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CRAZEOLOGY

K A L C I O M A R C I O! - Lo Schifo Continua -

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Dirigenti nei secoli fedeli. A se stessi

Olivero Beha -oliverobeha.it - 22-01-2013

Magari fossero gattopardi nelle urne dello sport italiano non cambiano nemmeno i nomi: Abete eletto al posto di Abete, Beretta al posto di Beretta. E se Petrucci deve passare la mano, allunga il testimone al suo segretario

Non ricordo da molte stagioni un calciomercato invernale tanto movimentato in quantità e (forse… Juve, Milan, Inter… vedremo) in qualità. E neppure ricordo da varie cadenze elettorali una campagna così confusa, con la miriade di liste e la degenerazione di idee (pochissime) e comportamenti (per lo più deprecabili) delle figurine più esposte. Eppure il bello è che le due cose vanno insieme, in contemporanea: recupera Berlusconi nei sondaggi e recupera il Milan in classifica, avvicinandosi l’uno a una percentuale di interdizione parlamentare fino a due mesi fa lontana anni luce e l’altro all’allora remota Europa pallonara. Certo, entrambi hanno bisogno di congiunture favorevoli. Per il Caimano ci vuole un Senato dove in sostanza si pareggi, e quindi necessita di suffragi parcellizzati a sinistra. Per il Milan bisogna che in parecchi tra i concorrenti in alto impattino decelerando così da farlo riavvicinare. E se per il primo garantirebbe vantaggi sbarcare la zavorra degli impresentabili, per il suo Milan ci sarebbe voluto qualche bel colpetto tecnico-tifoideo, alla Kaká. Lasciando almeno qui la prima traccia, buttiamoci su quella calcistica pure così influente sul versante dell’immagine e della popolarità, ossia ahinoi il principale versante politico oggi in Italia. Che sta succedendo? Quasi tutti vogliono comprare quasi tutto, dimenticando l’aurea regola comprovata dal campo in base alla quale è veramente raro il caso di un giocatore (o due) che a metà campionato abbia cambiato decisamente il destino di una squadra. Però tra la Juve che cerca il “bombere” (alla romana), l’Inter che adesso rimpolperà la rosa, la Lazio in agguato e il Milan come detto vocato alla caccia alla volpe, c’è un movimento da parate militari.

Aggiungete il terzo allenatore cambiato dal Genoa per non finire in B da Preziosi nel mirino dei tifosi, e il panorama della mobilità sarà significativo. Per non parlare poi di arbitri. Il livellamento, con tutte quelle squadre in lizza per Champions e Europa League che vogliono dire rispettivamente molti o abbastanza milioni, è garanzia di bizzarrie arbitrali. Il fischio va a favore di chi ha il potere in quel momento. E quindi preparatevi a qualche beneficiata per il Milan in rimonta. Oppure considerate come tesi di scuola l’arbitraggio di Bergonzi a Firenze: si ammonisce chiunque a torto o a ragione per mezz’ora, e poi si risparmia un palese secondo giallo a un ammonito. È della Fiorentina? No, è del Napoli (Behrami…) che guarda caso in questo momento conta assai più del club dellavallesco nelle stanze neppure tanto segrete della Rotondocrazia, di Lega e Federcalcio. E così sarà fino alla fine della stagione. Arbitri corrotti? Ma per carità, e magari, sarebbe faccenda lineare: sono arbitri in “buona cattiva fede”, se mi permettete questo ossimoro obbrobrioso, che comprensibilmente puntano a far carriera e quindi a non scontentare il potente di turno.

Con il Napoli nella parte destra della classifica Behrami sarebbe stato già a casa da un pezzo… Dunque movimento eccome, in politica, negli affari rotondopatici e in campo: ma non in politica sportiva. Qui è tutto fermo, non si muove paglia almeno all’apparenza, i burosauri del calcio e dello sport rinnovano se stessi senza tema di invecchiare. In proporzione alle liste elettorali pur tutt’altro che commendevoli e a una campagna piena di botti, negli uffici si celebra la conservazione o la continuità. Non ci si crede, ma con tutto quello che è accaduto nel mondo del calcio dal 2006 in poi, leggi Calciopoli, che resista ancora Abete rieletto Presidente “come unico candi- dato” è davvero commovente. È lecito domandarsi che cosa dovrebbe succedere in più e in peggio al pallone (risparmio l’elenco per bontà e lotta al tedio…) perché ci fosse almeno un altro candidato a duellare con Abete… Certo, poi guardi quello che è avvenuto nella Lega della Serie A, dove è stato rieletto Presidente sempre “come unico candidato” Maurizio Beretta – che i più chiamano Mario per ignoranza, scambiandolo per il tecnico leggermente più noto… –, dimissionario dal secolo scorso, e stupisci. E se vi dicessi che è suo vice Adriano Galliani, che di tal Lega è già stato nelle varie ere geologiche presidente, reggente, commissario e forse siniscalco ecc.? E ancora che consiglieri federali sono stati eletti Lotito (in latino) e Pulvirenti (Catania) che ha intavolato subito un gradevole scambio con Andrea Agnelli chiamandolo “isterica zitella”? Mica male, nevvero? Questo mentre al Coni, spentasi serenamente tra l’affetto dei suoi l’ennesima presidenza di Petrucci, sembra toccare la soglia del Coni a Pagnozzi, suo longevissimo segretario… Qui sullo sfondo si muove anche Giovannino Malagò come eventuale contendente. Gli getteranno qualche offa per tenerlo buono. Rimane quell’infinitesimale problema di democrazia nella politica sportiva, che dovrebbe vigilare dall’alto sull’andamento di Federazioni e pratica conseguente, con tutti i soldi dello “show-biz”. In realtà i capataz o sono collegati strettamente ai poteri politico-economici del Paese, oppure (cfr. la pallonocrazia) coincidono esattamente essendo le stesse persone nei differenti territori. Ho cominciato con Berlusconi, Cosentino, il Milan, Kakà… Debbo aggiungere altro?

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Raising stakes in

playing fields of false hope

by MATTHEW SYED (THE TIMES 23-01-2013)

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Burden to carry: the clever marketing ploys of the betting companies hide a darker story of addictions and compulsions Tony Marshall/EMPICS

It is two years to the day since Tony, my best friend, died. The post mortem blamed a weak heart, but missed the shadowy presence in the background that was also responsible. Gambling. By the end, he had no money left, the strain of wishing to repay the handouts from his friends more intolerable than any pain. His life-force seemed to vanish in those last days.

I guess most of us have stories of a friend or family member who has fallen into the vortex of gambling. We have seen the dead-eyed desperation of those whose only solution to a funding crisis, or fleeting boredom, is another punt. To those in its grip, gambling is intoxicating, irresistible and ultimately intolerable. A bit like crack.

Sport is locked in a rictus embrace with gambling. You could almost call it an addiction. It is difficult to watch football on the television without being reminded by clever advertising that real fans gamble on results, often in-play, and preferably with high stakes. It is often positioned in a light-hearted way, as if a punt is the authentic statement of the proper fan.

Bookmakers’ logos are plastered across perimeter advertising. Sport has even created a new industry: the betting exchange. Conventional bookies make money by inserting a profit margin into the odds.

Exchanges and spread betting are different. The former allows punters to offer odds to each other, adding to the potential for match-fixing. Spread betting has been linked with spot-fixing, another scourge of modern sport. But it has also created a class of professional gambler, funded by private equity and bolstered by quantitative analysis. The amateurs are often fleeced.

Then there is the cornerstone gambling institution in the UK, the National Lottery. Founded in 1994, it is embedded in British sport. It was the Lottery that part-funded the Olympic Games and bankrolls almost all of the British Olympic teams.

The Camelot logo — fingers crossed, with a smile — is almost ubiquitous whenever our sporting heroes are paraded. Many athletes credit the Lottery when interviewed, making the system sound positively virtuous. It is anything but.

The price of a Lottery ticket is to double. Its regressive nature, disproportionately played by the poor, but with benefits often accruing to the middle classes, is well established. According to the Culture Select Committee, “the probability of participating . . . is a decreasing function of income.” ie the poorer you are, the more likely you are to play.

It was not an uncommon observation during the Games that much of the cost was provided by individuals who could not afford the price of a ticket to go and watch.

But the effects of the National Lottery go far wider. The Olympics were a cultural blessing in part because they reacquainted us with an authentic notion of success. Medal-winners looked into the camera and shared a story of dedication, years of hard work, and the sacrifice of parents and coaches.

This was an empowering metaphor for any young person wondering how to fulfil her potential, whether in the javelin or mathematics or business. If you want to get something out of life, you need to put something in. And when you do, the rewards — material, spiritual, psychological — are all the more satisfying.

The Lottery connives at a rather different message. It silently promotes the idea of getting rich quick, not on the basis of effort, merit or dedication, but as a consequence of a mindless, utterly capricious draw. It doesn’t even have the virtue possessed by sports gambling that knowledge and information can increase your odds of success. The Lottery is about randomness and false hope, as grotesque, in its way, as a roulette wheel magnified to the size of the Hanger Lane Gyratory and covered in faux sequins. It is a cultural cancer.

Some like to say that the Lottery allows people to buy hope, but it doesn’t really. It is the purchase of a statistical apparition. That the purchase of tickets goes sky high when there is a rollover should make us shudder. The collective hopes of millions are distilled into a single prize, with the winner paraded like a prize angus. Its association with the Olympics, in which dreams are realised through endeavour, is parasitical and duplicitous.

The road from an occasional flutter to hardcore gambling is far from inevitable, of course, but it is striking that Camelot has started to focus on scratchcards. The attempt to exploit the underbelly of the mind is implicit in its name for these vile little things: Instants. “5 winners every second”, the publicity says. It says far less about the terrible odds offered by these miniature black holes, or the established link with problem gambling. Top British athletes are paraded as beneficiaries as a way of making the schemes seem a civic duty. It is deeply unedifying.

A harmless flutter? Nobody is forced to buy a scratchcard or anything else: if you don’t want to pay, it is said, don’t buy a ticket. But things are rarely so black and white. Not when gambling wreaks such devastation on individuals and where the cornerstone message of the Lottery is so corrosive.

Tony’s desperation towards the end was harrowing, doubling up to get out of the mess. The vicious circularity of the gambling addiction is like a stranglehold, cutting off oxygen even as it offers false hope. Sport is not just one of the portals into gambling, it is also one of its most lucrative markets.

The influx of money from bookmaker sponsorship and the Lottery must seem a blessing. But the collateral damage — to society as well as the integrity of sport — is all too often overlooked.

FIFA official Jerome Valcke:

'Match-fixing is a soccer disease'

by PEDRO PINTO & TOM MCGOWAN (CNN.com 23-01-2013)

Match-fixing is a "disease" that could kill football, a top official at the sport's world governing body told CNN on Wednesday.

Earlier this month FIFA handed lifetime bans to 41 South Korean players who had been involved in prearranging matches.

It followed December's suspension of the president of the South African Football Association ahead of an investigation into match-fixing in the country prior to it hosting the 2010 World Cup.

"I really think that it's a disease and a threat which is on a worldwide basis," FIFA's general secretary Jerome Valcke told CNN in an exclusive interview.

"It's not just about Africa. It is in Asia, it is in Europe, it is in North America, it is in Canada, it is in South America. It's all around the world that this match-fixing, or match manipulation, is active."

Read: Sympathy for the "devil" - In defense of Sepp Blatter

Valcke was speaking after European football chief Michel Platini branded match-fixing the greatest threat to the future of football in an interview with a French radio station.

Platini had warned that football is "dead" if the outcome of matches is prearranged, a statement Valcke echoed by saying the appeal of the sport lies in its unpredictability.

"If you know the end of the party, of the game, then definitely football is dead," he said. "That's the beauty of the game, you never know who will be the winner.

"It can be the team you think would win, but it can also be the other team, the opponent who can make it because it's just played on one goal. So that's why we have to protect football as much as we can."

Valcke warned that the fight against the highly lucrative match-fixing business could take 10 years, and urged anyone with knowledge of such activity to come forward.

In May 2011 FIFA announced it would donate over $25 million to Interpol over 10 years -- the largest grant the world police organization had ever received from a private body -- with a view to tackling corruption.

"When I was in Rome where we had this meeting with Interpol and 50 of the 53 of the European associations, I heard that the business of match manipulation per year is around 100 billion. I don't know it is in Euros or U.S. (dollars), but whatever, it is 100 billion, it's an amazing figure," Valcke said.

"I think it will be a very, very long fight and it will be very difficult to win. And if we want to win, it is all together. Also I told some media in South Africa, if you are aware of anything you should tell us. We have to fight all.

"All the people who love football should be together towards match-fixing. But it will not be a fight of one day as we have other fights which have been there already. And match manipulation will be another fight that will be there for the next decade."

Former Interpol director Ralf Mutschke replaced FIFA's former head of security Chris Eaton -- who joined a Qatar-based sports security consultancy -- in June last year, tasked with tackling the scourge of match-fixing.

In the past FIFA's own governance has been questioned. Corruption watchdog Transparency International cut its ties with the body in 2011 when two of its recommendations -- that the investigator charged with overseeing FIFA would be compromised if he was paid by FIFA and that he should be allowed to investigate old corruption scandals -- were dropped.

