bugia l’impossibilità di intercettarle. L’hanno fatto per quelle paraguaiane con cui Lavitola chiamava Berlusconi e volete che non si potesse con sim svizzere? La realtà è che le hanno inercettate ma non c’era nulla e hanno preferito lasciare un alone di mistero».

Sì, ma lei perché le comprò?

«Sapevo che c’era un’operazione di spionaggio ai nostri danni e allora ho fatto quella scelta. Ma quelle schede non servivano a pilotare partite. Fa comodo crederlo».

E quelle telefonate tenute in frigo? Crede fosse un disegno?

«Erano telefonate chiarissime. Ci fu una denuncia su presunte pressioni dell’Inter. Da Napoli risposero che non interessava perché non si indagava sull’Inter. E perché? Perché non si è ritenuto di andare a fondo?».

Moggi, lei era ritenuto il padrone del calcio anche per la Gea.

«Ne ho sentite di belle anche sulla Gea. Pensi che pur di allargare il numero di assistiti una volta ho letto un calciatore di nome Marek e uno Jankulovski. Ovviamente era la stessa persona. Mio figlio faceva il procuratore, io il dirigente. Mi chiese di prendere Liverani e non l’ho preso. E una volta si arrabbiò di non averlo avvisato dell’affare Ibra. Tacchinardi e Mutu gli unici due della Gea in rosa. Troppi? Fate voi... E poi c’era un certo Nesta della Gea. La Juve lo cercò, poi finì al Milan. A una cifra modica. Capito?».

Com’è finito quel processo?

«Assolti. C’è rimasta solo la violenza privata ai danni di Blasi. Uno che voleva un nuovo contratto, io ero contrario e ci furono scontri. Poi giocò 27 partite, ragazzi ma di cosa parliamo? ».

Moggi, una cosa che l’ha fatta sorridere più di tutte?

«Ho letto che sarei andato a Lourdes per chiedere la grazia nel 2006. Ci vado da 20 anni. Bella questa, vero?».

Luciano si alza. Un uomo solo al comando. Gli juventini di Puglia non l’hanno dimenticato. Lui stringe mani, firma autografi, posa per le foto. Gli avranno anche rubato l’anima ma, guardandolo, sembra che il tempo si sia fermato. Aspettando il processo di Appello, il 25 maggio. E, magari, un contropiede firmato Moggi, Prioreschi, Trofino e Penta. Uno staff da... scudetto. Come quella vecchia, indimenticabile Juventus.

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SPORT & BUSINESS

Molto attivi in America Latina, i fondi che investono su

giovani calciatori stanno sfondando anche in Europa affinando

le loro tecniche e cercando di avere al proprio fianco nomi illustri

In arrivo i football funds

di LUCIANO MONDELLINI (MF-Milano Finanza 09-02-2013)

Finora il fenomeno ha appena sfiorato i tifosi italiani, che ne hanno sentito parlare solo in occasione del trasferimento di qualche giocatore brasiliano. Ma l’interesse di fondi finanziari per il calcio e, in particolare, per l’acquisto del cartellino di giovani talenti per ottenere grandi guadagni nel momento della loro vendita sta crescendo in maniera esponenziale. Tanto che ormai il fenomeno non è più relegato al mercato latino-americano (dove è nato), ma sta attirando l’attenzione di importanti società finanziarie europee. Prova ne è che, secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, nella primavera scorsa un fondo legato a una grande società inglese (attiva nei comparti assicurativo e immobiliare) contattò l’attuale direttore sportivo della Fiorentina, Daniele Pradè, e Fabio Capello, ex allenatore della nazionale inglese nonché di Milan, Juventus, Roma e Real Madrid, per varare un fondo di investimento di alto profilo che operasse in questo campo. Al tempo sia Capello (il tecnico sarebbe stato nominato allenatore della nazionale russa nel luglio 2012) sia Pradè (che avrebbe preso in mano le redini della società viola a fine maggio) erano liberi da impegni vincolanti e l’obiettivo del fondo era di fare dei due italiani i massimi responsabili tecnici del fondo. Capello, in particolare, ne sarebbe stato l’esperto calcistico in senso stretto e Pradè il direttore operativo. Ma l’iniziativa alla fine non andò in porto perché il primo accettò l’offerta della federazione russa e il secondo fu allettato dall’idea della famiglia Della Valle di ricostruire la Fiorentina su nuove basi tecniche.