"There is no limit in what we have to do in order to make sure we can eradicate match-fixing one day in our game," Valcke said. "Or at least to make sure that match-fixing is not a threat anymore to our game."

Modificato da Ghost Dog

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Fulvio Franca, altro tecnico

licenziato da mamma e papà

Dopo Marino Lombardo all’Ufm l’ex della Triestina cacciato dalla panchina

degli Allievi del Trieste Calcio: «Le società sono vittime dei disagi dei genitori»

di RICCARDO TOSQUES (IL PICCOLO 24-01-2013)

Essere licenziati da mamme e papà è oramai diventata una moda. Dopo Marino Lombardo, esonerato dalla guida degli Allievi regionali dell’Unione Fincantieri Monfalcone, ora è toccato ad un’altra vecchia conoscenza del calcio triestino: Fulvio Franca. L’ex attaccante alabardato sino a domenica scorsa siedeva sulla panchina degli Allievi sperimentali del Trieste Calcio, lo storico sodalizio del rione di Borgo San Sergio. Poi, come il più imprevedibile dei fulmini a ciel sereno, la chiamata del patron Nicola de Bosichi. «Il presidente mi ha contattato riferendomi di aver ricevuto una lettera da parte dei genitori che sostenevano di non volermi più come allenatore dei loro figli», spiega un attonito e amareggiato Franca. Motivazione? «Nella missiva c’era scritto che non avevo saputo motivare a sufficienza i ragazzi », spiega ancora incredulo l’ex tecnico dei lupetti. La lettera-editto dei genitori pare non abbia fatto vacillare più di tanto de Bosichi. Anzi. «Lui ha preso le parti di mamme e papà (quante persone abbiano sottoscritto il documento non è noto, ndr) e quindi mi ha esonerato senza aggiungere altro», conferma Franca. Per ora il presidente del Trieste Calcio non ha voluto entrare nel merito della vicenda limitandosi a poche parole: «Confermo che Fulvio Franca è stato esonerato e che quindi non è più un allenatore della nostra società». Telegrafico a dir poco. L’episodio, che si registra poche settimane dopo il clamoroso addio di Marino Lombardo cacciato dai genitori dell’Ufm, è l’ennesima conferma di come i ruoli, anche all’interno del mondo sportivo giovanile, stiano mutando. «Siamo di fronte a delle società che sono vittime e ostaggi di mamme frustrate, una situazione secondo me assurda che rovina il calcio », stigmatizza senza peli sulla lingua Franca. Da un certo punto di vista i rapporti genitori-educatori all’interno delle società sportive da tempo hanno mutato il loro indirizzo originario, ricalcando il modello presente all’interno del mondo scolastico. Una volta, se un professore diceva che lo studente doveva applicarsi di più o ne stigmatizzava il comportamento, la mamma o il papà di turno rimproveravano il figlio ascoltando quindi il suggerimento che giungeva dall’insegnante. Oggi i ruoli si sono completamente invertiti: i genitori ascoltano i figli e poi rimproverano gli educatori. Un meccanismo che vale anche nello sport, soprattutto nel calcio, una disciplina che a causa degli interessi che gravitano a livello professionistico, è diventata una chimera meravigliosa da raggiungere a tutti i costi. E così il principio iniziale dello sport, il divertimento, seguito da un altro fattore preminente, la socializzazione, passano in terzo, quarto o quinto piano. «La società ha deciso di assecondare le richieste dei papà e delle mamme...», diceva Marino Lombardo pochi giorni fa dopo il suo esonero dall’Ufm. Forse, come tanti dirigenti, allenatori e presidenti dicono sotto voce, ci vorrebbe un bel Daspo, rivolto a tutti quei genitori che invece che godersi gli anni più belli dei loro figli mentre si divertono a praticare lo sport più bello del mondo, credono di avere tutti dei piccoli fenomeni in casa. Come diceva un vecchio allenatore oramai in pensione: «Chissà come sarebbe bello poter giocare una partita senza tutte quelle mamme che urlano per tutta la partita. I primi ad esserne felici? I loro figli in campo».

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Ligresti jr scommette sulle Star del calcio

di ANDREA MONTANARI (MF-Milano Finanza 24-01-2013)

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Partita in pompa magna come società di riferimento per la promozione dell’immagine di star dello sport grazie anche al contributo, in cda, di procuratori affermati quali Claudio Pasqualin e Andrea D’Amico, della Star Management si erano perse le tracce. Ora a rilanciarla è Paolo Ligresti, che da socio di maggioranza (60%) ha deciso di acquistare il pieno controllo dell’azienda torinese. Il terzogenito dell’immobiliarista Salvatore Ligresti ha rilevato il 40% in possesso di Maria Cristina Russo, dirigente della Star Management, che nel 2010 fatturava 1, 5 milioni. In passato l’agenzia curava l’immagine dei calciatori Claudio Marchisio, Totò Di Natale, Javier Zanetti, Nicola Legrottaglie, Gennaro Gattuso, Fabio Quagliarella e Gianluca Zambrotta.

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Deloitte Football Money League: la classifica dei club più ricchi! Milan top per l'Italia, poi Juventus, Inter, Napoli e Roma

Dominio delle spagnole Real Madrid e Barcellona, l'Italia arranca con le sue cinque rappresentanti: Napoli boom con Manchester City e Borussia Dortmund.

http://www.goal.com/...ws&ICID=HP_HL_1

Real Madrid club più ricco per l'ottavo anno

Le sei prime posizioni rimangono inalterate

Cinque nazioni differenti tra le prime venti

Manchester City, Borussia Dortmund e Napoli salgono di cinque posizioni

Premier League, la più rappresentata

L'Italia fatica a tenere il passo

Ricavi cresciuti del 10%

Niente crisi, siamo il calcio. Almeno all'estero. Il rapporto Deloitte, che fotografa la situazione economica dei venti club più ricchi al mondo, vede le prime sei posizioni confermate, con due spagnole, tre inglesi e una tedesca. Anche senza evidenziare i propri nomi è facile capire di chi si tratta.

opo Real Madrid, Barcellona, Manchester United, Bayern, Chelsea e Arsenal, la prima italiana è il Milan, all'ottavo posto. I rossoneri, però, sono stati scavalcati dal Manchester City di Mansour, nuova potenza milionaria degli anni 2000.

Tra le prime venti presenti altre tre italiane, la Juventus (decima), l'Inter (dodicesima, lo scorso anno tra i primi dieci posti) e Napoli, al quindicesimo gradino dopo aver scalato cinque posizioni, come il già citato City e il Borussia Dortmund, e la Roma, diciannovesima.

I primi 20 club hanno accumulato 4,8 miliardi di introiti nel 2011-12, il 10% in più rispetto all'anno prima. Statisticamente 7 militano in Premier, 5 in Serie A, 4 in Bundesliga, 2 nella Liga e 2 nella Ligue. Salgono Corinthians e Galatasaray, in cui i soldi girano eccome. Per non parlare del PSG.

Deloitte cominciò la sua analisi nel 1996-97. Il Real Madrid era a 85 milioni, ora è sopra i 500. Numeri assurdi, insomma. "E' interessante vedere la disparità tra le squadre spagnola e il resto della Liga, nessuna delle altre squadre iberiche è nella top venti" fanno notare.

Per trovare delle francesi bisogna scendere fino al 16esimo e 17esimo posto, con Olympique de Marseille e Olympique Lyonnais. Il City, che ha scalato cinque posizioni, è stato 'aiutato' dalla vittoria della Premier League e dalla qualificazione in Champions.

La Juventus, seconda delle italiane, ha beneficiato dalle entrate del suo Stadium. Ciò che limita le squadre di Milano e quelle di Roma. Non c'è bisogno di ricordare come uno stadio di proprietà cambi le carte in tavola.

Dati totali quadruplicati rispetto al '97, quando si iniziò. Le top venti generano mercato pari a un quarto di quello totale europeo. Praticamente il gotha milionario.

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DELOITTE FOOTBALL MONEY LEAGUE 2013

http://www.deloitte....356f70aRCRD.htm#

Secondo la sedicesima edizione dello studio “Football Money League 2013” pubblicato da Deloitte, il fatturato complessivo dei TOP20 club calcistici del mondo ha raggiunto quota 4,8 miliardi di Euro, in crescita del 10% rispetto all'anno precedente.

Sono 5 le squadre italiane in classifica. ll Milan, con 256,9 milioni di Euro si aggiudica l’ottava posizione, seguito dalla Juventus che, grazie soprattutto ai ricavi dello Juventus Stadium, raggiunge il decimo posto con 195,4 milioni di Euro.

Segue l’Inter (12° con 185,9 milioni di Euro), mentre registra un vero e proprio exploit la performance del Napoli che scala la classifica di ben 5 posizioni arrivando al 15° posto con 148,4 milioni di Euro. La Roma al 19° posto è l’ultima delle italiane con 115,9 milioni di Euro.

Rispetto alla prima edizione della ricerca Deloitte (stagione 1996/97), i ricavi complessivi generati dai primi 20 club al mondo sono quadruplicati. Oggi le Top 20 rappresentano circa il 20% del totale dei ricavi dell’industria del calcio, a conferma della polarizzazione che caratterizza il settore.

Dan Jones, Partner dello Sports Business Group di Deloitte, ha commentato: “La conferma della crescita per la stagione 2011/12 dimostra la continua capacità di resistenza dei migliori club calcistici agli impatti della crisi economica internazionale. L’industria del calcio riprende a crescere a cifra doppia ( 10%) dopo 3% del 2010/11. I più grandi club d’Europa hanno dimostrato di essere ben posizionati per affrontare le sfide imposte dalla situazione economica grazie alla loro ampia e fedele base di tifosi e appassionati, alla capacità di catturare audience derivante dai broadcasting e all’abilità nel continuare ad attrarre grandi aziende come partner.”

L’analisi “Football Money League 2012” realizzata da Deloitte prende in considerazione i dati relativi alla stagione 2011/2012, escludendo le plusvalenze da cessioni, e si presenta quale analisi più aggiornata e affidabile dei risultati economici relativi ai club calcistici.

LINK all'Infografica

http://www.deloitte....-2013/index.htm

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Scudetto e Stadium fanno volare la Juve, ma l'Europa resta lontana

24.01.2013 15:15 di Davide Terruzzi

Tuttojuve.com

"Football is business", il calcio è una delle principali industrie del nostro Paese e la Juventus è la seconda realtà italiana alle spalle del Milan. Il rapporto Deloitte fotografa, anno dopo anno, l'andamento dei ricavi dei club europei stilando una prestigiosa classifica che la dice lunga sullo stato di salute dell'economia pallonara.

In un mondo che subisce gli effetti della crisi la cui morsa si farà sentire anche nel 2013, il calcio gode ancora di ottima salute. Numeri che non mentono quelli della Deloitte. Nella speciale graduatoria il Real Madrig guida con 512 milioni di euro di ricavi (primo club a sforare quota 500),inseguito da Barcellona, Manchester United, Bayern, Chelsea, Arsenal, Manchester City, Milan, Liverpool e Juventus.

La Vecchia Signora rientra così nella top ten europea grazie a due fattori: lo Stadium e la vittora dello scudetto. Rispetto alla stagione 2010-2011, la Juventus è passata da 153.9 a 195.4 milioni di ricavi. Come capirebbe anche un bambino delle elementari, cifre platealmente lontane non solo dalle spagnole, ma anche da United (395.9), Bayern (368.4) e Chelsea (322.6).

La partecipazione alla Champions League gioverà certamente con maggiori introiti derivati dal botteghino e dai diritti tv, ma la strada per scalare posizioni è lunga e tortuosa. Entrando nel dettaglio, la torta dei ricavi viene suddivisa in 3 fette: matchday, broadcasting (diritti tv) e commercial (sponsorizzazioni e marketing). Nel caso della Juventus: 73 dal commercial, 90.6 dal broadcasting e 33.8 dal matchday.

Come sottolinea il rapporto Deloitte, il futuro sorride alla Vecchia Signora grazie all'andamento della squadra di Conte in campionato e in Champions sottolineando quindi come tutto parta dai risultati ottenuti sul campo. Spettacolare l'aumento degli introiti dal matchday (20.2 milioni pari a un 174 in percentuale) nonostante siano state disputate 4 partite in meno rispetto al 2010/2011. Cifre destinate ad aumentare, di fatto lo sono già, grazie appunto alla partecipazione in Champions League, ma che restano distanti anni e luce dai club europei.

In aumento anche gli introiti derivanti dal commercial (sponsorizzazioni e marketing) grazie alla vittoria del campionato e alle opportunità che offre lo Stadium, fattori che hanno comportato un incasso maggiore di 19.4 milioni (ovvero il 36%). Gioverà la partnership con Jeep grazie ai 35 milioni in tre anni versate nella casse bianconere.

Se nel matchday la Juventus ha raggiunto la sua principale e diretta antagonista in italia, il Milan, per quanto riguarda il commercial i rossoneri sono largamente avvantaggiati con 96.8 milioni di ricavi derivanti da questo settore. Ovviamente, i nostri club non sono lontanamente paragonabili a quanto guadagnano le squadre inglesi, spagnole e tedesche. Dove ci difendiamo, per ora, resta il broadcasting: dai diritti tv la Juventus ha incassato 90.6 milioni, cifra che con la Champions aumenterà decisamente raggiungendo il Milan a quota 126.3. I club tedeschi, inglesi e spagnoli sono però destinati ad aumentare verticosamente gli introiti derivanti da questo settore.

In definitiva, il rapporto Deloitte fotografa il declino del calcio italiano sempre dipendente dai diritti tv e costretta a inseguire nel commercial e nel matchday senza concrete possibilità di agganciare nel medio termine le rivali europee. La Juventus, grazie al fattore Stadium e alla vittoria in campionato, ha ritrovato smalto, la strada per agguantare il Milan e scalare posizioni passa dai progetti di valorizzazione dell'area adiacente allo Stadium, da un maggior peso e diversificazione degli sponsor e da una maggior risposta nel settore marketing.

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La Ġazzetta dello Sport 24-01-2013

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Has football gone mad?

Yes, and nowhere is

more insane than SW6

by TONY EVANS (THE TIMES 24-01-2013)

Chelsea paid £32 million for Eden Hazard. On skill, Roman Abramovich will justify the price. On character, Hazard is worth about 32p. The Belgium forward’s kick at a ballboy last night was emblematic. When the going gets tough, Hazard hides. Easy victims are right up his street.

Fifty-fifties with a kid on the sidelines are easier than with a defender.

The man with a big price tag and reputation has a long way to go to prove he is a top-class player.

Anyone who finds excuses for Hazard by claiming the ballboy was wasting time should be ashamed of themselves. There are plenty of blinkered supporters who will make the leap of faith. They are wrong.

“Has football gone mad?” Chelsea asked that question on their Twitter feed.

They were blaming the young man charged with collecting balls for wasting time shortly after the sending off. The West London club backtracked later but there’s a simple answer to the question. Yes. There is rampant insanity in the game. And nowhere is it madder than in SW6.

This is the club that couldn’t see that John Terry had overstepped the mark of on-pitch abuse in the most gruesome manner when he abused Anton Ferdinand. This is the club whose PR staff briefed that Mark Clattenburg had made racist statements during the match against Manchester United when there was no evidence to support the allegation. They were telling journalists this within minutes of the final whistle last year. It caused a huge and destructive scandal which had no basis in fact. This is the club whose backtracking over Clattenburg was so mealy-mouthed as to be insulting.

Self-awareness is not a strong point at Stamford Bridge. Do they care how the world perceives them? Barely. Is the arrogance of wealth so powerful that public opinion does not matter? It is a question Chelsea’s PR department seems not to ask.

In these circumstances, why would Hazard have any sense of reality. It is clear he has an elevated sense of his own status. He enjoyed flirting with football’s aristocracy during the summer before settling on Chelsea as his destination. On the evidence of this season, however, he is a player who thrives against weak opposition but hides when the going gets tough.

If his self-image was anywhere near reality, Chelsea would be ten points clear at the top of the league instead of seeing one Champions League-winning manager sacked and another under pressure.

Hazard is just one symbol of a club that has lost their way. Rafael Benítez is struggling to knock the team into shape but even one of the game’s great tacticians has his hands full with this lot. Hazard is not the only one who is living on reputation. Abramovich wanted entertainment and Hazard, Oscar and Juan Mata — the Three Amigos — have the skill to put on a show.

But are they winners? It is unlikely José Mourinho or Carlo Ancelotti would have built a squad with so little balance and so little fight. Or Benítez, if he had the choice.

It was not like this even as recently as two years ago. Terry, Frank Lampard and Didier Drogba were the backbone of a very different Chelsea side. For all their faults, they had enough cojones to take on any team in the world. The Three Amigos would be lucky to drum up a six-pack of cojones between them.

Which makes it all the more outrageous that Hazard should act the hard man with an adolescent last night. There is no excuse. When the ball is dead in top-flight games, three or four spares are thrown on within seconds. Referees are cute enough to add any childish lost seconds.

The onus is on the FA to act. It cannot be acceptable to behave like Hazard did last night. This sort of behaviour demands similar draconian treatment. The violence of the kick demands a long ban.

That Hazard and the young man he kicked kissed and made up in the dressing room should not affect the disciplinary process. Booting a young man on the floor is not showing competitiveness or an appetite to win. It is stupid. It brings the game into disrepute.

Much of the frenzy that surrounds the game is daft. In this case, it is right to be angry. Incidents are rarely uglier. Hazard needs a kicking.

Metaphorically speaking, of course.

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E Kakà paga 2 milioni

Il campione brasiliano ha provato a dribblare le insidie della tassazione

italiana. Ma è stato stanato dagli ispettori dell'Agenzia delle Entrate che

gli hanno imposto una multa salata per un contratto pubblicitario

di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso.it 24-01-2013)

Scordatevi Mario Balotelli. La star del calciomercato in versione Agenzia delle Entrate è Ricardo Izecson Leite detto Kakà, Pallone d'oro milanista nel 2007, passato al Real Madrid nel 2009 e cavallo di ritorno per un Adriano Galliani in piena recessione. L'amministratore delegato del Milan si deve districare tra i problemi della fiscalità spagnola così come al campione brasiliano è toccato dribblare le insidie della tassazione italiana. Dribbling fallito nel caso del contratto pubblicitario per i biscotti Ringo. Gli investigatori di Attilio Befera hanno presentato un conto da due milioni di euro. Il calciatore si è impegnato a firmare una transazione con l'indicazione specifica che non si desse notizia dell'accordo. La preoccupazione è comprensibile vista la tempesta mediatica che ha investito campioni di altri sport come Valentino Rossi e Diego Armando Maradona o, dodici anni fa, una leggenda della lirica come Luciano Pavarotti.

L'infortunio fiscale di Kakà, oggi trentenne, è da imputare a una delle sue società italiane, la Tamid sport & marketing, controllata da Ricky insieme alla moglie Caroline Celico e alla madre Cristina Dos Santos Leite. Tamid è una piccola cassaforte con 11 milioni di euro di attivo e 8 milioni di debiti "per diritti di sfruttamento dell'immagine" del calciatore. E' uno schema molto in voga che in gergo tributario si chiama "star company". Grazie all'interposizione di una società di capitali, la stella in questione paga il 27 per cento di aliquota invece del 43 per cento previsto per i redditi di una persona fisica oltre i 75 mila euro.

In realtà, la differenza dovrebbe essere comunque pagata al momento della distribuzione dei dividendi all'azionista. Che, nel caso di Tamid, è la famiglia Izecson. Il problema è che, nel 2009, Kakà ha spostato la sua residenza fiscale a Madrid e il fisco italiano non aveva intenzione di regalare ai colleghi spagnoli un paio di milioni di euro. L'Agenzia delle Entrate sta lavorando su diversi altri casi di calciatori stranieri che giocano o hanno giocato in Italia. Nel caso di Kakà la transazione è stata chiusa senza troppe opposizioni anche perché il fuoriclasse brasiliano ha mantenuto molti interessi economici in Italia anche dopo il trasferimento al Real Madrid per 67 milioni di euro. A Milano in particolare Kakà ha conservato tre immobiliari (Gosen, Flavia, Nikos) e un robusto conto bancario che, fra fondi di investimento e depositi liquidi, supera i 5 milioni di euro. Anche il fratello Digão, difensore non impenetrabile oggi in forza ai New York Red Bull dopo mezza partita in serie A con il Milan (marzo 2008), è tuttora consigliere della Up management, società di eventi sportivi.

Fino a qualche tempo fa, la gestione del business di famiglia era in mano al padre di Ricky, Bosco Izecson, ingegnere della buona borghesia paulista. Adesso le operazioni sono affidate a Ezio Maria Simonelli, commercialista con un curriculum da Pallone d'Oro della categoria. Fra gli incarichi attuali o passati, ci sono le banche Ubs, Bpm, Dexia, Akros. Il punto forte è la galassia Fininvest con la batteria delle varie Holding Italiana. Seguono Mediolanum e Mondadori, mentre si è chiusa nel 2010 l'esperienza come amministratore di Visibilia, la concessionaria di Daniela Santanchè. In ambito sportivo, Simonelli guida il collegio sindacale di Branchini Associati, l'agenzia che ha portato al Bayern Pep Guardiola.

Fino alla settimana scorsa, Simonelli è stato in corsa per la presidenza della Lega calcio come uomo vicino a Galliani, prima di essere sacrificato alla ragion di Stato. Il nuovo asse tra il Milan e la Lazio di Claudio Lotito ha portato alla conferma di Maurizio Beretta.

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Blatter: Relegation should

be a punishment for racism

(FIFA.com) Thursday 24 January 2013

http://youtu.be/8KDLgtgA7HI

FIFA President Joseph S. Blatter speaks to FIFA.com about, among other topics, his 2012 highlights, Lionel Messi, why relegating a team would be a good punishment for racism from its supporters, goal-line technology, match-fixing, his own love of football, the year 2013 and the importance of the FIFA U-20 World Cup and the FIFA Confederations Cup.

FIFA.com: 2013 began with the FIFA Ballon d’Or Gala. What are your views on the winners?

Joseph S. Blatter: Lionel Messi is currently the best player, therefore we are very proud that the voters have made such a clear decision. However, as we invite the three remaining candidates, perhaps we should give three medals to avoid two of them going home empty-handed. This is something we should think about for the future.

The year also started with a very sad incident in a game with AC Milan. The issue of racism is not new in society and football, and not easy to solve, but what solutions do you have in mind?

It is a phenomena where football is a victim of our society. Discrimination and racism is everywhere in our society. We in football cannot be made responsible for what happens in our society. But nowhere in the world – regarding all the problems you can have in your private life, in business, in politics – can you solve a problem by running away. I agree with and support the movement of Boateng – as I have said – as it was a strong warning. It is now up to us to take the adequate steps. What I feel we should do is give instructions to our national associations and the confederations – specifically to the disciplinary committees – to be very strong. It is not enough to give a fine. Playing a game without spectators is one of the possible sanctions, but the best would be the deduction of points and the relegation of a team, because finally the club is responsible for their spectators.

Last year was a very rich 12 months in terms of football, but what were your highlights of 2012?

Definitely the highlight of 2012 for me was women’s football. We had two competitions in the FIFA calendar, with the U-20s and the U-17s. The U-17s was played for the first time in a Muslim country, in Azerbaijan, and it was a huge success and had a surprising winner with France. We had the U-20s in Japan, here the winner was not a surprise as the USA girls have been working hard on the development of football and have been doing it for the last years. The highlight though was definitely the Olympic Games in London. Who would have expected, and especially not me I must confess, so many spectators and such enthusiasm for women’s football? Who would have thought about this immense euphoria finally for women’s football? It was great. To have 80,000 people at Wembley, the temple of men’s football, for a match there was really something. It was no surprise that for the third time in a row the USA women were Olympic champions, beating Japan, having lost the 2011 FIFA Women’s World Cup final. But we also had the Men’s Olympic Football Tournament, which ended with a big surprise as Mexico upset the Brazilians. There was also another big event, the Futsal World Cup in Thailand, and we had the same final as we had in the past few years: Spain against Brazil. Brazil were again the victorious team after extra-time, scoring in the final seconds. Then we had a surprising but good winner at the Club World Cup: the big team from Sao Paulo, Corinthians. The Hincha of Corinthians have shown to the world that they are more than just fans. Corinthians won the match against Chelsea, the European champion, and there has been a lot of enthusiasm in the Americas – north and south – now they have reclaimed this title.

What we should do is give instructions to our national associations through the confederations – specifically to the disciplinary committees – to be very strong. It is not enough to give a fine.

The FIFA President on punishing discrimination.

Goal-line technology was used for the first time at the FIFA Club World Cup. No specific case arose for its intervention, but do you see this step as an important one for refereeing?

Referees have said it is a big help for them. This is the solution to say whether the ball is in the goal or not. By television cameras you cannot see it, because the ball is too fast and also human eyes cannot do it. We now have a system, we have to use it. I took this decision at the time when I saw the 2010 FIFA World Cup, when [Frank] Lampard scored a goal and everybody on television saw it but the officials could not. So, I said if we have adequate systems, we have to use them for the next FIFA World Cup. If we do not use them and a similar situation happened then we really would look like fools. We now have the systems, we have used them in the Club World Cup, we will now use one in the Confederations Cup – it is a step forward. It is just a question of time until the big leagues use them as it is a big help for the referees but also it will give, I would say, the best judgment as to whether a goal is scored or not.

Match-fixing is another big issue currently. Do you consider it one of football’s enemies?

It is one of the devils of football. If people know a match can be fixed then they will no longer believe in the outcome in our sport. We are working here together with the political authorities and also with INTERPOL. What is necessary is solidarity within the football community. Then, when players, coaches and referees are touched by these people they should immediately disclose it, acting as whistle-blowers. Only then can we intervene effectively. The best coach in the world, Vicente Del Bosque, spoke of this when receiving the FIFA World Coach of the Year for Men's Football award – ethics and solidarity in football.

A set of reforms is now in place at FIFA. Are you satisfied with the implementation?