L’episodio, interessante in sé, dimostra che ormai il fenomeno dei fondi non solo si sta rapidamente espandendo (basti pensare che il cartellini di numerosi big brasiliani, come Paulinho o Ganso, è controllato da fondi di questo tipo) e che è ormai arrivato a coinvolgere anche tecnici e manager tra i più apprezzati. Ma è indicativo anche del fatto che il settore finanziario sta cominciando a interessarsi al mondo del calcio, che potenzialmente potrebbe garantire ritorni enormi. Il funzionamento del gioco è semplice: i fondi vanno a cercare giovani talenti di 15 o 16 anni e ne acquisiscono per pochi soldi il cartellino (o una quota di esso) nella speranza che questi abbiano successo. Se le cose vanno bene (il rischio è ovviamente molto elevato e per questo la competenza tecnica è un asset cruciale), in pochi anni un investimento di qualche migliaio di dollari si può tramutare in affare milionario, garantendo ritorni che nemmeno il più bravo gestore di hedge fund può assicurare. Di qui l’attenzione delle grandi istituzioni finanziarie.

Attenzione, però. Mentre la pratica è assolutamente lecita in America Latina (soprattutto è diffusa nel mercato brasiliano), in Europa è per lo più vietata (il Portogallo rappresenta forse l’eccezioni più importante). Se in Sudamerica, infatti, è accettata la distinzione tra i diritti alle prestazioni sportive (che rimangono alle squadre) e i diritti economici, che possono appartenere a società non calcistiche, la gran parte delle federazioni del Vecchio Continente invece non distingue tra questi due tipi di diritti e ciò impone una serie di accorgimenti per chi vuole agire in questo settore in Europa. In primo luogo anche le società europee che vogliono entrare in questo business devono limitare i propri investimenti sui giovani calciatori appartenenti alle federazioni latino-americane. Quindi, in teoria, il fondo terminerebbe di guadagnare non appena il calciatore viene acquistato da un club europeo.

Questo però vale solo in teoria. Siccome infatti l’attività dei fondi è molto utile per tutti gli attori del sistema calcio, nel Vecchio Continente si stanno via via affinando tecniche che consentono di guadagnare anche su trasferimenti intraeuropei. Un pratica tra le più in voga prevede che un club di grandezza media, per esempio, aiutato dal fondo che controlla una quota del cartellino del calciatore, possa acquistare un calciatore dal Sudamerica ottenendo dal fondo stesso uno sconto sul prezzo di acquisto. In cambio il club europeo garantirà una percentuale sui soldi incassati (e la cifra sarà sicuramente molto maggiore) in caso di rivendita a un club più grande nel giro di qualche stagione. Questi accordi, d’altronde, presentano anche il vantaggio di andare incontro alle esigenze dei club che con l’introduzione in Europa del fair play finanziario (le norme volute dal presidente dell’Uefa Michel Platini per contenere i costi del sistema) devono sempre più ridurre le spese. L’attività dei fondi infatti fa scendere il costo dell’investimento necessario per assicurarsi le prestazioni sportive del giocatore, traducendosi in un esborso finanziario più contenuto e in un minore costo per ammortamento a conto economico. Nei fatti si genererà per il club un doppio beneficio, grazie a un maggiore utile di esercizio e una maggiore disponibilità di risorse da spendere. Un’altra tendenza in atto è la specializzazione di questi fondi. Alcuni di essi si stanno concentrando sulla possibilità di concedere alle società calcistiche giocatori in prestito. Invece di investire 1 milione per il cartellino di un calciatore per quattro anni, un club paga 250 mila euro a stagione al fondo, che così fornisce alla squadra una sorta di leasing sull’assistito. E la certezza è che queste pratiche prolifereranno in misura sempre maggiore.

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