Yes, absolutely. We have completed two-thirds of the steps we planned. We now have an independent Ethics Committee with two chambers. We have an independent committee for Audit and Compliance, and we have already taken some decisions concerning the statutes – designation of the FIFA World Cup will be done now by the Congress from a shortlist produced by the FIFA Executive Committee. Now we are in the last round and we will bring it to an end by proposing some changes to the statutes to the 2013 congress. They will speak about the duration of mandates, age limits and such items. Now we are consulting the national associations through the confederations, and in the March Executive Committee meeting we will have the results and see what we have to change. But honestly, our statutes as they are now are practically corresponding to the reality of football. What was especially necessary for us was to have the Ethics Committee and the Audit and Compliance Committee, but this will only work if they are installed in all the national federations and confederations. FIFA alone cannot be the tribunal for the 300 million people involved in football. We also thank the Independent Governance Committee with Professor [Mark] Pieth, who has given us some hints and incentives to have a look inside. In Mauritius I am convinced we will bring our reform programme to an end. It’s a big change. If you look at the FIFA Executive Committee, there will be a lot of changes by next May from when we took our first steps in 2011.

I said if we have adequate systems, we have to use them for the next FIFA World Cup. If we do not use them and a similar situation happened then we really would look like fools.

Joseph S. Blatter on goalline technology.

It’s now 38 years since you joined FIFA, in which time the boat has had some quiet times but also some rough times, yet you’re still enthusiastic. What keeps you motivated?

I joined FIFA in February 1975. I jumped in because I had the opportunity to work in football, which was always my passion. I was a football player myself and I still touch the ball now and then. When I started to work for FIFA I immediately saw that football is more than a game, and I realised that specifically in Africa. But it’s actually all around the world. It’s my life and I’m still convinced we are on the right track, because football shall play a social and cultural part in our society through discipline, respect and fair play. If we can bring discipline, respect and fair play into our families, schools, politics, the economy, everywhere in our society, then we will have realised something. It will not be easy as if you have a family of 300 million people, you cannot convince everyone to be on the right track, but we still try it. One thing we also have to take care of now and in the future is health, as it is no good just to develop the game and have more players, coaches and referees if you don’t take care of the health of the participants.

The FIFA Confederations Cup, which is seen as a rehearsal for the FIFA World Cup™, will unfold in 2013. Are your expectations high for the tournament in terms of football and the organisation?

It will be kind of a rehearsal in terms of the Local Organising Committee and especially the logistics. There’s no doubt the stadia will be ready, but we want to see how a stadium is filled and emptied, how people are transported and all these logistical issues. But speaking about a rehearsal does not do justice to this event – it is really a rendezvous of champions. If you see the teams qualified, it is extraordinary!

This year will also see the FIFA U-20 World Cup in Turkey. Why you are so attached to this tournament?

The U-20 World Cup was the first one we put into our programme when we started it with Joao Havelange, the FIFA President at the time, who had the idea that football should be universal – this was the development programme. But if you develop football you must have more than just the Olympic Games and the FIFA World Cup. The U-19 tournament started in 1977 with its first edition in Tunisia. Then the second one, which was already quite big, was in Tokyo where the final saw the legacy of Maradona begin. Argentina scored three times in the last ten minutes after trailing to Soviet Union, and from that moment on the U-20 tournament became a showcasing stage for future stars. In terms of its importance in FIFA, it is definitely the second-most important competition behind the FIFA World Cup.

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CALCIOSCOMMESSE

«Con i nuovi princìpi

niente squalifica per Conte»

L’intervista Parla Mattia Grassani, il legale che ha vinto con il Napoli

Il caso Napoli ridimensiona il ruolo dei collaboratori: non sono più creduti come la Bibbia

I processi si devono fare a bocce ferme: altrimenti si falsa la regolarità dei tornei

Per condannare occorrono prove: non pentiti spuntati come funghi all’ultimo minuto

Da rivedere La responsabilità oggettiva va modificata: non è giusto pagare per dipendenti infedeli

di MASSIMO VITALI (Quotidiano Sportivo 25-01-2013)

La responsabilità oggettiva?

«Va rivista: società per azioni con fini di lucro, alcune anche quotate in Borsa, non possono rischiare di perdere un campionato per l’operato di dipendenti infedeli».

Il codice di giustizia sportiva?

«E’ valido, ma va migliorato. E non solo nell’ottica dei club professionistici: in ballo ci sono anche le esigenze del calcio dilettantistico».

Quanto agli impianti accusatori della giustizia sportiva che a volte crollano come castelli di carte, «per condannare occorrono prove, non chiacchiere o pentiti di comodo spuntati fuori come funghi all’ultimo momento... ».

Mattia Grassani non le manda a dire. Bolognese, 47 anni, esperto di diritto sportivo, da quindici anni vola da un capo all’altro della penisola per difendere società e tesserati di un calcio che ormai consuma quasi più tempo nei tribunali che sul campo. E che, nelle aule giudiziarie, a volte pare distribuire le sentenze un po’ a casaccio.

Avvocato Grassani, lei hai difeso il Napoli a cui in secondo grado sono stati cancellati i due punti di penalizzazione in classifica dopo il proscioglimento dei suoi calciatori Cannavaro e Grava, in primo grado condannati a 6 mesi per omessa denuncia. Cannavaro e Grava innocenti, lo juventino Conte e il rossoblù Portanova condannati: non sono ‘due pesi e due misure’?

«Ogni posizione fa storia a sé. Sia nel caso del Napoli che in quello del Bologna io difendevo i club, non i tesserati. Certo è che la recente pronuncia riguardante il Napoli ha ridimensionato la credibilità dei collaboratori, che invece quest’estate sono stati considerati, salvo rarissimi casi, come la Bibbia».

Già, il caso Conte.

«Parlo da spettatore esterno: forse oggi, alla luce di questi nuovi principi interpretativi, la squalifica a Conte non sarebbe stata inflitta».

Poi c’è il problema dei processi, con relative sentenze, a campionati in corso.

«Un errore. I processi si devono fare a bocce ferme, prima che inizino i tornei o quando questi sono finiti. Giudicare in corso d’opera, quando in gioco ci sono le sorti di società e giocatori, magari per fatti accaduti anni e anni prima, significa falsare la regolarità dei tornei».

Comincia ad essere lunga la lista delle cose da cambiare.

«Non sono necessari cambiamenti radicali. Però, ad esempio, il diritto di difesa deve essere maggiormente garantito. Dimostrazione ne sono i numerosi pronunciamenti del Tnas che hanno ribaltato verdetti, anche pesanti, emessi dagli organi di giustizia della Figc».

Grassani, che effetto pratico ha avuto salvare il Napoli?

«Ho ricevuto via telefono, fax, mail e sms una marea di messaggi di ringraziamento da ogni parte del mondo. Un partito mi anche ha chiesto di candidarmi in Parlamento, ma ho rifiutato. Sono nato per fare l’avvocato, non il politico».

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Stadio Juve, nuovi cori razzisti: multa raddoppiata

La designazione Recidiva delle frasi sull’eruzione del Vesuvio. E sabato l’arbitro

del match di Torino tra bianconeri e Genoa sarà Guida di Torre Annunziata

di SALVO SAPIO (IL MATTINO 25-01-2013)

Ci risiamo. Durante la partita di Coppa Italia tra Juventus e Lazio, dal settore dei tifosi bianconeri, parte il solito coretto: «Vesuvio, lavali con il fuoco». Neanche quattro giorni dopo quanto accaduto in Juventus-Udinese, si ripetono i cori razzisti contro Napoli e i Napoletani. Lunedì il giudice sportivo Gianpaolo Tosel aveva sanzionato la Juve con una ammenda da 10mila euro, sostenendo che gli steward erano intervenuti subito per bloccare i cori. Proteste, polemiche e richieste di sanzioni più dure. E Tosel che fa trovandosi di fronte alla stessa situazione appena quattro giorni dopo? Non squalifica il campo ma multa di nuovo la Juventus rendendo «più severa» la pena, passando da 10mila a 20mila euro. E nella sentenza ripete: «al 33’ del secondo tempo i sostenitori della Juventus hanno indirizzato alla tifoseria di altra squadra un coro costituente espressione di discriminazione per origine territoriale». Razzismo allora, ma perché non c’è la squalifica? «La società Juventus ha concretamente operato con le forze dell’ordine ai fini preventivi e di vigilanza». Gli steward, cioè, sono intervenuti subito per zittire il coretto. Tosel, però, si accorge di aver scritto le stesse cose appena quattro giorni prima e aggiunge una parolina che potrebbe significare molto: «Recidiva». Insomma anche Tosel all’ennesimo coro potrebbe decidere per sanzioni più serie. E contro il razzismo ha preso posizione anche il ct della Nazionale, Cesare Prandelli: «A volte si dice di abbassare i toni: ma contro il razzismo dobbiamo tutti alzare la voce, non arrendersi all’indifferenza».

La Juventus finirà sotto esame già da sabato, giocando di nuovo in casa il match di campionato contro il Genoa. In rossoblù giocano due napoletani come Marco Borriello e Ciro Immobile (tra l’altro di proprietà proprio della Juventus). L’esame per la società e la tifoseria bianconera sarà comunque davvero duro da superare. Il designatore degli arbitri, Stefano Braschi, ha deciso che ad arbitrare il match tra Juventus e Genoa sarà il signor Marco Guida, nato a Pompei nel 1981, ma appartente alla sezione Aia di Torre Annunziata: «piena» zona vesuviana. Sarà interessante osservare la reazione di un arbitro nato a Pompei di fronte ad un eventuale coro che invoca l’eruzione del Vesuvio, sarà importante leggere il suo referto se si ascolteranno frasi «costituenti espressione di discriminazione per origine territoriale». Con l’opzione di una interruzione della partita. Una designazione «importante» se non casuale; altrettanto singolare però è la designazione come primo assistente di porta di Andrea Romeo, appartente alla sezione Aia di Verona ma nato a Casale Monferrato, città piemontese distante una ottantina di chilometri da Torino. Almeno lui non si risentirà sentendo cori razzisti che invocano l’eruzione del Vesuvio.

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L'ASCENSORE SOCIALE CADE ANCHE PER JOSÉ 50ENNE DI SUCCESSO

Tendenze Il destino è lo stesso di molti suoi coetanei. A soffrire non è il portafoglio, solo il suo smisurato narcisismo

di PIERLUIGI BATTISTA (CorSera 25-01-2013)

O lui o noi. Se ti chiami José Mourinho e stai per compiere 50 anni, può essere catastrofico quando i giocatori del tuo Real Madrid premono per il tuo esonero. Una brillante carriera da numero uno. Poi l'ascensore scende e, alla fine, arriva la protesta che suona come uno sfregio.

L'ascensore sociale delle società moderne è bello quando si sale, è terribile quando si precipita. Se ti chiami José Mourinho e stai per compiere 50 anni, può essere catastrofico se i giocatori del Real Madrid premono per il tuo esonero. Una brillante carriera da numero uno. I giri dell'Europa per non farti impigrire nei successi già ottenuti, non lasciarti abbagliare dalle coppe già conquistate. Il nome più ambìto, più ricercato, più pagato, più ammirato. E poi il crollo, la protesta che suona come uno sfregio. L'ascensore che va sempre più giù. Le tasche di Mourinho non richiedono il conforto degli ammortizzatori sociali. E, a differenza dei cinquantenni anonimi estromessi brutalmente dal mercato del lavoro e disperati per la desolante certezza di non trovare più un lavoro e di essere inghiottiti nel buco nero degli scarti sociali, Mourinho non è a rischio povertà. E nemmeno disoccupazione, figurarsi: se non è il Real, sarà un altro club magari meno blasonato ma orgoglioso di esibire il proprio Mou.

Tutt'al più ne verrà ferito l'orgoglio di un uomo-spettacolo che non è solo un mago delle panchine, ma un mattatore delle conferenze stampa, un personaggio che arricchisce con la sua sola presenza, con i suoi motti e con i suoi gesti, lo show mondiale del calcio. Ma le ferite narcisistiche sono quelle più dolorose da curare. Non è uno spogliatoio che mormora, rumoreggia e complotta. Non è una competizione con il Barcellona che viene perduta o una sontuosa campagna acquisti che viene polverizzata. È la percezione che niente è per sempre. Per lui, Mourinho, e per il mondo, convinto che i percorsi delle esistenze celebri siano lineari, prevedibili, programmati al millimetro. Invece non è così: niente è il prodotto di un programmato onnisciente, come invece pensano i pianificatori della società perfetta. Per insondabili alchimie della vita, prima qualcosa funziona, poi non funziona più. Un'autorità si incrina, una fetta di mercato abbandona, un meccanismo non gira più e uno spogliatoio si rivolta contro il re delle panchine moderne, contro José Mourinho, brillante, affascinante, bravo, bello, spiritoso, che alla vigilia dei suoi primi cinquant'anni riceve l'umiliazione dei fischi e della sfiducia pubblica. L'ascensore sociale è molto capriccioso.

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Le Parisien 25-01-2013

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L’EUROPA DISCUTE LE PROPOSTE DEI NUOVI STATUTI

Presidenziali Fifa:

l’Uefa spinge Platini

Età massima 72 anni, mandato limitato a 12.

E il Mondiale sarà assegnato dal Congresso

di FABIO LICARI (GaSport 25-01-2013)

In futuro il presidente Fifa non dovrà avere più di 72 anni e il suo mandato non potrà superare i 12 anni (niente, rispetto ai 24 di Havelange e ai 17 previsti di Blatter...). Può essere l’identikit di Platini? Sì. Il francese sembra ormai convinto di correre nel 2015. Ieri inoltre i 53 presidenti e segretari europei, riuniti all’Uefa per discutere le riforme degli Statuti Fifa, lo hanno invitato a candidarsi senza perdere troppo tempo. Platini ha chiesto un po’ di pazienza: deciderà entro il 2013, ma la strada è tracciata.

Presidenza Le possibili novità degli Statuti sono state proposte dall’Uefa all’unanimità (delegazione italiana con Abete, Valentini, Di Sebastiano e Di Cesare): la palla ora torna alla Fifa. Il presidente Fifa, meno di 72 anni, dovrà essere presentato da almeno 10 federazioni di 2 continenti. Il mandato, come al Cio, potrà essere doppio: 8 anni il primo, 4 il secondo, totale 12. Ma attenzione: questo potrebbe non tagliar fuori Blatter se ci ripensasse. Si parla di deroga per chi è già dentro...

Board e Mondiale Non c’è motivo di cambiare, per l’Uefa, il Board, istituto storico. Ma dovranno essere più trasparenti le procedure per i cambi e anche i 4 voti Fifa (che non siano tutti di Blatter, insomma). Inoltre riunione biennale, non più annuale. Infine il Mondiale: dal 2026, come per le Olimpiadi, assegnazione del Congresso (204 voti) e non dell’Esecutivo Fifa che però svolgerà una prima selezione e sottoporrà una short-list di tre.

Esecutivo Le conclusioni passeranno oggi all’Esecutivo, il cui argomento principale è l’Euro 2020 itinerante. Le 12-13 sedi dovranno avere stadi da almeno 50 mila posti e due aeroporti. Le candidate si conoscono: Roma, Madrid, Londra-Manchester, Monaco-Berlino, Bruxelles, Parigi, Atene, Kiev, Mosca, Basilea, Amsterdam, Zagabria, Istanbul. Il Paese con semifinali e finali avrà due città: candidate Inghilterra e Turchia (probabile indennizzo per averle negato l’Euro da sola). In agenda le finali di Champions 2015 (Berlino) e 2016 (Milano), ma l’annuncio può slittare. Infine Euro 2016 (finale con 6 gruppi da 4 e ripescaggi), diritti tv centralizzati nelle qualificazioni, fair play finanziario.

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Serie A, 23.392 spettatori

tanto c'è la televisione...

Fulvio Bianchi - Spy Calcio - repubblica.it - 25-01-2013

Gli spettatori negli stadi di serie A sono cresciuti, seppur di poco, nel girone di andata: la media partita è stata di 23.392. Lo scorso anno, sempre nello stesso periodo, era stata di 23.072. Quindi 320 spettatori in più a partita! La stagione precedente, 2010-'11, la media era stata di 22.196. C'è una tenuta del sistema-calcio, oppure se vogliamo, una timidissima ripresa. Dipende da tanti fattori, anche dalle tre squadre promosse in A: quest'anno ad esempio sono salite Torino, Sampdoria e Pescara al posto di Cesena, Lecce e Novara che avevano meno spettatori. Poi, dipende dalla stagione delle Big: il Milan è calato (soprattutto con gli abbonati), la Fiorentina fatica a riprendersi nonostante il buon campionato, la Roma potrebbe fare numeri molto migliori nel girone di ritorno, così anche il Napoli se continua a volare. Da notare che i due turni infrasettimanali di mercoledì sono stati molto fiacchi: il 26 settembre solo 21.569 spettatori medi e il 31 ottobre peggio ancora (19.721), minimo del girone d'andata. Maluccio anche il turno sotto Natale: 22.146 spettatori medi il 22 dicembre. La Lega di A d'altronde, a differenza della B che sperimenta e cerca vie nuove (bravo Abodi), ha scelto la pausa invernale, non giocando durante le festività natalizie. Come fanno ad esempio, e con successo, nella Premier League. E' chiaro comunque che queste cifre, 23.392 spettatori medi, fanno del nostro calcio la Cenerentola d'Europa, almeno per le Nazioni più importanti. Premier League e Bundesliga ci staccano, ci umiliano: da noi negli

ultimi 15 anni gli spettatori sono diminuiti del 20 per cento, in Bundesliga (media gara 42.100 e stadi quasi sempre strapieni) sono cresciuti del 36 per cento. In Premier League, con stadi rifatti e prezzi alle stelle (42 euro la media di un biglietto, il doppio dell'Italia), sono cresciuti del 25 per certo (media spettatori gara 35.400). In Italia, d'altronde, i club fanno ben poco per i loro tifosi, salvo eccezioni (vedi la Juventus dove c'è quasi sempre il sold out). Si accontentano di avere stadi mezzi vuoti e pochissimi tifosi in trasferta. Tanto c'è sempre la tv. Sì, è vero crescono sempre gli ascolti su Sky e Mediaset Premium ma crescono meno del passato. Normale: siamo in tempo di crisi economica e siamo arrivati quasi ad un livello di saturazione. Si potrebbero recuperare spettatori soprattutto negli stadi, ma con politiche di incentivo, senza rifugiarsi dietro alibi che non reggono. Non è vero ad esempio che la tv vuota gli stadi, lo dimostra la Bundesliga e anche l'Inghilterra, dove però non trasmettono, come da noi, in diretta tutte le partite. Ci sono tipi di spettatori, da tv e da stadio. Possono convivere. Bisogna però studiare qualcosa: ma è in grado questa Lega di serie A spaccata in due?

Elezioni Beretta e Preziosi, Federsuppoter diffida Coni e Figc

La Federsupporter ha inviato oggi con lettera raccomandata alla Figc e al Coni una diffida (www. federsupporter. it) che contesta l'elezione di Maurizio Beretta alla presidenza della Lega di serie A e di Enrico Preziosi al consiglio della stessa Lega. Secondo la Federsupporter non sarebbero eleggibili: Beretta per un conflitto di interessi, e Preziosi perché condannato con sentenza definitiva per "il delitto di bancarotta fraudolenta". In caso di non risposta soddisfacente dal Coni e dalla Figc, la Federsuppoter e il Codacons adiranno le vie giudiziarie.

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«Vesuvio lavali col fuoco»

La Juve, i cori razzisti

e l'arbitro nato a Pompei

di GIANLUCA ABATE (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - NAPOLI 26-01-2013)

Quando il calciatore Kevin-Prince Boateng il 3 gennaio di quest'anno ha (giustamente) lasciato il campo di gioco — seguito dalla squadra del Milan — perché stanco dell'ennesimo «buuu» urlato da alcuni tifosi durante l'amichevole con la Pro Patria, tutti hanno (altrettanto giustamente) levato gli scudi. Barbara Berlusconi: «Le partite vanno sospese anche in campionato». Giancarlo Abete: «Indegna gazzarra, attiveremo la Procura federale». Cesare Prandelli: «Alziamo la voce contro il razzismo». È seguita indignazione della stampa mondiale (i francesi dell'Equipe, i tedeschi della Bild, gli inglesi del Sun, gli spagnoli di Marca, i brasiliani di Globloesporte, gli argentini di Olé) e intervento del presidente della Fifa Joseph Blatter: «Le punizioni contro gli atti discriminatori devono essere molto severe. Le sanzioni finanziarie non sono efficienti, ci dovranno essere penalizzazioni e retrocessioni». Anche se — come dirà il sindaco di Busto Arsizio, Gigi Farioli — quei cori razzisti sono «colpa di quattro deficienti» (per la verità sei, accerterà la Procura). Ben più di quattro, invece, sono quelli che hanno intonato «cori discriminatori» contro i napoletani allo Juventus Stadium di Torino, dove in occasione degli incontri contro l'Udinese e la Lazio i tifosi bianconeri hanno cantato «Vesuvio lavali col fuoco». Berlusconi, Abete, Prandelli e Blatter in questo caso non si sono fatti sentire. E la «tolleranza zero» tanto invocata s'è tradotta in una multa comminata dal giudice sportivo Gianpaolo Tosel. Diecimila euro per le frasi razziste durante Juve-Udinese, ventimila per quelle di Juve-Lazio. Il motivo? C'è stato un «coro costituente espressione di discriminazione», ma «la società Juventus ha operato ai fini preventivi» (perché, i dirigenti della Pro Patria avevano invece distribuito ai tifosi il manualetto del perfetto «buuu»?). Questa sera, alle 20.45, si gioca Juventus-Genoa. Senza citare i napoletani tra campo e panchina (Quagliarella è di Castellammare, città dove il 24 agosto del 79 Plinio il Vecchio morì a causa dell'eruzione del Vesuvio, Borriello e Immobile hanno parenti e amici a San Giovanni a Teduccio e Torre Annunziata, in piena «zona rossa»), a dirigere il match sarà Marco Guida, classe '81, consulente commerciale, arbitro dal 20 dicembre 1996, in serie A dal 2011. È nato a Pompei ed è iscritto alla sezione di Torre Annunziata, due cittadine che sarebbero cancellate nel caso della tanto auspicata (da certi juventini) eruzione. Che farà l'arbitro se i tifosi invocheranno il Vesuvio? Sospenderà l'incontro? O si limiterà agli scongiuri?

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Calcioscommesse Annullata la multa al Lecce

Il derby fu partita vera

Clamorosa (e inutile) sentenza del Tnas:

Masiello ritenuto teste inattendibile,

squalifica a Semeraro ridotta di un anno

I due gradi precedenti smontati Secondo l’Arbitrato l’illecito venne tentato e non consumato.

L’ex presidente giallorosso: «Sono contento sul piano dell’onore». Tesoro pronto a chiedere un risarcimento

di STEFANO MEO (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - BARI 26-01-2013)

LECCE — La ‘bomba' è esplosa nel tardo pomeriggio di ieri e gli effetti della deflagrazione si faranno sentire ancora per molto. Il Tribunale nazionale di arbitrato dello sport, terzo grado della giustizia sportiva, sia pure con notevole ritardo ha emesso la tanto attesa sentenza fissando dei punti fermi: Bari-Lecce del 15 maggio 2011 fu partita ‘vera', Masiello è un teste inattendibile e l'ex presidente giallorosso Pierandrea Semeraro ha effettuato solo un tentativo di combine andato a vuoto. Per la giustizia sportiva il reato tentato equivale al reato consumato e in sostanza si conferma la pena della retrocessione in Lega Pro che però, alla luce di quanto sopra potrebbe risultare sproporzionata rispetto ai fatti accertati. Il terzo grado del processo sportivo, che vede protagonista oltre all'ex presidente del Lecce l'imprenditore Carlo Quarta, è arrivato ad una conclusione possibilista sull'estraneità di Semeraro ai fatti. L'Arbitrato, infatti, ha considerato la possibilità che Quarta abbia agito da solo, ridotto di un anno la pena a carico di Semeraro - da cinque a quattro anni di inibizione dalla Federazione - e annullato l'ammenda di 30mila euro alla società. La condanna è rimasta, ma la sentenza ipotizza che la partita si sia giocata in maniera regolare e il risultato non sia stato dettato da uno scambio di denaro. Qualora le motivazioni fossero prese in considerazione, per Pierandrea Semeraro si potrebbe aprire un'autostrada nel processo penale che inizierà il 10 maggio prossimo: «Una soddisfazione sul piano dell'onore e dell'immagine - le parole dell'ex presidente giallorosso - per me, la mia famiglia e il Lecce, fa piacere che i giudici, pur non potendo ribaltare del tutto le due precedenti sentenze, abbiano messo i punti sulle ‘i' confermando quanto noi abbiamo sempre sostenuto».

Scagionato completamente anche Giuseppe Vives, messo alla berlina solo perché aveva dato una pacca sulle spalle a Masiello. Per i giudici di primo e secondo grado, ora in parte sconfessati, era quella la prova dell'avvenuta combine. «Tra l'altro - continua Semeraro - nella sentenza non è indicato chi realmente abbia effettuato il tentativo di combine ma al di là di questo credo che città, squadra e società abbiano diritto ad un risarcimento». E in ragione di ciò l'eventuale conclusione positiva del procedimento penale si presta a valutazioni ottimistiche: «Di questo non voglio parlare - ha concluso - ma la città merita maggiore rispetto». Il presidente Savino Tesoro è all'estero, ha appreso la notizia in maniera frammentaria ed aspetta di parlare con l'avvocato Sticchi Damiani per decidere il da farsi: «Valuteremo la situazione non escludendo nessuna eventualità». Le tesi difensive di Saverio Sticchi Damiani hanno aperto una breccia importante nel castello accusatorio ed il legale prima di commentare aspetta di leggere le motivazioni della sentenza, pur nella consapevolezza che si sia aperto uno scenario nuovo ancora tutto da decifrare.

Il processo

Ma la Procura di Bari ha un'idea molto diversa

di VINCENZO DAMIANI (CORRIERE DEL MEZZOGIORNO - BARI 26-01-2013)

BARI — La ricostruzione della Procura barese sul derby Bari-Lecce del maggio 2011 è diversa dalla conclusione alla quale è arrivato il Tribunale sportivo. Sulla base delle dichiarazioni di Andrea Masiello e dei suoi due amici e di alcuni riscontri, il pm Ciro Angelillis ha citato direttamente a giudizio l'ex presidente del Lecce, Pierandrea Semeraro, assieme ad altri due imputati per la presunta combine.

Il prossimo 10 maggio inizierà il processo davanti al Tribunale monocratico di Bari, oltre a Semeraro dovranno difendersi dall'accusa di frode sportiva l'imprenditore salentino Carlo Quarta e Marcello Di Lorenzo, un amico del difensore Andrea Masiello. Secondo l'inchiesta condotta dai carabinieri, il derby fu comprato dal club giallorosso per circa 230mila euro. Sarebbe stato Quarta a fare da intermediario tra Semeraro e Andrea Masiello e altri due amici del calciatore, Gianni Carella e Fabio Giacobbe. Questi ultimi tre hanno già patteggiato la loro pena per le partite truccate Bari- Lecce , Palermo-Bari, Bari-Sampdoria e Bologna-Bari. Ad incastrare Semeraro, Quarta e Di Lorenzo sono state le dichiarazioni di Masiello e dei suoi due amici, che raccontarono agli inquirenti cosa prevedeva l'accordo.

La partita del San Nicola finì 2 a 0 per il Lecce, Andrea Masiello siglò un incredibile autogol. Alla base delle accuse ci sono anche le dichiarazioni di Carella che raccontò al pm di aver riconosciuto Semeraro junior in uno degli incontri con Carlo Quarta avvenuto a Lecce prima della partita incriminata.

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Come è vero quel “Fintocalcio” italiano

di GIORGIO DE SIMONE (Avvenire 26-01-2013)

Una parola, “Finzioni” (titolo di un grande libro di Borges), mi ha assillato dopo aver visto Juve-Lazio e Roma-Inter di Coppa Italia: due semifinali sulla carta, in realtà, con il ritorno fissato al 17 aprile, due partite in provetta. Poi il campionato. Che la settimana scorsa sembrava avere avuto un bel sussulto e che Lazio e Napoli si sono subito adoperate a riaddormentare sul letto di rose della Juventus. Noi però fingiamo che sia bellissimo lo stesso. Dopodiché, finzione pura, ecco il mercato di gennaio.

Nel Milan, a smentire ogni passaggio “epocale” dai sempreverdi ai verdi e basta, doveva ritornare nientemeno che David Beckham, 38 anni. Si è ragionevolmente opposto mister Allegri ed ecco Kakà, l’Indimenticato. Ma quando i tifosi lo vedono già in campo, dalle quinte esce Galliani in versione Fantasma dell’Opera a dichiararsi sconfitto dalla “fiscalità” dell’operazione. Che vuol dire che il Real Madrid di Kakà non sa più che farsene, ma avendolo pagato 67 milioni, non lo può restituire perdendoceli tutti. Tuttavia, visto che il Cavaliere è in campagna elettorale, un colpo ci vuole. Non sarà Kakà, può essere Drogba, appetito fino a ieri dalla Juventus che lo avrebbe preso a cottimo per vincere (!) la Champions, ma che poi ha dirottato il treno dei suoi desideri su Fernando Llorente, 27 anni, spagnolo, in arrivo peraltro solo a luglio.

Ma, e Balotelli? 35 milioni, pallino di Galliani è, si sa, un “grass de rost” (grasso d’arrosto) di prima grandezza. Inseguito come se fosse Messi non importa se nel Manchester manciniano è infinitamente più in panchina che in campo, Supermario accenderebbe gli ammaccati cuori milanisti e, dovesse arrivare con Kakà/Drogba vai a vedere che torna sugli spalti anche qualche frangia di quei 15mila che hanno stracciato l’abbonamento. Ma: «Non prendo né Kakà né Balotelli, non ho i soldi», se ne esce il Cavaliere mentre Galliani non molla il cilindro dei cosiddetti top player. E allora: finge il primo? Finge il secondo? Fingono entrambi? La finzione nel calcio è tutto, certo, a partire dalle finte dei giocatori in campo. Ma si può fingere che sia ancora grande un giocatore che non lo è più? O che non lo è mai stato?

Sia come sia, nel nostro “Fintocalcio” i presidenti fingono di non avere più una lira o di avere anche quelle che non hanno. Giornalisti, opinionisti ed esperti assortiti parlano per ore e ore di mercato fingendo di conoscere la verità mentre noi tutti, inebetiti da decine di partite al cloroformio, continuiamo a fingere di credere che sia il calcio il migliore spettacolo del mondo.

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Calcioscommesse

Sorridi AlbinoLeffe

Lo sconto è di 4 punti

Obiettivo centrato: con la sentenza del Tnas il -10 dei seriani

scende a -6. Confermata invece la multa di 45 mila euro

di GIULIO GHIDOTTI (L'ECO DI BERGAMO 26-01-2013)

L’attesa non è stata vana per l’AlbinoLeffe: a una settimana dall’udienza decisiva, il Collegio arbitrale del Tnas ha reso noto il responso e sono quattro i punti che il Tribunale del Coni abbuona al club seriano sui nove di penalizzazione con cui partiva dall’ultima sentenza della Corte federale (quindi da -9 a -5). Quattro punti di «sconto» era, sostanzialmente, anche l’obiettivo (minimo) che circolava negli ambienti societari. Con la sentenza dell’organo di giustizia sovrafederale (ultimo grado della giustizia sportiva), l’iter processuale si chiude qui e il bilancio definitivo, dunque, è che l’AlbinoLeffe paga la vicenda dello scandalo Calcioscommesse con sei punti di penalizzazione: ai cinque va infatti aggiunto, come noto, l’altro punticino (inappellabile) frutto del patteggiamento in merito alla gara contro il Siena nella seconda tranche del processo.

La squadra di mister Pala, lo ricordiamo, lo scorso settembre aveva iniziato il campionato con un -10, cancellato poi sul campo dalla squadra dopo nove partite disputate: venne raggiunta quota zero in seguito al pari interno con la FeralpiSalò, a inizio novembre. Adesso, con la riduzione della pena sancita dal Tnas, la classifica del girone A di Prima divisione vede salire l’AlbinoLeffe da quota 16 punti a quota 20 con l’aggancio di Como e Portogruaro al quintultimo posto (e sarebbe salvezza diretta per miglior classifica avulsa): 26 i punti guadagnati, a oggi, invece sul campo, frutto di 5 vittorie, 11 pareggi e 3 sconfitte, l’ultima domenica scorsa sul campo della Virtus Entella mentre domani il campionato di Lega Pro osserverà una domenica di sosta.

Tornando alla sentenza, il Tnas ha comunicato ieri solamente il dispositivo (peraltro è stata confermata l’ammenda di 45 mila euro), mentre occorrerà aspettare almeno un paio di settimane per il lodo e quindi le motivazioni. La considerazione più immediata, ad ogni modo, è il flop totale della richiesta del procuratore federale, Palazzi: 27 punti di penalizzazione, per le nove partite oggetto di tentativo (cinque) o realizzazione di illecito (quattro, di cui un pareggio e tre sconfitte). Il club seriano, difeso dagli avvocati Eduardo Chiacchio e dal comasco Luca Tettamanti, è riuscito a strapparne già 15 nella condanna di primo grado, quindi nove in appello, ieri ridotti ulteriormente a cinque nell’arbitrato. «È una sentenza storica per affievolimento della responsabilità oggettiva di una società qualora danneggiata – ha commentato il legale Chiacchio – e che premia, inoltre, il coraggio del presidente Andreoletti nel rifiutare il patteggiamento di dieci punti all’inizio del percorso. Si tenga conto, a sostegno di quanto la responsabilità oggettiva del club sia stata fortemente attenuata, che si trattava di 9 gare con ben 12 dei propri calciatori "infedeli" condannati per illecito». Sul sito societario, a ieri sera, è stata espressa soddisfazione per l’esito, ma senza alcuna dichiarazione ufficiale da parte del patron Andreoletti.

L’AVVOCATO DEI SERIANI

Dategli la palla in aula

Chiacchio fa sempre gol

di SIMONE PESCE (L'ECO DI BERGAMO 26-01-2013)

Sospiro, pausa, sorriso. «Questo non posso dirglielo, però lei capirà che…». L’avvocato Eduardo Chiacchio, l’alpinista del diritto sportivo, l’uomo che ha preso il Benevento, l’AlbinoLeffe e il portiere Gianello e li ha portati a valle dalle vette dei guai, ti guarda dritto negli occhi, per capire dove collocare l’asticella della confidenza.

Le apparenze ne fanno l’avvocato partenopeo per definizione, il legale che sembra uscito dalla fantasia di Eduardo, l’istrione che chiese alla Disciplinare di guardare bene in faccia quel suo assistito, così simile a uno dei suoi figli, a un figlio di lorsignori: e come fai a crederlo un truffatore, ’sto ragazzino timido, biondo e calciatore? Sorride, palleggia con le domande retoriche, si arrampica sui paradossi con l’arte di un freeclimber. «L’AlbinoLeffe è una bella favola, spero non resti solo la favola: può una vittima essere anche colpevole?», disse al primo processo a Roma dopo aver rispedito al mittente 10 punti di patteggiamento. Arte e mestiere, dialettica e «teatro», ma Chiacchio il calcio lo conosce davvero, ne ha respirato la polvere e l’olio di canfora. Faceva il trequartista in C2 e in serie D fino a trent’anni, prima di anticipare Guglielmo Stendardo e farsi folgorare sulla via del codice. Dribbling e latinorum, per questo dal campo sono arrivati i primi clienti: compagni di squadra, avversari, vertenze con le società. Ora sulla cintura forense ha una serie di tacche trionfali, dal -14 al -2 del Benevento alla derubricazione dell’ille cito di Gianello, grazie al quale il Napoli si è visto levare i 2 punti di penalizzazione. In fondo c’è l’AlbinoLeffe, da ieri mattina «uno dei successi più belli». Ottocento pagine di ricorso, «decine e decine di notti», una bomba da 9 illeciti maneggiata per un anno col collega Luca Tettamanti tra Napoli, Milano e Zanica. Come sia riuscito a «far piangere» in aula il presidente Andreoletti, l’uomo bionico di Colzate che lo chiamò alla Scame una mattina di febbraio, resta un mistero antropologico, ma tant’è. Si sussurra che l’AlbinoLeffe si attendesse un maxisconto e che Chiacchio volasse basso, quasi rasoterra. Scaramanzia partenopea? Forse, e forse per esorcizzarla l’AlbinoLeffe gli ha regalato una maglia bluceleste col numero 27, come i punti chiesti da Palazzi e un invito per la prossima partita al Comunale, la prima fuori dal tunnel.

Da ieri mattina, chi ha (ri)perso tace, chi ha stravinto gongola sornione con accento di Frattamaggiore. Mai come stavolta l’AlbinoLeffe può urlare sul Serio «Chiacchio, che colpo». Il top player di Andreoletti è lui.

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RAGÙ DI CAPRA di GIANFRANCESCO TURANO (l'Espresso.it 25-01-2013)

Calcio: il vecchio che avanza

Il primo obiettivo del potere è l’autoconservazione. Lo sport italiano è la migliore vetrina di questa verità. Nel caso del calcio si può correggere l’aggettivo e dire che l’unico obiettivo è l’autoconservazione.

Questo fatto è tanto più curioso in quanto il calcio giocato è meritocratico, dunque costantemente innovativo. In parole più povere, chi sbaglia finisce seduto. Chi gioca meno bene finisce seduto. Chi invecchia finisce seduto, se no il 10 del Brasile sarebbe ancora Pelè.

La legge del campo vale solo in campo. Diversamente, Giancarlo Abete non sarebbe stato rieletto presidente della Federcalcio e Maurizio Beretta non sarebbe stato rieletto al vertice della Lega calcio.

Abete, grande tifoso della Roma, è fratello minore di Luigi, presidente di Bnl ed esempio eccellente di banchiere relazionale, tanto da mantenere la carica anche dopo che Bnl è finita ai francesi di Bnp Paribas. Il principale merito di Abete junior in questi anni è stato di assistere senza battere ciglio al caos mostruoso della giustizia sportiva alle prese con i vari scandali delle scommesse. Secondo merito, avere fatto scappare dal settore tecnico Roberto Baggio, dopo averlo usato come simbolo di un rinnovamento fasullo.

Roba da far rimpiangere (iperbole!) Franco Carraro, anche lui banchiere sotto l’egida di Cesare Geronzi e futuro parlamentare del Pdl.

Beretta, detto “dimmi, Claudio” per il suo rapporto più che cordiale con il presidente della Ss Lazio, è la realizzazione più solare del detto che il giornalismo può portare a tutto, basta uscirne in tempo.

Come capo delle relazioni esterne di Unicredit, banca azionista dell’As Roma, creditrice di vari club di serie A e main sponsor della Champions League, è in evidente conflitto di interessi. Ovvio che tutto è relativo e, se dopo 19 anni il proprietario del Milan si presenta ancora alle elezioni, quello di Beretta è un conflittino, una guerricciola.

Totale: esce la classifica annuale della Deloitte sul calcio-business e la prima squadra italiana (Milan) è all’ottavo posto, con la Juventus in risalita al decimo, l’Inter in discesa al dodicesimo, poco al di sopra di club come il Tottenham e lo Schalke 04, con tutto il rispetto.

La Roma entra per miracolo nelle prime venti con un fatturato di 600 mila euro superiore a quello del Newcastle, una città grande quanto Reggio Calabria (con il massimo rispetto).

In una recente intervista, è stato chiesto ad Abete come mai non ha pensato di proporsi alla guida dell’Uefa o della Fifa.

Ecco. Come mai?

Modificato da Ghost Dog

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Arsène’s austerity

Has football’s economist got it wrong

when it comes to the game’s finances?

Are there loopholes in in the way FFP works?

Quite possibly. FFP is not part of our strategy’

by SIMON KUPER (FINANCIAL TIMES 26/27-01-2013)

Spend some f****** money!” Arsenal fans chanted as their team lost again last Sunday at Chelsea. The cry echoed around the world on Twitter. Its target, Arsenal’s manager Arsène Wenger, had heard the argument before.

Wenger, now 63, arrived at Arsenal in 1996 and led the club for eight glorious seasons. He has since led them for eight inglorious ones. Arsenal have won no trophies since 2005, and now stand a miserable sixth in the Premier League. The Frenchman is becoming a figure of derision. Many fans complain that Wenger refuses to buy the expensive players who could compete with Chelsea, Manchester United, or Barcelona, even though Arsenal have £153. 6m in cash, an unheard-of sum for a football club. (Management firm Deloitte estimated last year that Premier League clubs had cumulative debts of £2. 4bn. ) Supporters are urging him to buy before the winter “transfer window” closes on Thursday. He stands accused of practising football’s version of austerity – at a club that looks a model of financial good health.

Wenger and Arsenal retort that the football economy is a bubble: clubs are spending beyond their means and risking collapse. The argument is at bottom one about the football business. Has Wenger, almost the only actual economist in football, called the football economy right? Will Arsenal’s prudence finally pay off one day?

Wenger was born in the Alsace in 1948, three years after France retook the region from Germany. His parents ran a café in tiny Duttlenheim. Today Wenger appears upright, tense and often angry in public but when I hosted him at a sponsors’ evening years ago, I found that in private he became a jolly mime and raconteur. Those café skills obviously ran deep. Wenger, who graduated in economics at Strasbourg University in 1971, has a mathematician’s brain. The subject taught him about valuations and the importance of data. To other managers, £15m might be simply “a big number”, but not to Wenger. When he weighs up potential signings, he judges like an economist pricing assets as much as like a coach seeking quick wins.

Wenger is taking such abuse now partly because, in his first seasons in London, he set the bar so high. He used stats to track, for instance, after how many minutes a player lost speed and needed substituting. Crucially, he knew football globally. English football in the 1990s was so insular (indeed xenophobic) that many managers didn’t even watch World Cups.

In this world Wenger was bound to triumph. It just so happened that the best young footballers then were French. Wenger had the pick of them. Stars such as Patrick Vieira, Thierry Henry, Robert Pires and others turned the club long nicknamed “Boring, Boring Arsenal” into the best and most exciting in England. The total he paid for Henry, Vieira and Pires was less than the £23m he received from Real Madrid for a troubled young French teenager, Nicolas Anelka. It was David Dein, Arsenal’s then vicechairman and the man behind Wenger’s appointment as manager, who negotiated the transfer fees and salaries, and if he wanted to pay a few pounds more than the stringent Wenger thought fair, he would pay it. Dein, a former sugar trader, had shown his eye for a chance in 1983 when he bought 17 per cent of Arsenal for just £292, 000.

In 2004, Wenger’s “Invincibles” became English champions without losing a match. It was their third championship in seven seasons, even though rivals Manchester United were much richer. Then the Invincibles lost at United in October 2004 and nothing has been quite the same since.

By then, football was already changing. A Russian oligarch named Roman Abramovich had bought Chelsea and begun spending fortunes on players. But the change didn’t merely involve money: everyone in England had copied Wenger. The pioneer was falling victim to catch-up.

Abramovich’s Chelsea began winning titles. Wenger hated the idea that some random sugar daddy could buy himself a championship, as if it were a holiday villa. He complained that Chelsea were using “economic doping, because their resources were artificial”. Wenger appears to share the widespread French suspicion of rootless international capital.

In those years he either made or went along with two fundamental decisions: one, Arsenal would build a big new stadium to boost revenues. Two, Arsenal would remain financially conservative. They wouldn’t spend riskily. These are the hallmark policies of the latter Wenger years.

The Emirates Stadium opened in 2006. Mostly, it has worked out: the 60,000 seats sell out almost every match, for the largest regular crowd in London’s football history (the old ground, Highbury, held 38,000). Arsenal’s ticket prices are the highest in English, and probably global, football, with this year’s cheapest season tickets costing £985. Consequently, Arsenal now earn £3.3m per home match, about double the amount of their London rivals Spurs. Their total revenues last season were £243m, sixth in European football.

And yet moving stadiums was scary. Most of the £430m required was borrowed. Suddenly, this most conservative English club was drowning in debt. Things got scarier when the financial crisis hit in 2008, just as Arsenal were raising revenue by selling converted flats at their old Highbury stadium. Every season, Wenger had to sell players partly to pay off the Emirates mortgage.

With hindsight, Wenger’s cautious spending policy was predictable. It’s his nature. Billy Beane, general manager of the Oakland A’s baseball team and hero of the book and film Moneyball, told me in 2010: “When I think of Wenger, I think of Warren Buffett. Wenger runs his football club like he is going to own the club for 100 years.” The wilder side of Wenger’s nature was Dein, but he left Arsenal amid board ructions in 2007 and, since then, Wenger has been freer to be himself. That has often entailed refusing to sign a player who cost a touch more than Wenger’s own valuation.

Austerity is in Arsenal’s culture. Once known as the Bank of England club, it has been cautiously run for decades. That tradition must have attracted the current majority owner, the American Stan Kroenke, who treats sports clubs as serious businesses. Ivan Gazidis, Arsenal’s quietspoken chief executive, son of a South African anti-apartheid and anti-HIV activist and doctor, told me last week: “We don’t spend more than we have. In football that is seen as conservative. That tells you a little bit about the environment we’re in. ” Arsenal’s “policy of sustainability, ” Gazidis adds, “should be familiar to more people given the economic state of the world, but football has continued to be a little bit of a bubble. ”

In fact, the environment of overspending rivals probably only encouraged Wenger’s caution. Many pundits have long forecast a great reckoning, of football clubs ceasing to exist when they couldn’t pay their debts – especially after the financial crisis hit and even some big banks went under. Michel Platini, president of the European football association Uefa, said in 2009: “If this situation goes on, it will not be long before even some major clubs face going out of business.” Stefan Szymanski, economics professor at the University of Michigan, with whom I co-wrote the book Soccernomics, suggests now that Arsenal were waiting for the moment when prices collapsed and they could snap up great players on the cheap.

But that moment never came. It turned out that football clubs weren’t like normal businesses. In normal business, if you rack up unpayable debts, you close down. However, football clubs rack up unpayable debts and live. No English club has folded for good since tiny Wigan Borough during the Great Depression in 1931. All the rest survived the Depression, the second world war, recessions, corrupt chairmen, appalling managers and now the financial crisis. It’s a history of remarkable stability.

True, smaller British clubs are forever going insolvent (though the only Premier League club ever to do so was Portsmouth in 2010) but then they do deals with their creditors, usually repay a small fraction of debt, and march on. No creditor or bank manager wants to kill off a beloved ancient institution. And, anyway, at bottom a club is just a name. If the club’s holding company folds, a new limited company is simply created using the old club name, and the club marches on. Football clubs survive even when they go bust. That’s pretty sustainable. Asked if he expected clubs to start disappearing, Gazidis says: “I don’t see an immediate prospect of that, especially in England. ”

Against such a backdrop, Arsenal’s cautious spending seems exaggerated. If the club thought that big football clubs were as vulnerable as other profligate businesses, it was wrong. Clearly it shouldn’t have copied Leeds United, which amassed a particularly spectacular debt mountain that eventually required the sale of almost Leeds’ entire team and ended in a fall to the third tier of English football. However, Arsenal chose the other extreme. The “Swiss Rambler”, a British financial professional based in Switzerland who runs a respected blog on football finance, calculates that since 2007 the club has made total profits of £195m, of which £178m has come from selling players. On his blog, he estimates: “Arsenal could safely spend £50m to £60m from cash resources.” That itself might not dislodge the two Manchester clubs – “Although the stadium took us forward, it didn’t take us forward far enough, ” says Gazidis – but such spending could get Arsenal closer.

Red and White Holdings, which represents Alisher Usmanov, an Uzbekborn oligarch ranked by Forbes as Russia’s richest man, and Farhad Moshiri, Usmanov’s British-Iranian business partner, who own nearly 30 per cent of Arsenal’s shares between them, also wants the club to spend more.

Arsenal’s wage costs have risen sharply in recent years and last year reached £143.4m, or 61 per cent of turnover. Gazidis thinks spending a bigger slice of turnover on wages would be to enter “dangerous territory”. But the Premier League’s average wages-to-turnover ratio is 70 per cent. And Manchester City, Chelsea, and Manchester United pay comfortably higher wages than Arsenal. (Manchester City spent 114 per cent of its revenues on pay in 2010/2011.)

Separately from economics, Wenger made another fundamental misjudgment. He dreamed of building a team produced in Arsenal’s youth academy, rather than bought as adult stars. This is another truth of football: it’s almost impossible to predict whether a great untried teenager will make a great adult footballer. Only once a teenager has achieved success in actual professional football – as did Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney or Gareth Bale – can you know he is the real thing, and by then richer clubs than Arsenal will be chasing him.

Some think a prince is now riding in to prove Wenger’s conservative strategy right after all: “financial fair play”, as Uefa’s new policy is called. It essentially requires European clubs to stop spending more money than they have. The Premier League is considering similar rules for England. The European FFP “rules” are full of loopholes and, even when they take full effect in 2018, may not require clubs to break even but FFP does seem to be limiting clubs’ spending slightly. Spending on transfers by Premier League clubs dropped 23 per cent from 2011 to 2012 to £550m, says Deloitte.

But it is unlikely that FFP will transform football. More probably, says Szymanski, clubs and Uefa will both give a bit. Uefa’s main concern will be to stop penniless clubs becoming insolvent. Clubs with sugar daddies, such as Chelsea and Manchester City, who face less risk, may be cut more slack. In any case, some clubs are already finding ways around FFP. City have signed a 10-year deal believed to be worth £350m with Etihad Airways for stadium naming rights and shirt sponsorship – a flabbergasting sum.

Critics note that Etihad, like City’s owners, comes from Abu Dhabi. They question whether the deal allows City to inject money from an outside wellwisher despite the FFP restrictions. However, Uefa might struggle in court to prove the £350m was excessive, or that Etihad and City’s owners were linked. Presumably, then, such deals will be left to stand. In the end, FFP may change football less than Arsenal would hope. Gazidis says: “Are there loopholes in the way FFP works? Quite possibly. FFP is not part of our strategy.”

In short, neither a collapse of the football economy, nor a sudden blossoming of Arsenal’s youth academy, nor FFP is likely to come along and save Wenger. On the upside, Gazidis does expect Arsenal to get richer, as longstanding commercial deals expire and are replaced by bigger ones. Arsenal’s revenues look set to hit £300m next year. Meanwhile, interest costs on the club’s debt have dropped to a manageable £13.5m, with net debt at £98.9m. The burden of the stadium is lifting. “We’re coming through a period of risk to a period of less risk,” acknowledges Gazidis.

However, other clubs are finding new revenues too, as countless Asians and Americans start switching on to the Premier League. Contrary to the doomsayers, English football’s economic rise may have only just begun. That probably means Arsenal’s new revenues won’t be enough to lift it back into prize-winning zones – certainly not in time for Wenger.

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Conte, una rabbia che sa di paura

Se pensiamo al regolamento così come ce l’hanno spiegato, chiarito, ripetuto e vivisezionato i nostri vertici arbitrali, allora dovremmo dire che Guida da Torre Annunziata ha azzeccato la decisione più difficile (e forse importante) della sua carriera

Stefano Agresti - corrieredellosport.it - 27-01-2013

ROMA - Se pensiamo al regolamento così come ce l’hanno spiegato, chiarito, ripetuto e vivisezionato i nostri vertici arbitrali, allora dovremmo dire che Guida da Torre Annunziata ha azzeccato la decisione più difficile (e forse importante) della sua carriera. Il cross di Lichtsteiner al 93’ di Juve-Genoa, infatti, prima di finire sul braccio largo di Granqvist va sul suo piede sinistro: in questi casi - ci hanno detto - l’intervento va considerato involontario. Se però ci mettiamo nei panni di chi si vede negare un rigore così - con un tocco evidentissimo e plateale - all’ultimo istante di una partita scudetto, allora capiamo la rabbia, i dubbi, le proteste. Non esagerate ed esasperate come quelle di Conte, che s’è fatto tutto il campo per urlare «vergogna» (e chissà se verrà squalificato), ma certamente comprensibili. Chi avrebbe assorbito una decisione del genere con un sorriso e una pacca sulla spalla di Guida? L’ultimo episodio, insomma, è la classica situazione nella quale l’arbitro è comunque destinato a finire nella bufera, per le accuse di una o dell’altra parte. Ieri, invece, Guida avrebbe dovuto essere criticato per gli altri due errori che ha chiaramente commesso: il rigore negato al Genoa per fallo di mano di Vucinic nel primo tempo e quello non concesso allo stesso montenegrino pochi istanti prima del 90’. Ci hanno stupito, in nottata, le pesantissime illazioni di Marotta (uno che quando protesta con tanto accanimento sembra un pesce fuor d’acqua, inviato a svolgere un ruolo nel quale non si trova a suo agio) sulle origini napoletane dell’arbitro. Quelle frasi, chiaramente meditate e studiate, sembrano quasi un segnale. Di debolezza, se non di paura. Questo pareggio così tumultuoso - e il giudizio non sarebbe cambiato se la Juve avesse vinto al 93’ - conferma infatti che il 2013 dei bianconeri non è brillante: appena 5 punti in 4 partite, con un solo successo, indicano che la squadra ha bisogno di rinforzi, soprattutto in avanti, e che Anelka potrebbe non bastare. E il Napoli che incombe da dietro aumenta l’inquietudine.

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Replica "30 sul campo, tutta l'altra verità su Calciopoli"

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ForzaPescara.TV propone la replica della diretta streaming della presentazione del libro "30 sul campo, tutta l'altra verità su Calciopoli", scritto da Maurilio Prioreschi, avvocato e difensore di Luciano Moggi. Alla presentazione sono intervenuti Luciano Moggi, Maurilio Prioreschi, Alessio Palladino, avvocato difensore dell'ex arbitro Antonio Dattilo di Locri, Paolo Dondarini, ex arbitro ed assolto nel processo di Napoli e Nicola Penta, consulente della difesa di Moggi. L'evento si è svolto Sabato 26 Gennaio 2013, ore 18.00, presso il resort Valle di Venere a Fossacesia (CH).

http://youtu.be/ofY2fGe656k

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Le accuse all'arbitro Guida

La Figc apre un'inchiesta?

Fulvio Bianchi - Spy Calcio - repubblica.it - 27-01-2013

Caos e parole forti a Torino. La Juve attacca duro l'arbitro e c'è anche qualche sito juventino che ricorda addirittura una sua (vecchia) intervista. "Seguo il Napoli sin da bambino", ha detto (avrebbe detto) l'arbitro Guida di Torre Annunziata, in un'intervista pubblicata nel 2010 su "Napolissimo" quando ancora non era stato promosso in serie A . Marco Guida, classe '81, consulente commerciale, arbitra infatti dal 20 dicembre 1996 ed è in serie A dal 2011, ed è nato a Pompei ma iscritto alla sezione arbitrale di Torre Annunziata. "Conservo bei e prestigiosi ricordi di tutte le partite arbitrate, come ad esempio un'amichevole Cavese-Napoli del gennaio del 2009. Quella ha rappresentato un momento di vanto per me. Insomma arbitrare il Napoli, di cui seguo le sorti sin da bambino, non capita tutti i giorni" sempre da questa intervista che sta facendo il giro del web. E ha continuato: "Sono un grande appassionato di calcio ed anche io tengo alle sorti di una squadra, che purtroppo però attraversa un momento proprio difficile come il Savoia (intervista del 2009, ndr). La situazione della squadra riflette purtroppo la situazione sociale ed economica di una città con grandi problemi. Chissà se in breve tempo questa situazione potrà cambiare. Lo spero per tutti. Ovviamente poi tengo anche molto alle sorti del Napoli".

Segue le sorti del Napoli, e allora? Dovrebbe interessarsi forse del Bolzano? In ambiente arbitrale non si dà alcun peso a questa (presunta) intervista. Un sito sosteneva anche che l'assistente Maggiani, accusato dopo Catania-Juve, aveva su Facebook un suo profilo con la bandiera juventina: quel profilo era falso, chiuso dopo una denuncia. Ma ha sbagliato allora Braschi a designare un arbitro di Napoli, come sostiene Marotta? No, non credo. Le norme prevedono solo che non puoi arbitrare la squadra, o le squadre, della tua città o provincia, e quelle dove lavori. Ma la Can di serie A, commissione arbitri diretta da Stefano Braschi, è addirittura più attenta: lo scorso anno Giannoccaro di Lecce non solo non arbitrava in A il Lecce (ora finito in Lega Pro) ma anche il Siena, la città del suo testimone di nozze. Esagerato? Forse sì, ma il nostro è un calcio esagerato. Guida era andato molto bene nelle ultime gare, soprattutto a Samp-Milan: per questo il designatore lo ha scelto. Ma a Torino ha sbagliato una partita che poteva essere facile e che invece si è messa storta per tanti motivi e non solo per colpa sua. Allora - secondo il Marotta pensiero - non si potrebbero utilizzare anche arbitri di Torino, Roma, Milano, di città che hanno squadre impegnate in traguardi di prestigio. Non possono però dirigere tutte le partite del campionato Rizzoli di Bologna o Rocchi di Firenze (ma attenti, la Fiorentina sta alta quest'anno in classifica) o Tagliavento di Terni, o Orsato di Schio. Vale a dire fra i migliori che abbiamo, sovente impegnati anche in campo internazionale. Che facciamo, prendiamo arbitri svizzeri? Ma non scherziamo. Teniamoci i nostri che, pur con gli errori, sono sempre meglio dei altri.

Pesanti le parole di Conte: "E' una vergogna, Guida non mi può dire che non se l'è sentita di dare il rigore...". Gravissime accuse: interverrà probabilmente Stefano Palazzi con un'inchiesta, perché questo è un momento delicatissimo del campionato. Va appurata la verità, e in fretta. Nell'ambiente dei vertici arbitrali c'è forte malumore per il comportamento di Conte "che ha quasi aggredito l'arbitro, non è tollerabile". Ma ufficialmente c'è silenzio: in attesa delle decisioni del giudice sportivo, domani, e più avanti della procura federale. Non è escluso comunque che Marcello Nicchi, presidente dell'Aia, faccia sentire la sua voce mercoledì prossimo nel primo consiglio federale della nuova era-Abete. Così come Braschi si farà sentire il 4 febbraio a Fiumicino nella consueta riunione arbitri-capitani-allenatori-dirigenti. Braschi non vuole tornare indietro di 20 anni, finché c'è lui tutte le squadre avranno tutti gli arbitri. Non ci saranno gli arbitri a... richiesta, come in un brutto passato. "Che non vogliamo fare tornare", garantiscono fonti Aia. Ma ci sarà una logica rotazione. Chiaro che adesso Guida starà fermo per un po' e poi riprenderà con calma (non certo arbitrando la Juve). Secondo fonti arbitrali non era da rigore la trattatuta in area di Vucinic ma era da rigore il mani di Vucinic, ma l'arbitro Guida avrebbe visto il pallone andare dritto senza cambiare traiettoria - così avrebbe sostenuto - e per questo, anche se il montenegrino si è spostato toccando la palla, non l'ha dato. Braschi ha dato in passato più volte disposizioni ai suoi che ci vuole "volontarietà nel fallo di mano", e si "deve occupare lo spazio inopinatamente". Più complesso il rigore reclamato dalla Juve a fine gara: qui il giocatore genoano sbaglia un rinvio e si tira la palla sul braccio largo. Romeo, arbitro di area, era per il penalty (forse ha visto solo il tocco di braccio?), Guida- che è il primo arbitro e decide lui- invece ha visto l'involontarietà, scatenando l'ira juventina. Fifa e Uefa, in questi casi, ultimamente "consigliano" di dare rigore. Secondo me era da assegnare il penalty anche perché è stata deviata la traiettoria della palla. Le proteste della Juve ci stanno quindi, "ma mai con quei toni", sostengono sempre in ambienti arbitrali. Braschi analizzerà tutti gli episodi e parlerà chiaramente il 4 febbraio. Sarà un summit molto caldo. E vedremo chi si presenterà.

Vicepresidenti Figc: il sindacato calciatori contro Lotito

Primo consiglio federale della nuova era-Abete, prima occasione di discussione, speriamo non di lite. Mercoledì prossimo c'è da stabilire chi saranno i due vicepresidenti della Figc. Da quest'anno, come noto la struttura è stata "asciugata" per volere del Coni: un vicepresidente in meno (prima erano tre: Tavecchio vicario più Albertini e Macalli) e solo 21 consiglieri. Ora per due posti di vice sono in corsa in quattro: Tavecchio, Lotito che vorrebbe fare anche il vicario, Macalli e Albertini. La posizione dell'Aic, sindacato calciatori, che appoggia Albertini, insieme all'assollenatori di Renzo Ulivieri, è chiara: "Lotito è un presidente di club e non è mai successo che un presidente di club facesse anche il vice della Figc. Se proponessero Beretta, potrebbe anche andar bene ". Si sa, Beretta è superpartes, a parte il fatto che è un top manager della Banca che di fatto è proprietaria, o quasi, della Roma... Abodi, Lega di B, non voterà certo Abodi che gli ha fatto la guerra e usato parole forti nei suoi confronti. I voti a disposizione (scrutinio segreto) dovrebbero essere due a testa, in tutto 42. Ci sarà spaccatura anche su questo? La Lega di Milano propone, oltre a Lotito, anche Tavecchio che è stato un ottimo vicario di Abete e ha tentato di fare cambiare lo statuto. Inoltre si sa che il patron di Lazio e Salernitana (non si potrebbe per le norme Figc ma facciamo finta di niente) non lega molto. Eufemismo per dire che sono agli antipodi. Alla fine deciderà Abete che, quando vuole, sa imporsi.

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Irresponsible handling of finances is

why Spanish clubs are drowning in debt

by GABRIELE MARCOTTI (THE TIMES 27-01-2013)

On Saturday night Deportivo La Coruña lost at home to Valencia, 3-2 in one of the more dramatic games you are likely to see all year, featuring two red cards and a last-ditch winner.

It was not necessarily a game for the purists, but it was high on drama and passion to the point that you would — if you liked your clichés — call it a “great advertisement for La Liga”. It was also the “Battle of the Bankrupt”.

Deportivo filed for bankruptcy protection this month, with debts of more than £80 million. And a week ago Valencia were effectively taken over by their regional government, which had acted as a guarantor on a £68 million loan. After Valencia defaulted, they were effectively nationalised; at least for now.

It is shocking when you realise that these clubs are the only two not named Barcelona or Real Madrid to have won La Liga since 1996. Or that, in the past 15 years, in addition to the two Liga titles won under Rafael Benítez, Valencia won two Spanish Cups, a Uefa Cup and twice reached the Champions League final. And that Deportivo won a Copa del Rey and reached the Champions League semi-finals, before being eliminated in a controversial game by José Mourinho’s Porto.

Eight out of 20 La Liga teams are either in administration or have had drastically to restructure their debt. The reasons why so many are in such a perilous financial state are no mystery. The fact that La Liga allowed clubs to sell their TV rights individually ended up disproportionately favouring Barcelona and Real, which meant that others got stuck in an “arms race” they could not possibly win.

The fact that the Spanish economy has tanked has made bad situations worse, turning calculated gambles into guaranteed losing propositions. And yet, by most other indicators, the underlying fundamentals are relatively solid. Despite the economic crisis, people are still watching football. Last season average attendances were around 28,800, which is where they have been for the past decade. Valencia averaged 38,263 in 2011-12, more than 13 Barclays Premier League clubs, including Tottenham Hotspur, Aston Villa and Everton. Deportivo clocked in at 26,438, but that was in the second division (they were promoted in May).

So the crowds are there. And the footballers are, too. After all, Spain won the past two European Championships and the most recent World Cup. Six of the seven La Liga clubs in European competition advanced to the knockout phase (including all four Champions League representatives). It is not only about Barcelona and Real. La Liga clubs have won five of the past nine Europa League (formerly knows as the Uefa Cup) titles and two of those were all-Spanish finals.

It is a legitimate question: how can you not run a viable club in those circumstances? The answer is simple. When you ignore warning signs and take unnecessary risks either because you are a cowboy who does not care that much or, because there is inadequate oversight and even less enforcement, you are bound to roll the dice.

La Liga is a classic case of the dangers of a system that is neither centralised, with plenty of control, nor a true laissez-faire market economy (if it was, clubs would be allowed to go bust and local governments would not extend easy credit). It is neither fish nor fowl. Or, rather, when it suits, it is a total Thatcherite dream (“Why sell our rights collectively for the common good? We can sell them individually and make so much more money!”), but when it does not it is downright socialist (“The Government needs to help us, we can’t pay our bills, but we’re so important to the community that taxpayer money needs to bail us out.”) Reality is that you need to pick one or the other. Because the present state has “moral hazard” written all over it. Go ahead and “live the dream”; somebody else will foot the bill.

The fact is that with more control, it would be nearly impossible for clubs to go bust. Labour costs represent the bulk of a club’s expenses. But unlike, say, heavy industry, you do not have thousands of unionised factory workers with jobs for life. Contracts expire, which means that just about every club in the world — if they had to — could lower their wage bill to zero (or close to it) within four years. Plus, you cannot sell your unionised workforce to other factories; but in football, not only can you offload your footballers, you can get something in return for them.

No football club need go bust or even into administration when they can slash their expenses within a short time by doing nothing other than waiting for contracts to lapse.

If clubs find themselves in this situation, it is because of irresponsible people at the helm. If we think that football is important enough to preserve, we have to ensure that, when clubs behave irresponsibly, there are immediate consequences. La Liga should view this as an opportunity to give itself rules to make sure that this never happens again. And if it means somehow curbing Barcelona and Real Madrid in the process, so be it. Spanish football is too important for its legacy to be squandered.

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